Introduzione generale Lezione 2 - Definizione di

Scuole del Movimento politico per l'unità
Modulo 1: Introduzione generale
Lezione 2 - Definizione di alcuni concetti fondamentali:
DEMOCRAZIA, PARTECIPAZIONE
Daniela Ropelato
«La parola che adoperiamo per definire il nostro sistema politico è democrazia per il fatto
che, nell'amministrazione, esso si qualifica non rispetto ai pochi ma rispetto alla
maggioranza.»
Tucidide, Discorso di Pericle
«Non è mai esistita una vera democrazia, né esisterà mai [...] se esistesse un popolo di
dei, si governerebbe democraticamente. Un governo così perfetto non si conviene agli
uomini».
J.J. Rousseau
«No one pretends that democracy is perfect or all-wise. Indeed, it has been said that
democracy is the worst form of government except all those other forms that have been
tried from time to time».
W. Churchill
Introduzione
Si parla indistintamente di democrazia a proposito dell'Atene di Pericle e dei
Soviet di Lenin; c'è la democrazia liberale e quella socialista; e c'è pure la
democrazia cristiana. E poi si parla di democrazia rappresentativa, partecipativa,
deliberativa... Lo sforzo di precisare gli aspetti costitutivi di un assetto
democratico appare oggi un’operazione più che mai necessaria, dato che il
termine democrazia “ha subito una evaporazione concettuale diventando
l’etichetta più indefinita del suo genere”1. E’ possibile dare una definizione
minima, ma precisa, di questo termine?
Vari studiosi di scienze politiche ci hanno provato. Norberto Bobbio, uno dei
protagonisti della cultura del Novecento, storico, filosofo e politologo che tanto
ha scritto sulla democrazia e sul suo funzionamento, riteneva che una definizione
minima di democrazia dovesse essere puramente e semplicemente
“procedurale”, si dovesse cioè limitarsi a definire la democrazia come un metodo
per prendere decisioni collettive: “Si chiama gruppo democratico quel gruppo in
cui valgono almeno queste due regole per prendere decisioni collettive: 1) tutti
partecipano alla decisione direttamente o indirettamente; 2) la decisione viene
presa dopo una libera discussione a maggioranza. Queste sono le due regole in
base alle quali a me pare che si possa parlare di democrazia nel senso minimo e
ci si possa mettere facilmente d'accordo per dire dove c'è democrazia e dove
democrazia non c'è.“2
1
2
G. Sartori (1969), Democrazia e definizioni, Il Mulino, Bologna, p. 321.
Cfr. Intervista a Norberto Bobbio, Che cos'è la democrazia?, Torino, Fondazione Einaudi,
28 febbraio 1985.
1
Daniela Ropelato – Democrazia, partecipazione
Altro importante approccio proceduralista è quello di Joseph Schumpeter, che nel
1942 afferma che “democrazia significa soltanto che il popolo ha l’opportunità di
accettare o rifiutare gli uomini che dovranno governarlo”3.
Ma accanto a questa interpretazione che tanto ha contrassegnato lo sviluppo
della democrazia moderna, va considerata con attenzione anche l’opinione di altri
studiosi che, più di recente, hanno affermato che una definizione esclusivamente
procedurale della democrazia non è sufficiente a spiegarne il concetto. Non si
tratta di posizioni in ogni caso alternative, quanto piuttosto di orientamenti più
articolati che, pur riconoscendo i limiti propri della scienza politica in questa
analisi, sottolineano la necessità di una definizione multidimensionale, di
elementi più complessi per descriverne la struttura attuale e per comprenderne
difficoltà e condizioni di sviluppo. Per Robert Dahl “sono democrazie tutti i regimi
contraddistinti dalla garanzia reale di partecipazione politica più ampia della
popolazione adulta maschile e femminile e dalla possibilità di dissenso e
opposizione”4. Giovanni Sartori a sua volta descrive la democrazia come “un
sistema etico-politico nel quale l’influenza della maggioranza è affidata al potere
di minoranze concorrenti” che l’assicurano attraverso il meccanismo elettorale5.
Formulazioni che prendono atto della connessione tra elementi empirici,
misurabili nella realtà, ed elementi normativi. La distinzione tra dimensione
empirica e dimensione normativa appare, quindi, più che mai utile per evitare di
ridurre in termini troppo esigui il contenuto dell’idea democratica che esprime un
insieme di ideali ampiamente riconosciuti6, un orizzonte normativo che rinvia ad
una costellazione di significati che trascendono le rigide coordinate istituzionali e
identificano anche uno stile d’azione, un ethos personale del cittadino e di chi
governa, addirittura una visione del mondo.
