Scuole del Movimento politico per l'unità Modulo 1: Introduzione generale Lezione 2 - Definizione di alcuni concetti fondamentali: DEMOCRAZIA, PARTECIPAZIONE Daniela Ropelato «La parola che adoperiamo per definire il nostro sistema politico è democrazia per il fatto che, nell'amministrazione, esso si qualifica non rispetto ai pochi ma rispetto alla maggioranza.» Tucidide, Discorso di Pericle «Non è mai esistita una vera democrazia, né esisterà mai [...] se esistesse un popolo di dei, si governerebbe democraticamente. Un governo così perfetto non si conviene agli uomini». J.J. Rousseau «No one pretends that democracy is perfect or all-wise. Indeed, it has been said that democracy is the worst form of government except all those other forms that have been tried from time to time». W. Churchill Introduzione Si parla indistintamente di democrazia a proposito dell'Atene di Pericle e dei Soviet di Lenin; c'è la democrazia liberale e quella socialista; e c'è pure la democrazia cristiana. E poi si parla di democrazia rappresentativa, partecipativa, deliberativa... Lo sforzo di precisare gli aspetti costitutivi di un assetto democratico appare oggi un’operazione più che mai necessaria, dato che il termine democrazia “ha subito una evaporazione concettuale diventando l’etichetta più indefinita del suo genere”1. E’ possibile dare una definizione minima, ma precisa, di questo termine? Vari studiosi di scienze politiche ci hanno provato. Norberto Bobbio, uno dei protagonisti della cultura del Novecento, storico, filosofo e politologo che tanto ha scritto sulla democrazia e sul suo funzionamento, riteneva che una definizione minima di democrazia dovesse essere puramente e semplicemente “procedurale”, si dovesse cioè limitarsi a definire la democrazia come un metodo per prendere decisioni collettive: “Si chiama gruppo democratico quel gruppo in cui valgono almeno queste due regole per prendere decisioni collettive: 1) tutti partecipano alla decisione direttamente o indirettamente; 2) la decisione viene presa dopo una libera discussione a maggioranza. Queste sono le due regole in base alle quali a me pare che si possa parlare di democrazia nel senso minimo e ci si possa mettere facilmente d'accordo per dire dove c'è democrazia e dove democrazia non c'è.“2 1 2 G. Sartori (1969), Democrazia e definizioni, Il Mulino, Bologna, p. 321. Cfr. Intervista a Norberto Bobbio, Che cos'è la democrazia?, Torino, Fondazione Einaudi, 28 febbraio 1985. 1 Daniela Ropelato – Democrazia, partecipazione Altro importante approccio proceduralista è quello di Joseph Schumpeter, che nel 1942 afferma che “democrazia significa soltanto che il popolo ha l’opportunità di accettare o rifiutare gli uomini che dovranno governarlo”3. Ma accanto a questa interpretazione che tanto ha contrassegnato lo sviluppo della democrazia moderna, va considerata con attenzione anche l’opinione di altri studiosi che, più di recente, hanno affermato che una definizione esclusivamente procedurale della democrazia non è sufficiente a spiegarne il concetto. Non si tratta di posizioni in ogni caso alternative, quanto piuttosto di orientamenti più articolati che, pur riconoscendo i limiti propri della scienza politica in questa analisi, sottolineano la necessità di una definizione multidimensionale, di elementi più complessi per descriverne la struttura attuale e per comprenderne difficoltà e condizioni di sviluppo. Per Robert Dahl “sono democrazie tutti i regimi contraddistinti dalla garanzia reale di partecipazione politica più ampia della popolazione adulta maschile e femminile e dalla possibilità di dissenso e opposizione”4. Giovanni Sartori a sua volta descrive la democrazia come “un sistema etico-politico nel quale l’influenza della maggioranza è affidata al potere di minoranze concorrenti” che l’assicurano attraverso il meccanismo elettorale5. Formulazioni che prendono atto della connessione tra elementi empirici, misurabili nella realtà, ed elementi normativi. La distinzione tra dimensione empirica e dimensione normativa appare, quindi, più che mai utile per evitare di ridurre in termini troppo esigui il contenuto dell’idea democratica che esprime un insieme di ideali ampiamente riconosciuti6, un orizzonte normativo che rinvia ad una costellazione di significati che trascendono le rigide coordinate istituzionali e identificano anche uno stile d’azione, un ethos personale del cittadino e di chi governa, addirittura una visione del mondo. Il fatto che esista uno spazio che “eccede” la semplice definizione procedurale di democrazia emerge anche da altri elementi, ad esempio dal fallimento di alcune note concezioni che sostengono l’esportabilità del regime democratico a partire dai suoi contenuti essenzialmente procedurali. Nel caso dell’Iraq, com’è