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O
G. MARRUCHELLA1, M. MASEKE2, M. SCACCHIA1
1
Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Abruzzo e Molise “G. Caporale”, Campo Boario,
64100 Teramo, Italia
2
Central Veterinary Laboratory, Ministry of Agriculture, Water and Forestry, Windhoek, Namibia
RIASSUNTO
La peste suina africana è attualmente considerata la più grave minaccia sanitaria per la suinicoltura mondiale. Nel presente articolo si descrive un focolaio di peste suina africana osservato nell’ambito delle attività di cooperazione internazionale svolte
in Namibia dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Abruzzo e Molise “G. Caporale”. L’occasione è utile per sottolineare
le principali caratteristiche epidemiologiche ed anatomo-patologiche della peste suina africana in Africa, che vengono qui documentate e risultano estremamente importanti ai fini diagnostici.
PAROLE CHIAVE
Suino, peste suina africana, lesioni, epidemiologia.
INTRODUZIONE
MATERIALI E METODI
La peste suina africana (PSA) è una malattia infettiva altamente contagiosa dei suidi sostenuta da un complesso virus a
DNA lineare bicatenario, African Swine Fever Virus (ASFV),
attualmente considerato l’unico membro della famiglia Asfarviridae. Originaria del continente africano ed osservata per la
prima volta in Kenia nel 1910 in seguito all’introduzione di
suini domestici dall’Europa, la PSA è attualmente considerata la più grave minaccia sanitaria per la suinicoltura mondiale, a motivo del suo devastante impatto socio-economico e
per l’assenza di vaccini di provata efficacia1,4,9,11.
Come suggerirebbe la sua stessa denominazione, la PSA è
stata a lungo considerata una malattia esclusiva del continente africano e di rilevanza marginale per la zootecnia europea. Tuttavia, a partire dalla metà del secolo scorso, la PSA
ha fatto la sua comparsa a più riprese in Europa: Spagna,
Portogallo, Belgio, Francia, Malta, Olanda, Italia. In Europa,
la PSA è stata eradicata con successo grazie a rigorosi piani di
controllo, con la sola eccezione della Sardegna, dove l’infezione è tuttora endemica nella popolazione domestica e selvatica3,6,11. Nel 2007, la malattia è ricomparsa in Georgia - in
prossimità del porto di Poti, sul Mar Nero - per coinvolgere
successivamente Armenia, Azerbaijan, Iran, Russia, Ucraina,
Polonia e Lettonia. Tali eventi hanno drasticamente modificato la situazione epidemiologica della PSA in Europa orientale, destando grande preoccupazione e mettendo a serio rischio la produzione suinicola dell’intero continente2,3,7,8,9.
Nel presente articolo si descrive un focolaio di PSA verificatosi in Namibia ed osservato nell’ambito delle attività di cooperazione internazionale dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Abruzzo e Molise “G. Caporale”, con particolare
riferimento alle lesioni di maggiore significato diagnostico.
Il focolaio di PSA oggetto di indagine si è verificato nel distretto di Omaruru in Namibia (Africa sud-occidentale) ed
ha coinvolto un piccolo allevamento suinicolo, composto da
circa 100 capi di varie classi di età. L’allevamento era situato
all’interno di un’azienda venatoria, nelle immediate vicinanze di un piccolo mattatoio ad uso privato dove erano stati recentemente stabulati e macellati dei facoceri (Phacochoerus
africanus). Da rimarcare il fatto che le pelli dei facoceri macellati - sulle quali era ben visibile la presenza di zecche - erano state provvisoriamente stoccate in prossimità dei box che
ospitavano i suini domestici.
Le manifestazioni cliniche sono comparse improvvisamente
ed hanno coinvolto suini di ogni classe di età: anoressia, apatia, depressione del sensorio, ipertermia, emorragie cutanee.
Al momento della prima visita clinica, circa una ventina di
suini erano già deceduti dopo aver mostrato il quadro appena descritto.
Due suini sono stati sottoposti a necroscopia ai fini diagnostici. Una vasta gamma di tessuti sono stati campionati, fissati in formalina e processati come di routine per le successive indagini istopatologiche.
Campioni di tonsilla e milza sono stati inviati al “Onderstepoort Veterinary Institute” (OVI, Pretoria, Repubblica del Sudafrica) per la conferma diagnostica mediante immunofluorescenza diretta e reazione a catena della polimerasi, seguendo i
protocolli previsti dal “Manual of Diagnostic Tests and Vaccines
for Terrestrial Animals” del Office International des Epizooties.
Autore per la corrispondenza:
Massimo Scacchia ([email protected]).
