Direttore: Pier Luigi Amata IL CENTRO BIOS DELLA CHIRURGIA E MEDICINA ESTETICA A ROMA • VALUTAZIONE PRE-OPERATORIA CLINICO-STRUMENTALE • SOLUZIONI FINANZIARIE PERSONALIZZATE • ASSISTENZA POST-OPERATORIA FOLLOW-UP 1, 3, 6, 12 MESI • VISITE E CONSULTAZIONI: BIOS SPA - VIA D. CHELINI 39, ROMA • MEDICINA ESTETICA • PRIMO COLLOQUIO GRATUITO www.bioscultura.it PRENOTATE SUBITO UN COLLOQUIO CON LO SPECIALISTA AL CUP BIOS - 06 809641 bimestrale di informazione e aggiornamento scientifico Teoremi, numeri e realtà biologica: una riflessione e un po’ di provocazioni Biofilm e crescita batterica: una sfida da non perdere Osteoartrosi. Quei “fastidiosi” noduli di Heberden Edizioni bios S.p.A. n. 5 - 2011 SISTEMA QUALITÀ CERTIFICATO UNI EN ISO 9001:2000 CUP - CENTRO UNIFICATO DI PRENOTAZIONE - 06 809641 [email protected] www.bios-spa.it BIOS S.P.A. - STRUTTURA SANITARIA POLISPECIALISTICA FAX - 06 8082104 00197 ROMA - VIA D. CHELINI, 39 APERTO TUTTO L’ANNO. 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L. 12 Biofilm e crescita batterica: una sfida da non perdere Giuseppe Luzi 15 A tutto campo Teoremi, numeri e realtà biologica: una riflessione e un po’ di provocazioni Fulvio Bongiorno, Giuseppe Luzi Comitato scientifico Armando Calzolari Carla Candia Vincenzo Di Lella Francesco Leone Giuseppe Luzi Gilnardo Novellli Giovanni Peruzzi Augusto Vellucci Anneo Violante Hanno collaborato a questo numero: Fulvio Bongiorno, Silvana Francipane, Giuseppe Luzi, Carlo Rumi, Giuditta Valorani, Augusto Vellucci, Lelio R. Zorzin. La responsabilità delle affermazioni contenute negli articoli è dei singoli autori. 24 1 Direzione, Redazione, Amministrazione BioS S.p.A. Via D. Chelini, 39 00197 Roma Tel. 06 80964245 [email protected] Grafica e impaginazione Vinci&Partners srl il Punto Un raggio laser al servizio della diagnosi clinica: la citofluorimetria a flusso Carlo Rumi, Gabriele Rumi imparare dalla clinica Osteoartrosi. Quei “fastidiosi” noduli di Heberden. Lelio R. Zorzin, Silvana Francipane 29 impianti e stampa ArtColorPrinting srl via Portuense, 1555 - 00148 Roma Edizioni BiOs S.p.A. Autorizzazione del Tribunale di Roma: n. 186 del 22/04/1996 In merito ai diritti di riproduzione la BIOS S.p.A. si dichiara disponibile per regolare eventuali spettanze relative alle immagini delle quali non sia stato possibile reperire la fonte 35 Pubblicazione in distribuzione gratuita. Finito di stampare nel mese di ottobre 2011 BiOs SpA Struttura Sanitaria Polispecialistica Via D. Chelini, 39 - 00197 Roma Dir. Sanitario: Dott. Francesco Leone CUP 06.809.641 From bench to bedside Giuditta Valorani 38 Un punto di forza per la vostra salute Gli utenti che, per chiarimenti o consulenza professionale, desiderano contattare gli autori degli articoli pubblicati sulla rivista Diagnostica Bios, possono telefonare direttamente alla sig.ra Pina Buccigrossi al numero telefonico 06 809641. EDiTORiALE Giuseppe Luzi Direzione Scientifica di Diagnostica-BIOS 2 L’EDiTORiALE GEsTiRE DATi E FORniRE sOLUziOni: iL PROBLEMA QUOTiDiAnO DEL MEDiCO Fare informazione è capacità di fare conoscenza? Diagnostica BIOS offre in questo numero articoli di particolare interesse, che mettono in evidenza come sia mutato rapidamente l’iter del percorso diagnostico (citofluorimetria) grazie all’introduzione sul campo delle biotecnologie e come si debba considerare ancora in evoluzione il capitolo delle malattie autoimmuni. Ma non dobbiamo dimenticare la clinica, per l’osservazione del quadro radiologico, l’identificazione corretta del segno e del sintomo (vedere le belle immagini proposte nell’articolo di reumatologia). Cose ovvie per chi vive il mondo della medicina ma anche aspetti ricchi di una nuova complessità nella gestione del sapere. Infatti presentiamo anche l’articolo di un matematico che, in forma non consueta, ci apre una nuova dimensione del ragionare, fornendo qualche spunto non banale di riflessione. È comune buon senso ricordare il concetto del sapere e saper fare. Bene. Oggi le linee-guida sono un tentativo di mettere insieme in tempo reale le conoscenze in arrivo, la pratica clinica e una garanzia medico-legale. Attenzione però alle linee-guida (ormai ne esistono a decine): sono un punto di riferimento non un codice assoluto del fare. La nostra disciplina, la medicina, si presenta per comune approccio e percezione “popolare” unicamente come disciplina professionale applicativa. Sbagliato. L’osservazione del medico è innanzi tutto biologia. Da questo scaturisce l’insieme delle conoscenze con il relativo assetto applicativo (la cura, medica o chirurgica). Quindi come ri-pensare la bio-medicina? Con l’umiltà di chi ha in mano la salute del prossimo ma anche con l’intelligenza di vivere una fase storica nella quale la non gestibilità unilaterale delle conoscenze può creare seri problemi. È un po’ quello che accade quando si compera uno strumento complesso e poi lo si usa solo in parte senza un training adeguato (non basta il libro delle istruzioni). La forza e l’opportunità di conoscenza presenti nel nostro periodo storico, grazie soprattutto alla rete, forniscono un’importante piattaforma dalla quale partire verso soluzioni concrete, con vera capacità risolutiva. Ma forza e opportunità dipendono dall’informazione e dalla disponibilità di utilizzarla. Quindi conoscenza integrata, rifiuto della routine, comunicare il dubbio e condividerlo con altri. Il rischio terribile, con ricadute sostanziali negative nel nostro lavoro, è il frazionamento delle conoscenze: la persona malata o con il sospetto di essere malata deve essere inserita in una visione “integrata”, visione non come somma di reperti ma risultante da una dinamica di acquisizioni variamente generate (clinica, laboratorio, imaging). Ai nostri giorni si parla molto di malattie rare: si danno definizioni sulla loro distribuzione statistica e, spesso, purtroppo, sul problema della non disponibilità di terapie. Tuttavia una riflessione è obbligatoria: ma sono veramente “rare” le malattie rare? L’etichetta della diagnosi conforta il medico ma quante etichette sono mutate nel tempo? Il tempo della riflessione talora non è consentito in forma disgiunta dal tempo delle decisioni ma dobbiamo sempre distinguere tra velocità e fretta di arrivare ad una definizione precisa. Per questo motivo oggi l’unica alternativa alla fretta sta nell’adeguata distribuzione delle competenze che consentano, interagendo, la descrizione corretta di un problema (primo passo necessario) per una soluzione dello stesso. E in questo processo risolutivo è entrata la nuova matematica, strumento indispensabile ormai, per attivare una nuova bio-medicina. AUTOiMMUniTà E inFEziOni Augusto Vellucci Specialista in Malattie Infettive e Clinica Medica 3 Nel corso della Evoluzione “la specie umana era particolarmente fragile, debole e vulnerabile; essa non aveva selezionato geneticamente artigli, becchi o denti possenti, non veleni da sputare sugli aggressori, non capacità di fuga, specie se paragonata a un’antilope o a un leopardo, o quella di volteggiare tra i rami degli alberi. In questo ambito l’evoluzione era stata un vero disastro per l’uomo. Ma egli aveva sviluppato un cervello possente, da dove sgorgavano tecniche per preparare armi e strategie difensive, rivelatesi tutte vincenti” (G. Ruffolo: Lo specchio del diavolo, Einaudi). Ovviamente questo è accaduto per i numerosi pericoli visibili. Ma per quelli invisibili, come i microbi ? I microbi, che nei primi tre miliardi di anni erano stati gli unici abitanti della Terra, aggredivano poi continuamente gli animali e l’uomo, il quale era completamente privo di qualsiasi idea dell’esistenza di questi nemici mi- croscopici. Qui il cervello non poteva far nulla. E allora ? La salvezza è stata la selezione evolutiva di un complesso meccanismo difensivo a livello microscopico, prima generico e poi specifico, che ha difeso la vita dei vari esseri viventi, fino all’uomo: parliamo del sistema immunitario. Per comprendere quanto diremo, è necessaria una breve illustrazione dei meccanismi immunitari. Tutto è iniziato con la selezione di cellule (macrofagi, granulociti, ecc.) che hanno sviluppato un sistema difensivo, sia cellulare (fagocitosi) che umorale (complemento, citochine varie, ecc.), molto efficace ma generico (immunità innata). Successivamente si è evoluto un altro più complesso sistema difensivo, attuato dai linfociti e dagli anticorpi da questi prodotti, stavolta specifico per ciascun agente microbico (immunità adattativa), di grande efficacia protettiva. 4 Va tenuto presente che questo secondo sistema si attiva solo se le cellule dell’immunità innata lo mettono in moto, segnalando al linfocita CD4 le caratteristiche antigeniche dell’agente patogeno, in maniera molto specifica e con la collaborazione di un complesso molecolare chiamato HLA. Una volta attivato, il linfocita dà origine alla risposta immunitaria, sia evolvendo in cellule citotossiche (CD8), sia producendo le immuno-globuline (anticorpi). La selezione degli anticorpi (definita “teoria della selezione clonale” da Frank Macfarlane Burnet) avviene con la produzione continua di linfociti, i quali presentano sulla loro superficie molecole di recettori specifici per ogni singolo antigene esistente; ogni linfocita porta un solo tipo di recettore e quindi produce una risposta con una sola specificità. Esiste nel nostro corpo una vasta gamma di linfociti (oltre 1012), già prima di qualsiasi processo infettivo; il sistema è regolato in modo che il contatto con un antigene, in presenza della specifica molecola di HLA capace di presentarlo, produce la selezione di un solo tipo di linfocita e stimola la produzione di anticorpi (per i linfociti B) rivolti proprio soltanto verso quell’antigene. Insomma, quando un antigene è presente nell’organismo, esso si lega solo ai linfociti corrispondenti, dando origine a un clone cellulare che sintetizza e secerne l’anticorpo specifico. L’antigene quindi ha selezionato, da un gruppo preesistente di cellule, solo quelle che hanno l’appropriata specificità. I linfociti però dovrebbero aggredire anche gli antigeni delle proprie strutture, gli antigeni “self”, con i quali ovviamente sono sempre a contatto; ma questo usualmente non avviene perché i linfociti specifici per il self vengono eliminati all’inizio dello sviluppo. Già Paul Herlich nel 1901 aveva enunciato il concetto di horror autotoxicus, facendo riferimento a qualche ipotetico meccanismo di regolazione delle nostre reazioni immunitarie, in grado di prevenire la formazione di autoanticorpi. Fra il 1944 e il 1953 Peter Medawar e Milan Hašek descrissero il fenomeno della tolleranza immunitaria. L’organismo, durante le fasi iniziali dell’ontogenesi, sviluppa un complicato sistema immunitario che impara a reagire contro tutto ciò che è a sé estraneo (“non self”), ma riesce anche a distinguere le strutture molecolari caratteristiche della propria individualità; e allora i linfociti specifici per il self vengono eliminati o addormentati con diversi meccanismi. È questa la tolleranza immunitaria, che si può definire come la perdita della capacità del sistema immunitario a rispondere ai propri antigeni; essa si genera sia a livello centrale sia periferico. La tolleranza centrale si instaura quando i linfociti incontrano il rispettivo antigene durante il loro processo maturativo a livello degli organi linfatici centrali (midollo osseo per i linfociti B, timo per i linfociti T). In tal caso, essi non vengono attivati, ma divengono tolleranti nei confronti di quell’antigene. Tra i linfociti T CD4+ o CD8+ maturi che lasciano il timo non vi sono più cellule capaci di riconoscere gli autoantigeni presenti a livello centrale. La tolleranza periferica si esplica nei confronti di quegli autoantigeni che non sono rappresentati a livello timico o midollare, ma sono invece espressi nei tessuti periferici. Appare chiaro che un’alterazione dei meccanismi normalmente responsabili del mantenimento della tolleranza può riaccendere risposte immunitarie nei confronti del “self” e quindi provocare l’insorgenza di fenomeni di autoimmunizzazione; l’autoimmunità risulta quindi legata ad anomalie dei processi fisiologici di induzione e di mantenimento della tolleranza da parte del sistema immunitario nei confronti del “self”. Insomma se, per qualsiasi causa, si alterano i meccanismi responsabili della induzione e del mantenimento della tolleranza si può risvegliare la risposta immunitaria verso antigeni self, caratterizzata dalla ri-comparsa di cellule T e B auto-aggressive, con l’eventuale instaurarsi di infiammazione e danno tissutale. Come abbiamo già accennato, questo evento si verifica solo in soggetti geneticamente suscettibili, dotati degli HLA che possano far attivare i fenomeni auto-reattivi. Ricordiamo che esistono tre tipi principali di HLA della classe I (HLA-A, HLA-B e HLA-C) e tre tipi principali nella classe II (HLA-DP HLADQ e HLA-DR); ciascun tipo comprende centinaia di sottotipi (esempio: HLA-B27) e ciascun sottotipo centinaia di ulteriori sottotipi (esempio HLA-B27.05). Pertanto esistono migliaia di possibili combinazioni di HLA. Lo straordinario numero di differenti HLA che ciascun organismo possiede ha lo scopo di aumentare al massimo la possibilità di intercettare il più elevato numero di patogeni esogeni (e anche di qualsiasi struttura “non self”). Nel campo delle malattie immunitarie, dato che anche in questo caso necessitano HLA specifici per attivarle, la patologia può insorgere solo se l’organismo possiede quei tipi di HLA; ecco perché alcune persone non si ammalano mai e altre invece sono colpite più facilmente, ciò dipendendo in parte significativa dalla combinazione di HLA posseduta geneticamente. L’importanza dei fattori genetici nella insorgenza delle malattie autoimmuni è avvalorata dalla loro frequente comparsa in più individui dello stesso ceppo familiare; colpiscono due gemelli il 24% dei casi di LES, il 25 % della sclerosi multipla, e il 40% del diabete tipo 1. Ed è proprio il tipo o i tipi di HLA posseduti che motivano tali comportamenti, come risulta chiaramente da molte osservazioni, anche sperimentali. In topini BALB/c l’infezione con virus coxsackie causa una miocardite autoimmune solo se gli animali possiedono un certo tipo di MHC (definizione estensiva di HLA per Major