Una rete per la cura e l`assistenza alle persone senza fissa

INCHIESTA
Una rete per la cura
e l’assistenza alle persone
senza fissa dimora
PIERLUIGI
ALTEA
È
quanto vorrebbero realizzare le istituzioni e
le associazioni già presenti sul territorio italiano per rispondere a questo fenomeno sociale di
grande rilevanza. Nel
frattempo, presso il Ministero del Lavoro una speciale commissione sta elaborando linee guida per fronteggiare il
problema già sul tavolo delle istituzioni europee.
Lo scorso 14 dicembre, a Milano, si è svolto il Primo Convegno Nazionale su “La medicina di strada”.
Una giornata di confronto e di studio, organizzata dalla Fondazione Isacchi Samaja Onlus, che si è chiusa
con un impegno concreto per i medici, i volontari e
gli esperti intervenuti al simposio: l’intento di creare
una rete tra le associazioni di volontariato già attive
sul territorio e gli ospedali pubblici, affinché la cura e l’assistenza alle persone senza fissa dimora nella città di Milano divenga un’azione strutturata e non
lasciata alle iniziative individuali. Un progetto ambizioso che potrebbe e dovrebbe essere esteso all’in-
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tero territorio nazionale, considerando che in Italia
le persone senza fissa dimora sono circa 50mila (dati Istat), concentrate in prevalenza nelle grandi città,
Milano, Roma e Palermo, ma non solo. Perché il problema della povertà e dell’esclusione sta assumendo
proporzioni importanti un po’ ovunque a causa della
crisi economica.
Le persone che chiedono aiuto sono in aumento: alcune di queste, purtroppo, le più vulnerabili perché
prive di mezzi economici ma anche di legami familiari e sociali, finiscono per strada. Qui, a causa di quello che gli esperti chiamano “sovra-adattamento paradossale”, cioè quel fenomeno che consente agli esclusi
di adattarsi alla vita di strada, divengono pian piano
refrattari al mondo e alle cure mediche di cui sovente
avrebbero bisogno. Lo sanno bene gli operatori sanitari impegnati su questo fronte che per avvicinare le
persona senza fissa dimora devono adottare particolari strategie di tipo psicologico. Ma non è solo questo il problema: spesso le persone curate e assistite in
Pronto Soccorso per episodi acuti, una volta dimessi
dall’ospedale non hanno un luogo dove poter trascorrere la convalescenza, finendo per ammalarsi nuovamente e vanificare lo sforzo delle istituzioni e delle
associazioni di volontariato.
Per questa ragione è necessario creare una rete che
permetta alle realtà pubbliche e private di dialogare
tra loro, per poter agire con maggior vigore nell’interesse degli ultimi, ma anche del Ssn nazionale che
ha la necessità di non disperdere le proprie risorse.
Un primo passo per affrontare il problema delle persone senza fissa dimora, una delle contraddizioni più
marcate e visibili della società contemporanea che, a
dire il vero, al di là di questi interventi auspicabili, richiederebbe azioni ben più radicali per rimuovere le
cause del fenomeno.
Un fenomeno in crescita
In oltre cinque anni di attività, l’Istituto Nazionale
per la promozione della salute delle popolazioni Migranti per il contrasto delle malattie e della Povertà
(Inmp), ente pubblico nato nel 2007, oggi centro di
riferimento nazionale per l’assistenza socio-sanitaria
alle popolazioni migranti e alle fragilità sociali, nonché centro nazionale per la mediazione transculturale in campo sanitario, ha assistito oltre 10mila persone, per la maggior parte immigrati, ma non solo. «Il
problema delle persone senza fissa dimora», spiega
Gianfranco De Maio
Antonio Fortino
Antonio Fortino, direttore sanitario dell’Inmp, «sta
assumendo proporzioni importanti e ormai da alcuni
anni non interessa più soltanto gli immigrati, ma anche tanti italiani, già in condizioni di fragilità, che a
causa della crisi sono entrati a far parte di questa fascia di popolazione ancor più debole e vulnerabile».
Secondo l’ultima indagine realizzata dall’Istat alla fine del 2012, in collaborazione con la Federazione Italiana degli Organismi per le Persone Senza Dimora, il
Ministero del Lavoro e la Caritas italiana, le persone
senza fissa dimora nel nostro Paese sono circa 50mila.
