Introduzione al personalismo ontologico di Karol Wojtyla alla luce

INTRODUZIONE AL PERSONALISMO ONTOLOGICO DI KAROL WOJTYLA
ALLA LUCE DELLA DIFFERENZIAZIONE SESSUATA DELL’UOMO IMMAGINE DI
DIO
L’uomo non sperimenta mai qualcosa al di fuori di sé senza sperimentare in qualche
modo anche se stesso, instaurando con se stesso un atto conoscitivo. L’esperienza di
sé, intesa come la coscienza dell’uomo che “io sono”, travalica qualsiasi altra
esperienza umana, in termini di incommensurabile distanza tra l’esperienza dell’Io
personale e quella di un “Io” a me estraneo: “Solo in relazione a quel singolo uomo
che io sono si ha anche l’esperienza dell’interno (esperienza interiore), che non si ha
invece in relazione ad alcun altro uomo al di fuori di me”1. Questa peculiarità dell’Io
interiore rappresenta l’intrasferibilità dell’esperienza dell’interno al di fuori dell’Io.
Ciò nonostante, l’uomo non è solamente la propria interiorità, ma anche esteriorità.
Ciò che egli sperimenta al di fuori di sé, per quanto “esteriore” presenta comunque
una propria interiorità di cui l’Io interiore fa conoscenza. È questa la logica della
scoperta dell’altro, dal punto di vista personalistico, per cui si viene a sperimentare
l’interiorità altrui, ben diversa dall’essere interiore del proprio Io, tuttavia anch’essa
con un preciso bagaglio empirico di caratteristiche. Per tanto non vanno opposte
l’esperienza interiore dell’Io e quella dell’altro da me, bensì integrate nella misura in
cui esse si completano reciprocamente. Proprio l’esperienza dell’uomo, intesa in
senso universale, è il punto di partenza, si può dire il fondamento su cui è possibile
cogliere la relazione tra persona e atto, rispetto alla quale si è fortemente incentrato
lo studio di Giovanni Paolo II e che ne ha condizionato tutto il pensiero personalistico,
influenzandolo anche in materie extrafilosofiche come la morale e la dogmatica.
Qualsiasi esperienza umana, infatti, rappresenta in termini pratici una sorta di
comprensione di ciò che viene sperimentato, mediante l’intelletto che viene a
stabilire un contatto di conoscenza con l’oggetto sperimentato. Il punto centrale del
personalismo di Wojtyla che, per quanto riceva delle influenze dai grandi personalisti
francesi del ‘900, oltre che da Max Scheler e Roman Ingarden in particolare, presenta
una sua propria e peculiare strutturazione concettuale, è l’analisi e la scoperta della
persona in quanto tale proprio perché compie degli atti: non solo l’atto presuppone
la persona, ma ancor più la esprime e la rivela: “Tale è infatti la natura della
correlazione insita nell’esperienza, nel fatto ‘l’uomo agisce’: l’atto costituisce il
particolare momento in cui la persona si rivela. Esso ci permette nel modo più
adeguato di analizzare l’essenza della persona e di comprenderla nel modo più
compiuto. Sperimentiamo il fatto che l’uomo è persona, e ne siamo convinti, perché
egli compie degli atti”2. Questa prospettiva di studio della persona è assolutamente
innovativa quanto profondamente fruttuosa per la maniera di cogliere in profondità
la relazione specifica fra persona e atto. È chiaro che con il termine “atto” non si dà
una fluttuante e generica definizione equivalente semplicemente ad “azione”,
“operazione in generale”, bensì si esprime in maniera precisa unicamente un’azione
cosciente dell’uomo, per cui nessun’altra azione può essere chiamata “atto”. Questo
va perciò inteso sempre nell’accezione di “actus personae” più ancora che non
semplicemente come “actus humanus” o “actus voluntarius”, come invece
1
WOJTYLA K., Persona e atto, Ed. Bompiani, Milano 2001, p. 43. Si ricordi, quanto a questa
fonte e per tutte le prossime citazioni della medesima, la precisazione fatta nella Premessa
bibliografica.
