304 Downloads - Roberto Sassi

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IL MODELLO PSICOBILOGICO NELLE PRESTAZIONI DI RESISTENZA
Professor Samuele Marcora
Sintesi di Fabrizio Borri
La prestazione di resistenza è sempre stata studiata attraverso un approccio fisiologico. In questa
presentazione il Professor Marcora parla di un nuovo approccio (psicobiologico) della prestazione di
resistenza.
DEFINZIONE DI ENDURANCE IN LABORATORIO
TEST DI ENDURANCE: Tet a potenza costante ( calibrata sul peso o livello di fitness) e si chiede al soggetto di
continuare l’esercizio fino a quanto non ce la fa più (esaurimento). IL TEMPO DI ESAURIMENTO E’ LA
MISURA CHE VIENE UTILIZZATA PER MISURARE LA RESISTENZA (Endurance) (es: nel filmato :Ivan Basso
410 W PER 25 MIN(tempo di esaurimento).
Marcora sottolinea che spesso questo tipo di misurazione è stata contestata perché non rispecchia quanto
accade in competizione. In realtà questa affermazione (come sosteneva il Professor Aldo Sassi) poteva
essere vera solo per il vincitore di una corsa, ma non per tutti gli altri. Per tutti gli altri la gara era una gara
ad esaurimento, come del resto lo è il test appena citato!
Possiamo infatti notare in questo studio (de Koning et al 2011) che quello che detta il ritmo di gara è il
vincitore tutti gli altri inseguono e quindi eseguono uno sforzo ad esaurimento tentando di tenere il ritmo
gara del vincitore, infatti mollano “calano il ritmo già da metà gara”!
Linea spessa (VINCITORE)
Finale di 10 Km Olimpiadi ritmo del vincitore vs altri
Quindi anche una gara come i 10000m a parte il vincitore può essere considerata una gara ad esaurimento.
PERCHE’ UN NUOVO MODELLO??
IL modello fisiologico tradizionale si fonda sul concetto che un giovane soggetto motivato e abituato all’
esercizio fisico sia in grado di spingersi fino al suo limite fisiologico e quindi l’esaurimento e riconducibile
ad un esaurimento fisiologico (apporto di ossigeno ai muscoli, utilizzo muscolare, fatica muscolare ecc..)
Negli ultimi anni si è visto a livello diretto (ipossia severa) e indiretto (attraverso riflessi inibitori che
partono dai muscoli affaticati) che anche il CERVELLO viene influenzato dal trasporto di ossigeno. Il risultato
finale è che per motivi periferici o per motivi centrali la riduzione di massima potenza esprimibile dell’
atleta è ciò che limita direttamente la prestazione di endurance. Anche in questo modello si parla solo di
variabili fisiologiche e non psicologiche
OSSIGENO
MUSCOLO
CERVELLO
Fatica centrale
Fatica periferica
(Amann and Calbet, 2008)
ASSUNZIONE FONDAMENTALE DI QUESTO MODELLO E’ CHE: Poco importa se la fatica muscolare è dovuta
da fattori centrali o periferici, dal punto di vista funzionale quello che conta è che si riscontra una
progressiva riduzione della capacità del sistema neuromuscolare di produrre potenza, e quando nonostante
il massimo sforzo il sistema muscolare non è più in grado di produrre la potenza richiesta (come ad esempio
quella richiesta nel test di endurance) la persona si ferma.
Hepple 2002
Ma in letteratura non ci sono dati che mostrano la verità assoluta di questa assunzione, quindi il Professor
Marcora ha fatto uno studio per cercare veridicità di risposte a questa assunzione…
Massima potenza che riescono
ad esprimere in un massimo
sforzo di 5” a 250w
Il grafico mostra la potenza che un gruppo di soggetti allenati esprime durante un test ad esaurimento
(tempo ad esaurimento a 250 W). Dal grafico si nota come i soggetti mostrano un progressivo calo di
massima potenza durante il test e questo rispecchia quanto detto fino ad ora (fatica centrale e periferica).
Ma la cosa importante è che immediatamente dopo l’esaurimento i soggetti erano comunque in grado di
esprimere una potenza superiore a quella in cui si erano fermati pochi secondi prima
Quindi si deduce che l’assunzione di base è sbagliata e quindi tutto il modello fisiologico è sbagliato, la
fatica centrale e periferica assumono sicuramente un ruolo importante ma non nel modo in cui è stato
fino ad ora ipotizzato..
