3. Nuzzetti On denoting.F copia

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Metalogicon (2005) XVIII, 2
On Referring vs. On Denoting
Modestino Nuzzetti
1. A distanza di circa un ventennio dalla pubblicazione su
“Mind” di On Referring,1 Strawson riaffermava la sostanziale
validità del suo lavoro, anche se ammetteva che alcuni concetti
«non erano di certo adeguatamente chiariti ed erano inoltre
erratamente presentati».2
On Referring intende essere un esame critico dell’articolo di
Russell, On Denoting, pubblicato sempre su “Mind” nel 1905,3
ove è illustrata la teoria delle descrizioni; e questa, osserva
Strawson, «è ancora largamente accettata dai logici come una
teoria che fornisce una spiegazione corretta dell’uso di tali
espressioni nel linguaggio ordinario. Io intendo mostrare, in primo
luogo, che questa teoria, così intesa, contiene alcuni errori
fondamentali».4 Ma, prima di prendere in esame «gli errori
fondamentali» segnalati da Strawson, è opportuno presentare la
prospettiva russelliana.
2.
«Se ‘C’ è un sintagma denotativo… può accadere che ci sia
un’entità x (non può essercene più d’una) per la quale è vera la
proposizione ‘x è identica a C’. Possiamo dunque dire che l’entità
x è la denotazione del sintagma ‘C’».5
1
Trad. it. in La struttura logica del linguaggio, a cura di A. Bonomi, Milano
1973, pp. 197-224.
2 P. Strawson, in B. Magee, Modern British Philosophy, trad. it., Roma 1979,
p. 210.
3 Trad. it. in La struttura logica del linguaggio, cit., pp. 179-195.
4 On Referring, cit., p. 198.
5 On Denoting, cit., p. 190.
97
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Vengono esaminati, quali sintagmi denotativi primitivi, i
quantificatori “tutto”, “niente” e “qualcosa” e qui occorre
ricordare che l’indagine è ancora condotta in modo informale e
che solo con i Principia Mathematica (1910-1913) il pensatore
elaborerà una notazione simbolica adeguata e mutuata in buona
misura da Peano.6 Tra i sintagmi denotativi, i più «interessanti e
difficili» sono quelli introdotti dall’articolo determinativo il e
questo, usato in modo rigoroso, implica unicità. L’impegno
russelliano è quello di ridurre «le proposizioni in cui figurano
sintagmi denotativi a forme da cui sono assenti»,7 e tale riduzione,
resa possibile dalla scoperta fregeana della forma logica, 8
consente il superamento della teoria di Meinong, per il quale ogni
segno denotativo grammaticalmente corretto è segno di un
oggetto, con la conseguenza di ritenere “l’attuale re di Francia” e
“La montagna d’oro” 9 come «autentici oggetti», così da violare il
principio di non contraddizione.
Egli ricorda la teoria di Frege sulla distinzione tra significato
e denotazione,10 ma in nota afferma che secondo la sua teoria non
c’è significato alcuno, ma solo, a volte, una denotazione.
E così per risolvere il caso di quei sintagmi come “il re di
Francia” che, pur sembrando avere un significato, non hanno
6
Cfr. G. Peano, Arithmetices Principia, Torino 2001.
On Denoting, cit., p. 183. Il concetto di descrizione, corrispondente
all’articolo definito singolare, era già stato introdotto da Frege; cfr. J. M.
Bochenski, Formale Logik, 2 voll,, trad. it., Torino 1972, II, pp. 478-480.
8 Cfr. G. Frege, Funktion und Begriff, trad. it. in G. Frege, Senso, funzione e
concetto, Bari 2001, pp. 3-27; B. Russell, Our Knowledge of the External
World, trad. it., Roma 1971, pp. 63-67.
9 L’esempio della “montagna d’oro” è già presente in B. Bolzano, Von der
matematischen Lehrart, trad. it., Torino 2004, pp. 44-45. J. Lukasiewicz, O
Zasadzie sprzecznosci u Arystotelesa, trad. it., Macerata 2003, p.33, muove a
Meinong l’accusa di «psicologismo».
10 Cfr. G. Frege, Über Sinn und Bedeutung, trad. it. in G. Frege, Senso,
funzione e concetto, cit., pp. 31-35. Russell aveva già esaminato tale distinzione
in The Principles of Mathematics, trad. it., Roma 1977, pp. 750-751.
7
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denotazione alcuna, non restano che due possibili soluzioni: o il
sintagma denoterà la classe nulla (è questo il punto di vista di
Frege)11 o «abbandonare la tesi che la denotazione è ciò su cui
vertono le proposizioni contenenti sintagmi denotativi».12 Ed è
questa la soluzione fatta propria da Russell.
