Metafora1
La metafora è un tropo, una sostituzione di termini in base a una relazione, non svelata, per
analogia tra il termine proprio e il termine che si sostituisce ad esso.
Per Aristotele si trattava di una sostituzione di parola, ma tra le più antiche definizione prevalse
quella di Quintiliano:
“metaphora brevior est similitudo: eoque distat quod illa comparatur rei quam volumus
exprimere, haec pro ipsa re dicitur”: la metafora è una similitudine abbreviata: e si distingue nel
fatto che la similitudine viene paragonata alla cosa in esame, la metafora sostituisce la cosa in
esame. (Institutiones oratoriae VIII 6,8).
La definizione ha il merito di mettere in evidenza l’idea di confronto tra i due campi: la m.
prende a prestito un elemento esterno e lo sovrappone, per una qualche analogia, alla cosa in
esame. L’elemento addotto dall’esterno è un’immagine, qualcosa di visivo, di concreto che getta
luce sull’entità in esame.
Dice la retorica antica che la metafora serve ad inferendam lucem, ad apportare maggior
chiarezza.
Ma accanto all’immediatezza visiva va sottolineato l’aspetto emotivo ed estetico che guida la
sostituzione:
“translatio permovendis animis plerumque et signandis rebus ac oculis subiciendis
reperta est”: la metafora è stata inventata per eccitare gli animi, evidenziare le cose e porle sotto gli
occhi. (Quintiliano, Institutiones oratoriae VIII 6, 19).
Proprio questo “sub oculos ponere” è importante per Seneca sia quando attraverso la metafora
riesce a rappresentare ciò che altrimenti sarebbe irrappresentabile (la metafora creativa), sia quando
trova in essa una conferma che ha la forza dell’illustrazione, che aggiunge chiarezza al discorso.
Nel De brevitate vitae VIII, 1 sostiene che l’errore di valutazione degli uomini sul tempo nasce
“perché è una cosa priva di corporeità, perché non cade sotto lo sguardo e perciò è considerata priva
di valore”.
Di qui le metafore attinte alla sfera della fisicità e della concretezza: il tempo come denaro, il
tempo come fiume o come mare.
Similitudine
La similitudine porta in un discorso un riferimento verso un campo immaginario che serve a
chiarire il discorso primario.
Nell’epica è parte della tecnica narrativa, tanto da diventare luogo comune; nel campo
filosofico ha un’importante funzione: rende evidente l’astrazione del discorso e può assumere, come
la metafora, un valore cognitivo.
Quando Quintiliano dice che la comparazione “rem utramque quam comparat velut subicit
oculis et pariter ostendit”: la comparazione mette come sotto gli occhi e rivela i due elementi che
mette a confronto. (Instit.orat. VIII, 3, 79), intende sottolineare il valore argomentativo e
conoscitivo del procedimento. Lo scopo è quello di far compiere una serie di ragionamenti in un
campo noto per trasporli in altro campo astratto, filosofico. Quello che avviene nelle parabole
evangeliche, dove immagini quotidiane spigano concetti teologici, per analogia.
Seneca , in Epistulae 59, 6 parlando delle similitudini dice:
“apud quos (antiquos) nondum captabatur plausibilis oratio: illi qui simpliciter et
demonstrandae rei causa eloquebantur, parabolis referti sunt, quas existimo necessarias, non ex
eadem causa qua poetis, sed ut imbecillitatis nostra adminicula sint, ut et dicentem et audientem in
rem preasentem adducant":
gli antichi che non andavano ancora alla ricerca delle espressioni che solleticano il gusto dei
lettori parlavano con semplicità col solo fine di significare nettamente le cose e sono pieni di
similitudini che io credo necessarie non per la stessa ragione per cui sono necessarie ai moderni
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23-11-04
poeti, ma per venire in aiuto alla nostra debolezza, per portare i chi parla e di chi ascolta alla
presenza della cosa”..
Vedi nel De brevitate vitae, rapporto tra cattivo uso del denaro e spreco del tempo…
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