2
Ivi, p. 53.
solitamente veniva inteso nella filosofia medievale, proprio perché l’atto è sempre
della persona e di essa ne è in qualche modo rivelazione. La grande peculiarità
umana sta proprio non solo nell’agire coscientemente, la qual cosa potrebbe risultare
limitativa se ci si fermasse qui, bensì di avere coscienza di agire coscientemente.
Pertanto la coscienza stessa risulta quanto mai essenziale e costitutiva di tutta la
struttura dinamica della persona e dell’atto. La coscienza, infatti, non va equiparata
in toto alla conoscenza, poiché questa indaga l’oggetto conosciuto e lo rende, per
così dire, oggettivo e quindi “compreso”. La funzione della coscienza, invece, va oltre:
è una funzione di rispecchiare ciò che è già stato intellettualmente compreso, di
renderlo evidente e presente; si può dire, in linea con Giovanni Paolo II, che la
coscienza rappresenta la comprensione di ciò che è già stato compreso. La grande
utilità della coscienza sta poi nell’interiorizzazione di ciò che essa stessa rispecchia,
dando a questo un posto nell’Io della persona.
Come si evince da queste riflessioni il cardine della riflessione wojtyliana, il filo
conduttore di tutto il suo magistero è continuamente rappresentato dalla persona
nella sua totalità, da un continuo guardare all’essere persona come guida ontologica
per la comprensione dell’uomo. Non a caso l’obiettivo dichiarato di Giovanni Paolo II
è sempre stato quello di sviluppare un’antropologia capace di comprendere ed
interpretare l’uomo in ciò che è realmente umano, che evidenzi il vero integrum
dell’uomo, oltrepassando in questa prospettiva lo stesso pensiero antropologico di
Aristotele che pure ha esercitato una rilevante influenza in lui. Il filosofo stagirita,
infatti, diversamente da Platone, concepiva l’individuo umano come fortemente
legato alla corporeità concreta. L’essere individuo viene così inteso e concepito a
partire dal tangibile, da ciò che è materiale. La morte dell’uomo determina un
passaggio, inteso più come ritorno, del nous all’unità cosmica di cui è derivato.
Secondo Aristotele, infatti, il pensiero umano ha un “carattere comune” , nel senso
che pur con alcune differenze tutti gli uomini pensano gli stessi pensieri, per cui gli
stessi atti dell’uomo, più che non atti personali, sono considerati come “atti tipici”.
Nei suoi studi come nei suoi scritti Giovanni Paolo II si è sempre servito di una duplice
metodologia di ricerca e di comprensione, nel quadro dell’analisi dell’esperienza
umana finalizzata alla scoperta della persona: l’induzione e la riduzione. Il primo
processo, quello induttivo, permette l’individuazione di una sostanziale unità fra i
molteplici fatti che costituiscono l’esperienza. È una sintesi che permette di indicare
ciò che sostanzialmente unisce tutto ciò che, dentro l’esperienza, appare come
molteplice. Di qui il secondo processo è quello riduttivo (nel senso latino di reducere,
ricondurre). Mediante la riduzione, infatti, l’intelletto viene spinto alla comprensione
ed alla spiegazione dell’unità indicata dall’induzione; in un certo senso rappresenta
un rendere ragione di ciò di cui si ha esperienza3. Solo a questo punto e mediante
tali processi si procede verso la comprensione di ciò che nell’uomo è “essenzialmente
umano”, di quella peculiarità che è propria unicamente dell’essere personale. Il
vertice di tale comprensione è l’integrità della persona umana, un concetto anche
questo molto caro al personalista Wojtyla e legato, come si vedrà qui di seguito, al
concetto di trascendenza umana. Egli imbastisce la propria riflessione partendo
ancora una volta dall’analisi dell’esperienza contenuta nell’asserto “l’uomo agisce”,
evidenziando come essa riveli un’operatività propria unicamente della persona come
struttura dinamica: “L’esperienza vissuta ‘sono agente’ determina l’azione e la
distingue, in quanto atto della persona, da tutte le numerose manifestazioni del
3
Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Uomo e donna lo creò, VII edizione, Città Nuova Editrice,
Roma 2006, v. Introduzione generale di Carlo Caffarra, pp. 5-7.