Il fatto che esista uno spazio che “eccede” la semplice definizione procedurale di
democrazia emerge anche da altri elementi, ad esempio dal fallimento di alcune
note concezioni che sostengono l’esportabilità del regime democratico a partire
dai suoi contenuti essenzialmente procedurali. Nel caso dell’Iraq, com’è noto, il
contesto geopolitico ha posto condizioni di difficoltà estrema al trasferimento
delle istituzioni democratiche. Un pronunciato proceduralismo è stato smentito
anche dai risultati di complicate iniziative di ingegneria costituzionale che in
alcuni paesi in via di sviluppo hanno prodotto minuziosi elenchi formali di diritti e
un sistema abnorme di pesi e contrappesi istituzionali, mentre permangono
disuguaglianze sociali ed economiche estreme che incrinano l’affermazione
dell’idea democratica sul piano sostanziale.
Inoltre, è necessario notare che, nel momento storico di massima affermazione
della forma politica democratica nel mondo, quando centinaia di Stati si
definiscono costituzionalmente democratici, in realtà proprio la democrazia sta
perdendo credibilità e significato7. Da tempo si è giunti a parlare di una vera e
propria crisi della democrazia, con il declino della fiducia dei cittadini verso le
3
4
5
6
7
J.A. Schumpeter (1942), Capitalism, Socialism and Democracy; trad. it. 1955,
Capitalismo, socialismo e democrazia, Ed. Comunità, Milano, p. 271.
R. Dahl (1970), Polyarchy: Participation and Opposition, New Haven, Conn., Yale
University Press; trad. it. 1980 Poliarchia. Partecipazione e opposizione, Milano, Angeli.
G. Sartori (1993), Democrazia: cosa è, Rizzoli, Milano, p. 108.
G. Sartori, Democrazia e definizioni, op. cit.
Sulle promesse non mantenute della democrazia cfr. N. Bobbio, Il futuro della
democrazia, Einaudi, Torino 19912, pp. 7-22. Alcuni titoli apparsi nell’ultimo decennio
sono eloquenti: R. Dahrendorf, Dopo la democrazia, a cura di A. Polito, Laterza, RomaBari 2001; C. Crouch, Postdemocrazia, a cura di C. Partenò, Laterza, Roma-Bari, 2003;
D. Cardone, Oltre la democrazia, Carocci, Roma 2004.
2
Daniela Ropelato – Democrazia, partecipazione
istituzioni politiche, con la crescente alienazione dai partiti, con la diffusa
percezione che i decisori pubblici e in genere i politici siano corrotti, interessati al
proprio tornaconto, lontani dall’idea di rispondere del proprio operato politico.
Anthony Giddens ha parlato di recente di una sorta di paradosso, consistente
“nell’attuale diffondersi [della democrazia] nel mondo e contemporaneamente
nell’emergere, all’interno delle democrazie mature (che il resto del mondo
dovrebbe imitare), di una delusione crescente nei confronti dei processi
democratici”8. A conferma che importanti aspetti extraprocedurali sfidano le
moderne democrazie e chiedono maggior attenzione alla sfera dei principi e della
cultura politica.
Democrazia degli antichi e dei moderni
Il dibattito su questi temi non può prescindere dalle prime forme di democrazia
che troviamo ad Atene nel V secolo a.C. (ma anche a Basilea nel XVIII secolo
d.C.). Andiamo quindi all’origine della parola: è noto che abbiamo acquisito il
termine demokratìa (potere del popolo) dalla Grecia classica del V secolo a.C.
che ne ha fondato la teoria e la pratica, ma forse non è altrettanto noto che il
termine fosse utilizzato allora in un'accezione per lo più negativa. La Grecia
inventò la democrazia in Occidente, ma il contesto era tale per cui proprio la
democrazia era criticata come una cattiva forma di governo. Kratos in greco
antico indica il potere nel senso più brutale, una forza fisica che si detiene o si
esercita pesantemente su qualcosa; quanto a demos, il termine era spesso
utilizzato dai Greci di estrazione e ideologia aristocratica in senso polemico e “di
parte”. Non è un caso che Aristotele preferisse il vocabolo politeia a demokratía,
per indicare sia la costituzione della polis che la condizione soggettiva di
cittadino.
E chi erano i cittadini? Nell’Atene di Pericle, il titolo di polítai era assegnato agli
individui maschi, adulti (in età militare), liberi di nascita, figli di genitori entrambi
ateniesi: un popolo selezionato. La cittadinanza era, di fatto, nella democratica
Atene un privilegio concesso sulla base di criteri rigorosi. Inoltre, è necessario
ricordare come i contenuti effettivi dell’antica democrazia greca fossero
essenzialmente la isonomia e la isegoria, cioè l’uguaglianza nei diritti politici e
l’uguale possibilità di prendere la parola nell’assemblea; mentre non era neppure
lontanamente implicata nel concetto di democrazia l’idea di una uguaglianza
sociale o di una uguale dignità degli individui.
