L`ermeneutica come comprensione delle forme della cultura

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5.
L’APPROCCIO AL SIMBOLO E ALLA METAFORA
PROPOSTO DA PAUL RICOEUR
MATERIALI PER IL SEMINARIO
DA PONTE M., L’ermeneutica come esperienza filosofica (appunti)
p. 2
DA PONTE M., Interpretare un testo(appunti)
p. 5
DA PONTE M., La metafora (appunti)
p. 7
Seminario Simbolo e metafora: un approccio alla filosofia ermeneutica
L’approccio al simbolo e alla metafora proposto da Ricoeur
1
5.
5.1
L’APPROCCIO AL SIMBOLO E ALLA METAFORA
PROPOSTO DA PAUL RICOEUR
L’ermeneutica come esperienza filosofica
5.1.1 L’ermeneutica come comprensione delle forme della cultura
La prospettiva con cui Ricoeur inquadra l’ermeneutica è per un verso altrettanto ampia di
quella con cui Cassirer inquadra le forme simboliche. Infatti, la filosofia delle forme simboliche
rappresenta una teoria delle formazioni dello spirito che costituisce una vera e propria analisi
delle forme con le quali l’uomo attribuisce senso all’esistenza (di fatto quindi è una “ermeneutica
dell’esistenza”, quantunque Cassirer sia legato a una visione ancora pre-fenomenologica e quindi
risenta di un lessico trascendentalista). L’ermeneutica è per Ricoeur l’elaborazione di una
“problematica dell’esistenza”1 in cui bisogna integrare all’approccio riflessivo (quello sul quale
secondo Ricoeur si mantiene la filosofia trascedentalista2) anche un approccio semantico. È
mediante “l’esegesi della sua vita”3 che il soggetto scopre di essere posto nell’essere prima
ancora di porsi e possedersi, cosicché “l’esistere rimane da cima a fondo un essere-interpretato”4.
Dunque, ciò che cambia non è l’ampiezza del campo, che comprende per entrambi
l’esistenza nelle sue più variegate configurazioni (in tutta la sua vastità), ma a cambiare è il ruolo
attribuito al soggetto:
• per Cassirer il soggetto è (kantianamente) il “legislatore delle forme simboliche”, è il
soggetto che conferisce senso alla sua esistenza (è un “interpretante”);
• per Ricoeur il soggetto è esso stesso interpretato e non più solo interpretante.
D’altra parte l’oggetto speciale dell’ermeneutica è costituito per Ricoeur da “una certa
architettura del senso” che si può chiamare senso duplice o senso molteplice, il cui ruolo consiste
nel “mostrare nascondendo” 5.
Proprio per questo, Ricoeur ritiene di dover attribuire alla parola simbolo un significato
più ristretto rispetto a quello usato da Cassirer, perché egli riconosce che Cassirer (e altri)
“chiamano simbolica ogni realtà fatta per mezzo di segni”6.
Per Ricoeur caratteristica precipua del simbolo è la presenza di un senso secondario o
indiretto che si aggiunge a un senso primario, quantunque possa venire appreso soltanto
attraverso quest’ultimo.
Nello stesso tempo si può notare che la definizione di simbolo usata da Ricoeur
sottintende che il simbolo rappresenti una sotto-categoria della categoria segno. Questo non
corrisponde però al modo in cui intende il simbolo Cassirer, per il quale esso non è propriamente
soltanto un segno, quantunque dotato di un senso più complesso, perché
• il segno potrebbe limitarsi a rinviare a un altro elemento sensibile;
• il simbolo, invece, si ha solo quando viene conferito un senso intelligibile a un
elemento sensibile.
1
P. RICOEUR, Il conflitto delle interpretazioni, trad. it. di R. Balzarotti, F. Botturi e G, Colombo, Jaca Book, Milano
1977, p. 24.
2
Ma si tratterebbe di vedere se è proprio così, perché Cassirer mostrerebbe che non è solo questo.
3
Ivi, p. 25.
4
Ivi.
5
Ivi, p. 26.
6
Ivi.