«Sebbene sia solo una stima questa», fa notare Forti15
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no, «considerando la difficoltà che si ha nel censire un ve che, se non adeguate, possono indebolire l’organifenomeno di per sé sotterraneo, anche perché in par- smo, le sue difese immunitarie: trovarsi un uno stato
te volutamente nascosto proprio dalle persone stes- di povertà e di carenza alimentare, non avere legase che si trovano a vivere questa esperienza, tuttavia mi familiari, più in generale trovarsi in uno stato di
l’ordine di grandezza del dato è sufficiente a mostrare esclusione sociale espone le persone a rischi rilevanla gravità del fenomeno che per il 40% circa dei casi ti per la salute». Chi vive in strada solitamente soffre
interessa cittadini italiani, sebbene la proporzione di di malattie respiratorie, fa sapere il medico dell’Inmp,
stranieri nella nostra realtà, Roma, sia un po’ più al- di tubercolosi e patologie gastroenteriche, così come
ta della media nazionale, arrivando sino all’83%». Le di scabbia e di ulcere della pelle a volte anche molto
persone senza fissa dimora vivono prevagravi, e ancora di tabagismo e alcolismo,
lentemente nelle metropoli: solo Milano ne
oltre che di problematiche psicologiche e
Si stima che i ricoveri
conta circa 13mila, Roma 8mila, seguite a
psichiatriche. «Per queste persone è tutdelle persone
ruota da Palermo, Torino, Firenze e Bolo- senza fissa dimora to più difficile», spiega Fortino, «un banagna, tuttavia il fenomeno si sta allargando
le disturbo agli occhi o ai denti può trasiano più lunghi
di almeno il 25%
in modo preoccupante anche ad altre citsformarsi in un problema molto grave, ma
tà più piccole e nelle zone periferiche del
non solo: tra i nostri pazienti non mancaPaese. Un problema sociale grave, dunque, che inte- no neppure persone provenienti da contesti segnati
ressa in modo particolare il mondo sanitario per ra- da violenze etniche e da torture, da abusi sessuali di
gioni evidenti. «Innanzitutto perché le persone che cui sono vittime le donne o da malattie contratte duvivono in strada o in ambienti comunque inadeguati rante viaggi interminabili condotti in condizioni disuper grado di confort e igiene», spiega il direttore sa- mane». Per il medico e l’equipe che si prende cura del
nitario dell’Inmp, «sono più vulnerabili alle malattie. paziente senza fissa dimora non sempre è facile fare
L’individuo, infatti, ormai è risaputo, non si ammala la diagnosi. «La percezione e i sintomi che lamentano
solo per effetto dei microbi, ma anche e soprattutto queste persone», spiega Fortino, «sono più sfumati e
a causa delle condizioni socio-economiche in cui vi- imprecisati di quelli di un qualsiasi altro paziente, il
Un’immagine
della struttura
in via Mambretti
a Milano
inaugurata di
recente a opera
di Medici Senza
Frontiere e
Fondazione
Progetto Arca
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racconto dei loro disturbi è frammentario: spesso utilizzano simbolismi che al medico o all’operatore sanitario, soprattutto se non abituati a operare in questo
ambito, appaiono poco chiari». Le persone senza fissa dimora poi, aggiunge l’esperto, hanno un rapporto ambivalente con le strutture sanitarie: da un lato
le evitano il più possibile, dall’altra le cercano perché
sanno che negli ambulatori e negli ospedali possono
trovare aiuto, ma anche solo un ascolto.
«Purtroppo, però, di fatto», precisa Fortino, «sovente giungono al Pronto Soccorso quando il quadro patologico è diventato davvero complesso: qui trovano
operatori sanitari capaci che lottano con abnegazione lodevole per prendersi carico delle loro problematiche che però, purtroppo, non sempre si possono risolvere perché richiederebbero un approccio diverso,
multidisciplinare». Così, può accadere che il paziente venga dimesso, quando invece avrebbe bisogno di
un ulteriore aiuto, di farmaci e di un luogo dove fare
la convalescenza, o al contrario che venga trattenuto
impropriamente in ospedale. «Si stima che i ricoveri
delle persone senza fissa dimora siano più lunghi degli altri di almeno il 25%», spiega Fortino, «d’altronde
non potrebbe essere diversamente, almeno che non si
trovino alternative alle degenze improprie».