Tuttavia, nell’Atene di Pericle tutte le più importanti decisioni politiche erano
consegnate ai cittadini nell’assemblea, in cui ciascuno aveva il diritto di prendere
la parola e di votare, o nei tribunali e nelle commissioni legislative composte da
cittadini estratti a sorte per un anno. Gli atti di governo erano accompagnati da
un grado di pubblicità mai prima raggiunto; ogni cosa doveva essere resa
pubblica o per iscritto o oralmente e le assemblee erano specificamente il luogo
di confronto per rendere note le questioni pubbliche al maggior numero di
cittadini. Altri aspetti completavano il sistema: la nomina dei magistrati e dei
legislatori per sorteggio; la breve durata dell’incarico (normalmente un anno)
associata al divieto di reiterazione; il compenso assegnato che permetteva
8
A. Giddens (1999), Runaway World. How Globalization Is Reshaping our Lives, London,
Profile Books; trad. it. 2000, Il mondo che cambia. Come la globalizzazione ridisegna la
nostra vita, Bologna, Il Mulino, p.89.
3
Daniela Ropelato – Democrazia, partecipazione
l’effettivo esercizio dei diritti politici; la separazione dell’attività di decisione da
quella di iniziativa, gestita da un consiglio che preparava il lavoro assembleare9.
Democrazia significa oggi qualcosa di molto diverso. Nel corso dei secoli le
situazioni esterne sono cambiate in modo estremamente rilevante: la crescita
demografica che ha accompagnato lo sviluppo dell’Occidente ha fatto saltare
completamente le proporzioni numeriche su cui si misurava la democrazia
ateniese. Gli elementi che allontanano le democrazie odierne da quella greca
sono numerosi, a partire dal sistema parlamentare dei moderni che ha sostituito
quello assembleare degli antichi.
L'idea di democrazia è stata sottoposta ad uno stiramento dei suoi contenuti tale
per cui si potrebbe pensare di trovarsi di fronte ad una diversa costruzione di
relazioni e istituzioni politiche. In particolare, a causa delle dimensioni strutturali
e culturali delle società moderne, modalità diffuse di partecipazione diretta alla
formazione delle decisioni politiche sono molto più complesse.
Resta il fatto che il disegno democratico di Clistene, anche oggi, a distanza di più
di venti secoli, non ha perso di interesse. le istanze democratiche hanno
continuato a diffondersi nel mondo e a vincere la competizione contro forme
politiche alternative, rivelandosi uno strumento migliore di altri per raggiungere
obiettivi quali la giustizia sociale, la stabilità politica, la crescita economica, la
pace. Al punto che l’estensione dei processi di democratizzazione è stato definito
il fenomeno di maggior rilievo che il ventesimo secolo ha conosciuto. Attualmente
possiamo parlare di 121 “democrazie elettorali”, che soddisfano cioè i principali
requisiti per essere definite democratiche.
La tabella seguente mette in relazione l’incremento della popolazione mondiale e
la crescita numerica dei governi democratici.
Tab. La democratizzazione del sistema internazionale (dati Freedom House)10
1900
1950
2000
2007
DEMOCRAZIE
STATI SOVRANI
(e colonie)
Elettorali
55 (e 75)
80 (e 74)
192
193
0
22 (31%)
120 (62,5%)
121 (62%)
11
Liberali
POPOLAZIONE
DEL MONDO (miliardi)
85 (38%)
90 (46%)
1.668
2.396,3
5.909,6
6.604,9
12
Nel 1900 a predominare sono le monarchie e i regimi autoritari; nessuno Stato soddisfa le
condizioni necessarie per essere definito una democrazia elettorale. Gli Stati Uniti, la Gran
Bretagna e pochi altri Paesi, che pure prevedono lo svolgimento di elezioni multipartitiche e
9
Per una ricostruzione dell’idea di democrazia e del suo significato nell’antichità cfr. M.H.
Hansen, La democrazia ateniese nel IV secolo a.C., trad. it. 2003, A. Maffi (a cura di),
LED, Milano.
10
Freedom House è un’organizzazione non governativa, operativa presso sedi diverse nel
mondo, che pubblica studi e ricerche sull’espansione di diritti politici e libertà civili nel
mondo; cfr. http://www.freedomhouse.org.
11
Secondo Freedom House, perché uno Stato possa essere qualificato una democrazia
elettorale, deve possedere: a) sistema politico multipartitico e competitivo; b) suffragio
universale di tutti i cittadini adulti; c) elezioni indette regolarmente con voto segreto,
ragionevolmente sicuro e non condizionato da frodi; d) accesso libero dei partiti politici
all’elettorato attraverso i media e campagne politiche pubbliche.
12
La valutazione a cui Freedom House sottopone una democrazia liberale è più severa:
devono essere rispettati infatti anche i fondamentali diritti dell’uomo e riconosciuta la
supremazia della legge espressa nell’ordinamento (rule of law).