noto, il contesto geopolitico ha posto condizioni di difficoltà estrema al trasferimento delle istituzioni democratiche. Un pronunciato proceduralismo è stato smentito anche dai risultati di complicate iniziative di ingegneria costituzionale che in alcuni paesi in via di sviluppo hanno prodotto minuziosi elenchi formali di diritti e un sistema abnorme di pesi e contrappesi istituzionali, mentre permangono disuguaglianze sociali ed economiche estreme che incrinano l’affermazione dell’idea democratica sul piano sostanziale. Inoltre, è necessario notare che, nel momento storico di massima affermazione della forma politica democratica nel mondo, quando centinaia di Stati si definiscono costituzionalmente democratici, in realtà proprio la democrazia sta perdendo credibilità e significato7. Da tempo si è giunti a parlare di una vera e propria crisi della democrazia, con il declino della fiducia dei cittadini verso le 3 4 5 6 7 J.A. Schumpeter (1942), Capitalism, Socialism and Democracy; trad. it. 1955, Capitalismo, socialismo e democrazia, Ed. Comunità, Milano, p. 271. R. Dahl (1970), Polyarchy: Participation and Opposition, New Haven, Conn., Yale University Press; trad. it. 1980 Poliarchia. Partecipazione e opposizione, Milano, Angeli. G. Sartori (1993), Democrazia: cosa è, Rizzoli, Milano, p. 108. G. Sartori, Democrazia e definizioni, op. cit. Sulle promesse non mantenute della democrazia cfr. N. Bobbio, Il futuro della democrazia, Einaudi, Torino 19912, pp. 7-22. Alcuni titoli apparsi nell’ultimo decennio sono eloquenti: R. Dahrendorf, Dopo la democrazia, a cura di A. Polito, Laterza, RomaBari 2001; C. Crouch, Postdemocrazia, a cura di C. Partenò, Laterza, Roma-Bari, 2003; D. Cardone, Oltre la democrazia, Carocci, Roma 2004. 2 Daniela Ropelato – Democrazia, partecipazione istituzioni politiche, con la crescente alienazione dai partiti, con la diffusa percezione che i decisori pubblici e in genere i politici siano corrotti, interessati al proprio tornaconto, lontani dall’idea di rispondere del proprio operato politico. Anthony Giddens ha parlato di recente di una sorta di paradosso, consistente “nell’attuale diffondersi [della democrazia] nel mondo e contemporaneamente nell’emergere, all’interno delle democrazie mature (che il resto del mondo dovrebbe imitare), di una delusione crescente nei confronti dei processi democratici”8. A conferma che importanti aspetti extraprocedurali sfidano le moderne democrazie e chiedono maggior attenzione alla sfera dei principi e della cultura politica. Democrazia degli antichi e dei moderni Il dibattito su questi temi non può prescindere dalle prime forme di democrazia che troviamo ad Atene nel V secolo a.C. (ma anche a Basilea nel XVIII secolo d.C.). Andiamo quindi all’origine della parola: è noto che abbiamo acquisito il termine demokratìa (potere del popolo) dalla Grecia classica del V secolo a.C. che ne ha fondato la teoria e la pratica, ma forse non è altrettanto noto che il termine fosse utilizzato allora in un'accezione per lo più negativa. La Grecia inventò la democrazia in Occidente, ma il contesto era tale per cui proprio la democrazia era criticata come una cattiva forma di governo. Kratos in greco antico indica il potere nel senso più brutale, una forza fisica che si detiene o si esercita pesantemente su qualcosa; quanto a demos, il termine era spesso utilizzato dai Greci di estrazione e ideologia aristocratica in senso polemico e “di parte”. Non è un caso che Aristotele preferisse il vocabolo politeia a demokratía, per indicare sia la costituzione della polis che la condizione soggettiva di cittadino. E chi erano i cittadini? Nell’Atene di Pericle, il titolo di polítai era assegnato agli individui maschi, adulti (in età militare), liberi di nascita, figli di genitori entrambi ateniesi: un popolo selezionato. La cittadinanza era, di fatto, nella democratica Atene un privilegio concesso sulla base di criteri rigorosi. Inoltre, è necessario ricordare come i contenuti effettivi dell’antica democrazia greca fossero essenzialmente la isonomia e la isegoria, cioè l’uguaglianza nei diritti politici e l’uguale possibilità di prendere la parola nell’assemblea; mentre non era neppure lontanamente implicata nel concetto di democrazia l’idea di una uguaglianza sociale o di una uguale dignità degli individui. Tuttavia, nell’Atene di Pericle tutte le più importanti decisioni politiche erano consegnate ai cittadini nell’assemblea, in cui ciascuno aveva il diritto di prendere la parola e di votare, o nei tribunali e nelle commissioni legislative composte da cittadini estratti a sorte per un anno. Gli atti di governo erano accompagnati da un grado di pubblicità mai prima raggiunto; ogni cosa doveva essere resa pubblica o per iscritto o oralmente e le assemblee erano specificamente il luogo di confronto per rendere note le questioni pubbliche al maggior numero di cittadini. Altri aspetti completavano il sistema: la nomina dei magistrati e dei legislatori per sorteggio; la breve durata dell’incarico (normalmente un anno) associata al divieto di reiterazione; il compenso assegnato che permetteva 8 A. Giddens (1999), Runaway World. How Globalization Is Reshaping our Lives, London, Profile Books; trad. it. 2000, Il mondo che cambia. Come la globalizzazione ridisegna la nostra vita, Bologna, Il Mulino, p.89. 