Seminario Simbolo e metafora: un approccio alla filosofia ermeneutica
L’approccio al simbolo e alla metafora proposto da Ricoeur
2
5.1.2 L’ermeneutica come riflessione
Il senso dell’ermeneutica, secondo Ricoeur, non è limitato alla semplice comprensione
delle forme oggettive della cultura, ma riguarda la comprensione di sé che l’uomo può mettere in
atto.
In questo senso l’ermeneutica si colloca anche sul piano, più elevato e più profondo
insieme, della riflessione sull’esistenza.
“Ogni interpretazione si propone di vincere una lontananza, una distanza tra l’epoca
culturale trascorsa alla quale il testo appartiene e l’interprete stesso. Superando questa distanza,
rendendosi contemporaneo del testo, l’esegeta può appropriarsi del senso: da estraneo che è, egli
vuol renderlo proprio, cioè farlo suo; attraverso la comprensione dell’altro egli cerca dunque di
ampliare la propria comprensione di se stesso. Ogni ermeneutica viene così ad essere,
esplicitamente o implicitamente, comprensione di se stesso per la via mediata della comprensione
dell’altro”7.
La riflessione sull’esistenza non può avvenire per via immediata, come ha cercato di fare
Cartesio. Raggiungere la conoscenza dell’ego cogito, nella sua purezza, attraverso un riflessione
che, come appunto suggeriva di fare il metodo cartesiano, cerca di mettere tra parentesi ogni
oggetto dell’esperienza e del pensiero, ogni determinazione particolare, si può rivelare
un’illusione.
“Io sono, io penso; esistere, per me, è pensare; io esisto in quanto io penso. Ma questa
verità è una verità vana, è come un primo passo che non può essere seguito da alcun altro passo,
fintantoché l’ego dell’ego cogito non ha affatto recuperato se stesso nello specchio dei suoi
oggetti, delle sue operazioni e finalmente dei suoi atti. La riflessione è un’intuizione cieca, se non
è mediata da quelle che Dilthey chiamava le espressioni in cui la vita si oggettiva.”8
La coscienza, così come la tradizione filosofica del razionalismo moderno l’ha presentata,
è un “posto vuoto”. Per di più, esso può essere stato riempito da una falsa immagine: “la
coscienza che si pretende immediata è in primo luogo «falsa coscienza»: Marx, Nietzsche e
Freud ci hanno insegnato a smascherare gli inganni”9. È da qui che nasce la denominazione che
accomuna questi tre grandi filosofi: “maestri del sospetto”, perché hanno insegnato che ciò che
viene considerato come quanto di più ovvio, l’ego, non è mai in realtà un ego puro, ma sempre
“un certo ego”, una immagine parziale e determinata dall’appartenenza di classe, dalla volontà di
potenza o dalle pulsioni e dalle figure dell’inconscio.
“Così, la riflessione deve essere doppiamente indiretta; in primo luogo perché l’esistenza
non è testimoniata che nei documenti della vita, ma anche perché la coscienza è in un primo
momento falsa coscienza, e bisogna sempre sollevarsi dalla malcomprensione alla comprensione
attraverso una critica correttiva.”10
7
Ivi, p. 30.
Ivi, p. 31.
9
Ivi.
10
Ivi.
8
Seminario Simbolo e metafora: un approccio alla filosofia ermeneutica
L’approccio al simbolo e alla metafora proposto da Ricoeur
3
5.1.3 L’ermeneutica come ontologia
L’ermeneutica è quindi necessaria anche per intendere il livello dell’essere, in particolare
l’essere dell’uomo. Questo essere è sempre un essere-interpretato e, per di più, interpretato
attraverso interpretazioni diverse.
Si raggiunge l’essere dell’uomo solo attraverso un’ermeneutica del linguaggio, perché è
attraverso il linguaggio che l’uomo costituisce se stesso e, contemporaneamente, dal linguaggio
viene costituito come uomo; si raggiunge l’essere dell’uomo solo attraverso un’ermeneutica
dell’inconscio, perché dal passato profondo dell’inconscio derivano le pulsioni e le figure che
modellano l’essere attuale dell’uomo; si raggiunge l’essere dell’uomo solo attraverso
un’ermeneutica dello spirito, perché questa consente di intendere come il senso del futuro che sta
davanti all’uomo modelli il suo presente.