4
Daniela Ropelato – Democrazia, partecipazione
competitive, non riconoscono ancora il diritto di voto alle donne e, nel caso degli Stati Uniti,
alla popolazione afro-americana: di conseguenza, vengono definiti come Paesi a procedure
democratiche limitate (complessivamente sono 25).
Nel 1950, la sconfitta del totalitarismo nazista e la decolonizzazione producono una crescita
del numero dei Paesi democratici. A metà del secolo, le democrazie elettorali sono 22 e
rappresentano il 31 % della popolazione mondiale, mentre perdurano 21 Stati a regime
democratico limitato. Avvicinandoci alla fine del secolo, il processo subisce un’accelerazione e
le democrazie elettorali e liberali divengono nettamente predominanti, in seguito alla “terza
ondata” della democratizzazione che tocca gran parte del mondo post-comunista, oltre che
l’America del Sud e regioni dell’Asia e dell’Africa. Nel 2000 le democrazie elettorali sono 120
e rappresentano il 62,5 % della popolazione globale.
Quando diciamo democrazia, dunque, non parliamo di un sistema di governo
equivalente ad altri che la storia ha conosciuto e conosce; non è un’opzione
metodologica che può essere adottata o rifiutata con indifferenza. Alcune
condizioni di funzionamento della democrazia, quali il principio di maggioranza, il
suffragio universale, la delega politica attribuita ai rappresentanti, la possibilità di
cambiare il governo pacificamente tramite elezioni anziché con azioni violente
(l’essenza della democrazia, secondo Karl Popper), sono conquiste irrinunciabili;
la nostra cultura politica ci porta a considerarli in qualche modo beni intrinseci
alla democrazia.
Ho fatto riferimento alla nostra cultura politica, quella occidentale, ma è utile
ricordare che, di fronte a chi tentava di circoscrivere la diffusione della
democrazia a tale area geopolitica, Amartya Sen13, economista indiano e premio
nobel per l’Economia 1998, anche di recente ha dimostrato efficacemente che
l’idea di democrazia appartiene alla storia di molte società. “La libertà non è
un’invenzione dell’occidente” e la lotta per la democrazia in tutto il mondo
“rappresenta la più grande sfida dei nostri tempi".
Dare qualità alla democrazia
Del resto, nessuna democrazia è mai stata uguale a qualsiasi altra, anzi, nessuna
democrazia è mai stata uguale nemmeno a se stessa nel tempo. “Ingredienti”
indispensabili non sono il governo della maggioranza o l'esistenza di elezioni
libere; sono piuttosto l’esistenza di condizioni di pluralismo e la possibilità di un
dibattito pubblico e aperto: e queste sono istanze che fanno parte di uno spazio
culturale esteso che attraversa i paralleli del pianeta.
In effetti – e qui torniamo alla nostra ricerca di una definizione minima di
democrazia - una definizione largamente condivisa prevede quattro condizioni
precise: il suffragio universale della popolazione adulta, maschile e femminile;
elezioni libere, competitive, ricorrenti, corrette; un sistema plurale di partiti
politici; diverse e alternative fonti di informazione. Ciascuno di questi quattro
fattori ancora una volta esprime quella esigenza di pluralità, di interazione
pubblica, di partecipazione, che possiamo riscontrare ampiamente nei percorsi di
democratizzazione delle grandi civiltà umane, e non solo di quelle occidentali. A
conferma che “una” democrazia non esiste, né esiste un idealtipo, una
democrazia metastorica che attende di essere realizzato.
Ma se una “vera” democrazia non esiste, cosa diversa è trattare di “buona”
democrazia. Questo in effetti è il nuovo orizzonte della ricerca: passare
dall’analisi storica (le vicende e i fattori che determinano il passaggio da un
regime non democratico ad uno democratico) allo studio delle caratteristiche
13
A. Sen (2004), La democrazia degli altri, Milano, Mondadori.
5
Daniela Ropelato – Democrazia, partecipazione
qualitative che definiscono una buona democrazia una volta consolidata: una
democrazia di qualità14.
Un’indagine sull’uso del concetto di qualità in economia, in particolare nel settore
della produzione e del marketing, suggerisce tre differenti significativi,
confrontando la performance di beni e servizi con tre diverse nozioni di qualità:
la rispondenza del prodotto a caratteristiche determinate di forma e
funzionamento, il riscontro di tecniche di costruzione controllate nei tempi e nei
metodi e la soddisfazione del consumatore. Posto che i medesimi parametri contenuto, procedura e risultato – per approssimazione possono essere applicati
anche ai fatti politici, se ne ricava che la qualità finale del prodotto politico può
essere misurata sotto tre diversi profili:
1. la qualità del contenuto dell’azione politica, quando i cittadini e le
aggregazioni sociali che essi formano, godono di strutture di libertà e
uguaglianza politica in misura superiore al minimo, espresse
nell’ordinamento e tradotte in contenuti politici sostanziali;
2. la qualità della procedura dell’azione politica, quando i cittadini sono posti
in grado di controllare e valutare se e come i valori affermati
dall’ordinamento vengono effettivamente realizzati, attraverso forme di
partecipazione e competizione politica che chiamino i rappresentanti a
rispondere delle decisioni prese;
3. la qualità del risultato dell’azione politica, quando l’assetto si dimostra
ampiamente legittimato e stabile, perché i cittadini sono soddisfatti dei
risultati raggiunti attraverso le scelte dei decisori, in relazione alle
domande che hanno espresso e sulla base dei costi che hanno dovuto
sostenere.