Histocompatibility Complex). Nella patologia umana, è paradigmatico l’evento che condiziona l’insorgenza della celiachia, che insorge solo se il soggetto è portatore di HLA DQA10501 o di DQB10201. Inoltre l’allele DRB107 risulta associato al rischio di sviluppare la Febbre Reumatica post-infezione streptococcica. In soggetti con Epatite cronica C, il possesso dell’HLA DR11 si associa alla insorgenza della Crioglobulinemia mista. Si è poi dimostrata l’associazione dell’HLA-DR2 con la sclerosi multipla (HLADR1501) e dell’HLA-B27 con la spondilite anchilosante. La malattia autoimmunitaria può essere quindi definita come un’alterazione del sistema immunitario tale da attivare lo sviluppo di risposte immunitarie dirette contro componenti del proprio organismo, in grado di determinare un danno funzionale o anatomico del distretto colpito. Le principali malattie autoimmunitarie sono: Organ-specific systemic Hashimoto thyroiditis systemic lupus erythematosus Autoimmune hemolytic anemia Rheumatoid arthritis Autoimmune atrophic gastritis of pernicious anemia sjögren syndrome Multiple sclerosis Reiter syndrome Autoimmune orchitis inflammatory myopathies* Goodpasture syndrome systemic sclerosis (scleroderma)* Autoimmune thrombocytopenia Polyarteritis nodosa* insulin-dependent diabetis mellitus Myasthenia gravis Graves’ disease Primary biliary cirrhosis* Autoimmune (chronic active) hepatitis* Ulcerative colitis *The evidence supporting an autoimmune basis of these disorders is not strong. Da Robbins: Basic Patology, 8th ed Queste patologie possono insorgere, nel corso della vita, in seguito al complesso gioco di interazioni tra il sistema immunitario e i numerosi agenti biologici che continuativamente tale sistema è chiamato a controbattere. Non dimentichiamo che i geni più frequentemente associati con le malattie autoimmuni sono quelli di classe II (MHC), cioé gli stessi geni coinvolti nella presentazione degli antigeni microbici ai linfociti. È pertanto altamente verosimile che risposte del si- 5 stema immunitario verso agenti infettivi di vario tipo possano determinare la rottura della tolleranza verso gli autoantigeni e quindi dare inizio al processo di autoimmunizzazione L’AUTOiMMUniTà inDOTTA DA inFEziOni 6 Le infezioni hanno un importante ruolo nel cosiddetto “mosaico dell’autoimmunità”. Si può dire che ogni malattia autoimmune risulta in qualche modo collegabile a una o più infezioni, ricordando che un agente infettivo può scatenare differenti disordini autoimmuni, ma anche che diverse specie microbiche possono essere coinvolte nella stessa patologia. Uno dei più tipici esempi di questa relazione è la Febbre Reumatica, che può insorgere diverse settimane dopo un’infezione delle alte vie respiratorie da parte dello Streptococco piogene; la somiglianza molecolare tra la proteina M del batterio e le glicoproteine umane causa, in soggetti geneticamente predisposti, la rottura della auto-tolleranza verso le strutture che contengono tali glicoproteine. Patogenesi analoga si osserva nella “Sindrome anti-fosfolipidica”, nella quale compaiono diversi auto-anticorpi self-reattivi, uno dei quali, l’anti-β2 glicoproteina, riconosce epitopi in comune con molti patogeni, come l’Haemophilus influenzae e la Neisseria gonorrhoeae; in questi soggetti sono stati rilevati alti titoli IgM contro toxoplasma e CMV. Sono stati poi osservati rapporti stretti tra l’insorgenza del diabete tipo 1 e le infezioni da enterovirus. Per lungo tempo non si è compreso perché un soggetto affetto da LES sia impegnato soprattutto con una patologia renale, mentre un suo gemello, con la stessa malattia, presenti patologia cardiaca o del sistema nervoso centrale. Oggi si ritiene che differenti infezioni siano responsabili per queste diverse manifestazioni cliniche; ad esempio nel lupus che coinvolge il SNC si riscontrano spesso alti titoli IgM per il virus della rosolia, mentre anticorpi anti-EB-virus correlano più frequentemente con lesioni articolari e cutanee, ma non con quelle renali o a carico del si- stema nervoso. Nella granulomatosi di Wegener gli anticorpi anti-CMV sono correlabili alle manifestazioni gastro-intestinali, mentre quelli verso l’EBV sono più evidenti nelle forme con impegno renale. A proposito di EBV ricordiamo che esso risulta associato con numerose patologie autoimmuni e che l’immunizzazione di animali con frammenti dell’antigene nucleare 1 (EBNA-1) ha indotto la produzione di auto-anticorpi “lupuslike” (1). Gli studi effettuati in patologia animale confermano le osservazioni dell’innesco di patologia autoimmune da parte delle infezioni. I topini NZB/W sono geneticamente esposti, nella loro vita, alla insorgenza di patologia LES-simile, con anemia emolitica autoimmune e nefrite; diverse infezioni o l’iniezione di lipopolisaccaride possono accelerarne l’insorgenza (2,3). In topini NOD (Non-Obese-Diabetic) compare spesso una infiltrazione linfocitaria che causa insulinite; infettando gli animali con un rotavirus (che nell’uomo viene associato all’esacerbazione dei fenomeni autoimmunitari anti-insule pancreatiche) si scatena rapidamente l’insorgenza dell’insulinite e la rapida comparsa del diabete (4). Vediamo ora quanto è noto sulla associazione tra fenomeni autoimmunitari e alcune infezioni da virus, batteri, parassiti e funghi: Virus: è stata dimostrata l’associazione tra il virus HCV e molte patologie autoimmuni, come la Crioglobulinemia, la Tiroidite autoimmune, la Malattia di Crohn, il Pemfigo vulgaris e alcune vasculiti. L’HBV, che causa infezioni latenti e ricorrenti, risulta collegato con l’insorgenza di LES, Artrite a cellule giganti, Granulomatosi di Wagener, Poliarterite nodosa e Sclerosi multipla; il virus è stato inoltre isolato nella sinovia articolare dei soggetti con Artrite Reumatoide e nelle ghiandole salivari della sindrome di Sjögren. Batteri: l’Helicobacter pylori è sicuramente implicato nella gastrite autoimmune. Inoltre, os- servazioni epidemiologiche fanno ritenere che vi sia un’associazione tra la sieropositività per questo germe e l’insorgenza dell’aterosclerosi; studi sperimentali hanno evidenziato che una proteina (HSP60: heat shock protein 60) derivata dall’Helicobacter induce una risposta immune Th1 nel topo iper-lipidemico che accentua la progressione dell’aterosclerosi (5). Altri studi hanno evidenziato un ruolo di questo batterio nello sviluppo della porpora di Henoch-Schonlein, della tiroidite autoimmune e della sindrome di Raynaud. Parassiti: il Trypanosoma cruzi causa la malattia di Chagas; nel 30% dei pazienti scatena una severa cardiomiopatia autoimmune, in quanto molti suoi antigeni (B13, cruzipain e Cha) cross-reagiscono con antigeni dell’ospite. Addirittura se vacciniamo topini con gli antigeni dello Chagas, o iniettiamo in essi T-linfociti specifici per il cruzi possiamo causare la patologia descritta (6). Sono stati rilevati alti titoli di anticorpi antitoxoplasma in pazienti affetti da cirrosi biliare primitiva e da granulomatosi di Wegener. Funghi: oggi si considera l’Aspergillosi broncopolmonare allergica una reazione immuno-mediata del polmone a funghi, in particolare all’Aspergillus fumigatus, che può insorgere in soggetti affetti da malattia polmonare cronica ostruttiva. Non sempre l’insorgenza di una malattia autoimmune è legata a un evento acuto sostenuto da un unico stimolo patogeno; più spesso si tratta di un processo dannoso cumulativo, che agisce ripetutamente nel tempo. Ad esempio, ripetute infezioni che colpiscono e si ripetono fin dall’infanzia, in soggetti geneticamente sensibili, possono raggiungere un punto di rottura, superare cioè il cosiddetto “carico infettivo” (infection burden) e dare inizio alla patologia autoimmune. Questo può essere ben rilevato nell’insorgenza della aterosclerosi, nella cui patogenesi sono implicati molti agenti infettanti (Clamydia pn., CMV, H. pilory), anche se il ruolo di ciascuno di essi appare modesto. Un’indagine svedese caso-controllo (7), estesa all’intera nazione, ha evidenziato un collegamento tra le infezioni sofferte nel primo anno di vita e un aumentato rischio di sviluppare, nella età adulta, un’artrite reumatoide siero-negativa e la sua forma giovanile. Studi analoghi hanno rilevato una forte associazione, in soggetti adulti, tra presenza di anticorpi anti-nucleo e infezioni da parotite e rosolia sofferte nella infanzia. Stessa correlazione è stata fatta tra enteriti diarroiche del primo anno di vita e la dimostrazione nella età adulta di anticorpi anticardiolipina. 7 MECCAnisMi Di inDUziOnE Di AUTOiMMUniTà In che modo gli agenti infettivi possono indurre l’instaurarsi di una patologia autoimmune? 1. Mimetismo molecolare (molecular mimicry) È il meccanismo più comunemente in gioco nella induzione della patologia autoimmune. Si verifica quando gli agenti infettanti condividono antigeni “cross”-reattivi con auto antigeni; e quindi esiste una reattività crociata tra epitopi (proteine, carboidrati, DNA) del patogeno e antigeni self dell’ospite. Il molecular mimicry si osserva tipicamente nel determinismo della Malattia Reumatica. Come abbiamo già accennato, questa può insorgere alcune settimane dopo una infezione da Streptococcus pyogenes di gruppo A; la somiglianza antigenica tra proteine del germe e glicoproteine cardiache può dare origine alla perdita della tolleranza verso il miocardio, con produzione di anticorpi cross-reattivi e insorgenza di focolai miocarditici. Gli epitopi strep- 8 tococcici N-acetil-glucosamina e proteina M mimano la miosina miocardica e le alfa-elicoproteine presenti nelle valvole. Ricordiamo che il trasferimento passivo di anticorpi prelevati dal ratto immunizzato con miosina cardiaca può scatenare una tipica cardiomiopatia (8). Come per tutte le altre patologie autoimmuni, la Malattia Reumatica insorge, dopo la faringite streptococcica, soltanto in soggetti geneticamente suscettibili, e cioè solo nel 3% degli infetti e in persone dotate di alcuni antigeni di istocompatibilità (HLA DR 4, 2, 1, 3, 7 e DRB1*16). Un altro esempio del molecular mimicry si osserva nella associazione tra il Campylobacter jejuni e la sindrome di Guillain Barré; in questa, il ganglioside GM1 si comporta come auto-antigene. I ceppi di Campylobacter dotati del gene sialiltransferasi inducono la sintesi di lipo-oligosaccaridi GM1-like; conigli sensibilizzati con questa sostanza sviluppano anticorpi rivolti verso il proprio GM1 con induzione di paralisi flaccide (9). Appare relativamente comune osservare risposte immuni tra molti virus e alcune strutture dell’ospite. Inducendo la produzione di anticorpi contro morbillo o herpes virus, è stato dimostrato che la maggior parte di essi reagisce solo con lo specifico antigene virale, ma alcuni hanno azione dannosa anche su cellule non infette; almeno il 4% degli anticorpi monoclonali antivirus reagiscono anche con proteine self. È stato dimostrato che la polimerasi del virus dell’epatite B possiede un epitopo in comune con la proteina basica della mielina (MBP); quando si inietta nei conigli questo peptide virale, si formano anticorpi anti-MBP e molti animali sviluppano una encefalomielite autoimmune (10). È interessante notare che lo sviluppo della reazione auto-aggressiva avviene specialmente se l’epitopo viene somministrato insieme al cosiddetto adiuvante completo di Freund. È noto che gli adiuvanti sono in grado di formare complessi insolubili con l’antigene, prolungandone notevolmente il tempo di persistenza nell’organismo (da 24 ore fino a 3-4 settimane); inoltre aumentando le dimensioni dell’antigene incrementano l’attività delle cellule fagocitarie. Un tipo di adiuvan- te è rappresentato dalle emulsioni acqua-olio: il più noto è storicamente l’adiuvante di Freund, che può essere incompleto (mistura di un olio minerale leggero con monooleato di mannide) o completo (si aggiungono alla mistura micobatteri uccisi). E ricordiamo che, almeno in patologia sperimentale, “in most if not all the model where molecular mimicry has been used to induce an autoimmune disease, an adjuvant such as CFA …is required” !!! (11). 2. Liberazione di epitopi modificati (epitope spreading) nelle infezioni persistenti La risposta immunitaria rivolta verso un patogeno persistente e i prodotti litici provenienti dalle proprie strutture alterate dal processo infettivo possono causare la liberazione in circolo di antigeni self che vengono captati dalle cellule APC; si innesca così una reazione di autoaggressione. Si verifica cioè una sorta di trasformazione di autoantigeni tollerati in neoantigeni parzialmente “cross”-reattivi, con la modifica della specificità di un epitopo dominante in uno sub-dominante (criptico). Per esempio, nel caso della Febbre Reumatica, lo stato autoimmunitario cronico che danneggia il tessuto valvolare cardiaco può sviluppare una risposta del sistema immunitario verso neo-epitopi, come le proteine del connettivo laminina o collagene. Processi simili possono verificarsi in alcune infezioni virali persistenti. Nel topino il virus dell’encefalomielite murina di Theiler (TMEV) determina una prolungata infezione nel SNC definita “malattia demielinizzante cronica T-cell-mediata”, nella quale si può dimostrare una progressiva accentuazione dell’immunizzazione verso i vari epitopi mielinici che via via si evidenziano (12). 