L’ECO DI BERGAMO
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VENERDÌ 1 APRILE 2016
Iniziativa senza precedenti
Marco Rubio fuori dalla corsa
ma si vuol tenere i delegati
Marco Rubio è fuori in qualità di
candidato dalla corsa per la Casa
Bianca, vi rientra però a gamba
tesa con una mossa senza precedenti: vuole tenersi i delegati
conquistati nelle primarie repubblicane prima del suo ritiro dopo
la sconfitta in Florida. Ha chiesto
infatti alle segreterie di partito
di 21 Stati e territori di non «rilasciare» nessuno dei 172 delegati
conquistati durante la sua campagna. Di solito quando un candidato per la nomination si ritira i
delegati da questo conquistati
durante la corsa sono liberi di
votare per chiunque alla convention del partito. Ma in una lettera
al presidente del partito repubblicano dell’Alaska Rubio ha
chiesto che i cinque delegati da
lui conquistati in quello Stato
«rimangano impegnati a votare
per me» alla convention repub-
blicana a Cleveland il prossimo
luglio. Lo stesso ha fatto per 21
degli Stati dove ha accumulato
delegati, stando ad una fonte
vicina al senatore della Florida
citata da Nbc news, con una
mossa inusuale e pressoché
senza precedenti.
L'INTERVISTA MASSIMO TEODORI. Docente di Storia e istituzioni degli Usa
«Obama ha lasciato il segno anche sul fronte dei rapporti internazionali»
smo che preoccupa non solo gli
occidentali ma anche la Russia».
«HILLARY
NEL SOLCO
DI BARACK
IL GRANDE»
Veniamo alla campagna elettorale
per le Presidenziali: vede bene la
Clinton?
«Hillary Clinton mi pare la
persona che possa continuare
la politica di Obama, che io
ritengo positiva. Sanders non
ha le carte per vincere la partita».
Eccoci al candidato repubblicano
Trump: non le pare sia l’esito della
crisi dei repubblicani?
La copertina del libro di Teodori
FRANCO CATTANEO
bama, che sta per
uscire di scena, è stato
un buon presidente e
Hillary Clinton, se ce
la farà, replicherà la stessa linea politica dell’attuale inquilino della Casa Bianca. Massimo Teodori, docente di Storia
e istituzioni degli Stati Uniti,
da sempre indaga questi temi,
ora ricomposti in un libro fresco di stampa, «Obama il grande», edito da Marsilio.
O
Nel suo saggio sul presidente americano colpisce il termine «grande».
Donald Trump, il candidato
indipendente dei Repubblicani
che ha smosso le acque di
questa corsa alla Casa Bianca
ANSA
l’endorsement di Barack Obama
ed è a un passo dalla vetta. Con
vista sulla storia e un limite fisiologico: la sua sarebbe una Casa
Bianca senza first lady, problema che finora si è posto solo con
l’unico presidente non sposato
(James Buchanan, 1857-1861) e
fu risolto affidando il ruolo alla
nipote. Ma questo, in fondo, è un
problema che Hillary sognava
sin dal 1998, quando perdonò
pubblicamente al marito-presidente Bill, con un gelido sorriso,
il Sexgate con la stagista Monica
Lewinsky. Forse già pregustando un futuro a ruoli invertiti,
magari con tanto di telefonata a
casa, di rientro da un summit:
«Darling, sistema la sala. Stasera
vengono i Putin a cena...».
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«”Grande”, perché nella storia
americana gli storici classificano con questo appellativo quei
presidenti particolarmente
importanti che hanno fatto cose di non ordinaria amministrazione. In questo senso penso che Obama, sia in politica
interna sia in quella estera,
abbia effettuato una svolta che
sarà ritenuta molto significativa anche in futuro».
Partiamo dalla gestione della crisi
economica, che ha consentito all’America di riprendersi, e alla riforma della sanità.
«Quanto alla crisi, bisogna essere sinceri nel dire che il governo negli Usa incide poco sul
ciclo economico. In ogni caso
i provvedimenti presi hanno
avuto un effetto positivo. Quel
che è importante, e abbastanza
straordinario nella storia dal
Dopoguerra a oggi, è l’estensione delle cure sanitarie a circa
venti milioni di americani meno abbienti».
Semplificando, Obama è più vicino
a Clinton o a Kennedy?
«È vicino a se stesso. Se proprio
devo stare in questa logica, direi che in politica interna è più
vicino al democratico Lyndon
Johnson, il successore di Kennedy, il presidente del programma della Grande società,
del welfare, dell’assistenza
pubblica agli anziani, dei diritti
civili. La politica estera, invece, è un altro discorso».
E infatti: accordo sul nucleare con
l’Iran e apertura a Cuba.
«Sì, sono le iniziative più importanti, ma direi che è significativa la sua netta dichiarazione: l’America non farà più il
gendarme del mondo e non
assicurerà più la pax americana con le armi, ma con il dialogo e le trattative. Un fatto assolutamente innovativo nella
storia militarmente egemone
degli Stati Uniti dal Dopoguerra a oggi».