Tutte queste sono, però, ermeneutiche in buona misura incompatibili l’una con l’altra;
perciò “noi scorgiamo qualcosa dell’essere interpretato soltanto in un conflitto delle
ermeneutiche rivali”11. Non possiamo perciò contare su un’unica ermeneutica unitaria, che ci
fornisca una sola e unitaria immagine dell’esistenza.
“Così, le più opposte ermeneutiche puntano verso le radici ontologiche della
comprensione, ciascuna a modo suo. Ciascuna, a modo suo, afferma la dipendenza del «sé»
dall’esistenza. La psicanalisi mostra questa dipendenza nell’archeologia del soggetto; la
fenomenologia dello spirito nella teleologia delle figure; la fenomenologia della religione nei
segni del sacro.”12
In conclusione, sebbene non sia possibile sfuggire alla “guerra intestina che le
ermeneutiche si fanno tra di loro”13, tuttavia ciò non significa che queste ermeneutiche siano
irrilevanti e trascurabili, che forniscano solo delle maschere dell’esistenza, delle incrostazioni,
fastidiose o divertenti secondo i casi, dietro e sotto le quali l’esistenza “in sé” attenda ancora di
essere raggiunta.
Nella dialettica delle diverse interpretazioni, e solo immergendosi in essa, si possono
riunire queste immagini che appaiono discordanti, rintracciando una figura.
“Ma questa figura coerente dell’essere che noi siamo, nella quale verrebbero ad
impiantarsi le interpretazioni rivali, non si dà in altro luogo che in questa dialettica. Soltanto
un’ermeneutica, istruita dalle figure simboliche, può mostrare che queste differenti modalità
dell’esistenza appartengono ad una problematica unica. Infatti sono i simboli più ricchi che alla
fin fine assicurano l’unità di queste molteplici interpretazioni; essi soli portano tutti i vettori,
regressivi e prospettici, che le diverse ermeneutiche dissociano. I veri simboli sono gravidi di
tutte le ermeneutiche, dell’ermeneutica che si volge verso l’emergenza di nuovi significati e di
quella che si volge verso il risorgere di fantasmi arcaici. In questo senso, […] dicevamo che
l’esistenza di cui può parlare una filosofia ermeneutica resta sempre un’esistenza interpretata: è
nel lavoro dell’interpretazione che essa scopre le modalità molteplici della dipendenza del sé, la
sua dipendenza dal desiderio, percepita in un’archeologia del soggetto, la dipendenza dallo
spirito, percepita nella teleologia, la sua dipendenza dal sacro, scorta nella sua escatologia. È
sviluppando un’archeologia, una teleologia ed una escatologia, che la riflessione annulla se stessa
come riflessione.
Così, si può ben dire che l’ontologia è la terra promessa per una filosofia che comincia
col linguaggio e con la riflessione; ma, come Mosé, il soggetto che parla e riflette può soltanto
scorgerla prima di morire.”14
11
Ivi, p. 33.
Ivi, p. 36.
13
Ivi.
14
Ivi, p. 37.
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L’approccio al simbolo e alla metafora proposto da Ricoeur
12
4
5.2
Interpretare un testo
5.2.1 Leggere è interpretare
Ricoeur intende il problema dell’interpretazione di un testo in modo differente rispetto a
Dilthey; egli non ammette, infatti, che ci sia una sostanziale equivalenza tra “spiegare” e
“comprendere”: la spiegazione, per Ricoeur, equivale all’operazione che sul testo viene condotta
dall’analisi strutturale, mentre la comprensione delinea un percorso che dalla struttura conduce
all’evento (quell’evento che il testo è nel momento in cui si propone all’interpretante) e al senso
del testo. La comprensione di un testo, perciò, non è un’operazione di spiegazione, ma è a tutti
gli effetti una interpretazione; essa si pone in analogia con l’esecuzione di una partitura
musicale: non si limita a una piatta riproposizione del contenuto semantico, ma si spinge fino a
mettere in evidenza le “possibilità semantiche”15 del testo (vale a dire ciò che il testo dice oltre se
stesso).
