Lavoro e anzianità - appunti del convegno Vito Volpe Bologna, 26

Lavoro e anzianità - appunti del convegno
Vito Volpe
Bologna, 26 novembre 2012
Appunti del convegno
La vita si articola in stagioni, dalla nascita alla conclusione della nostra esistenza. Ogni
passaggio è anche una “nuova armonia”, una trasformazione. Anche se, all’interno di ogni
stagione, ci sentiamo definitivi.
Ognuno ha la vecchiaia che si merita, far qualcosa per gli altri fa sentire giovani.
La vita è oggi ben più lunga, e ciò è un grande bene, un dono che l’umanità ha fatto a se
stessa. Sono più lunghe l’infanzia e la giovinezza, l’età dello scoprire, della cura familiare e
della nostra crescita dunque (neutenia). Oggi l’individuo deve sempre più apprendere e
cambiare… Passa da una fase all’altra della vita, deve espatriare e costruire nuove
relazioni, nuove condizioni di vita. È più lunga la vecchiaia, che non può più essere solo un
alone della vita adulta (produttiva)… ma una nuova vita con valori, interessi, speranze in
sé, non solo una nostalgia del passato o una speranza escatologica.
Non siamo esseri conclusi anche se la nostra vita può forse finire. Di certo partecipiamo
ad una eternità terreno che non è individuale, ma sociale. I cittadini muoiono, lasciano
questa terra, ma la città resta, continua… è una eternità. Le istituzioni conservano la
nostra esistenza, la superano. Le istituzioni si alimentano delle nostre passioni, anche del
nostro narcisismo (pensare a sé…), ma vanno oltre.
Chi pensa che il mondo nasca con la sua nascita e si concluda con la sua esistenza, non
lascia nulla, muore totalmente e con lui ciò che ha contribuito a costruire: i costrutti
relazionali, linguistici, culturali, sociali, istituzionali…La vecchiaia è dunque il tempo
dell’eredità, del patrimonio, dell’andare oltre il proprio viaggio e costruire una prospettiva
per gli altri, per gli eredi, per il futuro. Siamo più vivi, più felici quando abbiamo speranza
e costruiamo legami con i giovani, con il futuro, quando scopriamo ancora…, sapendo che
è più facile lasciare l’eredità che accettarla… è più facile donare che accettare i doni… e
poi non sempre l’eredità è un bene… da prendere a scatola chiusa. C’è anche la faida,
l’inflazione, le infezioni… (oltre sé, cioè l’altro, l’oltre)
L’amore è rivolto al futuro (un uomo e una donna costruiscono l’eternità) ed un futuro di
bellezza si costruisce cercando il bene. Chi cerca il bene sta già bene.
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Appunti del convegno
La vecchiaia non è solo nostalgia, non è solo ricordo. È, paradossalmente, cercare, di
costruire futuri, progetti, speranze e con ciò essere noi stessi più eterni. Questa è però
una prospettiva istituzionale, sociale… non individuale.
Chi cerca la fine è già finito, è concluso
Chi cerca il futuro è già futuro
Chi cerca il bene sta bene
La vecchiaia è felice quando ha scopi, obiettivi che vanno ovviamente oltre sé e
costruiscono un “bene comune”, che può sopravvivere a se stessi. Una buona vecchiaia è
andare oltre la propria immanenza, sentirsi comunità, Chiesa e partecipare alla sua
eternità, ai suoi scopi. La buona vecchiaia può essere solo generativa, non narcisistica;
generosa, non avida ed egoista. E’ necessaria l’economia del dono che libera, non
l’economia del debito che obbliga…
Il rapporto con il lavoro
Energia  Scopi
Energia > Scopi (collasso, implosione, frustrazione)
Energia < Scopi (fatica, abbandono, inconcludenza)
Il rapporto con il lavoro è un rapporto energia/scopi. Se si condividono gli scopi, il lavoro
non è fatica e genera benessere per chi lo fa e per chi ne fruisce - il valore del lavoro e il
lavoro come valore.
Oggi bisogna parlare di lavori e collocare il lavoro nel passaggio, nell’expatrio, nella
formazione, nella trans-formazione. Il lavoro per gli anziani può essere una grande
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Appunti del convegno
ricchezza, una grande scuola, se non è un’appendice del lavoro che conta, ma è un lavoro
che conta in sé.
Il lavoro benestante è condiviso negli scopi, non solo nella retribuzione. Questa può anche
essere minore, ma non può essere estraneo al lavoro. Un lavoro alienante è un po’ triste
per un anziano. Lo nega nei suoi significati, nel senso. Un lavoro generativo è generoso
perché è più chiaro il suo essere un po’ dono e parimenti impegno oltre sé.
Si tratta si riproporsi il tema dell’uomo giusto al posto giusto, per l’età giusta, per il salario
giusto. Una remunerazione diversamente soddisfacente, per un lavoro diversamente
utile…non servono solo i giovani biondi con occhi azzurri e 110 lode.
Le “pantere grigie” evocate da Federico Rampini, l’anzianità come maturità e competenza
(atleti ottuagenari). Non sprechiamo energie ed esperienze.
Il paradosso di oggi è che: è stretto l’ingresso dei giovani nel lavoro e stretta è ora anche
l’uscita degli anziani. Trattare male gli anziani è colpire il futuro dei giovani, ma giovani e
anziani sono una condizione relativa – esistono tante giovinezze e tante anzianità.
Si può parlare di passaggi e oggi l’anzianità nel lavoro è molto diversa proprio per la
mobilità e per l’obsolescenza. Per me anziano è chi non vuole più imparare, non è più
capace di apprendere, di cambiare, di lottare... Nel lavoro bisogna perciò pensare ai
giovani e agli anziani come un differenziale di competenze, ad un differenziale retributivo e
non certo come un conflitto generazionale che può essere ± virtuoso, ± disarmonico, ±
conflittuale. Se gli scopi sono buoni, l’energia c’è.
Le giovani generazioni sono i nostri figli e nipoti…
Non è perciò solo una questione pensionistica, né cronologica. Andare in pensione può
essere una fuga da un lavoro ingrato…ma può anche essere un uscire da un lavoro
appassionante. È triste voler abbandonare il proprio lavoro, esserne espulsi o accantonati.
Ci sono anche lavori che non si fermano mai (long life learning). Se pure è certo che
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l’anzianità e la vecchiaia “stagioni” con loro proprie caratteristiche psicologiche e fisiche
che non vanno mai armonizzate.
La giovinezza sta nella condizione e nella qualità del lavoro, che non è un dettame
legislativo, ma un grande progetto. È triste e umiliante un brutto lavoro per un anziano più
ancora che per un giovane. Un’anzianità lavorativa felice è quella di chi non smette di
apprendere, di condividere, di scambiare, di essere considerata, non “rottamata”.
Non un peso, ma un’energia competenze, esperta, più generosa e solidale (perché meno
competitiva) a servizio della Società. Fare qualcosa per gli altri fa restare giovani. Gli
anziani come costruttori di futuro.
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