3. Attivazione di antigeni silenti o sequestrati (bystander activation – cryptic antigens) Danni tissutali indotti da un’infezione virale possono causare il rilascio di antigeni dianzi sequestrati, che mettono in moto linfociti auto-reattivi, non direttamente impegnati nell’iniziale reattività all’infezione virale. E le cellule T-virusspecifiche possono dare inizio al fenomeno, dopo la ricognizione delle cellule virus-infette, producendo granuli citotossici e citochine e dando origine a un ambiente infiammatorio che può causare un bystander killing delle cellule presenti in tale ambiente, anche se non infette dal virus. Questo è stato dimostrato in modelli animali, causando diabete tipo 1 o encefalomieliti autoimmuni. Le tre descritte modalità dell’insorgenza di una risposta autoimmune possono comparire in corso di un processo infettivo. Ed è stata avanzata la teoria del“campo fertile” (fertile field): cioè, ogni individuo viene ripetutamente esposto, nel corso della vita, a varie sollecitazioni immunogene, abitualmente senza evidenti conseguenze. Ma se al momento della esposizione a un tale stimolo, nel soggetto si sviluppa una infezione virale, questa potrebbe alterare l’ambiente immunologico dell’incontro con l’antigene (13). Ad esempio un virus che possiede un mimetismo molecolare con proteine del SNC dell’ospite può inizialmente attivare cellule T autoreattive, ma non fino al punto da mettere in moto la malattia neurologica autoimmune, che però può comparire successivamente quando ulteriori eventi, infettivi o non, attivino tali cellule. mente il Plasmodium berghei previene il Lupus nei topi e l’artrite nei ratti (14,15,16). Appare interessante il rilievo che, mentre nei discendenti dei neri africani, viventi nei paesi occidentali, la comparsa del LES è frequente, la prevalenza di questa malattia è bassa in Africa, specialmente nelle zone ricche di Malaria. AUTOiMMUniTà E VACCinAziOni Le vaccinazioni rappresentano il prototipo della stimolazione del nostro sistema immunitario; e se esse sono generalmente sicure e meritorie per aver contribuito alla eradicazione di molte malattie endemiche e per aver ridotto la morbosità e la mortalità del genere umano, non possiamo non considerare la possibilità che inducano fenomeni autoimmunitari nei soggetti vaccinati (17). 9 EFFETTi PROTETTiVi DELLE inFEziOni sULL’AUTOiMMUniTà Ci si è chiesti se le infezioni possano svolgere una azione protettiva sulle patologie autoimmuni (e su quelle allergiche); dal 1989 è nata la cosiddetta “hygiene hypothesis” che sostiene che l’aumento dell’insorgenza delle malattie autoimmuni nei paesi occidentali evoluti, soprattutto nella seconda metà del ventesimo secolo (Diabete tipo 1, Sclerosi Multipla, Malattie intestinali infiammatorie, ecc.) sia dovuta in gran parte alla riduzione della patologia infettiva e al miglioramento delle norme igieniche. È stato osservato che il virus della epatite B svolge una azione protettiva contro l’insorgenza del LES. È stato dimostrato che l’infezione dei topi NOD con lo Schistosoma mansonii o con il Coxsackievirus previene l’insorgenza del diabete. Simil- Un’associazione probabile è stata evidenziata nei riguardi della Sindrome di Guillain-Barré con la vaccinazione contro l’Influenza suina del 1976, della porpora immune trombocitopenica con il vaccino anti-morbillo-parotite-rosolìa e della miocardiopericardite con la vaccinazione anti-vaiolosa. Il sospetto dell’induzione della sclerosi multipla da vaccinazione anti-Epatite B, che dopo studi prolungati era stato considerato inattendibile, viene ora rivalutato (18). Una recentissima osservazione su due casi di anemia emolitica autoimmune, insorta dopo vaccinazione antinfluenzale, ripropone un problema molto discusso nell’ultimo decennio, quello del- 10 l’eventuale induzione di manifestazioni autoimmunitarie da parte dei cosiddetti adiuvanti (19). Come già accennato, ricordiamo che un adiuvante è un agente in grado di stimolare il sistema immunitario e di incrementare la risposta a un vaccino, senza svolgere di per sé un effetto antigenico specifico. Ma come funzionano gli adiuvanti? Probabilmente essi sono dotati di mimetismo (mimicking specific sets) rispetto ai cosiddetti PAMPs (Pathogen-associated molecular patterns), molecole appartenenti a gruppi microbici che sono riconosciute dalle cellule del sistema immunitario innato, attraverso i loro recettori (Toll-like receptors). Poiché il sistema immunitario è evoluto assumendo la capacità di riconoscere queste strutture antigeniche presentate dai patogeni, la presenza dell’adiuvante può fortemente incrementare la risposta innata nei riguardi del vaccino stimolando l’attività delle cellule dendritiche, dei macrofagi e dei linfociti mimando una infezione naturale. In soggetti geneticamente predisposti questo fenomeno può scatenare malattie autoimmuni! Al riguardo, è stata a lungo discussa la cosiddetta “Sindrome della guerra del Golfo”, che è una malattia di cui hanno sofferto i veterani che combatterono questa guerra nel 1991, caratterizzata da sintomi che comprendono disordini al sistema immunitario, sindrome da fatica cronica, perdita di controllo muscolare, cefalee, vertigini e perdita dell’equilibrio, problemi di memoria, dolore muscolare e alle articolazioni, indigestione, problemi dermatologici, ecc. È stato rilevato che, durante l’operazione Tempesta nel deserto, il 41% dei soldati statunitensi e tra il 57% e il 75% dei soldati inglesi furono vaccinati contro l’antrace. Nel 2002 venne pubblicato uno studio che collegava lo squalene, un coadiuvante sperimentale dei vaccini, a individui che mostravano i sintomi clinici della “sindrome della guerra del Golfo” (20). In patologia sperimentale è stato rilevato che gli adiuvanti del vaccino per l’antrace hanno provocato in topi alterazione dei neuroni motori e artrite cronica mediata dai linfociti T (21, 22). Un altro interrogativo è quello dell’efficacia e della sicurezza delle vaccinazioni effettuate in sog- getti già sofferenti di patologie autoimmuni, sia per il sospetto di una minore attività del vaccino nell’indurre la risposta protettiva, sia per il timore di aggravamento o riattivazione della malattia immunitaria. Anche se i dati della letteratura sono scarsi al riguardo, possiamo dire che “le vaccinazioni non hanno dimostrato di esplicare un aggravamento della malattia nei pazienti con Sclerosi multipla, LES, Artrite Reumatoide, Diabete tipo 1, Vasculiti e Miastenia grave. Ma l’effetto immunogeno, pur se protettivo, è risultato ridotto rispetto ai controlli normali, soprattutto in relazione alla severità della malattia autoimmune e all’eventuale terapia immunosoppressiva in atto” (23). Comunque, data la relativa rarità degli effetti negativi delle vaccinazioni sulla patologia autoimmune, e dato il pericolo della gravità che possono assumere le malattie infettive in questi malati, è utile effettuare sempre le vaccinazioni in questi casi. Forse, ricordando quanto abbiamo detto riferendoci alla patologia sperimentale (“in most if not all the model where molecular mimicry has been used to induce an autoimmune disease, an adjuvant such as -CFA …is required”), va attentamente valutato se possa essere più sicuro preparare vaccini con più elevata dose di immunogeno, evitando di aggiungere adiuvanti, capaci di stimolare anche reazioni autoimmuni. RisCHiO Di inFEziOnE in sOGGETTi sOTTOPOsTi A TERAPiE iMMUnOsOPPREssiVE Ricordiamo che la terapia immunosoppressiva prolungata, che altera sempre la risposta linfocitaria e citochinica, può essere causa della insorgenza o della riaccensione di alcune infezioni. Gli anticorpi monoclonali usualmente impiegati (i così detti “biologici”) bloccano o riducono la risposta immunitaria difensiva, così facilitando l’insorgenza o la riattivazione di alcune malattie infettive, come la Tubercolosi, l’Herpes zoster, ecc. (24-28). Tale rischio è massimo nei primi sei mesi di trattamento (29) e va attentamente valutato per le opportune profilassi. Bibliografia 1) Poole B.D. et al. Lupus-like autoantibody development in rabbits and mice after immunization with EBNA-1 fragments. Arthritis and Immunology Program, Lou Kerr Chair in Biomedical Research, J Autoimmun. 2008; 31: 362-71. 2) Deng G.M. Cholera toxin B accelerates disease progression in lupus-prone mice by promoting lipid raft aggregation. J Immun 2008;1 81:4019-26. 3) Ka s.M. et al. Mesangial cells of lupus-prone mice are sensitive to chemokine production. Arthritis Res Ther. 2007; 9(4):R67. 4) Graham K.L. et al. Rotavirus infection accelerates type 1 diabetes in mice with established insulitis. J Virol. 2008; 82: 6139-49. 5) Ayada K. et al. Chronic infections and atherosclerosis. Clin Rev Allergy Immunol. 2009; 37(1):44-8. 6) Gironès n. et al. Trypanosoma cruzi-induced molecular mimicry and Chagas’ disease. 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Info CUP 06809641 11 co in condizioni differenti senza ripetere esperienze o in situazioni non verificabili sperimentalmente; convalidare o smentire ipotesi biologiche; indagare proprietà di materiali biologici o misti; evidenziare legami non immediatamente verificabili nel contesto degli eventi medici analizzati. Esistono vari centri nazionali e internazionali che promuovono attività di formazione e ricerca in questo ambito multidisciplinare. Attenzione: non si tratta di adattare la biologia e/o la medicina (che è biologia) alla matematica, ma dell’esatto contrario: prendere spunto dalla dimensione biologica per “costruire” una sorta di “nuova matematica”. 12 MixinG OnORE AL MERiTO iTALiAnO Non tutti sanno che uno dei più importanti studiosi della malaria è stato un italiano: Angelo Celli (nella foto). Nato in una tranquilla cittadina delle Marche il 25 marzo 1857, a Cagli, si laureò a Roma nel 1878 e divenne professore di Igiene. Il suo contributo è stato fondamentale sia nell’ambito scientifico sia nell’ambito sociale ed educativo. Sostanziale il suo apporto alle leggi per la fondazione dell’Azienda Chinino di Stato. Consapevole dell’arretratezza delle conoscenze tra la povera gente si impegnò attivamente per la costituzione di “scuole” a favore dei contadini che vivevano nell’Agro Romano e nelle Paludi Pontine. nOn sOLO nUMERi L’impiego della Matematica in Medicina e Biologia è cosa ovvia ma meno percepita di quanto si dovrebbe. Il dato più recente, negli ultimi anni, riguarda la disponibilità di nuove tecniche di indagine per la possibilità di organizzare la sempre più ampia quantità di dati e informazioni. Ma non si tratta di “sola” statistica; gli studi d’avanguardia si riferiscono alla simulazione numerica di modelli biologici nell’ambito dei fenomeni complessi che necessitano di predittività. Tra i vantaggi offerti da un modello matematico in biologia o medicina si possono citare: studio del l’evoluzione di un sistema biologi- PAnCREATiTE ACUTA DA FARMACi: ATTEnziOnE ALLE TERAPiE I medici devono avere in mente che un’alta percentuale di malati viene ricoverata per pancreatite non altrimenti interpretabile se non a causa dell’assunzione di farmaci. Lo rivela uno studio osservazionale e multicentrico condotto da Hans A. Tuynman e collaboratori, del Dipartimento di Gastroenterologia ed Epatologia presso il Rijnstate Hospital, ad Arnhem (Olanda). Considerando l’intero campione arruolato nello studio, è emerso che il 41,6% dei soggetti studiati assumeva farmaci associati alla pancreatite quando sono stati ammessi in una struttura clinica. [Da: pubmed: Am J Gastroenterol, 2011 Sep 13. Epub ahead of print]. MOniTORAGGiO PER VACCinO AnTiPERTOssE La tosse “convulsa”, la pertosse, è una ben nota patologia altamente contagiosa delle vie respiratorie. Sebbene all’inizio possa ricordare un comune raffreddore i sintomi peggiorano nel tempo e possono essere una serio problema, soprattutto nell’età infantile. La migliore prevenzione è il vaccino. Secondo un recente studio è possibile che il vaccino perda o riduca sensibilmente entro i tre anni la sua efficacia veramente protettiva. Lo studio, condotto in forma preliminare, solleva un problema comunque importante sull’opportunità o meno di effettuare un richiamo in tempi anticipati rispetto a quanto ritenuto in passato. “I was disturbed to find maybe we had a little more confidence in the vaccine than it might deserve” ha comunicato il dr. David Witt, capo del Infectious Disease – Kaiser Permanente Medical Center in San Rafael, Calif. Witt, che ha recentemente presentato le sue osservazioni presso l’American Society for Microbiology Conference in Chicago. Human Services, in collaborazione con un’organizzazione privata nonprofit, ha lanciato un’iniziativa (Million Hearts) con lo scopo di prevenire un milione di attacchi cardiaci nei prossimi cinque anni. Ricordiamoci dunque: usare lo stile di vita e un’accorta gestione delle nostre conoscenze mediche. Lo scopo dell’iniziativa si fonda su uno sforzo integrato capace di unificare impegno scientifico, programmi di informazione e adeguate politiche sanitarie. 13 VACCini PER L’AUTOiMMUniTà? sALVARE MiLiOni Di CUORi Negli USA, secondo un recente report del Morbidity and Mortality Weekly Report [2011; 60: 1248-51], persiste il problema drammatico delle malattie cardiovascolari associate a definiti fattori di rischio: controllo inefficace dell’ipertensione, alti livelli della colesterolemia (LDL-C), fumo di sigaretta. Nello studio viene riferito che il 49,7% degli adulti con età maggiore dei 20 anni hanno almeno uno dei fattori di rischio segnalati. Il Department of Health and Sebbene si conosca molto dei processi che determinano il danno nei tessuti in corso di malattie autoimmuni, restano aperti numerosi problemi nella pratica clinica. Nel suo paper su Autoimmun. Rev. dell’agosto 2011 D.H. Dreyfus (Autoimmune disease: A role for new anti-viral therapies?) discute il significato di nuove terapie antivirali potenzialmente in grado di essere utilizzate per le malattie autoimmuni. In sostanza è possibile che farmaci inibitori dell’integrasi virale, molecole capaci di “silenziare” alcuni geni, specifici vaccini siano in grado di ri-modulare la risposta immunitaria nei casi di patologia autoimmune (artrite reumatoide, lupus eritematoso sistemico, sclerosi multipla). È probabile che anche anticorpi monoclonali, per esempio anti-linfociti B, siano in grado di eliminare cloni cellulari memoria la cui persistenza è a rischio per la comparsa di una risposta autoimmunitaria. UniTi COnTRO LO sTROKE OVERsHOOT DAY: DEFAULT DEL PiAnETA TERRA? 