Recitazione, trattati e copioni a confronto: come si leggono i copioni dei grandi attori italiani dell’Ottocento Anna Sica Lezione alla Scuola di Dottorato in musica e spettacolo, Università la Sapienza di Roma, martedì 16 febbraio 2016. Introduzione Il ritrovamento e la successiva ricomposizione della biblioteca privata di Eleonora Duse a Cambridge, la cui catalogazione è stata il presupposto per tentare di tracciare un sommario ma complessivo profilo intellettuale della grande attrice italiana, quale lo ho proposto nel mio The Murray Edwards Duse Collection (Mimesis, 2012), hanno altresì posto le premesse per una ricerca di più ampio respiro, della quale ho già comunicato i primi risultati nei volumi La drammaticametodo Italiano: trattati normativi e testi teorici (Mimesis, 2013) e in The Italian Method of la drammatica (Mimesis, 2014), che mi piacerebbe contribuissero ad un ripensamento della storia della recitazione e delle pratiche sceniche degli attori italiani dell’Ottocento. Già nella prima fase dello studio di quel fondo si poteva intravvedere che la cultura letteraria e teatrale della Duse si muoveva all’interno di un sistema di recitazione dall’architettura geometrica, incompatibile con quello che si è a lungo creduto sia stato il suo stile, contraddistinto cioè dalla esibizione diretta della sua individualità, irripetibile nella sua verità, trasfusa nel personaggio con tutti i suoi nervi, le sue private ed intimissime passioni ed avversioni. I libri di Cambridge ci offrono indizi cospicui che consentono di ricostruire le sue pratiche sceniche e di individuare gli elementi fondativi dell’interpretazione dei testi che recitò. Le sigle declamatorie, da lei apposte nel libro-copione della Mirra di Alfieri, sono state le prime tracce che mi hanno indirizzata a indagare la drammatica – metodo italiano, della quale ella fu – come adesso mi è possibile con buoni argomenti affermare – uno degli esponenti massimi. Ancorché sufficiente a dare un’idea del complesso impianto teorico della drammatica usata dalla Duse, la sua biblioteca mi rinviava tuttavia ad altre fonti a mano a mano che l’interesse si spostava dalle sue letture per concentrarsi sulla sua recitazione, per la quale si trattava di volgersi ai copioni siglati dall’attrice per comprendere le forme ed i significati delle sue interpretazioni. Alcuni dei trattati normativi da me esaminati contengono infatti esercizi, procedimenti, regole e chiavi tabellari di decrittazione dei simboli e delle sigle, che consentono di decifrare i segni apposti nei copioni pervenutici sia di Eleonora Duse sia di altri grandi attori dell’Ottocento italiano, e come vedremo non soltanto italiano, che applicarono i precetti della drammatica. Incamminandomi sulla via di questa ricognizione ho cercato di seguire certe indicazioni programmatiche proposte da Claudio Meldolesi negli anni Ottanta. All’epoca il compianto studioso ebbe a discorrere della storiografia teatrale, che – ammoniva – non può non essere storiografia dell’attore, e raccomandò di non trascurare nessuno dei documenti che variamente informano sulla recitazione dell’attore, utili o inutili che appaiano. Essi rappresenterebbero infatti la materia primaria della storiografia teatrale, la quale, senza la ricostruzione del lavoro dell’attore, resterebbe mutila. La storiografia teatrale non dovrà contentarsi dei resoconti degli spettatori, nemmeno di quelli esperti o illustri come i critici, ma avrà da trovare e indagare le ragioni di quelle critiche, che altro non sono che memorie. Queste, per quanto importanti, restano pur sempre ‘materiale di 1 sostegno’, soltanto indizi per rintracciare le prove di una pratica, che ha trasformato un attore in una straordinaria voce del suo tempo.1 Lo studio congiunto e parallelo dei trattati e dei copioni siglati, quella materia primaria cui Meldolesi in ultima analisi alludeva, ci restituisce oggi il sistema di recitazione del Grande Attore dell’Ottocento italiano, e con questo l’orgogliosa consapevolezza nazionale che fin da principio il metodo ha rivendicato nel confronto con le tradizioni teatrali delle altre nazioni europee, grandi nel teatro perché istruite dagli Italiani. Furono gli attori stessi gli ideatori ed i teorici della loro arte e fu loro la convinzione che la drammatica dovesse essere considerata arte nazionale e, come tale, coltivata e trasmessa nelle Accademie di recitazione. Nei trattati ritroviamo vivo il sentimento