Leggere un testo, quindi, significa sempre interpretarlo.
L’elemento determinante per l’interpretazione è l’ingiunzione del testo, che vuole
orientare il nostro pensiero verso di sé per indicare la direzione che esso apre al nostro pensiero e
che procede oltre se stesso. In questo modo la lettura di un testo apre una situazione che è del
tutto simile a quella del parlare:
“[La lettura] completa il discorso del testo in una dimensione simile a quella della parola.
Ciò che qui conta della nozione di parola non è l’essere profferita: è l’essere un evento, un evento
del discorso, l’istanza del discorso […]. Le frasi del testo significano hic et nunc. Il testo
«attualizzato» trova un ambiente e un pubblico, riprende il suo intercettato e sospeso movimento
di referenza verso un mondo e verso dei soggetti. Il mondo, è il mondo del lettore; il soggetto, è il
lettore stesso. Potremmo dire che nell’interpretazione la lettura diventa come una parola. Non ho
detto «diventa parola» perché la lettura non equivale mai ad uno scambio di parole, ad un dialogo,
ma si completa concretamente in un atto che sta al testo come la parola sta alla lingua, cioè come
evento e come istanza di discorso. Il testo finora aveva solo un senso, cioè delle relazioni interne
e una struttura: ora possiede anche un significato, cioè una realizzazione in quel discorso che è
proprio del soggetto che legge; grazie al suo senso il testo aveva solo una dimensione
semiologica, ora, grazie al suo significato, ha una dimensione semantica.”16
Per capire la questione possiamo riprendere la relazione triangolare tra oggetto, segno e
interpretante:
l’oggetto
il segno
l’interpretante
è ora da intendersi come significato del testo già proposto
(letterale)
lo spessore semantico messo in evidenza dall’analisi strutturale
il complesso di interpretazioni prodotte dalla “comunità”
interpretativa ed incorporate nella dinamica del testo
Questa prospettiva ci aiuta a comprendere un elemento decisivo per assumere la
questione dell’interpretazione di un testo in tutta la sua profondità: un testo, infatti, contiene
anche le sue interpretazioni ed è perciò incompleto senza di esse. Esso , infatti, non contiene solo
quelle di cui in qualche modo il testo tiene già conto all’interno di ciò che ci sta proponendo in
quanto scritto, ma poiché un testo è comunque indirizzato verso un’interpretazione, in essa egli
15
16
P. RICOEUR, Dal testo all’azione. Saggi di ermeneutica, trad. it. di G. Grampa, Jaca Book, Milano 1989, p. 148.
Ivi, p. 149.
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L’approccio al simbolo e alla metafora proposto da Ricoeur
5
trova il suo compimento; senza l’interpretazione, che comunque viene esercitata da chi lo legge,
il testo perderebbe la sua destinazione, e il movimento dell’apertura di significati che egli è in
grado di provocare, rimarrebbe bloccato. Senza le sue interpretazioni, un testo perde gran parte
di ciò che vuole dire e rimane, per così dire, morto.
5.2.2 Il mondo del testo
Un testo propone sempre l’apertura verso il mondo; è una finestra fornita all’interpretante
affinché l’interpretante si rivolga al mondo e al suo stesso essere-nel-mondo.
Interpretare significa quindi ricevere le indicazioni che il testo fornisce: per questo
l’interpretare si interessa molto più a ciò che è mostrato anziché a ciò che è nascosto17; dobbiamo
rovesciare la prospettiva ordinaria del nostro approccio all’interpretazione, che non è per niente
un’arte misterica alla ricerca di qualcosa di occulto: le virtualità semantiche (cfr. sopra, p. 5),
dalle quali prende le mosse l’interpretare, sono manifestate nel testo, non occultate.
