1 Esternalità di rete, beni pubblici e dilemmi dei brevetti (in relazione

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Esternalità di rete, beni pubblici e dilemmi dei brevetti
(in relazione alle tecnologie dell’informazione e alla conoscenza)
Troverete spesso nei testi base di riferimento del corso che le tecnologie dell’informazione danno
luogo a “esternalità di rete”, oppure che la conoscenza si può interpretare come un “bene pubblico”. Troverete anche la locuzione “tragedia dei commons”. Tutti questi sono casi particolari di esternalità, e ora cercheremo di capire perché.
Iniziamo dalle esternalità (positive) di rete, considerando il seguente racconto.
5.3. Perché tante Finestre e poche Mele?
(Tratto dal cap. 8 di I. Lavanda e G. Rampa, Microeconomia. Scelte individuali e benessere sociale,
Roma, Carocci, 2004)
Talvolta l’uso di un certo prodotto diventa più conveniente se esistono già altri utenti di quel prodotto. Ciò accade soprattutto per prodotti che consentono di trasmettere e ricevere informazioni. Il
telefono è un tipico esempio di questi prodotti: non vale la pena di comprare un telefono se quasi
nessuno ha un telefono. Un altro esempio sono alcuni programmi per computer: non vale la pena
comprare un programma per scrivere documenti se pochi possono leggere quei documenti perché
quasi nessuno possiede quel programma. Data la natura di questi prodotti, si capisce come mai questi fenomeni siano chiamati esternalità di rete.
Figura 1
Un’esternalità di rete
Costi e
benefici
marginali
BMaS1
BMaS2
BMaS3
CMaS
O
A
B
C
D
E
Utenti
Immaginiamo che un prodotto di questo tipo, chiamato Finestre, comporti un costo marginale
sociale che per semplicità è costante ed è descritto dalla curva CMaS della Fig. 1. Supponiamo inoltre che l’esternalità positiva si manifesti nella forma di un aumento del beneficio marginale per gli
utenti se il loro numero supera certe soglie. Quando tale numero aumenta, infatti, diventa sempre
più conveniente per ciascuno diventare utente delle Finestre. Inizialmente il beneficio marginale sociale è descritto dalla curva BMaS1. Dunque ci si può attendere che le Finestre siano acquistate da
OA utenti. Se però il numero degli utenti potesse arrivare sino a OB, il beneficio marginale di tutti
aumenterebbe, cioè a parità di prezzo il numero di coloro che vogliono diventare utenti crescerebbe.
La curva di beneficio marginale si sposterebbe verso destra sino a diventare la BMaS2. Se la curva
1
del beneficio marginale sociale è BMaS2 il numero degli utenti diventa OC. Se il numero di utenti
potesse, però, superare la soglia OD il beneficio marginale sociale diventerebbe BMaS3, e il numero
effettivo di utenti delle Finestre sarebbe OE.
Come si vede, potrebbe accadere che il mercato delle Finestre resti bloccato ad una dimensione
piuttosto piccola, come OA nella figura precedente, senza la possibilità di sfruttare le esternalità positive derivanti da un ampliamento della rete degli utilizzatori. Il produttore delle Finestre, allora,
potrebbe pensare di incentivarne l’uso regalando qualcosa agli utenti, per esempio qualche applicazione utile per svolgere altre attività. In tal modo il beneficio che gli utilizzatori ottengono aumenterebbe ed essi sarebbero disposti ad acquistare più Finestre. Se il numero degli utenti aumenta il beneficio marginale sociale aumenta ulteriormente a causa delle esternalità di rete.
Il fenomeno delle esternalità di rete si potrebbe raccontare anche nel seguente modo alternativo.
Se consideriamo la domanda di un prodotto che genera questo tipo di esternalità, possiamo pensare
che in un tratto iniziale essa sia crescente: infatti, dopo che i primi utenti hanno deciso di acquistare
il prodotto, quel prodotto fa aumentare il beneficio che gli altri potranno trarre dal prodotto, e dunque questi altri saranno disposti a pagare di più per il prodotto. Arrivati ad un certo punto, però, il
mercato comincia a saturarsi, e inizia a prevalere il solito meccanismo per cui per attrarre ulteriori
acquirenti occorre abbassare il prezzo: di lì in poi la curva di domanda torna ad essere decrescente.
Si consideri la seguente figura 2.
Figura 2
P
CMa
D
B
A
Q
Supponiamo che il prodotto possa essere venduto ad un prezzo pari al suo costo marginale, CMa.
Se il numero di utenti è inizialmente troppo basso, e la quantità acquistata è inferiore ad A, la disponibilità a pagare da parte degli utenti è troppo bassa, inferiore al costo di produzione: dunque il
prodotto non si diffonde. Ma se la quantità comprata inizialmente è almeno pari ad A, allora la disponibilità a pagare aumenta, e dunque la quantità acquistata crescerà sino a B, cioè il prodotto avrà
successo.