RISULTATI
In sede necroscopica, i suini hanno mostrato gravi ed estese
lesioni sistemiche a carattere emorragico. Alcune delle lesioni di maggior interesse sono state documentate fotograficamente (Figg. 1-9) e vengono più dettagliatamente descritte
nelle relative legende. Istologicamente, il quadro è stato do-
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minato da lesioni a carattere emorragico di recente insorgenza, associate ad alterazioni regressive dei vari parenchimi.
Di particolare importanza le lesioni a carico dei distretti linfatici, caratterizzate da imponente carioressi linfocitaria.
Le indagini di laboratorio eseguite presso l’OVI hanno confermato il sospetto diagnostico. Il sequenziamento parziale
del genoma virale ha evidenziato significative similitudini
con i ceppi di ASFV (genotipo I) a suo tempo identificati in
Portogallo. A seguito di ciò, il focolaio di PSA è stato estinto
mediante abbattimento e distruzione dell’intero effettivo.
DISCUSSIONE
L’epidemiologia e le manifestazioni clinico-patologiche della
PSA sono profondamente influenzate dal contesto geografico.
In Africa, il facocero è considerato il più importante reservoir
di ASFV, in virtù della sua vasta diffusione e delle caratteristiche ecologiche che ne favoriscono il contatto con le zecche appartenenti al Ornithodoros moubata complex (vettori biologici di ASFV), sostenendo in tal modo il “ciclo silvestre” d’infezione. I meccanismi di diffusione del contagio fra animali selvatici e domestici sono tuttora oggetto di discussione. In vaste
aree del continente africano, la trasmissione indiretta mediata
dalle zecche è da ritenersi la più verosimile, soprattutto quando facoceri e suini condividono gli stessi spazi3. Pertanto, l’episodio qui descritto rappresenta lo scenario epidemiologico
“tipo”, perlomeno nelle regioni dell’Africa meridionale.
Ovviamente, le modalità di trasmissione dell’infezione condizionano le strategie di controllo dell’infezione. Nel biennio
2009-2011 la PSA è stata documentata in almeno 26 Paesi africani ed in molti casi la sopravvivenza di ASFV viene efficace-
mente assicurata dal ciclo silvestre d’infezione. In tali condizioni è impensabile l’attuazione di piani di eradicazione e la
profilassi non può che basarsi sul rispetto di misure elementari di biosicurezza, che impediscano il contatto dei suini domestici con i vettori biologici ed i serbatoi naturali d’infezione.
Tuttavia, negli ultimi decenni l’infezione è divenuta endemica
anche nelle popolazioni di suini domestici di molti Paesi africani, dove al ciclo silvestre si sovrappone la trasmissione del
contagio attraverso la movimentazione di animali infetti e/o
di prodotti di origine animale contaminati, configurando uno
scenario più vicino a quello vissuto in Europa3,4,10.
A partire dal 1995 si è osservato un progressivo aumento dei
focolai di PSA in Africa, e più in particolare nelle regioni dell’Africa occidentale. Non si può escludere che tale incremento, associato alla globalizzazione dei mercati ed alla crisi economica, abbia potuto contribuire alla reintroduzione della
PSA in Europa3. A tal proposito, le indagini biomolecolari
(“epidemiologia molecolare”) potrebbero fornire informazioni utili. Ad oggi, sono stati identificati 22 genotipi di
ASFV, tutti presenti in Africa seppur con differenti pattern di
distribuzione3,5. Il genotipo I è stato a lungo il solo responsabile di focolai in Europa ed America, fino alla recente introduzione del genotipo II in Georgia. Il sequenziamento parziale di geni target di ASFV indica che il “ceppo georgiano” è
strettamente correlato con virus circolanti in Mozambico,
Madagascar e Zambia; è verosimile che il trasporto navale di
carni contaminate ed il loro impiego nell’alimentazione dei
suini siano stati all’origine dell’evento epidemico3.
La PSA è solitamente caratterizzata da elevati tassi di morbilità e mortalità, associati a rapida diffusione del contagio, soprattutto in territori precedentemente indenni. Al contrario,
nelle regioni endemiche si osservano con maggior frequenza
Figura 1 - La mucosa laringea è intensamente emorragica e parzialmente ulcerata.
Le lesioni sono particolarmente gravi in corrispondenza dell’epiglottide. Il coinvolgimento della laringe è di comune riscontro
nelle pesti suine in forma acuta.
Figura 2 - Petecchie e soffusioni emorragiche sulla pleura viscerale. Lesioni emorragiche analoghe sono osservabili su tutte le
membrane sierose.
Figura 3 - In sezione, i linfonodi appaiono
congesti ed emorragici. La presenza di
emorragie sub-capsulari gli conferisce un
aspetto “marmorizzato”, più marcato nel
linfonodo alla destra. Nei casi più gravi, i
linfonodi possono assumere l’aspetto di veri e propri coaguli ematici.
