UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FIRENZE Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali Tesi di Laurea in Fisica di Simone Frosali Misura dell’angolo di Lorentz nei rivelatori a microstrisce del tracciatore di CMS Candidato: Simone Frosali Relatore: Prof. Raffaello D’Alessandro Anno Accademico 2005 - 2006 ai miei genitori a don Giussani “Ma certo, dolce figlia di Eva - disse il fauno più entri nel cuore delle cose e più grandi diventano. L’interno è sempre più grande dell’esterno. Sı̀, come gli strati di una cipolla - confermò Tumnus L’unica differenza è che più entri nel cuore delle cose, più grandi sono gli universi che scopri.” C. S. Lewis, “Le Cronache di Narnia” Indice Introduzione v 1 LHC e l’esperimento CMS 1 1.1 1.2 La fisica a LHC . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 1.1.1 La ricerca del bosone di Higgs . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2 1.1.2 La Supersimmetria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 1.1.3 Fisica dei mesoni B . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6 Il Large Hadron Collider . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 1.2.1 1.3 Fenomenologia delle collisioni a LHC . . . . . . . . . . . . . . 10 Il rivelatore CMS . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12 1.3.1 Il magnete . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14 1.3.2 Il tracciatore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14 1.3.3 Il calorimetro elettromagnetico (ECAL) . . . . . . . . . . . . . 15 1.3.4 Il calorimetro adronico (HCAL) . . . . . . . . . . . . . . . . . 17 1.3.5 Camere per i muoni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18 1.3.6 Trigger e DAQ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19 2 Il tracciatore al silicio di CMS 2.1 23 Geometria del tracciatore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24 2.1.1 Il tracciatore a pixel . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25 2.1.2 Il tracciatore a microstrisce di silicio . . . . . . . . . . . . . . 25 2.2 Il rivelatore a microstrisce . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31 2.3 Elettronica di lettura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34 2.4 2.5 2.3.1 APV-25 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35 2.3.2 Multiplexer (MUX) e Opto-Ibrido Analogico (AOH) . . . . . . 37 2.3.3 Il convertitore analogico-digitale: Front-End Driver (FED) . . 38 Elettronica di controllo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40 2.4.1 Anello di controllo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40 2.4.2 Detector Control Unit (DCU) . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42 Ricostruzione offline . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43 i ii INDICE 2.5.1 Ricostruzione degli hit . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44 3 Rivelatori al silicio in campo magnetico 3.1 3.2 Proprietà del silicio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49 3.1.1 Silicio intrinseco e drogato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 50 3.1.2 La giunzione pn . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51 3.1.3 Moto dei portatori di carica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55 Mobilità dei portatori di carica nel silicio . . . . . . . . . . . . . . . . 57 3.2.1 3.3 3.4 49 Effetti del campo magnetico sulla mobilità . . . . . . . . . . . 59 Rivelatori al silicio a microstrisce . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 61 3.3.1 Principi generali di funzionamento . . . . . . . . . . . . . . . . 62 3.3.2 Effetti del campo magnetico sul segnale . . . . . . . . . . . . . 66 Modello per la stima dell’angolo di Lorentz . . . . . . . . . . . . . . . 68 3.4.1 Descrizione del modello . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 70 3.4.2 Stima dell’angolo di Lorentz . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 73 3.4.3 Stima delle incertezze a priori . . . . . . . . . . . . . . . . . . 77 4 Magnet Test - Cosmic Challenge 4.1 79 Il tracciatore per il MTCC . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 80 4.1.1 Pre-commissioning a B186 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 81 4.1.2 Configurazione a P5 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 82 4.2 Prestazioni dei rivelatori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 84 4.3 Tracciatura con il CosmicTrackFinder 4.4 . . . . . . . . . . . . . . . . . 91 4.3.1 Creazione del Seed . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 92 4.3.2 Pattern recognition . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 93 4.3.3 Fit della traccia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 93 4.3.4 Risultati ottenuti sulle simulazioni . . . . . . . . . . . . . . . 94 Allineamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 95 5 Misura dell’angolo di Lorentz 101 5.1 Principio di misura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 101 5.2 Algoritmo utilizzato per la misura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 104 5.2.1 Informazioni in ingresso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 104 5.2.2 Correzione sull’orientazione dei moduli . . . . . . . . . . . . . 105 5.2.3 Fit della tangente dell’angolo di Lorentz . . . . . . . . . . . . 107 5.3 Misure preliminari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 108 5.4 Misura dell’angolo di Lorentz con soglie 657 . . . . . . . . . . . . . . 116 5.5 Confronto con il modello e risultato finale . . . . . . . . . . . . . . . 119 INDICE iii Conclusioni 125 Bibliografia I Introduzione Il Large Hadron Collider (LHC), il collisionatore adronico circolare che sta sorgendo al CERN (Centro Europeo per la Ricerca Nucleare) di Ginevra e la cui data di inizio attività è prevista per Novembre 2007, sarà in grado di esplorare le interazioni fondamentali della materia ad energie mai raggiunte prima, attraverso collisioni di due fasci di protoni con una energia a centro di massa di 14 TeV. Il mio lavoro di tesi si è sviluppato nell’ambito di uno dei quattro esperimenti che verranno installati presso LHC, e cioè il Compact Muon Solenoid (CMS). Il gruppo di ricerca con il quale ho lavorato si occupa in particolare del sistema tracciante che si troverà ad operare all’interno del magnete di CMS, in presenza di un campo magnetico pari a 4 T. Si tratta di un apparato estremamente sofisticato, che sarà in grado di ricostruire con precisione i punti di passaggio delle particelle cariche prodotte nelle interazioni. Esso è costituito da rivelatori al silicio realizzati con la tecnologia dei pixel e delle microstrisce, per una superficie totale di rivelatori pari a 198 m2 , ben al di là dei tracciatori mai realizzati fino ad oggi con questo tipo di tecnologia. Lo scopo di questo lavoro di tesi è stato quello di misurare l’angolo di deviazione nel moto di deriva dei portatori di carica all’interno dei rivelatori a microstrisce del tracciatore di CMS, dovuto alla presenza di un campo magnetico. Tale angolo, detto angolo di Lorentz, si traduce in uno spostamento nelle coordinate misurate dai rivelatori dei punti di passaggio delle particelle, che, se non adeguatamente corretto, provoca un’erronea ricostruzione delle tracce. La misura dell’angolo di Lorentz dei portatori di carica è quindi di fondamentale importanza per correggere adeguatamente questo effetto e per poter eseguire in definitiva una corretta ricostruzione delle tracce. Ho eseguito la misura utilizzando le tracce ricostruite di raggi cosmici acquisiti con una sottoparte del tracciatore a microstrisce (comprendente 133 rivelatori) posta in un campo magnetico di 3.8 T. Questi dati sono stati raccolti nell’ambito del “Magnet Test - Cosmic Challenge” (MTCC), che si è svolto a Ginevra nei mesi di Luglio - Agosto 2006 e a cui ho partecipato personalmente con turni di presa dati. La tesi è articolata in cinque capitoli. vi INTRODUZIONE Nel Capitolo 1 descriverò l’esperimento CMS nel suo insieme, accennando ai vari rivelatori che lo compongono, alla loro funzione e alle loro prestazioni. Accennerò inoltre ai principali obbiettivi di ricerca che si prefigge l’esperimento. Nel Capitolo 2 parlerò in maniera più approfondita del sistema di tracciatura, e in particolare delle componenti che ospitano i rivelatori a microstrisce, descrivendone la geometria, il funzionamento e le caratteristiche dei rivelatori, l’elettronica di lettura e di controllo. Introdurrò inoltre gli algoritmi utilizzati per la ricostruzione dei punti di passaggio delle particelle. Nel Capitolo 3 descriverò i principi di funzionamento dei rivelatori al silicio, con particolare attenzione agli effetti prodotti dal campo magnetico sul moto dei portatori di carica. Descriverò inoltre un modello dell’angolo di Lorentz da me formulato, attraverso il quale è stato possibile ricavare una stima dell’angolo di Lorentz atteso per i rivelatori da noi utilizzati. Nel Capitolo 4 parlerò del MTCC, mostrando in particolare il sistema di trigger utilizzato e alcune misure che evidenziano le prestazioni dei rivelatori presenti al test. Descriverò inoltre gli algoritmi di tracciatura e allineamento da me utilizzati per la misura e mostrerò alcuni risultati ottenuti sia sui dati che sulle simulazioni. Nel Capitolo 5 descriverò infine l’algoritmo da me sviluppato per la misura dell’angolo di Lorentz e i risultati della misura ottenuti con i dati del MTCC. Confronterò inoltre tali risultati con il valore dell’angolo di Lorentz previsto dal mio modello. Capitolo 1 LHC e l’esperimento CMS La fisica subnucleare si rivolge oggi alla ricerca di particelle prodotte con sezioni d’urto tipicamente del femtobarn1 . Con la tecnologia attualmente disponibile è possibile realizzare collisionatori adronici a fasci incrociati molto intensi in grado di esplorare lo spettro di energie a cui avvengono questi processi. Inoltre nei collisionatori adronici, a differenza di quelli leptonici, dato che le interazioni non avvengono a livello degli adroni ma dei loro costituenti, l’energia del centro di massa non è univocamente determinata dalle energie dei fasci; questo fatto permette di esplorare uno spettro più ampio di energie. In altre parole un collisionatore adronico è quindi una macchina fatta per scoprire nuove particelle. Per queste ragioni sta sorgendo al CERN di Ginevra il Large Hadron Collider (LHC) [1], che risulterà il più potente collisionatore protone-protone mai realizzato e che inizierà la sua attività nel 2007. In questo capitolo descriverò alcuni dei principali aspetti della fisica che sarà osservabile ad LHC, e fornirò inoltre una descrizione generale di uno dei quattro esperimenti che verranno montati a LHC, il Compact Muon Solenoid (CMS) [2], presso il quale si è svolto il mio lavoro di tesi. Per tutto il capitolo utilizzerò il sistema di coordinate naturali, con c = 1 e ~ = 1. 1.1 La fisica a LHC In questo paragrafo descriverò alcuni dei principali aspetti della fisica che sarà oggetto di studio a LHC, e in particolare a CMS. Innanzitutto parlerò della ricerca del bosone di Higgs, una particella la cui esistenza è predetta dal Modello Standard (MS) e attraverso la quale si riesce a dotare di massa i bosoni vettoriali mediatori dell’interazione debole, nonché i campi dei leptoni e dei quark, tramite il cosiddetto 1 1 barn = 10−28 m2 . 2 CAPITOLO 1. LHC E L’ESPERIMENTO CMS “meccanismo di Higgs”. Altri aspetti della fisica oggetto d’indagine ad LHC a cui accennerò sono la Supersimmetria e la fisica dei mesoni B. 1.1.1 La ricerca del bosone di Higgs Il principale obbiettivo di CMS, è la ricerca del bosone di Higgs, H0 [3]. La teoria non è in grado di prevedere la massa di questa particella, ma riesce a prevederne i meccanismi di produzione, i canali di decadimento e i relativi branching ratio in funzione della massa. I più importanti meccanismi previsti per la produzione di H0 sono quelli riassunti in fig.1.1. In fig.1.2 sono riportate le sezioni d’urto per i processi di produzione dell’Higgs. Figura 1.1: Meccanismi di produzione del bosone di Higgs: (a) fusione di due gluoni, (b) fusione di due W± o due Z0 , (c) fusione tra t e t̄, (d) bremsstrahlung di W± o Z0 . I dati raccolti al Large Electron Positron collider (LEP) fino al 2000 hanno permesso di stabilire un limite inferiore di 114 GeV per la massa di H0 . LHC sarà in grado di esplorare l’intervallo di massa compreso tra i 114 GeV ed il limite superiore di 1 TeV, imposto da argomenti di autoconsistenza della teoria. In fig.1.3 sono riportati i branching ratio di decadimento per il bosone di Higgs nel Modello Standard in funzione della sua massa. Nell’intervallo di massa tra 114 GeV e 140 GeV i canali più interessanti sono: H → γγ 0 1.1. LA FISICA A LHC 3 H → bb̄ 0 Il primo canale ha un branching ratio molto piccolo (BR ∼ 10−3 ), mentre l’altro ha un branching ratio pari all’80%, ma ha il difetto di essere molto inquinato da eventi di fondo. Nel caso in cui la massa della particella di Higgs sia compresa tra 140 e 180 GeV due possibili canali sono: H →Z Z H →W W 0 0 0∗ 0 ± ∓∗ dove l’asterisco indica particelle virtuali. I branching ratio di questi decadimenti sono Figura 1.2: Sezioni d’urto per processi di produzione diretta o associata del bosone di Higgs. Figura 1.3: Branching ratio di decadimento del bosone di Higgs nel Modello Standard in funzione della massa. I decadimenti in coppie fermione-antifermione sono rappresentati da linee continue, quelli in coppie di bosoni di gauge da linee tratteggiate. 4 CAPITOLO 1. LHC E L’ESPERIMENTO CMS bassi, ma crescono via via che ci si avvicina all’energia di soglia per la produzione di particelle reali. Tra 180 e 600 GeV il canale più importante è il decadimento in due Z0 e il loro successivo decadimento in 4 leptoni. Sopra i 600 GeV il canale preferenziale è il decadimento in 2 leptoni con produzione di 2 jet adronici2 . 1.1.2 La Supersimmetria La Supersimmetria [4] (o SUSY, SUper SYmmetry) costituisce oggi il principale candidato per una teoria unificata oltre il Modello Standard. Nelle teorie supersimmetriche ad ogni particella del MS corrisponde un’altra particella con gli stessi numeri quantici, eccetto lo spin che differisce di 1/2; per ogni fermione esiste quindi un nuovo bosone e viceversa. Queste nuove particelle sono dette supersimmetriche. Anche il settore di Higgs, cioè la parte di lagrangiana contenente i termini di interazione con i bosoni di Higgs, è esteso nella SUSY. Gli argomenti principali a sostegno dell’estensione supersimmetrica del MS sono: Soluzione del Gauge hierarchy problem. Al fine di contenere sotto 1 TeV la massa del bosone di Higgs si devono suppore, nell’ambito del MS, cancellazioni “accidentali” di contributi alle correzioni radiative con termini di massa molto elevati. La Supersimmetria fornirebbe invece una spiegazione naturale del contenimento della massa dell’Higgs. Unificazione delle costanti di accoppiamento di gauge. Secondo l’i- potesi di Grande Unificazione tutte le interazioni note sono derivate da una singola interazione associata ad un solo gruppo di gauge che include il gruppo del MS come un sottogruppo. Mentre nel MS l’unificazione delle costanti di accoppiamento di gauge, al crescere della scala di energia, è impossibile, in un modello supersimmetrico è possibile ottenere una perfetta unificazione. Materia Oscura. La materia visibile (o luminosa) non è la sola materia presente nell’Universo. Una grande quantità della materia presente è in realtà costituita dalla cosiddetta Materia Oscura. Evidenze dirette dell’esistenza della Materia Oscura sono, ad esempio, le curve di rotazione delle galassie a spirale. Per spiegare tali curve è necessario assumere l’esistenza di un alone galattico formato da materia non luminosa che prende parte all’interazione gravitazionale, e che tale materia superi in quantità la materia barionica di 2 I jet adronici sono sciami molto collimati di adroni, che si generano a partire dai quark e dai gluoni prodotti nelle collisioni ad alta energia. 5 1.1. LA FISICA A LHC (a) (b) Figura 1.4: Simulazioni degli eventi previsti a CMS in qualche mese di presa dati per: (a) distribuzione della massa invariante del b̃; in grigio chiaro il fondo. (b) distribuzione della massa invariante del gluino g̃; in nero il fondo [5]. ordini di grandezza. La Supersimmetria fornisce un eccellente candidato a questo scopo, il neutralino. Esistono due modelli che descrivono il panorama delle possibili particelle supersimmetriche: il primo considera stabile la particella supersimmetrica più leggera (LSP, Lightest Supersymmetric Particle), cioè il neutralino χ01 , mentre il secondo prevede la possibilità di un suo decadimento. Se fosse vera la prima ipotesi la LSP, che è neutra, interagirebbe solo debolmente e non sarebbe dunque rivelabile direttamente, ma solo tramite misure di energia trasversa mancante3 . Se invece fosse valida la seconda ipotesi ci si aspetterebbe di rivelare jet e leptoni ad altissimo impulso trasverso come risultato finale della catena di decadimento. A titolo di esempio riporto alcuni risultati delle simulazioni del possibile segnale proveniente dalla catena di decadimento di un gluino, il partner supersimmetrico del gluone. È prevista la seguente catena (nell’ipotesi di stabilità della LSP) [5]: g̃ → b̃b, b̃ → χ02 b, χ02 → ˜l± l∓ → χ01 l+ l− dove g̃ è il gluino, b e b̃ sono rispettivamente il quark b e il suo partner supersimmetrico, χ0 e χ0 sono i neutralini, l sono leptoni e ˜l i super-leptoni. In fig.1.4 sono 2 1 riportate le distribuzioni simulate della massa invariante delle coppie χ̃02 b e di χ̃02 bb. 3 Per “mancante” si intende la parte di energia lungo la componente trasversa che per vari motivi non è stata ricostruita. Nel MS è principalmente dovuta ai neutrini, che non interagiscono con alcun rivelatore. 6 CAPITOLO 1. LHC E L’ESPERIMENTO CMS Il picco nella prima distribuzione corrisponde alla massa del b̃, mentre quello nella seconda rappresenta la massa del gluino g̃, ricostruite grazie ad una accurata misura di energia mancante (χ01 ), ad un’ottima ricostruzione dei leptoni (l+ , l− ) e infine ad una buona capacità d’identificazione dei quark b. Come vedremo nel seguito, CMS, grazie alla notevole risoluzione energetica ed alla ermeticità del suo sistema calorimetrico, accoppiato ad un sistema tracciante di altissime prestazioni, si propone come un rivelatore ideale per la scoperta di particelle supersimmetriche. 1.1.3 Fisica dei mesoni B Un altro importante aspetto della ricerca che verrà svolta presso gli esperimenti di LHC è lo studio della fisica dei mesoni B [3], con particolare attenzione al problema della violazione della simmetria CP. Dal punto di vista delle interazioni forti i due autostati dei mesoni B neutri sono B0q = (b̄q) e B̄0q = (bq̄), dove q = d, s. Questi due stati possono trasformarsi l’uno nell’altro tramite diagrammi elettrodeboli del secondo ordine (fig.1.5), secondo un fenomeno chiamato mixing. Gli stati fisici che si osservano sono quindi una combinazione lineare di B0q e B̄0q . Il fenomeno della violazione di CP si può presentare secondo tre diverse modalità: se gli stati fisici non sono autostati di CP si parla di violazione di CP nel mixing. Questo effetto può essere evidenziato studiando le transizioni B0 → f in cui lo stato finale f non può essere raggiunto direttamente dallo stato iniziale B0 , mentre è consentito il decadimento B̄0 → f : in questo caso per osservare la transizione è necessario che si verifichi l’oscillazione B0 → B̄0 . si definisce invece violazione diretta di CP il fenomeno per cui, considerato un certo stato finale f , si ottengono valori differenti per le ampiezze di decadimento di B → f e del suo CP-coniugato B̄ → f¯. si parla di violazione di CP nell’interferenza tra decadimento con e senza mi- xing quando lo stato finale è comune a B0q e B̄0q : in questo caso si può generare Figura 1.5: Diagrammi che descrivono il mixing tra B0q e B̄0q . 1.2. IL LARGE HADRON COLLIDER 7 interferenza tra il processo di decadimento senza mixing B0q → f e quello B0q → B̄0q → f in cui si è verificata un’oscillazione. Lo studio verrà condotto tramite la misura dell’asimmetria nel decadimento dei mesoni B0 e B̄0 in autostati di CP, definendo tale asimmetria come: A= Γ(B0 → f ) − Γ(B̄0 → f¯) Γ(B0 → f ) + Γ(B̄0 → f¯) I decadimenti che verrano studiati in particolare a CMS sono: B0 → J/ψ K0s B0 → J/ψ φ B0 → π + π − 1.2 Il Large Hadron Collider LHC [1] è attualmente in costruzione all’interno del tunnel che ha ospitato il collisionatore LEP fino al 2000, ad una profondità di circa 100 m, al confine tra Francia e Svizzera (fig.1.6). Si tratta di un collisionatore a fasci incrociati che sarà in grado di raggiungere un’energia nel centro di massa pari a 14 TeV per collisioni protone-protone. Sono previsti quattro punti di interazione per i due fasci, in corrispondenza dei quali verranno montati quattro esperimenti: ALICE (A Large Ion Collider Experiment) [6], LHCb (LHC beauty experiment) [7], ATLAS (A Toroidal LHC ApparatuS ) [8] e CMS (Compact Muon Solenoid ) [2]. La relazione approssimata che lega l’impulso delle particelle p, al raggio dell’orbita r, e all’intensità del campo magnetico B è [9]: p[GeV/c] = 0.3 · Z · B[T] · r[m] (1.1) dove Z · e è la carica della particella, con e carica dell’elettrone. Avendo LHC un raggio di 4.3 Km, è necessario un campo magnetico di 5.4 T per mantenere in orbita particelle con impulso di 7 TeV. Per raggiungere queste energie sono necessari più stadi di accelerazione (fig.1.7). Nel primo stadio i protoni verranno portati fino a 50 MeV da un acceleratore lineare detto LINAC. Successivamente due fasci estratti dal LINAC raggiungeranno i 25 GeV all’interno del proto-sincrotone (PS), dopodiché entreranno nel super proto-sincrotone (SPS) dove verranno accelerati fino a 450 GeV e quindi immessi in LHC. Le cavità a radiofrequenza di LHC forniranno ai due fasci un’energia di circa 450 keV per ogni giro, permettendo quindi il raggiungimento dell’energia nominale in circa 20 minuti. Da questo momento in poi le cavità a 8 CAPITOLO 1. LHC E L’ESPERIMENTO CMS Figura 1.6: Il complesso sotterraneo di LHC e i siti degli esperimenti. radiofrequenza serviranno a fornire l’energia persa per radiazione di sincrotone, cioè circa 7 keV per giro. I fasci scorreranno paralleli entro due cavità all’interno delle quali sarà mantenuto un vuoto molto spinto (10−9 ÷ 10−10 torr). LHC si comporrà di sezioni curvilinee e sezioni lineari, la cui produzione è ormai in fase di completamento. Le sezioni curvilinee sono equipaggiate con un sistema di deflessione e collimazione dei fasci costituito da 1232 dipoli magnetici (fig.1.8), 386 quadrupoli, 360 sestupoli, 336 ottupoli. Si tratta di magneti superconduttori che, grazie ad un sistema di raffreddamento ad elio liquido, operano ad una temperatura di 1.9 K e sono in grado di generare campi magnetici che raggiungono, nel caso dei dipoli, gli 8.33 T [1]. Le sezioni lineari invece ospitano le cavità superconduttrici a radiofrequenza che operano a 400 MHz. Oltre ai protoni verranno accelerati ad LHC, in una seconda fase, anche ioni di piombo, ad un’energia di 2.76 TeV per nucleone. Dal momento che le sezioni d’urto dei processi che si vogliono studiare sono estremamente basse è necessario che l’acceleratore sia in grado di raggiungere una elevata luminosità. Per un processo con sezione d’urto σ la luminosità L è definita come [9]: n = σL (1.2) dove n è il numero di particelle prodotte al secondo. Nel caso di collisionatori con fasci simmetrici la luminosità può essere espressa in forma approssimata come [9]: L=f n1 n2 4πσx σy (1.3) 1.2. IL LARGE HADRON COLLIDER 9 Figura 1.7: Il sistema di accelerazione. Figura 1.8: Schema dei dipoli da 15 m utilizzati ad LHC. dove n1 e n2 rappresentano il numero di particelle contenute nei due pacchetti che collidono alla frequenza f , mentre σx e σy rappresentano le dimensioni trasverse dei fasci. La luminosità si determina sperimentalmente utilizzando la relazione (1.2) su un processo di sezione d’urto nota. Si definisce inoltre la luminosità integrata come: Z N = σLdt = σL (1.4) dove l’integrale è calcolato sul tempo di attività della macchina. La luminosità 10 CAPITOLO 1. LHC E L’ESPERIMENTO CMS Processo Eventi/s Eventi/anno W → eν 40 4 · 108 tt̄ 1.6 bb̄ 106 g̃g̃ (m = 1 TeV) 0.002 Higgs (m = 120 GeV) 0.08 Higgs (m = 800 GeV) 0.001 QCD jet pT > 200 GeV 102 Z → ee 4 4 · 107 1.6 · 107 1013 2 · 104 8 · 105 104 109 Tabella 1.1: Numero approssimativo di eventi per unità di tempo di alcuni processi fisici a LHC, per una luminosità di L ≃ 2 × 1033 cm−2 s−1 . In questa tabella un anno è equivalente a 20 fb−1 . integrata si esprime in barn inversi4 (b−1 ). Per LHC è prevista una prima fase di circa tre anni di bassa luminosità, con L ≃ 2 × 1033 cm−2 s−1 , seguita da un graduale aumento fino al valore nominale di L ≃ 1034 cm−2 s−1 . La luminosità integrata prevista è 20 fb−1 per anno nei primi tre anni per un totale di 60 fb−1 raccolti. La seconda fase durerà almeno cinque anni per un totale di 500 fb−1 raccolti. In Tab.1.1 è riportato il numero di eventi previsti nella prima fase di LHC per alcuni dei processi fisici di interesse. Per ottenere questi valori di luminosità i due fasci dovranno contenere 2808 pacchetti, ciascuno composto da circa 1.5 × 1011 protoni, che collideranno ogni 25 ns, ovvero alla frequenza di 40 MHz [1]. Per le collisioni Pb-Pb è prevista una luminosità di 1027 cm−2 s−1 . È possibile raggiungere valori cosı̀ elevati di luminosità grazie ad un efficiente sistema di collimazione in grado di garantire una dimensione dei fasci nel piano perpendicolare alla direzione di moto dell’ordine di 15 µm [1]. L’incertezza nella posizione del punto di impatto tra i due fasci sarà invece di 7.5 cm attorno alla posizione nominale. 1.2.1 Fenomenologia delle collisioni a LHC A differenza dei leptoni i protoni non sono particelle elementari. Sono infatti costituiti da partoni: tre quark di valenza (uud ) immersi in un mare di gluoni e quark 4 Esprimendo la luminosità integrata in barn−1 si ha che il numero di eventi attesi, durante il periodo di attività della macchina, per un certo processo caratterizzato da una sezione d’urto σ espressa in barn, è dato semplicemente da L · σ. 1.2. IL LARGE HADRON COLLIDER 11 Figura 1.9: Sezioni d’urto per interazioni protone-protone in funzione dell’energia nel sistema di riferimento del centro di massa [10]. generati dal decadimento in coppie quark-antiquark dei gluoni prodotti per radiazione dai quark di valenza. Le collisioni fra protoni ad alta energia avvengono a livello dei partoni. Le reazioni anelastiche che si possono verificare sono raggruppabili in due categorie: Interazioni con basso impulso trasferito, caratterizzate da valori di impulso trasverso attorno ai 500 MeV e da un piccolo angolo di scattering attorno alla direzione dei fasci. Si tratta di processi poco interessanti, che rappresentano però la maggior parte delle interazioni. Questo tipo di eventi viene detto di Minimum Bias. Collisioni frontali (head on) tra partoni, caratterizzate da alto impulso trasverso e dalla possibilità di produrre particelle pesanti, quali W± e Z0 . Si tratta di eventi molto più rari, ad esempio la sezione d’urto per la produzione di W± a 14 TeV è 140 nb [11], da confrontare con la sezione d’urto totale per interapp zioni anelastiche σinelastic = 55 mb. In fig.1.9 sono riportate le sezioni d’urto √ dei processi di interesse in funzione dell’energia nel centro di massa ( s). Considerando la sezione d’urto totale per interazioni anelastiche protone-protone pp σinelastic e utilizzando la (1.2) si ottiene, in condizioni di alta luminosità, un numero 12 CAPITOLO 1. LHC E L’ESPERIMENTO CMS di eventi per unità di tempo pari a R = 5.5 × 108 eventi/s. Il numero di interazioni anelastiche Nint per ogni incrocio dei fasci (detto bunch crossing) è dato da: Nint = R f (1 − e) (1.5) dove f è la frequenza di incrocio dei fasci ed e = 20% è la frazione di bunch crossing vuoti per motivi legati al ciclo di funzionamento della macchina. Dalla (1.5) si ottiene, sempre in condizioni di alta luminosità, un numero medio di interazioni anelastiche per bunch crossing pari a 17.2. L’ambiente nel quale gli esperimenti si troveranno ad operare sarà quindi molto denso di eventi di Minimum Bias, motivo per cui sono richieste un’elevata risoluzione spaziale, per distinguere tra di loro le particelle prodotte in uno stesso incrocio dei fasci, e un’elevata risoluzione temporale, tale da permettere l’individuazione del bunch crossing nel quale è avvenuto l’evento di interesse. Sarà inoltre necessario un sistema di trigger in grado di ridurre notevolmente il numero di eventi per unità di tempo di cui memorizzare i dati, scartando tutti quelli in cui sono presenti esclusivamente processi fisicamente non interessanti. 1.3 Il rivelatore CMS Il Compact Muon Solenoid è un rivelatore che si propone di esplorare le interazioni fondamentali della materia alle energie permesse da LHC. Il progetto è stato ottimizzato per consentire in particolare la ricerca del bosone di Higgs, la ricerca di particelle supersimmetriche e lo studio della violazione di CP nei mesoni B0 . La struttura di CMS è quella tipica degli esperimenti che vengono effettuati presso i collisionatori: è costituito da rivelatori disposti in vari strati cilindrici, detti barrel, coassiali rispetto alla direzione del fascio, e da dischi, detti endcap, che chiudono i cilindri al fine di garantire la copertura più completa possibile di tutto l’angolo solido. La principale caratteristica di CMS è il magnete superconduttore solenoidale, in grado di generare un campo magnetico di 4 T, utilizzato per la misura di precisione dell’impulso trasverso delle particelle cariche prodotte nelle interazioni. In fig.1.10 è riportato uno schema del rivelatore, che avrà una lunghezza totale di 21.6 m, un diametro di 15 m e un peso totale di 12500 t. Il sistema di riferimento di CMS è costituito da una terna destrorsa con l’asse x che punta verso il centro di LHC, l’asse y diretto verso l’alto e l’asse z diretto secondo l’asse del rivelatore. Il sistema di coordinate usato nella pratica è però quello dato dalla terna (r, φ, η), 13 1.3. IL RIVELATORE CMS Figura 1.10: Schema dell’esperimento Compact Muon Solenoid. dove r rappresenta la distanza dall’asse del rivelatore, φ la coordinata azimutale e η la pseudorapidità, definita come θ η = − ln tan 2 (1.6) dove θ è l’angolo che una particella proveniente dal centro di interazione forma con il fascio. La pseudorapidità è circa uguale alla rapidità5 per p ≫ m, dove p e m sono l’impulso e la massa della particella (espresse in coordinate naturali), ed è pertanto, sotto queste condizioni, un’invariante di Lorentz. Detto N il numero di particelle rivelate in una certa direzione si ha quindi che dN/dη è invariante, mentre dN/dθ dipende dal sistema di riferimento, che è diverso fra laboratorio e centro di massa (il sistema di riferimento del centro di massa non è univocamente determinato in un collisionatore adronico dato che, come già detto, le interazioni avvengono a livello dei costituenti degli adroni). Per questo motivo si utilizza come terza coordinata la pseudorapidità al posto di θ. In questo sistema di coordinate il piano perpendicolare alla direzione del fascio è detto “piano rϕ”. Le componenti di CMS possono essere individuate nel modo seguente: Tracciatore al silicio. Occupa la regione r < 1.2 m e |η| < 2.5, ed è costituito da rivelatori a pixel e a microstrisce di silicio. È l’elemento chiave per la ricostruzione delle tracce delle particelle prodotte nelle interazioni. 