Una teoria logica può essere provata nella sua capacità di
risolvere «enigmi», ed egli ne enumera tre. Il primo relativo al
paradosso in cui ci imbattiamo quando affermiamo che a è
identico a b: ognuno dei due può essere sostituito dall’altro in
qualsiasi proposizione senza compromettere la verità o falsità di
quella proposizione; è il celebre esempio: «Giorgio IV voleva
sapere se Scott fosse l’autore di Waverly»,13 ove, essendo di fatto
Scott l’autore in questione, la sostituzione dell’autore di Waverly
con Scott produrrebbe la risibile conseguenza che Giorgio IV
voleva sapere se Scott fosse Scott.
Il secondo enigma chiama in causa il principio del terzo
escluso, la cui applicazione rigorosa imporrebbe di affermare che
o «il re di Francia è calvo» o «il re di Francia non è calvo» deve
essere vera.
Il terzo è relativo all’enunciato «A differisce da B» che in
caso di falsità ci porterebbe ad affermare che «la differenza tra A e
B non sussiste»; ma è possibile avere come soggetto di una
proposizione una non entità? È il rapporto del significato con la
denotazione ad essere problematico, ed in breve è la teoria
fregeana della distinzione tra significato e denotazione che si
11
Cfr. Über die Begriffsschrift des Herrn Peano und meine eigene, trad. it. in
G. Frege, Senso, funzione e concetto, cit., p. 107.
12 On Denoting, cit., p. 185.
13 L’esempio ricorre più volte nelle opere di Russell; cfr. Introduction to
Mathematical Philosophy, trad. it., Roma 1995, pp. 165-170 e History of
Western Philosophy, trad. it., Milano 1993, pp. 791-792.
99
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mostra aporetica.14
Come è possibile, infatti, preservare la connessione tra
denotazione e significato senza rischiare la loro sovrapposizione?
«Il significato non può essere afferrato se non per mezzo di
sintagmi denotativi».15 Per venir fuori da questo «groviglio
inestricabile» non resta che affermare che il sintagma denotativo è
parte di un enunciato e di per sé non ha significato alcuno. Così,
quando affermiamo che “l’autore di Waverly aveva la proprietà
ϕ”, tale enunciato è equivalente all’asserzione di una proposizione
univocamente esistenziale: “una e una sola entità scrisse Waverly,
e questa entità aveva la proprietà ϕ”. Non dissimile il caso di
“l’attuale re di Francia è calvo”; l’irreggimentazione di tale
enunciato nella forma logica sarà in simboli:
(∃x)(ϕx ∧ (y)(ϕy
⊃
x = y) ∧ ψx)
che è a sua volta equivalente a
(∃x)(ϕx ∧ ˜ (∃y)(ϕy ∧ x ≠ y) ∧ ψx) . 16
Russell inoltre formula la distinzione tra ‘occorrenza
primaria’ e ‘occorrenza secondaria’ di una descrizione 17 così
esemplificata: «quando diciamo “Giorgio IV voleva sapere se
Scott era l’autore di Waverly”, normalmente intendiamo dire
14
Sulla teoria del significato di Frege, cfr. M. Dummett, The Logical Basis of
Metaphysics, trad. it., Bologna 1996, p. 177 e sgg.; dello stesso A. cfr. anche La
natura e il futuro della filosofia, Genova 2001, pp. 76-88.
15 On Denoting, cit., p. 187.
16 Cfr. R. Carnap, Einführung in die symbolische Logik, trad. it., Firenze 1978,
pp. 218-219; C.J.F. Williams, What is Existence?, Oxford 1981, pp. 154-161;
R. Nozick, Invariances, trad. it., Roma 2003, p. 70. In seguito, per la
descrizione di un individuo verrà introdotto ‘l’operatore iota’; cfr. A. N.
Whitehead e B. Russell, Principia Mathematica *14.01 e *14.02.
17 Cfr. W.C. Kneale-M. Kneale, The Development of Logic, trad. it., Torino
1972, pp. 683-684.
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“Giorgio IV voleva sapere se uno e un solo uomo scrisse Waverly
e se Scott era quell’uomo”, ma possiamo anche dire: “Uno e un
solo uomo scrisse Waverly e Giorgio IV voleva sapere se Scott era
quell’uomo”».18
Il primo caso è un esempio di ‘occorrenza secondaria’ di
“l’autore di Waverly”, mentre il secondo è un esempio di
‘occorrenza primaria’ dello stesso sintagma. Tale distinzione
risolve l’«enigma» due perché “il re di Francia non è calvo” sarà
falso se (a) l’occorrenza di “il re di Francia” è primaria; sarà vero
se (b) l’occorrenza è secondaria.