Per poter cogliere queste virtualità semantiche, però, il testo chiede al lettore uno
straniamento da sé verso la “cosa del testo”: il testo è dunque un vero e proprio interlocutore del
lettore, è dotato di una sua densità e presenza autonome, che chiamano in causa il lettore, non
tanto perché esso sia il prodotto di un altro soggetto che l’ha scritto, ma semplicemente per il
fatto che esso si presenta alla lettura. Un testo rimane in tutto il suo valore e provoca
l’interpretazione anche nel caso (frequente nei testi di una certa antichità) in cui ci rimanga
sconosciuta l’esistenza del suo autore. Si tratta, quindi, di abbandonare del tutto la prospettiva
ermeneutica del pensiero romantico, che ricercava una (impossibile) comunicazione tra due
menti e due anime, quella dell’autore e quella del lettore; dobbiamo invece entrare nell’ordine di
idee che il testo si è ormai staccato dal suo autore, fino a perderne per sempre ogni legame: il
testo non è la “voce” del suo autore; il testo è la voce di se stesso.
“Un testo non è un messaggio indirizzato a dei lettori conosciuti, è invece una sorta di
oggetto atemporale che si affianca al suo lettore; questo momento di atemporalità è essenziale alla
struttura dell’essere del testo.”18
Il senso di un testo non sta quindi in ciò che l’autore voleva dire; nella maggioranza dei
casi, poi, queste probabili intenzioni dell’autore non possono più essere ricostruite. “Il senso del
testo è nel testo”19.
Se così non fosse, dovremmo ritenere che solo il destinatario presunto cui si sia rivolto
Omero sarebbe in grado di interpretare le virtualità semantiche presenti nell’Odissea; oppure –
per fare un esempio ancora più evidente – che solo i membri della comunità dell’evangelista
siano in grado di interpretare le virtualità semantiche, ossia il messaggio salvifico, del vangelo.
In questo senso, un testo è una cosa.
“La cosa del testo mi stacca da me stesso così come è sfuggita al proprio autore e, nello
stesso tempo, la sua funzione è quella di realizzare me stesso come l’autore si è realizzato
scrivendo: a questo livello l’atto della lettura è simmetrico all’atto della scrittura; sono, infatti,
due atti di realizzazione nella cosa del testo.”20
Il lettore è quindi provocato ad una estraniazione, nella quale non è però destinato a
perdersi, bensì a riappropriarsi di sé nel testo e con il testo; si tratta quindi di un’estraniazione
17
Cfr. P. RICOEUR, La sfida semiologica, a cura di M. Cristalli, Armando, Roma 1974, p. 269.
Ivi, p. 269.
19
Ivi p. 272.
20
Ivi, p. 269.
18
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6
positiva, che rende possibile l’autenticità del sé e lo arricchisce dei significati guadagnati in virtù
del testo.
5.2.3 Il testo apre una condizione ludica
Il testo configura una condizione “ludica” che riguarda sia il soggetto-autore che il
soggetto-lettore, ossia una condizione che mette in atto una liberazione. Nel testo si apre un
gioco, in cui vengono coinvolti tanto l’autore quanto il lettore; un gioco in cui ognuno amplia il
proprio panorama di significati.
L’autore si libera da sé giocando con le variazioni immaginative dell’ego modellate sulle
variazioni immaginative del reale. Il lettore si libera da sé, giocando come soggetto fittizio
(gettato nel testo) che entra nelle variazioni immaginative della propria esistenza. Per il lettore
giocare con il testo significa lasciare che il gioco faccia nascere nuove possibilità di senso.
Perciò il gioco del lettore non consiste affatto nell’applicare al testo possibilità di senso già
predeterminate.
Interpretare un testo, dunque, è un’operazione in cui viene aperta una serie di possibilità
nuove, vengono delineati sensi nuovi: è sempre un atto “creativo”, diametralmente opposto a
ogni desiderio di racchiudere il senso in schemi fissi; il lettore che fa prevalere il suo mondo
sulle aperture che il testo gli propone non solo non interpreta adeguatamente il testo, ma
impoverisce se stesso e la comprensione della propria esistenza.
“[…] Scrivere è questo straniamento interiorizzato in cui il narratore non è l’autore. […]
Anche il lettore, come soggetto fittizio entra nella variazione immaginativa della propria
esistenza.
