Iniziative Europee di Difesa

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Iniziative Europee di Difesa
Claudio Catalano
Le elezioni presidenziali americane del 8 novembre 2016 sono state vinte dal candidato
repubblicano Donald Trump diventato il 45° presidente eletto degli Stati Uniti. Inoltre i repubblicani
conquistano la maggioranza sia al Senato che alla Camera dei rappresentati.
L’elezione di Trump è giunta a dispetto di tutti pronostici, che davano vincente la candidata
democratica Hillary Clinton, e superando l’ostilità dell’establishment del partito repubblicano, quella
dei cosiddetti repubblicani “elitisti” e della famiglia Bush, con l’ex presidente George W Bush che
ha dichiarato di aver votato per la Clinton.
La vittoria di Trump è, quindi, considerata la vittoria di un outsider contro l’establishment di
Washington. Secondo alcuni, Trump ha saputo intercettare la voglia di cambiamento del ceto
medio americano, ma in realtà i fattori che hanno portato alla sua vittoria sono molteplici e
potevano essere previsti già dall’estate 2016 contrariamente a quanto hanno fatto il giornalismo ed
i sondaggi “mainstream”.
Infatti, una volta conquistata la piattaforma elettorale repubblicana e diventato il candidato ufficiale,
Trump era diventato un candidato credibile con buone possibilità di essere eletto, rispetto alla
continuità di Clinton con l’amministrazione Obama, contando sullo scontento verso i governi in
carica provocato dalla crisi economica.
Inoltre, chiunque fosse stato il candidato repubblicano, aveva a suo favore il normale “turn over” di
due mandati tra presidenti democratici e repubblicani, che ha poche eccezioni, da quando nel
1951, il 22º Emendamento alla Costituzione ha vietato di poter svolgere più di due mandati.
Persino tra il 1960 e 1981, nonostante eventi traumatici come l’omicidio di Kennedy o il caso
Watergate, è stata confermata l’alternanza di due mandati per partito, sebbene con presidenti
differenti. Le uniche due eccezioni sono state: Jimmy Carter, che fece un solo mandato e George
H. Bush, che fece un solo mandato, ma a seguito dei due mandati presidenziali di Reagan, quindi
in totale tre mandati repubblicani consecutivi, ma Reagan era il presidente che vinse la “guerra
fredda”. Da Bill Clinton in poi tutti i presidenti americani hanno fatto due mandati, succeduti da un
presidente del partito opposto.
Nelle cancellerie europee, l’elezione di Trump ha suscitato sorpresa. Il primo politico europeo a
incontrare Trump è stato l’ex leader di UKIP, Nigel Farage, per il quale persino si era parlato di un
incarico nell’amministrazione Trump o d’ambasciatore americano a Londra, voci smentite da
Farage stesso. Secondo una iniziativa al di fuori dell’etichetta istituzionale, Trump via Twitter ha
chiesto al governo britannico di nominare Farage ambasciatore britannico a Washington, proposta
che non è stata fatta cadere nel vuoto dal primo ministro May. Allo stesso tempo, il primo ministro
May aveva già fatto una gaffe verso Trump commentando come “inadeguata”, nei toni, la sua
campagna elettorale. Secondo alcuni osservatori, Trump sarebbe favorevole a un riavvicinamento
con il Regno Unito in caso di Brexit, almeno secondo le dichiarazioni fatte in campagna elettorale,
quando per contraddire il presidente Obama che aveva affermato che in caso di Brexit “il Regno
Unito sarebbe stato messo in fondo alla fila per la conclusione di accordi commerciali bilaterali”,
Trump aveva ribattuto dicendo che se fosse stato presidente non avrebbe mai messo il Regno
Unito in coda, ma che avrebbe garantito un trattamento favorevole. Negli altri paesi europei, Trump
è conosciuto come uomo d’affari e ha seguito principalmente tra le opposizioni e tra i pochi governi
conservatori. Ad esempio il primo ministro ungherese Orban, leader del partito conservatore
Fidesz, è stato il primo capo di governo europeo ad essere inviato alla Trump tower, il 26
novembre 2016.
La principale dichiarazione di Trump riguardo l’Europa della difesa è che gli Stati Uniti non
intendono contribuire alla difesa dell’Europa se gli europei non incrementano i propri sforzi,
soprattutto contribuendo al bilancio e alle spese comuni della NATO. La questione del burden
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Un risultato inaspettato per le elezioni americane. Che cosa potrebbe cambiare?
sharing nella NATO e della sproporzione degli investimenti nella difesa tra Stati Uniti ed Europa
per la difesa del continente europeo è vecchia di almeno 30 anni.