A partire da questo quadro, una democrazia di qualità può essere definita come
un assetto legittimato dal consenso popolare, in cui le scelte politiche soddisfano
le aspettative dei cittadini (qualità sotto il profilo del risultato), garantiscono
ampie espressioni di libertà e di uguaglianza politica ai singoli e alle diverse
articolazioni sociali (qualità sotto il profilo del contenuto) e i rappresentanti eletti
sono tenuti a rendere conto delle proprie azioni e dei risultati delle proprie scelte
di fronte ai cittadini, chiamati ad esercitare funzioni autonome ed efficaci di
promozione e di controllo delle relazioni politiche (qualità sotto il profilo della
procedura).
Attori principali della costruzione di un sistema di qualità, come si vede, sono i
cittadini-elettori, singolarmente e con le comunità territoriali e le associazioni che
si costituiscono tra di loro sulla base di un legame condiviso di valori e obiettivi.
Ancora una volta, quindi, la ricerca di una democrazia di qualità rafforza
l’esigenza di non accontentarsi di una definizione minima di democrazia, ma
spinge a confrontare costantemente i risultati raggiunti con gli ideali e i principi
che spingono costantemente in avanti l’orizzonte della convivenza dei popoli.
Oggi è pensiero condiviso affermare che libertà e uguaglianza traducono alcuni
contenuti essenziali della forma democratica: il diritto all’istruzione; l’accesso al
lavoro e la sicurezza sociale, fino a comprendere il sostegno ai disoccupati, la
tutela dei bambini e dei ragazzi, il diritto alla salute e all’assistenza per invalidità
e vecchiaia; il riconoscimento dei diritti delle minoranze; il decentramento e il
coinvolgimento delle comunità locali nel policy making; l’indipendenza dei media,
il pluralismo della loro proprietà; la protezione dell’ambiente, anche a tutela del
14
Cfr. in particolare L. Morlino (2003), Democrazia e democratizzazioni, Bologna, Il
Mulino; L. Diamond e L. Morlino (2005), Assessing the Quality of Democracy, Baltimore,
The Johns Hopkins University Press.
6
Daniela Ropelato – Democrazia, partecipazione
diritto delle generazioni future... Non includere in una definizione di democrazia i
diritti sostanziali appena delineati significherebbe impoverire la definizione di
democrazia rispetto ad alcuni risultati che in alcuni Paesi sono già consolidati, o
stanno progressivamente acquistando stabilità.
Qualità democratica e partecipazione
Tra gli aspetti costitutivi di una democrazia di qualità, la partecipazione dei
cittadini occupa un ruolo nodale: il significato di partecipazione si innesta
talmente in profondità nell’idea di democrazia da rappresentare una delle sue
misure più rilevanti, da un punto di vista sia quantitativo che qualitativo.
Con questo termine, intendiamo più precisamente l’insieme delle possibilità
proprie del cittadino - sia del singolo individuo che delle formazioni che
rappresentano i suoi legami sociali - di influire sui processi di azione politica e sui
loro esiti; molto di più, quindi, di una semplice operazione, per quanto raffinata,
di ascolto e consultazione. Di conseguenza, partecipare può significare molte
cose: andare a votare, ma anche promuovere un incontro di condominio per
installare i pannelli solari. Si concorre alla vita politica con la formazione
dell’opinione pubblica, la promozione di valori rilevanti per la convivenza, la
difesa dei diritti: attività che è possibile definire politiche senza che chi partecipa
intenda necessariamente raggiungere una posizione di governo.
Eppure, non sono mancati i politologi che hanno sottolineato una tesi diversa,
affermando che la partecipazione può ostacolare fortemente il consolidamento
democratico. E’ la tesi dell’”eccesso di democrazia”, formulata negli USA intorno
al 1975 dalla Trilateral Commission15: incrementare le opportunità partecipative
metterebbe in crisi la struttura democratica e un sovraccarico di richieste
partecipative da parte della società civile finirebbe col bloccarne il
funzionamento. Di conseguenza, in nome della stabilità del sistema, sarebbe
necessario porre dei limiti alle opportunità di partecipazione di singoli cittadini e
gruppi sociali, per favorire il controllo sociale e rafforzare il consenso intorno
all'autorità politica. Le condizioni interne ed esterne devono essere funzionali alla
conservazione del sistema e, per questo, può essere necessaria una certa misura
di apatia e disinteresse sociale: la stessa “non-partecipazione” viene in evidenza
come strumento di coesione e crescita del sistema nel suo complesso.