3 Daniela Ropelato – Democrazia, partecipazione l’effettivo esercizio dei diritti politici; la separazione dell’attività di decisione da quella di iniziativa, gestita da un consiglio che preparava il lavoro assembleare9. Democrazia significa oggi qualcosa di molto diverso. Nel corso dei secoli le situazioni esterne sono cambiate in modo estremamente rilevante: la crescita demografica che ha accompagnato lo sviluppo dell’Occidente ha fatto saltare completamente le proporzioni numeriche su cui si misurava la democrazia ateniese. Gli elementi che allontanano le democrazie odierne da quella greca sono numerosi, a partire dal sistema parlamentare dei moderni che ha sostituito quello assembleare degli antichi. L'idea di democrazia è stata sottoposta ad uno stiramento dei suoi contenuti tale per cui si potrebbe pensare di trovarsi di fronte ad una diversa costruzione di relazioni e istituzioni politiche. In particolare, a causa delle dimensioni strutturali e culturali delle società moderne, modalità diffuse di partecipazione diretta alla formazione delle decisioni politiche sono molto più complesse. Resta il fatto che il disegno democratico di Clistene, anche oggi, a distanza di più di venti secoli, non ha perso di interesse. le istanze democratiche hanno continuato a diffondersi nel mondo e a vincere la competizione contro forme politiche alternative, rivelandosi uno strumento migliore di altri per raggiungere obiettivi quali la giustizia sociale, la stabilità politica, la crescita economica, la pace. Al punto che l’estensione dei processi di democratizzazione è stato definito il fenomeno di maggior rilievo che il ventesimo secolo ha conosciuto. Attualmente possiamo parlare di 121 “democrazie elettorali”, che soddisfano cioè i principali requisiti per essere definite democratiche. La tabella seguente mette in relazione l’incremento della popolazione mondiale e la crescita numerica dei governi democratici. Tab. La democratizzazione del sistema internazionale (dati Freedom House)10 1900 1950 2000 2007 DEMOCRAZIE STATI SOVRANI (e colonie) Elettorali 55 (e 75) 80 (e 74) 192 193 0 22 (31%) 120 (62,5%) 121 (62%) 11 Liberali POPOLAZIONE DEL MONDO (miliardi) 85 (38%) 90 (46%) 1.668 2.396,3 5.909,6 6.604,9 12 Nel 1900 a predominare sono le monarchie e i regimi autoritari; nessuno Stato soddisfa le condizioni necessarie per essere definito una democrazia elettorale. Gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e pochi altri Paesi, che pure prevedono lo svolgimento di elezioni multipartitiche e 9 Per una ricostruzione dell’idea di democrazia e del suo significato nell’antichità cfr. M.H. Hansen, La democrazia ateniese nel IV secolo a.C., trad. it. 2003, A. Maffi (a cura di), LED, Milano. 10 Freedom House è un’organizzazione non governativa, operativa presso sedi diverse nel mondo, che pubblica studi e ricerche sull’espansione di diritti politici e libertà civili nel mondo; cfr. http://www.freedomhouse.org. 11 Secondo Freedom House, perché uno Stato possa essere qualificato una democrazia elettorale, deve possedere: a) sistema politico multipartitico e competitivo; b) suffragio universale di tutti i cittadini adulti; c) elezioni indette regolarmente con voto segreto, ragionevolmente sicuro e non condizionato da frodi; d) accesso libero dei partiti politici all’elettorato attraverso i media e campagne politiche pubbliche. 12 La valutazione a cui Freedom House sottopone una democrazia liberale è più severa: devono essere rispettati infatti anche i fondamentali diritti dell’uomo e riconosciuta la supremazia della legge espressa nell’ordinamento (rule of law). 