Figura 4 - Emorragie in forma di petecchie
disseminate sulla superficie renale. Le petecchie renali si possono osservare in molte
malattie setticemiche e viremiche del suino.
Figura 5 - Emorragie a carico della pelvi
renale. Il coinvolgimento del bacinetto renale avvalora il sospetto di peste suina
africana.
Figura 6 - Petecchie disseminate sulla
mucosa del colon. La rapida evoluzione del
processo non consente lo sviluppo delle ulcere “a bottone” del colon.
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Figura 7 - Estese emorragie ed edemi pancreatici e peri-pancreatici, di riscontro occasionale in corso di PSA acuta.
forme sub-cliniche o croniche di PSA, probabilmente legate
alla presenza di stipiti meno virulenti di ASFV, allo sviluppo
di una immunità di popolazione o ad un certo grado di “resistenza genetica” di alcune razze suine1,3,11. L’episodio qui descritto rappresenta un tipico esempio di PSA a decorso acuto.
In questi casi, l’esame necroscopico è estremamente utile per
formulare un fondato sospetto diagnostico e realizzare tempestivamente tutti gli interventi atti a limitare la diffusione
del contagio e, conseguentemente, l’impatto economico della
malattia11. Dal punto di vista anatomo-patologico, la PSA va
posta in diagnosi differenziale con altre malattie emorragiche
del suino: peste suina classica (“europea”), mal rosso, salmonellosi in forma setticemica, sindrome dermatite-nefrite, porpora trombocitopenica, intossicazione da dicumarolo1,11. Tuttavia, i dati anamnestici ed epidemiologici (nel caso specifico
il contesto geografico ed il contatto con suidi selvatici) sono
sempre di grande ausilio per indirizzare correttamente l’iter
diagnostico e le indispensabili indagini di laboratorio.
CONCLUSIONI
La PSA è considerata una delle più importanti malattie transfrontaliere e continua a condizionare pesantemente l’allevamento suinicolo e gli scambi commerciali di prodotti alimentari a base di carni suine, soprattutto a causa della recente epidemia in Europa orientale e della persistente mancanza di vaccini efficaci. L’episodio di PSA qui descritto costituisce un’occasione utile per richiamare l’attenzione sulle
principali caratteristiche epidemiologiche ed anatomo-patologiche utili ai fini diagnostici.
❚ When african swine fever plays at
home - Description of an outbreak
in Namibia
SUMMARY
Introduction - African swine fever (ASF) is regarded as the
most serious health threat to the global pig industry and is
caused by a complex linear double-stranded DNA virus (ASF
virus, ASFV), currently classified as the only member of the
family Asfarviridae.
Aim - To describe an outbreak of ASF, which occurred in Namibia and was managed during international co-operation
therein carried out by the Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Abruzzo e Molise “G. Caporale” (Teramo, Italy).
Materials and methods - The ASF outbreak occurred in the
district of Omaruru (Namibia) and affected a small swine
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herd consisting of about 100 pigs. The herd was part of a
hunting farm and was very close to a small abattoir, where
warthogs had been recently slaughtered.
Clinical signs suddenly onset and affected pigs of different
classes of age. Two pigs were necropsied for diagnostic purpose: histopathology, direct immunofluorescence and polymerase chain reaction.
Results - At necropsy, all pigs under investigation showed generalized hemorrhagic lesions. Microscopically, recently occurred hemorrhages were mainly observed, along with a severe lymphocytolysis in all lymphoid tissues. Laboratory investigations confirmed the diagnosis of ASF. The outbreak
was finally solved by stamping out.
Discussion - In Africa, ASFV infection strictly depends upon
the “sylvatic cycle”, which involves warthogs and ticks of the
Ornithodoros moubata complex. The mechanisms of transmission from wildlife and domestic pigs are still unclear, but
ticks most likely play a key role. Therefore, the ASF outbreak
described herein could represent the prototype of ASF in
southern Africa. In that region, ASFV eradication seems not
achievable and ASF control should focus on biosecurity measures. As in the present report, acute ASF usually occurs with
very high morbidity and mortality, at least in previously unexposed pigs. On the contrary, sub-clinical and chronic infections are more frequent in endemic areas. Pathological findings are extremely useful to diagnose and counteract ASF. A
number of hemorrhagic diseases should be considered in differential diagnoses. Anamnestic and epidemiological data prove to be helpful to correctly address the diagnostic process.
Conclusions - The recent outbreak in Eastern Europe further
confirms that ASF that is a serious transboundary disease,
which still negatively impacts the pig industry worldwide. Epidemiological and pathological features described herein are of
diagnostic value and of relevance to promptly counteract the
spreading and the economic impact of the disease.
KEY WORDS
Pig, african swine fever, pathology, epidemiology.
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