14 Una notizia da non trascurare, pur con le dovute riserve del caso. Dal 27 settembre del 2011 (secondo notizie di stampa) il bilancio tra risorse rinnovabili e consumi entra in area critica: questo significa che abbiamo cominciato a impiegare fonti che “non si ricaricano”. Questo significa che le risorse rinnovabili della Terra si stanno esaurendo e che per proseguire con le nostre abitudini di bipedi evoluti dobbiamo inevitabilmente contrarre un debito, cioè dobbiamo utilizzare un “tesoro” biologico e strutturale del pianeta che in pratica non possediamo: quindi impoverire ulteriormente gli oceani con la pesca, tagliare foreste, prelevare acqua da riserve fossili che non potranno ricaricarsi. Secondo le stime del Global Footprint Network, la rete che monitorizza la biocapacità globale, stiamo messi piuttosto male anche se ancora, nella nostra quotidianità non ne abbiamo coscienza. Il futuro si può cambiare? Dipende da noi, dallo stile di vita: se ne parla a livello individuale per ridurre diabete, sindrome metabolica, obesità, stroke, tumori, ecc. Ma dobbiamo ragionare in termini di specie, puntare alla qualità. Un pianeta sporco e stressato si pone tra le cause di nuove patologie, soprattutto con l’emergere di malattie infettive e generando le premesse di una peggiore qualità della vita (conservazione del cibo, uso massiccio di fertilizzanti, discariche, crescita dell’inquinamento ambientale, difficoltà “psicologica” della vita soprattutto nelle grandi concentrazioni urbane). Linee-guida sulla prevenzione dello stroke. Il 25% degli stroke che colpiscono la popolazione hanno carattere recidivanti, per cui la prevenzione diventa essenziale. L’American Heart Association/American Stroke Association ha aggiornato le sue classiche raccomandazioni per i pazienti già colpiti da TIA o da stroke, con lo scopo di evitare nuovi episodi. Particolare rilievo è stato dato al controllo dei fattori di rischio, al controllo dell’aterosclerosi e all’impiego delle terapie antitrombotiche. Il testo è strategicamente finalizzato ad evidenziare un trattamento ad approccio multiplo, non basato essenzialmente sui farmaci. Il testo è reperibile da: Furie K.L. et al. Guidelines for the prevention of stroke in patients with stroke or transient ischemic attack: A guideline for healthcare professionals from the American Heart Association/American Stroke Association. Stroke 2011 Jan; 42:227. sPiRiTUALiTà E DEPREssiOnE Esseri “spirituali” aiuta? Forse sì. Uno studio prospettico (Joel Yager, “Being Spiritual Protects People from Depression”. In: Journal Watch Psychiatry, September 19, 2011) sembra confermare il dato soprattutto in individui già sofferenti di depressione e con genitore depresso. Era già noto come soggetti con particolari inclinazioni religiose risultassero più “difesi” nei confronti di ricadute in senso depressivo, così come una certa soglia di predisposizione ereditaria verso “spiritualità” e “religiosità” è stata descritta da tempo. L’argomento è ovviamente complesso e ricco di variabili interpretative. È però utile che i medici, durante la loro pratica clinica, si informino dai pazienti con depressione in merito alle loro convinzioni religiose o spirituali. È possibile infatti che con il supporto di queste linee di comportamento gli individui traggano un vero beneficio clinico. a cura di Giuseppe Luzi BiOFiLM E CREsCiTA BATTERiCA: UnA sFiDA DA nOn PERDERE Giuseppe Luzi Specialista in Immunologia Clinica e Malattie Infettive 15 PRiMi PAssi I batteri sono in grado di adattarsi a diverse condizioni di crescita in differenti contesti ambientali e anche in presenza di molecole antimicrobiche. Con altrettanta abilità possono contenere e limitare gli attacchi del sistema immunitario. Per molti anni la ricerca sui batteri e sulla patogenesi delle malattie infettive ha concentrato le proprie energie nel descrivere le caratteristiche biologiche e di popolazione riguardanti le specie batteriche in grado di nuocere all’uomo. Questo passaggio “storico” era inevitabile, legato a esigenze tecniche e al ruolo devastante di gravi malattie infettive spesso mortali o in grado di lasciare sequele invalidanti. Gli studi sulla risposta immunitaria hanno permesso di comprendere alcuni aspetti fondamentali della funzione antimicrobica che l’organismo è in grado di mettere in atto contro i diversi patogeni, ma soltanto da pochi anni abbiamo le idee più chiare sulle modalità con le quali si svolgono le interazioni tra cellule del sistema immunitario e popolazione dei microrganismi. REALTà E iMMAGinAziOnE Quando si descrivono le proprietà dei batteri, pur con tutte le attenuanti necessarie per una conoscenza didatticamente efficace, se ne “semplificano” gli aspetti strutturali (esistenza della parete batterica, caratteristiche di colorazione al microscopio, resistenza all’ambiente, etc.) e si incasellano giustamente le informazioni per arrivare a definire le proprietà funzionali degli stessi microrganismi (basti pensare al ruolo di un antibiogramma, al significato clinico di una sua corretta esecuzione, e all’attendibilità delle risposte di laboratorio). Ma la semplificazione è sempre un rischio. Uno degli aspetti fondamen- 16 tali della crescita batterica e delle proprietà acquisite nel corso dell’evoluzione per sopravvivere a determinate condizioni ambientali è la capacità dei microrganismi di vivere in “comunità”. Quando immaginiamo i batteri probabilmente, in prima approssimazione, li pensiamo come piccoli microrganismi che si muovono nel sangue o in altri liquidi biologici dove si trovano bene per il loro nutrimento e la loro esigenza di specie. Ma le cose non stanno proprio così, o meglio, la faccenda impone una lettura più complessa e meno banale. Mettiamoci dal punto di vista dei batteri: devono mangiare, vivere, riprodursi. Devono difendersi dall’aggressione ambientale. Devono cambiare nel tempo, almeno un po’, per sfuggire a un sistema immunitario tutt’altro che sprovveduto. Come fare allora? denza ad attaccarsi su diverse superfici, viventi o non viventi, utilizzando questa proprietà per moltiplicarsi e vivere all’interno di un ambiente biologicamente vantaggioso. Questa comunità ben organizzata prende il nome di biofilm. Il biofilm rappresenta un esempio molto valido della capacità “fisiologica” espressa dai microrganismi per adattarsi all’ambiente e costituisce uno degli elementi costitutivi con i quali le popolazioni batteriche possono resistere ad agenti antimicrobici. Ormai abbiamo acquisito la conoscenza che una gran parte delle infezioni causate dai batteri (endocarditi, carie dentali, osteomieliti, infezioni dell’orecchio medio, infezioni derivate da cateteri o altri “medical-device”, infezioni croniche del polmone come si verifica nella fibrosi cistica) sono di difficile controllo proprio per la presenza dei biofilm. ORGAnizzARsi ED EVOLVERE iL BiOFiLM Un esempio di come i batteri abbiano acquisito una forte capacità di adattamento è fornito dalla loro abilità di crescere in vere e proprie comunità. I microrganismi hanno una naturale ten- È dunque importante conoscere la struttura del biofilm, le sue caratteristiche morfologiche e il ruolo funzionale che assume. Il biofilm si può definire come una comunità ben strutturata di cellule (batteri, ma anche cellule eucariotiche) all’interno di una matrice polimerica che viene prodotta dalle cellule stesse, matrice che cresce su superfici inerti o viventi (biologiche), localizzandosi in modo preferenziale all’interfaccia con una fase liquida. In generale si distinguono due differenti tipi di cellule. Si hanno batteri che si muovono liberamente e hanno un carattere “nomade” (flora planctonica) e batteri adesi alla superficie sulla quale si è costituito il biofilm (comunità sessile). La formazione del biofilm è un processo dinamico che comprende la transizione fra le cellule free-swimming (forma planctonica) e quelle attaccate alla superficie (sessili). La transizione ha origine in risposta a diversi stimoli ambientali tra i quali uno dei più importanti è la disponibilità di nutrimento. Come ha inizio il processo? Dapprima i batteri prendono contatto con la superficie ma l’adesione non è immediata né definitiva. Se cominciano a secernere una matrice, questa gradualmente svolge il ruolo di contenimento per stabilizzare nella sede del contatto iniziale le cellule e costituisce anche un vero microambiente (buffer) di difesa verso le strutture circostanti. Le componenti della matrice sono molecole di varia origine: si distinguono i polisaccaridi extracellulari (EPS), proteine, acidi nucleici. Quindi i microrganismi free-swimming (planctonici) dallo stato liberamente fluttuante aderiscono ad una superficie. Questa fase inziale è il vero momento critico: infatti i primi coloni agganciati alla superficie rendono più semplice il sopraggiungere di altre cellule con la formazione della stessa matrice costituiva del biofilm. È interessante osservare che alcune specie 17 Esempio di crescita di biofilm su un singolo granello di sabbia. La sabbia è stata raccolta in una spiaggia vicino Boston nel settembre 2008 e trattata con scanning Electron Microscope (sEM). image courtesy of the Lewis Lab at northeastern Lab at northeastern University. image created by Anthony D’Onofrio, William H. Fowle, Eric J. stewart and Kim Lewis.” 18 batteriche non in grado di agganciarsi a una superficie possono però ancorarsi alla matrice o addirittura ai batteri che hanno formato la primigenia colonia. Il meccanismo, a questo punto, è attivato: iniziata la colonizzazione il biofilm cresce grazie a diverse divisioni cellulari e acquisisce anche popolazioni batteriche che appartengono ad altre specie. Quindi in un biofilm abbiamo un attecchimento iniziale che, dapprima reversibile, poi diventa irreversibile. La matrice va incontro a diversi livelli di maturazione e il sistema gradualmente acquisisce una sua dinamica ben definita. I biofilm di solito consistono di molte specie di batteri (consorzio batterico). I consorzi batterici sono quelli più frequenti mentre risulta più difficile e meno probabile la formazione di biofilm derivati da una singola specie. Ogni specie presente nel consorzio svolge differenti funzioni metaboliche ed esprime un proprio trofismo. Questa evoluzione implica il generarsi di una ben definita nicchia ecologica. Il fenomeno ha un grande interesse nella dinamica evoluzionistica, poiché consente la convivenza di specie diverse senza che tra loro entrino in conflitto. Nella trama della matrice i composti polimerici danno una conformazione solida tridimensionale a tal punto che, se si verificano alcune condizioni, si osserva una vera e propria fossilizzazione. All’interno della matrice, che svolge un ruolo protettivo per le cellule che vi sono contenute, si generano canali fluidi, vere e proprie vie di comunicazione che distribuiscono ai singoli raggruppamenti cellulari le molecole di nutrizione e di segnalazione. Ovviamente questi canali consentono anche di convogliare verso la parte “periferica” del biofilm i prodotti di scarto o comunque variamente elaborati (per esempio esotossine). iL BiOFiLM nEL TEMPO Quando il biofilm è maturo la sua evoluzione, e in parte, le sue caratteristiche dipendono dalla sede di impianto, dalla natura dei microrganismi e dalla disponibilità dei nutrienti. Così John William Costerton sono descritti biofilm formati da densi strati di cellule confluenti (placche dentali, biofilm di cateteri urinari) o da piccole colonie (definite microcolonie) che sono disperse o aggregate a partire da uno strato particolarmente sottile. Il pioniere degli studi sui biofilm è stato J.W. Costerton (Montana State University-USA) che originalmente definì il biofilm come una “complex aggregation of microorganisms marked by the excretion of a protective and adhesive matrix (EPS)”. Costerton ha dato un contributo originale ed efficace alla comprensione del problema stimolando una serie di studi che hanno avuto importanti applicazioni non solo nell’ambito biomedico ma in diverse aree applicative, dall’ingegneria navale alla gestione delle pompe anti-incendio, fino alla conservazione di reperti archeologici e così via. Proprio dagli studi di Costerton si è compreso come sia di particolare interesse la conoscenza delle modalità con le quali i batteri del consorzio si “parlano” tra loro: alcuni batteri producono segnali (molecole) che raggiungono altre cellule in un processo organizzativo noto come cell-cell communication or signaling. Questa comunicazione intracellulare all’interno del biofilm è la condizione che rende possibile un comportamento finalizzato e coordinato tra le diverse popolazioni microbiche. QUORUM sEnsinG Con questa espressione si definisce, all’interno del biofilm, la capacità che hanno le colonie di “sentire” la loro dimensione e di regolarsi di conseguenza. È un sistema di regolazione che agisce in modo critico sull’evolversi del biofilm e sul comportamento delle popolazioni batteriche. In sostanza il quorum sensing rappresenta una rete di comunicazione tra i batteri. Utilizzando questo processo i microrganismi vanno incontro a diversi mutamenti fisiologici che inducono caratteristiche funzionali utili al sistema, per esempio la maggiore resistenza agli antibiotici dei batteri nel microfilm rispetto allo stesso microrganismo vagante allo stato libero. Analizzando con qualche dettaglio il contesto del quorum sensing possiamo vedere che per, batteri gram-negativi, la comunicazione cellulare avviene attraverso l’attività delle molecole di omoserina lattone acetilata (AHLS). Queste piccole molecole di segnale, veri e propri autoinduttori, vengono liberate dalle cellule e tendono ad accumularsi nelle colture in funzione della densità cellulare. Il quorum è rappresentato dalla densità della popolazione soglia. L’accumulo di AHLS consente l’interazione con recettori disposti sulla superficie della cellula batterica, recettori in grado di controllare l’espressione genica. PUnTi DA POnDERARE Dove possiamo trovare i biofilm? • Sulle pietre lungo la riva di un fiume • Sui denti e sulle lenti a contatto • Nelle ferite infette • In tubi dove scorre l’acqua • In strumentazione medica come i cateteri Perché si formano i biofilm? I batteri adottano una strategia con la quale accrescono la possibilità, per un consorzio di cellule, di contenere in senso “evoluzionistico” la pressione selettiva ambientale. Quando si formano? I batteri possono essere presenti in forma planctonica (liberi) o aggregarsi; il biofilm si forma quando alcuni batteri dallo stato di freeswimming si attaccano ad una superficie (inerte o di materiale biologico). Inizialmente si ha una piccola colonia ma poi cominciano alcune trasformazioni critiche. Come si formano? Si generano segnali che portano alla formazione di una matrice all’interno della quale si dispongono batteri di una sola specie o di più specie. Un meccanismo di grande inte- 19 resse noto come quorum sensing consente di regolare la struttura del biofilm. Con questo meccanismo si regola in vario modo la densità delle popolazioni batteriche coinvolte. Grazie a molecole che vagano in canali di flusso