dinamismo umano, in cui è assente il momento dell’operatività cosciente dell’Io
personale. Tutto ciò che ‘accade’ nell’uomo in quanto soggetto mette ancor più in
risalto la specificità dinamica dell’atto, formato dall’operatività cosciente e dalla
libertà”4. Si evince pertanto una diversità ontologica della persona rispetto alla
natura, la quale appunto non possiede una struttura di autodeterminazione come la
persona. Ora, chi domina se stesso è al contempo posseduto da sé, nel senso che se
una persona è in grado di autotrascendersi, al contempo esiste in lei una dimensione
che si lascia trascendere. È la dimostrazione di come esista “dell’altro” oltre la
trascendenza della persona nell’atto: questo “altro” è ciò che Wojtyla identifica con
l’integrazione della persona nell’atto: “Senza l’integrazione la trascendenza è come
sospesa in una specie di vuoto strutturale; infatti non si ha dominio di sé senza
assoggettare e subordinare se stesso a tale dominio. E non è possibile avere possesso
attivo di sé se non corrisponde ad esso una componente passiva nella struttura
dinamica della persona”5.
Tra la trascendenza e l’integrazione della persona nell’atto vi è pertanto un rapporto
di necessaria complementarietà, nel senso che l’integrazione completa ciò che manca
alla trascendenza, per cui la trascendenza stessa si esprime solo come un aspetto del
dinamismo personale e non l’unico.
Proprio a questo incontro-unione dell’integrazione e della trascendenza della
persona nell’atto si deve l’unità psicosomatica dell’uomo: “Nell’atto la complessità
psicosomatica diventa ogni volta unità specifica della persona e dell’atto”6. Tale unità
psicosomatica non va tuttavia intesa ristrettamente come somma di soma e psiche;
l’atto umano, infatti, è peculiarmente atto della persona, per cui solo l’integrazione
della persona nell’atto autorizza ad indagare negli elementi della naturale dinamica
che è propria della psicosomatica dell’uomo: “I dinamismi propri della somatica e
della psiche dell’uomo prendono parte attiva dell’integrazione, ma non ai propri
livelli, ma a quelli della persona”7.
In questo senso l’analisi degli atti della persona risultano determinanti nella
comprensione della persona stessa. Infatti, come dice il Caffarra: “Io sperimento
immediatamente l’esprimersi della persona nei suoi atti, non direttamente la persona
umana nella sua ipseità”8: “Non…per essentiam suam, sed per actum suum se
cognoscit intellectus noster” (S. Tommaso d’Aquino, S. Th., I, q. 87, a.1).
L’insegnamento di Giovanni Paolo II, quindi, assume il carattere di un coraggioso ed
instancabile tentativo di conoscere ed interpretare l’uomo sotto l’aspetto per cui egli
è essenzialmente umano. Questo determina un notevole arricchimento
personalistico anche nell’ambito della Teologia del corpo di cui lo stesso compianto
pontefice si è fatto assiduo propugnatore, in quanto oltrepassa il limite di una
teologia classica del matrimonio dal carattere ancora istituzionalistico, come pure
una concezione del corpo umano troppo oggettivizzata e limitata. Il grande
capolavoro di Giovanni Paolo II è stato l’attuare una Teologia del corpo non partendo
da questa o da quella dottrina filosofica pre-esistente, bensì dalla Sacra Scrittura,
utilizzandola costantemente soprattutto nel suo libro chiave, Uomo e donna lo creò,
sintesi generale delle sue catechesi del mercoledì dedicate all’amore umano secondo
4
WOJTYLA K., Persona e atto, op. cit., p. 447.
Ivi, p. 449.
6
Ivi, p. 465.
7
Ivi, p. 467.
8
GIOVANNI PAOLO II, Uomo e donna lo creò, op. cit., v. Introduzione generale di Carlo
Caffarra, p. 9.
5
il piano di Dio. Il risultato è una profonda correzione di una soggettivizzazione
dell’amore sostanzialmente in atto nella cultura contemporanea, mediante un
personalismo ontologico che, esplorando alla sua radice quello che si potrebbe
definire il “privilegium personae”, evidenzia il carattere sponsale del corpo come
incarnazione della capacità della persona di amare come dono di sé9.