Ed è interessante ricordare che già nel 1987, Trump acquistò un’intera pagina del “New York
Times” per protestare del fatto che paesi ricchi, come Germania, Giappone e Corea del Sud
godessero dell’ombrello di sicurezza degli Stati Uniti senza pagare per esso.
Oggi, gli Stati Uniti contribuiscono per quasi il 70% dei finanziamenti e delle capacità militari della
NATO, mentre gli Stati Membri UE parte della NATO totalizzano solo il 21% dell’impegno militare
NATO, togliendo Canada, Turchia, Norvegia e Regno Unito, che non sono (o con la Brexit non
saranno) parte della UE. Molti presidenti americani hanno sollecitato un maggiore impegno
europeo, ma la questione non era mai stata evocata in questi termini, mettendo in discussione il
principio dell’intervento ex art. 5 del trattato di Washington.
Il presidente Obama aveva varato il piano ERI (European Reassurance Initiative) con lo
schieramento di truppe e aiuti militari alle Repubbliche Baltiche, la Polonia e altri Stati dell’Europa
orientale per 3,4 miliardi di dollari nel 2016. Non è noto quale sarà il destino dell’ERI, che potrebbe
essere ridimensionato o cancellato o utilizzato come merce di scambio.
Oltre a questo, la dichiarazione che in caso di aggressione russa alle Repubbliche Baltiche, si
dovrebbe valutare se “vale la pena” intervenire da parte americana, è potenzialmente pericolosa
perché potrebbe essere considerata come una non ingerenza americana ed una “mano libera” per
i russi in Europa orientale.
In ogni caso, la NATO ha stabilito ormai da qualche anno gli obiettivi del 2% del Pil per il bilancio
difesa e il 20% del bilancio difesa da dedicare agli investimenti in equipaggiamenti militari e relativi
acquisti e R&S.
Probabilmente il presidente eletto Trump insisterà su questo tema, per far incrementare le spese
europee per la difesa, ma potrebbe avere alcune “frecce al suo arco” per imporre maggiori spese
militari agli europei.
La prima potrebbe consistere in legare l’ERI ad un maggiore contributo europeo. La seconda
potrebbe essere di rifiutarsi di contribuire ai nuovi acquisti di assetti comuni NATO, ad esempio per
la sostituzione dei costosi aerei AWACS (Airborne Warning and Control System). Il problema
principale è che senza gli “enablers” americani, le capacità militari europee sono insufficienti.
Come è stato chiaramente dimostrato dall’intervento in Libia nel 2011.
Le aspettative su un incremento generalizzato dei bilanci della difesa negli Stati Uniti ed in Europa
hanno provocato un balzo nelle azioni dell’industria dell’aerospazio e difesa americana ed
europea. Il giorno dopo la notta elettorale, il 9 novembre, Lockheed Martin, Northrop Grumman e
General Dynamics hanno chiuso tra il +5 e +7%, Raytheon +7,45% e Leonardo ha raggiunto il
persino +7,61.
In realtà, la fiducia degli investitori è probabilmente da attribuirsi non tanto all’elezione di Trump,
quanto alla conquista da parte dei repubblicani della maggioranza in entrambe le camere del
Congresso, dato che i repubblicani sono tradizionalmente sostenitori di una forte spesa per la
difesa.
Al contrario, il presidente eletto Trump ha però criticato via Twitter il 6 dicembre i costi
“insostenibili” del nuovo Air Force One di Boeing e il 12 dicembre 2016 il programma F-35 di
Lockheed Martin giudicandolo troppo costoso e annunciando che i fondi saranno dirottati su altri
programmi militari. Questi commenti hanno fatto perdere valore alle azioni delle due aziende
americane. Per cui, l’effetto positivo in borsa per le aziende del settore è troppo volatile e legato a
dichiarazioni puntuali per essere considerato una tendenza consolidata.
In conclusione, gran parte delle affermazione fatte da Trump in campagna elettorale e prima di
entrare in carica, saranno imbrigliate dai “checks and balances” del governo americano e
l’amministrazione Trump sarà probabilmente più moderata di quanto si potrebbe pensare oggi.
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