CITTADINANZE NAZIONALI E APPARTENENZE CULTURALI Silvia Gattino e Anna Miglietta INTRODUZIONE Questo testo nasce dal desiderio di coniugare la dimensione scientifica con un’attenzione per il sociale e un impegno civile, prestando attenzione all’attuale contesto storico e sociale, caratterizzato da una forte chiusura e da segnali di intolleranza nei confronti di chi è diverso. I riferimenti scientifici risalgono alla concezione di psicologia sociale di Lewin e Tajfel, la quale utilizza gli strumenti teorici di cui dispone per comprendere e interpretare le difficoltà connesse alla convivenza tra le persone, concezione particolarmente adatta in un mondo sempre più aperto a forme di mercificazione, e sempre più chiuso all’accettazione delle persone. All’interno di questo quadro si può collocare la cittadinanza, la quale appare come una dimensione rilevante per comprendere le dinamiche dell’inclusione e dell’esclusione, questione che tocca da vicino la vita delle persone sia da un punto di vista pratico, che da un punto di vista della costruzione dell’identità, la quale costituisce l’aspetto sociale delle rappresentazioni che gli individui hanno di sé e degli altri e del contesto in cui sono inseriti, e si realizza in seguito a relazioni di prossimità anche virtuale. Consente quindi che vengano poste le basi affinché avvenga il riconoscimento e l’accettazione reciproci. Nella nostra società elementi come la diffidenza e la paura dell’altro caratterizzano il modo in cui ci si relaziona nei rapporti sociali, quindi diviene importante decidere a quale idea di cittadino si vuole fare riferimento, se costruire una concezione di cittadinanza fondata sulla condivisione dei diritti e dei doveri, in cui l’individuo ottiene un riconoscimento in quanto singolo, o una in cui prevalgono valori culturali comuni, in cui si ottiene un riconoscimento in quanto appartenente ad un gruppo. Il termine cittadinanza, comparso per la prima volta nell'antica Grecia, si riferisce a un insieme di regole, di valori e di pratiche che stabiliscono e disciplinano i rapporti tra soggetti che appartengono a gruppi sociali diversi a prescindere dalle differenze individuali. Uno degli elementi peculiari della nozione di cittadinanza è dato dalla complessa rete di diritti e doveri entro cui l’individuo è posto, ed un altro elemento fondamentale è invece l’appartenenza. La cittadinanza rimanda a una specifica forma d’identità collettiva caratterizzata dalla condivisione di tratti di natura linguistica, culturale, religiosa ed etnica ben definiti. La cittadinanza moderna è una nozione intrisa di elementi di natura sociale e politica che contrasta, però, con la sua concezione di carattere naturalistico. Benhabib (2005) ricorda che queste due dimensioni contrapposte sono presenti già in Aristotele, il quale teorizzava che non è la natura a creare il cittadino, ma soltanto alcuni individui con particolari doti sono naturalmente idonei a esercitare le pratiche della cittadinanza e chi non detiene queste virtù deve essere escluso. Questa tensione tra la dimensione sociale e la dimensione naturalistica è un elemento che ha accompagnato sino ad oggi i confronti sul significato della cittadinanza, ed è oggi rintracciabile nei conflitti avvenuti per l’ammissione di specifiche categorie di persone all’esercizio dei pieni diritti che dalla cittadinanza derivano. Un ulteriore elemento che caratterizza la cittadinanza nelle società occidentali contemporanee è costituito dal consenso e dalla partecipazione attiva. Emerge quindi un altro aspetto della cittadinanza, che risiede nella sua dimensione esclusiva, e che deriva da quella dualità che rinvia alla tensione tra universalismo e particolarismo e che la rende strumento di inclusione o di esclusione. In questo modo l’attribuzione di diritti ad alcuni gruppi sociali si accompagna con la negazione di questi diritti ad altre categorie di soggetti, in forza della loro condizione di non appartenenza. In quest'ottica inclusione ed esclusione sono due aspetti che possono essere interpretati come una delle conseguenze dei processi cognitivi che presiedono alla costruzione della realtà sociale. Il contesto sociale assume importanza nel momento in cui si guarda alla cittadinanza sotto un’ottica psicosociale. E’ infatti soggettivamente costruito a partire dalle categorie che le persone utilizzano per leggere la realtà sociale, inoltre al suo interno le azioni degli individui, conflittuali e non, devono essere comprese. La contrapposizione tra gruppi sociali può manifestarsi in più forme e in alcuni casi si esprime nei rapporti che le società intrattengono con gli outsider (come gli immigrati). In queste relazioni il conflitto può assumere diverse modalità (ad es. discussioni se estendere certi diritti anche agli stranieri oppure la messa in discussione di certi diritti a cittadini insider). Parlare di cittadinanza significa quindi riferirsi a uno spazio di convivenza particolare, caratterizzato da una molteplicità di dimensioni ed elementi di complessità. E’ una nozione che può essere intesa come una forma peculiare di identità sociale, poiché è fondamentale nel favorire il senso di appartenenza e nel sostenere la responsabilità sociale per la comunità. Quindi è importante adottare un punto di vista dinamico della mente dell’uomo, quando si studia la cittadinanza, utilizzando un'osservazione basata sulla realtà sociale. 1. CITTADINANZA E APPARTENENZE CULTURALI: I CONTORNI DEL PROBLEMA Introduzione Occuparsi di cittadinanza significa analizzare un concetto complesso, articolato ed in continua evoluzione. Nella società attuale questo costrutto riguarda inoltre vari temi tra cui le relazioni intergruppo e il riconoscimento/non riconoscimento dell'altro, analizzando inoltre le variabili culturali, sociali e valoriali che definiscono i membri dell'ingroup e specularmente quelli esclusi. Per una Definizione della Cittadinanza Il Significato Moderno di Cittadinanza nasce con la "Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino" stilata a seguito della rivoluzione francese del 1789. Il punto centrale di questa rivoluzione è sancire l’uguaglianza dei cittadini di fronte allo Stato (nonostante le donne fossero ancora escluse) poiché sono soggetti di diritto in quanto membri della nazione. E’ una visione che implica quindi un impegno da parte delle persone nella vita politica. Nel linguaggio comune e in quello giuridico, la cittadinanza indica l’appartenenza di un individuo a uno Stato e richiama i problemi connessi all’acquisizione e alla perdita dello status di cittadino. Nonostante la complessità delle definizione si possono individuare due Accezioni Principali: - riguarda l'ambito teorico-politico e considera la cittadinanza come significato che coincide con lo status sociale del cittadino, prevedendo quindi un insieme di condizioni garantite a chi appartiene a un gruppo sociale organizzato; - riguarda l'ambito giuridico e considera la cittadinanza come significato posto in relazione con uno status normativo, per cui il soggetto viene ascritto nell’ordinamento giuridico di uno stato in forza delle sue connessioni territoriali, dei legami di parentela o per libera scelta. La politologa Giovanna Zincone (2000) ha teorizzato poi una diversa distinzione che conduce a tre accezioni principali: - Sociologica: cittadinanza come insieme di diritti garantiti dentro un sistema politico; - Giuridica: appartenenza ad una comunità sottoposta ad un potere sovrano; - Filosofico-Politica: cittadinanza connessa all'ambito delle attività civili. Altra specificazione è stata proposta dallo storico Michael Ignatieff (1995), il quale contrappone: - Cittadinanza Attiva: basata su un'idea partecipativa della libertà (modello repubblicano) - Cittadinanza Passiva: la società è basata sulla competizione (modello liberale). Secondo i teorici communitarians, tra cui Sandel e Smith (1998), la cittadinanza è una pratica che nasce dal sentimento di appartenere ad una comunità e dall’aspirazione di agire con gli altri per conseguire un bene comune. In quest’ottica l’identità individuale si costruisce attraverso le relazioni che si instaurano e ciò conduce alla creazione di un senso di identità di gruppo. La concezione repubblicana intende quindi la cittadinanza come una identità civica che prende forma a partire dalla condivisione di una cultura pubblica e di un’appartenenza a uno specifico Stato, e ha la funzione di unire i cittadini superando le loro specifiche identità. Come abbiamo visto sono molteplici i significati proposti ma è possibile comunque rintracciare degli Elementi Comuni del Concetto di Cittadinanza. Essa implica tanto la conoscenza e la messa in atto dell’insieme di norme, leggi, accordi comuni che definiscono una specifica comunità, quanto il condividere con altri soggetti un sistema culturale di riferimento comune, riconoscendosi parte di esso e partecipando Avere un obiettivo comune può poi aiutare a superare le differenze, come sostenuto da Kukathas (1993). Secondo Kymlicka per una buona democrazia moderna è necessaria poi sia una buona giustizia sottesa alle sue istituzioni fondamentali che una qualità degli atteggiamenti dei suoi cittadini. Per questo autore quindi la cittadinanza svolge una Funzione Integrativa, presente anche sul piano giuridico dove si esprime nell’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Tale uguaglianza, distintiva delle cittadinanze democratiche, implica la tematizzazione degli obblighi e dei vantaggi, dei diritti e dei doveri che contraddistinguono la condizione dei soggetti e permette inoltre di definire la relazione fra individuo e ordine politico-giuridico, stabilendo aspettative, pretese e modalità di appartenenza/esclusione (Costa, 2005). Come sosteneva Theodor Humphrey Marshall (1976) la cittadinanza intesa come status corrisponde a un processo che segue nella sua evoluzione il passaggio tra tre differenti Diritti Connessi allo Sviluppo della Cittadinanza: - Diritti Civili: relativi ai diritti individuali nella sfera giuridica (ad es. libertà di parola); - Diritti Politici: includono il diritto di voto e il diritto di accesso ad incarichi pubblici; - Diritti Sociali: considerano un'ampia gamma di diritti integrativi (ad es. istruzione). Si può quindi dire che il riconoscimento di una comune appartenenza condivisa poggia su condizioni minime di eguaglianza e le dimensioni possono essere ampliate attraverso l’estensione dei diritti tra coloro che si possono riconoscere come appartenenti al gruppo dei cittadini. Condizione fondamentale affinché ciò avvenga è però la presenza di preesistenti tratti di comunanza che rendano possibile distinguere chi sta dentro da chi sta fuori dal gruppo. Da un Punto di Vista Psicosociale la cittadinanza è rilevante in quanto fa riferimento a un soggetto attivo, capace di costruire insieme ad altri anche quei valori condivisi che permettono di sviluppare un'identità dell’individuo. La nozione di cittadinanza è allora un principio che sottende la concezione dei legami che si creano tra gli individui e richiama quindi il tema dell’identità e la questione delle relazioni intergruppi, connesso al tema dell’alterità, dato che l’altro costituisce l’antitesi del cittadino. Si giunge allora a dover considerare l'inclusione sociale. Analizzare la cittadinanza secondo una prospettiva psicosociale significa sforzarsi di cogliere le dinamiche presenti in un contesto caratterizzato da trasformazioni politiche, sociali, economiche e simboliche di grande portata. La Cittadinanza: Ambiguità e Contrapposizioni Ci sono molteplici letture cui si presta il costrutto di cittadinanza. Tra le principali Dicotomie sottese a questo concetto se ne possono analizzare principalmente due: - Cittadinanza come Inclusione e Uguaglianza: in questo caso i confini che definiscono l’ingroup sono funzionali sia allo sviluppo del senso di appartenenza che allo sviluppo di un senso di lealtà nei confronti delle istituzioni); - Cittadinanza come Inclusione/Esclusione: i confini stabiliti consentono di distinguere tra chi fa parte della comunità e chi ne è fuori. La prima dicotomia da analizzare riguarda la Duplice Concezione delle Relazioni tra Gruppi Sociali (Mazzara, 2005): - Particolarista: fa riferimento a una tendenza che induce a porre l’accento più sugli elementi di differenza tra i gruppi, guidata dall’idea che i diversi gruppi differiscano