d’italianità che animò gli anni del Risorgimento, i quali coincisero con il momento della massima diffusione e del rinnovamento del metodo italiano. Se l’Improvvisa si era affermata come arte dei commedianti italiani, la drammatica – metodo italiano considerò se stessa l’espressione artistica più alta e raffinata del nuovo Stato nazionale, quello ancora agognato e quello via via realizzato. Il codice della drammatica era composto di simboli declamatori, che segnavano gradi, toni e modulazioni così come sono stati decifrati analizzando i copioni degli attori, che ci sono pervenuti. La decifrazione del codice suggerisce una nuova lettura della storia del teatro italiano ed europeo della tradizione come della contemporaneità. Lo studio delle sigle declamatorie ha infatti permesso di svelare il segreto di un’arte dimenticata, che pure ha entusiasmato le platee di tutto il mondo, scrivendo un capitolo impareggiabile della storia del teatro. In base alle dirette attestazioni degli attori, la vicenda della drammatica è periodizzabile in tre fasi o tappe distinte: la classica, la romantica e la neoclassica. L’epoca classica, o dell’antica Rappresentativa, è databile tra il 1728 ed il 1821, a partire cioè dalla pubblicazione dell’Arte Rappresentativa di Luigi Riccoboni fino alla fondazione della Reale Compagnia Sarda. L’età romantica è quella della riforma o del novo stile ovvero della nuova rappresentativa o drammatica e coincide soprattutto, anche se solo in parte, con il trentennio di vita della Reale Compagnia. Un nuovo cambiamento d’indirizzo della Rappresentativa si ha negli anni Settanta, quando si afferma la tendenza neoclassica, che fu detta anche degli individualisti estetizzanti, e tramonterà intorno al 1918. A questa fase corrisponde il trentennio di direzione di Luigi Rasi della Reale Accademia di recitazione di Firenze. I maggiori interpreti di quest’ultima drammatica sono stati Tommaso Salvini, Luigi Rasi ed Eleonora Duse. Se Modena aveva riformato l’Antica in uno stile novo, da questo in modo particolare Eleonora Duse aveva poi tratto ispirazione per accentuarne, come emerge dai suoi copioni, la complessità. Lei, ‘la tragica sapiente’, appellativo che le fu dato da Gabriele d’Annunzio, una delle attrici più celebrate della storia del teatro, a quanto si legge nella corrispondenza di alcuni attori che lavorarono nella sua compagnia, ingaggiava solo chi avesse appreso il metodo all’Accademia di Firenze. Gli allievi di Rasi sono stati l’ultima generazione di attori ed attrici che acquisirono i precetti declamatori in Accademia. Le scuole nazionali di teatro esclusero in seguito la declamazione dal loro programma didattico; ciononostante le antiche norme di quella che fu indicata dagli stessi attori la prima arte nazionale del giovane Stato Italiano furono tramandate da attore ad attore per ancora un quarantennio dopo la morte di Rasi. La tragica sapiente pare che sia stata la prima a suggerire a Stanislavkij la necessità di regole che foggiassero i suoi attori ad apparire spontanei in scena. Ma ciò che Stanislavskij vide guardando recitare Eleonora Duse o altri grandi attori italiani, che debuttarono sui palcoscenici russi di fine Claudio Meldolesi, ‘L’attore, le sue fonti e i suoi orizzonti’, è stato pubblicato in Claudio Meldolesi, Pensare l’attore, a cura di Laura Mariani, Mirella Schino, Ferdinando Taviani, Roma, Bulzoni Editore, 2013, pp. 79-90. 2 1 secolo, tra cui Tommaso Salvini, Giovanni Grasso e Luigi Rasi, non era un approccio al personaggio di tipo intuitivo. Al contrario, ciò che Stanislavkij definì come ‘gloriosa e impareggiabile intuizione’ era in realtà il complesso metodo della modulazione della voce che richiedeva anche una ampia erudizione. E ciò che Stanislavskij raggiunse a conclusione di una lunga ricerca fu quella di fissare un repertorio di regole che gli consentissero di imitare la naturalezza che la grande tragica otteneva grazie alla sua sapiente applicazione del metodo italiano. Nel dicembre del 1907 la Duse recitò in Russia con un repertorio che includeva anche le opere che d’Annunzio aveva scritto per lei. Stanislavskij come molti altri artisti e scrittori del tempo l’ammirarono molto così come avevano già fatto dodici anni prima durante la sua prima tournee a Mosca e a San Pietroburgo. Giovanni Pontiero in Eleonora Duse: In life and Art ricorda che Stanislavkij riconobbe di avere un debito di riconoscenza nei riguardi della