5 La rapidità è definita come y = 1 2 ln E+pz E−pz , dove E e pz sono rispettivamente l’energia e la componente z dell’impulso della particella. La rapidità è un’invariante di Lorentz. 14 CAPITOLO 1. LHC E L’ESPERIMENTO CMS Calorimetro elettromagnetico (ECAL). Occupa la regione 1.2 m < r < 1.8 m e |η| < 3. È utilizzato per la misura di energia di fotoni ed elettroni. Utilizza cristalli scintillanti di tungstato di piombo (PbWO4 ). Calorimetro adronico (HCAL). È alloggiato nella regione 1.8 m < r < 2.9 m e |η| < 5. Serve per la ricostruzione dei jet adronici e per le misure di energia trasversa. È costituito da scintillatori plastici alternati a lastre di ottone. Magnete superconduttore. Il solenoide, con il suo criostato, occupa la regione 2.9 m < r < 3.8 m ed è lungo 12.5 m. Genera il campo magnetico necessario per deflettere le particelle. Dalla misura della curvatura delle tracce è possibile risalire al loro impulso. Camere per i muoni. Occupano la regione 4 m < r < 7.4 m e |η| < 2.4, e sono alloggiate all’interno del ferro di ritorno del magnete. Sono camere a fili di vario tipo dedicate alla ricostruzione delle tracce dei muoni. 1.3.1 Il magnete Si tratta di un magnete solenoidale superconduttore, lungo 13 m e con un diametro di 5.9 m [12]. L’avvolgimento è costituito da cavi in materiale superconduttore Niobio-Titanio (NbTi) che portano la corrente, avvolti da un rivestimento in Al ad elevata purezza con la funzione di stabilizzatore e da un ulteriore rinforzo esterno in lega di Al. La corrente che scorre nella sezione centrale superconduttrice, mantenuta ad una temperatura di 4 K da un sistema di raffreddamento ad elio liquido, ha un valore nominale di 20000 A, a cui corrisponde un campo magnetico all’interno del solenoide pari a 4 T. Le linee di forza del campo magnetico vengono richiuse da un giogo di ritorno in ferro che si estende per uno spessore di 1.8 m. All’interno del giogo sono ospitate le camere per i muoni. 1.3.2 Il tracciatore Il tracciatore al silicio [13, 14] è dedicato alla ricostruzione delle tracce delle particelle cariche prodotte nelle interazioni ed è in grado di misurare fino a 14 punti per ogni traccia. Misurando la curvatura delle tracce dovuta al campo magnetico si riesce a ricostruire l’impulso trasverso pT delle particelle. È costituito da un rivelatore di vertice centrale realizzato con la tecnologia dei pixel, contenuto all’interno di diversi strati di rivelatori a microstrisce di silicio. Le principali caratteristiche che il sistema tracciante di CMS deve soddisfare sono: 15 1.3. IL RIVELATORE CMS Figura 1.11: Efficienza di ricostruzione delle tracce e risoluzione nella determinazione di pT del tracciatore di CMS, ottenute per eventi simulati di muoni con impulso trasverso di 1 GeV (nero), 10 GeV (blu) e 100 GeV (rosso). Elevata efficienza di ricostruzione delle tracce. Ci si aspetta un’efficienza nella regione |η| < 2.0 superiore al 95%, per tracce con pT > 1 GeV (fig.1.11). Buona risoluzione nella misura dell’impulso trasverso. Come mostrato in fig.1.11 per tracce simulate di muoni, ci si aspetta una risoluzione σ(pT ) pT su- periore al 2% per tracce con basso pT (compreso fra 1 e 10 GeV) in tutta la regione del tracciatore; per tracce con alto pT la risoluzione è intorno al 2% nella regione centrale (|η| < 1.4) e intorno all’8% nelle regioni a più alta pseudorapidità. Buona risoluzione nella ricostruzione dei vertici dei jet provenienti da coppie bb̄, tipici di molti eventi di interesse per nuova fisica. Basso ingombro del materiale di costruzione in termini di lunghezza di radia- zione6 X0 e di lunghezza di interazione nucleare7 λ0 , che altrimenti limiterebbe le capacità di tracciatura e peggiorerebbe le misure di energia del calorimetro elettromagnetico. Un descrizione dettagliata del tracciatore verrà fornita nel Capitolo 2. 1.3.3 Il calorimetro elettromagnetico (ECAL) Il principale obbiettivo del calorimetro elettromagnetico [15] è la rivelazione dei prodotti di decadimento del bosone di Higgs in due fotoni (H0 → γγ). Data la 6 La lunghezza di radiazione X0 è definita come la distanza percorsa all’interno di un materiale da un elettrone ad alto impulso oltre la quale la sua energia è ridotta di un fattore 1/e. 7 La lunghezza di interazione nucleare λ0 è il libero cammino medio per interazione nucleare di un adrone in un materiale. 16 CAPITOLO 1. LHC E L’ESPERIMENTO CMS Figura 1.12: Distribuzione simulata di massa invariante attesa per una coppia di γ. In rosso il segnale atteso dal canale H0 → γγ [15]. larghezza naturale di decadimento pari a soli 100 MeV, la distribuzione di massa invariante γγ sarà dominata dagli effetti sperimentali di risoluzione reale (fig.1.12). Affinché sia possibile evidenziare la presenza del segnale al di sopra del fondo è quindi necessario che il calorimetro abbia una risoluzione energetica molto elevata (≃ 1%). ECAL è costituito da cristalli di tungstato di piombo (PbWO4 ), caratterizzati da un raggio di Molière8 di 21.9 mm e da una lunghezza di radiazione X0 di 8.9 mm. Sono presenti 61200 cristalli nella parte barrel e 21528 nella parte endcap, raggruppati in 36 settori detti Super Moduli. Il processo di scintillazione di questo materiale ha un tempo di decadimento molto breve (τ ≃ 10 ns), il che permette di raccogliere circa l’85% della luce emessa nel tempo che intercorre fra due bunch crossing. In fig.1.13 è riportata una sezione longitudinale di ECAL, nella quale si può vedere come esso sia costituito da una parte cilindrica (Barrel ECAL) che occupa la regione definita da |η| < 1.48, alle cui estremità sono alloggiati due dischi (Endcap ECAL), che coprono la regione 1.48 < |η| < 3. I dischi sono preceduti da un pre- sciamatore (preshower ) costituito da due radiatori di Pb alternati a due piani di rivelatori a microstrisce di silicio. Il preshower è necessario nella parte endcap per ottenere un’elevata capacità di rigetto per gli eventi π 0 → γγ, in quanto i fotoni provenienti dal decadimento dei π 0 di alta energia sono molto collimati. Il preshower permette di distinguere i due fotoni anche in questo caso, evitando di ricostruirli 8 Il raggio di Molière è una misura della dimensione trasversale dello sciame elettromagnetico in un calorimetro. 17 1.3. IL RIVELATORE CMS Figura 1.13: Sezione longitudinale di un quadrante di ECAL. come se fossero uno solo. Sempre per questo motivo i cristalli hanno un’elevata granularità in η e φ, pari a ∆η × ∆φ = 0.0175 × 0.0175. Nell’intervallo di energia 25 GeV < E < 500 GeV la risoluzione energetica di ECAL può essere espressa come: σ 2 E E = a p E[GeV] !2 + σN E[GeV] 2 + C2 (1.7) dove il primo termine è riferito alle fluttuazioni statistiche del contenuto dello sciame, il secondo è dovuto al rumore elettrico e il terzo è una costante che tiene conto della disomogeneità dei cristalli. 1.3.4 Il calorimetro adronico (HCAL) Il calorimetro adronico [16], unitamente a quello elettromagnetico, ha lo scopo di misurare l’energia e la direzione dei jet adronici, e di fornire il trigger per l’esperimento (assieme alle camere per i muoni). HCAL è un calorimetro a campionamento, realizzato alternando strati di scintillatori plastici dello spessore di 3.7 mm a strati di assorbitore in ottone spessi 5 cm. La granularità degli strati attivi è ∆η ×∆φ = 0.087×0.087, sufficiente per permette- re un’efficace separazione dei jet. HCAL è costituito da una regione centrale (Barrel ) per |η| < 1.4 e da due componenti (Endcap), poste alle due estremità del barrel, che coprono la regione 1.4 < |η| < 3 (fig.1.14). Lo spessore è di 8.9 lunghezze di interazione nucleare λ0 nel barrel e di 10 λ0 nelle endcap. Poiché le dimensioni radiali del barrel, essendo limitate dalla presenza del magnete, non sarebbero sufficienti a contenere completamente gli sciami prodotti dagli adroni altamente energetici, all’esterno del magnete sono alloggiati ulteriori strati di materiale scintillante detti tail catcher. Inoltre per coprire la regione di pseudorapidità 3 < |η| < 5 verrà installato 18 CAPITOLO 1. LHC E L’ESPERIMENTO CMS Figura 1.14: Sezione longitudinale di un quarto di HCAL. È indicata la scala di pseudorapidità. un ulteriore calorimetro, chiamato HF (Hadron calorimeter Forward ), attorno alle posizioni z = ±11 m. La risoluzione energetica prevista per i jet adronici, combinata con quella di ECAL, è: σE 100% =p ⊕ 4.5% E E[GeV] 1.3.5 (1.8) Camere per i muoni Le camere per i muoni [17] sono posizionate all’esterno del magnete, alloggiate nelle intercapedini dei cilindri di ferro che fanno da giogo di ritorno per le linee di forza del campo magnetico. Il valore medio del campo magnetico nel quale sono immerse è circa 1.8 T. Il loro ruolo fondamentale è quello di identificare i muoni e di fornire il segnale di trigger all’esperimento: molti degli eventi di fisica interessanti sono infatti caratterizzati dalla produzione di muoni con alto impulso trasverso, che questi rivelatori, insieme ai dati del tracciatore, riescono a ricostruire. In fig.1.15 è mostrata la disposizione spaziale delle camere. La regione del barrel è equipaggiata con camere a deriva (Drift Tubes), col filo anodico diretto come il fascio, per la misura della coordinata rφ (ad eccezione di due strati che hanno i fili ortogonali alla direzione del fascio per la misura della coordinata z). Le camere sono disposte in file sfalsate per eliminare le ambiguità destra-sinistra nella ricostruzione delle tracce. La regione dell’endcap è equipaggiata con camere a strisce catodiche (Catode Strip Chamber ), mentre per |η| < 2.1 sia il barrel che le endcap sono fornite anche di camere a piastre resistive (Resistive Plate Chamber ), che hanno una risoluzione spaziale peggiore, ma un’eccellente risoluzione temporale (3 ns), motivo per cui sono principalmente usate per l’identificazione del bunch crossing e per il trigger. 1.3. IL RIVELATORE CMS 19 Figura 1.15: Sezione longitudinale di un quarto delle camere per i muoni. 1.3.6 Trigger e DAQ Le collisioni protone-protone a LHC avverranno ad una frequenza di 40 MHz, troppo elevata per ricostruire tutti gli eventi ed immagazzinare i dati cosı̀ ottenuti. La massima frequenza con cui gli eventi potranno essere salvati è infatti 100 Hz. Inoltre il numero di eventi relativi a processi fisicamente interessanti è molto piccolo rispetto al numero totale di collisioni. Si rende quindi necessario un sistema di trigger in grado di ridurre il numero di eventi in fase di ricostruzione di un fattore 4 × 105 . Il sistema di trigger ideato per CMS è suddiviso in due livelli: il “Livello 1” (LV1) [18] e il “Trigger d’Alto Livello” o High Level Trigger (HLT) [19], schematizzati in fig.1.16. Il Livello 1 è ottimizzato per effettuare una prima selezione con i soli dati ricavati dai calorimetri e dalle camere per i muoni, ed è in grado di ridurre la frequenza di uscita dei dati a 50 kHz per la fase a bassa luminosità e 100 kHz per la fase ad alta luminosità. Gli eventi che superano questo livello di trigger sono poi filtrati dal livello HLT. Questo è implementato su una PC farm 9 dedicata, in grado di ridurre il rate di dati da immagazzinare a 100 Hz. 9 Per PC farm si intende un gruppo di PC connessi in rete che si scambiano informazioni in modo da processare efficientemente e velocemente i dati. 20 CAPITOLO 1. LHC E L’ESPERIMENTO CMS Figura 1.16: Schema logico del sistema di trigger di CMS. Trigger di Livello 1 Il Livello 1 di trigger si basa su misure di energia trasversa e sulla rivelazione di muoni con alto impulso trasverso. Le componenti di CMS utilizzate nel Livello 1 sono i calorimetri e le camere per i muoni, che devono lavorare in parallelo, analizzando i dati localmente. Le informazioni sono date dalle cosiddette “torri calorimetriche” (gruppi di cristalli adiacenti in cui è stata rilasciata energia) e sono ricostruite utilizzando un sistema di trigger proprio dei calorimetri. Questo tipo di analisi viene effettuato sia per ECAL che per HCAL, in modo da ricostruire sia i jet che i segnali dovuti a elettroni e fotoni. Le informazioni cosı̀ ottenute vengono temporaneamente immagazzinate nel Global Calorimeter Trigger (GCT). Analogo funzionamento si ha per le camere per i muoni, le cui informazioni sulle tracce ricostruite vengono immagazzinate nel Global Muon Trigger (GMT). Le informazioni provenienti dal GCT e dal GMT sono poi combinate insieme per dare una prima stima dell’energia trasversa mancante e per indicare su quali regioni di CMS si dovrà focalizzare il livello HLT. I tempi di elaborazione del Livello 1 sono di circa 1 µs, ben al di sopra dei 25 ns che intercorrono fra due bunch crossing. È quindi necessario allocare temporaneamente in memoria i dati di tutti i rivelatori, in attesa del trigger. Questo compito è svolto dalle “pipelines” di memoria presenti nell’elettronica di front-end 10 situata sui rivelatori, come mostrato in fig.1.16. 10 Per una descrizione dell’elettronica di front-end si rimanda a sez.2.3. 1.3. IL RIVELATORE CMS 21 High Level Trigger In questa fase le misure effettuate con il Livello 1 sono migliorate in passi successivi, utilizzando anche le informazioni provenienti dal tracciatore al silicio. L’utilizzo del rivelatore a pixel e del tracciatore a microstrisce permette la ricostruzione dei vertici e delle tracce attraverso algoritmi simili a quelli di ricostruzione offline 11 . Sistema di acquisizione dei dati (DAQ) L’architettura del sistema di acquisizione dei dati (Data Acquisition System - DAQ) è composta da quattro stadi: 1. una fase di lettura dei rivelatori, durante la quale i dati vengono memorizzati in buffer locali; 2. uno stadio di ricostruzione dell’evento, nel quale tutti i dati relativi ad un singolo evento sono raccolti dai vari buffer attraverso una rete di interruttori e assemblati in un singolo processore; 3. uno stadio di selezione, in cui l’evento è analizzato dall’HLT nella PC-farm; 4. una fase di analisi o immagazzinamento, nella quale gli eventi selezionati dall’HLT vengono inviati ai servizi di calcolo per ulteriori analisi oppure vengono immagazzinati per analisi successive. La suddivisione del DAQ in quattro settori che possono essere resi indipendenti l’uno dall’altro permette la progettazione di un sistema modulare che può essere sviluppato, testato e installato in parallelo. 11 Si definisce in generale “offline” un’elaborazione dei dati immagazzinati in memoria effettuata in un momento distinto da quello della loro acquisizione. Si definisce invece “online” una qualsiasi elaborazione dei dati fatta al momento stesso dell’acquisizione. Capitolo 2 Il tracciatore al silicio di CMS Lo scopo del tracciatore al silicio è quello di ricostruire le tracce delle particelle cariche prodotte dalle collisioni protone-protone. Per effetto del campo magnetico all’interno del rivelatore le particelle cariche seguono traiettorie elicoidali, dalla cui curvatura è possibile ricavare l’impulso trasverso pT delle particelle attraverso la relazione (1.1) che riporto qui per comodità: pT [GeV/c] = 0.3 · Z · B[T] · R[m] (2.1) dove R è in questo caso il raggio di curvatura dell’elica e B = 4 T. L’alta luminosità a cui lavorerà la macchina produrrà un elevato numero di collisioni protone-protone per ogni incrocio dei fasci, il che genererà un fondo continuo sovrapposto agli eventi interessanti. Tuttavia le particelle che costituiscono il fondo sono caratterizzate da basso impulso trasverso, per cui, come si deduce dalla (2.1), rimangono concentrate nella parte interna del tracciatore. Ad esempio, un muone da 1 GeV segue una traiettoria con raggio di curvatura di circa 80 cm. Si ha quindi una notevole diminuzione della concentrazione di particelle all’aumentare della distanza dal punto di interazione. Per questo motivo è stato deciso di utilizzare due diverse tecnologie in base alle loro proprietà di risoluzione spaziale e di risoluzione “double hit” (capacità di distinguere come separate due tracce molto vicine tra loro). Il tracciatore si compone infatti di una parte più interna costituita da un rivelatore di vertice realizzato con moduli a pixel di silicio, e di una parte più esterna costituita da rivelatori realizzati con la tecnologia delle miscrostrisce di silicio. In questo capitolo descriverò la geometria del tracciatore ed il principio di funzionamento dei rivelatori che lo compongono, con particolare attenzione ai rivelatori a microstrisce sui quali ho effettuato la misura oggetto del mio lavoro di tesi. Descriverò inoltre la prima fase della ricostruzione offline degli eventi (detta “Ricostruzione degli Hit”). 24 CAPITOLO 2. IL TRACCIATORE AL SILICIO DI CMS Figura 2.1: Schema del tracciatore di CMS. 2.1 Geometria del tracciatore Il tracciatore al silicio si estende complessivamente nella regione definita da |η| < 2.5, r < 120 cm e |z| < 270 cm, e copre una superficie di 198 m2 . In fig.2.1 è riportato un schema del tracciatore in cui sono evidenziate la parte più interna a pixel e le varie componenti in cui si suddivide la parte più esterna a microstrisce. Lo spessore del tracciatore è riportato in fig.2.2, espresso sia in termini di lunghezza di radiazione X0 che in termini di lunghezza di interazione nucleare λ0 . Figura 2.2: Spessore delle varie componenti del tracciatore in funzione di η, espresso in unità di lunghezze di radiazione X0 (sinistra) e in unità di lunghezze di interazione nucleare λ0 (destra) [20]. 2.1. GEOMETRIA DEL TRACCIATORE 25 Figura 2.3: Schema del rivelatore a pixel di CMS nella configurazione di alta luminosità. 2.1.1 Il tracciatore a pixel Il tracciatore a pixel copre la regione di pseudorapidità |η| < 2.4 ed è costituito da tre cilindri concentrici (barrel ) di lunghezza pari a 53 cm e raggio rispettivamente di 4.4 cm, 7.2 cm e 10.2 cm. I cilindri sono chiusi ai due estremi da due coppie di dischi (endcap), posizionati a z = ±34.5 cm e z = ±46.5 cm. Il barrel è costituito da tre strati di pixel, ognuno dei quali è diviso in due mezzi cilindri. A causa dei danni da radiazione sono previste varie sostituzioni dei rivelatori durante i 10 anni di attività di CMS. Durante la prima fase di funzionamento di LHC (in regime di bassa luminosità) saranno inseriti solo due strati di rivelatori del barrel, quelli con raggio minore. In una seconda fase, sempre per bassa luminosità, sarà inserito anche il terzo strato. Infine nella fase ad alta luminosità verranno lasciati solamente i due strati più esterni (fig.2.3). Anche per gli endcap è prevista la sostituzione del disco più interno dopo due anni di presa dati. I rivelatori sono costituiti da un substrato di silicio di tipo n dello spessore di 250 µm sul quale sono realizzati i pixel tramite impiantazioni di tipo n+ . I pixel sono rettangolari di dimensioni 100 µm × 150 µm e la risoluzione raggiunta è di 10 µm(rϕ) × 20 µm(z) [21]. Il circuito di lettura è montato immediatamente sopra il sensore ed è connesso ai pixel tramite microsaldature dette bump bonding. 2.1.2 Il tracciatore a microstrisce di silicio Il tracciatore a microstrisce, o microstrip, copre la regione di pseudorapidità |η| < 2.5, ha una lunghezza di circa 5.6 m e un diametro di 2.4 m, ed è costituito complessi- 26 CAPITOLO 2. IL TRACCIATORE AL SILICIO DI CMS Figura 2.4: Schema di un quarto del tracciatore. In rosso sono indicati i rivelatori a singola faccia, in blu quelli a doppia faccia. Sono inoltre evidenziate le zone con i rivelatori sottili ( Thin Sensors), di spessore 320 µm e quelle con i rivelatori spessi ( Thick Sensors), di spessore 500 µm. Ai lati e in alto sono riportate le scale in r e z in mm, e la scala di pseudorapidità. vamente da 15.148 rivelatori a micostrisce, detti moduli. Come mostrato in fig.2.4 il tracciatore a microstrisce si compone di vari strati suddivisibili in quattro parti, due barrel e due endcap, con differenti caratteristiche: Tracker Inner Barrel (TIB), la parte cilindrica più interna, coassiale con la direzione del fascio; Tracker Inner Discs (TID), le corone circolari poste all’estremità del TIB; Tracker Outer Barrel (TOB), la struttura cilindrica più esterna, anch’essa coassiale con il fascio; Tracker EndCaps (TEC), le corone circolari più esterne. Le parti barrel si suddividono a loro volta in vari strati cilindrici, detti layer, mentre le parti endcap si suddividono in dischi (o wheel ) ortogonali al fascio, che raggruppano le corone circolari su cui sono alloggiati i rivelatori. Alcuni layer della parte barrel e alcuni anelli dei dischi della parte endcap ospitano moduli a singola faccia, detti “mono” (o “rϕ”), mentre altri ospitano moduli a doppia faccia, composti da un modulo mono incollato back to back a un altro modulo, detto “stereo” e ruotato rispetto al primo di 100 mrad. I moduli a singola faccia sono in grado di fornire, sia nel barrel che nelle endcap, solo la misura della 2.1. GEOMETRIA DEL TRACCIATORE 27 coordinata azimutale del punto di passaggio della particella. Quelli a doppia faccia invece, combinando le informazioni fornite dai due rivelatori, permettono la misura di entrambe le coordinate del punto di passaggio nel piano del rivelatore. Nella parte barrel le strip dei moduli mono sono parallele alla direzione del fascio, mentre nelle endcap giacciono sul piano perpendicolare al fascio e sono dirette radialmente rispetto al centro di ciascun disco. Il passo fra le strip dei rivelatori è detto pitch, e varia da un minimo di 80 µm a un massimo di 183 µm. Inoltre i moduli montati nella parte più interna rispetto al fascio hanno uno spessore di 320 µm, quelli montati nella parte esterna hanno invece uno spessore di 500 µm (fig.2.4). Tracker Inner Barrel Il TIB è la parte più interna del tracciatore a microstrisce ed è composto da quattro layer, ciascuno dei quali è a sua volta suddivisibile in due parti simmetriche rispetto al piano perpendicolare al fascio passante per z = 0. Nel seguito descriverò una di queste due parti, che chiamerò “semi-layer ”. Ciascun semi-layer è a sua volta suddivisibile dal piano orizzontale passante per il centro di interazione in due parti simmetriche, dette “shell ”. Un semi-layer è formato da strutture rettilinee dette “stringhe” su cui sono alloggiati i moduli, tre per ogni stringa. Le stringhe sono montate su di una struttura cilindrica in fibra di carbonio, sia sulla superficie interna che su quella esterna. A seconda che siano alloggiate sulla parte interna o esterna della struttura, le stringhe si distinguono in “interne” ed “esterne”. I moduli sulle stringhe interne ed esterne sono messi in modo tale da garantire una copertura completa della superficie cilindrica di ciascun semi-layer. In fig.2.5 è riportata l’immagine di una parte del TIB layer 3, assemblato presso un laboratorio della sezione di Firenze dell’INFN. Sono visibili, oltre ai moduli montati sulle stringhe esterne, anche alcuni moduli montati su quelle interne. Le stringhe interne ed esterne sono inclinate di 9◦ rispetto al proprio asse parallelo alla direzione del fascio. Questo garantisce una migliore copertura della superficie cilindrica di ciascun layer, con una leggera sovrapposizione dei moduli ai bordi (“overlap”), e permette di compensare gli effetti dovuti all’angolo di Lorentz dei portatori di carica all’interno del rivelatore. Infatti la forza di Lorentz agente sui portatori, dovuta alla presenza del campo magnetico, li fa deviare dalla traiettoria descritta dalle linee di forza del campo elettrico interno al rivelatore di un angolo detto “angolo di Lorentz”. Per una trattazione più approfondita dell’angolo di Lorentz si rimanda ai capitoli successivi. 28 CAPITOLO 2. IL TRACCIATORE AL SILICIO DI CMS Figura 2.5: Una fase dell’assemblaggio del TIB layer 3 presso un laboratorio della sezione di Firenze dell’INFN. Sono visibili anche alcuni moduli delle stringhe interne. I due layer più interni (TIB1 e TIB2) ospitano rivelatori a doppia faccia, sia nella parte interna che in quella esterna, mentre i due layer più esterni (TIB3 e TIB4) alloggiano rivelatori a singola faccia. I sensori utilizzati hanno uno spessore di 320 µm, un’area attiva di circa 61 × 117 mm2 e un passo fra le strip di 80 µm per i moduli a doppia faccia e 120 µm per quelli a singola faccia. Complessivamente il TIB è composto da 1188 moduli a singola faccia e 768 moduli a doppia faccia, per un totale di 2724 rivelatori. In Tabella 2.1 sono riportati i dati relativi ai vari layer del TIB. Layer Raggio medio Numero stringhe Numero totale Pitch Pitch (mm) (int./est.) moduli rϕ (µm) stereo (µm) TIB1 255 26 / 30 336 80 80 TIB2 340 34 / 38 432 80 80 TIB3 430 44 / 46 540 120 - TIB4 520 52 / 56 648 120 - Tabella 2.1: Tracker Inner Barrel: molteplicità dei moduli e passo delle strip. 29 2.1. GEOMETRIA DEL TRACCIATORE Tracker Inner Discs Il TID è posizionato ad entambi i lati del TIB, ed è costituito da tre dischi per ogni lato, posti ortogonalmente alla direzione del fascio. Ciascun disco è formato da tre anelli concentrici di rivelatori, con i sensori sfalsati fra le due facce del disco, interna ed esterna, in modo da garantire una copertura completa della superficie. I due anelli più interni (TID1 e TID2) sono formati da rivelatori a doppia faccia mentre il terzo (TID3) da rivelatori a singola faccia. Come nel TIB lo spessore dei rivelatori è di 320 µm, ma essendo montati in questo caso in una struttura a corone circolari, la forma dei moduli nel TID è trapezoidale, con il passo delle strip variabile lungo il modulo. Il pitch dei moduli del TID è compreso fra un minimo di 81 µm e un massimo di 158 µm. Il TID è composto da 240 moduli a singola faccia e 288 a doppia faccia, per un totale di 816 rivelatori. In Tabella 2.2 sono riportati i dati relativi ai tre anelli del TID. Anello Moduli per Numero di anelli Numero totale anello Pitch Pitch in ±z moduli 3+3 144 81-112 81-112 rϕ (µm) stereo (µm) TID1 24 TID2 24 3+3 144 113-143 113-143 TID3 40 3+3 240 123-158 - Tabella 2.2: Tracker Inner Discs: molteplicità dei moduli e passo delle strip, alle basi minore e maggiore dei trapezi. Tracker Outer Barrel Le parti più interne del tracciatore (pixel, TIB e TID) sono racchiuse da sei strati cilindrici di rivelatori, detti anche in questo caso layer, che costituiscono il TOB. Anche i layer del TOB sono suddivisibili in due parti simmetriche rispetto al piano perpendicolare al fascio e passante per z = 0 e anche in questo caso indicherò ciascuna di queste due parti come semi-layer. Ciascun semi-layer del TOB è costruito secondo lo schema a “sbarra”, o “rod ”: sei moduli vengono montati su una struttura rettilinea, detta appunto rod, tre nella faccia rivolta verso l’interno di CMS e tre nella faccia rivolta verso l’esterno, sfalsati rispetto a quelli montati sulla faccia interna cosı̀ da garantire una copertura completa della rod ; le varie rod vengono poi unite insieme a formare una struttura cilindrica, che costituisce il semi-layer. 30 CAPITOLO 2. IL TRACCIATORE AL SILICIO DI CMS Layer Raggio medio Numero rod Numero totale Pitch Pitch (mm) per layer moduli rϕ (µm) stereo (µm) TOB1 608 42 504 183 183 TOB2 692 48 576 183 183 TOB3 780 54 648 183 - TOB4 868 60 720 183 - TOB5 965 66 792 122 - TOB6 1080 74 888 122 - Tabella 2.3: Tracker Outer Barrel: molteplicità dei moduli e passo delle strip. I due layer più interni del TOB montano rivelatori a doppia faccia, mentre gli altri quattro montano rivelatori a singola faccia. Tutti i moduli del TOB hanno uno spessore di 500 µm, un’area sensibile di circa 94 × 186 mm2 , e un passo fra le strip compreso fra 122 µm e 183 µm. Complessivamente il TOB è composto da 3048 moduli a singola faccia e 1080 moduli a doppia faccia, per un totale di 5208 rivelatori. Contrariamente a quanto accade nel TIB, le rod del TOB, per ragioni costruttive, non sono inclinate per compensare l’angolo di Lorentz dei portatori di carica. In Tabella 2.3 sono riportate le caratteristiche dei vari layer del TOB. Tracker EndCap Alle due estremità del tracciatore sono posti, ortogonalmente al fascio, i diciotto dischi della TEC, nove per lato. Tali dischi sono divisi in anelli concentrici ed ospitano rivelatori trapezoidali, come nel TID. Dal punto di vista costruttivo la TEC è suddivisa in sottostrutture dette petali, corrispondenti a 1/16 di ciascun disco e che raggruppano i rivelatori disposti lungo la stessa direzione radiale. Per ciascun petalo una faccia contiene gli anelli pari, mentre l’altra gli anelli dispari, per un totale di sette anelli. Il numero di anelli presenti in cascun disco non è costante, ma varia da un massimo di sette ad un minimo di quattro. I tre dischi più vicini al centro di interazione sono completi, ai tre successivi manca l’anello più interno, al settimo e all’ottavo mancano i primi due anelli e all’ultimo i primi tre. I quattro anelli più interni montano rivelatori sottili (320 µm), mentre i tre anelli più esterni, presenti in tutti i dischi, ospitano rivelatori spessi (500 µm). I due anelli più interni ed il quinto ospitano inoltre rivelatori a doppia faccia, 31 2.2. IL RIVELATORE A MICROSTRISCE Anello Moduli per Numero di anelli Numero totale anello Pitch Pitch in ±z moduli 3+3 144 81-112 81-112 rϕ (µm) stereo (µm) TEC1 24 TEC2 24 6+6 288 113-143 113-143 TEC3 40 8+8 640 123-158 - TEC4 56 9+9 1008 113-139 - TEC5 40 9+9 720 126-156 126-156 TEC6 56 9+9 1008 163-205 - TEC7 80 9+9 1440 140-172 - Tabella 2.4: Tracker EndCap: molteplicità dei moduli e passo delle strip alle basi minore e maggiore dei trapezi. mentre gli altri ospitano rivelatori a singola faccia. Il passo fra le strip, anche in questo caso variabile come nel TID, è compreso fra 81 µm e 205 µm. La TEC è composta da 1648 moduli sottili singoli e 432 doppi, per un totale di 2512 moduli sottili, mentre i moduli spessi sono 2448 singoli e 720 doppi, per un totale di 3888 moduli spessi. In Tabella 2.4 sono riportate le caratteristiche dei sette anelli della TEC. 2.2 Il rivelatore a microstrisce I rivelatori a microstrisce sono costituiti dal sensore vero e proprio e dall’elettronica di lettura (o elettronica di front end ). Il sensore viene ricavato da un wafer rotondo di silicio, del diametro di 6”. Le strip sono costituite da impiantazioni di tipo p+ su un substrato di tipo n (detto bulk ). Sopra le strip, dopo uno strato di ossido, si trovano delle strisce di alluminio a cui le impiantazioni sono accoppiate capacitivamente per la lettura. Il lato del sensore su cui sono state eseguite le impiantazioni p+ è detto lato giunzione. Nel lato opposto, detto lato ohmico, è stata eseguita invece un’impiantazione di tipo n+ che ricopre tutta la superficie del sensore. In fig.2.6 è riportata la fotografia di un modulo del TIB. Le microstrisce sono connesse ad un circuito di polarizzazione, chiamato bias ring, attraverso resistenze in polisilicio da circa 1.5 MΩ (fig.2.7). In condizioni di contropolarizzazione il bias ring viene mantenuto al potenziale di terra, mentre lo strato n+ del lato ohmico viene portato a una tensione positiva. Per evitare la generazione di correnti parassite nelle zone di bordo, danneggiate dalle operazioni di taglio, è stata realizzata un’impiantazione n+ che circonda tutto il 32 CAPITOLO 2. IL TRACCIATORE AL SILICIO DI CMS Figura 2.6: Un modulo del TIB layer 3. sensore e penetra lo spessore del substrato n, con lo scopo di impedire alla regione di svuotamento di raggiungere le zone di bordo ed evitare in questo modo che il campo elettrico induca la generazione di scariche. Tra il bias ring e questa impiantazione n+ si trova un ulteriore anello p+ , detto guard ring, che viene lasciato elettricamente sconnesso e la cui funzione è quella di moderare l’andamento del campo elettrico tra il bias ring e l’impiantazione n+ , che si trova allo stesso potenziale del lato ohmico e quindi ad alta tensione in condizioni di contropolarizzazione. Grazie a questi accorgimenti i sensori usati da CMS raggiungono tensioni di breakdown 1 di 600 V. L’elettronica di lettura è costituita da un circuito chiamato “ibrido”2 , sul quale sono montati gli APV-25 [22], ovvero i circuiti integrati che raccolgono i segnali provenienti dalle strip, provvedono alla loro amplificazione e formazione e al loro campionamento. A seconda del numero di strisce presenti sul sensore i moduli possono essere equipaggiati con 4 o 6 APV-25. Dal momento che la distanza tra due canali adiacenti dell’APV-25 è inferiore al passo delle strip, è necessario un adattatore di passo (pitch adapter ). Questo collega le strip ai canali di ingresso 1 Per una giunzione pn contropolarizzata si definisce la tensione di breakdown come quel va- lore della tensione di polarizzazione inversa oltre il quale la corrente di perdita aumenta molto rapidamente, portando in certi casi alla rottura della giunzione. 