Inoltre ci sono moltissimi fenomeni che non sono spiegabili con il modello fisiologico tradizionale …
Uno di questi è l’EFFETTO DELLA COMPETIZIONE SULLA PERFORMANCE: Se competo contro me stesso o se
invece competo contro un avversario è decisamente diverso. Quando competo contro un avversario il
mio tempo ad esaurimento è maggiore di quando competo contro me stesso ( Influence of motivation on
physical work capacity and performance . Journal of Applied Physiology (Wilmore JH) 1968….
È ovvio che questo risultato non può trovare risposta nel modello fisiologico classico
L’idea è: riusciamo a sviluppare un nuovo modello che riesca a spiegare tutto quello che spiega il modello
fisiologico tradizionale integrando anche questi fenomeni competitivi e motivazionali che hanno un ruolo
determinante nella prestazione?
Per provare a dare una risposta non bisogna limitarsi alla fisiologia dell’esercizio tradizionale ma è molto
importante integrare nello studio dell’endurance sia la psicologia in particolare gli aspetti motivazionali e
soprattutto le conoscenze sulle neuroscienze cognitive.
PRINCIPI DI BASE DEL MODELLO PSICOBIOLOGICO
La prestazione di endurance non è il prodotto di una macchina biologica, ma è un comportamento
volontario motivato; quindi bisogna fare riferimento alla psicologia, possiamo spiegare un comportamento
volontario motivato ( prestazione di endurance) attraverso teorie e costrutti psicologici. Il livello successivo
che è quello biologico è quello di capire come il cervello genera questi costrutti biologici. In questo modo è
possibile capire come funzionano questi meccanismi in modo da agire sul cervello per incrementare la
performance
LIVELLO PSICOLOGICO
Fondamentalmente sono 2 le variabili psicologiche che determinano la prestazione in test ad esaurimento:
1) LA PERCEZIONE DELLO SFORZO
2) LA MOTIVAZIONE POTENZIALE
Se poi parliamo di prove a cronometro e le vere competizioni (avversari) il comportamento diventa più
complesso e quindi bisogna aggiungere costrutti psicologici al modello (esperienza, strategia, tipo di gara,
comportamento avversari ecc..)
Nel modello tradizionale tutti i costrutti sono di tipo fisiologico, nessuno è psicologico. In questo nuovo
modello è il contrario, tutti i costrutti sono di natura psicologica (la fisiologia conta ma ad un livello
inferiore).
PERCEZIONE DELLO SFORZO
Quanto è intenso un esercizio, si misura attraverso la scala di Borg. È importante distinguerlo da quello che
è la percezione di dolore, molti confondono il dolore con lo sforzo, sono due cose diverse che hanno anche
natura neurofisiologica diversa.
Da un punto di vista teorico a livello psicologico il modello è basato su una teoria di motivazione generale
,cioè basata su comportamenti motivati che non hanno nulla a che fare con lo sport; è una teoria che si
applica a qualsiasi comportamento motivato.
Questa teoria distingue LA MOTIVAZIONE POTENZIALE: cioè il massimo sforzo che una persona è disposta
a fare DALLO SFORZO CHE REALMENTE FA. Questa teoria spiega quando e perché una persona decide di
“mollare”… che è poi quello che succede durante un test di endurance.
La persona molla (decide di smettere) quando lo sforzo richiesto dal test di endurance (Task Difficulty)
coincide con la motivazione potenziale (che in un’ atleta molto motivato è lo sforzo massimo)
E questo è quello che realmente accade durante qualsiasi test incrementale o ad esaurimento.
Se uno misura la percezione dello sforzo (durante un test a potenza costante ad esaurimento), quello che si
nota è un progressivo aumento della percezione dello sforzo e quando lo sforzo raggiunge il massimo (scala
6-20) la persona “molla il compito”
Quindi l’esaurimento non è un’ incapacità neuromuscolare di produrre la potenza necessaria ma è una
decisione basata sulla percezione dello sforzo. Questo modello spiega tutta una serie di effetti
motivazionali sulla performance (competizione, aspetti economici).