all’interno dei biofilm i batteri comunicano fra loro. Chi forma i biofilm? Vari microrganismi Gram negativi, Gram positivi, funghi, sono in grado di formare un biofilm. i biofilm sono un pericolo per la salute? Si, perché è difficile la loro eradicazione: sia la risposta immunitaria sia l’azione degli antibiotici risultano spesso inefficaci. Sono in corso studi promettenti che mirano ad utilizzare molecole in grado di disaggregare la struttura di molecole (matrice) del biofilm. Mutanti non in grado di produrre AHLS sono stati identificati nella P. aeruginosa: questi ceppi erano in grado di formare unicamente sottili strati di cellule non differenziate su una superficie di vetro. L’aggiunta dell’AHL al mezzo di coltura poteva ripristinare la capacità del mutante di costruire un biofilm come si osserva nel fenotipo “selvaggio”. In pratica se volessimo semplificare il fenomeno e indichiamo con P la variante planctonica, con S la variante sessile di un batterio e con B il prodotto finale (biofilm), potremmo scrivere: P S B (auto-) induttore, e concludere che AHL presenti nel biofilm in sviluppo inducono la trasformazione del pool planctonico nella variante sessile, iniziando la costruzione delle complesse strutture multicellulari che formano la comunità batterica. Il quorum sensing è stato anche descritto nei batteri gram-positivi, che utilizzano però autoin- duttori con molecole diverse (piccoli peptidi). In termini operativi il quorum sensing è l’espressione genica dipendente dalla concentrazione cellulare e la comunicazione fra cellule (il quorum sensing per appunto) è facilitata dalla stessa natura del biofilm rispetto a quanto si osserva in colture prevalentemente liquide. inFEziOni E BiOFiLM Le infezioni a carattere persistente rappresentano un importante problema medico, sia per gli aspetti clinici sia per le implicazioni economiche e assistenziali. Sotto il profilo biologico nulla di nuovo: l’organismo invaso dai patogeni tenta di eliminarli o di contenerli mentre il patogeno invasore cerca di prevalere o, almeno, di vivere/sopravvivere nell’ospite. E proprio il biofilm rappresenta una delle strategie più comuni messe in atto dai batteri per difendersi dai meccanismi di contenimento dell’ospite. Da questo punto di vista difensivo/aggressi- 20 Un esempio di oggetto sul quale si formano i biofilm: lo spazzolino da denti. University. image created by Anthony D’Onofrio, William H. Fowle, Eric J. stewart and Kim Lewis.” vo la costruzione del biofilm per i batteri rappresenta una modalità di difesa rispetto alle molecole di antibiotici e un vero e proprio schermo per bloccare la risposta immunitaria. Ovviamente se lo schema difensivo funziona ne deriva una maggiore capacità aggressiva, che si può espletare in varie maniere. I batteri con i quali si pone il problema sono numerosi, basta citarne alcuni: lo Pseudomonas aeruginosa (nel contesto della fibrosi cistica), l’Escherichia coli (infezioni delle vie urinarie), il Mycobacterium tuberculosis ma anche lo Streptococcus mutans, che genera infezione sulla superficie dentale. La gran parte delle infezioni nosocomiali sono causate da biofilm persistenti e alcune statistiche evidenziano che nei paesi economicamente avanzati le infezioni correlate a biofilm rappresentano oltre il 60% dei casi. Poiché i biofilm i BATTERi COME INSIEME BiOLOGiCO A volte i termini usati in biologia e medicina non risultano efficaci per descrivere l’argomento o una specifica situazione presa in esame, ma il termine sociomicrobiologia risulta assai intrigante. Introdotto da M. Parsek e P. Greenberg (Trends in Microbiology 2005; 13: 27-33) riguarda il comportamento di “gruppo” che hanno i microrganismi. L’essenza di quest’area di ricerca si basa sulla formazione dei biofilm e sui sistemi di comunicazione tra cellule (quorum sensing). L’osservazione che attraverso il quorum sensing o comunicazione intercellulare la “collettività” batterica riesce a controllare l’espressione di alcuni geni risulta di grande importanza sia per gli aspetti pratici (clinica e terapia delle infezioni) sia per una migliore conoscenza dell’approccio evoluzionistico al comportamento dei batteri. Formazione del biofilm Struttura del biofilm Interazioni ambientali I batteri, attraverso auto-induttori, possono controllare la crescita della popolazione e attivare particolari geni che regolano a loro crescono e formano il biofilm Batteri adesi a superfici regolando la crescita di popolazione e acquisendo resistenza a batteri e risposta immunitaria 21 volta diverse funzioni tra le quali la stessa virulenza della popolazione batterica. Era noto da tempo che i batteri sono gruppi di cellule molto “elastiche” sia nell’adattarsi all’ambiente sia nel gestire il proprio stile di sviluppo e di “vita” in relazione a stimoli vari. La scoperta concernente la loro capacità di “sentire” i cambiamenti di densità nella propria popolazione (quorum sensing) è stato un ulteriore passo avanti negli studi di microbiologia. L’importanza di ampliare le nostre conoscenze sui biofilm nasce dall’osservazione che la loro composizione può danneggiare diverse strutture o interferire sul loro funzionamento. Per esempio negli USA l’ordine di grandezza delle infezioni acquisite da biofilm batterici nosocomiali (cioè negli ospedali) è attorno al milione di casi/anno e le conseguenze non sono legate soltanto al prolungamento dei quadri patologici ma anche alle complicazioni di interventi chirurgici perfettamente riusciti e a un accresciuto rischio di mortalità totale. 22 formano uno scudo protettivo per i batteri patogeni è evidente che si pone con urgenza il problema di un efficace contrasto verso questo assetto biologico di specie. Quindi si sta tentando di usare antibiotici e molecole in grado di aggredire i biofilm, sia per disgregarli sia per impedire la loro formazione. Le strategie attuali implicano almeno tre linee direttrici: lo sviluppo di metodi di interferenza sul quorum sensing, lo sviluppo di molecole antiadesive e il controllo di peptidi antimicrobici. A proposito della risposta immunitaria, per esempio, si è visto che sotto certe condizioni i globuli bianchi possono penetrare nel biofilm ed espletare una qualche funzione di fagocitosi ma alcuni autori hanno dimostrato che nei biofilm da P. aeruginosa i granulociti neutrofili che raggiungono la struttura del biofilm diventano poi incapaci di allontanarsene. L’accumulo di neutrofili nel biofilm rappresenta un’ulteriore condizione di rischio: infatti si viene a definire una sorta di auto-lesività per la produzione di sostanze ossidanti che possono compromettere ul- teriormente le opportunità della risposta immunitaria. Ma non basta: i neutrofili che vanno incontro a necrosi finiscono con il rappresentare un’ulteriore matrice biologica per la formazione di biofilm. Esistono infatti evidenze cliniche che mostrano come uno stato di infiammazione cronica abbia origine in corso di infezioni persistenti da germi che fabbricano biofilm (ferite croniche a lenta guarigione, osteomieliti, otiti dell’orecchio medio, fibrosi cistica, infezioni nosocomiali). E quindi il futuro della terapia è già cominciato di necessità: poichè le malattie da biofilm (biofilm diseases) sono associate sia a infezioni persistenti sia ad infiammazione cronica, per un approccio terapeutico razionale dobbiamo considerare i tre punti cardine: 1) usare antibiotici per le forme planctoniche e per contrastare le varianti sessili all’interno dei biofilm; 2) introdurre farmaci antinfiammatori per limitare le reazioni che si originano dai biofilm stessi; 3) applicare molecole che siano in grado di eliminare (clearance) il biofilm stesso. Biofilm impenetrable to host immune response Biofilm impenetrable to antibiotics 1. Organic layer attachment 2. Bacterial colonisation & multiplication 3. Formation of protective exopolymer saccharides 4. Dispersal of Biofilm Matrix i BiOFiLM: Un VERO RisCHiO PER i CATETERi. Scopo della terapia per controllare i biofilm è quello di disperdere la matrice che lo compone: i biofilm infatti sono resistenti all’attacco delle cellule immunitarie e agli antibiotici, che invece funzionano contro i batteri in forma planctonica. Proprio tenendo conto della struttura del biofilm e della sostanza polimerica che lo costituisce (extracellular polymeric substance, EPS) sono stati effettuati del tutto recentemente vari studi mirati ad utilizzare nuove strategie. Per esempio si è osservato che DNA extracellulare (eDNA) rappresenta una componente comune in molti biofilm patogeni. In par- ticolare una famiglia di proteine (DNABII family), nota per interagire con DNA intracellulare, è anche in grado di agire su eDNA in matrice di biofilm. In sostanza se si utilizzano antisieri contro una DNABII family (usando E. coli) si dimostra che è possibile distruggere un biofilm formato da diverse specie patogene. Risultati analoghi sono stati osservati utilizzando componenti della stessa famiglia come immunogeni, facilitando la risoluzione di biofilm in animali nei quali questi si erano già precedentemente formati. È inoltre possibile associare a questo approccio l’usuale impiego degli antibiotici che sono in grado, una volta disaggregato il biofilm, di espletare la loro funzione antibatterica. Bibliografia • • • • • Costerton J.W., stewart P.s., Greenberg E.P. Bacterial biofilms: a common cause of persistent infections. Science 1999; 284: 1318-1322. stewart P.s., Costerton J.W. Antibiotic resistance of bacteria in biofilms. The Lancet 2001; 358: 135-138. Hogan D.A., Kolter R. Pseudomonas-Candida interactions: an ecological role for virulence factors. Science 2002; 296: 2229 -2232. Parsek M.R., Greenberg E.P. Sociomicrobiology: the connections between quorum sensing and biofilms. Trends Microbiol 2005; 13: 27-33. skindersoe M.E., Alhede M., Phipps R., et al. Effects of antibiotics on quorum sensing in • • • Pseudomonas aeruginosa. Antimicrob Agents Chemother 2008; 52: 3458-3663. Hoiby n., Cioufu O., Johansen H.K., et al. The clinical impact of bacterial biofilms. internat Journ of oral Science 2011; 3: 55-65. Prabhakara R., Harro J.M., Leid J.G., et al. Murine immune response to a chronic Staphylococcus aureus biofilm infection. infect immun 2011; 79(4):1789-1796. Goodman s.D., Obergfell K.P., Jurcisek J.A. et al. Biofilms can be dispersed by focusing the immune system on a common family of bacterial nucleoidassociated proteins. Mucosal immunology advance online publication 29 June 2011; doi: 10.1038/mi.2011.27 – nature publishing group. Il prof. Giuseppe Luzi, immunologo clinico, docente presso “La Sapienza”, Università di Roma, svolge attività di consulenza presso la BIOS S.p.A. di via D. Chelini 39 a Roma (Sezione di Immunologia Clinica) 23 TEOREMi, nUMERi E REALTà BiOLOGiCA: UnA RiFLEssiOnE E Un PO’ Di PROVOCAziOni 24 A TUTTO CAMPO Fulvio Bongiorno Matematico, docente Università di Roma Tre Giuseppe Luzi Immunologo clinico, Infettivologo, docente “La Sapienza” Università di Roma Lo studio della matematica e le sue applicazioni inducono spesso un disagio a chi, per pregiudizio, considera questa disciplina complessa e argomento per pochi eletti. Fulvio Bongiorno, matematico e scrittore, con Giuseppe Luzi, immunologo clinico e sostenitore di un approccio “matematico” alla bio-medicina, collaborano da anni in quel percorso rischioso e affascinante della modellistica applicata alla realtà. Consapevoli entrambi che non si tratta di un gioco, hanno pubblicato alcuni lavori miranti a sostenere una dimensione delle nostre conoscenze derivate dal mondo biologico per comprendere e, in un futuro, predire eventi biologici (e clinici) che si basano su interpretazioni meno “rigide” derivate dalle nostre acquisizioni di base. QUi si PARTE in MODO sOFT “Allora un anno non ha sempre lo stesso numero di giorni?” chiese Quattrocchi alla fine (della lezione)(1), un bimbo grassoccio, quattrocchi di nome e di fatto, perché portava gli occhiali. “Bravo Quattrocchi. In effetti ogni anno dura 365 giorni e sei ore. Ma se si sommano il numero dei giorni di ogni mese, si trova che normalmente un anno ha 365 giorni mentre ogni 4 anni ne ha 356 e si chiama anno bisestile”. “E porta sfortuna, dice mia nonna”, s’inserì Carmelina, la figlia del mezzadro degli Zerbo, la famiglia nobile di Polizzi. “Questo succedeva ai tempi di tua nonna”, tenne a precisare la signora Tedesco. “Ora non è più così”. “Attenzione”, disse poi. “Ora vi faccio una domanda difficile. Perché si aggiunge un giorno ogni quattro anni e non dopo 5 oppure 6?” I ragazzini rumoreggiarono, ma poi Quattrocchi, che era tra i più bravi alzò la mano. “Sentiamo”, disse la maestra. “Perché 6 per 4 fa 24”. “Bravo Quattrocchi. Proprio così. Mettendo insieme le sei ore che avanzano ogni anno si fanno ventiquattr’ore, ossia un giorno”. Mentre la maestra parlava, Ruhna aveva alzato la mano. “Che c’è Ruhna?” chiese la signora Tedesco. “Ma come si fa a conservare le sei ore che avanzano ogni anno per metterle insieme nel quarto anno e farci un giorno?” Quattrocchi rise. La maestra lì per lì non disse nulla, ma altri bambini si aggiunsero alla risata. Allora lei con dolcezza disse. “Ma che dici Ruhna. Vedi che fai ridere i compagni?” QUi si COMinCiA AD AFFROnTARE LA QUEsTiOnE PARLAnDO DEi MATEMATiCi “Cosa è più scienza pura della Matematica?” “Nulla”, rispondono prontamente e senza ombra di dubbio i matematici puri. Ok. Partiamo, per il percorso che viene proposto in questa nota, facendo buon viso a cattivo gioco. Questo vuol dire che viene dato per accettato l’asserto. Però ci si può difendere. “Ma è certificata?” Si può chiedere. “La Matematica?” chiedono allora con un risolino ironico. Ma, si noti, hanno intanto messo la maiuscola alla parola Matematica, «Ma da dove vengono questi? Hai visto mai, però…» forse pensando. “Ma certo che lo è: da secoli di Matematica”, rispondono sprezzanti. “Eh no. Non si sta parlando di un’autocertificazione…” “Ma che discorso mi vai facendo? Chi meglio di un Matematico può sapere che la Matematica è scienza pura…” “Nel senso che è la scienza vera?” possiamo mettere un altro bastone a nostro uso e consumo sul loro percorso. “Sì, certo. La Scienza vera”. E intanto, si noti, hanno messo un’altra maiuscola: quella nel nome comune scienza, «Ma che gente. Ma che possono avere in mente?