Purtroppo, ricorda il dirigente dell’Inmp, dopo la Legge Turco, la 328, che ha dato un grande impulso al tema dell’integrazione socio-sanitaria ed è tuttora un
punto di riferimento, le politiche successive non sono
state coerenti, né sufficienti a dare risposta a questo
come ad altri problemi. «Ci sono state iniziative importanti che hanno consentito la nascita di progetti
di grande rilievo, come l’Inmp, per esempio», ammette Fortino, «tuttavia è mancata una strategia stabile
e duratura per affrontare il problema delle persone
senza fissa dimora. Attualmente è in corso un tavolo
nazionale presso il Ministero del Lavoro per elaborare delle linee guida sul tema e contemporaneamente
lo scorso 13 gennaio è stata avanzata in sede europea
una proposta di risoluzione comune sulla strategia
per i senzatetto».
Dal punto di vista pratico, le associazioni di volontariato, che storicamente rappresentano l’elemento
fondamentale che ha spinto le politiche pubbliche a
occuparsi di temi che altrimenti sarebbero stati completamente trascurati, secondo Fortino dovrebbero
uscire dal proprio isolamento per lavorare insieme alle
istituzioni che, a questo punto, aggiunge, «non posso-
no più esimersi dal fornire risposte stabili e organizzate a fenomeni come quello dell’assistenza e della cura
delle persone senza fissa dimora sul quale si gioca il
diritto fondamentale all’uguaglianza delle persone».
Associazioni di volontariato
e istituzioni in rete
«La strada non è soltanto causa di malattie: è essa
stessa una malattia». Ne è convinta Paola Arzenati, direttore generale e scientifico della Fondazione Isacchi
Samaja Onlus di Milano, associazione di volontariato
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che in sinergia con il Centro di ascolto della Stazione
Centrale e il Comune di Milano ha preso parte al “piano emergenza freddo” 2013. «Dal febbraio dello scorso anno abbiamo attivato un’unità mobile, un camper con il quale raggiungiamo le persone senza fissa
dimora per distribuire cibo e vestiario e tanto ascolto», spiega Arzenati, «dallo scorso aprile il camper si
trasforma ogni domenica sera in “unità medica”: un
piccolo studio attrezzato nel quale i nostri medici volontari erogano prestazioni sanitarie di vario genere
e di primo aiuto oltre a fornire informazioni sugli ambulatori specializzati che operano a Milano». Un servizio quello offerto dalla Fondazione Isacchi Samaja
e da altre realtà presenti in città che in alcune circo-
stanze funziona da raccordo con gli ospedali cittadini, ma purtroppo in modo non ancora strutturato. «Il
coordinamento tra le risorse presenti sul territorio
è uno dei nostri obiettivi», spiega Arzenati, «perché,
sebbene già ora la nostra Fondazione si metta a disposizione delle istituzioni e delle altre associazioni,
per esempio per trovare una degna sistemazione alle
persone dimesse dagli ospedali cittadini, c’è ancora
molto da fare a livello di sistema.