A questo punto si dovrebbe dire che il testo è un modello per realizzare in un certo modo
variazioni immaginative su se stesso. Ora questo comprendere se stesso davanti ad un testo non è
più gettare sul testo delle possibilità che esistono prima, ma è ricevere dal testo nuove possibilità
che mi si rivelano, ed è appunto questa specie di gioco che lega il me e la comprensione di sé,
dove il sé esprime questa variazione del soggetto attraverso il testo.”21
5.3
La metafora
5.3.1. La polisemia e la funzione della metafora
La metafora è una funzione del linguaggio che si basa sulla possibilità di un termine (o di
una serie di termini) di aprire una pluralità di significati; essa si fonda quindi sulla proprietà della
polisemia del linguaggio.
A un primo approccio, sembrerebbe scontato che la polisemia sia una proprietà limitata
ad alcune situazioni specifiche e rappresenti per così dire un’eccezione rispetto ad una funzione
semantica “naturale”, in cui i termini si presenterebbero come dotati di un unico significato,
immediatamente correlato alla parola. Se così fosse, la polisemia configurerebbe un'alterazione,
più o meno arbitraria, della quale si tratterebbe di chiarire i motivi e le condizioni di possibilità.
A ben vedere, invece, le cose non stanno affatto così, giacché la polisemia è già di fatto operante
anche nella strategia del linguaggio “naturale” e ordinario, nella quale svolge una funzione
insostituibile e praticamente onnipresente. Se, infatti, un linguaggio fosse basato sul principio
della univocità, dovrebbe possedere un lessico virtualmente infinito, per potersi adattare
21
Ivi, pp. 272-273.
Seminario Simbolo e metafora: un approccio alla filosofia ermeneutica
L’approccio al simbolo e alla metafora proposto da Ricoeur
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all’infinita variabilità dell’esperienza; la polisemia, invece, evita questo pericolo e assolve a una
funzione di economia del lessico.
Questa funzione trova il suo completamento in un secondo elemento che è possibile
denominare come sensibilità al contesto: è ciò che ogni dizionario indica per la maggior parte
delle parole, distinguendo gli usi possibili di ciascuna in contesti tipici e stabilendo in questo
modo esplicitamente che il contesto entra a far parte del senso proprio della parola. “Ciò che noi
chiamiamo il senso di una parola è l’insieme dei suoi usi potenziali in un contesto possibile”22.
I tratti funzionali di ogni linguaggio polisemico possono essere riconosciuti in due
tendenze:
• al livello del codice, l’economia (rilevabile sul piano dell’analisi semiologica,
ossia dei segni)
• al livello del messaggio, la dipendenza contestuale (rilevabile sul piano
dell’analisi semantica, ossia dei significati)
Anche il linguaggio ordinario rientra in tale struttura ed è dunque un linguaggio
polisemico, ma in esso è all’opera una polisemia regolata, in cui la gamma delle variazioni di
significato è delimitata da regole immediatamente riconoscibili all’interno dell’universo
linguistico in cui la parola è usata. Questo significa che la comprensione del linguaggio ordinario
è già un’interpretazione e non solo rispetto alle espressioni ordinariamente considerate
“metaforiche” (p.es. “cielo a pecorelle”), ma anche per quelle ritenute ordinariamente “letterali”
(p. es.: “ai piedi di una montagna”); quindi, forse per tutte.
La polisemia rappresenta così la “sfida” lanciata dal linguaggio a ogni soggetto che si
esprima con il linguaggio e che voglia comprenderlo; la posta di questa sfida è rappresentata
dall’ampiezza semantica del discorso, il rischio presente nella sfida è rappresentato
dall’ambiguità. La polisemia è un carattere della parola, un fatto del tutto normale; ma
l’ambiguità è una pecca possibile del discorso, che può diventare lo scacco dell’interpretazione.
Perciò, ogni volta che la situazione o il contesto non forniscono dati sufficienti per eliminare
l’ambiguità dell’interpretazione, si verifica una non-comprensione.
Nel caso del linguaggio ordinario, ciò che mantiene l’interpretazione al di qua della
soglia dell’ambiguità è una verifica pragmatica: la comunicazione in atto nel dialogo oppure il
comportamento che consegue al discorso permettono di verificare se il messaggio è stato
correttamente inteso. Questa strategia può essere sufficiente nella vita quotidiana, anche se in
questo modo la polisemia non viene affatto eliminata ma soltanto ridotta e “controllata”.
