COME AFFRONTARE LE QUESTIONI ETICHE CHE SI PRESENTANO AGLI INTENSIVISTI? I dilemmi etici in terapia intensiva Luciano Orsi Unità di rianimazione e terapia intensiva Ospedale maggiore, Crema Consulta di bioetica, Milano (da © Tempo Medico n. 685 del 22 novembre 2000) Lo scorso anno, la principale rivista europea di terapia intensiva ha pubblicato i risultati di un'indagine sulle opinioni e sui comportamenti degli intensivisti in merito alle decisioni da prendere nelle fasi terminali della vita dei loro pazienti. Sia i dati sia le riflessioni contenuti in quell'articolo sono molto interessanti poiché mostrano senza ombra di dubbio come la limitazione dei trattamenti sia una realtà quotidiana, anche se con differenze fra le varie nazioni europee. D'analogo significato era un precedente articolo che esaminava le somiglianze e le differenze nell'affrontare la questione del limite in terapia intensiva a livello internazionale. Entrambi i lavori introducono l'analisi dei dati con la constatazione che il progresso scientifico e tecnologico ha conferito alla medicina intensiva il potere di prolungare o abbreviare la vita del paziente in condizioni critiche e che la maggior parte dei decessi in terapia intensiva è prevista; infatti, mentre 25 anni fa la maggior parte dei pazienti moriva dopo manovre di rianimazione cardiopolmonare, oggi la maggior parte non è sottoposta a tali manovre, proprio perché la morte è l'evoluzione prevista delle fasi avanzate degli stati critici non rispondenti ai trattamenti di sostegno vitale. Gli intensivisti devono, infatti, affrontare molti dilemmi etici che sono spesso incentrati su due opzioni apparentemente negative: proseguire i trattamenti, prolungando l'agonia o mantenendo una bassa qualità di vita, o sospendere i trattamenti, con la conseguente e quasi inevitabile morte del paziente. Il concetto di sacralità della vita e il fine tradizionale della medicina (salvare la vita) sono radicati nella società e nella medicina ma sono sempre più difficili da conciliare con ciò che è il bene effettivo del paziente in condizioni critiche avanzate. I sanitari che operano in terapia intensiva devono pertanto bilanciare il perseguimento aggressivo della sopravvivenza con l'accettazione della morte; ciò implica che l'antico "fai del tuo meglio" può significare sia iniziare o proseguire i trattamenti intensivi, sia non iniziarli o sospenderli. Inoltre, anche se in contrasto con la tradizione ippocratica, il rispetto dell'autonomia del paziente si è ormai esteso, almeno nella medicina nordamericana e nordeuropea, al rifiuto di trattamenti di sostegno vitale. Un altro importante fattore che influisce sulle decisioni di limitare le terapie è il principio etico di giustizia distributiva, che impone un'equa allocazione delle risorse (scarse per definizione); ciò richiede che non siano praticati trattamenti inutili (futility) per destinare quelle risorse ad altri pazienti che ne beneficiano di più. Per valutare tutti questi aspetti, Jean-Louis Vincent, direttore del Dipartimento di terapia intensiva dell'Ospedale universitario di Bruxelles, ha ideato un questionario articolato mirato a mostrare sia il comportamento (ciò che succede) sia l'opinione (ciò che dovrebbe succedere) degli intensivisti di 16 paesi europei sulle principali questioni etiche della medicina intensiva: la decisione di ricoverare in terapia intensiva, la futilità delle terapie, i DNR order (ordini di non praticare rianimazione in caso di arresto cardiaco), il limite ai trattamenti. I 504 questionari ritornati rappresentano il 39 per cento dei membri dell'European Society of Intensive Care. Il primo elemento indagato è la disponibilità di letti in terapia intensiva, che viene valutata dal 46 per cento degli intensivisti spesso problematica, soprattutto in Gran Bretagna, Italia, Grecia e Portogallo. Il secondo elemento indagato è l'appropriatezza dei ricoveri: il 73 per cento dei medici ricovera pazienti senza speranza di sopravvivenza oltre poche settimane (contro il 54 per cento dei medici statunitensi), nonostante solo il 33 per cento di loro lo ritenga corretto e la maggioranza ritenga che i criteri di ricovero dovrebbero essere più ristretti di quelli attuali. Viene quindi esaminato il comportamento nei confronti dei DNR order: se il 58 per cento degli intensivisti lo rispetta, ciò avviene con ampie variazioni geografiche (Italia 8 per cento - Olanda 91 per cento), nonostante l'80 per cento ritenga che il DNR scritto debba essere rispettato e ciò con una buona uniformità geografica. Inoltre il 36 per cento rispetta il DNR verbale, ma il 6 per cento non rispetta il DNR (né verbale, né scritto); il 77 discute il DNR con i familiari, ma solo il 26 lo discute con il paziente. Quest'ultimo fatto può essere spiegato dalla criticità delle condizioni del paziente che obiettivamente rendono difficoltoso il colloquio. I questionari europei indicano che i medici meno propensi alla discussione sono donne, di fede cattolica, e appartenenti al Sud Europa. Per quanto riguarda la pratica della limitazione dei trattamenti intensivi in pazienti senza prospettiva di vita degna