Un atteggiamento di svalutazione così netta delle logiche partecipative si è
accompagnato negli anni con altre indagini, condotte in varie nazioni, sul
comportamento politico individuale: a partecipare sono essenzialmente le
persone che abitano le posizioni centrali della stratificazione sociale, i circoli più
interni e stabili, prevalentemente di sesso maschile, dotati di un elevato grado di
istruzione, appartenenti al ceto medio e al gruppo razziale maggioritario,
residenti per lo più nei centri urbani, di età medio-alta. Presupposti di una
partecipazione efficace, inoltre, sono la disponibilità di beni di natura economica
e di risorse di tipo culturale, come prestigio e reputazione, con il senso di
competenza e influenza che portano con sé.
Non sfuggono altri aspetti problematici, quando le amministrazioni locali tentano
di utilizzare la partecipazione come strumento di consenso, per recuperare la
legittimità indispensabile su singole questioni, o come riduttore di conflitti, per
moderare le proteste dei cittadini su decisioni rigidamente confezionate. E cosa
significa partecipare per quanti non hanno strumenti, conoscenze o competenze
15
Cfr. S. Huntington, J. Watanuki, M. Crozier (1975), The Crisis of Democracy, New York,
New York University Press.
7
Daniela Ropelato – Democrazia, partecipazione
specifiche da condividere? E’ evidente che per lo meno in alcuni periodi della vita,
il coinvolgimento nella vita pubblica può essere ostacolato o perfino negato.
Inoltre, è necessario fare i conti con il free rider, il “battitore libero”16 che decide
di non farsi coinvolgere in un’azione collettiva perché, in fin dei conti, ciò gli
risulta svantaggioso. A meno che non intervenga uno specifico incentivo,
ciascuno tenderebbe a comportarsi da free rider, calcolando che il proprio
vantaggio personale non gli verrà comunque a mancare.
L’osservazione di questi comportamenti non va sottovalutata e dice ancora una
volta che la partecipazione è, prima che una serie di metodi, anzitutto un
processo culturale e sociale da promuovere e consolidare.
Partecipazione e rappresentanza
In questo quadro, una domanda pesa più delle altre. Dal momento che l’attuale
contesto istituzionale è quello di una democrazia rappresentativa – e non di una
democrazia diretta -, ruolo e funzioni che competono ai cittadini e agli altri attori
politici vanno meglio specificati. Se il meccanismo principale è quello della
delega, deve sussistere la possibilità da parte dei cittadini e delle varie
articolazioni sociali di esercitare un effettivo controllo sugli eletti, per cui questi
ultimi debbano rispondere politicamente del proprio operato (un concetto che in
italiano non trova una espressione univoca, se non il termine abbastanza vago di
responsabilità, mentre in inglese viene utilizzato più precisamente il termine
accountability).
La chiamata a rendere conto è un contenuto democratico legato al voto,
potremmo dire, da sempre. Con il voto, sia quanti concludono il mandato elettivo
sia quanti si candidano per la prima volta devono sottomettersi alla verifica del
consenso popolare, che verrà loro accordato, rinnovato o cancellato. Perciò, la
conquista del suffragio universale rappresenta uno dei pilastri della storia della
democrazia in una nazione, uno spartiacque. Anche per questo la partecipazione
elettorale costituisce quasi una pre-condizione di ulteriori attività di
partecipazione politica.
Eppure, oggi votare non basta più. Lo stesso principio “un cittadino, un voto”,
che ha segnato una tappa di valore storico, non rappresenta più un fondamento
di democrazia sufficiente, dato che il sistema è sottoposto a gravi fattori di
squilibrio che pregiudicano la premessa dell’uguaglianza di tutti i cittadini.
Inoltre, la scelta operata dal cittadino con il voto per la selezione dei governanti
non è adeguata a manifestare anche le sue preferenze riguardo alle politiche da
perseguire. Non comunica che poche informazioni generiche: “le elezioni
stabiliscono chi governerà, assai meno il contenuto del governare”17.
Il concetto di accountability esige invece la concreta partecipazione dei cittadini e
il loro controllo sui rappresentanti e sulle istituzioni in genere. Se la relazione
verticale tra l’eletto e l’elettore può essere definita come la relazione politica
fondamentale, è assolutamente insufficiente che essa si esaurisca gettando di
tanto in tanto il voto nell’urna. L’esigenza che i cittadini possano concorrere al
lavoro politico dei propri rappresentanti durante tutto lo svolgimento del
mandato elettorale in modi più ricchi di contenuto e continuativi, con
l’argomentazione e la ricerca, il sostegno oppure la contestazione, è una delle
domande cruciali che le classi politiche devono ancora affrontare adeguatamente.