In simboli (a) verrà reso con
(∃x)(ϕx ∧ (y)(ϕy
x = y) ∧ ~ ψx) ;
⊃
mentre (b) con
~ (∃x)(ϕx ∧ (y)(ϕy
⊃
x = y) ∧ ψx)
e quest’ultimo risulta la negazione di
(∃x)(ϕx ∧ (y)(ϕy
⊃
x = y) ∧ ψx)
salvando il principio logico α ≡ ~ α .
Russell è consapevole della portata filosofica della sua teoria
che elimina «l’intero regno delle non entità», perché “quadrato
rotondo”, “Apollo”, ecc. sono semplici sintagmi denotativi che
non denotano nulla; essa inoltre getta luce sugli enunciati di
identità 19 ed è funzionale alla distinzione tra due tipi di
conoscenza: la Knowledge by description e la Knowledge by
18
On Denoting, cit., p. 191.
Sulla teoria della identità cfr. A. Tarski, Introduction to Logic, trad. it.,
Milano 1978, pp. 81-96. Per L. Wittgenstein, Logisch – philosophische
Abhandlung, Torino 1989, p. 122, «Russells Definition von “=” genügt nicht».
19
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acquaintance.20
3. Il lavoro di Strawson viene pubblicato 45 anni dopo On
Denoting e presuppone non solo l’enorme sviluppo degli studi
logici in questi anni, ma anche la nascita della semiotica su basi
scientifiche grazie al contributo di C. Morris e della sua
Foundations of the Theory of Signs (1938).21 Il pensatore
britannico è inoltre esponente della c.d. “Cambridge – Oxford
Philosophy”, movimento che esplicitamente intende contrapporsi
alla filosofia del “Wiener Kreis” e che con la pubblicazione delle
Philosophische Untersuchungen di L. Wittgenstein (1953) 22
riceverà un impulso decisivo per la sua evoluzione.23
Non a caso, perciò, On Referring inizia con una
classificazione dei tipi di espressioni di cui noi «facciamo uso»
quando menzioniamo o ci riferiamo a qualche persona od oggetto
singolo o evento particolare «mentre stiamo facendo quella che
chiameremmo normalmente un’asserzione riguardo a quella
persona, oggetto, ecc.».24 Tale modo di impiegare le espressioni
viene chiamato «uso univocamente referenziale» e tra le classi di
espressioni usate figurano anche i sintagmi che iniziano con
l’articolo definito seguito da un nome al singolare, qualificato o
meno (“il tavolo”, “il re di Francia”). Strawson va subito al
bersaglio: «Penso che sia esatto affermare che la teoria delle
descrizioni di Russell che ha per oggetto le espressioni della forma
il “così e così” è ancora largamente accettata dai logici come una
20
Cfr. B. Russell, The problems of Philosophy, trad. it., Milano 1973, pp. 5470 e Theory of Knowledge, trad. it., Roma 1996, pp. 73-84. Sulla teoria della
conoscenza di Russell, cfr. E. Riverso, Il pensiero di Bertrand Russell, Napoli
1972, pp. 123-133 e M. Di Francesco, Introduzione a Theory of Knowledge,
cit., pp. 7-24.
21 Trad. it., Torino 1954.
22 Trad. it., Torino 1995.
23 Cfr. M. Dummett, Alle origini della filosofia analitica, Bologna 1990; D.
Antiseri – M. Baldini, Lezioni di filosofia del linguaggio, Firenze 1989, pp. 3140.
24 On Referring, cit., p. 197.
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teoria che fornisce una spiegazione corretta dell’uso di tali
espressioni nel linguaggio ordinario. Io intendo mostrare… che
questa teoria… contiene alcuni errori fondamentali».25 E, riguardo
ad un enunciato come “il re di Francia è saggio”, osserva che la
questione cui la teoria delle descrizioni cerca di rispondere è se
esso possa avere un significato in assenza di qualcosa che
corrisponda alla descrizione che esso contiene.
Strawson,
come
Russell,
respinge
le
«cattive
argomentazioni» che postulano l’esistenza di strane entità, ma
trova che l’autore dei Principia finisca col condividere il
presupposto di tali argomentazioni: gli enunciati che da un punto
di vista logico sono della forma soggetto-predicato (S-P) 26
risultano significativi se e solo se esiste qualcosa cui il soggetto
logico e grammaticale si riferisce; e questo si evince, ad avviso di
Strawson, da ciò che Russell dice a proposito dei nomi
«logicamente propri», che soli possono comparire come soggetto
di enunciati della forma S-P. Sembrerebbe che esistano solo due
modi per poter formulare enunciati significativi relativi a qualche
particolare persona, evento o oggetto individuale: a) che la loro
forma grammaticale sia fuorviante, mentre essi, dal punto di vista
logico sarebbero tipi speciali di enunciati esistenziali; b) che essi
abbiano per soggetto grammaticale un nome logicamente proprio,
il cui significato è la cosa individuale da esso designata.