su elementi che riguardano l’essenza delle caratteristiche umane. Benché in parte restrittiva, tale visione ammette però che la qualità umana si esprima in modalità differenti, tutte di pari dignità, rifiutando quindi una gerarchia tra le differenti modalità (e quindi rifiutando la "civilizzazione" di un gruppo su un altro); - Universalista: rimanda all’idea che la natura umana sia unica e che tutti gli esseri umani siano tra loro uguali e pertanto debbano godere di pari dignità. Tale ideologia può però condurre ad una tensione egualitaria che implica un ideale di omogeneità, il quale a sua volta può entrare in conflitto con l’idea di tolleranza nei confronti del diverso, considerato come una deviazione dal modello ideale di essere umano. Ne consegue allora che esiste solo un modo corretto di vivere, quello della propria civiltà, e consente quella “missione” che tendeva a civilizzare i “barbari”, giustificando da un certo punto di vista delle forme di razzismo. Esiste anche una sorta di relativismo spinto, il quale nasce da un'estremizzazione della visione particolarista, che l'antropologa spagnola Stolke (1995) definisce Fondamentalismo Culturale, il quale afferma che le culture sono tra loro incomparabili e che i rapporti tra gli individui portatori di culture diverse sono necessariamente conflittuali e quindi la xenofobia è propria della natura umana ed ineliminabile. La scelta di uno Stato di posizionarsi più sul polo dell’universalismo/particolarismo determina una Diversa Formulazione delle Regole che Stabiliscono i Criteri di Accesso alle Cittadinanze per cui: - aderire al particolarismo comporta l’adozione di criteri restrittivi spesso fondati sul diritto di discendenza (ius sanguinis); - privilegiare il polo universalista conduce a scegliere criteri che enfatizzano la condivisione di quelle tradizioni che si producono con la convivenza (ius soli). Altro elemento dicotomico di tensione è connesso alla Concezione Attiva e Passiva della Cittadinanza, contrapposizione che porta con sé il riferimento al tema dei diritti e dei doveri, pilastri del contratto sociale tra individuo e Stato, che ne definiscono il ruolo e i limiti delle azioni. I processi di migrazione moderni rendono complesso il dibattito relativo alla questione dei diritti e dei doveri e in relazione alle implicazioni che hanno nella questione dell’inclusione sociale. Anche nel caso che una società garantisca a tutti i soggetti l’uguaglianza giuridica nell’accesso ai diritti, quest’ultima non comporta né la possibilità di un effettivo godimento, né che si verifichino automaticamente le condizioni di uguaglianza sociale. Tuttavia il godimento dell’uguaglianza giuridica rappresenta una condizione necessaria affinché attraverso la formazione del principio del riconoscimento dell’altro, si intraprendano dei percorsi volti al raggiungimento di una effettiva uguaglianza sociale. La distinzione tra questi due tipi di uguaglianza è stata evidenziata da Honneth (1993), il quale ha formulato la Teoria del Riconoscimento che permette di distinguere nelle società moderne tra due forme di riconoscimento: - Riconoscimento Giuridico: assume il diritto come punto di riferimento ed è indipendente dalle qualità proprie della persona in oggetto. I diritti quindi si hanno o non si hanno; - Riconoscimento Sociale: questo riconoscimento corrisponde alla stima che viene accreditato ad un individuo. Ammette gradazioni diverse e il giudizio verte sulle qualità personali del soggetto. Le ambiguità e tensioni di cui si è parlato, hanno avuto anche un Riscontro Empirico. Uno studio sulle rappresentazioni sociali della cittadinanza è stato condotto nel 2003 in Belgio da Margarita Sanchez-Mazas. Sono state individuate due diverse concezioni della cittadinanza tra loro contrapposte: - una enfatizza gli aspetti di carattere etnico/culturale, per cui i criteri di comunanza che definiscono l’appartenenza di un individuo alla comunità risulterebbero il condividere la medesima storia e cultura); - l’altra pone l’accento sulle dimensioni democratiche e civili della cittadinanza e sul progetto politico alla base. Queste evidenze empiriche richiamano l’opposizione tra universalismo e particolarismo, e quello tra visione formalista e sostanzialista della cittadinanza di cui parla Sau nel 2004, facendo riferimento all’opposizione tra concezione repubblicana e concezione liberale. La rappresentazione democratica emersa nella ricerca, vicina a un orientamento di sinistra, ricorda il modello repubblicano e si articola intorno ai concetti di comunità e partecipazione, mentre nella rappresentazione etnica, vicina a un orientamento di destra, l’enfasi viene posta sul valore dell’appartenenza che si fonda su una comune origine etno-culturale per cui i valori e le regole che permettono di definire un cittadino sono definiti all’interno di uno specifico contesto culturale. Cittadinanza e Modelli Nazionali di Gestione della Diversità Da secoli le comunità politiche organizzate sono state prevalentemente multietniche e le Ragioni della Diversità Culturale sono principalmente: - incorporazione di minoranze etniche preesistenti (società multinazionali); - processi di migrazione (società polietniche). La gestione di tale diversità non possiede solo dei risvolti di natura politica, ma ha anche evidenti implicazioni con altri aspetti psicosociali relativi alle relazioni tra i gruppi. Le linee seguite da un governo nel gestire le diversità culturale influenzano la qualità della vita soprattutto degli individui appartengono a gruppi minoritari, quindi è auspicabile che le politiche di gestione della diversità culturale prestino attenzione al tema dell’integrazione delle minoranze entro la società allargata. Nelle società polietniche non sempre i vari gruppi insediati nel territorio vengono avvertiti come elementi fondanti dello Stato e quindi spesso le politiche di integrazione riflettono l’orientamento del gruppo dominante. Sono stati individuati tre Modelli Teorici di Incorporazione della Diversità: - Modello Assimilazionista (di stampo francese): tende a rimuovere la questione delle diversità relegando i particolarismi e le identità specifiche alla vita privata degli individui. Si presume che gli immigrati e le minoranze si integrino entro la maggioranza, diventando come invisibili, quindi adattandosi culturalmente. Esso è un processo a senso unico che viene incoraggiato dallo Stato con delle politiche specifiche; - Modello Pluralista (di stampo anglosassone): il fatto che le diversità emergano sulla scena pubblica è accettato secondo gradazioni che variano a seconda del paese. Le società sono concepite come comunità etniche e culturali tra loro in competizione per il controllo dello Stato e per l’accesso alle risorse. I diritti vengono conferiti in virtù dell’appartenenza a una comunità particolare e riconosciuta; - Modello Etnico: è un approccio che prevede che venga riconosciuta l’esistenza solo ad alcune minoranze presenti, e che il loro livello di inclusione sia controllato dallo Stato. Nei paesi che adottano questo modello, il diritto di nazionalità è funzionale più all’esclusione degli stranieri che alla loro integrazione. Tutti i modelli illustrati rispecchiano diverse filosofie dell’integrazione e rimandano a contrapposte concezioni dello Stato. Ogni Stato moderno può collocarsi all’interno di uno di questi modelli a seconda delle politiche di integrazione che vengono attuate. Tuttavia spesso è riscontrabile uno scollamento tra l’aspetto normativo delle politiche promosse e la loro traduzione in pratiche sociali, politiche e amministrative attuate a livello locale. In ogni caso le politiche di integrazione influiscono sulla relazione intergruppi e contribuiscono a orientare gli atteggiamenti che i membri della maggioranza dominante hanno nei confronti delle comunità minoritarie e sulle modalità di inserimento. Inoltre le politiche di integrazione possono variare a causa di diversi fattori (economici, politici e demografici) e possono essere influenzate tramite i sistemi di istruzione o i mass media. I modelli identificati sono accumunati dalla convinzione che i membri delle minoranze debbano adottare i valori di cui la società di accoglienza è portatrice ma ciò che li differenzia invece è il diritto attribuito allo Stato di interferire con i valori privati di cui gli individui sono portatori, valori che includono il coinvolgimento delle diverse comunità in attività volte al mantenimento della propria cultura di origine: - il modello pluralista sostiene che debbano essere rispettate le libertà individuali; - il modello assimilazionista sostiene che ci sono ambiti in cui lo Stato non interviene; - il modello etnico invece permette allo Stato il diritto di limitare l’espressione di alcuni aspetti dei valori privati. Altro elemento differenziale tra i modelli è costituito dal considerare o meno la cultura di cui le minoranze sono portatrici, come una risorsa. In tal senso l’ottica pluralista ritiene che sia importante mantenere alcuni aspetti della cultura minoritaria mentre l’etnica richiede invece di abbandonare la cultura di origine e adottare la cultura della maggioranza. Ci sono infine dei casi estremi in cui gli Stati portatori dell’ultima ideologia proposta non richiedono l’assimilazione culturale a causa di una non volontà di accettare gli immigrati come concittadini. Come visto quindi il concetto di cittadinanza e la cultura sono correlati, infatti uno dei criteri di appartenenza è proprio la condivisione di una cultura comune. Le Origini del Concetto di Cultura: Tensioni Universaliste e Particolariste e Dualismo Natura/Cultura Il termine Cultura nasce nella Francia del periodo dei Lumi, e la sua origine è legata all’esigenza di proporre un’alternativa alla prospettiva teologica dominante, secondo la quale l’essenza umana discende ed è espressione della volontà divina. Nella prospettiva illuminista si rende possibile una scienza dell’uomo, in cui la cultura rappresenta ciò che conferisce all’umanità il suo carattere distintivo. Nel contesto francese il termine cultura indica quindi la somma delle conoscenze accumulate e tramandate dall’umanità nel corso della sua evoluzione e sembra contrapporsi alla natura, dicotomia questa che sembra richiamare l’opposizione tra universalismo e particolarismo. La cultura diviene quindi il concetto fondamentale che consente di spiegare come, nel corso dell’evoluzione, gli esseri umani abbiano sostituito gli istinti permettendo il passaggio dall’adattamento genetico, ad una nuova forma di adattamento controllata, trasformando la natura in funzione delle proprie esigenze. In questa prospettiva le diversità culturali sono intese come variazioni superficiali assunte dalla natura umana in ogni specifica società. Dal punto di vista scientifico questa posizione conduce alla ricerca degli universali o degli Invarianti Culturali, intesi come materiali culturali identici da una cultura all’altra, ma presenti in numero limitato a causa dell’unità dello psichismo umano. Nel XVIII secolo, la situazione storico-politica e sociale della Germania farà si che la nozione di cultura venga declinata per connotare la specificità della borghesia intellettuale tedesca prima, e in seguito, la nazione tedesca intera. E’ da questo momento che il concetto tenderà alla delimitazione e al consolidamento delle differenze nazionali, legandosi all’idea di nazione, la cui concezione servirà da fondamento per la costruzione dell’unità nazionale tedesca. E’ una concezione che considera la cultura data dall’insieme delle conquiste artistiche, intellettuali e morali che formano il patrimonio di una nazione formandone l’unità. Il concetto di cultura si svilupperà in senso scientifico negli Stati Uniti, contesto particolarmente fertile per tale studio, in quanto ricco di differenze culturali. Il Concetto di Cultura nelle Scienze Sociali I due principali Approcci da considerare sono: 1. Approccio Etico: è una prospettiva che offre un punto di vista esterno allo studio della cultura e fa riferimento a una visione di tipo universalista ed assume l’esistenza della dicotomia natura/cultura. Obiettivo di questo approccio è la ricerca di leggi universali che guidano la condotta umana, perseguibile attraverso il confronto tra le culture. Alla sua base vi è il presupposto che la natura umana implica che la vita degli individui si svolga