16
Cfr. M. Olson (1965), The Logic of Collective Action, Harvard University Press,
Cambridge; trad. it. 1985, La logica dell’azione collettiva, Milano, Feltrinelli.
17
G. Sartori (1993), Democrazia, Che cosa è, op. cit., p. 59.
8
Daniela Ropelato – Democrazia, partecipazione
Su questo tema, anche la scienza politica sembra povera di idee, al punto da
poter affermare che “siamo ancora fermi a dove erano i greci secoli fa”18.
Certo, la complessità tecnica e politica dei problemi di governo, il distacco e la
disinformazione che caratterizza tanti elettori non vanno ignorati. Ma non basta
affermare astrattamente che la gente non partecipa o che partecipa sempre di
meno. Ha provato il contrario la massiccia partecipazione popolare, prima alle
votazioni primarie per la designazione dei candidati del partito democratico e
repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti, e poi alle elezioni presidenziali del
novembre scorso, in proporzione quattro volte superiore a quanto era stato
previsto dai centri di ricerca.
Un altro dato interessante: si tratta del referendum consultivo indetto un anno fa
a Firenze per il tracciato della nuova tramvia nel centro storico della città. Questa
volta, la partecipazione delle persone chiamate a votare è stata molto bassa, non
si è raggiunto nemmeno il quorum richiesto per la validità della votazione,
intorno ad una questione che avrebbe dovuto richiamare facilmente l’interesse di
tanti. In realtà il sindaco aveva già avvertito che, comunque fosse andata la
consultazione, l’amministrazione poteva ignorare il voto, a norma di
regolamento, e non discuterne neppure in consiglio.
In casi come questi vengono in evidenza anche gli errori e le incoerenze su cui
inciampa l’appello a partecipare che la politica rivolge ai cittadini; eppure, questa
constatazione non riesce a confutare quella incomprimibile propensione a
coinvolgersi, a dare del proprio, ad accettare la corresponsabilità che viene dal
sentirsi parte della medesima comunità, lungo un continuum che va dal locale al
globale. Per questo, nonostante limiti e dilemmi, procedono entro un prevalente
clima favorevole le diverse sperimentazioni partecipative che le amministrazioni
pubbliche mettono in opera, aprendo ai cittadini spazi di dibattito e di
deliberazione19 che coinvolgono nell’arena decisionale i diversi portatori di
interessi. In Italia, questo fenomeno si è andato estendendo a partire dagli anni
novanta20. Sono pratiche tuttora minoritarie, distribuite in maniera puntiforme;
ma tornare alle prassi decisioniste e centralizzate del passato appare impossibile.
Potremmo dire che, per lo stesso motivo per cui l’estraneità tra società e politica
coglie il cuore delle difficoltà della democrazia moderna, così lo sviluppo di una
cultura della partecipazione ne rappresenta un cardine centrale, che avvicina
l’ideale di una società che è in grado di auto-determinarsi democraticamente21.
Perché democrazia significa anche coincidenza tra autori e destinatari delle
norme, tra il legislatore e il cittadino. Per questo, la nuova domanda di
partecipazione rappresenta allo stesso tempo una domanda sociale, ma anche un
vero e proprio motore di qualità democratica che, utilizzato correttamente, può
favorire una convivenza sempre più ricca di qualità umane.
18
Idem.
Mi riferisco in particolare ai processi di urbanistica partecipata, ai piani strategici
metropolitani, ai contratti di quartiere e ai patti territoriali, ai piani sociali e della salute,
ai processi di Agenda 21 per lo sviluppo sostenibile fino alle esperienze di bilancio
partecipativo, che cominciano a crescere anche in Italia.
20
Cfr. Bobbio L. (a cura di) (2007), Amministrare con i cittadini. Viaggio tra le pratiche di
partecipazione in Italia, Soveria Mannelli, Rubbettino; Allegretti G. e Frascaroli M.E. (a
cura di) (2006), Percorsi condivisi. Contributi per un atlante di pratiche partecipative in
Italia, Firenze, Alinea Editrice.
21
Cfr. J. Habermas (1998), Die postnationale Konstellation. Politische Essays, Frankfurt am
Main, Suhrkamp Verlag; trad.it. 1999, La costellazione postnazionale. Mercato globale,
nazioni e democrazia, Milano, Feltrinelli.
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Daniela Ropelato – Democrazia, partecipazione
Partecipazione e deliberazione
Alcune delle sperimentazioni più interessanti fanno parte del cantiere della
“democrazia deliberativa”. Di cosa si tratta? I partiti, fino a ieri il luogo principe
di formazione ed espressione delle identità politiche, oggi sono profondamente in
difficoltà. Il filtro della loro azione appare un ostacolo, mentre siamo alla ricerca
di nuovi luoghi dove i soggetti sociali possano dibattere i problemi, proporre
soluzioni, valutare le ragioni pro e contro, approfondire i contenuti delle decisioni.
