Più persona meno Stato

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25 febbraio 2005
Più persona meno Stato
La preoccupazione prima e fondamentale di Antonio Rosmini è stata quella di «stabilire il valore della
persona individuale umana, tenendo tuttavia ben presente la profonda caratteristica, che egli attribuisce alla
stessa individualità umana, di essere cioè essenzialmente sociale, ossia di essere per natura in società con Dio
e con tutti gli altri uomini». Questo ha affermato, tempo addietro, Giuseppe Bozzetti. Il soggetto è, per
Rosmini, «un individuo senziente, in quanto contiene in sé un principio attivo supremo»; è un principio che
sente, intende e vuole. È principio in quanto sorgente di iniziative; è un principio “supremo” nel senso di non
essere subordinato a nessun altro principio. È la volontà intelligente che fa dell’individuo una persona; e da
ciò discende che «tutte le azioni fatte col concorso dell’intelligenza sono azioni personali» (U. Muratore).
È necessario poi subito sottolineare che, per Rosmini, risulta cruciale - esattamente in relazione alla
persona - la questione della proprietà. Critico dell’economicismo e del socialismo, Rosmini ebbe chiarissimo
il nesso che unisce la proprietà alla libertà della persona. «La proprietà - afferma Rosmini nella Filosofia del
diritto - esprime veramente quella stretta unione di una cosa con una persona […]. Questa specie di unione
che si chiama proprietà cade sempre dunque tra la persona e la cosa e racchiude un dominio di quella sopra
questa. La proprietà è il principio della derivazione dei diritti e dei doveri giuridici. La proprietà costituisce
una sfera intorno alla persona, di cui la persona è il centro: nella qual sfera niun altro può entrare». Da qui
l’imperativo di rispettare l’altrui proprietà: il rispetto dell’altrui proprietà è il rispetto della persona altrui. La
proprietà privata è uno strumento di difesa della persona dall’invadenza dello Stato.
Per Rosmini, «le persone sono principio e fine dello Stato. Sono esse che costituiscono, che assegnano
lo scopo e i limiti, per cui lo Stato e tutti gli organi statali sono dei semplici mezzi per le persone che ne sono
realmente il fine». E, d’altra parte, principio e fine dello Stato, le persone sono solo esse ad essere
responsabili di quanto accade nella società e, più precisamente, all’interno delle diverse istituzioni sociali.
Commenta Pietro Piovani: «Rosmini appare come il più deciso oppositore della collettivizzazione della
responsabilità dell’individuo, come l’avversario irriducibile della creazione di un nuovo soggetto
d’imputabilità della società». Da parte sua, Mario D’Addio nella Introduzione alla nuova edizione della
Filosofia della politica (Città Nuova, Roma, 1997) scrive che «come per Platone anche per Rosmini la
società politica è l’uomo in grande, ma non nel senso organicistico e naturalistico del grande filosofo greco,
ma nella prospettiva cristiana della individualità e spiritualità dell’uomo, considerato essenzialmente come
attività, che fa la società per realizzare la sua personalità».
Dunque, persona e Stato: fallibile la prima; mai perfetto il secondo. Ecco una famosa pagina della
Filosofia della politica: «Il perfettismo, cioè quel sistema che crede possibile il perfetto nelle cose umane, e
che sacrifica i ben presenti alla immaginata futura perfezione, è effetto dell’ignoranza. Egli consiste in un
baldanzoso pregiudizio, pel quale si giudica dell’umana natura troppo favorevolmente, se ne giudica sopra
una pura ipotesi, sopra un postulato che non si può concedere, e con mancanza assoluta di riflessione ai limiti
naturali delle cose».
Il perfettismo è «effetto dell’ignoranza» e frutto di un «baldanzoso pregiudizio». Il perfettista ignora il
«gran principio della limitazione delle cose». Egli non si rende conto che la società non è composta da
«angeli confermati in grazia», quanto piuttosto da «uomini fallibili». E l’umana fallibilità lascia la sua traccia
in tutti i nostri progetti. Di conseguenza risulta urgente non dimenticare che ogni governo «è composto di
persone che, essendo uomini, sono tutte fallibili».
Entusiasti della nefasta idea perfettista sono gli utopisti - «profeti di smisurata felicità», i quali, con la
promessa del paradiso in terra, si adoperano alacremente a costruire per i propri simili molto rispettabili
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inferni. L’antiperfettismo di Rosmini è intimamente connesso «a una sorta di nativa diffidenza nei confronti
dello Stato» (G. Campanini). E, difatti, «la concezione rosminiana dello Stato è anche la più radicale critica
della Statolatria» (C. Riva). Ma, in ogni caso, va sottolineato che dietro all’imperfettismo di Rosmini preme
la sua critica al «soggettivismo» del pensiero moderno, «soggettivismo» che elabora i suoi fasti nei pensatori
illuministi e che poi scatena la grande tragedia della Rivoluzione francese. La dea Ragione sta a
simboleggiare un uomo che presume di sostituirsi a Dio e di poter creare una società perfetta».