all’interno di sistemi strutturati come la società, ma che l’organizzazione di questi sistemi dipenda dalla cultura e passi attraverso l’elaborazione di regole sociali, ed è questa organizzazione che dà origine alle diversità culturali, le quali si fondano sull’invariabilità dei principi culturali fondamentali, definiti gli universali culturali. Secondo Levi-Strauss le regole comuni che guidano le società umane sono da ricercare in condizioni molto generali di funzionamento della vita sociale, che costituiscono il punto esatto in cui la cultura sostituisce la natura. In psicologia l’approccio etico è adottato dalla Prospettiva Cross-Culturale che propone una ricerca fondata sull’utilizzo di una metodologia quantitativa, il cui obiettivo è distinguere i processi psicologici dalle influenze culturali. La ricerca degli invarianti culturali avviene quindi attraverso l’individuazione di un numero finito di proprietà che si ritengono generali, che divengono oggetto di un confronto tra più culture al fine di individuare delle differenze. La presenza di queste diversità consente di osservare le variazioni prodotte dalla cultura sulla natura. Questo è un approccio diffuso in psicologia sociale, ed è comunque oggetto di molte critiche; 2. Approccio Emico: affronta lo studio della cultura da un punto di vista interno, cercando di superare il dualismo natura/cultura e ipotizzando una stretta interdipendenza tra il livello biologico e quello culturale. E’ un approccio già presente con Boas (1896), il quale indicava i limiti del metodo comparativo in antropologia, sottolineando quanto fosse improbabile scoprire delle leggi universali sul funzionamento delle società e delle culture umane. Questa prospettiva richiede l’adozione di un punto di vista dei nativi di quella cultura, e il ricercatore deve porsi l’obiettivo di individuare ciò che crea l’unità nella cultura, privilegiando l’uso di procedimenti qualitativi di indagine) Si può collocare entro questo quadro la psicologia culturale. L’attenzione per il linguaggio è uno degli aspetti che caratterizzano questa prospettiva, così come l’insistenza sul concetto di unicità delle culture. Tra i problemi di questa prospettiva riscontriamo il rischio di aderire a forme estreme di relativismo culturale, portando a considerare le culture come entità non confrontabili e, se portato all’estremo questo relativismo può diventare fondamentalismo culturale; 3. Prospettiva Costruzionista: nel tentativo di superare i limiti dei precedenti approcci, tale prospettiva si pone all’intersezione tra i livelli di analisi individuale e sociale, uniti da un rapporto di causazione reciproca. Questo approccio parte dalla constatazione che l’essere umano è culturalmente situato e la natura umana nella sua assolutezza non esiste. In tal modo viene superato il dualismo natura/cultura ma si riconosce che tra essi c’è un rapporto di interdipendenza (Anolli, 2004) che consiste nel fatto che la cultura dipende dalla natura e la media in modo da renderla funzionale ai propri scopi. La prospettiva costruzionista sottolinea che la cultura è una costruzione sociale che si forma a partire dalla condivisione dei processi di comunicazione e di attribuzione di significato da parte dei soggetti che partecipano. Quindi la cultura è in primis partecipazione, ma vi è anche una "lente" attraverso cui si osserva ciò che ci circonda e di cui non si ha sempre consapevolezza, pur influenzando in maniera pervasiva il modo con cui viene percepita e valutata la realtà sociale. Questa lente diviene evidente quando si viene a contatto con contesti e soggetti diversi dai propri, in quanto si prende coscienza della propria specificità e si mette in evidenza ciò che rende diversi. 2. LA CITTADINANZA: UNO SPAZIO DA CONDIVIDERE O DA DIFENDERE? Introduzione Il concetto di cittadinanza, in questo capitolo, viene analizzato alla luce di quel processo psicosociale che dà luogo alla definizione e al riconoscimento, o meno, dell’altro. Il concetto di cittadinanza è una nozione rilevante anche da un punto di vista psicosociale, quindi presenta un aspetto normativo, che è un confine mobile, e una dimensione di natura simbolica che acquista un significato soggettivo per le persone all’interno di un confronto sociale con chi cittadino non è. La nozione rimanda a questioni che hanno a che fare con aspetti legati all’Identità Sociale degli individui e alla costruzione simbolica di cittadini e di stranieri, implicando sia la presenza di aspetti che favoriscono l’inclusione, basati sulla somiglianza, sia quelli che conducono all'esclusione, basati sulla percezione della diversità. L'Identità Sociale risponde quindi alla domanda “chi sono io?” nel momento in cui ci si trova nella sfera pubblica e il mondo sociale è percepito come strutturato in diverse categorie e ciò consente di raccogliere informazioni su noi e sugli altri. L’immagine che si ha di noi è in parte prodotta da quella che abbiamo dei gruppi di cui facciamo parte e dalla relazione con i gruppi che consideriamo rilevanti. Vi è quindi un Nesso tra Appartenenza Sociale e Identità in quanto la persona avrà la tendenza a sopravalutare i gruppi cui appartiene e, non sempre, a svalutare quelli di cui non fa parte. Billing, citando espressamente Tajfel (1995), evidenzia che una categoria sociale, nel momento in cui descrive chi siamo noi, contemporaneamente indica chi non siamo, e questo discorso è strettamente legato al tema del nazionalismo dato che la comunità nazionale può essere immaginata solo se viene contestualmente ipotizzata una comunità di altri. Si può quindi dire che l’esistenza dello straniero è funzionale nella misura che porta a soddisfare anche un bisogno di identità nazionale. I grandi cambiamenti verificati in Europa anche a seguito della globalizzazione hanno reso la questione della cittadinanza un tema particolarmente interessante dato che tra gli effetti di questo fenomeno vi è il fatto che le società occidentali si sono trovate a dover affrontare temi della convivenza tra gruppi e di norme e valori che può portare alla messa in discussione di quelli propri. E' proprio tale fenomeno che può portare non sempre a un’apertura ma, al contrario, a un rafforzamento del proprio modello culturale. La concezione di straniero quindi viene elaborata all’interno di un specifico modello culturale che viene preso come punto di riferimento, come le norme e i valori le quali incidono sulle politiche attuate dai diversi stati che stabiliscono chi deve e chi può essere riconosciuto come cittadino. Queste norme e valori sono prodotte dalla società di maggioranza e sono elementi che costituiscono quei parametri sociali e giuridici cui riferirsi per includere o meno un individuo. Al di la degli elementi formali e giuridici quindi la questione della cittadinanza porta con sé temi che rimandano alla concezione dell’altro e del modo in cui viene definito e riconosciuto nella propria cerchia. Questo favorisce l’emergere di lotte per il riconoscimento di coloro a cui a cui esso viene negato. La Costruzione dell'Altro nella Società Contemporanea La questione dell’altro ha a che fare con l'identità individuale, dato che è come si costruisce il noi che fa capire come si definisce l’altro e cosa ne determina l’inclusione o l’esclusione. Le modalità di esclusione dipendono da quelle di inclusione poiché è sulla base di criteri che definiscono le caratteristiche fondamentali che gli individui devono possedere per essere considerati membri dell’ingroup, che si possono individuare i significati storico-sociali dell'alterità. L’Altro, che può essere non solo un individuo ma anche un gruppo, è considerato un’entità astratta e da ciò deriva una varietà di presentazioni del rapporto con questo oggetto sociale le quali non si integrano in una visione che le riassume in maniera sintetica, dato che l’altro è costruito in modo analogico e simbolico e questa simbolizzazione inscrive l’esperienza del contatto con l’altro all’interno di un universo di significati che sono condivisi e che possono essere comunicati. E ancora, l’altro assume connotazione e sfumature diverse, e questo permette di distinguere Diverse Forme di Alterità. Licata e Sanchez-Mazas (2005) distinguono tra: - Alterità Radicale: è il risultato di un processo in cui l’altro è considerato come qualcuno che non condivide con noi nessuna caratteristica; - Alterità Semplice: è l’esito di una differenziazione tra sé e l’altro che mette in evidenza una situazione di non-uguaglianza. Sono due modi diversi di leggere l’altro e la diversità che derivano da una logica di categorizzazione diversa, per cui si tratta l'ontologizzazione di alcuni gruppi sociali che vengono rappresentati come intrinsecamente e naturalmente diversi dagli altri. Sono casi in cui l’appartenenza a un gruppo diventa l’elemento che definisce la specificità di chi ne fa parte, rispetto agli altri gruppi. Nelle moderne democrazie occidentali che si basano su un ideale universalista ed egualitario, il razzismo è ricondotto a un livello informale, in un ambito che può essere definito “stima sociale” e che definisce il valore di un individuo in base alle sue qualità e prestazioni personali. Altra distinzione che evidenzia la pluralità di significati che può assumere l’altro, è suggerita da Jodelet (2005) che propone la dicotomia tra: - Alterità dal di Fuori: fa riferimento all’altro e alla sua diversità, relativamente a paesi e gruppi collocati in uno spazio e/o tempo distante; - Alterità dal di Dentro: si ha nel caso in cui gli individui che si caratterizzano per la loro differenza si trovano all’interno del medesimo insieme sociale o culturale e possono essere considerati come una minaccia o un disturbo. E’ in questi termini che nelle società moderne si definisce la figura dello straniero che come afferma Simmel (1989) è colui che, una volta arrivato, non ripartirà per tornare da dove è venuto, ma si fermerà. L’ostilità e il rancore nei suoi confronti aumenteranno nella misura in cui questi cessa di essere estraneo e inizia ad essere percepito come un concorrente che ambisce alle risorse che lo Stato mette a disposizione. Lo straniero moderno è una figura politica definita dalle norme dello Stato e si inserisce nell’ambito del riconoscimento giuridico. La Ricerca in Psicologia Sociale, che è orientata a individuare le condizioni che favoriscono la definizione dell’identità del noi attraverso la costruzione/esclusione dell’altro, ha potuto mettere in evidenza l’importanza che rivestono le situazioni di rischio e la paura nell’emergere di una visione dualista del mondo sociale che oppone all’identità del noi un gruppo percepito come minaccia. Per quanto concerne il caso della messa in alterità degli immigrati sicuramente la tematica della sicurezza è tra le circostanze che favoriscono l’elaborazione dell’identità e che creano delle dicotomie radicali tra noi e loro e quindi un paradigma della società di tipo sicuritario si fonda sulla costruzione degli immigrati come figure nemiche. In esso vengono accostati concetti come criminalità e clandestinità, costruzioni che si basano sulla proprietà specifica delle rappresentazioni sociali, vale a dire l’interscambiabilità tra immagine e concetto che permette anche che vengano utilizzati vecchi stereotipi e che se ne producano di nuovi. E’ decisivo in questo il ruolo dei media nella diffusione di accoppiamenti tra immagine e significato. Oggi il problema dello straniero è che appartiene a una categoria costruita come un problema. Infatti essi possono essere oggetto di processi psicosociali rilevanti per quella forma di riconoscimento che Honneth definisce Riconoscimento Sociale, connessa nell’ambito della stima e non solo a quello del diritto. La costruzione analogica e simbolica dell’altro porta con sé diverse Conseguenze: - fa si che l'altro venga rappresentato e non solo descritto; - comporta la possibilità di uno scarto tra il come si parla dell’altro e come effettivamente è (dimensione oggettiva e dimensione simbolica). Questa distanza implica che attribuire un senso a ciò che è estraneo serve all’osservatore per potersi appropriare di quanto non gli è familiare, in quanto rappresentare l’altro partendo dai nostri schemi risolve l’incognita del non riconoscibile. Tuttavia se ciò che è diverso da noi viene collocato nei nostri schemi accade che l’altro perde la sua differenza radicale e