2 L’origine di questo nome risiede nel fatto che i primi circuiti di questo tipo erano realizzati con una tecnologia ibrida che prevedeva l’impiego di paste conduttive e isolanti per realizzare le resistenze e i condensatori di uno stampato sul quale venivano poi montati i transistor necessari. Oggi con il termine “ibrido” si intende sostanzialmente un circuito stampato di piccole dimensioni con alta densità di componenti. 2.2. IL RIVELATORE A MICROSTRISCE 33 Figura 2.7: Sistema di polarizzazione delle strip. dell’APV-25 attraverso microsaldature eseguite con ultrasuoni, dette bonding. Il tipo di silicio utilizzato per i sensori deve possedere doti di elevata resistenza alle radiazioni, dal momento che rimmarrà in un ambiente altamente radioattivo per almeno 10 anni. Gli effetti del danneggiamento da radiazione sono di due tipi: effetti di superficie, dovuti all’accumulo di carica nello strato di ossido, ed effetti di bulk. Questi ultimi comportano un aumento della corrente di polarizzazione inversa nella giunzione, la diminuzione dell’efficienza di raccolta della carica e una variazione della concentrazione delle sostanze droganti nel substrato. In particolare, da studi effettuati su moduli irraggiati in modo da simulare l’effetto di 10 anni di permanenza in LHC, si è osservata una diminuzione della concentrazione delle impurezze di tipo n, seguita da una condizione in cui il substrato si comporta come materiale puro, privo di drogaggio, per arrivare ad una condizione di drogaggio di tipo p (inversione n − p). In fig.2.8 è riportato l’andamento in funzione della fluenza,3 espressa in neutroni equivalenti,4 previsto per la tensione di svuotamento dei rivelatori per due diversi tipi 3 4 Numero di particelle incidenti per unità di superficie. I principali responsabili del danneggiamento da radiazione dei rivelatori al silicio sono i neutroni di bassa energia, che interagiscono con i nuclei del bulk e generano difetti nel reticolo. Nelle misure di danneggiamento da radiazione, anche se l’irraggiamento non è stato fatto con neutroni, si è soliti esprimere l’effetto, tramite opportuni fattori di conversione, in termini del danno che sarebbe stato provocato da neutroni da 1 MeV. 34 CAPITOLO 2. IL TRACCIATORE AL SILICIO DI CMS Figura 2.8: Andamento della tensione di svuotamento in funzione della fluenza in neutroni equivalenti per un silicio a bassa resistività (LR) ed uno ad alta resistività (HR). Sono riportati anche gli indici di Miller che individuano il piano reticolare lungo il quale il wafer è stato tagliato. di silicio utilizzato: in rosso per un silicio a bassa resistività (ρ = 1.13±0.16 kΩ · cm), in blu per uno ad alta resistività (ρ = 5.8 ± 1.1 kΩ · cm). Come mostrato in figura nel silicio a bassa resistività l’inversione di tipo avviene ad una fluenza maggiore rispetto al silicio ad alta resistività. Inoltre dopo l’inversione, a parità di fluenza, il silicio a bassa resistività presenta una tensione di svuotamento più bassa. Per questi due motivi i silici scelti per il tracciatore di CMS sono del tipo a bassa resistività. 2.3 Elettronica di lettura In questo paragrafo descriverò l’elettronica di lettura dei rivelatori, soffermandomi sul sistema di acquisizione del segnale ad opera dei chip integrati sull’ibrido di ciascun modulo, la sua trasmissione verso l’elettronica di digitalizzazione e quindi la sua digitalizzazione ed elaborazione online operate dal Front-End Driver. L’elettronica di front-end presente sull’ibrido comprende il chip APV-25, che costituisce l’elemento fondamentale dell’elettronica di lettura del tracciatore di CMS, la PLL (Phase Locked Loop) [23], in grado di decodificare e ricostruire i segnali di clock e trigger distribuiti dall’elettronica di controllo, un multiplexer (MUX) che provvede a serializzare i dati provenienti da ciascuna coppia di APV-25, un AOH 2.3. ELETTRONICA DI LETTURA 35 (Analog-Opto Hybrid ) che riceve il segnale dal MUX, lo converte in un segnale luminoso e lo invia tramite fibra ottica al Front-End Driver, e infine la DCU (Detector Control Unit) che permette di controllare i parametri del modulo e che verrà descritta nella sez.2.4.2. Le componenti analogiche sono alimentate con tensioni di 1.25 V e 2.5 V, quelle digitali con tensioni di 2.5 V. 2.3.1 APV-25 I chip APV-25 [22] costituiscono la componente fondamentale dell’elettronica di front-end del tracciatore di CMS. Essi hanno dimensioni di 8055 µm×7100 µm e sono muniti di 128 canali analogici in ingresso, ciascuno connesso a una strip. Ogni canale contiene un integratore di carica e uno stadio di amplificazione e formazione che si comporta come un filtro CR-RC con costante di tempo pari a 50 ns. Gli APV-25 campionano il segnale alla frequenza di 40 MHz e registrano i campionamenti su di una memoria analogica, detta pipeline, composta da 192 celle per ognuno dei 128 canali, in grado di conservare i dati per un massimo di circa 4.8 µs, prima di sovrascriverli. I segnali di clock e trigger vengono inviati agli APV-25 dal chip PLL, montato anch’esso sull’ibrido, che riceve tali segnali dall’elettronica di controllo, ne corregge eventuali distorsioni e quindi li invia agli APV-25 con un ritardo variabile a passi di 25 24 ns. L’APV-25 possiede vari registri programmabili dall’utente attraverso i quali è possibile modificare i parametri di funzionamento del circuito. Di seguito sono descritti i principali fra questi registri. Registro di Latenza Il segnale di trigger arriva con un certo ritardo rispetto all’effettivo istante di passaggio della particella. Il registro di latenza istruisce l’APV-25 sul numero di passi che esso deve compiere all’indietro nella pipeline, rispetto all’istante di arrivo del trigger, per recuperare il campionamento voluto. Registro di Modalità Permette di selezionare una delle seguenti modalità di funzionamento: Modo picco. Ogni volta che il chip riceve un segnale di trigger fornisce in uscita, per ogni canale, il valore contenuto in una cella della pipeline analogica. La posizione di tale cella all’interno della pipeline è determinata in base al registro di latenza. Questa modalità di funzionamento massimizza il rapporto 36 CAPITOLO 2. IL TRACCIATORE AL SILICIO DI CMS segnale/rumore, ma è utilizzata solo a bassa fluenza dato che, per via della coda a tempi lunghi del CR-RC, risente del fenomeno di pile-up. Modo deconvoluzione [24]. Ad ogni trigger vengono acquisite per ciascun canale tre celle consecutive della pipeline. Anche in questo caso la posizione delle celle da acquisire è determinata in base al registro di latenza. I valori in esse contenuti vengono processati attraverso un filtro denominato APSP (Analog Pulse Shape Processor ), che li moltiplica per tre pesi opportuni e li somma. Con questo procedimento si ottiene un segnale con tempo di salita di 25 ns anzichè 50 ns come nel CR-RC; inoltre i pesi sono tali da cancellare gli effetti di pile-up. La modalità deconvoluzione è quella standard nell’esperimento. Modo multiplo. Vengono acquisiti i valori contenuti in tre celle consecutive della pipeline, ma non viene applicato il filtro APSP. Registro VPSP Permette di regolare l’altezza del livello medio dell’uscita analogica (detto anche baseline). Registri di calibrazione Sono di vario tipo e consentono di simulare l’effetto del passaggio di una particella nel rivelatore attraverso l’iniezione di carica nello stadio di ingresso del circuito. Finchè non riceve un segnale trigger l’APV-25 invia degli impulsi digitali di sincronizzazione chiamati tick mark, della durata di 25 ns, ad intervalli di 35 colpi di clock. Nel momento in cui riceve un segnale di trigger il chip sostituisce al tick mark una sequenza detta frame (fig.2.9). Questa è composta da una parte digitale, contenente l’header (sequenza di tre bit nello stato logico 1 che segnala l’inizio del Figura 2.9: Rappresentazione schematica di un frame. 2.3. ELETTRONICA DI LETTURA 37 frame) e l’indirizzo della pipeline (determinato all’arrivo del trigger dal registro di latenza), e da una parte analogica, con i campionamenti relativi ai 128 canali su cui esegue la lettura, serializzati da un multiplexer [25] integrato nel chip. Ciascun APV-25 ha quindi un’unica uscita, su cui trasmette i dati ad una frequenza di 20 MHz. 2.3.2 Multiplexer (MUX) e Opto-Ibrido Analogico (AOH) I frame provenienti da ciascun APV-25 sono inviati a dei multiplexer (MUX) montati sull’ibrido, uno per ogni coppia di APV-25. Ciascun MUX serializza i frame provenienti dai due APV-25 a lui collegati, che a questo scopo sono ritardati l’uno rispetto all’altro di 25 ns, e li trasmette su un’unica uscita con una frequenza di 40 MHz. Quindi, in definitiva, in un modulo con quattro APV-25 si hanno due linee in uscita, mentre in un modulo con sei APV-25 se ne hanno tre. Le uscite dei MUX presenti sull’ibrido vengono inviate a un dispositivo chiamato Opto-Ibrido Analogico (AOH, Analog Opto-Hybrid ), che le converte in un segnale di luce e lo trasmette su fibra ottica. Ogni AOH possiede, a seconda del numero di coppie di APV-25 presenti sul modulo, due o tre laser che emettono luce alla lunghezza d’onda di 1310 nm. Questi sono comandati da un dispositivo chiamato Linear Laser Driver che riceve in ingresso l’uscita analogica del MUX e modula l’intensità della luce emessa in modo proporzionale all’ampiezza del segnale elettrico del MUX. In fig.2.10 è mostrato lo schema riassuntivo dell’elettronica di front-end presente su ciascun modulo. Ogni AOH trasmette i dati provenienti da ciascuna coppia di APV-25 su una fibra ottica della lunghezza di 2 m. Le fibre sono poi raccolte a gruppi di 12 in cavi Figura 2.10: Schema dell’elettronica integrata su un modulo. Le parti grigie sono presenti solo nei moduli con sei APV-25. Le frecce indicano il percorso del trigger e del segnale [26]. 38 CAPITOLO 2. IL TRACCIATORE AL SILICIO DI CMS detti fiber ribbon, i quali sono ulteriormente raggruppati in cavi detti multiribbon, ciascuno dei quali contiene 8 fiber ribbon. I multiribbon portano quindi il segnale all’elettronica di digitalizzazione. 2.3.3 Il convertitore analogico-digitale: Front-End Driver (FED) Il FED-9U [27] è il dispositivo che provvede alla digitalizzazione dei dati provenienti dagli APV-25. Ciascun FED gestisce il segnale proveniente dalle fibre contenute in un multiribbon, per un totale quindi di 96 fibre ottiche, corrispondenti a 192 APV-25. Per ciascuna fibra in ingresso il FED possiede un convertitore opto-elettrico, che converte il segnale da ottico ad elettrico, e un ADC a 10 bit, che riceve il segnale dal convertitore e lo digitalizza. Oltre alle 96 fibre ottiche del multiribbon da cui riceve i dati, il FED ha un’ulteriore fibra in ingresso da cui riceve il clock di LHC ed il segnale di trigger. Ricevuto il segnale di trigger, il FED si mette in attesa dell’arrivo del frame campionando i segnali provenienti dalle fibre in ingresso con un frequenza di 40 MHz. Il riconoscimento dell’arrivo del frame avviene tramite l’identificazione dell’header digitale, cioè della sequenza caratteristica di tre bit nello stato logico 1 che apre il frame. Una volta individuato l’inizio del frame su un particolare canale di ingresso, i campionamenti successivi, dopo essere stati eventualmenti processati a seconda della modalità di funzionamento selezionata per il FED, vengono trascritti su un buffer di memoria. Il programma di acquisizione si occupa poi di scaricare i dati dalla memoria del FED e di scriverli su disco. Esistono quattro modalità di funzionamento del FED: Scope mode, Virgin Raw Data mode, Processed Raw Data mode e Zero Suppression Data mode. Nel seguito descriverò le due modalità principali, Virgin Raw Data mode e Zero Suppression mode, che si differenziano sostanzialmente per la possibilità di eseguire o meno una prima elaborazione online dei dati in ingresso. Prima però è necessario definire alcune grandezze utilizzate per caratterizzare il comportamento dei rivelatori. Piedistallo di un canale. Corrisponde al livello di tensione presente all’ingresso del preamplificatore in assenza di particelle. Il piedistallo di ogni canale viene calcolato, in unità di conteggi ADC, come il valore mediato su un certo numero di eventi delle conversioni di quel canale: P EDs = s ΣN i=1 ADCi N (2.2) dove i è l’indice che numera l’evento, s è l’indice della microstriscia, N è il numero di eventi su cui si media. 39 2.3. ELETTRONICA DI LETTURA Rumore di modo comune. Con questo termine si intende una fluttuazione, caratteristica di ogni evento, che influenza allo stesso modo tutti i canali di un APV-25. Il rumore di modo comune è definito come: CM N c,i = c,i c Σ128 s=1 (ADCs − P EDs ) 128 (2.3) dove c è l’indice che numera il chip, s individua il canale e i l’evento. Rumore di un canale. Il rumore di un canale è definito come la fluttuazione quadratica media delle conversioni ADC di quel canale rispetto al suo piedistallo, ovvero: σs2 = h(ADCs − P EDs )2 ieventi (2.4) con la stessa convenzione riguardo agli indici, dove hieventi indica la media sugli eventi. È possibile esprimere il rumore del canale anche al netto del contributo di rumore di modo comune. In tal caso la definizione diventa: 2 2 σsCM N = h(ADCs − P EDs − CM Nc ) ieventi (2.5) dove c indica il chip di appartenenza della microstriscia s. Virgin Raw Data mode In questa modalità i dati di ciascun frame digitalizzati dagli ADC del FED vengono inviati direttamente al buffer di memoria senza subire alcuna elaborazione online. Questa modalità è utilizzata nelle fasi di messa in opera del rivelatore, per misurare il piedistallo ed il rumore di ciascun canale degli APV-25. I valori ottenuti in queste misure vengono quindi memorizzati in opportuni registri del FED per essere utilizzati nell’elaborazione online. Le misure del rumore dei canali saranno inoltre utilizzate anche nella ricostruzione offline. Zero Suppression mode Questa è la principale modalità di utilizzo del FED per l’acquisizione di dati di fisica, in particolare nel caso di rate elevato. In questa modalità vengono sottratti al segnale di ciascun canale sia il piedistallo, misurato precedentemente, che il rumore di modo comune, calcolato evento per evento come nella (2.3). In realtà essendo presenti, oltre al rumore di modo comune, anche dei segnali fisici, per ignorarli nel calcolo del rumore di modo comune si calcola la mediana del segnale di ciascun APV-25 al netto del piedistallo. Assumendo che ci siano segnali fisici su meno di 64 canali dell’APV-25 la mediana risulta un’ottima stima del rumore di modo comune [26]. 40 CAPITOLO 2. IL TRACCIATORE AL SILICIO DI CMS Eseguita questa prima elaborazione i campionamenti vengono riordinati secondo l’ordine fisico delle strip, dopo di che viene effettuata una prima selezione dei canali corrispondenti a strip su cui è presente un segnale dovuto al passaggio di una particella, mentre tutti gli altri canali vengono ignorati. L’algoritmo seguito per effettuare questa prima selezione dei dati, detto Cluster finding, confronta il segnale di ciascuna strip con due soglie, t1 e t2 , stimate precedentemente per ciascuna strip in base al rumore che la caratterizza. Nel caso in cui il segnale sia maggiore o uguale alla soglia t1 e siano presenti strip vicine che soddisfano la medesima condizione, i segnali in questione vengono inviati al buffer e memorizzati. Se non ci sono strip vicine che superano la soglia t1 , è richiesto che la singola strip superi la soglia t2 (con t2 > t1 ). Nel caso in cui due strip sopra soglia siano distanziate da meno di 2 strip l’algoritmo le raggruppa insieme. Valori tipici per t1 e t2 sono t1 = 4 e t2 = 2. 2.4 Elettronica di controllo In questo paragrafo descriverò brevemente l’elettronica che gestisce il funzionamento dei moduli e dei sistemi di acquisizione e di monitoraggio dei moduli stessi. Le informazioni di configurazione dell’elettronica di front-end vengono scambiate attraverso un sistema di comunicazione conforme al protocollo I2 C [28], che prevede una linea di comunicazione a due vie, una che trasporta i dati ed una che trasporta un segnale di clock alla frequenza di 100 kHz. Ogni periferica è identificata tramite un indirizzo hardware. Attraverso le trasmissioni I2 C vengono impostati i registri programmabili degli APV-25, viene gestito il funzionamento del PLL e del MUX sull’ibrido, vengono impostati i parametri degli AOH e vengono monitorati i parametri del modulo attraverso la DCU. 2.4.1 Anello di controllo Con “anello di controllo” (control ring) si intende la catena opto-elettronica che ha il compito di distribuire i segnali di clock e trigger di LHC all’elettronica di front-end, nonché di gestire la trasmissione dei comandi I2 C. Il control ring inizia e termina con il Front-End Controller (FEC) che gestisce attraverso una linea optoelettrica il funzionamento di un anello di schede chiamate Central Control Unit (CCU), ciascuna delle quali controlla a sua volta i moduli ad essa collegati. In fig.2.11 è riportato lo schema di un control ring. 2.4. ELETTRONICA DI CONTROLLO 41 Figura 2.11: Schema di un control ring. Front-End Controller (FEC) Il FEC [29] riceve i segnali di clock e trigger da LHC e, tramite una scheda chiamata TTCrx, li codifica in un unico segnale togliendo un fronte di clock in corrispondenza dell’arrivo di un segnale di trigger. La trasmissione del clock e dei comandi ai vari dispositivi, nonché la ricezione dei loro stati di configurazione, sono gestite da una scheda chiamata TRx, che comunica attraverso due canali di trasmissione, uno per il segnale di clock e l’altro per i dati. Ogni FEC possiede due schede TRx per garantire il funzionamento del ring anche in caso di guasto di una delle due. Ogni comando che il FEC invia viene prima trascritto su una memoria di tipo FIFO e successivamente viene trasmesso, dopo di che il FEC attende il ritorno della trasmissione inviata, che viene scritta su un’altra FIFO insieme all’esito dell’operazione. Opto-Ibridi Digitali (DOH) Le schede TRx presenti nel FEC trasmettono il clock e i comandi attraverso fibre ottiche che possono raggiungere lunghezze di oltre 100 m. Queste portano i segnali luminosi a due Opto-Ibridi Digitali (DOH - Digital Opto-Hybrid ) che li convertono in segnali elettrici da inviare alle varie periferiche connesse al ring. Analogamente i DOH convertono i segnali provenienti dalle periferiche in segnali luminosi da inviare al FEC. Nel primo caso viene utilizzata una coppia di fotodiodi p−i−n, nel secondo una coppia di dispositivi LLD (Linear Laser Driver ). 42 CAPITOLO 2. IL TRACCIATORE AL SILICIO DI CMS Central Control Unit (CCU) I moduli sono connessi a schede in kapton dette Mother Cable, che forniscono loro le alimentazioni per l’elettronica di front-end e per la polarizzazione dei sensori, e che contengono una linea I2 C per ciascun modulo ospitato, oltre alla linea per i segnali veloci di clock e trigger. I Mother Cable sono equipaggiati con una scheda chiamata Central Control Unit (CCU) [30], che riceve dai DOH il flusso di informazioni provenienti dal FEC e si occupa di gestire le comunicazioni I2 C con i moduli e di fornire loro il clock e il trigger. Il FEC e le CCU costituiscono i cosiddetti nodi del ring, e comunicano fra loro secondo la tecnica del token ring [30]: il FEC inizia la trasmissione sul ring inviando un messaggio di inizializzazione detto token che arriva alla prima CCU presente nell’anello; se questa non intende effettuare una trasmissione invia il token alla CCU successiva, altrimenti sostituisce il token con una sequenza di dati e la invia al nodo successivo; se questo non è la destinazione della trasmissione la sequenza viene inviata al nodo successivo. Il nodo di destinazione copia la sequenza e ne immette nel ring una uguale tranne per gli ultimi 4 bit che vengono modificati. Quando la sequenza cosı̀ modificata torna al nodo di destinazione esso la rimuove dal ring e ripristina la circolazione di un token vuoto. Si noti che con questa tecnica di trasmissione sia le operazioni di scrittura sui registri delle periferiche che quelle di lettura necessitano dell’invio di un comando nel ring da parte del FEC. La CCU prevede due diversi livelli di comunicazione. Il primo, detto ring, connette il FEC alle CCU e le CCU tra di loro. Il secondo, detto channel interface, si occupa di distribuire i comandi ai vari dispositivi connessi a ciascuna CCU attraverso le linee I2 C. Questa doppia architettura si rende necessaria per disaccoppiare operazioni veloci, come la distribuzione del clock codificato, da operazioni lente, come la scrittura e la lettura dei registri I2 C. 2.4.2 Detector Control Unit (DCU) Sull’ibrido di ciascun modulo è montato un chip, chiamato Detector Control Unit [31], che ha il compito di monitorare lo stato del modulo. La DCU contiene un ADC a 8 bit, due generatori di correnti costanti e un sensore in grado di misurare la temperatura, nonché un’interfaccia per le comunicazioni I2 C con la CCU. In particolare la DCU misura la temperatura del sensore, quella dell’ibrido e la propria, e le tensioni di 1.25 V e 2.5 V di alimentazione delle componenti analogiche e digitali di front-end. Inoltre ciascuna DCU ha un numero identificativo che viene utilizzato per individuare in modo univoco il modulo ad essa collegato. 2.5. RICOSTRUZIONE OFFLINE 2.5 43 Ricostruzione offline Il software utilizzato per la ricostruzione offline si chiama CMSSW ed è scritto in linguaggio C++. CMSSW segue quindi una logica di programmazione a oggetti, per cui i dati e i prodotti dell’analisi vengono gestiti sottoforma di oggetti o container di oggetti C++. CMSSW è inoltre strutturato secondo un’architettura modulare. Esiste un solo eseguibile, che si occupa di gestire le operazioni di vari moduli. Per “modulo” si intende una parte del codice che raggruppa un insieme ben definito di operazioni da eseguire su ciascun evento. Un evento, o Event, è un container di oggetti C++ contenente tutti i dati riguardanti un singolo evento fisico. Gli oggetti contenuti in un evento possono essere sia dati provenienti direttamente dal FED, sia dati che hanno già subito alcuni passi della ricostruzione. La catena di ricostruzione viene definita dall’utente attraverso un file di configurazione, che seleziona quali dati prendere in ingresso, quali moduli e in che ordine devono essere eseguiti su ciascun evento contenuto nei dati, che valore devono avere i parametri di impostazione dei vari moduli e quali output devono essere infine prodotti. Lo stesso eseguibile e la stessa procedura sono utilizzati sia per i dati fisici che per i dati Monte Carlo. È possibile accedere ai dati solo tramite l’oggetto Event. Durante l’esecuzione, quando un modulo ha terminato di processare i dati, il suo output viene trascritto nell’Event e questo viene passato al modulo successivo. Al termine dell’esecuzione quindi sono contenuti nell’Event sia i dati di partenza che quelli processati. L’input e l’output sono costituiti da file in formato ROOT [32]. In questa sezione descriverò la prima fase della ricostruzione offline, nella quale vengono individuati gli hit, cioè i punti del tracciatore in cui è stato rivelato il passaggio di una particella. Per poter ricostruire gli hit, e quindi in generale per poter compiere qualsiasi tipo di analisi successiva sui dati, è necessario effettuare alcune prese dati preliminari. Durante queste acquisizioni vengono effettuate le seguenti operazioni: viene ottimizzata la catena dei ritardi agendo sulle PLL degli APV-25, in modo tale da sincronizzare l’arrivo dei frame degli APV-25 ai canali del FED; vengono regolati il guadagno dei laser sugli opto-ibridi e l’altezza della baseline degli APV-25. Al termine di queste operazioni viene eseguita una presa dati con il FED in Virgin Raw Data mode, con la quale vengono calcolati offline i piedistalli di ciascuna strip 44 CAPITOLO 2. IL TRACCIATORE AL SILICIO DI CMS come nella (2.2) ed il rispettivo rumore al netto del rumore di modo comune, come definito nella (2.5). Queste informazioni vengono memorizzate in un database, insieme ad altre sulla collocazione dei vari moduli nella geometria globale di CMS e circa la presenza di eventuali strip o chip danneggiati, individuati nella fase di assemblaggio. Il database verrà poi utilizzato sia per il funzionamento del FED in Zero Suppression mode che per la ricostruzione offline, supponendo che i valori dei piedistalli e del rumore memorizzati rimangano sufficientemente costanti durante tutta la presa dati effettiva. 2.5.1 Ricostruzione degli hit La ricostruzione degli hit è affidata a tre moduli di CMSSW che, partendo dai segnali digitalizzati dal FED espressi in conteggi ADC, producono altrettanti oggetti. Questi sono detti, seguendo l’ordine di applicazione dei moduli: Digi, Cluster e RecHit. Digi Il primo modulo crea un vettore (collection) in cui associa a tutti i rivelatori del tracciatore degli oggetti, raggruppati a loro volta in un vettore, chiamati appunto Digi. Ciascun Digi si riferisce ad una strip del rivelatore e contiene il segnale espresso in conteggi ADC di tale strip e il numero identificativo di strip. Sono sempre presenti quattro collection di Digi, una per ogni modalità di funzionamento del FED. A seconda della modalità selezionata viene riempita una collection, mentre le altre vengono lasciate vuote. Nel caso in cui il FED stia lavorando in modalità Zero Suppression, cioè nella modalità standard per la presa dati a LHC, vengono costruiti i Digi partendo direttamente dalle strip che hanno superato il cluster finding del FED. Se invece il FED sta lavorando in Virgin Raw Data mode, la collection contiene i Digi relativi a tutte le strip dei rivelatori. In questo modo ad esempio è possibile misurare i piedistalli di tutte le strip per memorizzarli nel database. Tuttavia se la collection Virgin Raw è utilizzata per ricostruzioni offline di eventi, viene comunque simulato l’algoritmo di Zero Suppression e sono comunque usati solo i Digi che superano il cluster finding. Cluster Il modulo successivo prende in ingresso il vettore di Digi prodotto dal primo modulo e cerca fra di essi quali effettivamente sono da associare al passaggio di una particella e quali invece sono da considerare dovuti al rumore, raggruppando eventualmente 2.5. RICOSTRUZIONE OFFLINE 45 in un vettore quei Digi che sono riconducibili al passaggio della stessa particella. Un tale vettore di Digi, composto al limite anche da un solo Digi, è detto Cluster. L’output di questo modulo è costituito quindi da un nuovo vettore in cui viene associato ad ogni rivelatore un vettore di Cluster. Per individuare i Digi con cui formare i Cluster, CMSSW utilizza un algoritmo detto ThreeThresholdClusterizer, che si basa sostanzialmente sul superamento di tre soglie nel rapporto segnale/rumore. Le tre fasi in cui si articola il ThreeThresholdClusterizer sono: Seed Threshold L’algoritmo ricerca una strip con un rapporto segnale/rumore S/N > tSeed , la quale costituisce il cosiddetto Seed del Cluster. Tipicamente vale tSeed = 4. Channel Threshold Vengono incluse nel Cluster le strip vicine al Seed che abbiano un rapporto segnale/rumore S/N > tChannel , con tChannel ≤ tSeed (tipicamente tChannel = 3). Vengono inserite nel Cluster anche strip che non superano la soglia tChannel , ma che si trovano fra due strip che la superano. Tali strip vengono dette hole. Inoltre, nel caso in cui si trovino strip che risultano difettose nel database vicino a strip che superano tChannel , le strip difettose vengono inserite fra i possibili Seed di un Cluster. Cluster Threshold Si verifica che il rapporto fra il segnale complessivo del Cluster, ottenuto come somma dei conteggi ADC dei Digi che lo compongono, ed il suo rumore, definito come la somma quadratica dei rumori delle strip che lo compongono, sia tale per cui S/N > tCluster , con tCluster ≥ tSeed . Un valore tipicamente adottato per la terza soglia è tCluster = 5. I tagli sono effettuati confrontando il segnale di ciascuna strip con il suo rumore al netto del rumore di modo comune, e necessitano quindi di una presa dati preliminare in cui vengano acquisite le informazioni sul rumore delle strip. Le soglie tSeed , tChannel e tCluster , cosı̀ come il numero massimo di hole permesse in un Cluster, sono parametri che vengono stabiliti dall’utente nel file di configurazione. RecHit L’ultima parte della ricostruzione degli hit consiste nella produzione dei RecHit, cioè nella trasformazione dei Cluster, che individuano ancora il punto di passaggio della particella in termini di strip del rivelatore, in punti espressi in termini delle coordinate locali del rivelatore, detti appunto RecHit. 