4 Daniela Ropelato – Democrazia, partecipazione competitive, non riconoscono ancora il diritto di voto alle donne e, nel caso degli Stati Uniti, alla popolazione afro-americana: di conseguenza, vengono definiti come Paesi a procedure democratiche limitate (complessivamente sono 25). Nel 1950, la sconfitta del totalitarismo nazista e la decolonizzazione producono una crescita del numero dei Paesi democratici. A metà del secolo, le democrazie elettorali sono 22 e rappresentano il 31 % della popolazione mondiale, mentre perdurano 21 Stati a regime democratico limitato. Avvicinandoci alla fine del secolo, il processo subisce un’accelerazione e le democrazie elettorali e liberali divengono nettamente predominanti, in seguito alla “terza ondata” della democratizzazione che tocca gran parte del mondo post-comunista, oltre che l’America del Sud e regioni dell’Asia e dell’Africa. Nel 2000 le democrazie elettorali sono 120 e rappresentano il 62,5 % della popolazione globale. Quando diciamo democrazia, dunque, non parliamo di un sistema di governo equivalente ad altri che la storia ha conosciuto e conosce; non è un’opzione metodologica che può essere adottata o rifiutata con indifferenza. Alcune condizioni di funzionamento della democrazia, quali il principio di maggioranza, il suffragio universale, la delega politica attribuita ai rappresentanti, la possibilità di cambiare il governo pacificamente tramite elezioni anziché con azioni violente (l’essenza della democrazia, secondo Karl Popper), sono conquiste irrinunciabili; la nostra cultura politica ci porta a considerarli in qualche modo beni intrinseci alla democrazia. Ho fatto riferimento alla nostra cultura politica, quella occidentale, ma è utile ricordare che, di fronte a chi tentava di circoscrivere la diffusione della democrazia a tale area geopolitica, Amartya Sen13, economista indiano e premio nobel per l’Economia 1998, anche di recente ha dimostrato efficacemente che l’idea di democrazia appartiene alla storia di molte società. “La libertà non è un’invenzione dell’occidente” e la lotta per la democrazia in tutto il mondo “rappresenta la più grande sfida dei nostri tempi". Dare qualità alla democrazia Del resto, nessuna democrazia è mai stata uguale a qualsiasi altra, anzi, nessuna democrazia è mai stata uguale nemmeno a se stessa nel tempo. “Ingredienti” indispensabili non sono il governo della maggioranza o l'esistenza di elezioni libere; sono piuttosto l’esistenza di condizioni di pluralismo e la possibilità di un dibattito pubblico e aperto: e queste sono istanze che fanno parte di uno spazio culturale esteso che attraversa i paralleli del pianeta. In effetti – e qui torniamo alla nostra ricerca di una definizione minima di democrazia - una definizione largamente condivisa prevede quattro condizioni precise: il suffragio universale della popolazione adulta, maschile e femminile; elezioni libere, competitive, ricorrenti, corrette; un sistema plurale di partiti politici; diverse e alternative fonti di informazione. Ciascuno di questi quattro fattori ancora una volta esprime quella esigenza di pluralità, di interazione pubblica, di partecipazione, che possiamo riscontrare ampiamente nei percorsi di democratizzazione delle grandi civiltà umane, e non solo di quelle occidentali. A conferma che “una” democrazia non esiste, né esiste un idealtipo, una democrazia metastorica che attende di essere realizzato. Ma se una “vera” democrazia non esiste, cosa diversa è trattare di “buona” democrazia. Questo in effetti è il nuovo orizzonte della ricerca: passare dall’analisi storica (le vicende e i fattori che determinano il passaggio da un regime non democratico ad uno democratico) allo studio delle caratteristiche 13 A. Sen (2004), La democrazia degli altri, Milano, Mondadori. 5 Daniela Ropelato – Democrazia, partecipazione qualitative che definiscono una buona democrazia una volta consolidata: una democrazia di qualità14. Un’indagine sull’uso del concetto di qualità in economia, in particolare nel settore della produzione e del marketing, suggerisce tre differenti significativi, confrontando la performance di beni e servizi con tre diverse nozioni di qualità: la rispondenza del prodotto a caratteristiche determinate di forma e funzionamento, il riscontro di tecniche di costruzione controllate nei tempi e nei metodi e la soddisfazione del consumatore. Posto che i medesimi parametri contenuto, procedura e risultato – per approssimazione possono essere applicati anche ai fatti politici, se ne ricava che la qualità finale del prodotto politico può essere misurata sotto tre diversi profili: 1. la qualità del contenuto dell’azione politica, quando i cittadini e le aggregazioni sociali che essi formano, godono di strutture di libertà e uguaglianza politica in misura superiore al minimo, espresse nell’ordinamento e tradotte in contenuti politici sostanziali; 2. la qualità della procedura dell’azione politica, quando i cittadini sono posti in grado di controllare e valutare se e come i valori affermati dall’ordinamento vengono effettivamente realizzati, attraverso forme di partecipazione e competizione politica che chiamino i rappresentanti a rispondere delle decisioni prese; 3. la qualità del risultato dell’azione politica, quando l’assetto si dimostra ampiamente legittimato e stabile, perché i cittadini sono soddisfatti dei risultati raggiunti