Con o senza empatia | Biologia e dintorni | Zanichelli Aula Scienze

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Biologia e dintorni
Con o senza empatia
di Lisa Vozza, 25 settembre 2011
SALUTE NEUROSCIENZE EVOLUZIONE VIDEO
Le emozioni e i loro “salti” da un individuo all’altro sono un fenomeno di moda. Oggi se ne parla nei
libri, nei talk show e nei congressi scientifici, ma non è sempre stato così. I neuroscienziati hanno a
lungo considerato l’empatia un fenomeno da baraccone, degno al più di qualche mediocre rivista
femminile, e i pochi ricercatori che osavano proporre osservazioni e studi in proposito erano guardati
con scetticismo.
La diffidenza che relegava l’empatia ai margini della ricerca è spiegabile, almeno in parte,
con le tecniche e gli strumenti rudimentali di un tempo, che difficilmente permettevano di indagare
una funzione cognitiva complessa come il riconscimento e la percezione delle emozioni altrui.
Eppure, gli esseri umani conoscono l’empatia fin dall’antichità, seppure in modo empirico e
intuitivo. Ma questo ai ricercatori non bastava. Gli scienziati pretendevano, giustamente, di disporre
di prove concrete prima di stabilire la reale esistenza di questo fenomeno biologico.
La fortuna per l’empatia è girata a partire dalla metà degli anni Novanta, con la scoperta
da parte di Giacomo Rizzolatti e del suo gruppo, all’Università di Parma, dei neuroni specchio, un
circuito di cellule nervose che, individuato nelle scimmie e poi nell’uomo, permette di riconoscere le
azioni degli altri e di sentirle come proprie. In pratica, una persona che osserva un’altra compiere
un’azione è in grado, attraverso l’attivazione dei neuroni specchio, di simulare la medesima azione nel
proprio cervello. L’attivazione dei neuroni specchio non è un processo volontario, ma un automatismo
che entra in funzione in maniera inconsapevole ogni volta che osserviamo un’altra persona compiere
un’azione.
Oggi sappiamo che i meccanismi specchio permettono di riconoscere non solo le azioni,
ma anche le intenzioni e addirittura le emozioni degli altri. Il circuito dedicato alla
percezione delle emozioni altrui è stato definito principalmente con strumenti come la risonanza
magnetica funzionale (fMRI), che ha per esempio permesso di osservare quali aree del cervello
sono attive quando un soggetto osserva un'altra persona provare emozioni. Un ulteriore contributo è
emerso dagli studi genomici, che hanno associato una serie di geni alla presenza o assenza di
empatia.
Il “contagio” delle emozioni è diventato in pochi anni un
tema di ricerca non solo rispettabile, ma anche
entusiasmante. E non si studia l’empatia soltanto negli esseri
umani, ma anche negli animali. Nella lecture di apertura della
settima conferenza sul Futuro della scienza di Venezia, Frans
de Waal ha mostrato molti esempi di empatia nel mondo
animale, dagli scimpanzé agli elefanti. Ed è assai probabile che
condividiamo questa abilità, indispensabile alla vita sociale,
oltre che con parecchi mammiferi, anche con gli uccelli. Una prova, questa, che l’empatia si è
probabilmente evoluta più volte nell’evoluzione, conferendo un vantaggio adattativo agli animali che
hanno una vita sociale.
Negli esseri umani l’empatia è innata ed è già attiva alla nascita. Fin dal primo giorno di
vita i neonati sembrano in grado di percepire lo stato d’animo della mamma o delle persone che
stanno loro vicino. Il canale di comunicazione ha due componenti, una emotiva e una cognitiva. Ciò
signfica che siamo in grado di percepire le emozioni sia in modo automatico, senza che ce ne
accorgiamo, sia in modo razionale, riconoscendole con un ragionamento. Gli indizi che sappiamo
cogliere, e che ci permettono di comprendere immediatamente se una persona è allegra, triste o
pensierosa, sono un insieme di segnali sottili, che includono fra le altre cose i gesti, la postura,
l’espressione del viso, il tono della voce.