diventa comparabile. In una sorta di paradosso quindi l’altro deve essere reso familiare e incomparabile, al fine di mantenere queste barriere tra noi e loro. La nozione di identità consente di Risolvere il Paradosso dato che l’altro è costruito a partire dai tratti familiari, ma di questi si prendono solo gli aspetti contrari che servono a delimitare dei confini, attribuendogli ciò che non siamo e quindi si proietta il nostro contrario, per cui gli stranieri "sono come il negativo di noi" (ad es. nelle democrazie occidentali accade che quando vengono sostenute le ragioni che inducono ad attuare restrizioni per l’immigrazione, si fa riferimento alla nostra tolleranza e alla loro intolleranza come uno dei motivi per escludere gli stranieri). La costruzione sociale di un universo simbolico in cui l’altro è definito negativamente può avere importanti conseguenze a livello pratico poiché se esso è ritenuto un elemento di disturbo da eliminare per una società migliore questo porta anche i membri dell'ingroup ad elevarsi ad un livello superiore. L'Altro e le Diverse Forme di Riconoscimento Se la questione dell’altro ha a che fare con l'identità soggettiva, altrettanto importante per definire chi siamo è la questione del Riconoscimento che viene accordato dagli altri. Ci si riconosce quindi come se stessi nella misura in cui non si è altri, e senza un mondo di altri non ci si potrebbe riconoscere. Come affermato da Amerio (2004) avere un’identità significa essere identificabili e identificati rispetto a ogni individuo, ed è questo riconoscimento che ci si aspetta, in quanto consente si il passaggio dalle forme del self a quelle sociali. Gli individui necessitano allora del riconoscimento intersoggettivo delle proprie capacità e delle proprie caratteristiche da parte di altri. In quest'ottica Honneth (2002) propone una Teoria Normativa della Società che intende spiegare i processi di trasformazione sociale in relazione alle necessità normative, legate al vincolo di reciproco riconoscimento. Egli individua quindi tre Sfere di Riconoscimento Reciproco che rimandano ad altrettante forme di integrazione sociale e che danno luogo ad altrettante espressioni di misconoscimento: - Amore: rimanda alle relazioni primarie che consistono in vincoli di natura affettiva tra poche persone, in cui gli individui si confermano come soggetti che hanno delle necessità da soddisfare, e assumono la forma di sostegno e di conferma affettiva. Questo concetto rimanda a un investimento emotivo e fa si che le persone acquisiscano fiducia in se stesse e una sicurezza emotiva che rappresenta la base psichica delle successive inclinazioni che riguardano il sé; - Diritto: il riconoscimento giuridico riguarda la concezione che un individuo può arrivare a percepirsi come portatore di diritti solo se conosce gli obblighi giuridici che devono essere osservati nei confronti degli altri. Questo concetto pone l’accento sulle caratteristiche universali delle persone, secondo cui ogni individuo vale in quanto essere umano, e attraverso esso, che non ammette gradazioni (il diritto si ha o non si ha) l’individuo viene riconosciuto a prescindere dalle sue caratteristiche personali. La persona arriva allora a raggiungere il rispetto di sé; - Stima Sociale: il riferimento diventa il sistema di orientamento strutturato simbolicamente al cui interno sono espressi i valori e i fini etici alla base di una particolare società. L’individuo viene ora valutato per le sue caratteristiche personali e le sue competenze e il giudizio risente del sistema di riferimento utilizzato per giudicare le qualità del soggetto. La stima sociale sottolinea ciò che distingue le persone, quindi si possono avere diverse gradazioni, che per essere strutturate necessitano del sistema di riferimento valutativo all’interno del quale può essere misurata l’entità delle doti di un soggetto. Questo elemento consente di raggiungere una buona autostima. Honneth, riguardo la stima sociale, precisa che le specificità personali non sono quelle di un soggetto specifico biograficamente individuato, ma di un gruppo il cui status equivale a una specifica tipologia culturale. I membri del gruppo assumeranno un valore sociale a seconda del gruppo di appartenenza, e il valore di questo assume un valore nella misura in cui si conforma a quei valori condivisi e che contribuisca a realizzare gli obiettivi sociali. In quest'ottica assume importanza la Solidarietà, che Honneth intende come una forma di interazione in cui gli individui si stimano tra loro. Nella società moderna quindi la solidarietà è strettamente connessa ai rapporti sociali caratterizzati da stima reciproca in quanto ci si valuta sulla base di valori che le qualità e le competenze dell’altro. In psicologia sociale questo tema è stato affrontato anche da Tajfel e Turner, i quali hanno proposto la nozione di Competizione Simbolica tra i Gruppi, che rappresenta uno dei temi centrali della teoria dell’identità sociale dato che i membri dei gruppi derivano la loro stima di sé dalla distinzione positiva del proprio gruppo in rapporto ad altri gruppi con cui avviene un confronto. L'Altra Faccia della Medaglia: la Negazione del Riconoscimento Dalle tre sfere analizzate, Honneth distingue altrettante Forme di Misconoscimento che vanno a ledere uno specifico rapporto positivo di sé: - Sfera dell'Amore: riguarda l’integrità fisica di una persona che viene intaccata quando è privata delle esperienze di attaccamento emotivo. E’ una forma di maltrattamento pratico che si esprime attraverso la violenza fisica e che comporta un livello di umiliazione poiché nega di gestire liberamente il proprio corpo. La specificità di questa forma di negazione del riconoscimento risiede nel fatto che chi ne è vittima sente di essere succube della volontà altrui e privo di forme di tutela e di protezione. Altra sua caratteristica è la sua invariabilità in relazione all’epoca storica o al sistema culturale; - Sfera Giuridica: legato a quelle forme di misconoscimento personale che un soggetto subisce quando gli sono negati particolari diritti all’interno di un sistema sociale. La specificità di questa forma di misconoscimento risiede nel fatto che si lega alla percezione di non godere interamente dello status di soggetto che partecipa a pieno titolo all’interazione con i membri della società. L’individuo viene privato del rispetto cognitivo della sua capacità morale di intendere e di volere acquisita nei processi di interazione sociale; - Sfera della Stima Sociale: consiste nel non riconoscere valore sociale ai singoli individui o gruppi, sul piano professionale o culturale. E’ una forma di misconoscimento di carattere valutativo in cui vengono svalutati, poiché considerati inferiori, gli stili di vita o i modi di pensare personali o collettivi. Se lo status di un individuo corrisponde al grado di stima sociale che viene concesso all’interno di uno specifico contesto culturale, questa scala sociale dei valori è costruita in modo che alcuni stili comportamentali vengano ritenuti meno nobili. In questo senso le persone coinvolte non potranno assegnare un valore sociale alle proprie competenze e pertanto non ci si può richiamare a un proprio modello di vita che abbia valenza positiva all’interno della società, e questo lede la dignità, comportando una perdita dell’autostima personale. Quando il riconoscimento viene negato, possono insorgere dei sentimenti di reazione negativa, come vergogna, rabbia e offesa, che divengono forza motivazionale che induce i soggetti a impegnarsi in una lotta. Secondo Honneth la tensione morale in grado di generare lotte sociali è presente soltanto nelle sfere di riconoscimento corrispondenti al diritto e alla stima sociale, dato che gli obiettivi sono generalizzabili. In definitiva, come affermato da Bauman, la domanda di riconoscimento non consiste in un’accettazione della forma di vita a cui si è chiesto il riconoscimento, ma ad un invito al dialogo su meriti e demeriti della differenza, cercando di trovare un accordo. 3. PREGIUDIZIO ED ETNOCENTRISMO COME OSTACOLI ALLA CITTADINANZA Introduzione In termini psicologici il concetto di cittadinanza rinvia all’esistenza di un ingroup e di un outgroup. Da un punto di vista psicosociale, la definizione di cittadinanza rimanda alle dinamiche di inclusione/esclusione che regolano le relazioni tra i membri di uno stesso gruppo e tra questi e i membri di altri gruppi. Tuttavia il termine cittadinanza fa riferimento sia all’orizzonte dei diritti e dei doveri e al coinvolgimento del cittadino nella politica, sia implica l’esistenza di una nazione. Quindi la cittadinanza può essere intesa come l’espressione formale dell’appartenenza ad un ingroup specifico, e assolve ad una importante funzione del processo di identificazione con quest’ultimo. Gli individui arrivano quindi ad assegnare a se stessi un’identità sociale specifica che consente loro di distinguersi dagli outgroup rilevanti. In un’ottica psicosociale il concetto può essere interpretato in relazione alla nozione di gruppo, entità che riveste un ruolo particolare nella vita psicologica degli individui dato che secondo Tajfel i gruppi esistono solo se i membri si identificano con essi e che secondo Turner i gruppi esistono solo se i membri li pensano reali. Categorizzazione e identificazione orientano il confronto sociale in senso favorevole all’ingroup e funzionale allo sviluppo di un’identità sociale positiva, ma esprimono anche un senso di divisione, contribuendo al manifestarsi dei bias elencati nei paragrafi successivi. I Bias Intergruppo: una Base Cognitiva per l'Esclusione Sociale? La Teoria dell’Identità Sociale, sviluppata da Tajfel e collaboratori negli anni ’80, mette in relazione l’appartenenza di gruppo con l’identità delle persone. Elemento fondamentale è rappresentato dal fatto che il meccanismo cruciale per il manifestarsi della discriminazione intergruppi consiste nel Processo di Categorizzazione Sociale, attraverso il quale la realtà viene semplificata e sistematizzata in un insieme finito di classi culturalmente condivise e tale ripartizione porta ad accentuare ed esagerare le differenze tra le categorie e ad attenuare le distinzioni interne tra i membri. Questo processo porta quindi le persone a preferire il proprio gruppo. La teoria dell’identità sociale lega l’ingroup bias alla ricerca della distintività positiva per il proprio gruppo, che porta ad effettuare confronti distorti per stabilire una specificità positiva dell’ingroup. E' proprio in tale ottica che l'Ipotesi dell'Autostima (Turner e Reynolds, 2001) afferma che il concetto di distintività positiva implica che il favoritismo per l’ingroup sia mosso da motivazioni di auto-accrescimento personale e collettivo. A questo proposito Marilynn Brewer (1991) ha proposto una spiegazione alternativa suggerendo che lo status del gruppo e la ricerca della positività svolgono un ruolo secondario nel manifestarsi del favoritismo per l’ingroup, in quanto esso sarebbe connesso a motivi di sicurezza e non di auto-accrescimento. E’ una posizione articolata attraverso la Teoria della Distintività Ottimale, la quale individua nella ricerca della positività per il proprio gruppo, una conseguenza e non una causa, dell’attaccamento al gruppo e del formarsi dell’identità sociale. Accanto al bias del favoritismo verso il proprio gruppo è presente una seconda tendenza sistematica basata sulla Svalutazione dell'Outgroup. La letteratura psicosociale, pur ammettendo una forte relazione tra queste due tendenze, le considera come fenomeni distinti. Le ricerche infatti indicano che non è corretto porre sullo stesso piano il favoritismo per l’ingroup e la svalutazione dell’outgroup. Svalutare l'Outgroup: il Caso del Pregiudizio Una delle prospettive con cui la psicologia sociale tratta il tema della discriminazione dell’outgroup è quella del Pregiudizio Verso le Minoranze (Allport, 1973). Un bersaglio sono i gruppi di potere minoritario, i quali vengono definiti così in quanto, per la loro posizione nella società, possono esercitare un controllo minore rispetto ai membri della maggioranza sulla distribuzione di risorse importanti. La composizione dei gruppi di potere minoritari e maggioritari varia a seconda delle culture ma sembra costante rispetto al genere sessuale. Le sue basi si trovano nel processo di categorizzazione sociale, secondo cui immaginare