Insieme, pubblico e privato, dovremmo costruire una
rete permanente capace di dare risposte soprattutto
alle emergenze mediche, perché un ammalato senza
dimora è poco mobile, anche psicologicamente, nel
senso che se ha bisogno di essere messo al riparo perché indebolito dalla malattia non può più stare sul
suo giaciglio di strada, ma difficilmente si convincerà a spostarsi, a lasciare il suo angolo e le sue cose, a
meno che non ci sia modo di mandarlo in una struttura che lo possa accogliere, come per esempio quella inaugurata poche settimane fa in via Mambretti, a
opera di Medici Senza Frontiere e Fondazione Progetto Arca, ma che possibilmente non sia molto lontano
da quella che è la sua casa». Secondo Arzenati, molto
si sta facendo, ma ancor di più e in modo più incisivo
si potrebbe operare per far fronte ai problemi pratici, ma anche psicologici e morali di chi vive in strada. «Dobbiamo cercare di creare una cultura del recupero», dice, «che coinvolga soprattutto le persone
che ormai non credono più di poter ritrovare dignito-
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UN’INTERESSANTE SPERIMENTAZIONE,
LA PRIMA IN ITALIA
A Milano, lo scorso 31 gennaio, è stata inaugurata una
nuova struttura per l’assistenza medica alle persone
senza dimora ricoverate e dimesse dagli ospedali della
città. Nata da un’iniziativa di Medici Senza Frontiere
e Fondazione Progetto Arca, nell’ambito dell’Azienda
Sanitaria Locale e in collaborazione con il Comune di
Milano, la struttura, prima ed unica in Italia, dispone di
20 posti letto e può contare su un’equipe di 11 operatori
sanitari e medici. «È dal 1999», spiega Gianfranco
De Maio di Medici Senza Frontiere, «che la nostra
organizzazione è attiva anche nel nostro Paese con il
programma “Missione Italia” per fornire assistenza agli
immigrati e ad altri gruppi di vulnerabili presenti sul
territorio italiano, come i senza dimora, che non hanno
accesso regolare alle cure mediche. Questa iniziativa
promossa a Milano è nata sulla scia di quanto è già
stato fatto in Inghilterra ormai 10 anni fa, ma anche
in Francia nel 2008». Il vantaggio di poter disporre di
una struttura in grado di prendersi cura delle persone
senza fissa dimora dimesse dall’ospedale è duplice.
«Da una parte», spiega De Maio, «consente ai pazienti
privi di un’abitazione di poter ricevere in un ambiente
confortevole i servizi sanitari di base, dall’altro evitare
ricadute che hanno poi come conseguenza un nuovo
accesso all’ospedale, con l’ulteriore beneficio, anche
di tipo economico per Ssn, di evitare ospedalizzazioni
più lunghe del necessario». Il costo della degenza in
questa nuova struttura, fa sapere De Maio, è il linea
con i costi complessivi di una degenza in una Rsa, ma
anche nelle strutture analoghe presenti in Francia. «La
sperimentazione durerà per tutto il 2014», conclude
De Maio «dopodiché l’Asl Milano dovrebbe assumere la
piena titolarità dell’intervento, identificando un gestore
accreditato della struttura, i cui costi reali saranno nel
frattempo rilevati e monitorati anche grazie al contributo
di Istituti di ricerca indipendenti cui MSF, in accordo con i
partner, sta affidando l’incarico».
samente un posto nella società: per questo è necessario trovar loro un rifugio e trasformare ogni incontro in un progetto». Per fortuna, fa sapere Arzenati,
c’è grande interesse da parte delle istituzioni perché
nella sola città di Milano sono molte le riunioni e gli
incontri organizzati sul tema, ma anche i bandi del
Comune per concorrere all’erogazione dei servizi di
supporto a queste persone.
«Il fatto è che le istituzioni, ma anche le associazioni
di volontariato», spiega, «sono più orientate a risolvere
l’emergenza che non a investire in un progetto di più
ampio respiro. Poi, ci vorrebbe la volontà di comunicare: chi si occupa di ospitare le persone la notte nei
dormitori, per esempio, dovrebbe avere un contatto
costante con gli ospedali che a loro volta dovrebbero
averlo con le comunità e quest’ultime, infine, con chi
opera nel campo del reinserimento lavorativo: tutto
ciò rappresenterebbe un passo avanti notevole, con-
siderando che lo sforzo di associazioni e istituzioni è
grande e anche la buona volontà, ma il cammino non
è facile». Anche sul fronte delle informazione tra cittadino e istituzioni si potrebbe fare di più. «I cittadini spesso segnalano i casi di presunta difficoltà ravvisabili nelle persone senza fissa dimora, soprattutto
nel periodo invernale», fa sapere Arzenati, «ma ci vorrebbero sollecitazioni costanti. Dovremmo investire
sull’informatizzazione del nostro servizio, mettere in
rete le informazioni e condividerle con gli altri operatori. L’auspicio è che in futuro ci possano essere più
risorse per le istituzioni pubbliche, ma anche per le
associazioni perché anche noi soffriamo per la crisi.
In ogni caso, è necessario mettere da parte i particolarismi e avere un atteggiamento più aperto, più europeo a questo che è un problema grave a cui dobbiamo riuscire a dare risposta».
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