Il linguaggio scientifico, invece, non può accontentarsi di questa verifica pragmatica e
deve elaborare la capacità di designare se stesso definendosi in termini di codice mediante altri
termini di codice, per raggiungere l’obiettivo di eliminare ogni ambiguità ed equivocità e
annullare la polisemia: produrre un linguaggio assolutamente univoco è sempre stata una delle
esigenze principali della scienza. Di fatto, questo risultato può essere raggiunto eliminando la
comunicazione e strutturando un linguaggio completamente artificiale, in cui non appaiono
variazioni contestuali perché non esiste un contesto, dal momento che il riferimento al mondo
quotidiano è stato completamente eliminato: il linguaggio della scienza è monologico, mentre il
linguaggio ordinario è dialogico23.
22
23
Ivi, p. 276.
Cfr. Ivi, pp. 280-281.
Seminario Simbolo e metafora: un approccio alla filosofia ermeneutica
L’approccio al simbolo e alla metafora proposto da Ricoeur
8
5.3.2 La metafora e il linguaggio poetico
La polisemia trova la sua espressione più ricca nel linguaggio poetico, nel quale gioca un
ruolo fondamentale la metafora.
Nella tradizione delle poetiche elaborate dal pensiero classico e moderno, la metafora è
stata prevalentemente intesa per mezzo di una teoria della sostituzione: in essa si sostiene che la
metafora è una parola che sta al posto di un’altra; per comprenderla basterebbe ripristinare la
parola che è stata sostituita e il significato dovrebbe potersi ritrovare intatto. Sulla base di questa
teoria, la metafora non insegna nulla di nuovo, non apre alcun significato nuovo e ha quindi un
valore esclusivamente decorativo. In questa accezione, la metafora è “morta”, ossia non ha
alcuna capacità creativa.
Al contrario, se intendiamo la metafora per mezzo di una teoria della tensione, possiamo
avere una metafora “viva”.
Una metafora “viva” si costituisce quando avviene una tensione che rompe la pertinenza
semantica tra un termine e la frase in cui è ospitato.
La metafora è morta se viene intesa come rapporto tra due lessemi (parole); è viva se
viene intesa a partire da una frase intera, cioè una condizione semantica che coinvolge tutte le
parole di una frase.
La metafora appartiene all’ordine dell’immaginazione, in virtù del quale, sfruttando le
percezioni di analogia, chi parla o scrive costruisce rassomiglianze nuove perché è in grado di
percepire una vicinanza che prima non era stata notata e che la classificazione logica invece tiene
lontana. Essa ha dunque una funzione euristica. Non si limita dunque ad accostare immagini o
significati già presenti, ma apre una vera e propria possibilità di significati nuovi: essa può aprire
una nuova visione del mondo.
È quello che accade nella maniera più autentica nel linguaggio poetico, la cui funzione
ultima consiste nell’aprire una nuova visione delle cose rompendo i legami logici preliminari24.
“La metafora non semplicemente sopprime le strutture ordinarie del nostro linguaggio,
ma anche le strutture di ciò che noi chiamiamo realtà. Ora se noi diciamo che il linguaggio
metaforico si rivolge alla realtà, presupponiamo di sapere già cosa sia la realtà; ma se diciamo che
il linguaggio poetico ridescrive la realtà, allora dobbiamo assumere che questa realtà nella misura
in cui viene descritta è appunto una realtà nuova.
La poesia fa apparire la realtà come comportante non semplicemente dei fatti, ma delle possibilità
impossibili che noi stessi possiamo sviluppare abitando questo mondo.”25
5.3.3 Metafora ed ermeneutica – La comprensione della metafora
Per assumere la metafora secondo una prospettiva di ermeneutica filosofica, dobbiamo
tenere conto di quanto è già stato chiarito a proposito dell’ermeneutica di un testo.
Il rapporto tra la metafora e il testo può essere inteso secondo due direzioni. La prima va
dalla metafora al testo: questo movimento si sviluppa come un processo di spiegazione del senso
(dal senso della metafora al senso del testo). La seconda va dal testo alla metafora: questo
secondo movimento consente di seguire la referenza dell’opera verso un mondo e verso un sé; in
esso si apre il processo dell’interpretazione (dal senso del testo alla referenza aperta dalla
metafora).