un ingroup implica necessariamente immaginarne anche uno dal quale si è distinti. Il principio che genera questo fenomeno è di tipo cognitivo e consiste in un nucleo di credenze nei confronti di un outgroup specifico. Tale nucleo cognitivo, definibile come lo Stereotipo, può essere considerato il contenuto del quadro categoriale all’interno del quale riconduciamo le persone nel tentativo di dare un senso a una particolare situazione sociale (Brown, 1997) e vengono utilizzati come mezzi per distinguere noi da loro. In tal modo spesso l’ingroup è assunto come standard sulla cui base effettuare confronti e questo fa apparire come più rilevanti le deviazioni dell’outgroup. Gli stereotipi allora sono descrizioni culturali condivise che un gruppo sociale elabora rispetto ad altri gruppi. Il pregiudizio si caratterizza per essere rivolto alle persone in forza della loro appartenenza a un gruppo specifico, secondo una generalizzazione di gruppo, e la sua stabilità, che si mantiene anche di fronte a prove empiriche che lo contraddicono, è fondata su criteri di valore, per cui un cambiamento necessiterebbe di riorganizzare i valori basilari del soggetto e del gruppo. Il fenomeno rappresenta quindi la causa prossimale del comportamento di discriminazione. Si può infine dire che per la psicologia sociale il pregiudizio deriva dagli stessi processi cognitivi e sociali che influenzano gli aspetti dell’esistenza umana, e d’altro canto riflette questi processi in quanto è un prodotto della percezione individuale e del tentativo di dare un senso al mondo. Dalla seconda guerra mondiale l’espressione del pregiudizio ha subito delle modificazioni che risultano essere indipendenti dal bersaglio cui si rivolge. Nelle democrazie occidentali contemporanee il diffondersi dell’ideologia ugualitaria fondata sul rispetto dei diritti umani non consente più che il pregiudizio venga manifestato in maniera esplicita a cui venivano associati in passato comportamenti di discriminazione ma prevede la formazione di un Pregiudizio Implicito connotato dalla percezione esagerata delle differenze culturali e dal rifiuto di provare emozioni positive dei membri dell'outgroup. Nel caso dell’atteggiamento nei confronti degli immigrati, la differenza più evidente tra il razzista classico e quello moderno emerge nelle rispettive visioni delle politiche di immigrazione e di rimpatrio, per cui se il primo aderisce all’ipotesi di una deportazione di massa dei gruppi di minoranza, quello moderno sostiene la necessità di un rimpatrio rivolto alle persone prive di permesso di soggiorno o che hanno commesso crimini. Questa posizione contraddice il principio universalista di inclusione e rappresenta un escamotage socialmente accettabile che consente di rimarcare la distanza tra i gruppi. Un interessante approccio è quello di Dovidio e Gaertner (1998), denominato Teoria dell’Aversive Racism, secondo cui alcuni membri dei gruppi di maggioranza continuerebbero a provare emozioni e sentimenti negativi inconsci verso le minoranze etniche. Il razzista riluttante sarebbe quindi una persona bene intenzionata ma incapace di sbarazzarsi completamente di reazioni ostili inconsapevoli nei confronti dei gruppi minoritari, in cui il pregiudizio, seppur parzialmente sconfitto sul piano intellettuale, perdura su quello emozionale. Lo studio sul pregiudizio etnico è importante soprattutto per cogliere le implicazioni di cui l’atteggiamento pregiudiziale è portatore in relazione ai diversi aspetti della vita sociale degli individui e dei gruppi coinvolti, e rappresenta una minaccia reale al bisogno di convivenza, rimandando alla negazione o al rifiuto dell’estraneo. Inoltre la percezione di essere bersaglio di pregiudizio può avere effetti importanti sul benessere psicosociale delle persone e sul processo di adattamento della società ospitante. Gli Effetti del Pregiudizio: la Discriminazione Percepita Lo studio degli effetti del pregiudizio ha una storia recente, infatti i primi lavori risultano della metà degli anni ’70 e si sono concentrati principalmente su due gruppi minoritari, rilevabili nelle donne e nelle minoranze etniche. Uno dei primi a occuparsi degli effetti del pregiudizio è stato Goffman che nel suo libro "Stigma. L'Identità Negata" del 1963 che nel ’63 affermava che i bersagli del pregiudizio sono stigmatizzati e soffrono di una identità danneggiata dato che, a causa della mancanza di potere del loro gruppo, non sarebbero capaci di crearsi di un’identità propria. Goffman individua poi alcune tipologie di stigma di cui si può soffrire a seconda del gruppo cui si appartiene, tra cui gli stigma tribali e quelli di genere. Uno tra gli ambiti di ricerca cui è stato dato maggiore risalto riguarda la Relazione tra Discriminazione Percepita e Autostima, dato che quest'ultima verrebbe danneggiata dalla percezione di essere discriminati, come dimostrato dagli studi di Kenneth e Clark (1947) che hanno evidenziato come i bambini di colore preferiscano le bambole bianche anziché quelle nere. Attualmente poi emerge una situazione contraddittoria perché se da un lato alcune evidenze dimostrano che sentirsi rifiutati ed esclusi a causa di un pregiudizio danneggia l’autostima, altri dati dimostrano che spesso l’autostima dei gruppi minoritari è elevata. Secondo Crocker e Major (1989) questo avviene perché i membri dei gruppi minoritari possono attribuire i propri insuccessi alla discriminazione di cui si sentono vittime. L’autostima gioca un ruolo rilevante anche nella Relazione tra Discriminazione Percepita e Benessere. Ricerche sulla migrazione evidenziano l’esistenza di una relazione negativa tra queste due variabili, quindi la discriminazione percepita sembra incidere su diverse dimensioni del benessere psicologico degli individui (ad es. depressione, ansia e stress) e ha effetto anche sullo stato di salute fisica anche se in un modo più lento e indiretto. Nel complesso si può dire che esiste un’evidenza empirica che permette di affermare che pregiudizio e discriminazione etnica hanno un ruolo importante nei processi di adattamento e acculturazione degli immigrati. Un ultimo aspetto emerso dagli studi sulla discriminazione percepita è la Discrepanza Individuo-Gruppo, teorizzata da Taylor (199), secondo cui i membri dei gruppi svalutati tendono a riportare un maggior grado di discriminazione percepita a livello di gruppo, mentre sono portati a negare o comunque minimizzare i casi di discriminazione subita a livello individuale. Cause di questo fenomeno deriverebbero dal fatto che ammettere di essere personalmente vittima di discriminazione minaccerebbe il bisogno di appartenenza delle persone, vale a dire il desiderio delle persone di avere relazioni stabili e positive con altri, il quale invece aumenta a livello individuale a seguito di un rifiuto e diminuisce in conseguenza dell’inclusione sociale. Secondo Baumeister e Leary (1995) le persone cercano di soddisfare questa necessità anche strutturando le credenze su di sé e sugli altri, in modo da sentirsi integrate all’outgroup. Questa percezione consentirebbe quindi di soddisfare sia il bisogno di essere accettati dall’ingroup che dall’outgroup. L'Etnocentrismo, ovvero l'Esclusione dell'Altro Il sociologo americano William Sumner (1906) definì Etnocentrismo la tendenza a porre se stessi e il proprio gruppo al centro del mondo e contemporaneamente a confrontarsi con gli outgroup assumendo i propri standard come riferimento. Da questo emerge come la dimensione culturale sia rilevante nel costruire una specifica visione del mondo e dei rapporti intergruppo. Alla base dell’atteggiamento etnocentrico vi è la propensione a considerare l’ingroup più positivamente degli altri gruppi, e anche a valutare questi ultimi sulla base di standard stabiliti dal proprio e ciò consente di effettuare dei confronti sociali che hanno degli esiti positivi per l’ingroup e negativi per l’outgroup. Secondo Sumner (1906) l’atteggiamento etnocentrico è la conseguenza dell’attaccamento al proprio gruppo ed individua nella lealtà e nella preferenza le caratteristiche essenziali della relazione tra individuo e suo gruppo. La lealtà consiste nell’adesione alle norme dell’ingroup e nella fiducia che sottende le relazioni con coloro che ne fanno parte, mentre la preferenza è invece l’accettazione differenziale dei membri dell’ingroup rispetto a quelli dell’outgroup e la valutazione positiva delle caratteristiche del proprio gruppo. Attualmente il termine etnocentrismo viene impiegato per riferirsi alla propensione a favorire i membri dell’ingroup rispetto agli altri, e spesso viene usato come sinonimo di pregiudizio. Esso però è stato coniato per riferirsi alla tendenza di essere fedeli alla propria identità etnica o nazionale. Nel mondo occidentale contemporaneo, l’atteggiamento etnocentrico si struttura spesso in riferimento a una cultura nazionale che viene identificata con uno stato-nazione la cui esistenza e struttura attuale viene data per naturale e inevitabile. Billig (1995) rileva che il termine Nazione assume due diversi significati connessi tra loro: - nazione come struttura formale, quindi come insieme di forme istituzionali di governance; nazione come insieme di persone che vivono in uno stato. Brewer, per spiegare l’origine dell’attaccamento ai gruppi, ha proposto una Teoria della Distintività Ottimale assumendo che l’origine dell’attaccamento va ricercato nella natura sociale degli uomini, in quanto specie. La vita in gruppo si è evoluta a livelli d’interdipendenza che ha consentito agli esseri umani di adattarsi all’ambiente fisico e si fonda sul fatto che sin dalle origini i gruppi umani hanno sviluppato un sapere collettivo. E’ un’interdipendenza obbligatoria che ha portati i gruppi a dotarsi di specifici requisiti strutturali che ne rendano possibile la sopravvivenza nel tempo, e tra questi le limitazioni e i vincoli relativi alle dimensioni dei gruppi. Questa teoria ipotizza che la relazione tra i sé individuali e l’appartenenza ai gruppi sociali sia governata da due bisogni opposti, dalla cui azione emerge la capacità d’identificazione sociale: - bisogno di assimilazione e inclusione nel proprio gruppo; - bisogno di differenziarsi dagli altri. Identificazione con l’ingroup, lealtà e attaccamento, che sono sufficienti per determinare il favoritismo verso l’ingroup, non bastano però per produrre ostilità verso altri gruppi. Questa, secondo Brewer, nasce quando le persone percepiscono che l’identità sociale dell’ingroup è minacciata e quando vengono messi in discussione sia il bisogno di inclusione che il bisogno di differenziazione. La minaccia a entrambi i bisogni influisce sulla qualità delle relazioni intergruppi, rendendo evidente l’assenza di fiducia reciproca tra i membri dei gruppi coinvolti. La relazione intergruppi si caratterizza quindi per la presenza di stereotipi e atteggiamenti negativi verso gli outgroup. A livello individuale sarebbero i membri periferici del gruppo a esperire il conflitto tra le due motivazioni in quanto si trovano nella condizione di dover soddisfare il proprio bisogno di inclusione e, contemporaneamente, devono preoccuparsi di non essere confusi con chi appartiene all’outgroup. Gli Effetti dell'Etnocentrismo: Essenzialismo e Infraumanizzazione L’Infraumanizzazione è definita come la credenza che chi appartiene all’outgroup sia portatore di una essenza meno umana rispetto ai membri dell’ingroup. Teorizzata dall'Approccio Essenzialista di Medin e Ortony (1989), il quale afferma che le persone organizzano le proprie categorie mentali intorno a teorie implicite che riguardano e spiegano i tratti profondi e tipici degli esemplari che compongono le categorie stesse. Uno studio durato quattro anni ha rilevato come le persone, nel momento in cui devono definire l’essenza umana, fanno riferimento a un numero ridotto di caratteristiche, tra cui le principali sono intelligenza, sentimento e linguaggio. Inoltre negare anche una sola di queste caratteristiche renderebbe il soggetto meno umano. L’attenzione dei ricercatori si è concentrata sulla categoria del Sentimento, termine con cui ci si riferisce alle Emozioni Secondarie, distinguendole da quelle primarie che sono condivise anche con le altre specie. Vari studi cross-culturali hanno quindi confermato la teoria dell’infraumanizzazione, la quale sostiene che le persone sono riluttanti a riconoscere e