Per l’autore di On Referring, al contrario, questa prospettiva
è sbagliata e tutta la teoria delle descrizioni è aporetica. In
particolare, per quanto riguarda l’enunciato relativo al re di
Francia, l’analisi russelliana avrebbe evidenziato le condizioni
necessarie perché chiunque l’emetta compia un’asserzione vera,
25
Ibidem, p. 198.
La critica alla «logica soggetto-predicato» è frequente nel pensiero di
Russell; cfr. Logical Atomism, trad. it. in B. Russell, Linguaggio e realtà, Bari
1970, pp. 145-147 e Our Knowledge of the External World, trad. it. cit., pp- 6577. Per l’importanza della critica russelliana, cfr. R. Carnap, Die alte und die
neue Logik, trad. it. in R. Carnap, La Filosofia della Scienza, Brescia 1964, pp.
10-14.
26
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ma ciò non significa che sia stata data una spiegazione corretta del
suo uso. E qui Strawson formula delle distinzioni relative alle
espressioni univocamente referenziali e agli enunciati che iniziano
con tali espressioni: enunciato, uso dell’enunciato, emissione
dell’enunciato e, parallelamente: espressione, uso dell’espressione,
emissione dell’espressione. E come non si può parlare
dell’enunciato come vero o falso, ma solo del suo uso per
esprimere una proposizione vera o falsa, così l’espressione di per
sé non si riferisce a qualcosa. La stessa espressione può avere
diversi usi referenziali. La critica a Russell è così riassunta: «il
significato… è una funzione dell’enunciato o espressione…; il
riferimento, la verità o la falsità sono funzioni dell’uso
dell’enunciato o dell’espressione».27 Il significato di un enunciato
coincide con le istruzioni generali per il suo uso nel fare asserzioni
vere o false. E ciò vale anche per il significato di un’espressione:
esso non si identifica con l’oggetto ma consta di istruzioni
generali «per il suo uso inteso a riferirsi a oggetti o persone
particolari».28 L’autore dei Principia confonde l’espressione con
l’uso dell’espressione, il significato con il riferimento. Quando
parliamo dell’ “attuale re di Francia”, l’enunciato resta
significante, ma ciò non sta ad indicare che un suo qualsiasi uso
particolare sia vero o falso. L’enunciato “il re di Francia è saggio”
implica che esiste un re di Francia; ma qui non abbiamo
un’implicazione logica, tant’è che quando replichiamo che “non
esiste alcun re di Francia” non affermiamo che il primo sia falso;
stiamo solo supportando il punto di vista secondo il quale non si
pone il problema della verità o falsità dell’enunciato. Inoltre
Russell sembra assimilare gli enunciati con una espressione
utilizzata per menzionare cose o persone particolari a quelli
«univocamente esistenziali», ma l’univocità del riferimento,
quando ha luogo, «è il frutto di un particolare uso in un contesto
particolare».29
27
On Referring, cit., p. 205.
Ibidem.
29 Ibidem, pp. 213-214.
28
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Da qui Strawson muove per formulare la distinzione tra due
tipi di regole, quelle relative al riferimento e quelle relative
all’attribuzione: molti rompicapo filosofici nascono dalla mancata
osservanza di tale distinzione. Le convenzioni relative al
riferimento implicano in primo luogo che la cosa abbia una
connessione col parlante e col contesto dell’emissione; quelle
relative all’attribuzione esigono che la cosa abbia certe note e che
sia di un certo tipo. Le prime sono state trascurate dai logici a
motivo dei loro interessi per i sistemi formali e per la costruzione
dei calcoli. Vengono poi esaminati altri corollari della teoria delle
descrizioni; in primo luogo è assurdo assimilare i nomi propri a
descrizioni camuffate (quando menzionano qualcuno per nome,
ciò implica solo che esista qualcuno, ora menzionato,
convenzionalmente menzionato dal nome). Inoltre gli enunciati
che iniziano con l’articolo indefinito non sono, come ritiene
Russell, assimilabili a enunciati esistenziali ma non univocamente
esistenziali (a volte usiamo un sintagma con l’articolo indefinito
anche quando possa essere effettuato un riferimento definito).
Da ultimo Strawson prende in esame la «logica dei soggetti e
dei predicati» per quanto riguarda gli enunciati del quadrato delle
opposizioni, pervenendo alla conclusione che le leggi del quadrato
rimangono valide se si adotta la precauzione di porre il problema
se tali enunciati siano impiegati per fare asserzioni vere o false
«solo quando la condizione esistenziale sia soddisfatta dal termine
soggetto».30
Ma anche la logica aristotelica come quella matematica – è
questa l’importante conclusione del filosofo britannico – non ci
fornisce la logica esatta del linguaggio ordinario, perché questo
non ha una logica esatta.31
30
Ibidem, p. 224. Cfr. M. Malatesta, La logica delle funzioni, Roma 2000, pp.