Gli studi sulla democrazia deliberativa si innestano su questa ricerca, tentando di
superare o comunque di completare ciò che non soddisfa nella democrazia
rappresentativa e sottolineando una condizione essenziale del processo
democratico: il dibattito tra i cittadini, senza il quale nessuna democrazia può
vivere.
Vediamo quali sono le tre principali logiche che governano i processi decisionali
pubblici:
• la logica maggioritaria, che procede per conteggio numerico dei voti: la
decisione vincente è quella appoggiata dal maggior numero di consensi;
• la logica negoziale, che procede bilanciando vantaggi e svantaggi, a partire
da alcune posizioni iniziali che non cambiano: entrambe le parti perdono e
guadagnano;
• la logica deliberativa, basata sulla discussione (deliberare, infatti, in
questo caso non significa decidere, ma dibattere) in cui, a partire dalla
condivisione di alcuni valori di fondo, si raggiunge il consenso con il
convincimento reciproco.
Attraverso la deliberazione, le parti non mettono tra parentesi le diversità ma,
appellandosi a valori comuni, nel dialogo mirano a far convergere le proprie
scelte. Non si tratta quindi di ricercare il minimo comune denominatore, né di
comporre meccanicamente una opzione con l’altra, ma di apprendere l’arte
dell’argomentazione, della giustificazione razionale, della correzione delle opinioni
personali in un percorso di affinamento che è individuale e collettivo insieme.
Qualche parola sullo studio delle “condizioni facilitanti”: serve infatti la presenza
di un clima cooperativo tra i partecipanti, la disponibilità all’ascolto e all’accordo;
l’impegno a non mentire; l’azione di un mediatore che presieda alla corretta
comunicazione, controlli i tempi, registri gli esiti. In questo modo, la
deliberazione, anche quando non riesce a produrre un’effettiva convergenza sulle
scelte, migliora il livello d’informazione tra quanti partecipano, attenua le
disuguaglianze e rende meno grave il dissenso tra maggioranza e minoranza.
Esistono però anche numerose ambiguità. Ogni forma di autoregolazione finisce
spesso per favorire i soggetti più forti, quelli che hanno maggiori risorse politiche
o economiche, che sono in grado di alzare la voce attorno al tavolo della
decisione. Inoltre, i nuovi luoghi della democrazia deliberativa possono
trasformarsi in forme vuote, solo simboliche. Più gli interessi in gioco sono forti,
infatti, e più al tavolo delle trattative i soggetti sono poco affidabili, perché in
realtà esercitano la loro influenza al di fuori di quel dato processo negoziale.
E poi chi ci assicura che attraverso la deliberazione si riesca davvero a giungere
all’accordo? Non è raro che i temi più gravi siano anche i più urgenti: la
deliberazione, al contrario, ha tempi lunghi; oppure possono esserci più decisioni
possibili e ugualmente legittime, o punti di vista che restano inconciliabili… E
come garantire che tutti gli attori coinvolti posseggano le competenze necessarie
per partecipare alla deliberazione, in condizioni effettive di uguaglianza e di
libertà? C’è poi l’importante figura del mediatore: come non farsene
condizionare? Anche per questi motivi, la deliberazione risulta maggiormente
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Daniela Ropelato – Democrazia, partecipazione
adatta entro istituzioni particolari, come le fasi costituenti, le corti costituzionali,
su principi o procedure che devono regolare le scelte collettive.
In ogni caso, la deliberazione resta soprattutto “un modo di pensare” la
democrazia, orientando al bene comune la composizione degli interessi, per non
accontentarsi della rigida contrattazione. Ciò che la deliberazione propone è
anzitutto di spostare l’accento dalla selezione dei governanti alla comunicazione e
al dialogo che deve animare la pubblica opinione.
La responsabilità dei decisori politici è solo una delle condizioni di funzionamento
del sistema politico. Mentre appartiene alla sfera di libertà dei cittadini la scelta e
l’interiorizzazione di un modello di azione cooperativa e dialogante, creativa e
aperta, in tutte le situazioni di vita personale e quindi anche nella sfera pubblica,
dove ciascuno può dare il proprio contributo. E convalida una interpretazione
mite della politica, che trova il suo significato nella ricca articolazione di valori e
di relazioni, di problemi e di risorse che costituiscono il cuore di ogni comunità
civile, di cui la politica è essenzialmente uno strumento, uno sfondo22, di cui cura
e serve, con le sue competenze specifiche, la ricerca del bene maggiore.
22
Esprime bene quest’idea la definizione di politica proposta da Chiara Lubich, nel 2004:
“Se dessimo un colore ad ogni attività umana, all’economia, alla sanità, alla
comunicazione, all’arte, al lavoro culturale, alla amministrazione della giustizia… la
politica non avrebbe un colore, sarebbe lo sfondo, il nero, che fa risaltare tutti gli altri
colori.” (archivio Movimento dei focolari)
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