46 CAPITOLO 2. IL TRACCIATORE AL SILICIO DI CMS Figura 2.12: Sistema di riferimento locale di un modulo rettangolare mono (sinistra) e stereo (destra). Il sistema di riferimento locale di ciascun modulo è definito in CMSSW come quel sistema destrorso di coordinate cartesiane avente l’origine al centro del modulo, l’asse y parallelo alla strip centrale con il verso positivo in direzione del lato opposto a quello su cui è montato l’ibrido, e l’asse z ortogonale al modulo ed uscente dal lato giunzione. In questo modo, nel caso di rivelatori rettangolari, l’asse y è parallelo alle strip e l’asse x perpendicolare. In fig.2.12 è riportato un disegno del sistema di riferimento locale di un modulo rettangolare mono, e di uno stereo. Le coordinate dei RecHit, calcolate con le relative incertezze, possono poi essere trasformate in coordinate espresse nella geometria globale di CMS attraverso le informazioni sulla geometria contenute nel database, costituendo in questo modo il punto di partenza per la ricostruzione delle tracce. La posizione del RecHit nelle coordinate locali viene calcolata ricavando il centroide dei conteggi ADC dei vari Digi che compongono il Cluster. Per un rivelatore a singola faccia la coordinata misurata con precisione è quella perpendicolare alle strip. La posizione lungo la strip viene assunta in questo caso uguale a zero, cioè al centro della strip stessa. Nel caso in cui invece il RecHit si trovi su un rivelatore a doppia faccia, il modulo che si occupa della ricostruzione del RecHit cerca nel rivelatore che costituisce l’altra faccia la presenza di un RecHit che possa essere associato al primo. Per far questo viene definito un “modulo virtuale”, detto glued, con lo stesso sistema di riferimento del modulo mono, ma con il centro situato fra il modulo mono e quello stereo. I cluster sia del rivelatore mono che di quello stereo vengono proiettati sul modulo glued seguendo l’inclinazione della traccia, inizialmente assunta come rettilinea e congiungente il centro d’interazione al centroide del cluster. A questo punto viene effettuata l’intersezione fra le strip proiettate sul modulo glued e vengono quindi 2.5. RICOSTRUZIONE OFFLINE 47 calcolate le coordinate dei punti di intersezione con i relativi errori. Se un punto ottenuto in questo modo si trova all’interno del modulo o al più entro 3 deviazioni standard dal bordo del modulo, viene considerato valido e memorizzato come RecHit glued, altrimenti vengono mantenuti i RecHit mono e stereo separatamente. In presenza di un campo magnetico viene inoltre effettuata una correzione sulla posizione del RecHit che tiene conto della deviazione dei portatori di carica all’interno del rivelatore a causa della forza di Lorentz. Per operare tale correzione il file di configurazione deve passare a questo modulo il valore della tangente dell’angolo di Lorentz per unità di campo magnetico (espresso in Tesla). Come già detto il lavoro di questa tesi riguarda proprio l’effetto del campo magnetico nella ricostruzione degli hit nel tracciatore. Nel prossimo capitolo cominceremo a vedere questo effetto. Capitolo 3 Rivelatori al silicio in campo magnetico In questo capitolo descriverò alcune caratteristiche dei rivelatori al silicio che riguardano direttamente il mio lavoro di tesi. In particolare mi soffermerò sugli effetti nel moto dei portatori di carica dovuti alla presenza di un campo magnetico. Descriverò inoltre i risultati ottenuti con un modello da me fatto, in cui vengono simulati tali effetti all’interno dei rivelatori al silicio da noi utilizzati per la misura oggetto di questo lavoro di tesi. 3.1 Proprietà del silicio In questa sezione darò un breve accenno ad alcune proprietà dei semiconduttori e in particolare del silicio. Per una trattazione più dettagliata si rimanda ai testi di G.Lutz [33] e di K.Seeger [34]. Le caratteristiche fisiche del silicio derivano dalla sua struttura cristallina. A causa della periodicità del potenziale di interazione con i nuclei, dovuto a tale struttura, si ha la comparsa di due regioni di energie permesse per gli elettroni, dette banda di valenza e banda di conduzione, separate da una regione di energie proibite, detta gap come mostrato in fig.3.1. La banda di conduzione corrisponde ad elettroni liberi di muoversi all’interno del materiale, mentre la banda di valenza ad elettroni legati ad un particolare sito reticolare. L’intervallo di energie proibite, Eg , costituisce un parametro fondamentale per il comportamento del materiale. Esso infatti rappresenta l’energia minima necessaria per portare in banda di conduzione un elettrone. Quest’ultimo, passando in banda di conduzione, lascia una lacuna nella banda di valenza. Questa a sua volta si comporta a tutti gli effetti come una carica positiva libera di muoversi nel reticolo. 50 CAPITOLO 3. RIVELATORI AL SILICIO IN CAMPO MAGNETICO Figura 3.1: Rappresentazione schematica della struttura a bande dei livelli energetici più esterni degli elettroni nel silicio e della produzione di coppie elettrone-lacuna. Nel silicio, in cui Eg = 1.14 eV, a T ∼ 300 K alcuni elettroni della banda di valen- za acquistano per agitazione termica un’energia sufficiente per passare in banda di conduzione, dando luogo alla di produzione di coppie elettrone-lacuna. Al contrario nei materiali isolanti il valore di Eg (≥ 5 eV) è troppo grande perché venga popolata in maniera significativa la banda di conduzione. 3.1.1 Silicio intrinseco e drogato In un semiconduttore intrinseco, cioè in un cristallo puro, la densità di cariche libere è la stessa per gli elettroni e per le lacune. Tale densità, detta ni , è pari a ∼ 1010 cm−3 nel silicio a temperatura ambiente. Le espressioni delle concentrazioni di elettroni (n) e lacune (p) sono: n = Nc e− p = Nv e− Ec −EF kT (3.1) EF −Ev kT (3.2) dove Nc e Nv sono le densità degli stati per elettroni e lacune, Ec ed Ev sono rispettivamente l’energia minima della banda di conduzione e l’energia massima della banda di valenza ed EF è l’energia di Fermi, corrispondente all’energia massima raggiunta a T = 0 K da una popolazione di fermioni (in questo caso elettroni). Moltiplicando le densità dei portatori si trova la cosiddetta “legge di azione di massa”: n2i = n · p = Nc Nv e− Ec −Ev kT Eg = Nc Nv e− kT (3.3) Il prodotto n·p è quindi indipendente dall’energia di Fermi e pertanto la legge di azione di massa rimane verificata anche nel caso in cui vengano alterate le concentrazioni 51 3.1. PROPRIETÀ DEL SILICIO dei portatori in maniera articifiale, attraverso un procedimento detto genericamente “drogaggio”. Si definiscono semiconduttori di tipo n cristalli di silicio in cui sono stati aggiunti nel reticolo atomi del V gruppo, detti donori (tipicamente Fosforo), i quali hanno un elettrone di valenza in più rispetto al silicio. L’elettrone eccedente è facilmente ionizzabile e passa in banda di conduzione, lasciando uno ione positivo nel sito reticolare cui apparteneva. Si ha quindi in questo caso un aumento della concentrazione dei portatori di carica negativi. Detta ND la concentrazione dei donori, vale tipicamente ND ≫ ni , pertanto le concentrazioni di elettroni e lacune sono date da: ( n ≃ ND p≃ n2i ND (3.4) Semiconduttori di tipo p invece sono cristalli in cui sono stati aggiunti atomi del III gruppo, detti accettori (tipicamente Boro), con un elettrone di valenza in meno rispetto al silicio. Il legame non saturato tende a catturare un elettrone, diventando a sua volta uno ione negativo e creando una lacuna. Nei semiconduttori di tipo p quindi i portatori maggioritari sono le lacune e, supponendo anche in questo caso NA ≫ ni con NA concentrazione degli atomi accettori, si avrà: ( p ≃ NA n≃ n2i NA (3.5) Valori tipici delle concentrazioni dei droganti, sia di accettori che donori, variano da 1012 a 1017 cm−3 . 3.1.2 La giunzione pn Si ottiene una giunzione pn quando un cristallo semiconduttore viene drogato con atomi donori in un lato e con atomi accettori nell’altro. Il gradiente di concentrazione delle cariche libere, elettroni da una parte e lacune dall’altra, genera una diffusione dei portatori maggioritari verso le regioni in cui la loro concentrazione è inferiore. Tale diffusione porta ad una ricombinazione di elettroni e lacune entro una regione intorno alla giunzione, detta regione di svuotamento in quanto priva di portatori liberi (fig.3.2). Nella regione di svuotamento quindi il ricombinarsi di elettroni e lacune lascia un eccesso di carica negativa nella parte di tipo p, in quanto gli accettori presenti sono ionizzati negativamente avendo acquistato un elettrone. Al contrario la parte di tipo n ha un eccesso di carica positiva, in quanto i donori hanno perso un elettrone rimanendo ionizzati positivamente. Per questo la regione di svuotamento è anche detta regione di carica spaziale. Il processo di diffusione dei portatori maggioritari si arresta quando il campo elettrico generato dagli ioni presenti nelle due parti della regione di svuotamento è tale da contrastare la diffusione 52 CAPITOLO 3. RIVELATORI AL SILICIO IN CAMPO MAGNETICO Figura 3.2: Rappresentazione schematica di una giunzione pn con formazione della regione di svuotamento. dei portatori maggioritari. La differenza di potenziale V0 che si viene a creare fra un estremo e l’altro della giunzione una volta raggiunto l’equilibrio è data da: kT ln V0 = e NA ND n2i (3.6) e tipicamente ha un valore di alcune centinaia di mV a temperatura ambiente. Nel caso in cui la concentrazione dei droganti sia diversa nei due tipi di materiale, la regione di svuotamento si estenderà maggiormente nella parte a minore drogaggio. La densità di carica nella regione di svuotamento è data infatti da eND nella parte di tipo n e da −eNA nella parte di tipo p. Quindi, dovendo rimanere la regione di svuotamento complessivamente neutra, deve valere wn ND = wp NA dove wn e wp sono lo spessore della regione di svuotamento nella parte n e p rispettivamente. Supponendo che la giunzione abbia simmmetria planare e imponendo le condizioni di bordo (campo elettrico nullo ai bordi della regione di svuotamento e raccordo del potenziale alla giunzione), si ricava dall’equazione di Poisson: V (x) = eNA (wp 2ǫ + x)2 per −wp ≤ x ≤ 0 − eND (w − x)2 + V per n 0 2ǫ (3.7) 0 ≤ x ≤ wn dove ǫ = ǫ0 ǫr è la costante dielettrica del materiale e V0 = V (wn ) − V (−wp ) è il potenziale di giunzione ricavato nella (3.6). Imponendo la condizione di raccordo del potenziale alla giunzione, V0 risulta uguale a: V0 = e (NA wp2 + ND wn2 ) 2ǫ (3.8) 53 3.1. PROPRIETÀ DEL SILICIO Il campo elettrico all’interno della regione di svuotamento invece sarà dato da: eNA − ǫ (wp + x) per −wp ≤ x ≤ 0 E(x) = (3.9) − eND (w − x) per 0 ≤ x ≤ w n n ǫ Dalla (3.8) e dalla condizione di neutralità della regione di svuotamento è possibile ricavare lo spessore W di quest’ultima in funzione delle concentrazioni dei droganti e del potenziale di giunzione: W = (wn + wp ) = r 2ǫV0 NA + ND e NA ND (3.10) Solitamente per la realizzazione dei rivelatori le giunzioni utilizzate non sono simmetriche, la concentrazione dei droganti è cioè molto maggiore in una delle due parti della giunzione. Giunzioni di questo tipo vengono dette unilaterali, e sono indicate come p+ n nel caso in cui NA ≫ ND , o n+ p nel caso in cui ND ≫ NA . In questi casi la regione di svuotamento si estende praticamente tutta nel lato della giunzione con minore concentrazione. Ad esempio nel caso dei rivelatori del tracciatore a microstrisce di CMS, le strip formano con il substrato una giunzione p+ n e lo spessore della regione di svuotamento è approssimabile a: r 2ǫV0 wn ≃ eND (3.11) In fig.3.3 è riportato l’andamento della densità di carica, del campo elettrico e del potenziale per una giunzione p+ n all’equilibrio termodinamico. Figura 3.3: Densità di carica (ρ), campo elettrico (ǫ) e potenziale (V ) di una giunzione unilaterale p+ n. 54 CAPITOLO 3. RIVELATORI AL SILICIO IN CAMPO MAGNETICO Nei dispositivi comunemente usati per la rivelazione di particelle inoltre le giun- zioni vengono contropolarizzate, viene cioè applicata una tensione VP dello stesso segno di V0 agli estremi della giunzione. La tensione VP è detta tensione di polarizzazione e, sommandosi a V0 nella (3.10) o nella (3.11), aumenta lo spessore della regione di svuotamento. Le condizioni ottimali per il funzionamento del rivelatore si ottengono quando la regione di svuotamento si estende all’intero cristallo (come verrà mostrato nella sez.3.3.1). Il valore della tensione di polarizzazione per cui la regione di svuotamento è massima è dato da: Vs ≃ eND d2 2ǫ (3.12) dove Vs è detta appunto tensione di svuotamento, e d è lo spessore del rivelatore. Considerando una giunzione p+ n contropolarizzata con VP < Vs ed utilizzando la (3.9) e la (3.11), si può esprimere il campo elettrico all’interno del lato n della giunzione (dove si estende praticamente tutta la regione di svuotamento) come: E(x) = − 2VP (wn − x) wn2 VP < Vs (3.13) dove wn è lo spessore della regione di svuotamento. Se invece V > Vs la (3.13) diventa [35, 36]: E(x) = − VP − Vs 2Vs (d − x) − 2 d d VP ≥ Vs (3.14) dove d è lo spessore del rivelatore. Le equazioni (3.13) e (3.14) risulteranno utili nella sez.3.4 per la formulazione del modello sugli effetti del campo magnetico sul moto dei portatori. Spesso i rivelatori vengono polarizzati con tensioni molto maggiori della tensione di svuotamento (overdepletion), per migliorare l’efficienza di raccolta di carica. In questi casi la (3.14) si può approssimare con E ≃ −VP /d, e il campo elettrico assume quindi un valore circa costante all’interno di tutta la regione di svuotamento. La presenza del campo elettrico all’interno della regione di svuotamento, in condizioni di polarizzazione del rivelatore, fa sı̀ che le coppie elettrone-lacuna generate nella regione di svuotamento non si ricombinino, ma si muovano sotto l’effetto del campo dando luogo a una corrente. Una caratteristica importante di una giunzione pn contropolarizzata è la capacità ad essa associata, dovuta alla carica spaziale presente nella regione di svuotamento. Tale capacità è definita come: C= dQ dQ dW · = dVP dW dVP (3.15) dove dW è l’allargamento della regione svuotata dovuto all’aumento della tensione di polarizzazione dVP , e dQ è l’aumento della carica ad entrambi i lati della giunzione 3.1. PROPRIETÀ DEL SILICIO 55 determinato dall’allargamento dW . Nel caso di giunzioni di tipo p+ n si ottiene la seguente espressione della capacità per unità di superficie: q eǫND per V < Vs 2V C/S = ǫ per V ≥ Vs d (3.16) dove S è l’area della sezione della giunzione, Vs è la tensione di svuotamento e d lo spessore del rivelatore. 3.1.3 Moto dei portatori di carica Il moto dei portatori di carica (elettroni in banda di conduzione e lacune in banda di valenza) è descrivibile come il moto di particelle libere, dal momento che non sono associati ad un particolare sito reticolare. La loro energia cinetica media vale pertanto 32 kT e la loro velocità a temperatura ambiente è dell’ordine di 107 cm/s. Durante il loro moto i portatori di carica subiscono urti con i fononi dovuti alle vibrazioni reticolari e con le imperfezioni presenti nel reticolo stesso. Tipicamente il cammino libero medio è dell’ordine di 10−5 cm, mentre il tempo che intercorre fra due urti consecutivi, detto tempo libero medio, vale approssimativamente τ ≈ 10−12 s [33]. A causa degli urti la direzione del moto cambia continuamente in modo casuale, cosicché, in assenza di un campo elettrico esterno e all’equilibrio termodinamico, lo spostamento netto di ciascun portatore risulta essere nullo. Se invece è presente un campo elettrico esterno oppure il sistema non è all’equilibrio a causa di una distribuzione disomogenea dei portatori, lo spostamento netto delle cariche libere è diverso da zero. Nel primo caso il moto delle cariche viene detto di deriva, nel secondo di diffusione. Moto di deriva In presenza di un campo elettrico esterno i portatori di carica vengono accelerati fra un urto e il successivo, acquistando in media una velocità di deriva nella direzione del campo elettrico. Detto E il campo elettrico, τ il tempo libero medio, q la carica di un generico portatore e m∗ la sua massa efficace1 , si ha che l’equazione di moto di un portatore di carica, ricavata con un approccio quasi-classico, è data da [37]: 2 m∗ dr ∗d r m 2 + = −qE (3.17) dt τ dt 1 La massa efficace è definita come l’inverso della derivata seconda dell’energia rispetto all’im- pulso, calcolata nel minimo del potenziale per gli elettroni in banda di conduzione e nel massimo per le lacune in banda di valenza. 56 CAPITOLO 3. RIVELATORI AL SILICIO IN CAMPO MAGNETICO dove il termine viscoso proporzionale alla velocità è dovuto agli urti dei portatori con i fononi e con le impurità presenti nel reticolo. In regime stazionario il termine viscoso annulla quello forzante dovuto al campo elettrico, per cui risulta d2 r/dt2 = 0 e la (3.17) diventa: m∗ qτ vd = −qE −→ vd = ∗ E τ m (3.18) dove vd è appunto la velocità di deriva dei portatori. Indicando quindi con vn e con vp le velocità di deriva rispettivamente di elettroni e lacune, si ha che: vn = − vp = e·τ E = −µn E m∗n e·τ E = µp E m∗p (3.19) (3.20) dove µn e µp sono detti mobilità dei portatori (rispettivamente elettroni e lacune). Nel caso di campi elettrici piccoli, cioè tali per cui la variazione della velocità dovuta all’accelerazione generata dal campo è piccola rispetto alla velocità dovuta all’agitazione termica, µn e µp sono costanti e quindi la velocità di deriva è proporzionale al campo. Nella sezione 3.2 è riportato uno studio più dettagliato sulla mobilità dei portatori di carica nei rivelatori al silicio in varie condizioni di funzionamento. Moto di diffusione Nel caso di una distribuzione non omogenea dei portatori di carica, anche in assenza di un campo elettrico esterno si assiste ad uno spostamento netto dei portatori dalla regione a maggiore verso quella a minore concentrazione. Infatti la probabilità di uno spostamento complessivo dei portatori verso la regione di minore concentrazione è maggiore rispetto allo spostamento nella direzione opposta, per il semplice fatto che ci sono più portatori che hanno la possibilità di spostarsi nella regione di minore concentrazione rispetto a quelli che possono andare verso quella di maggiore concentrazione. Questo moto è detto di diffusione, ed è descritto dalle equazioni [33]: Fn = −Dn · ∇n (3.21) Fp = −Dp · ∇p dove Fn è il campo delle velocità degli elettroni che fluiscono verso la regione di minore concentrazione, Dn il coefficiente di diffusione e ∇n il gradiente di concentrazione. Analogamente Fp , Dp e ∇p per le lacune. Il coefficiente di diffusione e la 3.2. MOBILITÀ DEI PORTATORI DI CARICA NEL SILICIO 57 mobilità sono legati fra loro dall’equazione di Einstein: Dn = kT µ e n Dp = kT µ e p (3.22) Combinando i moti di deriva e diffusione è possibile ottenere l’espressione della densità di corrente dei portatori: Jn = eµn nE + eDn ∇n (3.23) Jp = eµp pE − eDp ∇p Le coppie elettrone-lacuna liberate da una particella ionizzante che attraversa il rivelatore sono sempre soggette sia al moto di deriva dovuto al campo elettrico presente all’interno del rivelatore, sia al moto di diffusione. In assenza di quest’ultimo le cariche liberate seguirebbero esattamente le linee del campo elettrico, mentre la presenza del moto di diffusione introduce una dispersione nelle posizioni di arrivo ai punti di raccolta delle cariche, che può essere descritta da una distribuzione Gaussiana. Supponendo che la creazione delle coppie elettrone-lacuna avvenga in un solo punto, la deviazione standard della distribuzione dei punti d’arrivo è data da: r √ 2kT x σ = 2Dt = (3.24) eE dove D è il coefficiente di diffusione, t la durata del moto di deriva e x la distanza percorsa in tale moto, dal punto in cui vengono liberate le cariche fino al punto di raccolta. 3.2 Mobilità dei portatori di carica nel silicio La mobilità dei portatori di carica riveste un ruolo chiave nella determinazione della loro velocità di deriva all’interno dei rivelatori al silicio e quindi, come verrà specificato nella sezione seguente, nella determinazione della loro deviazione dalla traiettoria originaria in presenza di un campo magnetico esterno. Dal momento che i portatori di carica subiscono urti con i fononi generati dalla vibrazione termica e con le imperfezioni presenti nel reticolo, la mobilità dipenderà, oltre che dal campo elettrico, anche dalla temperatura e, anche se in misura molto minore come vedremo in seguito, dalla concentrazione delle impurità. In fig.3.4 sono riportate le velocità di deriva di elettroni e lacune in cristalli di silicio in funzione del campo elettrico applicato e a differenti temperature. Come mostrato in figura le velocità di deriva, a parità di campo elettrico, aumentano al 58 CAPITOLO 3. RIVELATORI AL SILICIO IN CAMPO MAGNETICO Figura 3.4: Velocità di deriva in funzione del campo campo elettrico applicato lungo la direzione cristallografica h100i (vedi testo) per elettroni e lacune in silicio a differenti temperature [38, 39]. diminuire della temperatura, mentre all’aumentare del campo elettrico (per temperature superiori ai 100 K) si ha una prima regione di linearità, a cui corrisponde un valore della mobilità circa costante, ed una successiva regione di saturazione, nella quale la mobilità diminuisce progressivamente all’aumentare del campo, fino a variare come 1/E quando la velocità raggiunge il valore di saturazione. Infatti per campi elettrici intensi, cioè tali per cui l’energia dei portatori diventa significativamente più grande dell’energia dovuta all’agitazione termica, il tempo medio di collisione non è più indipendente dal campo e quindi la mobilità non è più costante ma diminuisce con l’aumentare del campo, fino a diventare inversamente proporzionale ad esso. La velocità di deriva, sia degli elettroni che delle lacune, mostra inoltre un comportamento anisotropo, dipende cioè dalla direzione cristallografica lungo cui è applicato il campo. Tuttavia tale anisotropia dà effetti rilevanti solo a basse temperature (sotto i 100 K) [38, 39]. Una parametrizzazione dell’andamento della velocità di deriva per elettroni e lacune in funzione del campo elettrico e della temperatura è stata ricavata in [40]. Da essa si può dedurre la seguente formula per la mobilità [35]: µlow µ(E) = E β β1 (1 + ( µvlow ) ) sat (3.25) dove µlow indica la mobilità dei portatori per campi elettrici deboli, vsat la velocità di deriva alla saturazione e β è il parametro del fit. Per le lacune i valori dei parametri sono [35]: T −2.5 µlow = 470.5(cm /Vs) 300 K T 0.17 β = 1.213 300 K T 0.52 vsat = 8.37 × 106 (cm/s) 300 K 2 (3.26) (3.27) (3.28) 3.2. MOBILITÀ DEI PORTATORI DI CARICA NEL SILICIO 59 mentre per gli elettroni [35]: T −2.2 µlow = 1417(cm /Vs) 300 K T 0.66 β = 1.109 300 K T 0.87 vsat = 1.07 × 107 (cm/s) 300 K 2 (3.29) (3.30) (3.31) con T temperatura termodinamica assoluta. La mobilità di elettroni e lacune non dipende dalla concentrazione delle impurità, almeno per valori sotto 1014 cm−3 (valori tipici della concentrazione dei droganti nel substrato sono ∼ 1012 cm−3 ) [41]. Allo stesso modo la variazione della mobilità a causa dei danni da radiazione, che possono essere considerati sostanzialmente come un inserimento di ulteriori impurità nel reticolo cristallino, è trascurabile almeno fino a fluenze equivalenti di 1013 neq /cm2 . L’effetto dei danni da radiazione viene schematizzato ponendo nella (3.26) e nella (3.29) rispettivamente: T −2.5 2 µlow = 460(cm /Vs) per le lacune 300 K T −2.2 per gli elettroni µlow = 1000(cm2 /Vs) 300 K (3.32) (3.33) per rivelatori che hanno subito un irraggiamento superiore ad una fluenza equivalente di 1013 neq /cm2 . Al di sopra di tale fluenza non si osservano ulteriori cambiamenti nella mobilità [35]. 3.2.1 Effetti del campo magnetico sulla mobilità La presenza di un campo magnetico esterno modifica l’equazione di moto dei portatori di carica (3.17) introducendo la forza di Lorentz [34, 37]: 2 m∗ dr ∗d r = q[E + (v × B)] m 2 + dt τ dt (3.34) Consideriamo ad esempio il moto di elettroni monoenergetici, supponendo che il campo elettrico abbia una direzione arbitraria e che il campo magnetico sia diretto lungo l’asse z. Si ricava la seguente espressione della densità di corrente in condizioni di stazionarietà (d2 r/dt2 = 0) [37]: jx = jx = σ0 Ex − ωc τ jy jy = σ0 Ey − ωc τ jx −→ jy = j = j = σ0 Ez z z 1 1+(ωc τ )2 1 1+(ωc τ )2 σ0 (Ex − ωc τ Ey ) σ0 (Ey + ωc τ Ex ) (3.35) σ0 Ez dove σ0 è la conducibilità per campo magnetico nullo e ωc è la frequenza di ciclotrone, e valgono rispettivamente: σ0 = ne2 τ m∗ (3.36) 60 CAPITOLO 3. RIVELATORI AL SILICIO IN CAMPO MAGNETICO eBz m∗ con n concentrazione degli elettroni liberi ed e carica dell’elettrone. ωc = (3.37) La presenza del campo magnetico quindi provoca la comparsa di una corrente nella direzione perpendicolare al campo elettrico e al campo magnetico stesso. Tale corrente a sua volta genera un accumulo di carica alle estremità del cristallo lungo questa direzione, a causa del quale si ha la comparsa di un campo elettrico che contrasta l’ulteriore accumulo di cariche. Quando il campo elettrico cosı̀ formato è tale da annullare la forza di Lorentz, la corrente in questa direzione cessa. La comparsa di questo campo elettrico indotto dalla presenza del campo magnetico è detto effetto Hall. Supponendo per semplicità che il campo elettrico dovuto alla tensione di polarizzazione sia lungo l’asse x, ed il campo magnetico sia ancora lungo l’asse z, a regime si ha jy = 0, per cui dalla (3.35) segue: ( Ey = − ωcστ0jx jx = σ0 Ex (3.38) Si definisce il coefficiente di Hall RH come: RH = Ey jx Bz (3.39) Combinando la definizione (3.39) con le equazioni (3.36), (3.37) e (3.38) si ottiene: RH = − ωc τ 1 =− σ0 Bz ne (3.40) da cui eτ = µn m∗ dove µn è la mobilità degli elettroni definita nella (3.19). RH σ0 = − (3.41) Se passiamo adesso a considerare un insieme di elettroni con distribuzione di R R energia f (E), detta hai = a(E)f (E)dE/ f (E)dE la media sull’insieme di una generica grandezza a(E), le (3.35) diventano [37]: hjx i = αEx − γBz Ey dove hjy i = αEy − γBz Ex hj i = hσ0 iEz z α= γ= E τ ne2 D m∗ 1 + (ωc τ )2 E ne3 D τ2 m∗2 1 + (ωc τ )2 In tal caso l’espressione del coefficiente di Hall diventa: γ 2 −1 γ RH = − 2 1 + 2 Bz2 α α (3.42) (3.43) (3.44) (3.45) 61 3.3. RIVELATORI AL SILICIO A MICROSTRISCE Per campi magnetici piccoli, cioè per (ωc τ )2 ≪ 1, le (3.43) e (3.44) diventano: ne2 ne3 2 hτ i e γ ≃ hτ i m∗ m∗2 da cui si ricava la seguente espressione del coefficiente di Hall: α≃ RH ≃ − 1 hτ 2 i ne hτ i2 (3.46) (3.47) La mobilità in presenza di un campo magnetico, detta mobilità di Hall, è quindi per (ωc τ )2 ≪ 1: hτ 2 i µH = RH σ0 = µ n = rH µ n hτ i2 dove si è definito il “fattore di Hall” rH come rH = hτ 2 i hτ i2 (3.48) (3.49) Esso mostra una debole dipendenza dalla temperatura, mentre non dipende affatto dalla concentrazione delle impurità, almeno fino a valori sotto 1014 cm−3 [42, 43]. A temperatura ambiente si trovano per rH i seguenti valori [35]: rH = 1.15 per gli elettroni (3.50) rH = 0.7 per le lacune (3.51) Per campi magnetici intensi ((ωc τ )2 ≫ 1) si ha invece che le (3.43) e (3.44) diventano: α≃ ne2 −1 hτ i m∗ ωc2 e γ≃ ne3 m∗2 ωc2 (3.52) da cui 1 ⇒ rH → 1 (3.53) ne Dalla (3.37) si ha che la condizione (ωc τ )2 ≫ 1 può essere espressa come [34]: 2 eBz τ ≫ 1 ⇒ (µH Bz )2 ≫ 1 (rH → 1) (3.54) ∗ m RH ≃ − Assumendo ad esempio µnH ∼ 1400 cm2 /Vs e µpH ∼ 400 cm2 /Vs si ha che la condi- zione di campi magnetici intensi è soddisfatta per valori del campo magnetico pari a B ≫ 7 T per gli elettroni e B ≫ 25 T per le lacune, cioè ben al di sopra dei 4 T in cui si troveranno ad operare i rivelatori di CMS. Quindi nel nostro caso utilizzeremo i valori di rH ricavati nell’approssimazione di campi magnetici deboli. 3.3 Rivelatori al silicio a microstrisce In questa sezione descriverò i principi di funzionamento di un generico rivelatore al silicio e in particolare alcune caratteristiche che riguardano i rivelatori del tracciatore a microstrisce di CMS. Descriverò inoltre gli effetti del campo magnetico sul segnale prodotto nei rivelatori. 