107-112; E.J. Lemmon, Beginning Logic, trad. it., Bari 1986, pp. 187-197.
31 Cfr., a questo proposito, quanto Strawson dice nella sua Introduction to
Logical Theory, trad. it., Torino 1962, in particolare p. XXI.
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3.
A distanza di qualche anno dalla pubblicazione di On
Referring, Russell replicò alle critiche,32 osservando che «il
nocciolo dell’argomento di Strawson consiste nell’identificare due
problemi che io ho considerato del tutto distinti, ossia quello delle
descrizioni e quello dell’egocentrismo».33
Essi sono distinti, e, in quanto tali, l’uno non è stato
affrontato quando è stato preso in esame l’altro; «questo permette
a Strawson di affermare che ho trascurato il problema
dell’egocentrismo».34
L’esempio su cui l’autore di On Referring ha insistito,
“l’attuale re di Francia è calvo”, evidenziando l’egocentrismo del
termine «attuale», può facilmente essere sostituito con “il re di
Francia nel 1905 è calvo”, così da eludere l’egocentrismo. Si
possono senza problemi formulare frasi descrittive come «il cubo
di tre è il numero integrale immediatamente precedente il secondo
numero perfetto»,35 ove non c’è traccia di termini egocentrici.
D’altra parte, ridurre al minimo gli elementi egocentrici di
un’asserzione è aspirazione legittima della conoscenza scientifica,
ma essi mai del tutto possono essere eliminati perché l’esperienza,
che è il supporto di ogni sapere autentico, ha sempre una
dimensione «egocentrica».
Inoltre, si ribadisce, contro Strawson, che le parole hanno
significato solo perché esistono gli oggetti che essi significano.
La divergenza tra i due filosofi è notevole e incolmabile: per
l’autore dei Principia il linguaggio comune è vago e impreciso,36
32
B. Russell, My Philosophical Development, trad. it., Roma 1995, pp. 201207.
33 Ibidem, p. 202.
34 Ibidem.
35 Ibidem.
36 Ibidem, p. 204; per Russell «è necessario fuggire le suggestioni del
linguaggio comune», Mathematical Logic as Based on the Theory of Types,
trad. it. in B. Russell, Linguaggio e realtà, cit., p. 120. Questo punto di vista è
106
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mentre per il suo critico esso sarebbe valido anche per la filosofia;
ma perché, si domanda Russell, alla filosofia, diversamente dalla
chimica e dalla fisica, dovrebbe essere impedito di dotarsi di un
linguaggio preciso e rigoroso? 37
Da ultimo, il suo critico, per l’autore dei Principia, ha un
punto di vista eccessivamente rigido nel definire “falso” un
enunciato.
4.
Searle trova che la critica strawsoniana alla teoria delle
descrizioni di Russell sia pienamente convincente e si chiede
anche se sia il caso di «riesumare la questione».38 In effetti lo
sviluppo della linguistica e della semiotica contemporanee ha reso
superate molte delle analisi russelliane. A partire dall’opera del
Morris già citata, abbiamo chiare le tre dimensioni del processo
semiotico: sintattica, semantica, pragmatica,39 nelle loro
reciproche connessioni e distinzioni; in particolare abbiamo
appreso che «nessun oggetto come tale è un denotatum; ma lo
diviene e rimane tale in quanto sia un membro della classe di
oggetti designabili da un veicolo segnico per forza della regola
semantica del veicolo stesso».40. Così anche per le espressioni
“segno” e “significato”; quest’ultimo è un termine semiotico; dire
condiviso anche da G. Frege, cfr. Logik, trad. cit. in Senso, funzione e concetto,
cit., p. 134. Si veda a questo proposito quanto scrive L. Wittgenstein,
Philosophie, Roma 1996, p. 55.
37 Cfr. B. Russell, Our Knowledge, cit., p. 32 e The Problems of Philosophy,
trad. it. cit., pp. 177-190. Per la definizione russelliana di Filosofia, cfr. A.
Wood, Philosophy of Bertrand Russell, in My Philosophical Development, trad.
it. cit., pp. 236-237.
38 J.R. Searle, Speech Acts, trad. it. Torino 1992, p. 207.
39 C. Morris, op. cit., pp. 18-36; cfr. M. Malatesta, The Primary Logic,
Leominster, U.K. 1997, pp. 18-29 e J. Greenberg, A New Invitation to
Linguistics, trad. it., Torino 1979, pp. 30-32. Per le relazioni tra logica e
linguistica cfr. L. Hjelmslev, Prolegomena to a Theory of Language, trad. it.,
Torino 1987, pp. 114-121 e J. Allwood - L.G. Andersson – O. Dahl, Logik för
Lingvister, trad. it., Bologna 1981, pp. 211-227.