attribuire ai membri dell’outgroup la capacità di provare emozioni secondarie, e ciò deriva da un senso di minaccia che si avverte nel momento in cui viene effettuato un confronto con chi non condivide la nostra visione. La prospettiva dell’infraumanizzazione è altresì coerente con la teoria dell’identità sociale poiché costituisce una risposta alla minaccia percepita all’identità positiva che deriva dalla percezione di somiglianza tra l’ingroup e l’outgroup. Essa è anche coerente con la teoria della distintività ottimale della Brewer, in quanto in essa, infraumanizzare l’outgroup è una reazione alla somiglianza, la quale costituisce una minaccia al bisogno di distintività, tra il proprio gruppo e gli altri. Il rifiuto dell’outgroup, espresso anche negandone i caratteri di umanità, e la convinzione della superiorità dell’ingroup, producono nelle persone una profonda indisponibilità ad assumere atteggiamenti inclusivi verso i gruppi di minoranza. Nazionalismo tra Etnocentrismo e Patriottismo La cittadinanza rimanda all’idea di comunità particolare che coincide con uno stato-nazione, a sua volta inserito in un sistema globale di stati-nazione, e questo risulta interessante se considerata alla luce del concetto di nazionalismo, il quale va analizzato in due connessioni: 1. Nazionalismo ed Etnocentrismo: il nazionalismo viene descritto come il lato perverso della valutazione positiva dell’ingroup, concetto in cui è inclusa l’idea che il proprio paese sia superiore agli altri, e anche che questa superiorità debba riflettersi in una posizione di dominio della propria nazione. E' quindi un concetto legato alla svalutazione dell’outgroup come l’etnocentrismo. Billig (1995) sostiene che i due termini non sono sinonimi, dato che il nazionalismo si inserisce in un'ottica internazionale. Identità e contesto devono allora essere immaginati, come quando Anderson (1991) parla di nazioni come comunità politiche immaginate (le nazioni sono delle comunità immaginate perché i membri della nazione non conosceranno mai la maggior parte delle altre persone che le abitano, ma nella loro mente vive l’immagine della loro comunione). I nazionalisti possono quindi affermare che la loro nazione soddisfa i codici universali della nazionalità attraverso una costante osservazione del mondo. E’ in questa dimensione internazionale che per Billig risiede la differenza tra nazionalismo ed etnocentrismo e, per Sumner (1906), il disprezzo per l’outgroup si origina se il gruppo di appartenenza osserva che gli altri hanno modi di comportarsi diversi. L’etnocentrismo invece fa riferimento a un ingroup isolato, ignaro di quanto accade altrove; 2. Nazionalismo e Patriottismo: il nazionalismo viene altresì accostato al patriottismo dato che Adorno (1973) concettualizza quest'ultimo come una forma di attaccamento cieco a specifici valori culturali nazionali, cui si accompagna il conformarsi agli usi prevalenti del gruppo e un atteggiamento di rifiuto delle altre nazioni. Attualmente il patriottismo viene utilizzato insieme al nazionalismo per descrivere la relazione di attaccamento dell’individuo alla società, ma la distinzione tra i due termini serve a chiarire quale manifestazione di attaccamento viene considerata: - il patriottismo considera l'attaccamento affettivo alla propria nazione; - il nazionalismo considera anche la svalutazione dell'outgroup. Nazionalismo e patriottismo non possono quindi essere sinonimi, ma rappresentano due manifestazioni concettualmente opposte della stessa identità e si distinguono in quanto: - per il Nazionalismo alcuni tratti tipici riguardano una valutazione positiva generalizzata per il paese cui si appartiene nella presenza di un sentimento di superiorità nazionale, nell’accettazione delle autorità, nell’inclinazione a definire il proprio gruppo secondo criteri di discendenza o razza, nella tendenza a considerare il proprio gruppo come omogeneo e nella propensione ad attribuire rilevanza a quei confronti da cui i gruppi che non sono considerati come parte della nazione emergono in modo socialmente svalutato (utilizzato da stati totalitari); - il Patriottismo si caratterizza invece per il fatto che la nazione non viene idealizzata, ma valutata attraverso la formazione di un’opinione individuale in cui le persone non appoggeranno il sistema in modo acritico, ma lo sosterranno nella misura in cui gli obiettivi perseguiti si accordano con le proprie convinzioni (utilizzato da stati democratici). E' inoltre rilevante anche considerare la distinzione relativa agli atteggiamenti verso le minoranze e gli outgroup, dato che la tendenza a distinguere positivamente il proprio paese, tipica del nazionalismo, origina sentimenti di superiorità nazionale che forniscono una giustificazione alla credenza relativa al diritto che la propria nazione ha di dominare sulle altre e crea due tipi di preoccupazioni: - Vulnerabilità Nazionale: si manifesta nell’aumento della sfiducia verso le nazioni straniere e nell’assunzione di un atteggiamento di vigilanza esagerato; - Contaminazione Culturale: è un timore che si esprime attraverso la preoccupazione che l’omogeneità e la distintività della cultura nazionale possano essere erose da influenze esterne. Vi è invece una sufficiente base teorica per sostenere che il patriottismo è connesso a una generale tolleranza verso gli outgroup, poiché fondato su concetti morali e poiché si associa a principi democratici che accettano forme di diversità entro la società. Infine il patriottismo include un concetto di sé caratterizzato dal rifiuto dell’idea che le relazioni sociali si fondino su stereotipi. Staub ha cercato di chiarire ulteriormente la relazione del patriottismo con il nazionalismo proponendo di distinguere tra due Dimensioni: - Patriottismo Cieco: descrive un attaccamento rigido e inflessibile alla patria; - Patriottismo Costruttivo: si riferisce a un attaccamento alla nazione caratterizzato da una lealtà critica che consiste nella messa in discussione delle pratiche correnti del proprio gruppo per ottenere dei cambiamenti positivi. Questi differiscono nel modo in cui viene interpretata la relazione individuo-paese, e sono due atteggiamenti che possono influenzare il significato che le persone attribuiscono alla nozione di cittadinanza e anche il modo in cui gli obblighi e i privilegi dell’appartenenza a questo gruppo vengono concettualizzati. 4. ORDINE SOCIALE, RAPPRESENTAZIONI E IDENTITA': STRUMENTI CONCETTUALI E RICERCHE EMPIRICHE Introduzione Prestare attenzione alle dimensioni sociali e contestuali, elemento sempre molto criticato rispetto agli studi di psicologia sociale, diventa fondamentale nel momento in cui si intende affrontare lo studio teorico ed empirico del concetto di cittadinanza, che si situa all’incrocio di diverse discipline e che pertanto può essere esplorato da differenti prospettive. La cittadinanza, come già affermato nei paragrafi precedenti, può essere declinata sia in termini di status, da cui derivano diritti e doveri, sia in termini di pratiche che implicano senso civico e partecipazione. Ciò implica che il soggetto non sia passivamente socializzato ma che costruisca attivamente con altri storie, norme e valori che contribuiscono a sviluppare quell'identità che permette di essere collocato in un contesto sociale, culturale e storico ben definito. Gruppi Dominanti e Gruppi Dominati: la Concezione delle Ineguaglianze Strutturali Un ambito di studi sulla cittadinanza è quello delle Relazioni tra Gruppi di Maggioranza e di Minoranza sviluppato nell’ambito della psicologia politica. Lo studio delle relazioni intergruppo può contribuire alla comprensione dei rapporti di forza interni all’ingroup dei cittadini, i quali si manifestano nel diverso accesso dei diritti e dei doveri di cui si è assegnatari come membri di un gruppo nazionale. Lo studio delle relazioni intergruppo chiarisce come tali disparità vengano mantenute nella società attraverso l’azione di ideologie elaborate dalle maggioranze, e come queste orientino le relazioni con gli outgroup. Tra gli approcci più rilevanti vi è la Teoria della Dominanza Sociale, elaborata da Jim Sidanius e da Felicia Pratto negli anni ’90, la quale si fonda sull’assunto che la disuguaglianza ed il conflitto tra i gruppi sociali siano pervasivi dell’esistenza umana, alla cui base vi sarebbe l’organizzazione sottesa a tutte le società umane che tendono a strutturarsi in gerarchie di gruppi di differente potere. La stratificazione sociale che ne deriva è funzionale allo sviluppo delle società per l’ordine sociale accettata in varia misura dagli individui, ma se nei gruppi di minoranza vi è la tendenza a ricorrere al conflitto per modificare le gerarchie esistenti, in quelli di maggioranza essa è assente e vengono messe in atto delle strategie per ridurre il conflitto e mantenere l’ordine. Tali strategie mirano alla creazione del consenso agendo sulla diffusione di specifiche ideologie definite Miti di Legittimazione Gerarchica (ad es. il pregiudizio etnico). Accanto a questi miti esistono ideologie che svolgono la funzione di attenuare le differenze gerarchiche esistenti e che rimandano a valori che fanno riferimento all’uguaglianza e all’inclusione sociale. Sidanius e collaboratori (2004) hanno sottolineato il ruolo cruciale delle istituzioni sia nel mantenimento della gerarchia che nella discriminazione che ne discende. Ogni istituzione socializza gli individui in base a una specifica concezione delle relazioni sociali tra i gruppi (ad es. promuovendo una concezione antiegualitaria dei rapporti intergruppo) e attraverso l’azione di più fattori le persone vengono spinte ad adottare valori, credenze e atteggiamenti coerenti con i loro ruoli assegnati, che sfociano nella costruzione di un consenso sociale verso i miti di legittimazione. Tra gli effetti di questo consenso vi è l’Asimmetria Comportamentale, basata sul fatto che i membri dei gruppi con maggiore potere si sentono più legittimati a comportarsi sulla base dei loro interessi di gruppo. In questo senso si può quindi affermare che le persone non condividono solo conoscenze e credenze che legittimano la discriminazione, ma talvolta agiscono coerentemente con esse. Il tema del Potere Sociale, inteso come l'imporre le proprie scelte su quelle degli altri, è centrale per la teoria della dominanza, e viene distinto dallo status sociale. In entrambi i casi si produce un aumento del favoritismo verso il proprio gruppo, ma le ricerche hanno evidenziato che le diversità connesse allo status sono in relazione con l’identificazione con l’ingroup e quindi che lo status porta alla crescita del favoritismo verso il proprio gruppo, mentre il potere sociale renderebbe invece possibile il verificarsi della discriminazione intergruppo. Secondo i teorici della dominanza sociale la stessa socializzazione istituzionale avrebbe effetti diversi sugli individui a seconda del grado di potere di cui gode il gruppo a cui appartengono. Nei gruppi di maggior potere le persone sono spinte ad assumere atteggiamenti dominanti e incoraggiate a partecipare attivamente alla dialettica politica, mentre l’azione socializzante delle istituzioni verso i gruppi di minoranza sarebbe tesa a incoraggiare l’assunzione di atteggiamenti di maggiore obbedienza politica e sottomissione al dominante. Evidenza empirica di questo risale a uno Studio Intergenerazionale di Jennings e Niemi (1981). Tale studio, condotto tra il 1965 e il 1974, aveva come obiettivo l’analisi dello sviluppo di atteggiamenti e di comportamenti politici in un campione di studenti delle scuole superiori e dei loro genitori. I risultati hanno mostrato come persone che appartengono a diversi status sociali sembrano attribuire un significato diverso al senso di impegno civico, inteso come indicatore delle risorse psicosociali di cui l’individuo può disporre quando decide di mettere in atto un’azione politica. Per rilevare questo impegno civico è stato chiesto ai partecipanti di descrivere la figura del buon cittadino e i primi significati attribuiti sono emersi l’obbedienza e la partecipazione. Nel gruppo di maggioranza sembra prevalere l’associazione tra impegno civico e partecipazione, mentre nel gruppo di minoranza l'associazione era fatta con il concetto di obbedienza. Questi risultati suggeriscono che le istituzioni insegnano alle persone ad agire in modo conforme ai ruoli sociali assegnati e