di essere vissuta, i risultati mostrano che il 93 per cento degli intensivisti europei pratica qualche volta l'astensione terapeutica (non inizio), il 73 per cento pratica la loro sospensione e che il 40 per cento pratica la somministrazione intenzionale di dosaggi farmacologici letali. Invece il 28 per cento ritiene inaccettabile il limite terapeutico e la somministrazione letale di farmaci. In generale il limite viene praticato in maggior misura dai medici sopra i 50 anni, dai medici protestanti rispetto a quelli cattolici, da quelli agnostici rispetto ai credenti e nel Nord Europa rispetto al Sud Europa. Il questionario conteneva un caso clinico paradigmatico (40 anni, maschio, insufficienza cerebrale postanossica da arresto cardiaco per infarto miocardico, con respiro spontaneo tramite tubo endotracheale e coma profondo con decerebrazione in sesta giornata) per valutare la condotta clinica in assenza o in presenza di parenti, favorevoli o contrari alla limitazione terapeutica. Nell'ipotesi "senza parenti" il 49 per cento degli intensivisti avrebbe praticato l'astensione da ulteriori terapie, il 29 per cento la sospensione delle terapie in corso e il 17 avrebbe iniziato la sedazione terminale. Nell'ipotesi "parenti favorevoli alla limitazione terapeutica" i rispondenti si sono così distribuiti: il 58 per cento dei credenti proseguono il trattamento pieno, il 50 per cento degli agnostici pratica la limitazione terapeutica, il 33 per cento degli agnostici pratica la sedazione terminale, l'11 per cento dei credenti pratica la sedazione terminale. Nella terza ipotesi "parenti contrari alla limitazione terapeutica" il 33 per cento degli intensivisti del Sud Europa proseguono il trattamento pieno, mentre quelli del Nord Europa lo fanno in misura molto inferiore. Pur tenendo conto delle limitazioni dell'indagine europea (dimensioni del campione, distribuzione geografica irregolare delle risposte, tipo di domande poste), emergono da essa molti dati interessanti sulla gestione del limite in terapia intensiva. Il primo è la discrepanza fra il ricovero di pazienti senza speranza di sopravvivenza al di là di poche settimane e la carenza di letti che viene ammessa dalla maggioranza degli intervistati. Al di là della difficoltà di formulare una prognosi attendibile nelle fasi iniziali di ricovero, tale discrepanza indica una tensione fra ciò che si dovrebbe fare e ciò che realmente si fa. Verosimilmente la pressione esercitata sugli intensivisti dal contesto ambientale (paziente, parenti, colleghi, timori medico-legali) è spesso più forte della volontà di rispettare i corretti criteri di appropriatezza ed eticità nella microallocazione delle risorse. Una spiegazione possibile di tale fenomeno è il ritardo culturale con cui la medicina non intensiva e la società in generale sta (o addirittura, non sta) affrontando la questione dell'accettazione della morte e le connesse questioni bioetiche di futility, di limitazione dei trattamenti e di gestione delle fasi terminali della vita. Analoghe considerazioni possono essere fatte sui DNR order e sul coinvolgimento del paziente e dei familiari nelle decisioni di limitare i trattamenti, dove la discordanza fra ciò che si ritiene dovrebbe essere fatto e ciò che si fa denuncia una prassi ancora fortemente venata di paternalismo medico, anche se il rispetto per l'autonomia del paziente si sta rafforzando nei paesi del Nord. Abbastanza prevedibili sono inoltre le differenze di opinione e di prassi fra le aree geografiche del Nord Europa (più simile al Nord America) e il Sud Europa, a causa delle diverse tradizioni culturali e dei diversi orientamenti spirituali. Una analisi più attenta mostra però che tali differenze sono molto meno spiccate rispetto a quanto ci si aspetterebbe dal solo punto di vista ideologico e geografico, vista la grande somiglianza dei dati sulla limitazione dei trattamenti. Probabilmente nel Sud Europa vi è un comportamento reale meno aderente a quanto dichiarato e molto simile a quello nordeuropeo e nordamericano, anche se tale condotta è molto più informale e meno identificabile con specifiche procedure (vedi la scarsità della procedura DNR order, il minor coinvolgimento degli infermieri eccetera) nella decisione del limite. Si ha, infatti, la forte impressione che la via mediterranea alla gestione della questione del limite passi per un minor formalismo, per un variabile coinvolgimento dei familiari (piuttosto che del paziente), ma porti a comportamenti simili alla via anglosassone. Ciò potrebbe essere l'attuale punto di compromesso fra l'ineluttabile necessità di affrontare le questioni bioetiche poste dal paziente in condizioni critiche (questioni identiche in tutte le latitudini) e le differenze socioculturali delle due aree geografiche della medicina occidentale. Approfondimenti in internet Gli editoriali di Intensive Care Medicine in italiano, linee guida sulla rianimazione e considerazioni sulla corretta allocazione delle risorse. In un'intervista, un medico e un'infermiera di un reparto di terapia intensiva discutono di cosa significhi lavorare a tu per tu con l'emergenza e la morte.