…» pensando. “Chi potrebbe dubitare di questa cosa?” viene aggiunto subito. “Mah! Metti qualcuno a cui la matematica serva…” “Serva: nel senso di qualcosa o qualcuno che fa un servizio, una volgare mansione pratica, vuole dire?” «Menomale. Intanto mi ha dato del Lei… Prendiamo le distanze». “Sì. Qualcuno che abbia un problema da risolvere. Il salumiere, un ingegnere, un fisico, un medico, un biologo…” si può rispondere correttamente. “Ma che c’entra? Lei non parla della Matematica. La Matematica, vede – ed enfatizza un po’ sul ritmo delle parole – serve e basta solo a se stessa”. “Certo. Serve e basta. Non ci avevo proprio pensato…” Nelle sue parole si può cogliere qualcosa come: condizione necessaria e sufficiente, se e solo se, esiste ed è unica (ma come la trovi?)… Può venire in mente di quel tale che, durante un’escursione su un pallone aerostatico, s’è perso. E allora decide di perdere quota e chiedere dove si trovasse a uno che stava camminando sull’arenile sotto di lui. Siete su un pallone aerostatico, gli risponde quello con molta flemma. Ma guarda se dovevo beccare un matematico, osserva il tale sul pallone: per rispondermi ci ha pensato su, mi ha detto una cosa giusta, ma non ha risolto il mio problema…» “Sì. È senz’altro come dice lei…” è arrivato il momento di aggiungere allontanandosi, “mi scusi, ora, sa, non la sento più…”: della serie «passo e chiudo…» QUi si EnTRA nELLA TEMATiCA Il problema è che la certificazione va data dall’utilizzatore. Questo ribalta il rapporto tra la matematica, la scienza e l’applicazione: per esempio la modellistica, ora molto usata in ogni settore. A noi è capitato di cimentarci con l’impiego della matematica nella medicina(2). In questo momento storico biologia e medicina, sostenute dalla tecnologia, compiono passi da gigante. Non può sfuggire allora al matematico applicativo, che questa scienza si trovi ad attraversare un periodo di difficoltà, cioè essa non sempre riesce a rispondere alle aspettative. 25 Può venire in mente un paradosso: che sia meglio, invece di far seguire alla biologia o alla medicina le regole della matematica, mettere a punto una nuova matematica che segua le leggi proprie degli organismi viventi, che, perciò stesso, sarebbe certificata per lo scopo di fornire un linguaggio adatto a quel tipo di fenomeni, più di quanto non lo sia il linguaggio matematico. Questo discorso non è una tautologia, un gatto che si morde la coda? In altri termini, questa cosa si può fare veramente? QUi si VA nEL “MARE APERTO” 26 Oggi, mentre cerchiamo di congedare questa nota, è il giorno 02 – 09 – 2011. La sequenza di cifre scritte è una data, ma si può anche pensare come un numero, come, per esempio, 409. Possiamo pensare che il numero sia scritto nella base decimale, quella usuale, e il suo significato è: 9 unità, 0 decine, 4 centinaia Insomma, 409 unità. Base decimale vuol dire che le posizioni delle cifre che si incontrano a partire da destra – unità, decine, centinaia… – indicano quantità che ad ogni passo verso sinistra sono 10 volte più grandi di quelle indicate nella posizione precedente. Formalmente si può dire in un altro modo: le cifre del numero indicano i coefficienti di un polinomio nelle potenze del 10, cioè, in questo senso, il numero 409 è la scrittura abbreviata del polinomio: 9 x 100 + 0 x 101 + 4 x 102 in cui 10 è la base delle potenze di riferimento(3). Si comprende che la sequenza 02 – 09 – 2011, pensata come numero, si presenta in modo più complesso rispetto a 409. Però si può trattare allo stesso modo con considerazioni semantiche. Esso significa: 2 giorni, 9 mesi, 2011 anni. Quante unità? Ovvero, quanti giorni? Si comprende che il calcolo non è semplice come nel caso della base 10. In più, passando da una posizione alla successiva (in questo caso in Europa la data si preferisce indicarla con l’ordine giorno, mese, anno) non si moltiplica sempre per lo stesso numero, cioè la base è variabile, e inoltre essa dipende dal numero che si moltiplica; in termini formali si può scrivere: 2 x 1 + m (9 -mese) + a (2011 -anno) dove il valore m (9, mese) indica quanti giorni sono passati dal capodanno al 1° di settembre. Ben si comprende che per calcolare questo numero si deve tener conto della ben nota filastrocca: Trenta giorni ha novembre, con aprile, giugno e settembre, di ventotto(4) ve n’è uno, tutti gli altri ne han trentuno. Ben più complesso è il calcolo della funzione a (2011-anno). Essa indica quanti giorni sono passati dal “capodanno”(5) dell’anno 1 al capodanno del 2011. Bisogna infatti tener conto sostanzialmente di quattro aggiustamenti che si sono succeduti nei secoli. Il nostro calendario attuale si innesta su quello introdotto da Giulio Cesare – che perciò fu detto Giuliano – Il nuovo calendario gli era stato consegnato “chiavi in mano” nel 46 a.C. dall’astronomo alessandrino Sosigene, che ne curò la stesura con la collaborazione di eminenti filosofi e matematici dell’epoca. In esso fu stabilito che la durata dell’anno fosse di 365 giorni, e che ogni quattro anni si sarebbe dovuto intercalare un giorno complementare, raddoppiando il 23 febbraio che cadeva nel dodicesimo giorno prima delle calende di marzo. Si veniva così ad avere nel febbraio un doppio sesto giorno prima delle calende, cosa da cui derivò il nome bisestile. L’anno fu diviso in 12 mesi, della durata, alternativamente, di 31 e 30 giorni, con la sola eccezione di febbraio, di soli 29 giorni, che diventavano 30 negli anni bisestili. In più si spostarono i mesi di gennaio e febbraio che diventarono i primi mesi dell’anno, mentre fin dai tempi di Numa Pompilio erano stati gli ultimi. In questo modo il calendario divenne simile a quello degli Egizi. Nell’anno 8 a.C., Augusto ordinò che fossero omessi i successivi tre anni bisestili per correggere alcuni errori intervenuti dopo la morte di Giulio Cesare. Il Senato inoltre decise di dare il nome di Augustus al mese di Sextilis, in onore dell’imperatore. Stabilì anche che questo mese dovesse avere lo stesso numero di giorni di Julius, il mese che onorava la memoria di Giulio Cesare. Per far ciò, cioè portare a 31 il numero dei giorni di agosto, fu tolto un giorno a febbraio che divenne così di soli 28 giorni (29 negli anni bisestili). Infine fu cambiato il numero dei giorni degli ultimi quattro mesi dell’anno, per evitare che ci fossero tre mesi consecutivi con 31 giorni. Si passò così a un assetto che dura tutt’ora. Continuò a sussistere comunque il problema dello scollamento tra l’anno solare (cioè il periodo di tempo intercorrente tra l’equinozio di due primavere successive, di 365 giorni, 5 ore, 48 minuti e 45 secondi) e l’anno del calendario di Augusto (di 365 giorni e 6 ore), destinato a produrre nel tempo un ritardo nell’equinozio di primavera che sarebbe scivolato dal 25 marzo ad aprile, poi in maggio, in giugno, ecc. nonostante questa differenza sia piccola, infatti produce un ritardo di circa tre giorni in 400 anni. Per ovviare a questo errore, papa Gregorio XIII, attuò nel 1582 una riforma, a cui dettero un contributo particolare il medico calabrese Aloysius Lilius, il matematico gesuita Christopher Clavius e il matematico perugino Padre Carlo Pellegrino Danti. Con tale riforma, che fu detta gregoriana, si stabilì che non dovessero essere bisestili quegli anni secolari che non fossero divisibili per 400. Ciò comporta il ritardo dell’equinozio di un giorno dopo circa 30 secoli, o meglio, di tre giorni ogni 10.000 anni. Si potrebbe, infine, migliorare ancora il calendario, accettando l’idea suggerita da John Herschel, togliendo dal calendario gregoriano tre giorni ogni diecimila anni, tradotta in una regola per un calendario perfetto da Antonino Zichichi, nel suo saggio L’irresistibile fascino del tempo: i giorni dell’anno sono 365, più uno ogni quattro anni, meno tre ogni quattro secoli, e meno tre ogni diecimila anni, suggerendo in pratica l’idea di non considerare bisestili gli anni 4000, 8000 e 12000, che per il calendario gregoriano, lo dovrebbero essere. PRiMA COnCLUsiOnE: COnCETTUALE Con la convenzione che l’inizio dell’anno “1” sia il 1° gennaio dell’era Cristiana, quanti giorni son passati dunque da allora fino ad oggi, 02 – 09 – 2011? Esattamente 734.514; su internet si trovano link che possono confermare la risposta. Ma vorremmo concludere esponendo a chiare lettere qual è l’obiettivo di tutto il percorso tortuoso di questa storia. È precisamente quello di evidenziare che a sintetizzare il risultato non sono state le considerazioni formali promosse da Giulio Cesare, Augusto Imperatore, Papa Gregorio XIII, Herschel pittore e filosofo, Zichichi, quanto piuttosto una lettura via via più precisa di un comportamento della Natura. Schematizzando, si è invertito il percorso dalla matematica al fenomeno procedendo invece dal fenomeno alla matematica Su questa base, nuova di zecca, si può enunciare e validare un teorema. Grande teorema di Cesare – Augusto – Gregorio – Herschel – Zichichi(6) L’invarianza astronomica della posizione della Terra negli equinozi di primavera, giustifica e certifica le regole del calendario perfetto. sECOnDA COnCLUsiOnE: FATTUALE Ma si può fare di più per realizzare senza matematica la sincronizzazione tra l’anno legale e quello astronomico? Non è un’operazione difficile. Basta un uomo paziente con un buon orologio. Il nostro uomo si piazza a Roma (a Roma, perché è lì che è nato il calendario Giuliano, che rappresenta il punto di partenza di questo percorso) in un giorno di marzo e aspetta il momento in cui sorge il sole. In realtà stabilire il momento dell’alba è facile da dire ma meno da fare. Ma qui si vuole semplicemente indicare un metodo e non una tecnica; poi fa quello che vuole, ma si sposta verso un punto in cui potrà osservare il momento del tramonto (a Ostia viene bene, per esempio; Ostia è un quartiere di Roma). Se sono passate esattamente dodici ore dall’alba, quello è il giorno dell’equinozio di primavera. Se è passato di meno, bisogna tornare il giorno dopo, o qualche giorno dopo: tre, cinque. Con un po’ di pratica uno si regola. Se son pas- 27 sate più di dodici ore, l’equinozio si è perso. Bisogna riprovare l’anno dopo. Ma diciamo subito come stanno le cose. Se l’anno prima a Roma era stato possibile osservare l’equinozio, l’anno successivo non sarà più fattibile, perché la Terra si porta nello stesso punto dell’orbita non dopo 365 giorni, né dopo 366, ma, come s’è detto, dopo quei maledetti di 365 giorni, 5 ore, 48 minuti e 45 secondi, la durata, neanche troppo precisa, dell’anno astronomico. E allora? Se l’uomo aspetta l’alba al 365° giorno dopo il precedente equinozio, troverà che il tramonto arriva prima delle fatidiche 12 ore esatte. E che, si deve tornare il giorno dopo? No. Nemmeno. Il giorno dopo il tramonto arriverà dopo 12 ore. E che vuol dire allora, che l’equinozio per quell’anno non c’è? «Ho fatto male, ieri pomeriggio», avrà pensato l’uomo con l’orologio, «mi sarei dovuto spostare, quando ho visto che il sole stava per tra- TERzA COnCLUsiOnE: CRiTiCA Non è che la maestra Tedesco avrebbe dovuto far mente locale su cose come queste, prima di rispondere alla domanda ingenua di Ruhna? note (1) Questa storiella si trova alle pagg. 26 e 27 del Saggio Avrei voluto capire la matematica, di Fulvio Bongiorno e Andrea Damiani, pubblicato da Aracne Editrice, Roma 2010. Il libro per gentili concessioni dell’Editore Gioacchino Onorati e del Museo Energia è on line nel sito web www.museoenergia.it e può essere scaricato gratis. (2) a. Giuseppe Luzi, Guglielmo Bruno, Fulvio Bongiorno, “IVIgG: aspetti strutturali, funzioni biologiche e applicazioni”. In immunologia e Clinica – Aggiornamenti sull’uso delle iVigG. G E edizioni, Roma – ottobre 2009. b. Fulvio Bongiorno, Giuseppe Luzi, Guglielmo Bruno, “Un’ipotesi matematica per predire l’efficacia delle IgG ad alte dosi: quale modello?”. In: Dalla terapia sostitutiva al controllo biologico della risposta immunitaria – Corso di aggiornamento. Ospedale S. Andrea, Roma “La Sapienza” 9-10 ottobre 2009. c. “C’è nel nostro futuro prossimo una nuova matematica per una “vecchia” biologia o viceversa?” In: Aggiornamenti di immunologia Clinica, a cura di Giuseppe Luzi, Guglielmo Bruno, Fulvio Bongiorno. Aracne editrice, Roma – ottobre 2010. (3) Si possono scrivere numeri con la stessa simbologia, ma base diversa. Per esempio lo stesso numero di prima, 409, se si pensasse scritto in base 12 avrebbe il significato: 9 x 120 + 0 x 121 + 4 x 122, che, tornando alla base 10 esprimerebbe 108 + 0 + 4 x 144 = 684 unità. Per inciso, osserviamo che per scrivere in base 12 si deve disporre di dodici simboli diversi per le cifre. Nei computer si usa la base 16. In questo caso i simboli delle cifre sono: 0, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 6, 7, 8, 9, A, B, C, D, E, F (4) Mica sempre! Solo nel caso di anni non bisestili, e perciò, a rigore, la funzione m dipende non solo dal mese, ma anche dall’anno; si dovrebbe dunque scrivere m(9 -mese, 2011 -anno) (5) In teoria non è detto che debba trattarsi di un vero e proprio capodanno, ma del primo giorno utile per costituire un riferimento univoco, cioè identificato e certo. Il calendario giuliano entrò in vigore nel 45 a.C., che fu bisestile. Veramente molto di più che bisestile perché per riportare l’equinozio primaverile al 25 marzo si dovettero aggiungere 85 giorni per compensare gli errori accumulati in passato e allo scopo furono aggiunti una tantum due mesi fra novembre e dicembre, il primo di 33 giorni e l’altro di 34. Il primo mese dell’anno era ianuarius, mese dedicato a Ianus (Giano), che conteneva nel nome il riferimento al cambiamento dell’anno, perché Ianua in latino significa anche porta. Si può assumere pertanto ragionevolmente come capodanno dell’anno 1 proprio il 1° Ianuarius del 45 a. C. (6) L’attributo grande è un atto di megalomania, ma anche un intento ironico, che allude – con inconfrontabile distanza – al Grande Teorema di Fermat. L’aggettivo vuole semplicemente sottolineare il fatto che la sua formulazione ha seguito un percorso nuovo. I nomi attribuiti nell’enunciato sono quelli di coloro che hanno dato un contributo, elencati, per non far torto a nessuno, in stretto ordine cronologico. (7) Scusate se sono stati saltati molti passaggi. montare, verso Ovest, di corsa, dove il sole non era tramontato