che gli effetti della socializzazione sono qualitativamente differenti a seconda che una persona sia membro del gruppo dominante o meno. Fondamentale, nella Teoria della Dominanza Sociale, è il concetto di Orientamento alla Dominanza Sociale (SDO), inteso come variabile individuale che consente di prevedere l’accettazione o meno di ideologie e di politiche relative alle relazione di gruppo. La SDO si definisce come un orientamento verso le relazioni intergruppo che indica se un soggetto preferisce che le relazioni siano di carattere egualitario o gerarchico. Victoria Esses (2006) ha utilizzato questo costrutto nello studio del pregiudizio etnico e ha rilevato che il livello individuale di SDO è in relazione con la natura delle credenze poste alla base dei pregiudizi e con le risposte che si possono dare in merito alle possibili strategie da attuare per ridurre il pregiudizio. Si possono distinguere quindi: - Individui con Alto SDO: attribuiscono l’origine del pregiudizio a fattori sociali e sembra che questi soggetti ritengano che il problema debba essere contrastato attraverso un’azione politica o legislativa; - Individui con Basso SDO: pone alla base del pregiudizio fattori intra-individuali, per cui tali soggetti ritengono che la soluzione al problema del pregiudizio sia rintracciabile nella tolleranza e nell’impegno individuale verso il cambiamento sociale. Due studi effettuati in Italia (Gattino, Miglietta e Tartaglia, 2009), uno con un campione di adulti e l’altro con un campione di adolescenti, si focalizzano sul ruolo giocato dall’orientamento alla dominanza sociale nell’influenzare gli atteggiamenti verso l’inclusione degli stranieri. Entrambi condividono l’obiettivo di indagare le relazioni tra due dimensioni implicate nei rapporti tra differenti gruppi etnici: - dimensione individuale indagata attraverso l’orientamento alla dominanza; - dimensione sociale costituita dalla concezione di cittadinanza. L’ipotesi alla base delle ricerche riguardava l’esistenza di un’interazione a tre diversi livelli tra le variabili considerate. Nello specifico il livello individuale e il livello culturale possano influenzare degli atteggiamenti di politiche con stampo repressivo e degli atteggiamenti riguardo un’apertura al multiculturalismo ed entrambi dovrebbero poi influire su comportamenti che riguardano l’inclusione dei migranti. Da entrambi i lavori è emerso che la SDO influenza gli atteggiamenti relativi alla visione dello Stato e della società multiculturale. Nello specifico alti livelli di SDO portano le persone ad aderire a una concezione dello Stato incentrata sulla sicurezza e sulla repressione dei crimini che influenza negativamente la disponibilità dei membri del gruppo di maggioranza a concedere il voto agli immigrati, e dall’altro lato la SDO influenza anche l’atteggiamento di apertura verso la diversità culturale. Nello studio che ha riguardato i soggetti adulti la relazione negativa di SDO e apertura alla diversità culturale all’interno della società non viene tradotta in disponibilità di concedere il voto agli immigrati ma suggerisce che l’apertura multiculturale non mette in discussione le basi dell’organizzazione gerarchica della società e potrebbe essere interpretata come una presa di coscienza dell’esistenza della diversità culturale, dovuta a una conseguenza delle migrazioni, ma senza che queste comunità di immigrati vengano percepiti come membri dell’ingroup. Nello studio condotto sugli adolescenti l’azione della SDO sull’apertura multiculturale conduce a una maggiore disponibilità a concedere il voto agli stranieri, questo probabilmente poiché sono soggetti nati e cresciuti in una società che presenta già degli elementi di multiculturalità. La Cittadinanza come Rappresentazione Sociale La Teoria delle Rappresentazioni Sociali, formulata da Serge Moscovici (1961, 1976) è una teoria della conoscenza sociale capace di chiarire tanto i processi e le modalità di funzionamento sottese al modo in cui questa forma di conoscenza si produce nei diversi ambiti della vita quotidiana, quanto il genere di pensiero e le caratteristiche della cognizione che la riguardano. Tra le peculiarità di questa teoria vi è il fatto di aver considerato al centro del proprio interesse l’interdipendenza fra i singoli individui, le forme assunte dal loro modo di ragionare, le condizioni e le specificità della realtà sociale. Questa teoria si occupa di spiegare come le persone ricostruiscono la realtà sociale al fine di controllarla, adattarvisi e condividerla. Le Rappresentazioni Sociali sono quindi una guida circa il modo in cui i diversi aspetti della realtà quotidiana vengono definiti e interpretati e sono definibili come l’elaborazione di un oggetto sociale da parte di una comunità che permette ai suoi membri di comportarsi e di comunicare in modo comprensibile e costituiscono il modo per esprimere la conoscenza di una società e nei gruppi che la costituiscono (Moscovici, 1963). Gli individui, nell’ambito di questa teoria, sono considerati costruttori di rappresentazioni sociali e costruiscono mondi sociali familiari, stabili e coerenti al fine di ridurre i sentimenti di incertezza che si presentano nel corso dell’esistenza. Le rappresentazioni sono quindi un insieme organizzato di opinioni, atteggiamenti, credenze e informazioni relative a un oggetto o a una situazione e sono determinate contemporaneamente dall’individuo, dal sistema sociale e ideologico in cui è inserito e dalla natura dei legami che instaura con il sistema sociale (Palmonari e Emiliani, 2009). Lo scopo finale delle rappresentazioni sociali è quindi di rendere familiare ciò che invece è inconsueto. I Processi Generatori delle Rappresentazioni Sociali sono: - Ancoraggio: legato a processi di categorizzazione, per cui implica una classificazione dell’oggetto sociale che si considera; - Oggettivazione: serve per rendere concreto ciò che è astratto. Nell’oggettivazione l’informazione viene selezionata per essere estrapolata dal contesto in cui è inserita e schematizzata, estraendone quel nucleo figurativo, vale a dire un insieme di immagini che riproduce quelle idee. Questo processo si caratterizza per due aspetti: - Personificazione: personalità rilevante come simbolo di idee e concetti; - Figurazione: concetti complessi vengono sostituiti da immagini mentali. E´importante considerare due Sviluppi della Teoria delle Rappresentazioni Sociali: 1. Rappresentazioni Sociali come Principi Generatori di Prese di Posizione: sviluppata da Doise e collaboratori (1995), tale teoria focalizza l’attenzione sull’articolazione fra mondo individuale e mondo collettivo e, in particolare, definisce le rappresentazioni sociali dei principi generatori di prese di posizione legati a degli inserimenti specifici in un insieme di rapporti sociali, deputati ad organizzare i processi simbolici che vi intervengono. Queste prese di posizione si realizzano nei rapporti di comunicazione e riguardano ogni oggetto di conoscenza che abbia una rilevanza nei rapporti che mettono in relazione gli attori sociali. Doise insiste inoltre sulla pluralità dei processi che intervengono al momento delle prese di posizione poiché ritiene che questa pluralità permetta di spiegare la varietà delle espressioni individuali di una rappresentazione sociale, dato che la condivisione della conoscenza non comporta che vi sia consenso su ogni aspetto. Tale posizione, elaborata dalla Scuola di Ginevra, ha quindi cercato di fornire una spiegazione in merito alla relazione tra dimensione psichica e dimensione sociale, evidenziando la funzione regolatoria che la società esercita sui processi di conoscenza e rendendo comprensibile le prese di posizione degli individui rispetto ai fenomeni che contraddistinguono il campo rappresentazionale. Doise e collaboratori hanno inoltre elaborato il Modello delle Tre Fasi che offre un preciso percorso metodologico e di tecniche di analisi dei dati volti allo studio delle rappresentazioni sociali: - Fase 1: basata sull´analizzare il sapere condiviso ed evidenziare l’universo semantico della rappresentazione. Taler fase si focalizza sull’oggettivazione, processo che porta a inserire concetti astratti in forme concrete, mediante l’utilizzo di molteplici tecniche di analisi dei dati, come ad esempio l’analisi dei testi informatizzati che tiene in considerazione anche l’appartenenza di gruppo, la quale si ritiene possa influenzare il campo semantico; - Fase 2: basata sullo studiare il posizionamento degli individui o dei sottogruppi nel campo rappresentazionale. Tale fase intende rilevare il peso delle differenze individuali sulle rappresentazioni sociali cercando di cogliere gli elementi alla base delle differenze tra individui e gruppi, mediante l’utilizzo di tecniche di analisi multivariata; - Fase 3: basata sull´analizzare il processo di ancoraggio. Tale fase consta nell’esaminare i legami tra le prese di posizione degli individui in contesti storici e culturali ben definiti. E´ quindi importante studiare il modo in cui una popolazione si rappresenta un particolare oggetto sociale e individuare la base consensuale della rappresentazione e le differenziazioni interne che contraddistinguono gruppi specifici, dato che la rappresentazione è una conoscenza condivisa che viene utilizzata a seconda del gruppo cui si appartiene. Esistono tre forme di Ancoraggi Multipli: - Ancoraggio Psicologico: si fonda sulla relazione fra sistemi di credenze; - Ancoraggio Sociologico: mette in luce le posizioni sociali degli individui ritenendo che posizioni sociali differenti diano origine a eventi e confronti che trasformano la rappresentazione in modo diverso; - Ancoraggio Sociopsicologico: si riferisce a come gli attori sociali strutturano il modo in cui percepiscono le relazioni che hanno luogo nel loro ambiente, le posizioni e le categorie sociali che lo specificano. E’ un raccordo tra i precedenti in quanto mette in luce il modo in cui gli individui si pongono in universi simbolici di riferimento, in rapporto alle relazioni sociali in un dato ambito. 2. Themata: secondo Moscovici e Vignaux (1994) sono definibili come un insieme di archetipi all’interno di una certa cultura e si esprimono sotto forma di coppie antinomiche, radicate nella memoria collettiva di un gruppo. Essi trovano espressione in nozioni comuni, profondamente ancorate e condivise in una data cultura e da queste dipende la produzione del discorso sociale, ed è intorno ad esse che si costituiscono le rappresentazioni sociali. Queste idee guida possono essere considerate come la base della socialità delle rappresentazioni poiché creano delle regole discorsive e delle collocazioni di carattere cognitivo e culturale. Possono inoltre essere intese come delle categorie relazionali fondamentali, delle tassonomie di natura oppositiva. Ivana Markova (2009) ha proposto un Approccio Dialogico allo Studio delle Rappresentazioni Sociali sostenendo che alcuni themata, definiti di base, hanno un ruolo molto importante nella vita sociale, in quanto sono quelli più impliciti che diventano salienti quando sussistono le condizioni che mettono in crisi le categorie che li costituiscono. E´ora importante considerare due Ricerche sulla Cittadinanza basate sulla Teoria delle Rappresentazioni Sociali: 1. La Rappresentazione Sociale del Cittadino Belga ed Europeo: studio condotto da Sanchez-Mazas, Van Humskerken e Casini nel 2003 con l´obiettivo di cogliere il significato dell’essere cittadino in un contesto nazionale, in questo caso quello belga, e nel contesto europeo, contrapponendo le diverse rappresentazioni soggettive della cittadinanza. Sanchez-Mazas e collaboratori, riguardo la cittadinanza nazionale, distinguono tra: - Aspetti di Carattere Etnico-culturale (Ethnos); - Aspetti Democratici-Civili (Demos). Focus del lavoro è il contenuto che le persone assegnano alla nozione di cittadinanza e le variazioni a cui può andare incontro questo concetto quando viene inteso in senso nazionale e in senso europeo. La ricerca cerca di cogliere sia le differenti dimensioni, identità, status e azione coinvolte nella concezione profana di cittadinanza, sia alcune fonti della loro variazione. Inoltre si intende evidenziare alcuni contenuti che i cittadini europei considerano per sostenere la nozione di cittadinanza europea. La nozione di cittadinanza presenta le caratteristiche di un concetto astratto