62 CAPITOLO 3. RIVELATORI AL SILICIO IN CAMPO MAGNETICO 3.3.1 Principi generali di funzionamento I dispositivi comunemente usati per la rivelazione sono costituiti da una giunzione pn contropolarizzata, con la regione di svuotamento estesa all’intero cristallo. Nel caso dei rivelatori a microstrisce di CMS le giunzioni sono del tipo p+ n. Quando una particella ionizzante attraversa il rivelatore, come mostrato in fig.3.5, perde energia per collisioni con gli elettroni degli atomi presenti, causando la ionizzazione di questi ultimi e la conseguente creazione di coppie elettrone-lacuna libere di muoversi all’interno del cristallo. Se questo avviene nella regione non svuotata, gli elettroni e le lacune prodotte si ricombinano rapidamente senza produrre alcun effetto. Se al contrario la produzione delle coppie elettrone-lacuna avviene nella regione svuotata, le cariche migrano sotto l’effetto del campo elettrico e vengono raccolte ai capi della giunzione generando un segnale che individua il passaggio della particella. Per questo le condizioni ottimali di utilizzo si ottengono quando la regione di svuotamento è massima. La perdita di energia di una particella carica che attraversa un materiale è descritta dalla formula di Bethe-Bloch [44] e ha un minimo, normalizzato per la densità del mezzo, a ∼ 2 MeV g−1 cm2 . Tale valore minimo è lo stesso per tutte le particelle di carica ±1 (ad eccezione di elettroni e positroni) con β ∼ 0.96 (dove βc è la velocità della particella incidente e c la velocità della luce) ed è indipendente dal mezzo attraversato (a patto che abbia Z/A ≃ 0.5). Si parla in questi casi di particelle al minimo di ionizzazione (mip, minimum ionizing particle). La distribuzione della perdita di energia attraverso assorbitori sottili, come nel caso dei rivelatori del tracciatore di CMS, è descritta dalla teoria di Landau [45]. Tale distribuzione è asimmetrica, per cui la perdita di energia più probabile è inferiore alla perdita di energia media, a Figura 3.5: Schema generale di un rivelatore al silicio p+ n. 63 3.3. RIVELATORI AL SILICIO A MICROSTRISCE htemp Distribuzione di carica TIB layer 2 Entries 6561 Mean 121.1 RMS 55.85 χ2 / ndf 409.1 / 92 Constant 2632 ± 51.7 91.13 ± 0.36 MPV Sigma 12.09 ± 0.19 500 400 300 200 100 0 0 100 200 300 400 500 carica (conteggi ADC) Figura 3.6: Distribuzione di carica rilasciata nei moduli del TIB layer 2 all’esperimento MTCC (descritto in Cap.4 e Cap.5). I dati si riferiscono ad alcune delle acquisizioni effettuate a 0 Tesla. Sulla distribuzione è stato eseguito un fit a una Landau in approssimazione di Moyal. causa di eventi rari in cui avvengono grossi trasferimenti di energia agli elettroni atomici. Dal momento che l’energia rilasciata dalla praticella all’interno del rivelatore è proporzionale al numero di coppie elettrone-lacuna create, anche la distribuzione di carica rilasciata nel rivelatore avrà un andamento descritto dalla Landau. In fig.3.6 è riportata a titolo di esempio la distribuzione della carica prodotta dai muoni che attraversano i rivelatori del TIB layer 2 nell’esperimento MTCC, che verrà descritto nei capitoli seguenti. Il fit è stato eseguito con una distibuzione di Moyal [46], spesso utilizzata come approssimazione della Landau, la cui espressione analitica è data da: λ + e−λ 1 √ exp − , con λ = K(E − Ep ) (3.55) 2 2π dove Ep è la perdita di energia più probabile e K è una costante che dipende dal rivelatore. Anche gli altri fit a una Landau riportati nel seguito sono stati eseguiti in approssimazione di Moyal. L’energia media necessaria per creare una coppia elettrone-lacuna nel silicio a temperatura ambiente è 3.6 eV, e aumenta al diminuire della temperatura (a 77 K vale 3.8 eV) [45]. Tale energia è indipendente dal tipo di particella incidente e dalla sua energia. Come visto nella sezione 3.1.1, nel silicio l’ampiezza della banda proibita, corrispondente all’energia necessaria per creare una coppia elettrone-lacuna, vale Eg = 1.14 eV, ovvero circa un terzo del valore dell’energia media per creazione 64 CAPITOLO 3. RIVELATORI AL SILICIO IN CAMPO MAGNETICO Figura 3.7: Schematizzazione di un rivelatore a microstrisce di silicio. di coppia. Questo significa che solo un terzo dell’energia depositata dalla particella nel rivelatore è utilizzata per la produzione di coppie elettrone-lacuna, gli altri due terzi vengono trasferiti in eccitazione dei livelli di vibrazione reticolari. Gli elettroni liberati dalla particella ionizzante all’interno del rivelatore migrano, sotto l’effetto del campo elettrico, verso il lato ohmico, mentre le lacune si dirigono verso le strip più vicine del lato giunzione. Dalla lettura del segnale prodotto su ciascuna strip si ricostruisce la coordinata del punto di passaggio della particella. A titolo illustrativo in fig.3.7 è riportato lo schema di un rivelatore del Tracker Inner Barrel di CMS attraversato da una mip. Il metodo più generale per calcolare la corrente indotta su ciascuna strip dalle cariche in movimento liberate dalla particella all’interno del rivelatore è descritto dal teorema di Shockley-Ramo [47, 48]. Questo teorema è stato originariamente ricavato per lo studio delle correnti indotte negli elettrodi dei rivelatori a multifili, e quindi per cariche in movimento in uno spazio complessivamente neutro. Tuttavia è possibile adattare il teorema anche al caso dei semiconduttori, in cui le cariche liberate dalle particelle ionizzanti si muovono all’interno della regione di svuotamento che presenta densità di carica spaziale diversa da zero [49]. Nel caso dei semiconduttori il teorema afferma che la corrente indotta nella strip j-esima da una carica q in moto nella regione di svuotamento è data da [49]: Z 1 ∂ρ ′ ij = q·v·E − V ′ · dv Vj ∂t Volume (3.56) dove ij e Vj sono la corrente indotta nella strip j-esima ed il suo potenziale, v la velocità della carica q, ρ è la densita di carica nella regione di svuotamento e V ′ 3.3. RIVELATORI AL SILICIO A MICROSTRISCE 65 Figura 3.8: Esempio di potenziale peso nell’area adiacente alla strip (in alto) e campo elettrico peso lungo l’asse della strip all’interno del bulk (in basso). L’asse x attraversa lo spessore del rivelatore ed ha l’origine nel lato ohmico [50]. ed E′ = −∇V ′ sono rispettivamente il potenziale ed il campo peso. Questi ultimi sono ottenuti in assenza della carica q, fissando Vj = 1 V e mettendo a massa tutti gli altri conduttori, ovvero tutte le altre strip ed il catodo della giunzione. Come mostrato in fig.3.8, si ricava che il potenziale peso V ′ è circa zero in tutta la regione di svuotamento e cresce fino a raggiungere l’unità presso la strip in esame. Si ha inoltre che il picco in prossimità della strip è tanto più accentuato quanto maggiore è il rapporto fra lo spessore del rivelatore e la larghezza della strip [44]. Se la carica presente nella regione di svuotamento è costituita da sole cariche fisse si avrà ∂ρ/∂t = 0, e quindi, sostituendo Vj = 1 V, la (3.56) diventa: ij = q · v · E′ 1V (3.57) Integrando rispetto al tempo la (3.57) si ricava la carica totale Qj indotta nella strip j-esima dalla carica in moto q. Essa sarà data da: Qj = q · ∆V ′ 1V (3.58) dove ∆V ′ è la differenza di potenziale peso fra il punto di partenza ed il punto di arrivo della carica q. Dal momento che, come mostrato in fig.3.8, il potenziale peso 66 CAPITOLO 3. RIVELATORI AL SILICIO IN CAMPO MAGNETICO è circa costante per quasi tutto lo spessore del substrato ad eccezione della regione vicina alla strip, si ha che la carica indotta nella strip sarà dovuta sostanzialmente solo ai portatori che attraversano questa regione, per i quali ∆V ′ è significativamente diverso da 0. Quindi nel caso dei rivelatori del tracciatore a microstrisce di CMS contribuiscono al segnale sulle strip solo le lacune, mentre gli elettroni danno un contributo trascurabile. 3.3.2 Effetti del campo magnetico sul segnale Il tracciatore di CMS si troverà ad operare in un campo magnetico di 4 T. A causa di questo i portatori di carica liberati da una particella ionizzante all’interno del rivelatore, oltre al moto di deriva causato dal campo elettrico presente nella regione di svuotamento, subiranno anche l’effetto della forza di Lorentz. Come mostrato in fig.3.9, l’effetto della forza di Lorentz è una deviazione di un angolo ΘL , detto angolo di Lorentz, rispetto alla direzione di deriva dovuta al campo elettrico. Detta x la coordinata ortogonale alle strip, l’effetto del campo magnetico esterno sul segnale è quindi uno spostamento ∆x nella coordinata misurata dalle strip, dipendente dall’ampiezza dell’angolo ΘL e dal punto di formazione di ciascuna coppia elettronelacuna, e in generale una maggior dispersione fra strip adiacenti della carica liberata dalla particella. È possibile ricavare l’espressione della tangente dell’angolo di Lorentz attraverso una trattazione quasi-classica nel seguente modo. Detta vd la velocità di deriva dei portatori dovuta esclusivamente al campo elettrico, il campo magnetico produrrà un’accelerazione dei portatori durante il tempo libero medio τ nella direzione ortogonale a vd e al campo magnetico stesso. Come effetto netto si ha la comparsa di Figura 3.9: Modifica del segnale dovuto al passaggio di una particella ionizzante in un rivelatore a microstrisce p+ . Le traiettorie seguite dalle cariche rilasciate sono in generale curvilinee (vedi testo). 3.3. RIVELATORI AL SILICIO A MICROSTRISCE 67 una componente della velocità di deriva in questa direzione pari a: vdL = qvd B τ m∗ (3.59) dove q è la carica del portatore, m∗ la sua massa efficace, vd la componente della velocità di deriva dovuta al campo elettrico, B il campo magnetico e τ il tempo libero medio. La tangente dell’angolo di Lorentz è quindi data da: tan ΘL = qvd Bτ qτ vdL = = ∗ B = µB ∗ vd m vd m (3.60) dove µ è la mobilità dei portatori che producono il segnale sulla strip. Tenendo conto dell’effetto del campo magnetico sulla mobilità, tan ΘL = µH B = rH µB (3.61) con rH fattore di Hall. Per valori del campo elettrico tali da raggiungere la velocità di saturazione dei portatori si ha quindi che un ulteriore aumento dell’intensità del campo elettrico provoca una diminuzione del tempo libero medio da cui segue una diminuzione di vdL . Per questo motivo si ha in questi casi una diminuzione dell’angolo di Lorentz, espressa nella (3.61) dalla dipendenza della mobilità dal campo elettrico. Lo spostamento ∆x per ciascuna carica è quindi pari a ∆x = tan ΘL · z, dove z corrisponde al punto di formazione della coppia elettrone-lacuna nel sistema di riferimento locale del rivelatore. Dati i differenti valori della mobilità (sez.3.2) e del fattore di Hall (sez.3.2.1) per elettroni e lacune, l’ampiezza dell’angolo di Lorentz sarà maggiore per i primi. Nel caso dei rivelatori a microstrisce di CMS tuttavia, essendo il campo elettrico uscente dal lato ohmico ed entrante nelle strip p+ , per il teorema di Shockley-Ramo solo il moto di deriva delle lacune è rilevante per la produzione del segnale. Dalla (3.61) si ha che l’angolo di Lorentz ha una dipendenza lineare da B e dipende anche dal campo elettrico E e dalla temperatura T attraverso µ ed rH . Se quindi il campo elettrico all’interno della regione di svuotamento non è uniforme l’angolo di Lorentz varia al variare della posizione della carica all’interno del rivelatore, ovvero si ha che: tan(ΘL (z)) = rH µ(z)B (3.62) In fig.3.9 questo effetto è visibile dal fatto che le lacune che migrano verso le strip non percorrono traiettorie di deriva rettilinee. L’angolo risultante è quindi una media dei valori assunti dall’angolo di Lorentz all’interno del rivelatore e lo spostamento ∆x per ciascuna carica è pari a: ∆x = rH B Z d z0 µ(z)dz (3.63) 68 CAPITOLO 3. RIVELATORI AL SILICIO IN CAMPO MAGNETICO dove d è lo spessore del rivelatore e z0 è la coordinata del punto di formazione della coppia elettrone-lacuna. I danni da radiazione possono modificare il valore dell’angolo di Lorentz, sia modificando il valore della mobilità (sez.3.2) e, in misura minore, quello del fattore di Hall (sez.3.2.1), sia perché la giunzione necessita di tensioni di polarizzazione sempre più elevate per essere svuotata completamente (sez.2.2), il che implica campi elettrici più intensi e quindi una diminuzione della mobilità. È perciò necessario controllare il cambiamento dell’angolo di Lorentz al variare dell’irraggiamento subito dai rivelatori, in quanto questo si traduce in una variazione dello spostamento ∆x. Inoltre, dal momento che l’irraggiamento dipende dalla distanza del rivelatore dal centro d’interazione, la variazione di ∆x non sarà la stessa per tutti i rivelatori e quindi si produrrà un disallineamento di questi ultimi [35]. 3.4 Modello per la stima dell’angolo di Lorentz dei portatori nei rivelatori del tracciatore di CMS Prima di discutere i risultati della misura dell’angolo di Lorentz dei portatori di carica nei rivelatori del tracciatore a microstrisce di CMS, che costituisce il principale scopo del mio lavoro di tesi e che verrà discussa nei capitoli successivi, descriverò qui un modello da me fatto basandomi su un precedente studio di un gruppo tedesco di CMS [35], e in particolare sulla parametrizzazione della mobilità riportata nella (3.25) e sulle equazioni (3.13) e (3.14) che descrivono il campo elettrico all’interno del rivelatore. Nel modello ho trascurato il moto di diffusione dei portatori e l’accoppiamento capacitivo fra le strip dei rivelatori. Entrambi questi effetti contribuiscono ad aumentare la larghezza del cluster, ma non cambiano l’angolo di incidenza della traccia per cui essa risulta minima, che dipende, come vedremo, solo dall’angolo di Lorentz dei portatori. Tuttavia, avendo trascurato questi due fattori, le dimensioni dei cluster che verranno riportate nel seguito non sono da considerarsi come quelle effettive. Attraverso questo modello è stato possibile stimare l’angolo di Lorentz che ci attendiamo per i nostri rivelatori nelle specifiche condizioni in cui si trovavano quando è stata effettuata la misura. È stato inoltre possibile fare una stima dell’incertezza a priori che caratterizzerà la misura a causa dell’errore con cui conosciamo la temperatura dei moduli, la loro tensione di svuotamento, la tensione di polarizzazione applicata e l’intensità del campo magnetico presente nella regione del tracciatore al momento della misura. 69 3.4. MODELLO PER LA STIMA DELL’ANGOLO DI LORENTZ La misura dell’angolo di Lorentz è stata effettuata nell’ambito del “Magnet Test - Cosmic Challenge” (MTCC) che si è svolto a Ginevra nell’Agosto del 2006. Per una descrizione dell’esperimento si rimanda al capitolo successivo. A questo livello interessa sapere le condizioni di utilizzo in cui si sono trovati ad operare i rivelatori utilizzati per il MTCC, per poterle inserire nel modello. I moduli del tracciatore utilizzati per il MTCC su cui è stata effettuata la misura dell’angolo di Lorentz facevano parte sia del TIB (spessore 320 µm) che del TOB (spessore 500 µm). Poiché la statistica non era sufficiente per effettuare la misura dell’angolo di Lorentz su ciascun modulo separatamente, sono stati considerati i dati aggregati per layer (ovvero due layer del TIB e due del TOB), come vedremo nei capitoli successivi. Questo implica che per i valori di temperatura e tensione di svuotamento dovremo considerare una stima che comprenda tutti i moduli montati per l’esperimento. Le stime ricavate dalle misure della temperatura, della tensione di svuotamento e della tensione di polarizzazione per i vari moduli sono rispettivamente: T = (298 ± 15) K Vs = (150 ± 100) V VP = (3.64) (200 ± 5) V Il valore di Vs riportato nella (3.64) corrisponde al valor medio delle tensioni di svuotamento dei moduli usati al MTCC, misurate in camera pulita. Come si vede dall’incertezza su Vs , le tensioni di svuotamento variavano molto da modulo a modulo. Inoltre si è dovuto scegliere una tensione di polarizzazione circa uguale a quella di svuotamento, senza porsi quindi in condizioni di overdepletion. Questa è stata una scelta obbligata, dettata dal fatto che i rivelatori usati per il MTCC erano di qualità inferiore rispetto a quelli utilizzati per il tracciatore definitivo, ed alcuni di essi andavano in breakdown per tensioni di polarizzazione superiori ai 200 V. Le temperature dei moduli variavano sensibilmente da un layer all’altro, e anche all’interno dello stesso layer. Inoltre le DCU dei moduli usati per il test non erano state tarate per la misura della temperatura del sensore ma solo per la misura della temperatura dell’ibrido. Si è pertanto dovuto considerare una stima approssimativa della temperatura, fornendo un intervallo all’interno del quale si potesse ragionevolmente supporre che fossero compresi tutti i moduli utilizzati per la misura, e per far questo ci si è riferiti alla temperatura del liquido refrigerante, che era circa 10◦ C in uscita dal sistema di raffreddamento, e a misure effettuate in condizioni analoghe. Il campo magnetico in cui si sono trovati ad operare i rivelatori utilizzati per il 70 CAPITOLO 3. RIVELATORI AL SILICIO IN CAMPO MAGNETICO MTCC valeva invece: B = (3.80 ± 0.05) T (3.65) dove si è tenuto conto dell’incertezza sulla corrente nel solenoide, dell’errore sulla calibrazione e dell’incertezza legata alla dipendenza dell’intensità del campo magnetico dalla distanza dal centro di interazione (limitandoci alla regione occupata dalle componenti del tracciatore montate per l’esperimento). 3.4.1 Descrizione del modello Per calcolare la deviazione nel moto delle lacune (le sole che contribuiscano al segnale sulle strip, come riportato in sez.3.3.1) a causa della forza di Lorentz ho definito il sistema di riferimento riportato in fig.3.10, con la coordinata z che ha l’origine nel lato giunzione e percorre lo spessore del modulo e la coordinata x ortogonale alle strip. Figura 3.10: Sistema di riferimento adottato per il modello. Le linee tratteggiate rappresentano schematicamente la direzione di deriva delle lacune liberate da una particella che attraversa il sensore. Il diverso spessore dei moduli del TIB e del TOB fa sı̀ che a parità di tensione di polarizzazione e di svuotamento il campo elettrico al loro interno sia diverso, come si ricava dalle (3.13) e (3.14), che riporto qui per comodità, adattandole al sistema di riferimento di fig.3.10: E(z) = − 2VP (wn − z) wn2 con 0 ≤ z ≤ wn per VP < Vs (3.66) VP − Vs 2Vs (t − z) − con 0 ≤ z ≤ t per VP ≥ Vs (3.67) 2 t t dove t è lo spessore del rivelatore e wn è lo spessore della regione di svuotamento E(z) = − per VP < Vs , che, dalla (3.11) e dalla (3.12), vale: r VP wn ≃ t Vs (3.68) 71 3.4. MODELLO PER LA STIMA DELL’ANGOLO DI LORENTZ Mobility (cm2/Vs) Vbias = 200 V 10000 Vdepl. = 150 V Thick. = 320µ m 8000 mu(z) (cm2/Vs) E(z) (V/cm) Electric Field (V/cm) 460 T = 298 K 440 420 TIB Vbias = 200 V Vdepl. = 150 V Thick. = 320µ m TIB 400 6000 380 4000 360 340 2000 0 0.005 0.01 0.015 0.02 0.025 0.03 0 0.005 0.01 0.015 0.02 0.025 z (cm) 0.03 z (cm) Figura 3.11: Campo elettrico (sinistra) e mobilità delle lacune (destra) all’interno di una rivelatore del TIB con VP > Vs . Mobility (cm2/Vs) 7000 Vbias = 200 V Vdepl. = 150 V 6000 Thick. = 500µ m 5000 TOB mu(z) (cm2/Vs) E(z) (V/cm) Electric Field (V/cm) 470 460 T = 298 K 450 Vbias = 200 V 440 Vdepl. = 150 V Thick. = 500µ m 430 4000 TOB 420 410 3000 400 2000 390 380 1000 0 0.005 0.01 0.015 0.02 0.025 0.03 0.035 0.04 0.045 0.05 0 0.005 0.01 0.015 0.02 0.025 z (cm) 0.03 0.035 0.04 0.045 0.05 z (cm) Figura 3.12: Campo elettrico (sinistra) e mobilità delle lacune (destra) all’interno di una rivelatore del TOB con VP > Vs . Dipendendo poi la mobilità dal campo elettrico, anch’essa, a parità di condizioni, sarà diversa fra moduli del TIB e del TOB. L’andamento del campo elettrico e della mobilità sono riportati in fig.3.11 per un generico modulo del TIB, con Vs = 150 V, VP = 200 V e T = 298 T, mentre in fig.3.12 sono riportati quelli per un modulo del TOB nelle medesime condizioni. La mobilità è stata ricavata dalla (3.25), assumendo per i parametri µlow , vsat e β i valori riportati nella sez.3.2 per le lacune. L’effetto del campo magnetico sulla mobilità è espresso attraverso il fattore di Hall rH , che si è assunto uguale a 0.7 per le lacune (sez.3.3.2). Lo spostamento lungo la coordinata x di una lacuna prodotta ad una profondità d è dato da: dx = rH B Z 0 µ(z)dz (< 0, vedi fig. 3.13) (3.69) d dove B è l’intensità del campo magnetico, µ(z) è la mobilità e il segno di dx è negativo per le convenzioni adottate sui segni degli assi. Come mostrato in fig.3.11 e fig.3.12 la mobilità delle lacune nelle condizioni di lavoro in cui si trovavano i rivelatori ha un andamento praticamente lineare, sia per il TIB che per il TOB. 72 CAPITOLO 3. RIVELATORI AL SILICIO IN CAMPO MAGNETICO Figura 3.13: Modello dello spostamento ∆x delle lacune generato dalla forza di Lorentz, per una traccia incidente con un angolo θ rispetto alla verticale. In alto a destra sono riportate le convenzioni adottate sui segni degli angoli di incidenza. Questo permetterebbe di considerare solo la mobilità relativa al valore medio del campo elettrico, ovvero E = −VP /t in caso di completo svuotamento (con t spes- sore del modulo) o E = −VP /wn se VP < Vs , con wn spessore della regione di svuotamento. Tuttavia il calcolo di dx fatto con la (3.69) ci permette di valutare il contributo all’errore sulla stima dell’angolo di Lorentz portato dall’incertezza con cui conosciamo le tensioni di svuotamento, nonché dalla non perfetta linearità di µ(z). Considerando quindi una traccia incidente nell’origine del sistema di riferimento con un angolo θ rispetto alla verticale, la coordinata x del punto di arrivo sul lato giunzione di una lacuna formata a una profondità d sarà data da: ∆x = dx − d tan θ (3.70) In fig.3.13 è riportato lo schema seguito per il calcolo di ∆x, con a lato le convenzioni adottate sul segno di θ. Per calcolare il centroide del cluster formato dalle lacune prodotte dal passaggio della particella, ho supposto che quest’ultima perda energia all’interno del rivelatore in modo uniforme. Ho quindi suddiviso lo spessore del modulo in n strati, ciascuno di spessore t/n, e ho ricavato ∆x per ogni strato, supponendo la formazione di una lacuna in ognuno di essi. Il centroide del cluster è quindi dato dalla media dei ∆x. Ho ricavato inoltre la larghezza del cluster come il valore assoluto della differenza fra xmax e xmin , dove xmax e xmin sono rispettivamente la coordinata x massima e minima dei punti di arrivo delle lacune sul lato giunzione. Nel caso di non completo svuotamento, oltre ad usare l’espressione del campo elettrico data dalla (3.66), ho eseguito il procedimento descritto precedentemente solo sullo spessore wn della regione svuotata, dato dalla (3.68). 3.4. MODELLO PER LA STIMA DELL’ANGOLO DI LORENTZ n 73 Centroide - TIB (µm) Centroide - TOB (µm) 10 -17.36 -29.84 100 -15.86 -27.31 1000 -15.71 -27.06 5000 -15.70 -27.03 10000 -15.69 -27.03 Tabella 3.1: Verifica della convergenza nel calcolo del centroide. Per verificare la convergenza di questo metodo per il calcolo del centroide ho provato ad utilizzare diversi valori di n. In Tab.3.1 sono riportate le coordinate, ottenute per diversi n, del centroide del cluster formato in un generico modulo del TIB e del TOB da una traccia incidente ortogonalmente al rivelatore, in presenza di un campo magnetico B = 3.8 T. Come si può vedere dai valori del centroide riportati in tabella, già per n ≥ 100 si ha con buona approssimazione la convergenza del calcolo, sia per il TIB che per il TOB. Per ricavare la stima del centroide del cluster ho pertanto suddiviso lo spessore dei rivelatori in 100 strati, onde evitare di appesantire inutilmente il calcolo. 3.4.2 Stima dell’angolo di Lorentz Per stimare l’angolo di Lorentz delle lacune ho utilizzato un metodo che si basa sul principio che descriverò qui di seguito, e che è lo stesso che utilizzerò per eseguire la misura. Come mostrato in fig.3.14, mentre in assenza del campo magnetico si ha un minimo nella larghezza del cluster per tracce incidenti normalmente al rivelatore, nel caso in cui B 6= 0 T la larghezza del cluster è minima per tracce incidenti con un angolo rispetto alla normale del rivelatore uguale all’angolo di Lorentz. Infatti per tracce incidenti con un angolo uguale all’angolo di Lorentz, le cariche liberate dal passaggio della particella ripercorrono tutte, nel loro moto di deriva verso le strip, una traiettoria approssimativamente uguale a quella della particella stessa, minimizzando in questo modo la dispersione della carica. Come già detto, ho trascurato nel modello il moto di diffusione dei portatori e l’accoppiamento capacitivo delle strip (in realtà non ho espresso affatto la larghezza del cluster in termini di strip, ma semplicemente come la lunghezza del segmento del lato giunzione su cui giungono le lacune liberate dal passaggio della particella). Con queste approssimazioni, la larghezza del cluster in caso di campo magnetico nullo sarà data da: t · | tan θt | (3.71) 74 CAPITOLO 3. RIVELATORI AL SILICIO IN CAMPO MAGNETICO Figura 3.14: Rappresentazione schematica della formazione di un cluster in un generico rivelatore a microstrisce del tracciatore in presenza di un campo magnetico, per una traccia incidente normalmente al modulo (sopra) e per una traccia incidente con un angolo rispetto alla normale uguale all’angolo di Lorentz (sotto). dove t è lo spessore del modulo e θt l’angolo di incidenza della traccia. Si avrà una larghezza minima del cluster per θt = 0 (nel limite delle approssimazioni fatte viene proprio 0). Per campo magnetico diverso da 0 invece, considerando l’angolo di Lorentz approssimativamente costante e uguale al suo valor medio ΘL , la larghezza del cluster sarà data da: t · tan θt − tan ΘL (3.72) come mostrato in fig.3.15, con ΘL negativo per le convenzioni adottate (vedi fig.3.13). In questo caso quindi si avrà larghezza minima per θt = ΘL , come già accennato prima. Per stimare l’angolo di Lorentz ho dunque ricavato la larghezza del cluster per 1000 tracce incidenti sul rivelatore con un angolo variabile a passi regolari da −30◦ a +30◦ , e l’ho riportata in un istogramma in funzione della tangente dell’angolo di in- cidenza della traccia, dato l’andamento lineare della larghezza del cluster in funzione della tangente indicato dalla (3.72). Per determinare il valore della tangente a cui corrisponde il minimo della larghezza del cluster ho eseguito un fit sull’istogramma utilizzando la funzione: p1 |z − p0 | + p2 (3.73) 75 3.4. MODELLO PER LA STIMA DELL’ANGOLO DI LORENTZ (a) (b) Figura 3.15: Formazione del cluster in presenza di un campo magnetico, nelle approssimazioni adottate per il modello, per una traccia incidente con un angolo generico (a), e per una traccia incidente con un angolo pari all’angolo di Lorentz medio (ΘL < 0 per le convenzioni adottate sui segni (fig.3.13)) (b). Il cluster è rappresentato dal rettangolo arancione. In questo modo il parametro p0 , corrispondente alla tangente dell’angolo di incidenza che minimizza la larghezza del cluster nel modello, sarà uguale al valore della tangente dell’angolo di Lorentz stimato. Gli istogrammi con i relativi fit per un generico modulo del TIB e del TOB sono riportati in fig.3.16. I valori dell’angolo di Lorentz ΘL , stimati per i rivelatori del TIB e del TOB nelle condizioni di utilizzo in cui si trovavano per MTCC (e in particolare per un’intensità del campo magnetico pari a 3.8 T) sono: tan ΘL = −0.1035 ⇒ ΘL ≃ −5.9◦ TIB: (3.74) ◦ TOB: tan ΘL = −0.1126 ⇒ ΘL ≃ −6.4 In fig.3.17 sono riportati i cluster per i moduli del TIB ricavati per alcuni angoli Cluster (µ m) 220 T = 298 K 200 B = 3.8 T 180 Vbias = 200 V 160 Vdepl. = 150 V 140 Thick. = 320µ m LorentzAngle Entries 1000 2 χ / ndf 13.66 / 31 p0 -0.1126 ± 0.0003 p1 497.7 ± 0.9 p2 0.5253 ± 0.2057 Lorentz Angle Cluster (µ m) LorentzAngle Entries 1000 2 χ / ndf 27.33 / 31 p0 -0.1035 ± 0.0003 p1 318.6 ± 0.6 p2 0.4276 ± 0.1379 Lorentz Angle 350 300 T = 298 K B = 3.8 T Vbias = 200 V 250 Vdepl. = 150 V Thick. = 500µ m 200 120 100 150 80 100 60 40 50 20 0 -0.6 -0.4 -0.2 0 0.2 0.4 0.6 tan(θt) 0 -0.6 -0.4 -0.2 0 0.2 0.4 0.6 tan(θt) Figura 3.16: Stima della tangente dell’angolo di Lorentz (p0 ) per un modulo del TIB (sinistra) e del TOB (destra), nella configurazione dei parametri di funzionamento del MTCC. 76 CAPITOLO 3. RIVELATORI AL SILICIO IN CAMPO MAGNETICO cluster Entries 100 Mean -15.86 RMS 9.593 Cluster 14 T = 298 K 12 8 20 18 B = 3.8 T T = 298 K B = 3.8 T 16 Vbias = 200 V 10 cluster Entries 100 Mean 9.737 RMS 5.063 Cluster Vdepl. = 150 V Thick. = 320µ m ° Track angle = 0 6 Vbias = 200 V 14 Vdepl. = 150 V 12 Thick. = 320µ m 10 Track angle = -9 ° 8 6 4 4 2 0 -100 2 -80 -60 -40 -20 0 20 40 60 80 100 cluster size (µ m) cluster Entries 100 Mean 3.984 RMS 1.805 Cluster 40 0 -100 30 20 -20 0 20 40 60 80 100 cluster size (µ m) cluster Entries 100 Mean 0.8416 RMS 0.4139 T = 298 K B = 3.8 T B = 3.8 T 40 Vbias = 200 V Vbias = 200 V Vdepl. = 150 V Thick. = 320µ m 30 ° Thick. = 320µ m ° Track angle = -7 Track angle = -5.9 20 15 ΘL 10 10 5 0 -100 -40 50 Vdepl. = 150 V 25 -60 Cluster T = 298 K 35 -80 -80 -60 -40 -20 0 20 40 60 80 100 cluster size (µ m) 0 -100 -80 -60 -40 -20 0 20 40 60 80 100 cluster size (µ m) Figura 3.17: Larghezza del cluster ottenuta dal modello per alcuni angoli di incidenza delle tracce in un modulo del TIB. In basso a destra cluster ottenuto per angolo di incidenza uguale a ΘL . cluster Entries 100 Mean -27.31 RMS 16.19 Cluster 18 T = 298 K 16 B = 3.8 T 14 T = 298 K 12 10 Vdepl. = 150 V 12 Thick. = 500µ m 10 B = 3.8 T Vbias = 200 V Vbias = 200 V 14 cluster Entries 100 Mean 12.68 RMS 6.687 Cluster 8 Vdepl. = 150 V Thick. = 500µ m ° ° Track angle = -9 Track angle = 0 6 8 6 4 4 2 2 0 -100 -80 -60 -40 -20 0 20 40 cluster Entries 100 Mean 3.694 RMS 1.597 Cluster 45 40 60 80 100 cluster size (µ m) -60 -40 -20 0 20 40 60 80 100 cluster size (µ m) cluster Entries 100 Mean 1.013 RMS 0.446 60 T = 298 K 50 Vbias = 200 V B = 3.8 T Vbias = 200 V 30 Vdepl. = 150 V 25 Thick. = 500µ m 20 -80 Cluster T = 298 K B = 3.8 T 35 0 -100 40 Vdepl. = 150 V Thick. = 500µ m ° Track angle = -7 15 ° 30 Track angle = -6.4 20 ΘL 10 10 5 0 -100 -80 -60 -40 -20 0 20 40 60 80 100 cluster size (µ m) 0 -100 -80 -60 -40 -20 0 20 40 60 80 100 cluster size (µ m) Figura 3.18: Larghezza del cluster ottenuta dal modello per alcuni angoli di incidenza delle tracce in un modulo del TOB. In basso a destra cluster ottenuto per angolo di incidenza uguale a ΘL . di incidenza delle tracce, fra cui θt = ΘL , che, come mostrato in figura, minimizza la larghezza del cluster. Analogamente in fig.3.18 per i moduli del TOB. 77 3.4. MODELLO PER LA STIMA DELL’ANGOLO DI LORENTZ ∆(tan ΘL ) ∆(tan ΘL ) TIB TOB T = (298 ± 15) K ±0.009 ±0.011 VP = (200 ± 5) V ±0.0005 ±0.0003 Vs = (150 ± 100) V B = (3.80 ± 0.05) T ±0.002 ±0.0012 ±0.001 ±0.0013 Tabella 3.2: Stima delle incertezze a priori su tan ΘL per i moduli del TIB e del TOB. 3.4.3 Stima delle incertezze a priori Per stimare l’incertezza a priori sul valore della tangente dell’angolo di Lorentz previsto dal modello ho eseguito, sia per il TIB che per il TOB, il fit descritto nella sezione precedente variando i valori di temperatura, tensione di svuotamento, tensione di polarizzazione e campo magnetico entro gli errori riportati nelle (3.64) e (3.65). Gli effetti di queste variazioni sulla tangente dell’angolo di Lorentz prevista sono riportati in Tab.3.2. Come mostrato in tabella il contributo più rilevante all’incertezza a priori è portato dall’errore con cui conosciamo la temperatura dei moduli, sia per il TIB che per il TOB. La stima della tangente dell’angolo di Lorentz e dell’incertezza a priori, ricavabili dal modello per le due tipologie di rivelatori nelle condizioni di utilizzo in cui si trovavano per l’esperimento MTCC, sono pertanto: (tan ΘL )TIB M T CC = −0.103 ± 0.009 (tan ΘL )TOB M T CC = −0.113 ± 0.011 ⇒ ◦ ◦ (ΘL )TIB M T CC = −5.9 ± 0.5 ⇒ (ΘL )TOB M T CC ◦ (3.75) ◦ = −6.4 ± 0.6 Tali valori dell’angolo di Lorentz producono uno spostamento nel centroide del cluster pari a circa t 2 · tan ΘL , con t spessore del modulo, come peraltro si può facilmente ricavare anche dal valore del centroide calcolato col modello per trac- ce incidenti perpendicolarmente al rivelatore e riportato in fig.3.17-3.18 (immagine in alto a sinistra in entrambi i casi). Considerando quindi il calcolo del centroide ricavato dal modello, lo spostamento vale circa 16 µm nel TIB e 27 µm nel TOB. D’altra parte i rivelatori a microstrisce hanno una risoluzione che, nel caso peggiore √ e cioè per cluster a una sola strip, è pari al passo tra le strip diviso per 12. Si va quindi da una risoluzione per cluster a una strip pari a circa 23 µm nei moduli 78 CAPITOLO 3. RIVELATORI AL SILICIO IN CAMPO MAGNETICO Cluster (µ m) 220 T = 263 K 200 B=4T 180 Vbias = 400 V 160 Vdepl. = 200 V 140 Thick. = 320µ m LorentzAngle Entries 1000 χ2 / ndf 9.337 / 31 p0 -0.123 ± 0.000 p1 498.8 ± 0.9 p2 0.3371 ± 0.2193 Lorentz Angle Cluster (µ m) LorentzAngle Entries 1000 χ2 / ndf 31.2 / 31 p0 -0.1015 ± 0.0003 p1 318.5 ± 0.6 p2 0.4555 ± 0.1386 Lorentz Angle 350 T = 263 K B=4T 300 250 Vbias = 400 V Vdepl. = 200 V Thick. = 500µ m 200 120 100 150 80 100 60 40 50 20 0 -0.6 -0.4 -0.2 0 0.2 0.4 0 -0.6 0.6 tan(θt) -0.4 -0.2 0 0.2 0.4 0.6 tan(θt) Figura 3.19: Stima della tangente dell’angolo di Lorentz (p0 ) per un modulo del TIB (sinistra) e del TOB (destra), nella configurazione dei parametri di funzionamento nominale di CMS. del TIB con passo 80 µm, fino a una risoluzione di 53 µm per i moduli del TOB con passo 183 µm. Lo spostamento nel centroide è pertanto confrontabile con la risoluzione spaziale ottenuta nel peggiore dei casi. Senza una opportuna correzione sulla devizione di Lorentz, la posizione degli hit verrà quindi ricostruita erroneamente, riducendo quindi anche la qualità delle tracce ricostruite. Da notare infine che i valori dell’angolo di Lorentz riportati nella (3.75) per il TIB e per il TOB, si riferiscono ai rivelatori posti nelle condizioni di funzionamento del MTCC, che differiscono da quelle in cui si verranno a trovare quando partirà l’esperimento vero e proprio. I valori nominali dei parametri di funzionamento dei rivelatori del tracciatore di CMS sono infatti: Vs = 200 V, VP = 400 V, T = 263 K e B = 4 T. Come mostrato in fig.3.19, i valori dell’angolo di Lorentz previsti dal modello per i rivelatori di TIB e TOB in queste condizioni di funzionamento sono: (tan ΘL )nominale ≃ −0.101 ⇒ (ΘL )nominale ≃ −5.8◦ TOB : (tan ΘL )nominale ≃ −0.123 ⇒ (ΘL )nominale ≃ −7.0◦ TIB : (3.76) Si ha quindi, in queste condizioni, un aumento dell’angolo di Lorentz per i moduli del TOB, mentre per il TIB prevale sulla diminuzione della temperatura, che tenderebbe a far aumentare la mobilità e quindi ΘL , l’aumento del campo elettrico dovuto alla maggiore tensione di polarizzazione, che fa diminuire la mobilità e con essa la deviazione di Lorentz. Il valore di ΘL ottenuto per il TIB non coincide quindi con i 9◦ di cui sono inclinate le stringhe. Tuttavia, come già accennato in sez.2.1.2, l’inclinazione di 9◦ è stata scelta, oltre che per compensare in parte l’angolo di Lorentz, soprattutto per garantire una copertura ottimale della superficie cilindrica del barrel. Capitolo 4 Magnet Test - Cosmic Challenge Nei mesi di Luglio e Agosto 2006 si è svolto al CERN di Ginevra il “Magnet Test Cosmic Challenge” (MTCC), a cui ho partecipato svolgendo turni di presa dati. Si è trattato del primo test del magnete di CMS ed è stato inoltre possibile effettuare per la prima volta un test combinato di alcune componenti dei rivelatori di CMS in presenza del campo magnetico nominale, acquisendo dati con raggi cosmici. Gli obbiettivi principali del MTCC erano: verificare il perfetto funzionamento del magnete, compresi l’impianto di raffreddamento, il sistema di alimentazione e quello di controllo, ed eseguire una mappatura del campo magnetico; collaudare le componenti dei rivelatori presenti usando una configurazione per il sistema di acquisizione dei dati e di controllo il più vicina possibile a quella finale di CMS; verificare il funzionamento degli algoritmi di ricostruzione con i dati dei raggi cosmici acquisiti. E in particolare per il tracciatore: verificare le procedure di trasporto per la fase finale di assemblaggio di CMS; eseguire acquisizioni di piedistalli e dati; operare il sistema di acquisizione del tracciatore assieme agli altri rivelatori di CMS. In questo capitolo descriverò in particolare la sottoparte del tracciatore utilizzata per il MTCC e il sistema di acquisizione. Riporterò inoltre i risultati di alcune misure che mostrano le prestazioni dei rivelatori presenti e la descrizione degli algoritmi utilizzati per l’allineamento e la tracciatura. 