È stato però sottolineato un relativo disimpegno di Obama dal Me-
dio Oriente.
«Non parlerei di disimpegno,
piuttosto di scelta di non usare
le armi sul terreno per affrontare i conflitti. In questo è stato
esplicito quando ha detto:
“Non possiamo ripetere le
esperienze del Vietnam e dell’Iraq, dove apparentemente
vinciamo la parte militare, ma
poi i nostri soldati sono assediati dalla guerriglia”. Obama
ha aggiunto che l’America può
dare il sostegno dell’Intelligence, l’addestramento delle
truppe locali e gli interventi
degli aerei, ma tocca agli islamici combattere per vincere il
terrorismo».
Obama è comunque il leader che
guarda meno all’Europa e più al
Pacifico e nel frattempo le relazioni con Mosca si sono raffreddate.
«L’Europa non è più, come nel
mondo bipolare, la frontiera
verso l’avversario storico. Il
baricentro, da tutti i punti di
vista, s’è spostato verso la Cina
e quindi si assiste a un progressivo disimpegno Usa verso
l’Europa: Washington non può
più fornire un ombrello militare come ha fatto per mezzo
secolo attraverso la Nato.
Quanto a Putin, c’è il problema
di non riprodurre il braccio di
ferro della Guerra fredda, ma
di stabilire una pace fredda per
affrontare insieme il terrori-
«Il Partito repubblicano classico, moderato e conservatore
che abbiamo conosciuto da Eisenhower a Bush padre passando anche per Nixon, non
esiste più. L’elettorato che segue Trump è il ceto medio e
bianco, addirittura arrabbiato
con quell’establishment che
storicamente è stato legato ai
repubblicani: dalla costa
orientale a Washington, per
finire al mondo degli affari».
Per il populismo è un ritorno a
casa: è nato qui, oltre che nella
Russia zarista, e questa componente è da sempre presente nella
politica americana.
«Detto che queste Presidenziali si annunciano tra le più bizzarre, c’è un filo che unisce il
populismo che fin dalla metà
‘800 s’è incrociato con il nativismo, ossia con l’ostilità verso
gli immigrati che allora erano
gli italiani, gli ebrei e gli irlandesi e che oggi sono gli ispanici
e gli immigrati non bianchi. Ma
direi che c’è un altro filone,
l’anti-intellettualismo della
tradizione politica americana,
ossia l’atteggiamento che non
segue i grandi concetti ma i
sentimenti e la pancia profonda dell’America. Trump è giudicato paradossale e folcloristico ed è anomalo nel suo carattere, in quel che dice e anche
nella sua biografia. Tuttavia è
un personaggio che ha anche
precedenti nella storia degli
Stati Uniti».
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Il presidente: liberare il mondo dal nucleare
Ma Donald: «Usare l’arma? Non è escluso»
Donald Trump nel
mirino del fisco. Secondo
quanto riferisce la Cnn sotto
controllo dell’Internal Revenue Service (Irs) sono finiti i
redditi del tycoon a partire dal
2009.
In una lettera inviata a
Trump dai suoi legali e resa nota dallo stesso magnate del
mattone si specifica che al momento non si potranno rendere pubbliche le sue dichiarazioni dei redditi come invece
aveva promesso tempo dopo le
accuse dell’ex candidato repubblicano alla presidenza
Mitt Romney, il quale aveva
detto che le tasse di Trump potrebbero rivelarsi per lui una
bomba.
Hillary Clinton e Donald
Trump, intanto, sono avanti a
New York, l’importante Stato
che voterà il prossimo 19 aprile. Secondo un sondaggio di
Quinnipiac University, Hillary
è avanti con il 54% delle preferenze, 12 punti in più rispetto
al 42% del rivale Bernie San-
ders. Sul fronte repubblicano
Trump ha il 56% delle preferenze, contro il 20% di Ted
Cruz e il 19% di John Kasich.
Trump comunque non
esclude l’uso del nucleare in caso di minaccia Isis contro gli
Stati Uniti in paesi come Siria e
Iraq. Lo ha detto lo stesso aspirante candidato repubblicano
alla presidenza in un’intervista
a Msnbc e proprio alla vigilia
del vertice sulla sicurezza nucleare per cui il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha
convocato a Washington oltre
50 capi di Stato e di governo.
«Qualcuno dell’Isis ci colpisce
e non rispondi con un’arma nucleare?», ha detto Trump, aggiungendo che non esclude
l’ipotesi anche per l’Europa.
«No, non la userei – ha risposto
–Ma non lascio nulla fuori.
Non escludo nulla».
Lo stesso Obama ieri è intervenuto sull’argomento per dire
che «bisogna fare di più per
rendere il mondo libero dagli
armamenti».
Barack Obama (a sinistra) con il premier giapponese Abe ANSA