che include delle categorie concrete, dato che è una concezione particolare dei rapporti sociali, e dà luogo a una concezione condivisa ma non consensuale. Inoltre, poiché è una categoria politica, la cittadinanza si presta allo studio del posizionamento sociale, basato sull´ancoraggio di una conoscenza condivisa in gruppi diversi, caratterizzati da credenze ed esperienze specifiche e, affinché abbia luogo, il concetto astratto di cittadinanza viene sottoposto al processo di oggettivazione e di ancoraggio. Questo studio affronta una analisi politico-psicosociale della cittadinanza e gli autori ipotizzano che gli atteggiamenti favorevoli alle politiche che si occupano di situazioni come la gestione per la sicurezza (stato penale) e quelli in favore alle funzioni sociali dello Stato (stato sociale), costituiscano delle variabili di ancoraggio importanti per la rappresentazione della cittadinanza. Per le funzioni sociali inoltre vengono distinte due tipi di solidarietà, definite calda e fredda, e gli autori si aspettano che a una concezione dello stato sociale sia sottesa una concezione della cittadinanza che fa riferimento a questi due modelli di solidarietà. Per quanto riguarda l’altra concezione, quella di uno stato penale, una politica orientata a rinforzare la sicurezza può essere concepita come uno strumento di esclusione difensiva dallo spazio pubblico, motivata da paure nei confronti degli stranieri. Una politica di carattere repressivo può essere un indice importante del modo con cui uno Stato gestisce alcuni effetti di fenomeni sociali, come ad esempio la disoccupazione, sostituendo la protezione sociale con una gestione penale di questi problemi. Per mettere in luce le rappresentazioni della cittadinanza i ricercatori hanno somministrato un questionario distinto in due parti: - nella prima parte era necessario associare cinque parole alle affermazioni “essere un cittadino europeo significa” ed “essere un cittadino belga significa”, al fine di elicitare il contenuto della conoscenza condivisa rispetto al concetto astratto di cittadinanza, quando applicato al contesto belga ed europeo; - nella seconda parte si indagava invece i temi che si assume organizzino i significati associati alla nozione di cittadinanza. I Risultati indicano che: - correlazione moderata tra identificazione con il Belgio e con l'Europa, e quest'ultima con una concezione di stato penale; - nozione di diritto come elemento più legato al concetto di cittadinanza; - Cittadinanza Nazionale: contrapposizione Ethnos, con soggetti a favore di uno stato penale, collocati politicamente a destra e che parlano molto di politica, e Demos, con soggetti a favore dello stato sociale e che si identificano poco con l'Europa. Inoltre contrapposizione tra Repubblicano, legato alla dimensione etnica e a diritto e dover, e Comunitario, legato ad aspetti pratici della vita sociale tra cui l'impegno personale; - Cittadinanza Europea: distinzione tra Cultura e Politica (simile a Ethnos e Demos) e tra Postnazionale, basato su una concezione valoriale e astratta, e Comunitario, basato su una partecipazione concreta nella comunità. 2. La Rappresentazione Sociale del Cittadino e dell’Immigrato: questo studio, compiuto in Italia da Gattino, Miglietta, Ceccarini e Rollero nel 2008, aveva come focus la questione della cittadinanza alla luce dei molteplici cambiamenti politici, economici, sociali e culturali che si sono verificati nei paesi europei, anche a seguito della globalizzazione, e la conseguente convivenza tra gruppi diversi, la quale implica un incontro anche problematico di norme e valori differenti che può comportare anche una loro messa in discussione. L’immigrato viene spesso posto al fondo della gerarchia sociale del paese ospitante e questa collocazione è influenzata dalla posizione che il suo paese occupa nella gerarchia delle nazioni, dato che un immigrato che proviene da un paese occidentale è considerato diversamente da uno che viene da un altro paese. Lo studio della cittadinanza nel quadro teorico delle rappresentazioni sociali consente allora di leggere le tematiche relative all’alterità e al riconoscimento sociale in base al costrutto dei themata. Per Markova il riconoscimento sociale si lega al vissuto identitario e si modula in base a categorie antitetiche salienti per l’individuo, per cui negare a un individuo il riconoscimento sociale significa negarne la soggettività in quanto persona e si assiste alla costruzione simbolica e materiale attraverso il quale il diverso diventa “altro”. Studiare la rappresentazione sociale della cittadinanza attraverso il concetto di themata aiuta a cogliere le dinamiche di inclusione-esclusione, analizzando come le nozioni astratte vengano oggettivate nel linguaggio comune. In base a questo quadro teorico sono state indagate le immagini del buon cittadino e dell’immigrato, analizzando i modi di oggettivazione di queste rappresentazioni ed esaminando quegli elementi che strutturano il significato evocato da questi due oggetti sociali, ed inoltre è stato indagato se in queste rappresentazioni emerge il thema del riconoscimento sociale. I Risultati indicano diversi aspetti: - Dati Testuali del Buon Cittadino: identificate quattro classi semantiche: - Cittadinanza Privata (individuazione caratteristiche personali e non sociali); - Cittadinanza Sociale (soggetti coinvolti in pratiche sociali dirette e partecipazione); - Cittadinanza Pratica (individuazione delle forme concrete di partecipazione); - Cittadinanza Civica (partecipazione in termini generali di diritti e doveri). - Dati Testuali dell'Immigrato: identificate tre classi semantiche: - Alterità (basata sulla diversità che fa paura e collegata alla criminalità); - Riconoscimento della Diversità (immigrato come cultura diversa ma vi è solidarietà); - Riconoscimento Empatico (considerazione empatica delle difficoltà dell'immigrato). La Cittadinanza come Identità Sociale La Teoria dell’Identità Sociale (SIT) di Tajfel e collaboratori (1986, 1995) pone grande attenzione alla comprensione del contesto sociale entro cui si esprime l’azione umana. Punto chiave è dato dal fatto che l’Identità Sociale, intesa come quella parte dell’identità di un individuo che gli deriva dalla consapevolezza di appartenere a un determinato gruppo sociale e dal valore attribuito a tale appartenenza, è contemporaneamente un aspetto importante per il singolo e un costrutto storico-culturale non riducibile al solo individuo. E’ quindi un concetto che permette di definire l’individuo in termini sociali e si configura come un mediatore tra i contesti sociali e le azioni dei soggetti umani. Elemento centrale della teoria è il processo di categorizzazione in base al quale le persone costruiscono delle categorie che utilizzano per dare senso agli eventi in cui sono coinvolte, e queste categorie influenzano il mondo in cui ci si muove. Anche se ci si definisce membri di una determinata categoria sociale, sul piano del comportamento le conseguenze che derivano da tale appartenenza dipenderanno dalle relazioni all’interno delle quali la categoria è inserita. La Teoria dell’Auto-Categorizzazione (SCT), la quale rappresenta uno degli sviluppi della SIT, è di particolare interesse per gli studi sulla cittadinanza, dato che assume che le persone non hanno solamente delle identità individuali singole, ma seguono un continuum che va da una identità personale a una sociale, e ciò corrisponde allo spostamento sul piano del comportamento dell’azione interindividuale a quella intergruppo. Una delle implicazioni più radicali della teoria dell’auto-categorizzazione è che gli stereotipi non sono rigidi e fissi, ma sensibili al contesto, questo perché le categorie di comprensione devono potersi adattare al modo in cui i diversi contesti sono strutturati, dato che la categorizzazione è per sua natura legata al contesto in cui viene prodotta. Campbell (1992) sostiene che i modi in cui vengono identificati gli outsider e gli stranieri e costruiti come minaccia, e le politiche che vengono utilizzate per trattare con loro, sono legati alle questioni di identità nazionale. Emerge quindi che l’interesse per il concetto di identità sociale risiede nel suo essere un meccanismo causale che interviene nelle situazioni di cambiamento sociale (Tajfel, 1978). Accostare l’identità sociale alla cittadinanza rende chiaro il Legame tra Identità e Azione Sociale dal momento che le identità rivendicate dai gruppi di minoranza, che agiscono entro una società data, sono connesse alle richieste dei nuovi diritti che vengono avanzate. I temi connessi al riconoscimento delle identità collettive hanno assunto un posto centrale negli attuali dibattiti sulla cittadinanza e ciò ha fatto si che molti gruppi di minoranza abbiano impostato i propri discorsi nei termini del diritto universale a salvaguardare la propria cultura. L’analisi condotta dagli autori ha messo in luce come risorse culturali comuni vengano interpretate in modo strategico per promuovere forme di azione sociale che intendono attuare modelli diversi di relazioni sociali. Le identità non sono mai costruite nel vuoto, ma entro un confine dibattuto in cui tutti gli attori articolano le proprie alternative. In questo senso Billig (1999) afferma che le persone raramente rivolgono l’attenzione a temi su cui non vi è dissenso o non esistono alternative. Secondo la teoria dell’auto-categorizzazione per agire in termini di identità di gruppo gli individui devono quindi conformarsi agli stereotipi dell’ingroup e chi vuole costruire un sostegno deve proporre delle costruzioni identitarie strategicamente organizzate. NOTE CONCLUSIVE L’attenzione verso lo studio della cittadinanza da parte degli psicologi sociali è cresciuto notevolmente negli ultimi anni, questo poiché tale concetto è sempre più dibattuto ed è al centro di diverse tensioni che provengono da diversi settori della società, i quali spingono per ridefinirne i contorni e i contenuti. La globalizzazione è sicuramente l’elemento che contribuisce maggiormente a mettere in crisi la concezione classica della cittadinanza, dato che lo stato-nazione diventa troppo piccolo per gestire i problemi. Nonostante questo però i confini nazionali vengono mantenuti e rafforzati al fine di tenere fuori gli stranieri. Questo cambiamento che avviene a livello mondiale fa si che la cittadinanza debba essere considerata una nozione alla cui costruzione partecipano più dimensioni, tra cui un cambiamento che caratterizza l’appartenenza a più collettività, mettendo in discussione l’idea di comunità nazionale come entità culturalmente omogenea, e una sempre più rilevante questione sulla diversità. Il punto centrale degli attuali dibattiti attorno al tema della cittadinanza è costituito dalla misura in cui la diversità produce la discriminazione tra i cittadini, basata sull'effettiva possibilità di esercizio dei diritti. L’appartenenza è un termine definito nel senso comune, ma a livello teorico rimanda a due diverse nozioni: - Appartenenza Formale: che coincide con i criteri giuridici che consentono di distinguere chi appartiene alla comunità; - Appartenenza Sostanziale: si identifica con criteri di natura emotiva, antropologica e psicologica che permettono di definire chi fa parte a pieno titolo della comunità. Tale concetto fonda la legittimazione valoriale relativa ai criteri giuridici. Si può quindi dire che le società sono costituite da persone che costruiscono relazioni e appartengono a gruppi sociali con cui si identificano, in base ai quali vengono stabiliti dei confini che definiscono e delimitano i membri dell’ingroup dai membri dell’outgroup. La psicologia sociale oggi è chiamata su questioni legate all’appartenenza, la quale sembra acquisire un carattere sempre più ristretto nonostante si cerchi di creare delle unità territoriali più ampie. Strutturazione dei confini e sentimento di appartenenza sono due elementi fondamentali per leggere la cittadinanza anche nei termini delle sue conseguenze sociali, psicologiche e pratiche. I soggetti che vengono esclusi sono accumunati dal fatto di essere respinti dalla società, privati di riconoscimento sociale, ed è da questo che bisogna partire per lavorare verso una integrazione sociale che rispetti le differenze, ascolti le richieste di chi non appartiene all'ingroup e crei uno spazio in cui possano essere riconosciute le diversità.