ancora. E correre, per un po’ meno di sei ore appresso al Sole… ’Na parola: il Sole fila tirato dai cavalli alati del cocchio di Apollo: altro che un jet…». Tutto vero. «Eh già. Dovrei fare in po’ meno di sei ore, circa un quarto del giro della Terra, alla mia latitudine. Figurati: il giro del Mondo in ottanta giorni. A quell’andatura sarebbe fatto in sei per quattro, ventiquattro ore. Un giorno…» Proprio così. Invece per vedere a Roma l’equinozio di Primavera, senza correre appresso al Sole, basterebbe aspettare un giorno, ma dopo 4 anni… Ecco perché l’anno bisestile… Demonio di un Sosigene alessandrino!» (7) 28 Un RAGGiO LAsER AL sERViziO DELLA DiAGnOsi CLiniCA: LA CiTOFLUORiMETRiA A FLUssO il citometro a flusso si può annoverare tra gli strumenti analitici più complessi a disposizione della medicina e della biologia. Nato verso la fine degli anni ’50 come figlio dei primi contaglobuli impedenziometrici, questo sistema si è rapidamente evoluto facendo proprie molte delle più recenti tecnologie emerse in diversi campi della fisica e dell’ingegneria. Il motore trainante che ha sempre stimolato la ricerca di soluzioni innovative è stato ed è l’alto contenuto informativo delle analisi citometriche e la sua potenziale ricaduta applicativa. La citometria a flusso è una biotecnologia che consente la misurazione diretta e indiretta di parametri chimico-fisici di ogni singola cellula umana, per mezzo di marcatori molecolari fluorescenti. Le principali caratteristiche che distinguono questa tecnologia nel campo della analisi citologica sono l’analisi multiparametrica che permette di misurare contemporanea- mente fino a dodici parametri cellulari differenti su ogni singola cellula e l’altissima velocità di analisi (in pochi secondi possono essere analizzate migliaia di cellule) su una quantità di cellule impensabile per i classici metodi biochimici e microscopici, consentendo elevatissimi livelli di sensibilità, precisione ed accuratezza statistica. I moderni citofluorimetri sono strumentazioni complesse composte principalmente da una parte ottica formata da una sorgente luminosa, che può essere realizzata da uno o più laser, indirizzata nella camera di misura attraverso un banco ottico oppure con fibre ottiche; da un sistema fluidico per il trasporto delle cellule nella camera di misura e da componenti elettronici per la rivelazione del segnale luminoso (fotomoltiplicatori, fotodiodi), con successiva digitalizzazione del segnale elettrico e analisi computerizzata per mezzo di software specifici. iL PUnTO Carlo Rumi Direttore U.O. Diagnostica Citometrica, Università del Sacro Cuore Roma Gabriele Rumi Unità di Allergologia Complesso Integrato Columbus, Università del Sacro Cuore Roma 29 Drop-Charging Signa Sheath Fluid Sample Filter Fluorescence detectors Beam Splitter Vibration Transducer Filter Collecting Lens for Fluorescent Light Light Detector Flow Chamber Laser Obscuration Bar Collecting Lens for Forward-Scattered Light Focusing Lens Negatively Charged Deflection Plate Positively Charged Deflection Plate Left Collector Electronics Console Right Collector Waste 30 Alcuni campi di indagine: • identificazione, quantificazione e separazione (cell sorting) di sottopopolazioni cellulari; • fisiologia cellulare: vitalità, fagocitosi, reazioni di ossidazione, funzionalità degli organelli subcellulari; • analisi della cinetica replicativa delle cellule (ciclo cellulare); • quantificazione del contenuto degli acidi nucleici DNA/RNA; • analisi di microrganismi (batteri, lieviti, protozoi). La citofluorimetria a flusso rappresenta oggi un potentissimo mezzo di indagine, le cui possibilità sono state, fino ad ora, appena saggiate. Confinata per lungo tempo nelle mani dei ricercatori di base, sta ora entrando a livello della routine ematologica, immunologica, allergologica, oncologica, dermatologica, genetica, microbiologica… contribuendo efficacemente a una ottimizzazione dell’inquadramento diagnostico e prognostico delle problematiche cliniche, nonché alla migliore impostazione delle strategie terapeutiche in questi settori. Tra le più comuni metodiche messe a punto a disposizione dello specialista clinico vogliamo ricordare lo studio immunofenotipico delle malattie del sangue (l’ultima classificazione delle emopatie secondo la WHO è praticamente basata sulle caratteristiche immunologiche delle cellule del sangue), la valutazione della risposta immunitaria cellulo-mediata (screening immunologico delle malattie autoimmuni, invec- chiamento del sistema immunitario nella terza e quarta età, ricerca di popolazioni clonali nel nostro sangue periferico, attività fagocitaria monocitico-granulocitaria, ricerca autoanticorpi, performance immunologica nell’overtraining) e il test di attivazione basofila negli stati allergici, senza dimenticare lo studio del contenuto di DnA (DnA index) e dell’attività proliferativa (dimensione della fase s) in oncologia, la valutazione del rischio trombotico (attivazione piastrinica) nelle coagulopatie, ma anche lo studio citometrico nell’ambito dell’infertilità maschile (analisi della funzionalità nemaspermica). Il vantaggio sostanziale delle tecniche citofluorimetriche è quello di poter studiare velocemente e contemporaneamente strutture di membrana, citoplasmatiche e nucleari di qualsiasi cellula di qualsiasi tessuto del nostro organismo mediante l’uso di sonde immunologiche altamente specifiche (anticorpi monoclonali), con costi economici decisamente accettabili. iMMUnOFEnOTiPO EMATOLOGiCO Nella medicina di laboratorio l’ematologia ha il compito di studiare il sangue e i tessuti emopoietici mediante l’impiego di esami quantitativi (conteggio e dimensionamento di particelle) o qualitativi (morfometria, citochimica, citofluorimetria…). Il sangue è un sistema bifasico, costituito da una fase liquida (plasma) in cui si trovano sospese cellule nucleate (leucociti), non nu- Tube: normale P2 Population P3 102 All Events P1 P2 P3 P4 P5 P5 P4 103 CD45PeCy5-A 104 105 Sangue periferico-normale P1 50 100 150 SSC-A 200 250 (x 1.000) cleate (eritrociti) e frammenti cellulari (piastrine). La frazione di coagulazione (in seguito a coagulazione) prende il nome di siero. Il più importante esame di screening è l’emogramma con differenziazione microscopica. Oltre alla valutazione quantitativa (neutrofilia, linfocitosi, eosinofilia, basofilia, monocitosi, neutropenia, monocitopenia, trombocitosi e trombocitopenia, poliglobulia e anemia) è determinante soprattutto anche l’individuazione di cellule mieloidi o linfatiche atipiche, quale espressione di una malattia ematologica, cosa oggi possibile con la citometria a flusso. L’immunofenotipizzazione si basa sull’espressione delle specifiche linee e differenziazioni di molecole sui o nei leucociti. L’adesione alle singole cellule di anticorpi monoclonali, marcati con coloranti fluorescenti, viene resa visibile e misurabile alla luce laser con un citometro a flusso. Questa reazione fluorescente è la comprova della messa in evidenza dell’antigene (molecola) cellulare riconosciuto dal relativo anticorpo monoclonale. A seconda della specificità delle linee e della differenziazione si possono, in base all’espressione di tutta una serie di antigeni, trarre conclusioni relative al tipo di cellula e al suo grado di differenziazione. Il modello d’espressione della cellula maligna viene confrontato con i modelli degli stadi di sviluppo di cellule T e B normali. L’impiego dell’analisi con citometria a flusso è divenuto parte integrante dello standard di P1 Noise P2 Linfociti P3 Monociti #Events 10,693 1,530 1,847 1,044 4,325 610 %Parent %Total 14.3 17.3 9.8 40.4 5.7 100.00 14.3 17.3 9.8 40.4 5.7 P4 Granulociti Neutrofili P5 Granulociti Eosinofili diagnosi e cura in ematopatologia. Poiché la presentazione clinica di neoplasie come le leucemie acute, i linfomi, la sindrome mielodisplastica e le malattie mieloproliferative può variare notevolmente, in generale viene effettuata una strategia di diagnostica differenziale, in cui vengono considerate le eziologie di tipo neoplastico e non neoplastico. Per questo motivo indicazioni cliniche come anemia, leucocitopenia, trombocitopenia, pancitopenia, neutrofilia, monocitosi, linfocitosi, eosinofilia, trombocitosi, linfoadenopatia e presenza di blasti vengono investigate mediante citometria a flusso, al fine di fornire dati critici per la diagnosi precoce, la stadiazione e la prognosi delle neoplasie ematolinfoidi. Lo studio delle sottopopolazioni linfocitarie o studio dell’attività linfocitaria serve a definire l’antigene o gli antigeni che i linfociti esprimono sulla loro membrana cellulare per meglio conoscere la funzione alla quale sono preposti i linfociti stessi. I linfociti sono cellule che rappresentano il 35% circa dei globuli bianchi del sangue. Essi svolgono un ruolo molto importante nel sistema immunitario inducendo un tipo di risposta adattabile ovvero specifica per ogni tipo di “antigene”, (virus, batteri, allergeni, peptidi, antigeni tumorali ecc.) che invade l’organismo e viene ritenuto “non self” cioè estraneo all’organismo stesso. Si distinguono in linfociti T e linfociti B che derivano dalla linea linfoide delle cellule multipotenti presenti nel midollo osseo. I 31 32 linfociti T migrano dal timo dove avviene la loro maturazione e successiva differenziazione. I linfociti B maturano nel midollo osseo e, dopo essersi trasformati in plasmacellule, producono anticorpi specifici contro gli antigeni (virus, batteri, allergeni, ecc.) penetrati nell’organismo e ritenuti estranei allo stesso. Le sottopopolazioni linfocitarie T non sono distinguibili tra loro o dai linfociti B al microscopio ottico, ma possono essere facilmente identificate con una sofisticata tecnica di laboratorio: la citometria a flusso. La citometria a flusso permette di visualizzare (oltre che identificare e quantizzare) tutte le cellule presenti nel sangue. I linfociti, in base alla specifica funzione alla quale sono destinati, possiedono sulla loro membrana uno o più antigeni detti anche marcatori di superficie. L’utilizzo di specifici anticorpi, fluorescenti e variamente colorati, contro questi antigeni, permette di visualizzare (oltre che identificare e quantizzare) la presenza di queste cellule in “ammassi” o cluster” denominati perciò CD o “cluster of differentiation”. Gli antigeni espressi sui linfociti T e B, finora studiati, sono oltre 200 e il loro numero è destinato a salire. È anche possibile in citometria a flusso multiparametrica studiare contemporaneamente sui linfociti B una eventuale restrizione per catene leggere kappa o lambda allo scopo di individuare precocemente popolazioni clonali, sicura espressione di una malattia ematologica. La fagocitosi è un processo di ingestione cellulare di particelle o sostanze estranee (dal greco, phago, ‘mangiare’ e kytos, ‘cellula’), tramite l’emissione di prolungamenti citoplasmatici. La fagocitosi è attuata da tutti gli organismi viventi unicellulari e, negli organismi pluricellulari, da cellule chiamate fagociti, specializzate nella difesa dell’organismo dagli invasori potenzialmente dannosi. Le alterazioni a carico della popolazione leucocitaria riguardano principalmente le variazioni quantitative di tutta la popolazione leucocitaria di una o più classi di leucociti, mentre i disturbi funzionali sono più rari e spesso assumono il carattere della malignità. Anche questi processi immunologici difensivi del nostro organismo sono facilmente e attentamente esaminabili con tecniche citometriche. iMMUnOTEsT L’esame è utile sia in condizioni fisiologiche (gravidanza, pubertà, senescenza) sia in quelle patologiche (malattie allergiche, immunologiche, reumatiche, ematologiche…) spesso silenti nel loro esordio e di difficile inquadra- A.C. (Range) % (Range) WBC 5300 (4400-6300) - Lymphocyte 1600 (1300-1900) 31 (27-34) CD3+ 1300 (1000-1500) 75 (71-79) CD19+ 210 (60-270) 13 (11-16) CD3+/CD16+CD56+ 170 (130-250) 11 (8,0-15) CD3+/HLA-DR+ 138 (95-194) 11 (7,8-15) CD3+/CD25+ 324 (264-433) 28 (23-33) CD3+/CD69+ 89 (64-127) 7 (5,5-10) CD4+ 700 (600-980) 48 (43-54) CD4+/45RA+ 268 (192-401) 37 (30-44) CD4+/45RA+ 494 (355-600) - CD8+ 520 (420-660) 32 (28-37) CD3+/CD8+ 418 (309-531 25 (22-31) CD3+/CD8+ 92 (64-114) 6 (4,0-7,0 HLA-DR+/CD8+ 98 (61-145) 22 (14-29) CD8+/CD57+ 116 (80-214) 24 (16-37) CD8+/CD38+ 195 (162-267) 46 (36-53) CD3+/CD4+; CD3+/CD8+ CD4+; CD8+ mento diagnostico. Oltre alle malattie autoimmuni, l’Immuno-Test è in grado di valutare stati infettivi, parassitosi, ma anche squilibri del sistema immunitario come nel caso di allergie o intolleranze. L’esame trova certamente una sua utilità prima dell’arrivo delle influenze stagionali, dove è in grado di indagare il sistema immunitario ed evidenziarne eventuali carenze. Nei soggetti nella terza e quarta età il test è in grado di valutare alcuni parametri immunologici spesso associati a malattie ematologiche, come le sindromi linfoproliferative o stati cronici di anemia. Questo monitoraggio immunologico trova anche certamente una utile applicazione nelle persone che praticano una intensa attività fisica, in modo da valutare eventuali alterazioni dello stato immunitario legate allo stress da esercizio fisico continuo e prolungato. L’ImmunoTest è in grado di completare la diagnosi clinica consentendo una valutazione più accurata, innovativa e altamente specialistica del nostro sistema immunitario. Questa costituisce infatti, allo stesso tempo, il primo bersaglio e la nostra prima difesa nei confronti di qualsiasi agente pato- 1,8 (1,4-2,4) 1,6 (1,2-1,9) geno. Oggi è quindi possibile, mediante innovative tecniche citofluorimetriche, conoscere esattamente il nostro stato di “salute immunitaria” (studio delle sottopopolazioni linfocitarie, ricerca malattie clonali, attivazione B linfocitaria), ovvero la nostra capacità di reagire nei confronti di parassiti, virus e antigeni tumorali. ALLERGOTEsT Grazie a un semplice esame del sangue, è ora possibile diagnosticare un’allergia (antibiotici, anestetici, FANS, mezzi di contrasto, alimenti, veleno degli insetti, polveri, muffe, pollini, ecc.) senza esporre il paziente a procedure potenzialmente pericolose. Recentemente presentato alla “European Academy of Allergology and Clinical Immunology” (EAACI), il Test di Attivazione dei Basofili (TAB) rileva l’espressione di particolari molecole di superficie – marcatori immunologici di attivazione (CD63/CD203c/ CRTH2) – su tali cellule, coinvolte nella flogosi allergica in tutte le sue manifestazioni, compreso lo shock anafilattico. 