attraverso le scelte dei decisori, in relazione alle domande che hanno espresso e sulla base dei costi che hanno dovuto sostenere. A partire da questo quadro, una democrazia di qualità può essere definita come un assetto legittimato dal consenso popolare, in cui le scelte politiche soddisfano le aspettative dei cittadini (qualità sotto il profilo del risultato), garantiscono ampie espressioni di libertà e di uguaglianza politica ai singoli e alle diverse articolazioni sociali (qualità sotto il profilo del contenuto) e i rappresentanti eletti sono tenuti a rendere conto delle proprie azioni e dei risultati delle proprie scelte di fronte ai cittadini, chiamati ad esercitare funzioni autonome ed efficaci di promozione e di controllo delle relazioni politiche (qualità sotto il profilo della procedura). Attori principali della costruzione di un sistema di qualità, come si vede, sono i cittadini-elettori, singolarmente e con le comunità territoriali e le associazioni che si costituiscono tra di loro sulla base di un legame condiviso di valori e obiettivi. Ancora una volta, quindi, la ricerca di una democrazia di qualità rafforza l’esigenza di non accontentarsi di una definizione minima di democrazia, ma spinge a confrontare costantemente i risultati raggiunti con gli ideali e i principi che spingono costantemente in avanti l’orizzonte della convivenza dei popoli. Oggi è pensiero condiviso affermare che libertà e uguaglianza traducono alcuni contenuti essenziali della forma democratica: il diritto all’istruzione; l’accesso al lavoro e la sicurezza sociale, fino a comprendere il sostegno ai disoccupati, la tutela dei bambini e dei ragazzi, il diritto alla salute e all’assistenza per invalidità e vecchiaia; il riconoscimento dei diritti delle minoranze; il decentramento e il coinvolgimento delle comunità locali nel policy making; l’indipendenza dei media, il pluralismo della loro proprietà; la protezione dell’ambiente, anche a tutela del 14 Cfr. in particolare L. Morlino (2003), Democrazia e democratizzazioni, Bologna, Il Mulino; L. Diamond e L. Morlino (2005), Assessing the Quality of Democracy, Baltimore, The Johns Hopkins University Press. 6 Daniela Ropelato – Democrazia, partecipazione diritto delle generazioni future... Non includere in una definizione di democrazia i diritti sostanziali appena delineati significherebbe impoverire la definizione di democrazia rispetto ad alcuni risultati che in alcuni Paesi sono già consolidati, o stanno progressivamente acquistando stabilità. Qualità democratica e partecipazione Tra gli aspetti costitutivi di una democrazia di qualità, la partecipazione dei cittadini occupa un ruolo nodale: il significato di partecipazione si innesta talmente in profondità nell’idea di democrazia da rappresentare una delle sue misure più rilevanti, da un punto di vista sia quantitativo che qualitativo. Con questo termine, intendiamo più precisamente l’insieme delle possibilità proprie del cittadino - sia del singolo individuo che delle formazioni che rappresentano i suoi legami sociali - di influire sui processi di azione politica e sui loro esiti; molto di più, quindi, di una semplice operazione, per quanto raffinata, di ascolto e consultazione. Di conseguenza, partecipare può significare molte cose: andare a votare, ma anche promuovere un incontro di condominio per installare i pannelli solari. Si concorre alla vita politica con la formazione dell’opinione pubblica, la promozione di valori rilevanti per la convivenza, la difesa dei diritti: attività che è possibile definire politiche senza che chi partecipa intenda necessariamente raggiungere una posizione di governo. Eppure, non sono mancati i politologi che hanno sottolineato una tesi diversa, affermando che la partecipazione può ostacolare fortemente il consolidamento democratico. E’ la tesi dell’”eccesso di democrazia”, formulata negli USA intorno al 1975 dalla Trilateral Commission15: incrementare le opportunità partecipative metterebbe in crisi la struttura democratica e un sovraccarico di richieste partecipative da parte della società civile finirebbe col bloccarne il funzionamento. Di conseguenza, in nome della stabilità del sistema, sarebbe necessario porre dei limiti alle opportunità di partecipazione di singoli cittadini e gruppi sociali, per favorire il controllo sociale e rafforzare il consenso intorno all'autorità politica. Le condizioni interne ed esterne devono essere funzionali alla conservazione del sistema e, per questo, può essere necessaria una certa misura di apatia e disinteresse sociale: la stessa “non-partecipazione” viene in evidenza come strumento di coesione e crescita del sistema nel suo complesso. Un atteggiamento di svalutazione così netta delle logiche partecipative si è accompagnato