Duse. Il regista russo giudicò l’attrice e gli altri grandi attori italiani molto convincenti per il sapiente uso della dizione e del gesto, e soprattutto rimase colpito dalla loro straordinaria e insuperabile semplicità. Tuttavia, se da un lato sembra che egli comprendesse come il loro perfetto uso della dizione e del corredo mimico fosse costantemente alimentato, non capì però che esso veniva nutrito con una tecnica rigorosa. Stanislavskij presunse che raggiungessero per intuizione quello stile creativo che attori comuni solamente riuscivano a raggiungere dopo anni di lavoro. Certamente, ora siamo in grado di affermare che Stanislavskij fraintese ciò che vide guardano recitare gli attori italiani. Ciò che apparentemente sembrava essere stato raggiunto dall’intuizione era invece proprio la parte di un complesso metodo di toni e intonazioni combinati sapientemente con la gestualità, e che determinava l’efficacia dell’elocuzione. Così pare che Stanislavskij abbia esplorato tutti gli elementi emozionali di una tecnica che analizza l’intimo dell’attore e del personaggio per raggiungere il risultato di una rincarnazione della recitazione dell’attore italiano. L’errore di Stanislavskij dunque risiederebbe nell’avere presunto che gli italiani raggiungessero per intuizione ciò che era invece il risultato di un metodo complesso. Stanislavskij annotò nella Mia vita nell’arte che, in modo particolare, Eleonora Duse e Tommaso Salvini erano attori di straordinario talento, ma comprese anche che essi possedevano indubitatamente un metodo ma non capì che la loro tecnica secreta era basata sull’abile combinazione della modulazione di cadenze e toni con gesti appositi. Ciò detto, si tratta ora di avvertire che la base della ricostruzione di questo sistema di recitazione ottocentesco è stata naturalmente la decifrazione di ogni sigla declamatoria e mimica. È infatti la collazione dei copioni e dei trattati che mi ha consentito di decifrare tutte le sigle declamatorie dei copioni di Eleonora Duse e di eseguire, con il corretto grado e tono della voce, la concertazione delle modulazioni presenti nei copioni superstiti. La drammatica-metodo italiano è un sistema di recitazione dimenticato, che tuttavia ha critto una delle pagine più belle del teatro italiano. Il termine drammatica, riferito ad un novo stile o ad un metodo italiano lo ritroviamo sia nei trattati sia nella memorialistica e , non di rado, entro la formula drammatica metodo italiano in diari e lettere di attori. La decodificazione del complesso codice di sigle declamatorie ci permette di leggere i copioni siglati pervenutici, recuperare l’interpretazione dei grandi attori, e recuperare anche la concatenazione dei toni e dei gradi della voce che serviva al Capocomico di dirigere gli attori in scena. La prima volta che vidi un campione dei simboli declamatori della drammatica è stato quando ebbi tra le mani la copia di Eleonora Duse della Mirra. All’epoca, era l’inverno del 2008, lavoravo a 3 Cambridge nel tentativo di ricostruire la biblioteca privata della grande attrice, che tutti avevano creduto che si fosse perduta durante la prima guerra mondiale. In quei giorni credevo di avere trovato l’oro nascosto della Duse, quell’oro al quale l’attrice si era sempre riferita nelle sue lettere alla figlia Enrichetta, Arrigo Boito e ad altri pochi, la sua biblioteca. Mi sbagliavo ! Avevo sì ritrovato l’oro della Duse ma non avevo allora ancora capito che quel fondo sepolto appartenuto alla grande tragica sapiente custodiva la chiave per aprire la porta che immetteva nella via che mi avrebbe permesso di ricostruire la forma e la tecnica della drammatica-metodo italiano. Ora so che i segni in inchiostro nero presenti ai margini della pagina 247 alla pagina 265 della Mirra sono sigle declamatorie della drammatica Lo compresi dopo avere confrontato quei segni con le tavole declamatorie di Lorenzo Camilli nel suo trattato Fonografia (1852). Quello è stato l’inizio di una avventura di ricerca straordinaria che mi ha permesso di svelare i secreti della recitazione dusiana: la declamatoria e la direzione degli attori. Oggi , siamo in grado di confermare le differenze vocali e tecniche dei tre stili della drammatica: la neo-classica di Eleonora Duse era ‘modulata’, e si distingueva da quella classica della Adelaide Ristori che risultava ‘urlata’ e da quella romantica di Tommaso Salvini che presentava distintamente una tonalità ‘ritmica’. 4