È sulla base del suo antiperfettismo che Rosmini avversa - in nome di una filosofia intenta a scrutare la
concretezza della vita associata - l’astrattismo di quei razionalisti ingenui e presuntuosi che vorrebbero
negare la storia e magari cancellare, sotto il segno di uno Stato onnipotente, quelli che si dicono «corpi
intermedi», come la famiglia o istituti - anch’essi esiti di sviluppo storico - come la proprietà. Famiglia e
proprietà rappresentano, agli occhi di Rosmini, «le due leggi fondamentali della società civile». Annota
Mario D’Addio: «Il richiamo alla genesi storica della società civile, come risultato del fare dell’uomo, vuole
significare una ulteriore più decisa denuncia delle concezioni astratte del giusnaturalismo che hanno ispirato
la rivoluzione francese in favore di un realismo che considera le istituzioni quali il risultato di un lungo
processo storico: la polemica burkiana, che ispira per tanti aspetti il pensiero politico della Restaurazione e
del liberalismo tocquevilliano, trova in Rosmini una sua precisa corrispondenza». Per dirla in altri termini,
Rosmini ha chiaro il fatto che costituzioni e istituzioni si sviluppano prima come comportamenti - magari
inconsapevoli - e soltanto in seguito vengono dichiarate esplicitamente leggi. La stagione in cui compaiono i
legislatori è la stagione «già splendida delle “politiche sociali”».
L’antistatalismo di Rosmini si configura - lo ripetiamo - come una precisa difesa della libertà e della
dignità della persona umana. «Calcolandosi gli uomini unicamente per quello che sono utili allo Stato, e
nulla in se stessi, essi vengono abbassati alla condizione di cose e privati del carattere di persone: sotto un tal
punto di vista, un branco di pecore può valere di più di un branco di uomini […]. Per noi l’uomo non è solo
cittadino: prima di essere cittadino, egli è uomo, e questo è il suo titolo imprescrittibile di nobiltà, questo
lo(?) rende maggiore a tutte insieme le cose materiali che compongono l’universo».
Comprendiamo così la rilevanza e l’impressionante attualità del pensiero di Rosmini. E
simultaneamente capiamo che l’avere emarginato le idee di Rosmini ha costituito un incalcolabile danno per
la cultura cattolica.
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MA ANTISERI TRACCIA LA MAPPA DEL PENSIERO CHE COSTRUISCE
LA NUOVA «SOCIETÀ APERTA»
È nel segno dell’urgenza il richiamo che Dario Antiseri ripropone al pensiero sulla “persona” di
Antonio Rosmini. Questa riflessione di Antiseri figura in un suo ponderoso saggio in due volumi, per
complessive 1912 pagine, pubblicate dall’editore Rubbettino (costo dei due volumi 65 euro), saggio
intitolato Ragioni della razionalità e suddiviso in due tomi, uno dedicato alle interpretazioni storiografiche,
l’altro alle proposte teoretiche. Su quest’ultimo piano Antiseri partendo dall’epistemologia e
dall’ermeneutica tocca numerose questioni delle scienze sociali, dell’educazione, del politico, della fede.
Nelle interpretazioni storiografiche il filosofo scandaglia un enorme fondale dove spiccano i nomi di
Kierkegaard, Wittgenstein, Popper, Gentile, toccando anche figure del pensiero contemporaneo italiano
come Prini, Mathieu, Colletti e altri. L’attenzione per Rosmini esalta la sua smagliante concezione della
persona e della libertà di fronte alla verità. Da questo capitolo pubblichiamo alcuni brani.
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E ROMA NE RICORDA LA FIDUCIA NELLA PROVVIDENZA DIVINA
A 150 anni dalla morte di Antonio Rosmini, avvenuta a Stresa, la congregazione da cui prende il nome
celebra questo anniversario con alcune iniziative disseminate in tutta Italia che domani trovano un punto
calamitante nel convegno «Abbandonare interamente se stessi nella divina provvidenza», che si tiene a
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Roma nella Basilica SS Ambrogio e Carlo al Corso, in via del Corso 437. Al convegno, che chiude la
Settimana Rosminiana, partecipano il sociologo Giuseppe De Rita, che svolgerà l’introduzione ai lavori,
seguiranno mons. Renato Boccardo con un intervento intitolato “la teologia della speranza”, p. Claudio M.
Papa sulla “fiducia di Rosmini nella provvidenza divina”. La prolusione sarà tenuta dall’onorevole Pier
Ferdinando Casini, presidente della Camera.
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