negli anni con altre indagini, condotte in varie nazioni, sul comportamento politico individuale: a partecipare sono essenzialmente le persone che abitano le posizioni centrali della stratificazione sociale, i circoli più interni e stabili, prevalentemente di sesso maschile, dotati di un elevato grado di istruzione, appartenenti al ceto medio e al gruppo razziale maggioritario, residenti per lo più nei centri urbani, di età medio-alta. Presupposti di una partecipazione efficace, inoltre, sono la disponibilità di beni di natura economica e di risorse di tipo culturale, come prestigio e reputazione, con il senso di competenza e influenza che portano con sé. Non sfuggono altri aspetti problematici, quando le amministrazioni locali tentano di utilizzare la partecipazione come strumento di consenso, per recuperare la legittimità indispensabile su singole questioni, o come riduttore di conflitti, per moderare le proteste dei cittadini su decisioni rigidamente confezionate. E cosa significa partecipare per quanti non hanno strumenti, conoscenze o competenze 15 Cfr. S. Huntington, J. Watanuki, M. Crozier (1975), The Crisis of Democracy, New York, New York University Press. 7 Daniela Ropelato – Democrazia, partecipazione specifiche da condividere? E’ evidente che per lo meno in alcuni periodi della vita, il coinvolgimento nella vita pubblica può essere ostacolato o perfino negato. Inoltre, è necessario fare i conti con il free rider, il “battitore libero”16 che decide di non farsi coinvolgere in un’azione collettiva perché, in fin dei conti, ciò gli risulta svantaggioso. A meno che non intervenga uno specifico incentivo, ciascuno tenderebbe a comportarsi da free rider, calcolando che il proprio vantaggio personale non gli verrà comunque a mancare. L’osservazione di questi comportamenti non va sottovalutata e dice ancora una volta che la partecipazione è, prima che una serie di metodi, anzitutto un processo culturale e sociale da promuovere e consolidare. Partecipazione e rappresentanza In questo quadro, una domanda pesa più delle altre. Dal momento che l’attuale contesto istituzionale è quello di una democrazia rappresentativa – e non di una democrazia diretta -, ruolo e funzioni che competono ai cittadini e agli altri attori politici vanno meglio specificati. Se il meccanismo principale è quello della delega, deve sussistere la possibilità da parte dei cittadini e delle varie articolazioni sociali di esercitare un effettivo controllo sugli eletti, per cui questi ultimi debbano rispondere politicamente del proprio operato (un concetto che in italiano non trova una espressione univoca, se non il termine abbastanza vago di responsabilità, mentre in inglese viene utilizzato più precisamente il termine accountability). La chiamata a rendere conto è un contenuto democratico legato al voto, potremmo dire, da sempre. Con il voto, sia quanti concludono il mandato elettivo sia quanti si candidano per la prima volta devono sottomettersi alla verifica del consenso popolare, che verrà loro accordato, rinnovato o cancellato. Perciò, la conquista del suffragio universale rappresenta uno dei pilastri della storia della democrazia in una nazione, uno spartiacque. Anche per questo la partecipazione elettorale costituisce quasi una pre-condizione di ulteriori attività di partecipazione politica. Eppure, oggi votare non basta più. Lo stesso principio “un cittadino, un voto”, che ha segnato una tappa di valore storico, non rappresenta più un fondamento di democrazia sufficiente, dato che il sistema è sottoposto a gravi fattori di squilibrio che pregiudicano la premessa dell’uguaglianza di tutti i cittadini. Inoltre, la scelta operata dal cittadino con il voto per la selezione dei governanti non è adeguata a manifestare anche le sue preferenze riguardo alle politiche da perseguire. Non comunica che poche informazioni generiche: “le elezioni stabiliscono chi governerà, assai meno il contenuto del governare”17. Il concetto di accountability esige invece la concreta partecipazione dei cittadini e il loro controllo sui rappresentanti e sulle istituzioni in genere. Se la relazione verticale tra l’eletto e l’elettore può essere definita come la relazione politica fondamentale, è assolutamente insufficiente che essa si esaurisca gettando di tanto in tanto il voto nell’urna. L’esigenza che i cittadini possano concorrere al lavoro politico dei propri rappresentanti durante tutto lo svolgimento del mandato elettorale in modi più ricchi di contenuto e continuativi, con l’argomentazione e la ricerca, il sostegno oppure la contestazione, è una delle domande cruciali che le classi politiche devono ancora affrontare adeguatamente. 16 Cfr. M. Olson (1965), The Logic of Collective Action, Harvard University Press, Cambridge; trad. it. 1985, La logica dell’azione collettiva, Milano, Feltrinelli. 