80 CAPITOLO 4. MAGNET TEST - COSMIC CHALLENGE 4.1 Il tracciatore per il MTCC Il prototipo di tracciatore utilizzato per il MTCC era equipaggiato con moduli dello stesso tipo di quelli che andranno nel tracciatore definitivo, anche se di qualità inferiore rispetto a quelli selezionati per CMS. I moduli appartenevano al TIB, al TOB e alla TEC, per un totale di 133 rivelatori, con una superficie totale coperta di 0,75 m2 (pari a un rivelatore di vertice come quelli usati a LEP), corrispondente a circa l’1% del tracciatore completo. Era quindi del tutto assente il TID. In particolare le componenti presenti erano: TIB: una shell del layer 2 e una del layer 3 parzialmente riempite, con 5 stringhe (2 interne e 3 esterne) per il layer 2 e 15 stringhe (8 interne e 7 esterne) per il layer 3. Il layer 2 montava quindi 15 moduli a doppia faccia mentre il layer 3 montava 45 moduli a singola faccia, per un totale di 75 rivelatori. TOB: 2 rod del layer 1 e 2 rod del layer 5 entrambe con moduli a singoli faccia, per un totale di 24 moduli a singola faccia. In realtà nella configurazione finale del tracciatore il layer 1 ospiterà rivelatori a doppia faccia (sez.2.1.2), ma questi non erano disponibili al momento del test. Si è comunque preferito mantenere come numerazione dei layer presenti quella corrispondente alla loro collocazione rispetto alla geometria finale del tracciatore. TEC: due petali del disco 9 con gli anelli dal 4 al 7 parzialmente riempiti con 5 moduli a doppia faccia e 24 moduli a singola faccia, per un totale di 34 rivelatori. (a) (b) Figura 4.1: Schema delle componenti del tracciatore montate per il MTCC: (a) vista 3D longitudinale, (b) vista del TIB e del TOB nel piano xy [51]. 81 4.1. IL TRACCIATORE PER IL MTCC TIB layer 2 2 stringhe int. 6 rϕ 6 stereo 80 µm pitch TIB layer 2 3 stringhe est. 9 rϕ 9 stereo 80 µm pitch TIB layer 3 24 rϕ - 120 µm pitch TIB layer 3 7 stringhe est. 21 rϕ - 120 µm pitch TOB layer 1 2 rod 12 rϕ - 183 µm pitch TOB layer 5 2 rod 12 rϕ - 122 µm pitch TEC disco 9 anello 4 7 rϕ - 113-139 µm pitch TEC disco 9 anello 5 5 rϕ TEC disco 9 anello 6 7 rϕ - 163-205 µm pitch TEC disco 9 anello 7 10 rϕ - 140-172 µm pitch 8 stringhe int. 5 stereo 126-156 µm pitch Tabella 4.1: Tracciatore per il MTCC: rivelatori mono (rϕ) e stereo presenti, con indicato il passo fra le strip ( pitch) [51]. In fig.4.1 è riportato uno schema delle componenti del tracciatore montate per il MTCC e in Tab.4.1 è riportato il riassunto dei moduli ospitati da ciascuna componente. 4.1.1 Pre-commissioning a B186 Le componenti del TIB utilizzate per il MTCC sono state montate a Pisa e quindi trasportate al CERN di Ginevra, dove sono state temporaneamente alloggiate in una camera pulita al Building-186 (B186). Qui sono state unite le altre parti del TOB e della TEC ed è stato eseguito il cosiddetto pre-commissioning, cioè è stata eseguita una prima caratterizzazione dei rivelatori e una prima verifica degli algoritmi di ricostruzione. A B186 è stata infatti eseguita una prima presa dati con raggi cosmici in assenza di campo magnetico, per la quale è stato utilizzato un sistema di trigger basato su tre scintillatori plastici: il primo di forma rettangolare (110 cm × 20 cm × 1.5 cm) situato sopra il TOB, e gli altri due, di forma circolare (40 cm di diametro e 3 cm di spessore), situati sotto il TIB. In fig.4.2 è riportato lo schema di trigger utilizzato in B186. Il trigger, curato dal gruppo di CMS di Firenze insieme a quello di Catania, è stato realizzato riutilizzando materiale di smessa da esperimenti precedenti, ponendo molta cura nel minimizzare il jitter (∼ 5 ns), che altrimenti avrebbe potuto vanificare la misura. Il segnale prodotto negli scintillatori, convertito in segnale elettrico da fotomoltiplicatori (3 per gli scintillatori circolari), era inviato a dei moduli CFD, i quali a loro volta erano collegati ad una unità di coincidenza. Il segnale di trigger prevedeva una coincidenza fra lo scintillatore superiore e uno dei due dischi 82 CAPITOLO 4. MAGNET TEST - COSMIC CHALLENGE Figura 4.2: Sistema di trigger utilizzato per la fase di pre-commissioning a B186. Con S1, S2 e S3 sono indicati i tre scintillatori plastici utilizzati per il trigger [51]. (dove il segnale logico dei dischi era dato dall’OR dei tre fotomoltiplicatori). La configurazione geometrica degli scintillatori era tale per cui i cosmici acquisiti erano quelli che incidevano con piccoli angoli di inclinazione rispetto alla normale dei rivelatori di TIB e TOB e non erano acquisiti cosmici che attraversavano la TEC. 4.1.2 Configurazione a P5 Dopo la fase di pre-commissioning il tracciatore è stato trasportato nelle strutture di superficie del sito di LHC denominato “Punto 5” (P5), nel cui sottosuolo verrà poi situato l’esperimento definitivo. Qui è stato inserito nel suo alloggiamento dentro il magnete ed è stato utilizzato, unitamente agli altri rivelatori presenti, per acquisire dati, sempre di raggi cosmici. Oltre alle componenti del tracciatore descritte precedentemente era stato montato circa il 5% di CMS, e in particolare: due Super Moduli del calorimetro elettromagnetico; l’intero calorimetro adronico; un settore di circa 60 delle camere per i muoni, situato nella sezione con ◦ z positivo di CMS e sotto il piano orizzontale passante per z = 0 (“lowerforward ”), composto da Drift Tube chambers (DT) e Resistive Plate Chambers (RPC) nella parte barrel, e Cathode Strip Chambers (CSC) nella parte endcap. In fig.4.3 sono riportate la sezione trasversale e longitudinale della configurazione dei rivelatori del MTCC a P5. Il trigger in questo caso è fornito dalle camere per i muoni. Il segnale proveniente da questi rivelatori è inviato ad un sistema centralizzato, simile a quello dell’esperimento finale, che lo elabora attraverso opportuni algoritmi e produce un segnale 4.1. IL TRACCIATORE PER IL MTCC 83 Figura 4.3: Sezioni trasversale (sinistra) e longitudinale (destra) del MTCC. Sono evidenziate le camere per i muoni e, nella sezione longitudinale, l’alloggiamento delle componenti del tracciatore utilizzate per l’esperimento. Le linee viola rappresentano possibili tracce che attraversano il tracciatore e le camere per i muoni. di trigger globale che invia a tutti i rivelatori. I dati immagazzinati nelle memorie locali delle varie componenti di CMS presenti vengono quindi assemblati basandosi sull’istante di arrivo del trigger e sulle latenze precedentemente misurate per i vari rivelatori, ricostruendo in questo modo l’evento. La geometria dei rivelatori a P5 è tale per cui solo una piccola frazione dei muoni che producono un segnale di trigger attraversa effettivamente il tracciatore. Tuttavia, ricostruendo approssimativamente la direzione dei raggi cosmici attraverso i DT e le RPC, si possono selezionare già in fase di trigger quelle tracce che attraversano la zona in cui è alloggiato il tracciatore. In generale, data la geometria dell’insieme dei rivelatori, con questo sistema di trigger vengono acquisiti raggi cosmici molto più inclinati nel piano rz rispetto alla configurazione di B186. Dato l’elevato numero di rivelatori presenti, è stato utilizzato il sistema di raffreddamento a liquido e un prototipo del sistema finale di controllo delle sicurezze. Il sistema di controllo del tracciatore, o Tracker Control System (TCS), riceve informazioni da 40 sensori di ambiente. Questi sono direttamente collegati a dei microcontrollori, detti Programmable Logical Controllers (PLC), che costituiscono il cuore del sistema di sicurezza, o Tracker Safety System (TSS). I PLC disattivano gli alimentatori nel caso in cui la temperatura dei rivelatori o degli ibridi superi la soglia di guardia, il sistema di raffreddamento segnali un errore o in generale ci sia un messaggio globale di errore di CMS. Attraverso letture ripetute delle informazioni del TSS, il TCS è in grado, in caso di necessità, di spengere gli alimentatori in modo meno brusco. 84 CAPITOLO 4. MAGNET TEST - COSMIC CHALLENGE 4.2 Prestazioni dei rivelatori Sia le acquisizioni di piedistalli che quelle di dati sono state eseguite con gli APV-25 impostati in modo picco. In questa modalità si riesce ad avere il massimo rapporto segnale/rumore dell’elettronica, inoltre anche eventi distanti dal fronte di campionamento del clock a 40 MHz vengono rivelati con un’efficienza prossima al al 100%. Il FED è stato impostato in modalità Virgin Raw per le acquisizioni di piedistalli e in modalità Zero Suppression per la presa dati. La misura dei piedistalli e delle loro fluttuazioni ha permesso di studiare il rumore dei singoli moduli, controllando l’eventuale presenza di rivelatori particolarmente rumorosi o di singole strip rumorose all’interno dei vari moduli, e di verificare la stabilità dell’insieme durante la presa dati. Gli studi di rumore sono stati eseguiti attraverso acquisizioni di piedistalli con circa 2000 trigger casuali ciascuno, ed i risultati sono stati memorizzati in un database per essere poi utilizzati nella elaborazione online e nella ricostruzione offline. A titolo di esempio, in fig.4.4 e in fig.4.5 sono riportati gli istogrammi del rumore delle singole strip dei layer del TIB e del TOB, e del disco della TEC, ricavati per tre diverse acquisizioni di piedistalli, tutte effettuate a P5 e che coprono all’incirca tutto il mese di presa dati del MTCC. Due delle tre acquisizioni sono state eseguite con il solenoide spento (8 e 18 Agosto) e una con un campo magnetico pari a B=3.8 T (27 Agosto). La fig.4.4 in particolare, riferita al TIB layer 3, mostra come in questo caso oltre il 99% delle strip abbiano un rumore molto simile fra loro. Number of strips Per poter confrontare i risultati ottenuti nelle diverse acquisizioni si è dovuto 8th Aug B=0T 18th Aug B=0T 27th Aug B=3.8T 103 102 10 1 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Noise [ADC counts] Figura 4.4: Distribuzione calibrata del rumore delle strip, ottenute a P5 per tre differenti acquisizioni di piedistalli: TIB layer 3 [51]. 85 8th Aug B=0T 18th Aug B=0T 27th Aug B=3.8T 102 Number of strips Number of strips 4.2. PRESTAZIONI DEI RIVELATORI 10 8th Aug B=0T 18th Aug B=0T 27th Aug B=3.8T 102 10 1 1 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 0 1 2 3 4 5 Noise [ADC counts] 7 8 9 10 (b) 8th Aug B=0T 18th Aug B=0T 27th Aug B=3.8T 102 10 1 Number of strips Number of strips (a) 0 6 Noise [ADC counts] 8th Aug B=0T 18th Aug B=0T 27th Aug B=3.8T 102 10 1 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 0 1 2 3 4 5 Noise [ADC counts] (c) 6 7 8 9 10 Noise [ADC counts] (d) Figura 4.5: Distribuzioni calibrate del rumore delle strip, ottenute a P5 per tre differenti acquisizioni di piedistalli: (a) TIB layer 2; (b) TOB layer 1; (c) TOB layer 5; (d) TEC [51]. tener conto delle possibili differenze nel guadagno degli AOH. Per questo motivo il rumore ottenuto nelle varie acquisizioni è stato normalizzato rispetto all’altezza dei tick mark digitali degli APV-25, che viene misurata in ogni presa dati eseguita per la sincronizzazione (prima quindi di ciascuna acquisizione dei piedistalli). Le distribuzioni di rumore cosı̀ normalizzate si dicono calibrate. Come si può vedere la distribuzione del rumore delle singole strip è molto accentrata per tutti e quattro i layer della parte barrel e per la TEC, a parte alcune strip con rumore troppo basso nel layer 1 del TOB (dovuto al fatto che il piedistallo mandava in saturazione l’ADC, per cui le fluttuazioni non potevano che essere minime) e altre con rumore troppo alto nel layer 2 del TIB, dovute a due moduli difettosi. In entrambi i casi le strip sono state localizzate e quindi escluse nella ricostruzione offline. Inoltre, dal confronto fra le tre acquisizioni, si può notare come il profilo di rumore delle strip possa essere considerato stabile entro il 10% durante tutta la presa dati. Durante il MTCC sono state eseguite circa 120 acquisizioni di dati, alcune con il solenoide spento e altre con valori del campo magnetico pari a 3.8 T e 4 T. Tutte le acquisizioni di dati sono state eseguite con il trigger globale fornito dalle camere 86 CAPITOLO 4. MAGNET TEST - COSMIC CHALLENGE TIB Layer 2 χ 2 / ndf 49.16 / 31 11.77 ± 0.23 Width 1800 Area 1.386e+05 ± 1211 Width MP 1200 Area 11.55 ± 0.46 GSigma 1400 χ2 / ndf 1400 93.22 ± 0.26 MP 1600 TIB Layer 3 GSigma 1000 1200 64.13 / 32 12.59 ± 0.27 97.06 ± 0.32 1.07e+05 ± 1061 11.46 ± 0.57 800 1000 800 600 600 400 400 200 200 0 0 100 200 TOB Layer 1 300 400 χ2 / ndf 151.8 / 37 100 200 TOB Layer 5 300 Width 161.4 ± 0.7 180 MP 160 Area 140 GSigma 21.74 ± 1.22 GSigma 400 400 χ2 / ndf 6.671e+04 ± 854 MP Area 0 0 17.98 ± 0.55 Width 500 500 500 55.64 / 39 15.44 ± 0.94 153.6 ± 1.1 1.793e+04 ± 440 20.59 ± 1.72 120 100 300 80 200 60 40 100 20 0 0 100 200 300 400 500 0 0 100 200 300 400 500 Figura 4.6: Distribuzione di carica dei cluster di TIB e TOB per B = 0 T (la carica è riportata in conteggi ADC) [51]. per i muoni. Sugli eventi acquisiti sono stati operati dei tagli richiedendo almeno tre cluster in tre differenti layer del barrel, oppure almeno un cluster nella TEC (data la geometria del tracciatore era molto improbabile che una stessa traccia attraversasse la TEC e i layer del barrel ). Gli eventi cosı̀ selezionati sono detti “filtrati”. Per la ricostruzione dei cluster sono stati utilizzati come soglie standard del ThreeThresholdClusterizer i seguenti valori: tSeed = 4, tChannel = 3 e tCluster = 5. In fig.4.6 sono riportate le distribuzioni di carica dei cluster ottenute per i layer del barrel, su cui è stato eseguito un fit con una distribuzione di Landau convoluta con una Gaussiana (la convoluzione con la Gaussiana è necessaria per tener conto delle fluttuazioni di rumore sulla carica del cluster ). I parametri del fit indicati sono il valore più probabile (MP) e la larghezza (Width) della Landau, la larghezza della Gaussiana convoluta (GSigma) e l’area della distribuzione (Area). Tutti gli errori mostrati sono gli errori statistici del fit. Il rapporto segnale/rumore, corretto per la lunghezza del percorso all’interno del rivelatore, è mostrato in fig.4.7, anche in questo caso con i corrispettivi risultati del fit con la Landau convoluta con la Gaussiana. Come si può vedere il rapporto segnale/rumore più probabile in modalità picco è di circa 28 per il TIB e 33 per il 87 4.2. PRESTAZIONI DEI RIVELATORI χ 2 / ndf TIB Layer 2 Width 60.99 / 41 27.6 ± 0.1 MP 500 Area TIB Layer 3 2.951 ± 0.095 9935 ± 145.2 GSigma 3.131 ± 0.195 300 300 200 200 100 100 40 60 80 χ 2 / ndf TOB Layer 1 100 122.4 / 39 250 MP 35.82 ± 0.29 Area 6126 ± 115.3 GSigma 6.383 ± 0.352 200 0 0 GSigma 20 40 60 28.16 ± 0.12 1.103e+04 ± 153 3.677 ± 0.191 80 χ 2 / ndf TOB Layer 5 2.9 ± 0.2 Width 3.08 ± 0.10 Area 400 20 59.02 / 40 Width MP 500 400 0 0 χ2 / ndf Width 70 60 100 35.06 / 31 3.052 ± 0.185 MP 33.01 ± 0.29 Area 1168 ± 50.2 2 ± 0.7 GSigma 50 150 40 30 100 20 50 0 0 10 20 40 60 80 100 0 0 20 40 60 80 100 Figura 4.7: Rapporto segnale/rumore dei cluster di TIB e TOB per B = 0 T , corretto per la lunghezza del percorso della traccia all’interno dei rivelatori [51]. TOB. Per assicurare un’efficienza di ricostruzione vicina al 100% durante tutto il periodo di attività del tracciatore è richiesto un rapporto segnale/rumore maggiore di 10 per particelle al minimo di ionizzazione. Questi risultati indicano quindi prestazioni eccellenti per le componenti barrel del tracciatore, in linea con le prestazioni ottenute in laboratorio con moduli singoli. Infine è riportato in fig.4.8 un confronto indicativo fra i risultati ottenuti per la distribuzione di carica nei vari layer e le rispettive simulazioni Monte Carlo. Come si può vedere l’accordo è ragionevole, a parte il punto a 256 conteggi nel TOB layer 1, dovuto alla saturazione degli ADC in alcune prese dati dove non veniva utilizzato il “full range” di 10 bit, ma solo 8 bit. Questo avveniva quando le acquisizioni erano effettuate con il FED in modalità Zero Suppression. Si nota inoltre una discrepanza per il TOB layer 5, dovuta al fatto che in questo caso non si è tenuto conto della variazione nei guadagni degli AOH. Con i dati raccolti al MTCC si è potuto inoltre collaudare gli algoritmi di ricostruzione delle tracce e quelli di allineamento del tracciatore. Per la tracciatura sono stati utilizzati due algoritmi: il CosmicTrackFinder (CTF) e il RoadSearch algori- 88 CAPITOLO 4. MAGNET TEST - COSMIC CHALLENGE TIB Layer 2 TIB Layer 3 1400 1800 1600 1200 1400 1000 1200 800 1000 800 600 600 400 400 200 200 0 0 100 200 300 400 500 TOB Layer 1 100 200 300 400 500 100 200 300 400 500 TOB Layer 5 500 400 300 200 100 0 0 0 0 100 200 300 400 500 240 220 200 180 160 140 120 100 80 60 40 20 0 0 Cluster Charge per Layer Figura 4.8: Confronto fra le distribuzioni di carica (espressa in conteggi ADC) dei cluster di TIB e TOB per B = 0 T (punti) e le rispettive simulazioni Monte Carlo (linea continua) [51]. thm (RS). In fig.4.9 è riportata l’immagine ottenuta con IGUANA1 di una traccia ricostruita col CTF. Nella sezione successiva descriverò il CosmicTrackFinder, che è l’algoritmo di tracciatura da me utilizzato per gli studi sull’angolo di Lorentz. Qui riporterò alcuni risultati ottenuti per la ricostruzione delle tracce con i due algoritmi disponibili, che evidenziano le prestazioni dei rivelatori presenti al MTCC in termini di tracciatura. In fig.4.10 sono riportate le distribuzioni di alcune quantità che caratterizzano le tracce ricostruite, per entrambi gli algoritmi di tracciatura utilizzati. Il numero minore di tracce ricostruite con il RS è dovuto al fatto che questo algoritmo richiede, come condizione di partenza per la ricostruzione della traccia, un hit nel layer più interno del TIB e un hit in uno dei layer del TOB, il che si traduce in una minore accettanza geometrica rispetto al CTF, che non richiede che vi sia necessariamente un hit nel TIB layer 2. Come verifica si è provato a imporre la stessa condizione anche nel CTF, ottenendo in effetti un numero confrontabile di tracce ricostruite 1 IGUANA è il software per la visualizzazione di eventi sviluppato per CMS. 4.2. PRESTAZIONI DEI RIVELATORI 89 Figura 4.9: Immagine di una traccia ricostruita al MTCC. I punti di ingresso della traccia nel tracciatore e nelle camere per i muoni sono indicati in rosso, la traccia è disegnata in azzurro [51]. dai due algoritmi. A parte la differenza nel numero di tracce ricostruite, i due algoritmi portano a risultati simili, come si può dedurre dalle distribuzioni riportate in fig.4.10. La distribuzione dell’angolo azimutale φ ha un picco intorno a −π/2, compatibile con tracce entranti in CMS dall’alto. Entrambe le distribuzioni di φ ed η sono quelle attese data la configurazione geometrica del sistema di trigger del MTCC. Il numero di hit per traccia è più piccolo per il RS in quanto questo algoritmo utilizza i glued RecHit (sez.2.5), mentre il CTF utilizza i RecHit dei moduli rϕ e stereo separatamente. Per verificare che le tracce ricostruite fossero effettivamente dovute a raggi cosmici che attraversavano i layer del tracciatore producendo poi il segnale di trigger nelle camere per i muoni, è stato fatto un confronto fra le tracce ricostruite con i dati del tracciatore attraverso il CTF e quelle ricostruite con i dati provenienti dalle camere per i muoni. In fig.4.11 è riportata la correlazione fra le direzioni delle tracce misurate dal tracciatore e dalle camere per i muoni in assenza di campo magnetico. Come si può vedere la correlazione fra le direzioni misurate nel piano trasverso (fig.4.11 (a)) è molto buona, con una larghezza della distribuzione di φtracciatore − φmuoni di circa 25 milliradianti. La scarsa risoluzione nella misura della CAPITOLO 4. MAGNET TEST - COSMIC CHALLENGE 400 350 Cosmic Track Finder Cosmic Track Finder Entries Mean Entries Mean 3588 -1.519 Road Search Algorithm Entries Mean 300 Events Events 90 1000 3588 0.3555 Road Search Algorithm 2343 -1.481 Entries Mean 800 2343 0.3831 250 600 200 150 400 100 200 50 0 -3 -2 -1 0 1 2 0 3 -2 φ [rad] -1 0 (a) 1 η (b) Entries Mean 1200 3588 5.64 Road Search Algorithm 1000 Entries Mean 2343 11.79 800 Cosmic Track Finder Events Cosmic Track Finder Events 2 1600 Entries Mean 1400 3588 3.989 Road Search Algorithm 1200 Entries Mean 2343 3.554 1000 800 600 600 400 400 200 0 0 200 10 20 30 40 50 60 70 80 90 0 100 χ2 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 # of hits per track (c) (d) Figura 4.10: Confronto fra parametri delle tracce ricostruite con il CosmicTrackFinder (rosso) e con il RoadSearch algorithm (blu) per dati a B=3.8 T. Sono riportate 863 0.3297 0.3455 1.4 -1.2 1.2 -1.4 0.8 φ Entries Mean x Mean y eta correlation (4 layers) η 3663 -1.536 -1.537 DT Entries Mean x Mean y -1 DT (rad) le distribuzioni di φ (a), η (b), χ2 (c) e del numero di hit per traccia (d) [51]. 1 0.6 -1.6 0.4 -1.8 0.2 -2 -0.2 0 -0.4 -2.2 -2.2 -2 -1.8 -1.6 -1.4 -1.2 -1 φ (rad) -0.4 -0.2 0 0.2 0.4 0.6 (a) 0.8 1 1.2 1.4 η tk tk (b) Figura 4.11: Correlazione fra gli angoli di inclinazione delle tracce ricostruite nel tracciatore con il CTF, e quelli delle tracce ricostruite nelle camere per i muoni, per eventi a B=0 T: (a) φDT (muoni) vs φtk (tracciatore); (b) η per tracce con hit in tutti e quattro i layer [51]. direzione in η, dovuta al fatto che nel tracciatore solo TIB layer 2 era in grado di misurare con precisione la coordinata z (era l’unico con rivelatori a doppia faccia), 4.3. TRACCIATURA CON IL COSMICTRACKFINDER 91 produce una maggiore dispersione nel suo grafico di correlazione. Per eventi con campo magnetico diverso da zero la correlazione nel piano trasverso è più difficile da evidenziare a causa della curvatura che assumono le tracce. In fig.4.12 è riportata la differenza φtracciatore − φmuoni per tracce a B = 3.8 T in fun- zione dell’impulso trasverso. Per bassi valori di pT si ha una maggiore differenza tra l’angolo di inclinazione del segmento ricostruito nel tracciatore e l’angolo ricostruito 1 0.6 0.4 φ -φ DT 0.8 tk (rad) nelle camere per i muoni, dovuta alla maggior curvatura della traccia. 0.2 -0 -0.2 -0.4 -0.6 -0.8 -1 0 5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 PT (GeV/c) Figura 4.12: Correlazione fra la differenza φtracciatore − φmuoni e l’impulso trasverso per tracce di eventi con B=3.8 T ricostruite con il CTF. In nero sono riportati i dati relativi alle tracce di muoni positivi, in grigio quelli relativi a tracce di muoni negativi [51]. 4.3 Tracciatura con il CosmicTrackFinder Come abbiamo visto nella sezione precedente, sono stati utilizzati per gli studi eseguiti sui dati raccolti al MTCC due algoritmi di ricostruzione delle tracce. In questa sezione descriverò il CosmicTrackFinder [52], l’algoritmo di ricostruzione delle tracce da me utilizzato per la misura dell’angolo di Lorentz. La tracciatura parte dai RecHit prodotti nella ricostruzione offline locale (sez.2.5). Come già accennato, il CTF non utilizza i glued RecHit. Questi, se presenti, vengono separati nei RecHit mono e stereo dalla cui intersezione sono stati creati. La ricostruzione delle tracce prosegue in tre passi, detti: “Creazione del Seed ”, “Pattern recognition” e “Fit della traccia”. Le coordinate x, y e z a cui mi riferirò nel seguito sono quelle del sistema di riferimento globale di CMS. 92 CAPITOLO 4. MAGNET TEST - COSMIC CHALLENGE 4.3.1 Creazione del Seed Un seed è il minimo insieme di RecHit compatibile con la traiettoria di una particella e da cui è possibile ricavare una prima stima dei parametri della traccia. Per le tracce generate da raggi cosmici il numero di hit per evento nell’intero tracciatore è molto minore di quello che si otterrebbe nel caso di collisioni protone-protone. Sia per questo motivo, sia perché il numero di rivelatori presenti nel tracciatore del MTCC era basso, tutte le coppie di hit geometricamente compatibili sono considerate possibili Seed dal CTF. La compatibilità è stabilita con i seguenti criteri: I due hit devono trovarsi su layer distinti del TIB o del TOB. Non sono ammessi quindi Seed con un hit nel TIB e uno nel TOB. Nel caso del TIB, dove la sovrapposizione dei rivelatori alloggiati nelle stringhe interne e in quelle esterne è circa il 5%, gli hit del Seed possono anche appartenere allo stesso layer, a patto che uno si trovi in una stringa interna e l’altro in una esterna. Gli hit dei moduli stereo non sono utilizzati per il Seed, dal momento che solo un layer è equipaggiato con questi rivelatori. La distanza fra i moduli nella coordinata z deve essere minore di 30 cm (18 cm nel caso in cui il Seed sia costituito da hit appartenenti allo stesso layer del TIB). La distanza fra la coordinata x degli hit deve essere minore del doppio della loro distanza nella coordinata y. Questa richiesta è dovuta al fatto che, acquisendo tracce di raggi cosmici, ci si apettano piccoli angoli di inclinazione rispetto alla verticale. Figura 4.13: Esempi di Seed con il CTF, con RecHit nel TIB layer 2 e layer 3 (sinistra), nel TOB layer 1 e layer 5 (centro), nel TIB layer 3 stringhe interne ed esterne (destra). 4.3. TRACCIATURA CON IL COSMICTRACKFINDER 93 In fig.4.13 sono riportati alcuni esempi di Seed. Dopo aver selezionato tutte le coppie di hit che soddisfano queste condizioni, ciascun Seed è propagato negli altri layer secondo le modalità descritte nel punto seguente. 4.3.2 Pattern recognition Un Seed creato nel punto precedente può trovarsi all’estremità inferiore (TIB) o superiore (TOB) del tracciatore. Se si trova all’estremità superiore (inferiore), tutti gli hit con la coordinata y globale più bassa (alta) di quella degli hit del Seed, sono disposti in ordine decrescente (crescente) rispetto alla direzione verticale. A questo punto vengono ricostruite le possibili tracce nel seguente modo: 1. La traiettoria, con la prima stima dei parametri fornita dal Seed, è propagata sulla superficie di ciascun modulo contenente un hit. 2. La compatibilità di ciascun hit con la traccia propagata è valutata utilizzando un estimatore di χ2 . Il valore dell’estimatore di χ2 con cui operare il taglio sugli hit è un parametro che può essere modificato dall’utente nel file di configurazione. Negli studi effettuati sui dati raccolti al MTCC, il valore standard dell’estimatore di χ2 utilizzato per il taglio è 40. 3. Per ogni hit compatibile, viene ricalcolata una traccia utilizzando anche le informazioni portate da quell’hit. Sono applicati due ulteriori controlli per evitare selezioni di hit erronee. Il primo richiede che venga selezionato al più un hit per modulo, il secondo, analogo a quello già applicato in fase di creazione del Seed, richiede che per i primi due hit associati alla traccia la distanza dagli hit del Seed nelle coordinate x e z sia minore del doppio della distanza in y. A questo punto ciascuna traccia ricostruita viene rigettata o passata al punto successivo in base al numero di hit ad essa associati. Il numero minimo di hit associati, sotto il quale una traccia viene rigettata, è tre. 4.3.3 Fit della traccia Per ogni possibile traccia prodotta nel passaggio precedente, viene eseguito nuovamente il Pattern recognition partendo dall’ultimo hit ad essa associato, e utilizzando i nuovi parametri della traccia ricavati alla fine del punto precedente. In questo passaggio vengono inoltre aggiornate le posizioni degli hit con i relativi errori, tenendo conto dell’effettiva inclinazione della traccia. 