Studio: test della sedia a muro ad esaurimento; vediamo quanto un soggetto resiste se motivato da
compensi economici. Si nota che all’aumentare del compenso monetario la prestazione e quindi il tempo
ad esaurimento migliora. Quindi anche in questo caso si nota come gli aspetti motivazionali sono
importanti nella prestazione di “endurance”
durata
compenso
Si nota però che l’aumento della motivazione non è indefinito quando una persona da veramente il
massimo sforzo possibile si raggiunge comunque un plateau, quindi aumentare la motivazione
ulteriormente non ti fa migliorare la prestazione. OLTRE UN CERTO LIVELLO DI MOTIVAZIONE E’
IMPOSSIBILE MIGLIORARE ULTERIORMENTE. QUINDI SE UNO è PIU MOTIVATO è PIU’ FORTE MA SOLO
FINO AD UN CERTO PUNTO
Quello che è importante è che il LIVELLO DI ABILITA’ determina lo sforzo richiesto dal soggetto. Un
soggetto con basse abilità avrà una percezione di sforzo maggiore rispetto ad un soggetto più abile a parità
di compito (difficoltà)
Il MODELLO PSICOBIOLOGICO spiega sia cambiamenti di performance dovuti a fattori fisiologici sia
cambiamenti psicologici
Esempio:
IPOSSIA: posso riscontrare fisiologicamente un calo di performance in una condizione ipossica attraverso
un test di endurance in laboratorio, in quanto attraverso le strumentazioni riscontro un calo di performance
rispetto al gruppo di controllo
Grossa riduzione di
performance in test di
endurance in
condizione ipossica
Questa considerazione è stata sempre spiegata con il modello fisiologico, ma è possibile spiegare questo
fenomeno fisiologico indirettamente attraverso il modello PSICOBIOLOGICO che riscontra il decadimento
della prestazione in ipossia attraverso un aumentata percezione dello sforzo durante il test in condizione
ipossica.
In condizioni di ipossia la percezione dello sforzo è molto più alta e il soggetto nonostante sia motivato
raggiunge prima il massimo sforzo e di conseguenza arriva prima ad esaurimento
Si può spiegare lo
stesso fenomeno
semplicemente
osservando
l’andamento di
misure psicologiche
come ad esempio
l’RPE
Questo modello riesce anche a spiegare cose che il modello tradizionale non riesce a dare risposte. Ad
esempio L’EFFETTO DELLA FATICA MENTALE SULLA PERFORMANCE.
STUDIO: sono stati affaticati mentalmente dei soggetti attraverso richieste cognitive importanti per 90
minuti continuativi e poi è stato misurato l’effetto dell’affaticamento mentale attraverso un test ad
esaurimento (tempo di esaurimento a 230W).
RISULTATI:
-
Nessuna variabile fisiologica è cambiata nel gruppo con affaticamento mentale con il gruppo di
controllo ( lattato, consumo di ossigeno, fc ,gittata cardiaca)
MA C’E’ UNA SIGNIFICATIVA RIDUZIONE DELLA PERFOMANCE DOVUTA ALL’ AFFATICAMENTO
MENTALE (calo che il modello tradizionale non riesce a spiegare)
I parametri fisiologici non sono cambiati ma, è cambiata la percezione dello sforzo, la persona affaticata
mentalmente ha una maggiore percezione dello sforzo e quindi raggiunge prima il massimo sforzo
percepito e di conseguenza si ferma prima nel test a tempo ad esaurimento.
Soggetti affaticati mentalmente
mollano prima
Soggetti affaticati
mentalmente
Quindi se il fattore limitante è la percezione dello sforzo e non la fatica muscolare, bisogna iniziare a
studiare i meccanismi fisiologici della percezione dello sforzo.
Sono 2 le teorie neurofisiologiche che vanno per la maggiore
Teoria 1: LA SENSAZIONE DELLO SFORZO PROVIENE DA STIMOLI SENSORIALI PROVENIENTI DAL
CORPO COME AD ESEMPIO DAI MUSCOLI CHE SONO ATTIVI DURANTE ESERCIZIO.
Teoria 2: SOSTIENE CHE QUELLO CHE NOI PERCEPIAMO COME SFORZO IN REALTA’ E’ IL
COMANDO MOTORIO PRODOTTO DAL CERVELLO PER ATTIVARE I MUSCOLI. NOI PERCEPIAMO
UNA COPPIA DI QUESTO COMANDO CHE VA AI MUSCOLI, VIENE MANDATA NELLE AREE
SOMATOSENSORIALI DOVE VIENE GENERATA LA PERCEZIONE DELLO SFORZO
I recettori muscolari, in modo particolare i recettori di tipo 3 e 4 sensibili a sostanze come l’acido lattico
mandano un segnale al cervello che genera la percezione dello sforzo, questa teoria e confermata dal fatto
che all’aumentare della concentrazione ematica di lattato aumenta la percezione dello sforzo durante uno
SSG.
In realtà se si va a verificare sperimentalmente l’ ipotesi …
Studio 1: se iniettiamo una soluzione salina o di metaboliti simili a quelli del catabolismo muscolare nel
muscolo, otteniamo un aumento della sensazione di dolore (nocicettori) mentre la percezione dello sforzo
rimane inalterata.