24
25
Cfr. Ivi, pp. 284-286.
Ivi, p. 287.
Seminario Simbolo e metafora: un approccio alla filosofia ermeneutica
L’approccio al simbolo e alla metafora proposto da Ricoeur
9
Possiamo sviluppare questa analisi ermeneutica procedendo secondo tre coppie di
concetto contrapposti.
a) Contrapposizione tra evento e senso
La funzione di una metafora rispetto ad un testo può essere adeguatamente intesa soltanto
come un evento, che consiste in una creazione momentanea del linguaggio, una innovazione
semantica. Perciò tutte le teorie semantiche, che cercano di spiegare la metafora e la sua funzione
nel testo ricorrendo a un processo genetico, risultano insoddisfacenti. Ricoeur propone, invece,
di spiegarla con il concetto di “torsione metaforica” e di concentrare l’attenzione verso
l’avvenimento semantico che spunta dall’intersezione di diversi campi semantici. In questa
ottica, “la «torsione metaforica» è nello stesso tempo un evento e un senso, un evento
significante, un significato emergente nel linguaggio”26.
b) Contrapposizione tra particolarità e totalità
La relazione tra la metafora e il testo è ineluttabilmente circolare. Un testo è un’opera,
ossia una totalità singolare, in cui non è possibile separare le singole proposizioni particolari
dalla totalità, né considerare l’opera come una semplice somma delle proposizioni che la
compongono. Per questo, “la comprensione di un testo, sul piano del disegno del suo senso, è
rigorosamente l’omologo della comprensione di un enunciato metaforico”27: in entrambi i casi, si
tratta di costruire un senso a partire da elementi apparentemente discordanti, usando come
conferma gli indici contenuti nello stesso testo.
c) Contrapposizione tra senso e referenza
Rispetto a questo punto il movimento procede dal testo alla metafora. Il processo di
spiegazione si converte qui in un processo di interpretazione e porta alla comprensione del
mondo istituito dalle referenze aperte dal testo. In questo quadro la funzione della metafora può
essere compresa avvicinandola a quella della poesia e intendendola per mezzo di una
correlazione tra il concetto di creazione (poiesis) e quello di imitazione (mimesis): si tratta di una
imitazione creatrice della realtà; questa funzione, esplicita nella totalità di un’opera poetica,
richiede una funzione analoga nel linguaggio, in virtù della quale il linguaggio preserva in sé ed
esprime un potere creativo, sia pure in contesti specifici. In questo modo si evidenzia la
reciprocità che intercorre tra la metafora e il testo: l’interpretazione delle metafore locali prende
il suo valore e riceve i significati dall’interpretazione del testo come un tutto e dall’esplicitazione
del riferimento al mondo orientato dal testo; l’interpretazione del testo come totalità è verificata
dalla metafora come fenomeno locale del testo.
In conclusione, si può evidenziare un nuovo legame: quello “tra immaginazione e
metafora”28. Se, infatti, noi non ci limitiamo a considerare l’immaginazione come una possibilità
di trarre immagini dalla nostra esperienza sensoriale, ma la consideriamo come “la capacità di
lasciare che nuovi mondi formino la comprensione di noi stessi”29, allora si può ben vedere che
essa possiede un dinamismo del tutto vicino a quello che caratterizza un testo e una metafora. La
metafora può ben essere intesa, dunque, come la funzione con la quale l’immaginazione agisce
nel linguaggio.
Si può però spingere il discorso ancora oltre. La metafora eleva il linguaggio al di sopra
delle possibilità semantiche del suo uso ordinario: essa rappresenta perciò una funzione della
trascendenza del linguaggio rispetto a se stesso. Non stupirà allora che la metafora abbia un
ruolo fondamentale nel linguaggio religioso.
26
Ivi, p. 301.
Ivi, p. 303.
28
Ivi, p. 312.
29
Ivi.
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Seminario Simbolo e metafora: un approccio alla filosofia ermeneutica
L’approccio al simbolo e alla metafora proposto da Ricoeur
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