È probabile che gran parte delle interazioni sociali umane coinvolgano processi
empatici. Per esempio, quando due persone fanno gli stessi gesti, parlano nello stesso modo, o si
trasmettono sbadigli l’un l’altra, ciò che avviene è una sincronizzazione automatica e inconsapevole
dei gesti e dei movimenti, che è associata all’empatia. A volte questo fenomeno dà luogo a involontari
effetti comici, come quando Tony Blair, in visita al ranch texano di George W. Bush, aveva assunto un
passo da cowboy molto simile a quello dell’allora Presidente degli Stati Uniti.
L’empatia è generalmente più comune fra le femmine che fra i maschi, ma la dotazione di
ciascun individuo è variabile. Inoltre la capacità di immedesimarsi nelle emozioni degli altri non è
fissa, ma muta a seconda di chi abbiamo di fronte (più abbiamo qualcosa in comune con una persona
e più tendiamo a “sentire insieme”, un effetto che gli scienziati chiamano bias di gruppo) e in base
alle circostanze (se siamo stanchi o stressati abbiamo una minore disponibilità verso il resto del
mondo).
Una dote magnifica per chi ce l’ha, l'empatia quando manca crea
qualche problema. Simon Baron-Cohen è uno psicologo inglese, fra i
massimi esperti al mondo di sindromi autistiche. Nel suo ultimo libro,
intitolato Zero degrees of empathy
Simon Baron-Cohen propone una nuova
teoria, capace di spiegare alcune forme di crudeltà umana con la mancanza
parziale o totale di empatia.
Ogni persona, secondo Baron-Cohen, viene al mondo con un
quoziente di empatia in parte ereditario, dovuto alla particolare conformazione che assumono i
circuiti di neuroni coinvolti nei processi empatici. Questa dotazione genetica e anatomica non è
statica, ma dopo la nascita continua a essere plasmata e riconfigurata a seconda di ciò che ogni
individuo sperimenta durante lo sviluppo. Particolarmente importante in proposito sembrano essere
l’affetto e l’attenzione dei genitori.
Per Baron-Cohen le varie forme di crudeltà umana, dalla ferocia di un kapò nazista agli
atti criminali di un serial killer, possono essere spiegate da un’erosione dell’empatia che
si può produrre quando i circuiti nervosi dedicati a questo processo sono alterati. Questa anomalia
neuronale, che può avere cause sia genetiche che ambientali, porterebbe le persone che ne sono
affette a ignorare l’umanità altrui e la mancanza di empatia sarebbe, dunque, una sorta di cecità
emozionale, per cui le altre persone possono essere percepite non come esseri umani ma come oggetti.
Un’empatia alterata non è sempre distruttiva. Ci sono diversi esempi di persone affette da
sindromi autistiche che, pur avendo una notevole difficoltà a interagire con il mondo esterno, hanno
doti di attenzione e di precisione fuori dall’ordinario, in grado di produrre talenti eccezionali in campi
come la matematica o l’arte. Un individuo straordinario da questo punto di vista è certamente
Stephen Wiltshire:
Il libro di Baron-Cohen termina con una proposta audace: rivedere i criteri diagnostici
di diverse malattie psichiatriche, in base alle nuove prove neurobiologiche che individuano
nell’alterazione dei circuiti dell’empatia la base comune. Si tratta di una proposta incoraggiante e
ottimista, dal momento che le evidenze suggeriscono la possibilità di migliorare la capacità di empatia
con terapie adeguate.
Per approfondire:
Frans de Waal, L’età dell'empatia. Lezioni dalla natura per una società più solidale
,
Garzanti 2011
Simon Baron-Cohen, Zero degrees of empathy. A new theory of human cruelty
, Penguin
2011
Lisa Vozza, Giacomo Rizzolatti, Nella mente degli altri. Neuroni specchio e
comportamento sociale , Zanichelli 2007
Le foto di Frans de Waal e di Simon Baron-Cohen sono tratte da Wikipedia (la fotografia di
Frans de Waal è di Catherine Marin); la fotografia di apertura è tratta da Fotopedia.
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Tag: emozioni, empatia, Frans de Waal, Giacomo Rizzolatti, neuroni specchio, Simon
Baron-Cohen
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