Studio 2: Un altro studio invece ha lo scopo di verificare la percezione dello sforzo dopo 20 minuti di
pedalata al 55% VO2max quando vengono bloccate le vie spinali che portano il segnale sensorio dal
muscolo al cervello attraverso un’anestesia epidurale (senza paralisi, quindi le vie motorie non vengono
compromesse). Se la teoria del feedback afferente fosse corretta ci aspetteremmo di ritrovare nel gruppo
sperimentale rispetto al controllo una ridotta percezione dello sforzo. In realtà la percezione dello sforzo
nel gruppo sperimentale ( epidurale—segnale sensorio bloccato)AUMENTA. Questo accade perché con l’
epidurale (nonostante le vie motorie rimangono inalterate) si verifica un decremento di forza. Quando si
perde forza per produrre la stessa potenza bisogna aumentare il comando motorio centrale e di
conseguenza la percezione dello sforzo aumenta. Questo studio dimostra che la teoria del feedback
afferente non è corretta.
Nel gruppo
sperimentale con
anestesia epidurale la
percezione dello
sforzo (RPE) aumenta
Marcora ha studiato il comando motorio centrale per metterlo in relazione con la percezione dello sforzo.
Utilizzando l’elettroencefalografia sono stati estratti dal segnale le attività elettriche correlate all’attività
motoria (Motor-Related Cortical Potentials)
Utilizzando diversi pesi e affaticamento muscolare
si sono realizzati 4 livelli di sforzo differente da leggero a molto intenso
E poi è stata misurata l’attività cerebrale: lo “zero” è l’inizio del movimento. Si nota che l’attività cerebrale
prima del movimento non c’è nessun effetto delle manipolazioni sperimentali proposte; ma durante il
movimento (dopo lo zero) sia per peso elevato e sia per l’affaticamento muscolare si notano dei
cambiamenti all’attivazione cerebrale.
Possiamo ad esempio notare che nella condizione di affaticamento muscolare (linea rossa) l’ampiezza
dell’attività cerebrale motoria è molto più alta rispetto a quando si solleva lo stesso peso con muscoli non
affaticati.
Questo cambiamento di comando motorio centrale si correla molto bene con la percezione dello sforzo
Uno stesso studio è stato proposto sugli arti inferiori riducendo la percezione dello sforzo utilizzando la
caffeina. Quando uno assume alte dosi di caffeina la percezione dello sforzo diminuisce.
Ed inoltre, quando un soggetto assume alte dosi di caffeina la quantità di attività motoria centrale per
ottenere esattamente lo stesso risultato neuromuscolare (la stessa forza) lo riesce a fare con un attività
cerebrale molto più bassa.
E quindi si deduce che questa attività motoria cerebrale sottostà alla percezione dello sforzo
(componente centrale)
APPLICAZIONI PRATICHE
Sulla base del fatto che la fatica mentale ha un effetto negativo sulla prestazione fisica il primo messaggio
applicativo e pratico è quello di minimizzare negli atleti quello che è l’affaticamento mentale. Ad esempio
andrebbero evitate soprattutto nei giovani attività impegnative dal punto di vista cerebrale il giorno prima
della gara e il giorno stesso della gara, anche perché queste attività mentalmente impegnative disturbano il
sonno.
Un altro aspetto importante è quello emozionale (controllare le proprie emozioni è molto affaticante da
punto di vista mentale).studio: se uno controlla una reazione ad uno stimo disgustoso (cerca di controllare
le proprie emozioni in questo caso di disgusto) c’ è una riduzione significativa di prestazione durante una
prova a cronometro in bici, rispetto ad una situazione in cui il soggetto veniva istruito a non controllare le
proprie emozioni davanti ad uno stimo di disgusto.
Non controllo emozioni
Controllo emozioni
Manipolazioni psicologiche sul subconscio, a tal proposito vengono mostrati alcuni effetti visivi subliminali.
Studio:Durante un test a esaurimento è stato chiesto ad un soggetto (ignaro dello scopo dello studio) di
osservare un monitor per effettuare un Task cognitivo. Quando il subconscio visualizzava faccine felici la
prestazione migliorava, quando il soggetto visualizzava nel sub conscio faccine triste la prestazione del test
peggiorava.
Lo stesso effetto è stato ottenuto quando nel subconscio venivano mostrate parole legate all’azione
(action, go, Energy ecc..) o parole legate alla non azione (stop, tired, sleep ecc..)
Per approfondire Scienza&Sport n°4 pag 20 “ Gli effetti della fatica mentale sulla prestazione fisica”
Fabrizio Borri
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