17 G. Sartori (1993), Democrazia, Che cosa è, op. cit., p. 59. 8 Daniela Ropelato – Democrazia, partecipazione Su questo tema, anche la scienza politica sembra povera di idee, al punto da poter affermare che “siamo ancora fermi a dove erano i greci secoli fa”18. Certo, la complessità tecnica e politica dei problemi di governo, il distacco e la disinformazione che caratterizza tanti elettori non vanno ignorati. Ma non basta affermare astrattamente che la gente non partecipa o che partecipa sempre di meno. Ha provato il contrario la massiccia partecipazione popolare, prima alle votazioni primarie per la designazione dei candidati del partito democratico e repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti, e poi alle elezioni presidenziali del novembre scorso, in proporzione quattro volte superiore a quanto era stato previsto dai centri di ricerca. Un altro dato interessante: si tratta del referendum consultivo indetto un anno fa a Firenze per il tracciato della nuova tramvia nel centro storico della città. Questa volta, la partecipazione delle persone chiamate a votare è stata molto bassa, non si è raggiunto nemmeno il quorum richiesto per la validità della votazione, intorno ad una questione che avrebbe dovuto richiamare facilmente l’interesse di tanti. In realtà il sindaco aveva già avvertito che, comunque fosse andata la consultazione, l’amministrazione poteva ignorare il voto, a norma di regolamento, e non discuterne neppure in consiglio. In casi come questi vengono in evidenza anche gli errori e le incoerenze su cui inciampa l’appello a partecipare che la politica rivolge ai cittadini; eppure, questa constatazione non riesce a confutare quella incomprimibile propensione a coinvolgersi, a dare del proprio, ad accettare la corresponsabilità che viene dal sentirsi parte della medesima comunità, lungo un continuum che va dal locale al globale. Per questo, nonostante limiti e dilemmi, procedono entro un prevalente clima favorevole le diverse sperimentazioni partecipative che le amministrazioni pubbliche mettono in opera, aprendo ai cittadini spazi di dibattito e di deliberazione19 che coinvolgono nell’arena decisionale i diversi portatori di interessi. In Italia, questo fenomeno si è andato estendendo a partire dagli anni novanta20. Sono pratiche tuttora minoritarie, distribuite in maniera puntiforme; ma tornare alle prassi decisioniste e centralizzate del passato appare impossibile. Potremmo dire che, per lo stesso motivo per cui l’estraneità tra società e politica coglie il cuore delle difficoltà della democrazia moderna, così lo sviluppo di una cultura della partecipazione ne rappresenta un cardine centrale, che avvicina l’ideale di una società che è in grado di auto-determinarsi democraticamente21. Perché democrazia significa anche coincidenza tra autori e destinatari delle norme, tra il legislatore e il cittadino. Per questo, la nuova domanda di partecipazione rappresenta allo stesso tempo una domanda sociale, ma anche un vero e proprio motore di qualità democratica che, utilizzato correttamente, può favorire una convivenza sempre più ricca di qualità umane. 18 Idem. Mi riferisco in particolare ai processi di urbanistica partecipata, ai piani strategici metropolitani, ai contratti di quartiere e ai patti territoriali, ai piani sociali e della salute, ai processi di Agenda 21 per lo sviluppo sostenibile fino alle esperienze di bilancio partecipativo, che cominciano a crescere anche in Italia. 20 Cfr. Bobbio L. (a cura di) (2007), Amministrare con i cittadini. Viaggio tra le pratiche di partecipazione in Italia, Soveria Mannelli, Rubbettino; Allegretti G. e Frascaroli M.E. (a cura di) (2006), Percorsi condivisi. Contributi per un atlante di pratiche partecipative in Italia, Firenze, Alinea Editrice. 21 Cfr. J. Habermas (1998), Die postnationale Konstellation. Politische Essays, Frankfurt am Main, Suhrkamp Verlag; trad.it. 1999, La costellazione postnazionale. Mercato globale, nazioni e democrazia, Milano, Feltrinelli. 