Sulla scia di Maritain, che nel suo capolavoro, Umanesimo integrale, vede l’uomo
nella sua figura bipolare di individuo-persona, per cui la persona stessa risulta come il
soggetto che ha fame e sete dell’essere ed è impegnato nella conquista della libertà,
Giovanni Paolo II si fa propugnatore di una Teologia del corpo finalizzata alla
percezione dell’essere, indispensabile per la comprensione dell’identità stessa
dell’uomo, influenzando non poco lo stesso Concilio Vaticano II ed in particolare la
Costituzione pastorale Gaudium et spes10. Già con il precedente libro-studio intitolato
Amore e responsabilità (1960) egli aveva fondamentalmente difeso e motivato
attraverso la filosofia le norme di etica sessuale cattolica con riferimento alla persona
umana, partendo dall’analisi dell’impulso sessuale sino ad arrivare alla
considerazione della virtù della verginità. Tuttavia, anche alla luce del suo manifesto
personalista più tardi illustrato in Persona e atto, Giovanni Paolo II giunge ad un
compendio del personalismo cattolico alla luce delle Scritture nel suo magistrale
lavoro Uomo e donna lo creò, dove la presa di coscienza della persona umana nella
propria ontologica dignità viene definitivamente rapportata al suo Creatore, il DioTrinità, che attualizza tale valore umano nella differenziazione sessuata maschiofemmina presentata essenzialmente, ma non solo, in Gen 1,27.
Questo è il punto di partenza che permette di comprendere il senso dell’uomo
immagine di Dio nella bipolarità sessuale maschio-femmina, sviluppando un percorso
a tappe che consideri da un punto di vista teologico come è mutato il rapporto tra
Dio e l’uomo-immagine maschio-femmina prima e dopo il peccato originale
raccontato nel terzo capitolo della Genesi. Il lavoro sopraccitato di Giovanni Paolo II,
Uomo e donna lo creò, può considerarsi una fonte preziosa in questo percorso di
analisi. Una trattazione sull’essere duale maschio-femmina, infatti, riconosciuto
quale creatura spazio-temporale e immagine di Dio, può essere attuata analizzando
l’evoluzione psicologia ed antropologica a partire dalla creazione stessa (“preistoria
teologica dell’uomo”), passando per la colpa originaria (“uomo storico”), giungendo
finalmente all’uomo maschio-femmina-redento in Cristo. Un percorso, cioé, seguito
dallo stesso Giovanni Paolo II nel suo studio sull’uomo. L’argomento nel pontefice di
Cracovia appare sostanzialmente diviso in tre tappe tematiche, in cui la metodologia
di ricerca e il linguaggio dell’esposizione sono essenzialmente di matrice psicologica
ed antropologica, con una inevitabile “supervisione” di carattere teologico capace di
apportare al contesto stesso delle sue ricerche una interpretazione a partire dalle
Scritture ed in rapporto ad esse di quanto considerato analiticamente. La finalità
dello studio wojtyliano appare proprio una comprensione “teologica” dell’uomo
maschio-femmina, tuttavia non su basi unicamente appartenenti all’ambito teologico
in senso stretto, bensì proprio e soprattutto considerando l’uomo differenzialmente
sessuato nel suo essere persona (aspetto antropologico e filosofico) che pensa, vuole
ed ama in una bimorfologia sessuale (aspetto psicologico), legata al suo essere
immagine prima del peccato originale (natura integra), dopo di esso (immagine
infranta) e soprattutto dopo la redenzione di Cristo (immagine redenta).
9
Cfr. SEMEN Y., La sessualità secondo Giovanni Paolo II, Ed. S. Paolo, Cinisello Balsamo
2005, v. Introduzione di Mons. Dominique Rey, p. 7.
10
Si vedano in particolare i numeri 14 e 51 della sopraccitata Costituzione.
Quest’ultimo è proprio l’aspetto teologico che caratterizza l’orientamento globale e
finale del pensiero di Karol Wojtyla.