33 104 P3 103 CD203 PE-A 105 Test Basofili Cont Pos 10 2 34 Mentre nelle classiche allergie, come quelle ai pollini, il nuovo test si può affiancare a metodi già disponibili (prove cutanee e RAST: esame sul siero del paziente per individuare la presenza di IgE specifiche verso un allergene), nelle reazioni avverse a farmaci (penicilline, cefalosporine, FANS) o ad alimenti potrebbe rivelarsi 102 103 104 CRTH2 RTC-A 105 molto prezioso. Per la maggior parte dei farmaci la presenza di una allergia può essere dimostrata con certezza solo ricorrendo a un test “in vivo” di “provocazione orale” che prevede l’assunzione, sotto controllo medico, di una dose infinitesimale del medicinale in questione, con possibili rischi per il paziente. Questo test ha dimostrato di essere estremamente sensibile e altamente specifico per le diverse forme di allergia, inclusa l’ipersensibilità ai farmaci. Il paziente deve semplicemente sottoporsi a un prelievo: il sangue verrà poi messo a contatto con l’allergene “sospettato” di provocare un’allergia, che sarà rivelata dalla attivazione dei basofili. Sono disponibili diversi “profili diagnostici”, in funzione delle sostanze sospettate di una potenziale allergia (pollini, erbe, muffe, acari, farmaci, alimenti, veleno degli insetti, ecc.). L’Allergotest (Test di Attivazione dei Basofili) e l’Immunotest possono essere effettuati tutti i giorni previa prenotazione presso la Bios S.p.A. di Via D. Chelini 39 a Roma dalle ore 7.30 alle ore 18.00. Info CUP 06 809641 Lelio R. Zorzin Specialista reumatologo Silvana Francipane Medico chirurgo Fig. 1. Mano affetta da artrosi delle articolazioni interfalangee distali con evidenti noduli di Heberden. Và precisato innanzi tutto che quelle deformità “natiformi” di consistenza dura, a carico della superficie dorsale e laterale delle falangi ungueali delle dita delle mani, definite “noduli di Heberden”, sono l’espressione di una osteoartrosi dell’articolazione interfalangea distale. Si tratta di un epifenomeno clinico-morfologico della corrispondente degenerazione artrosica dell’articolazione, descritto per la prima volta da William Heberden senior nel 1803 (Fig. 1). I noduli sono caratterizzati da una familiarità ed ereditarietà, a carattere dominante femminile e recessivo maschile (Stecher). La loro patogenesi è tutt’ora discussa: si tratta di una forma esclusivamente genetica o la conseguenza dell’azione micro- traumatica a cui sono sottoposte queste articolazioni (Tab. 1)? Contrapposta alla FATTORi Di RisCHiO DELL’OsTEOARTROsi PRiMARiA LOCALizzATA Età Trasmissione familiare (HLA A1 e B8); mutazione del gene del procollagene di tipo ii Fattori meccanici: Malformazioni o malposizioni articolari instabilità articolare Attività professionali e sportive Traumi sesso Ereditarietà Obesità ed endocrinopatie (in articolazioni non sottoposte al carico) infiammazioni Tab. 1 iMPARARE DALLA CLiniCA OsTEOARTROsi. QUEi “FAsTiDiOsi” nODULi Di HEBERDEn 35 36 genesi idiopatica è quella microtraumatica, in rapporto ad una particolare attività lavorativa o sportiva (pallavolo, baseball). Interessante l’ipotesi di una azione inibente l’insorgenza di noduli idiopatici da parte di noduli post-traumatici e ancor più l’osservazione dell’assenza di noduli in mani che sono state coinvolte da una paralisi centrale o periferica, quale possibile conseguenza di turbe vasomotorie. Analogamente i noduli non si formano in casi di sinostosi articolare congenita (Fig. 2). L’età di insorgenza dei noduli idiopatici è generalmente quella postmenopausale. La nodulosi, inizialmente localizzata ad alcune articolazioni interfalangee distali (secondo e terzo dito), in modo simmetrico, si estende successivamente alle altre articolazioni interfalangee distali. La sublussazione delle falangi è tipica dei noduli post-traumatici, ma una perdita dell’assialità e una flessione ventrale dell’articolazione si possono osservare anche nelle forme idiopatiche. L’insorgenza delle nodosità può essere preceduta dalle cosiddette “cisti gelatinose”, definite in tal modo perché pungendole con ago da siringa si può estrarre una goccia di liquido vi- schioso, trasparente; le cisti preludono alla formazione delle nodosità (Fig. 3). Clinicamente questi noduli possono essere definiti “fastidiosi” sia perché sono più o meno dolorosi, sia perché, una volta stabilizzatisi, rappresentano un danno estetico scarsamente accettato dal “gentil sesso”. Il timore dominante nel sesso femminile è che questi noduli possano esitare in una “artrite deformante “, coinvolgente tutte le altre articolazioni delle mani! Purtroppo, i noduli di Heberden, espressione di una osteoartrosi interfalangea distale delle mani, si associano spesso ad una “rizoartrosi” (artrosi dell’articolazione trapezio-metacarpale) e/o alla artrosi delle articolazioni interfalangee prossimali (noduli di Bouchard). Nel 90% dei casi questa localizzazione si associa ad una cervicoartrosi dei metameri inferiori. Possono coesistere la gonartrosi e/o la coxartrosi nel quadro della cosiddetta “poliartrosi progressiva”. Sono segnalate inoltre associazioni con alterazioni ungueali,quali la leuconichia, o la “longitudinal nail ridge”, da alterazioni del microcircolo ungueale. L’osteoartrosi digitale può accompagnarsi ad una ipertensione arteriosa. Fig. 2. Osteoartrosi diffusa delle articolazioni interfalangee prossimali e distali, a eccezione del ii°dito bilateralmente in cui non si apprezza tale condizione, per sinostosi articolare, della interfalangea distale. Fig. 3. xerografia delle mani che mostra evidente artrosi a carico delle interfalangee prossimali e distali delle dita e dell’interfalangea del pollice bilateralmente; è evidente a livello dell’interfalangea distale del terzo dito di ds un’alterazione delle parti molli dovuta alla presenza di “cisti gelatinosa”. La diagnosi radiologica dei noduli idiopatici è caratterizzata da una riduzione asimmetrica dell’interlinea articolare, la presenza di osteofiti e di osteosclerosi sub condrale. Nella varietà post-traumatica la lesione è in genere isolata, l’osteofitosi è a sviluppo solo dorsale e mai ventrale e l’interlinea articolare è conservata. Quest’ultima varietà di osteoartrosi sarebbe in rapporto prevalentemente con una iniziale lesione tendinea, invece che con una iniziale alterazione della cartilagine. La diagnosi differenziale deve essere posta con l’artrite psoriasica e con l’osteoartrosi erosiva (M. di Crain). La terapia di questa localizzazione dell’osteoartrosi è limitata al controllo del dolore, mediante farmaci antinfiammatori non steroidei, per via sintomatica o topica, farmaci condroprotettori e terapia fisica. In casi particolari, ad evoluzione lenta e particolarmente dolorosa, si può ricorrere alla chirurgia di stabilizzazione dell’articolazione. Nella pratica reumatologica ha primaria importanza la clinica, che si avvale di un’accurata anamnesi. Il laboratorio conferma la diagnosi nelle affezioni infiammatorie e la radiologia in primis con l’eventuale ricorso all’ecografia e risonanza magnetica possono testimoniare lo stato di evolutività della malattia. Non bisogna dimenticare che le affezioni “reumatiche” possono essere talvolta l’epifenomeno di un impegno di altri apparati. La Bios S.p.A. in via D. Chelini 39 a Roma offre un attento e aggiornato Servizio di Reumatologia affidato al prof. Lelio R. Zorzin, già docente della materia presso l’Università “La Sapienza”. Per prenotazioni: Info CUP 06 809641 37 38 FROM BEnCH TO BEDsiDE i BEnEFiCi CLiniCi DELLA RiCERCA: sELEziOnE DALLA LETTERATURA sCiEnTiFiCA Nasce al Policlinico di Milano la “Banca del Sorriso” per la conservazione delle cellule staminali dentali. Presso la Clinica odontoiatrica dell’Ospedale Maggiore Policlinico di Milano è stata creata una banca pubblica no-profit per conservare le cellule staminali dentali, con una innovativa metodica di crioconservazione che consente un bancaggio sicuro e a basso costo. In questa prima fase iniziale si procederà alla raccolta, al bancaggio e allo studio delle staminali della polpa dentale per verificare possibili applicazioni future, come ad esempio l’impiego terapeutico per patologie pregresse del donatore o per applicazioni dentistiche di varia natura. È il progetto “Banca del sorriso”. Un gruppo di medici e ricercatori guidati dalla dottoressa Silvia Gioventù ha escogitato una tecnica per preservare le cellule staminali contenute nella polpa dentale, praticando alcuni fori nello smalto dentale con un laser, così che i vapori del li- quido crioconservante possano mantenere vitale il dente, e preservare la staminalità delle cellule in esso contenute. Il progetto “Banca del Sorriso” nasce dalla consapevolezza che le staminali derivate dalla polpa dentale hanno un’elevata capacità proliferativa e un’importante plasticità cellulare, caratteristiche rilevanti per possibili applicazioni terapeutiche a livello nervoso, osseo e cartilagineo. È il primo esempio in Italia di bancaggio di denti interi. Lo scopo è recuperare la polpa, e le cellule staminali in una fase successiva, solo nel momento di un’eventuale necessità terapeutica. Le cellule utilizzate sono quelle contenute nei materiali considerati “di scarto” nella quotidiana attività odontoiatrica, in particolare i denti decidui o “da latte” dei bambini. In futuro si prevede di utilizzare anche i denti del giudizio, non ancora formati completamente e ritenuti all’interno delle ossa mascellari. Il Vaticano sostiene l’utilizzo delle cellule staminali adulte http://adultstemcellconference.org/home Nei giorni 9-11 Novembre 2011 è in programma in Vaticano un Convegno internazionale dal titolo “Cellule staminali adulte: la scienza e il futuro dell’uomo e della cultura”. Ne ha dato annuncio Monsignor Tomasz Trafny, direttore del Dipartimento scienza e fede del Pontificio Consiglio della Cultura. L’iniziativa è tra le organizzazioni caritative del Pontificio Consiglio per la Cultura e di NeoStem una società biofarmaceutica americana, con lo scopo di accrescere la conoscenza di terapie basate su cellule staminali adulte. “Le ricerche sulle staminali adulte fanno parte di un nuovo e dinamico ramo della medicina, conosciuto come medicina rigenerativa, che secondo le previsioni giocherà nei prossimi decenni un ruolo importante” che la Chiesa segue con attenzione, “esplorando possibili tendenze di sviluppo della ricerca scientifica e ponendosi quesiti concernenti il loro impatto culturale a medio e lungo termine”. Lo afferma in un’intervista all’Osservatore Romano Padre Tomasz Trafny. La Conferenza, spiega, avrà carattere “divulgativo di alto profilo” e l’obiettivo di “presentare ai partecipanti lo stato dell’arte della ricerca sulle staminali adulte, le applicazioni cliniche, che in alcuni casi già portano notevoli benefici ai pazienti e illustrare e discutere alcuni problemi e sfide che nascono nell’ampio orizzonte di interazioni tra la ricerca scientifica e la cultura”. Alimenti e giocattoli. In luglio entrata in vigore la nuova direttiva europea http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2009:170:0001:0037:it:PDF In data 20 luglio 2011 è entrata in vigore la Direttiva europea 2009/48 sui giocattoli abbinati agli alimenti (uova, patatine, dolci, ecc.). I piccoli giocattoli abbinati ai prodotti alimentari possono essere pericolosi perché, specie nei bambini più piccoli, vengono scambiati per cibo, portati alla bocca e ingeriti. I giocattoli devono essere inclusi in una confezione tale da non essere inghiottiti e non devono contenere sostanze nocive o allergizzanti. Inoltre, è prevista l’indicazione della sorveglianza di un adulto quando si utilizzano giocattoli collegati agli alimenti. 39 40 Difendersi dagli incidenti domestici. Vademecum in 9 lingue dei Vigili del Fuoco http://www.vigilfuoco.it/aspx/download_file.asp x?id=8373 “Casa Sicura” è la guida realizzata dai Vigili del Fuoco per prevenire gli incidenti nell’ambiente casalingo ed è stata presentata a metà luglio alla Prefettura di Firenze. Questa guida è nata per evitare i pericoli insidiosi che si nascondono tra le mura domestiche. Stampata in nove lingue (oltre l’italiano, inglese, francese, tedesco, spagnolo, portoghese, russo, cinese e arabo), la brochure è stata adottata come strumento per divulgare tra gli stranieri la cultura della sicurezza e della prevenzione dal Consiglio Territoriale per l’Immigrazione, l’organismo che ha sede in Prefettura, per promuovere gli interventi finalizzati all’inserimento degli immigrati nel contesto locale. Distrazione, impianti difettosi, negligenze, sono i fattori di rischio più frequenti per l’incolumità delle persone nel luogo in cui abitualmente si sentono più sicure, la propria abitazione, mentre è qui che si verifica un gran numero di infortuni. L’opuscolo illustra diverse situazioni di pericolo e consiglia come intervenire in caso di incidenti. Gas, elettricità, incendi, acqua, cadute e sostanze tossiche sono gli argomenti affrontati con linguaggio e immagini semplici e chiari. a cura di M. G. Valorani HAnnO COLLABORATO in QUEsTO nUMERO Prof. Fulvio Bongiorno Professore associato di Analisi Matematica Università Roma Tre Dott. Gabriele Rumi Unità di Allergologia Complesso Integrato Columbus, Università del Sacro Cuore Roma Dott.ssa Silvana Francipane Medico chirurgo Maria Giuditta Valorani PhD Postdoctoral Research Assistant Blizard Institute of Cell and Molecular Science, “Queen Mary” University of London - GB Prof. Giuseppe Luzi Specialista in Immunologia Clinica e Allergologia Professore associato di Medicina Interna (f. r.) Docente presso “La Sapienza” Università di Roma Facoltà di Medicina e Psicologia Prof. Augusto Vellucci Specialista in Malattie Infettive e Clinica Medica già Primario di Malattie Infettive Prof. Carlo Rumi Direttore U.O. Diagnostica Citometrica Università del Sacro Cuore Roma Prof. Lelio R. Zorzin Prof. associato Reumatologia (f.r.) Specialista Reumatologo DIAGNOSTICA PER IMMAGINI AD ALTA TECNOLOGIA SERVIZIO PRIVATO DI RISONANZA MAGNETICA NUCLEARE - R.M.N. CUP 06 809641 TC MULTISTRATO UN PUNTO DI FORZA PER LA VOSTRA SALUTE