94 CAPITOLO 4. MAGNET TEST - COSMIC CHALLENGE Al termine di queste operazioni sono ancora presenti più tracce valide, ma solo la traccia migliore viene salvata dal momento che in genere ci si apetta per raggi cosmici al più una traccia per evento. I criteri stabiliti per selezionare la miglior traccia sono: maggior numero di layer su cui è presente un RecHit associato alla traccia; maggior numero di RecHit associati alla traccia; χ più piccolo 2 La traccia che soddisfa questi criteri viene salvata nell’Event (sez.2.5) insieme agli hit ad essa associati, l’impulso, la carica della particella, il valore di χ2 e la matrice di covarianza. 4.3.4 Risultati ottenuti sulle simulazioni Sono state valutate, su simulazioni di dati a 0.0 T e a 3.8 T, le risoluzioni negli angoli di inclinazione e nell’impulso delle tracce ricostruite, nonché l’efficienza di ricostruzione. In fig.4.14 sono mostrate le risoluzioni di φ e pT , ottenute attraverso la differenza fra i valori simulati e quelli ricostruiti. In Tab.4.2 sono riassunte le risoluzioni di φ, η e pT . Come atteso la risoluzione in η è molto peggiore di quella in φ, dal momento che solo il TIB layer 2 era in grado di misurare con precisione la coordinata z degli hit. (a) (b) Figura 4.14: Risoluzione in φ (a) e pT (b), stimata attraverso la differenza fra il valore ricostruito e quello simulato. La risoluzione riportata in nero è riferita a tutte le tracce, quella in rosso alle sole tracce con almeno tre hit in layer diversi e quella in blu alle tracce con hit in tutti e quattro i layer [52]. 95 4.4. ALLINEAMENTO Qualità della risoluzione in φ risoluzione in η risoluzione relativa traccia mrad in pT Tutte le tracce 1.9 0.14 13% hit in 3 layer 1.3 0.12 12% hit in 4 layer 1.0 0.08 10% Tabella 4.2: Risoluzioni in φ, η e pT ottenute per le tracce ricostruite con il CTF. Sono riportati i risultati ottenuti per l’insieme di tutte le tracce, per quelle con almeno tre hit in differenti layer e per quelle con hit in tutti e quattro i layer [52]. Per calcolare l’efficienza di ricostruzione sono stati considerati solamente gli eventi simulati con almeno un Seed e in cui sono stati ricostruiti almeno tre hit e sono stati correttamente associati a quelli simulati. Utilizzando il campione complementare (quello con meno di tre hit correttamente associati) è stata valutata la percentuale di ricostruzioni fasulle. In fig.4.15 è riportata l’efficienza di ricostruzione ottenuta per il CTF in funzione dell’impulso trasverso. La percentuale di ricostruzioni fasulle è stata stimata intorno allo 0.2%. Figura 4.15: Efficienza di tracciatura del CTF. L’efficienza riportata in nero è riferita a tutte le tracce, quella in rosso alle sole tracce con almeno tre hit in layer diversi e quella in blu alle tracce con hit in tutti e quattro i layer [52]. 4.4 Allineamento L’allineamento dei rivelatori, cosı̀ come la corretta ricostruzione delle tracce, sono di fondamentale importanza per la misura dell’angolo di Lorentz da me eseguita, come vedremo nel capitolo seguente. Da essi dipende infatti la corretta stima dell’angolo 96 CAPITOLO 4. MAGNET TEST - COSMIC CHALLENGE d’incidenza della traccia sui rivelatori, e il principio di misura da me utilizzato si basa proprio sulla dipendenza della dimensione dei cluster da tale angolo. Con i dati presi al B186 è stato effettuato un pre-allineamento, che ha permesso di ricavare una prima stima dei parametri da utilizzare nelle analisi successive. Partendo da questi è stato poi eseguito l’allineamento con i dati di P5, che ha portato ai risultati utilizzati nella mia misura. Le costanti di allineamento per le componenti del tracciatore nella configurazione di P5 sono state ricavate attraverso un algoritmo detto “Hit and Impact Point” (HIP). Sono stati utilizzati a questo scopo gli eventi acquisiti in assenza di campo magnetico, in quanto la statistica disponibile era maggiore rispetto a quella dei dati ottenuti con solenoide acceso. Il procedimento adottato si basa sulla minimizzazione di alcune variabili di χ2 costruite ad hoc partendo dal valor medio dei residui, cioè della differenza fra le posizioni misurate degli hit e quelle previste dal fit della traccia. Il valor medio è stato determinato attraverso un fit gaussiano della distribuzione dei residui. Come punto di partenza (sia al B186 che a P5) sono state utilizzate le misure fatte in loco, mediante “survey” geometrico, sull’effettiva posizione delle stringhe e delle rod. Purtroppo non è stato possibile eseguire l’allineamento a livello del singolo rivelatore, a causa della poca statistica a disposizione. L’allineamento è stato quindi eseguito solo a livello delle rod del TOB e delle stringhe del TIB, in due passi successivi. 1. Nel primo passo sono state allineate le rod del TOB tenendo fisso il TIB rispetto alla geometria globale di CMS. I parametri liberi in questa prima fase erano le posizioni delle rod nelle coordinate del riferimento locale ortogonali e parallele alle strip. Lo coordinate delle rod venivano variate in un procedimento iterativo allo scopo di minimizzare le variabili di χ2 definite nell’algoritmo. Allo scopo di incrementare l’efficienza di tracciatura nelle prime iterazioni, è stato aggiunto in quadratura all’errore sulla posizione dell’hit un ulteriore contributo pari a 3.5 mm. Questo contributo veniva poi diminuito linearmente nelle iterazioni successive, fino a raggiungere il valore di 0 mm dalla decima iterazione in poi. La convergenza della posizione delle rod nella geometria globale è mostrata in fig.4.16. La posizione allineata delle rod è stata raggiunta dopo 45 iterazioni (in figura sono mostrate le prime 50). 2. Nel secondo passo sono state allineate le stringhe del TIB, mantenendo fisse le coordinate globali delle rod del TOB nei valori ottenuti con la prima fase dell’allineamento. I parametri liberi erano questa volta la posizione delle stringhe nella coordinata ortogonale alle strip e nella coordinata radiale. La convergen- 4.4. ALLINEAMENTO 97 Figura 4.16: Differenza fra la coordinate globali x (sinistra) e z (destra) delle rod del TOB rispetto alle posizioni iniziali, nelle varie iterazioni eseguite per l’allineamento. La convergenza nelle posizioni delle rod è raggiunta dopo 45 iterazioni [52]. Figura 4.17: Differenza fra la coordinate globali x (sinistra) e z (destra) delle stringhe del TIB rispetto alle posizioni iniziali, nelle varie iterazioni eseguite per l’allineamento. La convergenza nelle posizioni delle stringhe è raggiunta dopo 10 iterazioni [52]. za della posizione delle stringhe nella geometria globale è mostrata in fig.4.17. La posizione allineata delle stringhe è stata raggiunta dopo 10 iterazioni. In fig.4.18 è riportato il χ2 delle tracce ricostruite e in fig.4.19 i residui calcolati per gli hit nei vari layer. In entrambi i casi sono riportati i risultati ottenuti senza allineamento, con le costanti di pre-allineamento ricavate a B186 e con quelle finali ricavate con i dati di P5. Come si può vedere la distribuzione del χ2 migliora sensibilmente in quest’ultimo caso e la distribuzione dei residui risulta via via più piccata nello zero, il che dimostra un chiaro miglioramento nella qualità delle tracce ricostruite dopo l’allineamento. I parametri di correzione della geometria cosı̀ ottenuti sono stati memorizzati 98 CAPITOLO 4. MAGNET TEST - COSMIC CHALLENGE Figura 4.18: Distribuzione del χ2 delle tracce ricostruite. Sono confrontate le distribuzioni ottenute senza allineamento (nero), con il pre-allineamento (rosso) e con l’allineamento completo (blu) [52]. Figura 4.19: Distribuzioni dei residui degli hit, cioè della differenza fra le posizioni misurate degli hit e quelle previste dal fit della traccia. Sono confrontate le distribuzioni ottenute per i vari layer senza allineamento (nero), con il pre-allineamento (rosso) e con l’allineamento completo (blu) [52]. in un database, per poi essere utilizzati nelle ricostruzioni offline degli eventi in CMSSW, attraverso l’inserimento nel file di configurazione di un opportuno modulo che, in accordo con essi, corregge la geometria globale del tracciatore. Con i dati di P5 sono stati ricavati in realtà due set di costanti di allineamento, 4.4. ALLINEAMENTO 99 il primo seguendo la procedura descritta sopra, il secondo consentendo anche, come terzo passo, la rotazione delle stringhe e delle rod attorno al proprio asse parallelo alla z del riferimento globale di CMS. Il primo set di costanti di allineamento è quello di riferimento per gli studi eseguiti sui dati raccolti al MTCC e riportati nella nota sull’esperimento [51]. Tuttavia nella misura dell’angolo di Lorentz da me effettuata, utilizzerò entrambi gli allineamenti, cosı̀ da poter ricavare, dal confronto dei risultati ottenuti nei due casi, una stima del contributo portato all’incertezza della mia misura dall’errore sull’allineamento. Capitolo 5 Misura dell’angolo di Lorentz Con i dati raccolti al MTCC ho potuto eseguire la misura dell’angolo di Lorentz dei portatori di carica all’interno dei rivelatori a microstrisce del tracciatore, che costituisce l’argomento principale del mio lavoro di tesi. A tale scopo ho utilizzato un campione di dati presi a P5, con un campo magnetico B = 3.8 T. In questo capitolo descriverò il metodo da me utilizzato per misurare l’angolo di Lorentz attraverso un codice appositamente scritto da me in C++, che costituisce un modulo di CMSSW da inserire nel file di configurazione dopo la ricostruzione delle tracce. Descriverò inoltre i risultati della misura ottenuti utilizzando due diversi set di costanti di allineamento (ricavati come descritto in sez.4.4) ed il loro confronto con la stima dell’angolo di Lorentz ricavata dal modello da me costruito, descritto nel Cap.3. La misura da me effettuata si limita ai moduli del TIB e del TOB, in quanto, essendo in ottima approssimazione il campo magnetico nella regione del tracciatore uniforme e parallelo al fascio, esso risulta quindi parallelo al campo elettrico interno ai rivelatori della TEC, dal momento che questi sono disposti ortogonalmente al fascio. Quindi i portatori di carica all’interno dei moduli della TEC non risentono della deviazione di Lorentz, dato che la loro velocità di deriva è parallela al campo magnetico. 5.1 Principio di misura Come già abbiamo discusso nel Cap.3 a proposito del modello dell’angolo di Lorentz, in presenza di un campo magnetico avremo larghezza minima dei cluster formati sui rivelatori per tracce incidenti con un angolo rispetto alla normale uguale proprio all’angolo di Lorentz ΘL . Per determinare ΘL ho quindi misurato la larghezza dei cluster nei rivelatori del tracciatore presenti al MTCC in funzione dell’angolo di 102 CAPITOLO 5. MISURA DELL’ANGOLO DI LORENTZ (a) (b) Figura 5.1: (a) Schema del sistema di riferimento locale di un generico modulo. Con θt è indicato l’angolo di incidenza della traccia, con t lo spessore del modulo e con p il passo fra le strip (che non sono riportate in scala); (b) Segno di θt , come risulta dalla definizione (5.1). incidenza delle tracce. Il valore dell’angolo per cui questa diventa minima costituirà cioè la misura dell’angolo di Lorentz delle lacune nei rivelatori stessi. In fig.5.1 (a) è riportato lo schema del sistema di riferimento locale di un generico modulo del tracciatore. L’angolo di incidenza è definito come quell’angolo θt che la proiezione della traccia nel piano xz forma con la normale al rivelatore. Dette Tx e Tz le componenti della direzione della traccia lungo gli assi x e z del riferimento locale, l’angolo di incidenza θt è quindi dato da: Tx θt = arctan Tz (5.1) e il segno di θt è quello riportato in fig.5.1 (b). L’inclinazione della traccia nel piano yz parallelo alle strip non influisce sulla larghezza del cluster in quanto il rivelatore non è in grado di misurare la coordinata lungo le strip stesse. La larghezza del cluster, o cluster size, è espressa attraverso il numero di strip che lo compongono, comprese le eventuali strip il cui rapporto segnale/rumore non ha superato la soglia tChannel del ThreeThresholdClusterizer (sez.2.5), ma che sono state ugualmente inglobate nel cluster in quanto si trovavano comprese fra due strip sopra soglia. In assenza del campo magnetico la larghezza media del cluster per tracce incidenti con un angolo θt è data da: t larghezza media del cluster = a + · b · tan θt p (5.2) dove t è lo spessore del rivelatore, p il passo fra le strip e a e b sono degli opportuni coefficienti che tengono conto della diffusione dei portatori e dell’accoppiamento 103 5.1. PRINCIPIO DI MISURA capacitivo delle strip. In particolare a rappresenta la larghezza media dei cluster formati da tracce ortogonali al rivelatore (θt = 0), e avrà un valore compreso fra 1 e 2, dato che questo tipo di tracce può generare cluster di una o due strip a seconda di come si ripartisce la carica liberata fra le due strip vicine al punto di passaggio. Come già avevamo ricavato con il modello (sez.3.4.2), la presenza di un campo magnetico, parallelo alla direzione delle strip, sposta il minimo della distribuzione della larghezza del cluster in corrispondenza di un valore della tangente dell’angolo di incidenza uguale alla tangente dell’angolo di Lorentz dei portatori. Nel caso dei rivelatori pertanto la larghezza media del cluster in presenza di un campo magnetico sarà data da: t larghezza media del cluster = a + · b · (tan θt − tan ΘL ) p dove ΘL è l’angolo di Lorentz, che, con riferimento alla fig.5.2, è dato da: ∆x ΘL = arctan t (5.3) (5.4) dove ∆x è lo spostamento, dovuto alla forza di Lorentz, nella coordinata x del punto di arrivo sul lato giunzione di una lacuna formata ad una profondità t all’interno del rivelatore. Il segno di ΘL dipende dall’orientazione del campo magnetico rispetto al sistema di riferimento locale del modulo. Se B è concorde con l’asse y del riferimento locale, l’angolo che minimizza la dimensione del cluster è negativo (fig.5.2 (a)), se invece è discorde il segno dell’angolo è positivo (fig.5.2 (b)). (a) (b) Figura 5.2: Rappresentazione schematica dello spostamento ∆x delle lacune dovuto alla forza di Lorentz, nel caso in cui il campo magnetico sia concorde con l’asse y locale (a) e nel caso in cui sia discorde (b). La linea tratteggiata indica la direzione di deriva di una lacuna formata all’estremità del rivelatore opposta a quella delle impiantazioni. Le frecce indicano la direzione della traccia che minimizza la larghezza del cluster. 104 CAPITOLO 5. MISURA DELL’ANGOLO DI LORENTZ Riportando in grafico la larghezza del cluster in funzione di tan θt è dunque possibile ricavare una misura dell’angolo di Lorentz attraverso un fit che fornisca il valore della tangente a cui corrisponde il minimo della distribuzione. Ho utilizzato per il fit la seguente funzione: t · p1 · |x − p0 | + p2 p (5.5) dove la variabile x è quindi tan θt e p0 , p1 e p2 sono i parametri del fit. La (5.5) ha un minimo in x = p0 , che coincide pertanto con la misura della tangente dell’angolo di Lorentz, e presenta un andamento lineare intorno al minimo, con coefficiente angolare pari a p2 . 5.2 t p · p1 . Il valore minimo della larghezza del cluster è invece dato da Algoritmo utilizzato per la misura Per eseguire la misura dell’angolo di Lorentz ho creato un apposito codice, inserito come classe di CMSSW e chiamato SiStripLorentzAngle. Esso costituisce un modulo di CMSSW da inserire nel file di configurazione dopo la ricostruzione delle tracce. Nella misura da me effettuata ho utilizzato come algoritmo di tracciatura il CosmicTrackFinder (descritto in sez.4.3.), per cui per ogni evento viene passata al SiStripLorentzAngle al più una traccia. Nel seguito descriverò i vari passaggi attraverso i quali il modulo di CMSSW da me definito esegue la misura dell’angolo di Lorentz. 5.2.1 Informazioni in ingresso Per ogni evento che ha portato alla ricostruzione di una traccia, SiStripLorentzAngle prende dall’Event, cioè da quell’oggetto di CMSSW attraverso il quale comunicano fra loro i vari moduli definiti nel file di configurazione (sez.2.5), un oggetto che contiene le informazioni sugli hit appartenenti alla traccia e sui parametri di quest’ultima, come la direzione della traccia sulla superficie del modulo che ha dato il segnale. Da questa l’algoritmo ricava quindi la tangente dell’angolo che la proiezione della traccia nel piano xz del riferimento locale forma con la normale al rivelatore. Per ogni evento in cui è stata ricostruita una traccia, SiStripLorentzAngle produce una collezione nella quale sono inseriti tutti gli hit associati alla traccia, accoppiati al valore di tan θt calcolato in corrispondenza di ciascuno di essi. I glued RecHit eventualmente presenti vengono separati nei rispettivi RecHit mono e stereo. 105 5.2. ALGORITMO UTILIZZATO PER LA MISURA (a) (b) Figura 5.3: Rappresentazione schematica della deviazione di Lorentz in un modulo mono e in uno stereo: (a) vista dal lato giunzione: α è l’angolo di inclinazione delle strip del modulo stereo rispetto al campo magnetico (che nel disegno si è supposto esattamente parallelo alle strip del modulo mono); (b) vista dal piano xz rispettivamente del mono e dello stereo: le linee tratteggiate rappresentano la proiezione, nel piano xz del modulo, della direzione di deriva di una lacuna formata all’estremità del rivelatore opposta a quella delle impiantazioni. Le frecce rappresentano la proiezione delle tracce che minimizzano la larghezza del cluster rispettivamente nel mono e nello stereo. 5.2.2 Correzione sull’orientazione dei moduli Fino ad ora abbiamo considerato la deviazione di Lorentz per moduli con strip parallele al campo magnetico. Tuttavia è necessario considerare anche l’effetto prodotto da tale deviazione in moduli con le strip inclinate rispetto al campo, dato che i rivelatori stereo presenti sono ruotati di 100 mrad rispetto ai mono ad essi accoppiati. Inoltre si deve tener conto del fatto che anche i rivelatori mono non sono orientati tutti allo stesso modo: alcuni hanno l’asse y parallelo al campo magnetico, altri antiparallelo. Questo, come abbiamo già mostrato in fig.5.2, porta ad un angolo di Lorentz negativo nel primo caso e positivo nel secondo. La correzione sul segno dell’angolo è quindi di fondamentale importanza, in quanto permette di considerare in maniera aggregata i dati provenienti da moduli diversi (cosa resa necessaria dalla bassa statistica, come vedremo nel seguito). Senza tale correzione avremmo infatti assimilato casi in cui l’angolo di minimizzazione ha segno positivo e casi in cui ha invece segno negativo, vanificando in questo modo la misura. La correzione sull’orientazione del modulo viene eseguita dall’algoritmo nel seguente modo. Se consideriamo un generico modulo come quello riportato in fig.5.3 106 CAPITOLO 5. MISURA DELL’ANGOLO DI LORENTZ (a), con le strip poste sul piano individuato dal vettore del campo magnetico, ma inclinate rispetto a questo di un angolo α, si ha che la forza di Lorentz agente sulle lacune al suo interno è scomponibile nel sistema di riferimento locale in: (FL )x = −qvd By (5.6) (F ) = qv B L y d x dove q è la carica delle lacune, vd la loro velocità di deriva (parallela a z) e Bx e By sono le componenti del campo magnetico lungo x e y rispettivamente. Tuttavia, mentre la componente lungo x della forza di Lorentz produce uno spostamento misurabile ∆x del punto di arrivo delle lacune sul lato giunzione, (FL )y genera uno spostamento ∆y lungo la direzione parallela alle strip che non è misurato dal rivelatore. Quindi, a parità di campo magnetico, il ∆x nel modulo con le strip inclinate rispetto a B è minore di quello con le strip parallele, contribuendo nel primo caso solo la componente B · ŷ del campo. Questo produce, come mostrato in fig.5.3 (b), una diminuzione della tangente dell’angolo di incidenza della traccia che minimizza la larghezza del cluster nei moduli stereo, rispetto al valore da essa assunto nei mono. Infatti, come si ricava dalla (5.4), per i rivelatori mono tan ΘL sarà uguale a ∆xm , d mentre per gli stereo a ∆xs , d con ∆xs < ∆xm . Al limite, se le strip fossero perpendicolari al campo magnetico, cosa che non accade mai nei rivelatori del barrel, la forza di Lorentz non produrrebbe alcun effetto misurabile dal rivelatore e si otterrebbe un minimo della dimensione del cluster per tan θt = 0, esattamente come nel caso di campo magnetico nullo. Come si ricava dalla fig.5.3: ∆xm = ∆xs cos α (5.7) dove α è l’angolo compreso fra l’asse y del modulo stereo ed il vettore del campo magnetico, che nel disegno si è supposto esattamente parallelo alle strip del modulo mono. Di conseguenza cos α vale: cos α = ŷ · B kBk (5.8) con B il vettore del campo magnetico in corrispondenza del punto individuato dall’hit ed espresso nelle coordinate locali del modulo e ŷ il versore che individua la direzione dell’asse y del sistema di coordinate locali. Da notare che cos α è sempre diverso da zero, in quanto l’analisi è limitata ai moduli del barrel, per i quali vale sempre ŷ · B 6= 0. Per correggere l’effetto portato dall’orientazione del modulo è quindi sufficiente moltiplicare il valore di tan θt misurato per 1/ cos α, cosı̀ da ricondurre il valore della 5.2. ALGORITMO UTILIZZATO PER LA MISURA 107 tangente corrispondente alla larghezza minima del cluster a quello che avremmo ottenuto se le strip fossero state parallele al campo magnetico. La correzione descritta sopra permette inoltre di uniformare il segno dell’angolo di Lorentz misurato sia nei moduli mono (per i quali cos α = ±1) che in quelli stereo. Infatti 1/ cos α è positivo se y e B sono concordi e negativo altrimenti, cioè ha sempre segno opposto a quello dell’angolo di Lorentz. Moltiplicando quindi tan θt per 1/ cos α otterremo il minimo della dimensione del cluster sempre per angoli negativi. 5.2.3 Fit della tangente dell’angolo di Lorentz Una volta operata la correzione sull’orientazione del modulo, il codice analizza per ciascun hit contenuto nella collezione la relativa larghezza del cluster e la riporta, evento per evento, in un istogramma in funzione di tan θt . Per ogni rivelatore presente, sia mono che stereo, viene creato un istogramma, che presenta pertanto, alla fine dell’analisi, il valor medio della larghezza dei cluster formati su di esso dalle particelle incidenti in funzione della tangente dell’angolo di incidenza. La possibilità di avere istogrammi separati per ciascun modulo permetterà, durante tutta l’attività di LHC, di effettuare la misura dell’angolo di Lorentz separatamente per ciascun modulo, potendo quindi anche monitorare eventuali suoi cambiamenti dovuti ai danni da radiazione o in generale a mutamenti nei parametri di funzionamento del rivelatore. Tuttavia in questo caso, data la bassa statistica a disposizione, non è possibile eseguire la misura dell’angolo di Lorentz separatamente per i vari rivelatori presenti al MTCC. Si è reso quindi necessario creare degli ulteriori istogrammi, uno per ogni layer del barrel, indicati per questo con i termini TIB2, TIB3, TOB1 e TOB5 e in cui vengono aggregati i dati relativi a tutti i moduli di un determinato layer. Su ciascun istogramma creato viene eseguito un fit con la funzione definita nella (5.5), operato utilizzando l’algoritmo “Minuit” [53]. Ho centrato l’intervallo su cui eseguire il fit sul valore approssimativamente atteso per la tangente dell’angolo di Lorentz, cioè in −0.1 per i dati a 3.8 T, come indicato dal modello (sez.3.4.2), e in 0 per i dati a 0 T. Il fit fornisce per ciascun istogramma la stima dei parametri p0 , p1 e p2 , con i relativi errori statistici, nonché il χ2 del fit. Il parametro p0 costituisce la misura della tangente dell’angolo di incidenza che minimizza la larghezza del cluster e quindi coincide, in presenza di un campo magnetico e a meno di ulteriori correzioni che vedremo nel seguito, con la misura della tangente dell’angolo di Lorentz. 108 CAPITOLO 5. MISURA DELL’ANGOLO DI LORENTZ Campo magnetico Numero totale Numero eventi filtrati di eventi (soglie=435) B=0.0 T 10.197.963 6096 B=3.8 T 12.638.378 3406 Tabella 5.1: Campioni di dati utilizzati per B = 0 T e B = 3.8 T . Gli eventi filtrati sono riferiti ad una ricostruzione dei cluster con le soglie standard 435. Campo magnetico Num. tracce - All. 1 Num. tracce - All. 2 (soglie=435) (soglie=435) B=0.0 T 4328 4742 B=3.8 T 3024 3039 Tabella 5.2: Numero di tracce ricostruite con i due set di costanti di allineamento, utilizzando per la ricostruzione dei cluster le soglie 435. 5.3 Misure preliminari Attraverso l’algoritmo SiStripLorentzAngle da me definito ho eseguito la misura dell’angolo di Lorentz sui dati del MTCC raccolti a P5, utilizzando gli istogrammi contenenti il valor medio della larghezza dei cluster in funzione di tan θt , relativi ai dati aggregati per layer, come descritto nella sezione precedente. Fra le circa 120 prese dati eseguite a P5 con il trigger globale fornito dalle camere per i muoni, ho utilizzato quelle ottenute col solenoide spento e quelle prese con un campo magnetico pari a B = 3.8 T (sono state eseguite anche alcune prese dati con B = 4 T, tuttavia il numero di eventi acquisiti per questo valore di B era troppo basso per poter eseguire una misura soddisfacente). Fra queste ho inoltre selezionato quelle prese in assenza di problemi del sistema di acquisizione e, in particolare per quelle con solenoide acceso, ho selezionato le acquisizioni per cui è stato riportato un valore stabile del campo magnetico. In totale ho selezionato 33 acquisizioni con B = 0 T e 36 con B = 3.8 T. In Tab.5.1 sono riportati il numero totale di eventi acquisiti nelle prese dati selezionate e il numero di eventi filtrati1 utilizzando per la ricostruzione dei cluster le soglie standard usate al MTCC per il ThreeThresholdClusterizer, e cioè tSeed = 4, tChannel = 3 e tCluster = 5. Nel seguito indicherò questo set di soglie come 435. Come si vede dalla tabella il numero di eventi filtrati è molto minore rispetto al 1 Come riportato in sez.4.2, per eventi filtrati si intende quegli eventi che hanno prodotto almeno tre cluster in tre differenti layer del barrel, oppure un cluster nella TEC. 109 5.3. MISURE PRELIMINARI ). Questo è dovuto al fatto che, rispetto al numero totale di eventi acquisiti (< 1 trigger fornito dalle camere per i muoni presenti al MTCC, l’accettanza geometrica del tracciatore risulta bassissima (sez.4.1.2). Come già accennato ho eseguito la misura utilizzando due diversi set di costanti di allineamento (si veda al riguardo sez.4.4), a cui mi riferirò indicandoli rispettivamente come allineamento numero 1 e numero 2. L’allineamento numero 1 è quello di riferimento per gli studi effettuati con i dati del MTCC riportati nella nota di CMS sull’esperimento [51], mentre il 2 è stato ricavato in seguito. Dal confronto dei risultati ottenuti con i due diversi set di costanti si può ricavare una stima sull’errore dell’allineamento stesso. In Tab.5.2 è riportato il numero di tracce ricostruite nei due casi con il CosmicTrackFinder, utilizzando le soglie standard 435. Come prima cosa ho esaminato il risultato del fit su ciascun istogramma ottenuto per i dati a 0 Tesla con i due diversi allineamenti, cosı̀ da verificare la comparsa Entries 6585 χ2 / ndf 29.4 / 32 p0 0.00405 ± 0.00459 p1 0.5032 ± 0.0196 p2 1.456 ± 0.018 3 Cluster size (strip) 2.8 2.6 2.4 2.2 2 1.8 MTCC TIB3 @ 0 T (All.1, soglie = 435) 2.8 1.6 2.6 2.4 2.2 2 1.8 1.6 1.4 -0.6 1.4 -0.4 -0.2 0 0.2 0.4 0.6 -0.6 tan(θt) -0.4 -0.2 (a) 3 Cluster size (strip) 2.8 2.6 0 0.2 0.4 0.6 tan(θt) (b) Entries 3659 χ2 / ndf 12.21 / 10 p0 -0.08157 ± 0.33024 p1 -0.0244 ± 0.1142 p2 1.992 ± 0.029 2.4 2.2 2 1.8 1.6 MTCC TOB5 @ 0 T (All.1, soglie = 435) 3 2.8 Cluster size (strip) MTCC TOB1 @ 0 T (All.1, soglie = 435) 2.6 Entries 2184 χ2 / ndf 12.74 / 10 p0 0.02771 ± 0.02102 p1 0.3618 ± 0.1051 p2 1.861 ± 0.035 2.4 2.2 2 1.8 1.6 1.4 -0.6 Entries 6164 χ2 / ndf 27.28 / 32 p0 0.01751 ± 0.00670 p1 0.5262 ± 0.0296 p2 1.489 ± 0.017 3 Cluster size (strip) MTCC TIB2 @ 0 T (All.1, soglie = 435) 1.4 -0.4 -0.2 0 (c) 0.2 0.4 0.6 tan(θt) -0.6 -0.4 -0.2 0 0.2 0.4 0.6 tan(θt) (d) Figura 5.4: Misura della tangente dell’angolo che minimizza la larghezza del cluster per i dati a 0 Tesla del MTCC, ottenuta con l’allineamento 1. Sono riportati gli istogrammi relativi a: (a) TIB layer 2; (b) TIB layer 3; (c) TOB layer 1; (d) TOB layer 5. 