40 C. Morris, op. cit., p. 116.
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che ci sono dei significati equivale a dire che ci sono «oggetti e
proprietà funzionanti in processi di semiosi».41
D’altra parte, un atto proposizionale non sta mai da sé, ma
può occorrere solo come componente di un atto illocutivo.42 E la
teoria di Kripke dei nomi propri come designatori rigidi 43 fa
giustizia del punto di vista russelliano (condiviso da Wittgenstein
per la matematica) 44 dei nomi propri come descrizioni 45 e della
sua radicalizzazione quineiana.46
La Teoria delle descrizioni, dunque, è lungi dall’essere “un
paradigma della filosofia” come riteneva Ramsey,47 ma la sua
validità sembra essere più una questione che riguardi la logica
filosofica 48 e la filosofia tout court che la logica matematica. In
questa viene stabilito che
(α )
u (A(u, y1 ,…, yn ))
denoti l’unico oggetto u tale che
41
Ibidem, p. 117. Per i rapporti tra sintassi e semantica, cfr. N. Chomsky,
Essays on Form and interpretation, trad. it., Milano 1980, pp. 90-97.
42 J.R. Searle, op. cit., p. 209.
43 S. Kripke, Naming and Necessity, trad. it., Torino 1982, pp. 50-51.
44 L. Wittgenstein, Lectures on the Foundations of Mathematics, trad. it.,
Torino 2002, p. 86.
45 Cfr. B. Russell, The problems, cit., p. 63. Si veda K.R. Popper, The Logic of
Scientific Discovery, trad. it., Torino 1995, p. 53. Interessanti le Osservazioni di
A. Church, The Need for Abstract Entities in Semantic Analysis, trad. it. in La
struttura logica del linguaggio, cit., pp. 103-116; cfr. in particolare p. 110.
46 W.V.O. Quine propone l’eliminazione dei termini singolari; cfr. Methods of
logic, trad. it., Milano 1980, pp. 270-275.
47 F.P. Ramsey, The Foundations of Mathematics and other Logical Essays,
trad. it., Milano 1964, p. 279; analogo il punto di vista di A.J. Ayer, Language,
Truth and Logic, trad. it., Milano 1967, p. 242.
48 Cfr. M. Sainsbury, Logica filosofica, in Storia della filosofia analitica, a cura
di F. D’Agostini e N. Vassallo, Torino 2002, pp. 112-156. Si veda pure J.M.
Bockenski, Significato e caratteri della logica moderna, a cura di E. Agazzi e
C. Cellucci, 2 voll., Roma 1981, II, pp. 355-364.
108
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u (A(u, y1 ,…, yn ))
se tale oggetto esiste; se, al contrario, tale oggetto unico non
esiste, possiamo adoperare la convenzione che ( ) denoti lo “0”.49
Ma in sede logico-filosofica, la prospettiva russelliana appare
aporetica; e la stessa irreggimentazione della struttura di superficie
di enunciati come “l’attuale re di Francia è calvo” nella forma
logica 50 evidenzia una sottile forma di antirealismo,51 che non è
altro poi che una nuova versione di idealismo, dal quale l’autore
dei Principia non si è mai completamente emancipato.52 Esito
singolare, questo, per chi in On Denoting ha proclamato la
necessità per la logica di non urtare il senso di realtà.
In definitiva se la teoria russelliana fosse un semplice
esercizio di traduzione di alcuni enunciati nella logica delle
funzioni, non sorgerebbe problema alcuno;53 purtroppo essa non è
solo questo; è anche un’analisi del linguaggio reale e le obiezioni
di Strawson sembrano inconfutabili. Piuttosto c’è da dire che esse
sono ancora troppo timide nell’affermare il primato della
49 E. Mendelson, Introduction to Mathematical Logic, trad. it., Torino 1981,
pp. 107-108. Già Frege si era mosso lungo questa strada; cfr. Funktion und
Begriff, trad. it. in Senso, funzione e concetto, cit., p. 17.
50 Cfr. L. Wittgenstein, Some Remarks on Logical form, Torino 1989, pp. 184190. Il concetto di forma logica è stato fatto proprio dalla linguistica
contemporanea; cfr. N. Chomsky, Knowledge of Language, trad. it., Torino
1989, p. 79 e sgg.
51 Cfr. M. Dummett, The Logical basis of Metaphysics, cit., p. 449 e N.B.
Cocchiarella, Logical Studies in Early Analytic Philosophy, Columbus 1987,
pp. 11-12.
