Recensione libro “Karol Wojtyla, una guida tra due millenni”. Il libro del prof. Fabbrini’ mette bene in evidenza le fasi della vita di Karol Wojtyla ( giovane, sacerdote, cardinale, papa, santo) ed il lascito morale e culturale di ognuna di queste fasi. Scorrendo gli agili capitoli, come fossero le pagine dell’agenda della vita di Karol, si vivono le vicende della sua vita e si scopre il fiume carsico di valori che alimenta ogni passaggio. Da questo punto di vista è come vedere scorrere davanti a noi, su un grande schermo del cinema, le scene di questa vita intensa, tutta dentro la nostra storia umana ed i drammi e le sofferenze che ce lo rendono umanamente vicino ed anche un grande testimone del secolo terribile che fu il ‘900 in Europa. E c’è un di più del lavoro di Fabbrini che segnala la ricchezza spirituale di questa grande figura umana: ogni passaggio è sintetizzato da un rimando ad una strofa di poesia che Karol scriveva come sintesi poetica del suo incedere. Una particolarità che mette in luce un aspetto della ricchezza e finezza, direi estetica, dell’uomo, dell’intellettuale Wojtyla. Fabbrini ricorda nella prefazione che è Karol Wojtyla stesso nella Sua autobiografia che “ci esorta a leggere la Sua personalità facendocene cogliere gli elementi nella compenetrazione tra le due radici famigliare e nazionale”. I drammi familiari maturano in lui l’idea della famiglia come Chiesa domestica e luogo privilegiato della trasmissione dei valori cristiani. Il dolore rinsalda in Lui la fede. Questa visione si prolunga nell’ambito della società (un terzo dei suoi concittadini è di origine ebraica) e dunque non solo la tolleranza ma la comunanza di destini deve guidare l’azione sociale. Il libro di Fabbrini ha il pregio di rimandare incessantemente a queste due architravi che si ritrovano in ogni passaggio della sua esperienza umana, culturale, pastorale: i drammi familiari, gli sconvolgimenti della prima guerra mondiale (il padre di Karol ’combattera’ sul fronte italiano, anche sopra Paluzza - Timau, come ufficiale dell’esercito austro-ungarico) e poi lo spazio breve dell’Indipendenza polacca, poi l’invasione pagana del nazismo con la sua ferocia in particolare antiebraica ed i suoi misfatti e a seguire, senza pausa di sollievo, la dittatura antireligiosa del comunismo sovietico che per creare l’uomo nuovo desertifica umanamente e religiosamente l’uomo che c’è, e poi l’abilità nello stare sulla scena della storia e infine, con la caduta del totalitarismo comunista, la sua partecipazione alla ennesima ricostruzione polacca con i mattoni profondamente cristiani della sua identità nazionale, e ancora l’indicazione dell’Europa come una opportunità ed una speranza perché indichi al mondo una strada nuova dopo le perversioni del ‘900, e dunque l’impegno forte per la pace e le modalità per renderla una prospettiva praticata e, infine, la lotta culturale per la “modernità buona” capace di intessere incessantemente il dialogo tra le conquiste dell’umanità e Dio e, dunque, per evitare il rischio di “svuotare il cielo senza arricchire la terra”. Mi sia consentito infine di mettere l’accento su due sottolineature che Fabbrini fa: l’una riguarda gli strumenti, il ruolo del teatro, e l’altra l’affermazione di un valore, la pace. In realtà, se il “teatro è liturgia” come ebbe a dire Wojtyla esso è proprio quella liturgia laica attraverso cui si fa comunicazione universale. Il ragionamento va condotto dal teatro, al cinema, ai social network della rete internet. Il gesto che sintetizza una presa di posizione e un valore da testimoniare possono essere esaltati dalla globalizzazione degli strumenti di comunicazione sociale a noi contemporanei. Così accade nella diffusione, a contrario, di una cultura assolutamente secolarizzata che caratterizza sempre di più il mondo occidentale che si auto dipinge come tollerante solo in quanto espunge il riferimento religioso, come assertore di un “posso voglio e comando assoluto” che trova il suo limite solo nella potenza della tecnica. Eppure in Cartesio, padre della modernità che ha elevato a valore assoluto la ragione umana e che ha prodotto vari mostri, c’è anche la possibilità di un’altra modernità che recepisce il valore del limite umano, come scrisse Pascal. Lo stesso ragionamento sulla pace mette in evidenza che ciò che la potenza tecnica consente ha portato l’umanità dentro l’esigenza di costruire un solido impianto morale per tutte le sue decisioni. Non parlo solo del rischio atomico che ha dominato la scena del mondo fino alla caduta del comunismo. Oggi questo è falsamente sotto traccia ma non è meno pericoloso anche per la possibilità di diffusione delle tecnologie relative. E’ che in se stessa la guerra come soluzione dei problemi viene giudicata come insensata e viene praticata, anche dall’Occidente, con una facilità incredibile. Si poteva, dopo il 1989, inaugurare finalmente la fase dell’attuazione dei principi dell’ONU ed invece si è proceduto a fare guerre senza neppure chiedersi quale sarebbe stato il “dopo” delle guerre stesse. La cronaca di questi giorni, dall’Iraq all’Africa, è piena di attestazioni del monito di papa Wojtyla “mai più la guerra”. Un richiamo ad una razionalità antica e nuova proprio nel momento in cui il mondo pare avere bisogno di darsi una nuova regolata. Anche l’appendice di questo agile volumetto è stimolante, una traccia per ulteriori approfondimenti sistematici: sono elencati i viaggi all’estero, le giornate della gioventù, le 14 Encicliche, le opere di Papa Wojtyla, gli scritti su di Lui. Il libro si presenta dunque come una opportunità di lettura nel suo insieme dotta ed edificante: leggere la storia personale nel contesto di quella generale e per chi ha già qualche anno sulle spalle consente di chiederci dove stavamo noi in quel tempo e per chi è ancora giovane consente di trarre spunti per costruire su solide basi il proprio stare nel mondo. Insomma, una “guida tra due millenni” tutta da meditare. Danilo Bertoli