19 9 Daniela Ropelato – Democrazia, partecipazione Partecipazione e deliberazione Alcune delle sperimentazioni più interessanti fanno parte del cantiere della “democrazia deliberativa”. Di cosa si tratta? I partiti, fino a ieri il luogo principe di formazione ed espressione delle identità politiche, oggi sono profondamente in difficoltà. Il filtro della loro azione appare un ostacolo, mentre siamo alla ricerca di nuovi luoghi dove i soggetti sociali possano dibattere i problemi, proporre soluzioni, valutare le ragioni pro e contro, approfondire i contenuti delle decisioni. Gli studi sulla democrazia deliberativa si innestano su questa ricerca, tentando di superare o comunque di completare ciò che non soddisfa nella democrazia rappresentativa e sottolineando una condizione essenziale del processo democratico: il dibattito tra i cittadini, senza il quale nessuna democrazia può vivere. Vediamo quali sono le tre principali logiche che governano i processi decisionali pubblici: • la logica maggioritaria, che procede per conteggio numerico dei voti: la decisione vincente è quella appoggiata dal maggior numero di consensi; • la logica negoziale, che procede bilanciando vantaggi e svantaggi, a partire da alcune posizioni iniziali che non cambiano: entrambe le parti perdono e guadagnano; • la logica deliberativa, basata sulla discussione (deliberare, infatti, in questo caso non significa decidere, ma dibattere) in cui, a partire dalla condivisione di alcuni valori di fondo, si raggiunge il consenso con il convincimento reciproco. Attraverso la deliberazione, le parti non mettono tra parentesi le diversità ma, appellandosi a valori comuni, nel dialogo mirano a far convergere le proprie scelte. Non si tratta quindi di ricercare il minimo comune denominatore, né di comporre meccanicamente una opzione con l’altra, ma di apprendere l’arte dell’argomentazione, della giustificazione razionale, della correzione delle opinioni personali in un percorso di affinamento che è individuale e collettivo insieme. Qualche parola sullo studio delle “condizioni facilitanti”: serve infatti la presenza di un clima cooperativo tra i partecipanti, la disponibilità all’ascolto e all’accordo; l’impegno a non mentire; l’azione di un mediatore che presieda alla corretta comunicazione, controlli i tempi, registri gli esiti. In questo modo, la deliberazione, anche quando non riesce a produrre un’effettiva convergenza sulle scelte, migliora il livello d’informazione tra quanti partecipano, attenua le disuguaglianze e rende meno grave il dissenso tra maggioranza e minoranza. Esistono però anche numerose ambiguità. Ogni forma di autoregolazione finisce spesso per favorire i soggetti più forti, quelli che hanno maggiori risorse politiche o economiche, che sono in grado di alzare la voce attorno al tavolo della decisione. Inoltre, i nuovi luoghi della democrazia deliberativa possono trasformarsi in forme vuote, solo simboliche. Più gli interessi in gioco sono forti, infatti, e più al tavolo delle trattative i soggetti sono poco affidabili, perché in realtà esercitano la loro influenza al di fuori di quel dato processo negoziale. E poi chi ci assicura che attraverso la deliberazione si riesca davvero a giungere all’accordo? Non è raro che i temi più gravi siano anche i più urgenti: la deliberazione, al contrario, ha tempi lunghi; oppure possono esserci più decisioni possibili e ugualmente legittime, o punti di vista che restano inconciliabili… E come garantire che tutti gli attori coinvolti posseggano le competenze necessarie per partecipare alla deliberazione, in condizioni effettive di uguaglianza e di libertà? C’è poi l’importante figura del mediatore: come non farsene condizionare? Anche per questi motivi, la deliberazione risulta maggiormente 10 Daniela Ropelato – Democrazia, partecipazione adatta entro istituzioni particolari, come le fasi costituenti, le corti costituzionali, su principi o procedure che devono regolare le scelte collettive. In ogni caso, la deliberazione resta soprattutto “un modo di pensare” la democrazia, orientando al bene comune la composizione degli interessi, per non accontentarsi della rigida contrattazione. Ciò che la deliberazione propone è anzitutto di spostare l’accento dalla selezione dei governanti alla comunicazione e al dialogo che deve animare la pubblica opinione. La responsabilità dei decisori politici è solo una delle condizioni di funzionamento del sistema politico. Mentre appartiene alla sfera di libertà dei cittadini la scelta e l’interiorizzazione di un modello di azione cooperativa e dialogante, creativa e aperta, in tutte le situazioni di vita personale e quindi anche nella sfera pubblica, dove ciascuno può dare il proprio contributo. E convalida una interpretazione mite della politica, che trova il suo significato nella ricca articolazione di valori e di relazioni, di problemi e di risorse che costituiscono il cuore di ogni comunità civile, di cui la politica è essenzialmente uno strumento, uno sfondo22, di cui cura e serve, con le sue competenze specifiche, la ricerca del bene maggiore. 22 Esprime bene quest’idea la definizione di politica proposta da Chiara Lubich, nel 2004: “Se dessimo un colore ad ogni attività umana, all’economia, alla sanità, alla comunicazione, all’arte, al lavoro culturale, alla amministrazione della giustizia… la politica non avrebbe un colore, sarebbe lo sfondo, il nero, che fa risaltare tutti gli altri colori.” (archivio Movimento dei focolari) 11