52 Nel suo primo libro filosoficamente impegnato, B. Russell aveva affermato di
aver «appreso molto nella logica» dal neohegeliano Bradley, An essay on the
foundations of geometry, trad. it., Roma 1997, p. 11. Per quella che l’A.
definisce «Incursione nell’Idealismo» cfr. My Philosophical Development, cit.,
pp. 37-51.
53 Cfr. J.R.Searle, op. cit., pp. 205-207.
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Metalogicon (2005) XVIII, 2
dimensione pragmatica nel processo semiotico.54 Inoltre termini
come “uso” e “implicazione” sono, e l’autore stesso l’ha
riconosciuto, non sufficientemente esplicati, e spesso risultano
confusi.55 E va anche sottolineato che egli trascura la rilevanza
della teoria delle descrizioni per la epistemologia di Russell
fondata sulla distinzione tra due tipi di conoscenza: la conoscenza
per acquisizione e la conoscenza per descrizione; punto di vista,
questo, che appare ancora oggi interessante e degno di essere
esaminato.56
In ultima analisi, il lavoro di Russell e quello di Strawson
esprimono due prospettive inconciliabili, due “paradigmi” in senso
kuhniano; il primo, il ruolo decisivo della dimensione sintattica
nel processo semiotico e l’importanza della “forma logica”; il
secondo, il punto di vista del significato come uso e la
valorizzazione del linguaggio ordinario. Essi sono i manifesti dei
due tempi del pensiero analitico: quello delle origini, che culmina
nel “Wiener Kreis” e quello del secondo Wittgenstein e della
“Cambridge – Oxford philosophy”.57
6. Alla radice della teoria delle descrizioni di Russell, in
particolare della sua analisi di enunciati quali “il re di Francia è
calvo” c’è la teoria della quantificazione mutuata da Frege 58 o
piuttosto la sua lettura oggettuale dei quantificatori.
54
Cfr. R.C. Stalnaker, Pragmatics, trad. it. in La struttura logica del
linguaggio, cit., pp. 511-530.
55 Cfr. P. Strawson, in B. Magee, Modern British Philosophy, cit., pp. 210-211.
56 Cfr. H. Putnam, Renewing Philosophy, trad. it., Milano 1998, p. 156 e S.
Hampshire, in B. Magee, cit., pp. 63-65.
57 Russell fu critico severo nei confronti di questo tipo di filosofia; cfr. My
Philosophical Development, cit., pp. 204-207; cfr. pure K.R. Popper, in B.
Magee, cit. pp. 235-241.
58 G. Frege, Funktion un Begriff, trad. it. in Senso, funzione e concetto, cit., pp.
20-27. Cfr. G. Penco, Introduzione alla filosofia del linguaggio, Bari 2004, p.
49.
110
Metalogicon (2005) XVIII, 2
Così (∃x)(ϕx) sarà letto come “esiste una cosa tale che ϕ”
con conseguenze rilevanti, data la corrispondenza, dal filosofo
tedesco stabilita, tra il quantificatore esistenziale e quello
universale (x)(ϕ x) :
(∃x)(ϕx) ≡ ˜ (x) ˜ (ϕ x) ; (x)(ϕ x) ≡ ˜ (∃x) ˜ (ϕ x) ;
(x) ˜ (ϕ x) ≡ ˜ (∃x)(ϕx) ; ˜ (x)(ϕ x) ≡ (∃x) ˜ (ϕ x) .
Già in Frege tale interpretazione oggettuale del
quantificatore
esistenziale aveva condotto a conseguenze
filosofiche importanti; in particolare egli, sviluppando un punto di
vista kantiano,59 giunge a qualificare l’esistenza come un concetto
di «secondo livello»,60 proprietà di concetti, non di oggetti, e
l’errore della prova ontologica consisterebbe proprio nel «trattare
l’esistenza come un concetto di primo livello».61
Tale
prospettiva,
coerentemente
svolta,
condurrà
62
all’impegno antimetafisico del “Wiener Kreis”; ma essa è in
linea con il carattere di neutralità della teoria logica? E, inoltre, è
l’unica possibile? Le costanti logiche – scrive opportunamente R.
Carnap, sono «i segni per gli oggetti logici» e questi non sono
59
Cfr. E. Kant, Kritik der reinen Vernuft, trad. it., Bari 1972, 2 voll., II, pp.
467-474.
60 G. Frege, Funktion und Begriff, trad. it. in Senso, funzione e concetto, cit., p.
23.
61 Ibidem. Ben diversa la prospettiva di K. Gödel, cfr. Gödel’s ontological
proof, in On Being and Saying, edited by J.J. Thomson, Cambridge (Mass.)
1987, pp. 241-261.