110 CAPITOLO 5. MISURA DELL’ANGOLO DI LORENTZ Entries 6850 χ2 / ndf 28.9 / 32 p0 0.01237 ± 0.00387 p1 0.5362 ± 0.0190 p2 1.399 ± 0.019 3 Cluster size (strip) 2.8 2.6 2.4 2.2 2 1.8 MTCC TIB3 @ 0 T (All.2, soglie = 435) 2.8 1.6 2.6 2.4 2.2 2 1.8 1.6 1.4 -0.6 1.4 -0.4 -0.2 0 0.2 0.4 0.6 -0.6 tan(θt) -0.4 -0.2 (a) 3 Cluster size (strip) 2.8 2.6 0 0.2 0.4 0.6 tan(θt) (b) Entries 4210 χ2 / ndf 11.14 / 10 p0 -0.06243 ± 0.05322 p1 0.1164 ± 0.0823 p2 1.966 ± 0.024 2.4 2.2 2 1.8 1.6 MTCC TOB5 @ 0 T (All.2, soglie = 435) 3 2.8 Cluster size (strip) MTCC TOB1 @ 0 T (All.2, soglie = 435) 2.6 Entries 1920 χ2 / ndf 10.6 / 9 p0 0.03496 ± 0.02261 p1 0.3471 ± 0.1006 p2 1.879 ± 0.035 2.4 2.2 2 1.8 1.6 1.4 -0.6 Entries 6593 χ2 / ndf 63.68 / 32 p0 0.02757 ± 0.00793 p1 0.5068 ± 0.0264 p2 1.48 ± 0.02 3 Cluster size (strip) MTCC TIB2 @ 0 T (All.2, soglie = 435) 1.4 -0.4 -0.2 0 0.2 0.4 0.6 tan(θt) -0.6 (c) -0.4 -0.2 0 0.2 0.4 0.6 tan(θt) (d) Figura 5.5: Misura della tangente dell’angolo che minimizza la larghezza del cluster per i dati a 0 Tesla del MTCC, ottenuta utilizzando l’allineamento 2. Sono riportati gli istogrammi relativi a: (a) TIB layer 2; (b) TIB layer 3; (c) TOB layer 1; (d) TOB layer 5. del minimo atteso in tan θt = 0. I risultati ottenuti sono riportati in fig.5.4 per l’allineamento 1 e in fig.5.5 per l’allineamento 2. Come si ricava dagli istogrammi in fig.5.4 e in fig.5.5, per entrambi i set di costanti di allineamento le distribuzioni hanno dei minimi ben identificabili per i due layer del TIB, mentre questo non avviene per i layer del TOB. In particolare si nota negli istogrammi del TOB una regione piatta centrale, corrispondente a una larghezza del cluster circa uguale a 2, come se, anche per tracce incidenti con θt ≃ 0 (cioè circa perpendicolari al modulo), per le quali ci si apetterebbe un maggior numero di cluster a una strip, per qualche motivo anche le strip vicine a quella di incidenza andassero quasi sempre sopra soglia e venissero quindi associate al cluster. Per comprendere questo effetto abbiamo provato ad eseguire la stessa analisi sui dati raccolti quando il tracciatore utilizzato per il MTCC si trovava nella struttura B186 (sez.4.1.1). In questo caso infatti, oltre alla maggior quantità di dati raccolti, anche la configurazione del trigger era diversa, sia dal punto di vista geometrico che 111 5.3. MISURE PRELIMINARI 3 Cluster size (strip) 2.8 2.6 Entries 9097 χ2 / ndf 32.48 / 23 p0 0.005141 ± 0.003826 p1 0.551 ± 0.023 p2 1.32 ± 0.02 2.4 2.2 2 1.8 186bdg TIB3 @ 0 T (All.1, soglie = 435) 3 2.8 Cluster size (strip) 186bdg TIB2 @ 0 T (All.1, soglie = 435) 1.6 2.4 2.2 2 1.8 1.6 1.4 -0.6 2.6 1.4 -0.4 -0.2 0 0.2 0.4 0.6 -0.6 tan(θt) -0.4 -0.2 (a) 3 Cluster size (strip) 2.8 2.6 0 0.2 0.4 0.6 tan(θt) (b) Entries 5128 χ2 / ndf 8.869 / 13 p0 0.002194 ± 0.014211 p1 0.3899 ± 0.0948 p2 1.699 ± 0.022 2.4 2.2 2 1.8 186bdg TOB5 @ 0 T (All.1, soglie = 435) 3 2.8 Cluster size (strip) 186bdg TOB1 @ 0 T (All.1, soglie = 435) 1.6 2.6 Entries 4735 χ2 / ndf 11.2 / 13 p0 -0.01986 ± 0.00541 p1 0.6021 ± 0.0905 p2 1.664 ± 0.021 2.4 2.2 2 1.8 1.6 1.4 -0.6 Entries 7009 χ2 / ndf 54.15 / 23 p0 0.02865 ± 0.00658 p1 0.499 ± 0.037 p2 1.375 ± 0.017 1.4 -0.4 -0.2 0 0.2 0.4 0.6 tan(θt) (c) -0.6 -0.4 -0.2 0 0.2 0.4 0.6 tan(θt) (d) Figura 5.6: Misura della tangente dell’angolo che minimizza la larghezza del cluster per i dati a 0 Tesla di B186, ottenuta utilizzando l’allineamento 1. Sono riportati gli istogrammi relativi a: (a) TIB layer 2; (b) TIB layer 3; (c) TOB layer 1; (d) TOB layer 5. elettronico. I risultati dell’analisi effettuata sui dati raccolti a B186, ottenuti solo con l’allineamento 1, sono riportati in fig.5.6. Confrontando gli istogrammi riportati in fig.5.4 e in fig.5.6, ottenuti con le stesse costanti di allineamento, si nota in generale una larghezza minima del cluster più piccola in quelli relativi ai dati presi al B186 e in particolare si ha la presenza di un minimo ben definito negli istogrammi relativi ai due layer del TOB, corrispondente a una dimensione del cluster più piccola di quella ottenuta nei dati MTCC. Come ulteriore verifica ho confrontato la distribuzione della carica rilasciata all’interno dei rivelatori e quella della larghezza del cluster, ottenute per i dati presi al B186 e per i dati presi al P5. In fig.5.7 è riportato il confronto fra le distribuzioni di carica, normalizzate per il numero totale di hit, ottenute nei due casi. Il picco corrispondente a un conteggio ADC di 256, come già accennato in sez.4.2, è dovuto alla saturazione degli ADC nelle acquisizioni effettuate in modalità Zero Suppression, ed è più evidente nelle distribuzioni relative ai dati di P5 perché in questo caso 112 CAPITOLO 5. MISURA DELL’ANGOLO DI LORENTZ Carica TIB2: 186 (nero) P5 (rosso) Entries 9097 Mean 110.5 0.02 0.018 RMS 0.016 Carica TIB3: 186 (nero) P5 (rosso) Entries 7009 Mean 110.7 0.016 56.67 RMS 56.49 0.014 0.014 Entries 6585 0.012 0.012 Mean 122 RMS 59.13 0.01 0.01 Entries 6164 Mean 127.1 RMS 58.02 0.008 0.008 0.006 0.006 0.004 0.004 0.002 0.002 0 0 100 200 300 400 500 0 0 600 100 200 300 carica (conteggi ADC) (a) Entries 5128 Mean 177.2 0.014 0.012 RMS Carica TOB5: 186 (nero) P5 (rosso) 70.44 0.01 Entries 3659 0.008 Mean 201.7 RMS 71.52 0.004 0.002 400 500 600 Mean 183.9 RMS 69.52 0.008 0.002 0 0 100 200 300 carica (conteggi ADC) (c) 67.96 Entries 2184 0.01 0.006 300 RMS 0.012 0.004 200 600 Entries 4735 Mean 170.4 0.014 0.006 100 500 (b) Carica TOB1: 186 (nero) P5 (rosso) 0 0 400 carica (conteggi ADC) 400 500 600 carica (conteggi ADC) (d) Figura 5.7: Distribuzioni di carica ottenute per il TIB2 (a), TIB3 (b), TOB1 (c) e TOB5 (d). In nero sono riportati i dati di B186, in rosso quelli di P5. La carica è espressa in conteggi ADC e le distribuzioni sono state normalizzate rispetto al numero di dati cui si riferiscono. le acquisizioni sono state effettuate tutte con il FED in modalità Zero Suppression, mentre a B186 alcune prese dati sono state eseguite in modalità Virgin Raw, nel qual caso è utilizzato il full range dell’ADC. Si osserva che il valor medio della distribuzione è maggiore per i layer del TOB rispetto a quelli del TIB, dato che la carica rilasciata nei moduli del TOB è maggiore rispetto a quella rilasciata nei moduli del TIB, avendo i primi uno spessore maggiore. Come mostrato in fig.5.7, si ha in generale, nel passaggio da B186 a P5, uno spostamento delle distribuzioni di carica verso valori più elevati delle conversioni del FED. Questo spostamento si riflette in un aumento della larghezza media del cluster degli hit rivelati a P5 rispetto a quelli di B186, come mostrato in fig.5.8. In particolare si nota una diminuzione del numero di cluster a una strip, più accentuata nei layer del TOB, a favore dei cluster a due o tre strip. Si ha quindi un evidente aumento della larghezza dei cluster nei dati raccolti a P5 rispetto a quelli di B186, che può essere dovuto a vari fattori. Alcune ipotesi 113 5.3. MISURE PRELIMINARI Cl.Size TIB2: 186 (nero) P5 (rosso) Entries 9097 Mean 1.796 Cl.Size TIB3: 186 (nero) P5 (rosso) Entries 7009 Mean 1.694 0.5 RMS 0.7149 0.5 RMS 0.7269 0.4 Entries 6585 0.4 Mean 1.924 RMS 0.7671 0.3 Entries 6164 Mean 1.776 RMS 0.7447 0.3 0.2 0.2 0.1 0.1 0 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 0 0 1 2 3 4 5 carica (conteggi ADC) (a) 7 8 9 10 (b) Cl.Size TOB1: 186 (nero) P5 (rosso) Entries 5128 Mean 1.804 0.45 0.4 RMS 0.8699 Cl.Size TOB5: 186 (nero) P5 (rosso) Entries 4735 Mean 1.789 0.4 RMS 0.8651 0.35 0.35 0.3 0.25 Entries 3659 0.3 Mean 2.05 RMS 0.9278 0.25 0.2 0.2 0.15 0.15 0.1 0.1 0.05 0.05 0 0 6 carica (conteggi ADC) 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 0 0 Entries 2184 Mean 1.978 RMS 0.9169 1 2 3 4 5 carica (conteggi ADC) (c) 6 7 8 9 10 carica (conteggi ADC) (d) Figura 5.8: Distribuzioni della larghezza del cluster ottenute per il TIB2 (a), TIB3 (b), TOB1 (c) e TOB5 (d). In nero sono riportati i dati di B186, in rosso quelli di P5. Le distribuzioni sono state normalizzate rispetto al numero di dati cui si riferiscono. possono essere un cambiamento dei parametri degli APV-25 che abbia aumentato l’effetto dell’accoppiamento capacitivo fra strip vicine, o un aumento del guadagno degli AOH. Inoltre influisce sicuramente la diversa configurazione del trigger fra B186 e P5. Infatti, mentre nel primo caso, per la configurazione geometrica del trigger costituito dagli scintillatori, venivano acquisiti raggi cosmici con tracce che incidevano sui moduli con piccoli angoli rispetto alla normale al rivelatore, a P5 erano in generale acquisite tracce con un’inclinazione maggiore nel piano yz parallelo alle strip, a causa della disposizione delle camere per i muoni che fornivano il segnale di trigger. Questo causa un aumento della carica rilasciata dalla particella, dato che aumenta la distanza percorsa da essa all’interno del rivelatore. La maggior carica rilasciata potrebbe aver contribuito a far andare sopra soglia le strip vicine a quella di incidenza della traccia, generando un maggior numero di cluster di due o tre strip. Attribuendo quindi l’assenza di un minimo chiaramente identificabile negli isto- 114 CAPITOLO 5. MISURA DELL’ANGOLO DI LORENTZ Campo magnetico Eventi filtrati Num. tracce - All. 1 Num. tracce - All. 2 (soglie=657) (soglie=657) (soglie=657) B=0.0 T 5882 4288 4694 B=3.8 T 3304 3026 3030 Tabella 5.3: Numero di eventi filtrati e di tracce ricostruite con i due allineamenti, utilizzando per la ricostruzione dei cluster le soglie 657. grammi del TOB ottenuti con i dati di P5 all’aumento della dimensione del cluster dovuto ai possibili fattori elencati sopra, abbiamo provato ad eseguire la misura innalzando le soglie del ThreeThresholdClusterizer rispetto a quelle standard 435, cosı̀ da ridurre la larghezza dei cluster. Abbiamo eseguito varie prove con diverse configurazioni delle soglie, mantenendo sempre la condizione tChannel < tSeed < tCluster e optando alla fine per quella che ci sembrava producesse i risultati migliori senza una eccessiva diminuzione del numero Entries 6539 χ2 / ndf 34.28 / 32 p0 0.004428 ± 0.003918 p1 0.4937 ± 0.0158 p2 1.19 ± 0.01 2.4 Cluster size (strip) 2.2 2 1.8 1.6 1.4 MTCC TIB3 @ 0 T (All.1, soglie = 657) 2.2 1.2 1 -0.6 2 1.8 1.6 1.4 1.2 -0.4 -0.2 0 0.2 0.4 1 -0.6 0.6 tan(θt) -0.4 -0.2 (a) 2.4 Cluster size (strip) 2.2 0 0.2 0.4 0.6 tan(θt) (b) Entries 3638 χ2 / ndf 8.362 / 10 p0 0.02927 ± 0.00018 p1 0.2661 ± 0.0783 p2 1.394 ± 0.021 2 1.8 1.6 1.4 1.2 MTCC TOB5 @ 0 T (All.1, soglie = 657) 2.4 2.2 Cluster size (strip) MTCC TOB1 @ 0 T (All.1, soglie = 657) 1 -0.6 Entries 6087 χ2 / ndf 22.43 / 32 p0 0.01408 ± 0.00657 p1 0.4422 ± 0.0246 p2 1.25 ± 0.01 2.4 Cluster size (strip) MTCC TIB2 @ 0 T (All.1, soglie = 657) Entries 2176 χ2 / ndf 16.45 / 10 p0 -0.004721 ± 0.011879 p1 0.4156 ± 0.0795 p2 1.35 ± 0.03 2 1.8 1.6 1.4 1.2 -0.4 -0.2 0 (c) 0.2 0.4 0.6 tan(θt) 1 -0.6 -0.4 -0.2 0 0.2 0.4 0.6 tan(θt) (d) Figura 5.9: Tangente dell’angolo di minimizzazione ottenuta con le soglie 657 per i dati a 0 Tesla del MTCC (allineamento 1). Sono riportati gli istogrammi relativi a: (a) TIB layer 2; (b) TIB layer 3; (c) TOB layer 1; (d) TOB layer 5. 115 5.3. MISURE PRELIMINARI Entries 6808 χ2 / ndf 47.52 / 32 p0 0.01412 ± 0.00337 p1 0.5286 ± 0.0150 p2 1.124 ± 0.014 2.4 Cluster size (strip) 2.2 2 1.8 1.6 1.4 MTCC TIB3 @ 0 T (All.2, soglie = 657) 2.2 1.2 1 -0.6 2 1.8 1.6 1.4 1.2 -0.4 -0.2 0 0.2 0.4 1 -0.6 0.6 tan(θt) -0.4 -0.2 (a) 2.4 Cluster size (strip) 2.2 0 0.2 0.4 0.6 tan(θt) (b) Entries χ2 / ndf p0 p1 p2 4191 15.02 / 10 -0.0126 ± 0.0111 0.344 ± 0.074 1.381 ± 0.019 2 1.8 1.6 1.4 1.2 MTCC TOB5 @ 0 T (All.2, soglie = 657) 2.4 2.2 Cluster size (strip) MTCC TOB1 @ 0 T (All.2, soglie = 657) 1 -0.6 Entries 6504 χ2 / ndf 58.27 / 32 p0 0.03251 ± 0.00623 p1 0.446 ± 0.023 p2 1.237 ± 0.013 2.4 Cluster size (strip) MTCC TIB2 @ 0 T (All.2, soglie = 657) Entries 1915 χ2 / ndf 7.045 / 9 p0 -0.01014 ± 0.00817 p1 0.4696 ± 0.0973 p2 1.35 ± 0.03 2 1.8 1.6 1.4 1.2 -0.4 -0.2 0 0.2 0.4 0.6 tan(θt) 1 -0.6 -0.4 -0.2 (c) 0 0.2 0.4 0.6 tan(θt) (d) Figura 5.10: Tangente dell’angolo di minimizzazione ottenuta con le soglie 657 per i dati a 0 Tesla del MTCC (allineamento 2). Sono riportati gli istogrammi relativi a: (a) TIB layer 2; (b) TIB layer 3; (c) TOB layer 1; (d) TOB layer 5. di cluster ricostruiti, e quindi di dati in ingresso negli istogrammi prodotti. La configurazione delle soglie scelta per la misura dell’angolo di Lorentz è: tSeed = 6, tChannel = 5 e tCluster = 7. Tale configurazione verrà indicata nel seguito come 657. In Tab.5.3 sono riportati il numero di eventi filtrati con le soglie 657 e il numero di tracce ricostruite in questa configurazione con i due set di costanti di allineamento2 . I risultati della misura dell’angolo di minimizzazione della larghezza del cluster a 0 Tesla, ottenuti per i dati di P5 con i due allineamenti e con le nuove soglie 657, sono riportati in fig.5.9 e in fig.5.10. Come mostrato in figura, otteniamo, con questa configurazione delle soglie, dei minimi chiaramente identificabili per tutti e quattro 2 Con l’innalzamento delle soglie ci si aspetta una leggera diminuzione del numero di eventi filtrati e conseguentemente una diminuzione del numero di tracce ricostruite. Il fatto che per il campione di dati a 3.8 T ricostruiti con il primo allineamento si siano ottenute 2 tracce in più rispetto agli eventi ricostruiti con soglie 435 è spiegabile con la riduzione di cluster fasulli che probabilmente abbassavano l’efficienza di ricostruzione delle tracce. 116 CAPITOLO 5. MISURA DELL’ANGOLO DI LORENTZ i layer, con entrambi i set di costanti di allineamento, insieme a una diminuzione della larghezza minima dei cluster. In particolare non si ha più la regione piatta centrale negli istogrammi relativi ai layer del TOB e il minimo della larghezza media dei cluster è adesso < 1.4. Da notare inoltre che l’innalzamento delle soglie non ha portato a una eccessiva diminuzione del numero di conteggi negli istogrammi. Il fatto che i minimi ottenuti con B = 0 T non siano consistenti con 0 è da attribuire ad un non perfetto allineamento dei rivelatori, che si traduce in una stima erronea dell’angolo di incidenza della traccia sui moduli. Nel seguito si terrà conto di questo errore sottraendo per ciascun layer il valore di p0 ottenuto a 0 Tesla a quello che otterremo per i dati a 3.8 Tesla. Per verificare la stabilità del fit eseguito sui dati contenuti negli istogrammi, ho provato a variare gli estremi dell’intervallo di fit di ±0.02 (una quantità maggiore dell’errore più grosso ottenuto sui parametri del fit), ottenendo sempre dei minimi che si distanziavano da quelli del fit di riferimento al più di una quantità dell’ordine di ∼ 0.001, cioè inferiore all’errore statistico di questi ultimi, il che conferma la bontà del fit. 5.4 Misura dell’angolo di Lorentz con soglie 657 Per la misura dell’angolo di Lorentz abbiamo quindi utilizzato i dati a 3.8 T aggregati per layer e ricostruiti con le soglie 657 del ThreeThresholdClusterizer. Gli istogrammi con i risultati del fit sono riportati in fig.5.11 per l’allineamento 1 e in fig.5.12 per l’allineamento 2. Come mostrato in figura si ottengono, per en- trambi i set di costanti di allineamento, dei minimi della dimensione del cluster in corrispondenza di valori negativi della tangente dell’angolo di incidenza, come ci aspettavamo in base alle convenzioni adottate sul segno di tan θt al momento della correzione sull’orientazione dei moduli (sez.5.2.2). Anche in questo caso ho controllato la stabilità del fit variando gli estremi dell’intervallo di fit di ±0.02, ottenendo per tutti e quattro i layer dei minimi che si distanziavano da quelli del fit di riferimento al più di una quantità dell’ordine di ∼ 0.002, inferiore quindi all’errore statistico. Risulta quindi confermata la stabilità del fit anche per i dati a 3.8 T. Come già accennato nella sezione precedente, una corretta stima dell’angolo di Lorentz deve tener conto dell’effettivo valore della tangente dell’angolo che minimizza la larghezza del cluster a 0 Tesla, che come abbiamo visto non coincide esattamente con 0. La stima corretta della tangente dell’angolo di Lorentz per ciascun 117 5.4. MISURA DELL’ANGOLO DI LORENTZ CON SOGLIE 657 2.4 Cluster size (strip) 2.2 Entries 3735 χ2 / ndf 59.95 / 31 p0 -0.09314 ± 0.00536 p1 0.5059 ± 0.0236 p2 1.199 ± 0.020 2 1.8 1.6 1.4 MTCC TIB3 @ 3.8 T (All.1, soglie = 657) 2.4 2.2 Cluster size (strip) MTCC TIB2 @ 3.8 T (All.1, soglie = 657) 1.2 1 -0.6 1.8 1.6 1.4 1.2 -0.4 -0.2 0 0.2 0.4 1 -0.6 0.6 tan(θt) -0.4 -0.2 2.4 2.2 0 0.2 0.4 0.6 tan(θt) (b) Entries χ2 / ndf p0 p1 p2 3044 35.41 / 24 -0.1411 ± 0.0130 0.5041 ± 0.0453 1.388 ± 0.029 2 1.8 1.6 1.4 1.2 MTCC TOB5 @ 3.8 T (All.1, soglie = 657) 2.4 2.2 Cluster size (strip) MTCC TOB1 @ 3.8 T (All.1, soglie = 657) Cluster size (strip) 4221 20.95 / 31 -0.0601 ± 0.0139 0.3808 ± 0.0396 1.328 ± 0.023 2 (a) 1 -0.6 Entries χ2 / ndf p0 p1 p2 Entries 1083 χ2 / ndf 16.2 / 16 p0 -0.09514 ± 0.00907 p1 0.5798 ± 0.0715 p2 1.311 ± 0.041 2 1.8 1.6 1.4 1.2 -0.4 -0.2 0 0.2 0.4 0.6 tan(θt) 1 -0.6 -0.4 (c) -0.2 0 0.2 0.4 0.6 tan(θt) (d) Figura 5.11: Misura della tangente dell’angolo di Lorentz per i dati a 3.8 Tesla del MTCC con soglie 657 (allineamento 1). Sono riportati gli istogrammi relativi a: (a) TIB layer 2; (b) TIB layer 3; (c) TOB layer 1; (d) TOB layer 5. layer sarà quindi data da: tan ΘL = (p0 )3.8T − (p0 )0T (5.9) dove (p0 )3.8T e (p0 )0T sono i valori di tan θt che minimizzano la dimensione del cluster, ottenuti rispettivamente dai fit dei dati a 3.8 T e a 0 T. L’errore statistico su tan ΘL sarà invece dato da: (∆ tan ΘL )stat q = (∆p0 )23.8T + (∆p0 )20T (5.10) dove (∆p0 )3.8T e (∆p0 )0T sono gli errori statistici forniti dai fit rispettivamente per (p0 )3.8T e (p0 )0T . Un’ulteriore fonte di errore è portata dall’incertezza sulle costanti di allineamento. Ho ricavato una stima di questo errore dal confronto dei risultati ottenuti con i due allineamenti, esprimendo cioè il contributo all’incertezza portato dall’allineamento come: (∆ tan ΘL )all = (tan ΘL )all1 − (tan ΘL )all2 (5.11) 118 CAPITOLO 5. MISURA DELL’ANGOLO DI LORENTZ 2.4 Cluster size (strip) 2.2 Entries 3566 χ2 / ndf 45.55 / 31 p0 -0.09973 ± 0.00618 p1 0.4649 ± 0.0250 p2 1.219 ± 0.022 2 1.8 1.6 1.4 MTCC TIB3 @ 3.8 T (All.2, soglie = 657) 2.4 2.2 Cluster size (strip) MTCC TIB2 @ 3.8 T (All.2, soglie = 657) 1.2 1 -0.6 2 1.8 1.6 1.4 1.2 -0.4 -0.2 0 0.2 0.4 1 -0.6 0.6 tan(θt) -0.4 -0.2 (a) 2.4 Cluster size (strip) 2.2 0 0.2 0.4 0.6 tan(θt) (b) Entries 2870 χ2 / ndf 32.72 / 24 p0 -0.08855 ± 0.00870 p1 0.6225 ± 0.0484 p2 1.365 ± 0.028 2 1.8 1.6 1.4 1.2 MTCC TOB5 @ 3.8 T (All.2, soglie = 657) 2.4 2.2 Cluster size (strip) MTCC TOB1 @ 3.8 T (All.2, soglie = 657) 1 -0.6 Entries 4150 χ2 / ndf 29.2 / 31 p0 -0.07167 ± 0.01158 p1 0.3833 ± 0.0373 p2 1.321 ± 0.022 Entries 1070 χ2 / ndf 9.896 / 16 p0 -0.08068 ± 0.00933 p1 0.5378 ± 0.0606 p2 1.346 ± 0.035 2 1.8 1.6 1.4 1.2 -0.4 -0.2 0 (c) 0.2 0.4 0.6 tan(θt) 1 -0.6 -0.4 -0.2 0 0.2 0.4 0.6 tan(θt) (d) Figura 5.12: Misura della tangente dell’angolo di Lorentz per i dati a 3.8 Tesla del MTCC con soglie 657 (allineamento 2). Sono riportati gli istogrammi relativi a: (a) TIB layer 2; (b) TIB layer 3; (c) TOB layer 1; (d) TOB layer 5. dove (tan ΘL )all1 e (tan ΘL )all2 sono i valori della tangente dell’angolo di Lorentz calcolati attraverso la (5.9) per le misure effettuate rispettivamente con l’allineamento 1 e con l’allineamento 2. In Tab.5.4 e in Tab.5.5 sono riportati i risultati della misura dell’angolo di Lorentz per ciascun layer, ricavati dalle (5.9), (5.10) e (5.11), utilizzando rispettivamente l’allineamento 1 e l’allineamento 2. Come si può vedere dai dati riportati nelle tabelle, il contributo principale all’incertezza è portato dall’errore sull’allineamento. In particolare questo è evidente per il layer 1 del TOB, dove questo contributo all’errore è pari a un’incertezza di circa il 55% sulla misura di tan ΘL ottenuta con il primo allineamento, e maggiore del 120% su quella ottenuta con il secondo. Il forte contributo all’errore portato dalla geometria può essere dovuto al fatto che, come accennato in sez.4.4, a causa della poca statistica a disposizione non è stato possibile utilizzare l’algoritmo di allineamento a livello del singolo modulo, ma solo a livello delle stringhe e delle rod. 5.5. CONFRONTO CON IL MODELLO E RISULTATO FINALE 119 Allineamento 1 - soglie 657 Layer tan ΘL (∆ tan ΘL )stat (∆ tan ΘL )all TIB 2 -0.098 TIB 3 -0.074 ±0.007 ±0.016 TOB 1 -0.170 TOB 5 -0.090 ±0.013 ±0.094 ±0.015 ±0.015 ΘL ± (∆ΘL )stat ± (∆ΘL )all −5.6◦ ± 0.4◦ ± 0.9◦ −4.2◦ ± 0.9◦ ± 1.7◦ ±0.030 −9.6◦ ± 0.7◦ ± 5.3◦ −5.1◦ ± 0.9◦ ± 1.1◦ ±0.020 Tabella 5.4: Misure dell’angolo di Lorentz ottenute per i vari layer con l’allineamento 1 e soglie 657. Allineamento 2 - soglie 657 Layer tan ΘL (∆ tan ΘL )stat (∆ tan ΘL )all TIB 2 -0.114 TIB 3 -0.104 ±0.007 ±0.016 TOB 1 -0.076 TOB 5 -0.070 ±0.014 ±0.094 ±0.013 ±0.012 ΘL ± (∆ΘL )stat ± (∆ΘL )all −6.5◦ ± 0.4◦ ± 0.9◦ −5.9◦ ± 0.7◦ ± 1.7◦ ±0.030 −4.3◦ ± 0.8◦ ± 5.3◦ −4.0◦ ± 0.7◦ ± 1.1◦ ±0.020 Tabella 5.5: Misure dell’angolo di Lorentz ottenute per i vari layer con l’allineamento 2 e soglie 657. 5.5 Confronto con il modello e risultato finale Possiamo confrontare a questo punto i risultati della misura ottenuti nel paragrafo precedente con il valore di tan ΘL previsto dal modello descritto nel Cap.3. Riporto qui per comodità i valori previsti dal modello per la tangente dell’angolo di Lorentz delle lacune all’interno dei rivelatori a microstrisce, nelle condizioni di lavoro del MTCC: (tan ΘL )atteso = −0.103 ± 0.009 ⇒ (ΘL )atteso = −5.9◦ ± 0.5◦ TOB : (tan ΘL )atteso = −0.113 ± 0.011 ⇒ (ΘL )atteso = −6.4◦ ± 0.6◦ (5.12) TIB : Come descritto in sez.3.4.3, l’incertezza a priori su (tan ΘL )atteso è dovuta sostanzialmente all’incertezza sulla temperatura dei rivelatori e al fatto che, misurando l’angolo di Lorentz su un insieme di moduli e non su un singolo modulo, è necessario considerare la non omogeneità della temperatura fra i vari layer e all’interno del singolo layer. Per confrontare i risultati delle misure dell’angolo di Lorentz ottenute nel paragrafo precedente con il valore previsto dal modello, ho riportato in grafico per 120 CAPITOLO 5. MISURA DELL’ANGOLO DI LORENTZ entrambi gli allineamenti i valori di tan ΘL misurati per tutti e quattro i layer, tenendo conto inizialmente del solo errore statistico. Poiché tuttavia il modello prevede due valori distinti di tan ΘL per TIB e TOB, ho ricondotto i risultati delle misure ottenute per il TOB ad un valore confrontabile con quelli ottenuti per il TIB. Per far questo ho moltiplicato i valori misurati di tan ΘL nel TOB, con i relativi errori statistici, per un fattore di conversione TIB/TOB dato da: IB (tan ΘL )Tatteso ≃ 0.9 OB (tan ΘL )Tatteso (5.13) IB L’incertezza sulla (5.13) è trascurabile in quanto le variazioni di (tan ΘL )Tatteso e OB (tan ΘL )Tatteso dovute alla temperatura vanno nello stesso verso, lasciando circa inal- terato il rapporto. In fig.5.13 sono riportati i fit a una costante delle misure di tan ΘL ottenute con i due allineamenti per i vari layer, con la correzione sui dati del TOB data dalla (5.13) e considerando i soli errori statistici. Come evidenziato dall’elevato valore del χ2 , gli errori sono chiaramente sottostimati, in quanto prevale l’errore sistematico dovuto all’allineamento che verrà considerato nel seguito. Come mostrato in figura, i risultati dei fit eseguiti sulle misure ottenute con i due allineamenti, considerando i soli errori statistici, sono: All. 1 : (tan ΘL )all1 mis = −0.104 ± 0.005 (tan ΘL )all2 mis All. 2 : (5.14) = −0.096 ± 0.005 In entrambi i casi otteniamo quindi stime di (tan ΘL )mis consistenti con il valore della tangente dell’angolo di Lorentz previsto dal modello. tan(ΘL) Layer @ 3.8 T (All.1, soglie = 657) χ2 / ndf -0.04 p0 TIB2 27.18 / 3 -0.1039 ± 0.005063 tan(ΘL) Layer @ 3.8 T (All.2, soglie = 657) χ2 / ndf -0.04 p0 TIB3 -0.08 -0.08 -0.1 TOB1 -0.12 TOB5 tan(ΘL) -0.06 tan(ΘL) -0.06 -0.1 -0.14 -0.16 -0.16 1 1.5 2 2.5 3 3.5 4 TOB1 -0.12 -0.14 -0.18 19.51 / 3 -0.0962 ± 0.005087 -0.18 TIB2 1 TIB3 1.5 2 2.5 layer (a) TOB5 3 3.5 4 layer (b) Figura 5.13: Stima della tangente dell’angolo di Lorentz ottenuta attraverso un fit a una costante dei valori di tan ΘL misurati per i vari layer con l’allineamento 1 (a) e con l’allineamento 2 (b). Sono stati considerati i soli errori statistici e i dati del TOB sono stati corretti per il fattore di conversione TIB/TOB. 5.5. CONFRONTO CON IL MODELLO E RISULTATO FINALE 121 tan(ΘL) Layer @ 3.8 T (soglie = 657) -0.04 TOB1 TOB5 -0.06 tan(ΘL) -0.08 -0.1 -0.12 -0.14 TIB2 TIB3 -0.16 -0.18 1 1.5 2 2.5 3 3.5 4 layer Figura 5.14: Confronto fra il valore di tan ΘL previsto dal modello per il TIB (linea rossa con incertezza a priori rappresentata dalla zona gialla) e i valori misurati con l’allineamento 1 (cerchi neri) e con l’allineamento 2 (quadrati verdi). Sono riportati i soli errori statistici e le misure del TOB sono moltiplicate per il fattore di conversione TIB/TOB. In fig.5.14 è mostrato un confronto fra le misure della tangente dell’angolo di Lorentz ottenute come descritto sopra, quindi in particolare con il solo errore statistico, e il valore previsto dal modello con la sua incertezza a priori, rappresentata in figura dalla zona gialla. Come evidenzia il grafico, e come già accennato in precedenza, il contributo maggiore all’errore è dato da un errore sistematico sulla precisione dell’allineamento. Questo è particolarmente evidente per il layer 1 del TOB, dove si ha la maggior differenza fra i valori di tan ΘL misurati con i due allineamenti e dove si ha, per il valore ottenuto con l’allineamento 1, la maggior distanza dal valore atteso, corrispondente a circa 4σstat . Come stima finale dell’angolo di Lorentz, che tenga dunque conto anche dell’errore sull’allineamento, ho considerato il risultato di un fit analogo a quello riportato in fig.5.13 (quindi in particolare moltiplicando anche in questo caso i dati del TOB per il fattore di conversione TIB/TOB), operato però sulle misure della tangente dell’angolo di Lorentz ricavate con il primo allineamento e considerando come errore 122 CAPITOLO 5. MISURA DELL’ANGOLO DI LORENTZ Figura 5.15: Stima della tangente dell’angolo di Lorentz ricavata attraverso il fit a una costante delle misure ottenute per i vari layer con l’allineamento 1, considerando sia l’errore statistico che quello sull’allineamento attraverso la relazione (5.15). La linea nera rappresenta il risultato del fit, con la sua incertezza (zona verde). La linea rossa rappresenta il valore atteso con la sua incertezza a priori (zona tratteggiata in rosso). sulla misura di ciascun layer la quantità (∆ tan ΘL )tot , data da: q (∆ tan ΘL )tot = (∆ tan ΘL )2stat + (∆ tan ΘL )2all (5.15) Ho utilizzato le misure ottenute con il primo allineamento in quanto, come già accennato, l’allineamento 1 è quello di riferimento per tutte gli altri studi effettuati sui dati del MTCC. In fig.5.15 è riportato il risultato del fit. Come si può vedere i risultati delle misure ottenute per i vari layer, considerando anche l’errore sull’allineamento, sono tutti consistenti fra loro, e in particolare sono tutti compatibili il valore della tangente dell’angolo di Lorentz previsto dal modello. La stima di (tan ΘL )mis fornita dal fit è: (tan ΘL )mis = −0.090 ± 0.013 ⇒ (ΘL )mis = −5.1◦ ± 0.7◦ (5.16) da confrontare quindi con il valore previsto dal modello per il TIB, e cioè: (tan ΘL )atteso = −0.103 ± 0.009 ⇒ (ΘL )atteso = −5.9◦ ± 0.5◦ (5.17) 5.5. CONFRONTO CON IL MODELLO E RISULTATO FINALE 123 La stima finale dell’angolo di Lorentz, ricavata per le lacune nei rivelatori a microstrisce del tracciatore attraverso le misure eseguite al MTCC per un valore del campo magnetico pari a B = 3.8 T, è quindi compatibile con il valore previsto dalla teoria formalizzata nel modello. Conclusioni In questo lavoro di tesi ho misurato l’angolo di Lorentz dei portatori di carica nei rivelatori del Tracker Inner Barrel (TIB) e del Tracker Outer Barrel (TOB) del tracciatore di CMS. TIB e TOB sono entrambi strutturati in layer cilindrici coassiali alla direzione del fascio e ospitano rivelatori a microstrisce di silicio. Per eseguire la misura ho utilizzato dati di raggi cosmici, acquisiti in un campo magnetico di 3.8 T al “Magnet Test - Cosmic Challenge” (MTCC), che si è svolto nei mesi di Luglio e Agosto 2006 presso il CERN di Ginevra e a cui ho partecipato personalmente con turni di presa dati. Si è trattato del primo test del magnete di CMS, ed è stata eseguita per la prima volta in quella sede un’acquisizione dati utilizzando in modo combinato una sottoparte del tracciatore (composta da 133 rivelatori), due settori del calorimetro elettromagnetico, tutto il calorimetro adronico e alcune componenti delle camere per i muoni con le quali è stato realizzato il sistema di trigger. La misura dell’angolo di Lorentz dei portatori di carica è di fondamentale importanza per una corretta ricostruzione del punto di passaggio delle particelle sul rivelatore e di conseguenza per un’efficiente ricostruzione delle tracce. Inoltre, la dipendenza dell’angolo di Lorentz dal campo elettrico interno al rivelatore, dalla temperatura, dalla dose assorbita dal sensore e dal campo magnetico, rende necessario misurare il suo valore per ciascun rivelatore del tracciatore durante tutto il periodo di attività di CMS. Ho sviluppato un modello sulla deviazione nel moto di deriva dei portatori di carica causata dalla forza di Lorentz, che è servito per migliorare la comprensione del fenomeno e che ha permesso di ricavare una stima del valore atteso per l’angolo di Lorentz nei rivelatori da noi utilizzati per la misura. I valori dell’angolo di Lorentz previsti dal modello per i rivelatori del TIB e del TOB, in corrispondenza dei parametri di funzionamento adottati al MTCC, sono rispettivamente ◦ ◦ TOB ◦ ◦ (ΘL )TIB atteso = 5.9 ± 0.5 e (ΘL )atteso = 6.4 ± 0.6 , dove l’incertezza a priori sui valori previsti è dovuta all’errore con cui conoscevamo la temperatura dei rivelatori. Per misurare l’angolo di Lorentz ho sfruttato il fatto che, in presenza di un campo magnetico, si ottiene la minima larghezza dei cluster per tracce incidenti sui rivelatori con un angolo rispetto alla normale pari all’angolo di Lorentz. Ho quindi 126 CAPITOLO 5. MISURA DELL’ANGOLO DI LORENTZ eseguito la misura utilizzando un algoritmo, da me appositamente creato, attraverso il quale ho determinato il minimo della dimensione del cluster al variare dell’angolo di incidenza della traccia per ciascuno dei quattro layer presenti al MTCC (due del TIB e due del TOB). Ho utilizzato in maniera aggregata i dati provenienti da tutti i rivelatori montati su ciascun layer, dal momento che, a causa della bassa statistica a disposizione, non è stato possibile misurare l’angolo di Lorentz su ciascun rivelatore separatamente. Per stimare l’incertezza da cui è affetta la mia misura ho considerato l’errore statistico ottenuto dal fit e l’errore sistematico dovuto all’allineamento, che ho stimato come la differenza fra i risultati della misura ottenuti utilizzando due diversi set di costanti di allineamento ricavati al MTCC. I risultati della misura dell’angolo di Lorentz ΘL ottenuti per ciascun layer sono: TIB2: TIB3: TOB1: TOB5: ΘL = 5.6◦ ± (0.4◦ )stat ± (0.9◦ )sist ΘL = 4.2◦ ± (0.9◦ )stat ± (1.7◦ )sist ΘL = 9.6◦ ± (0.7◦ )stat ± (5.3◦ )sist ΘL = 5.1◦ ± (0.9◦ )stat ± (1.1◦ )sist Ho ricavato una stima complessiva dell’angolo di Lorentz attraverso un fit delle misure ottenute per i quattro layer, nel quale ho scalato le misure ottenute nel TOB riconducendole a un valore confrontabile con quelle del TIB, attraverso un fattore di conversione ricavato dal modello che teneva conto della diversa geometria dei rivelatori. Ho considerato per il fit la somma in quadratura dell’errore statistico e ◦ ◦ di quello sistematico, ottenendo come risultato della misura (ΘL )TIB mis = 5.1 ± 0.7 , in accordo con quanto previsto dal modello per il TIB. Il maggior contributo all’errore è stato portato dall’incertezza sull’allineamento, su cui ha pesato la poca statistica a disposizione. L’algoritmo sviluppato per la misura sarà utilizzato anche nella presa dati ad LHC, permettendo anche la misura a livello del singolo rivelatore, che in quel caso sarà possibile grazie all’alta fluenza. Sarà inoltre possibile in quel caso ridurre di almeno un fattore 10 l’errore sull’allineamento. Bibliografia [1] The LHC Study Group, “The Large Hadron Collider Conceptual Design Report” (1995), CERN AC-95-05. [2] CMS Collaboration, “The Compact Muon Solenoid Technical Proposal ”, CERN/LHCC 94-38, 15 Dicembre 1994. [3] CMS Collaboration,“Physics Performance: Physics Technical Design Report”, Volume II, CERN/LHCC 2006-021, CMS TDR 8.2, 26 Giugno 2006. [4] S.P.Martin, “A supersymmetry primer ”, Perspectives in Supersymmetry, World Scientific (1997). [5] Stefano Villa, “Discovery Potential for SUGRA/SUSY at CMS ”, arXiv:hepex/ 0309034 v 1, 9 Settembre 2003. [6] ALICE Collaboration, “A Large Ion Collider Experiment Technical Report Design”, CERN/LHCC 95-71, LHCC/P3. 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