62 «L’esistenza può essere asserita solo in connessione con un predicato, e non
in connessione con un nome (soggetto, nome proprio)», R. Carnap,
Überwindung der Metaphysik durch logische Analyse der Sprache, trad. it. in Il
Neoempirismo, a cura di A. Pasquinelli, Torino 1978, p. 532. Cfr. pure
A.J.Ayer, op. cit., pp. 9-30.
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Metalogicon (2005) XVIII, 2
«oggetti autentici, nel senso degli oggetti reali».63 Pertanto la
interpretazione oggettuale è compatibile con la neutralità della
teoria logica, solo accettando che l’essere, aristotelicamente,
« lûgetai pollacÒj ». «I sensi di “esiste” – ammonisce Ryle –
sono diversi e i loro comportamenti logici sono diversi».64 Non
resta che ammettere una “pluralità di usi possibili” 65 di
espressioni quali “esiste”, “c’è un”; ciò che è rilevante è
l’osservanza in questi usi delle leggi logiche; così:
(∃x)(ϕx) ∨ (∃x)(ψx) ⊃ (∃x)(ϕx ∨ ψx)
varrà per tutti questi usi possibili, come varranno, ovviamente,
tutte le altre tautologie; e non sarà permesso, in tutti questi usi che
da (∃x)(ϕx) ∧ (∃x)(ψx) segua (∃x)(ϕx ∧ ψx) pena l’implosione
della teoria logica.
Solo un requisito si impone all’interpretazione oggettuale:
che essa nella formalizzazione delle teorie assuma come impegni
ontologici 66 esclusivamente quelli implementati dalle teorie
stesse, declinando in modo plurale l’«esiste» della quantificazione
particolare. Si può perciò continuare ad essere d’accordo con
Russell, quando scrive che «il senso della realtà è vitale nella
logica»,67 purché si abbia una definizione non angustamente
riduzionista del termine «realtà». Quanto al secondo quesito, se
cioè sia possibile una interpretazione diversa, occorre rispondere
affermativamente; essa è stata proposta dalla Marcus
(interpretazione sostitutiva dei quantificatori),68 e legge (∃x)(ϕx)
63
Der logische Aufbau der Welt, trad. it. Torino 1997, p. 295.
G. Ryle, Philosophical arguments, trad. it. in Il Neoempirismo, cit., p. 796.
65 H. Putnam, Ethics Without Ontology, trad. it., Milano 2005, p. 56. Cfr. pure
N. Goodman, The Structure of Appearance, trad. it., Bologna 1985, pp. 100103.
66 Cfr. M. Marsonet, Logica e impegno ontologico, Milano 1981, pp. 77-92 e
R. Poli, Ontologia formale, Genova 1992.
67 Introduction to Mathematical Philosophy, trad. it. cit. p. 162.
68 Cfr. J.F. Williams, op, cit., pp. 189-218.
64
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come ‘qualche esempio di sostituzione di ϕ x è vero’; tra i suoi
vantaggi anche quello di rendere ragione degli enunciati
problematici esaminati in On Denoting.
Quine ha finito col ritenere tale interpretazione
«intelligibile», pur se ha giustamente lamentato che essa possa
risultare aporetica se applicata all’insieme dei numeri reali,
essendo questi «non denumerabili, mentre le espressioni semplici
o complesse di cui disponiamo in qualunque linguaggio dato sono
denumerabili».69
Una terza proposta di interpretazione legge ∃ come «per
qualche»; essa è fatta propria anche da Quine in New foundations
for mathematical logic 70 e presenta dei vantaggi indubbi: è
coerente con il carattere di neutralità della teoria logica perché non
assume impegni ontologici,71 affidando questo compito alle
scienze particolari ed alla “ prÎ th filosofàa ”;72 è applicabile
all’insieme dei numeri reali, diversamente dall’interpretazione
sostitutiva; infine proprio perché strumento flessibile, consente
una lettura adeguata di enunciati problematici come quelli
esaminati in On Denoting.
69
W.V.O. Quine, The Ways of Paradox and other Essays, trad. it., Milano
1975, p. 252.
70 Trad. it. in Il Neoempirismo, cit., p. 836.
71 Cfr. M. Malatesta, La logica delle funzioni, cit., p. 107. Opportunamente
scrive Quine, The philosophical bearing of modern logic, in Il Neoempirismo,
cit., p. 938: «la teoria della quantificazione è logica neutrale compiuta, esente da
assunzioni ontologiche».
72 Cfr. l’originale apertura al discorso metafisico del più grande logico del ‘900,
K. Gödel, La prova matematica dell’esistenza di Dio, Torino 2006, pp. 68-73.
Illuminanti sul ruolo dell’ontologia restano le riflessioni del matematico J.B.
D’Alembert, Discours préliminaire de l’Encyclopedie, trad. it., Milano 1996, p.
43.
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