Si noti che un significativo ampliamento del mercato potrebbe avvenire non perché le Finestre
siano necessariamente un prodotto migliore di altri, ma perché il loro utilizzo ha raggiunto una soglia critica tale per cui gli utilizzatori, causa le esternalità di rete, potrebbero non essere attratti da
eventuali prodotti concorrenti. La qualità di questi ultimi, chiamati per esempio Mele, potrebbe anche essere superiore a quella delle Finestre, ma la loro scarsa diffusione tra i pochi amatori non metterebbe in moto le esternalità positive di rete. Sino a quando i produttori delle Mele insisteranno più
sull’elevata qualità del proprio prodotto che non su politiche commerciali aggressive, le Mele resteranno un prodotto di nicchia.
2
Nota 1. Le esternalità positive di rete potrebbero dipendere non solo dal fatto che i benefici che i
potenziali utenti si attendono di ottenere aumentano all’aumentare del numeri degli utenti già presenti (e dunque aumenta il prezzo che essi sono disposti a pagare). Esse potrebbero derivare anche
dal fatto che, man mano che un prodotto si diffonde, diventa sempre meno costoso per gli utenti utilizzarlo: poiché il costo di utilizzo si deve sommare in qualche modo al costo diretto di acquisto, è
come se il ‘prezzo’ effettivo che si deve pagare diminuisse, dunque se ne domanda di più a parità di
prezzo diretto. L’esempio fatto a lezione è quello di QWERTY-QZERTY: siccome sono cattivo non
ve lo spiego, anche perché so che a lezione l’avete capito bene (richiamo solo il fatto che il sunnominato produttore di Mele ha per un certo periodo installato QZERTY).
Nota 2. Talora si può generare un fenomeno che potremmo forse denominare ‘esternalità negative di rete’. Non si tratta di un caso strettamente connesso con le tecnologie dell’informazione, ma di
un caso in cui, comunque, vari soggetti sono tenuti assieme da qualcosa che hanno in comune. Si
pensi ad un pascolo che non è di proprietà privata, ma che può essere utilizzato da tutti i pastori di
un villaggio. Se la mandria o gregge di uno di loro pascola in quel territorio per un giorno, ciò riduce la successiva disponibilità di erba non solo per sé ma anche per gli altri pastori. Dunque, il costo
marginale sociale di una giornata di pascolo è superiore al costo marginale privato di chi porta le
proprie bestie al pascolo. Per tale ragione, si tende a sfruttare eccessivamente il pascolo (risultato
tipico in presenza di esternalità negative), portandolo talora ad esaurimento prima di quanto un eventuale proprietario privato del pascolo stesso farebbe. La cosiddetta ‘tragedia dei commons’
(=beni comuni) citata qua e là nei vostri testi di riferimento riguarda proprio questo problema. Supponete infatti che tutti si possano potenzialmente appropriare di qualche nuova idea, ma che chi se
ne appropria riduca la possibilità per altri di appropriarsene (come accade, per esempio, quando esiste una normativa sui brevetti: vedi oltre). Allora accade proprio come per il pascolo: l’attività di
uno riduce i benefici degli altri, e tutti quanti tendono a spingere il proprio impegno per ottenere
nuove idee (cioè la propria attività di ricerca e sviluppo) oltre il livello socialmente efficiente.
Se invece una certa esternalità fosse positiva (come nel caso della conoscenza non brevettata o
delle esternalità di rete) uno potrebbe parlare di “commedia dei commons”.
Nota 3. Che la conoscenza dia luogo a esternalità positive si esprime talvolta dicendo che essa si
può interpretare come un bene pubblico. Un bene pubblico è un bene che, a differenza ovviamente
da quelli usuali che sono privati, una volta che esso sia pagato da qualcuno dà un beneficio gratuito
a tutti quanti coloro che sono lì attorno. L’esempio del lampione da me installato vicino al cancello
è precisamente questo (v. documento “Esternalità” in questa stessa pagina del sito); un altro esempio potrebbe essere pagare privatamente uno sceriffo affinché mantenga l’ordine vicino a casa mia.
Si tratta di due casi di esternalità positiva: infatti, se io sono disposto a pagare per un bene pubblico,
ne comprerò una quantità tale che il mio beneficio marginale privato sia pari al costo marginale. Ma
nel renderlo disponibile a me stesso lo rendo immediatamente e gratuitamente disponibile per gli
altri: dunque il beneficio marginale sociale di quel bene (somma dei benefici di tutti coloro che ne
possono godere) è superiore al mio beneficio marginale privato. Ne segue che ne comprerò una
quantità inferiore a quella socialmente efficiente, e gli altri comunque non ne comprano sapendo
che io sono disposto a pagare per averlo. (Se però tutti aspettassero che qualcun altro paghi, allora
non solo se ne comprerebbe poco, ma non se ne comprerebbe addirittura alcuna quantità!). Per
maggiori dettagli sui beni pubblici si veda il corrispondente documento nella pagina dei documqnti
di questa parte del corso.
Una conoscenza o idea nuova per la quale io devo pagare un costo, in termini per esempio di attività di ricerca, ha una natura simile. Se io so che poi quell’idea sarà disponibile per tutti, allora capisco che il beneficio privato che potrò ottenere (per esempio profitto da sfruttamento dell’idea) sarà basso, perché anche altri la potranno sfruttare facendo anch’essi dei profitti. Ma allora il mio beneficio (profitto) privato è inferiore al beneficio sociale (profitti di tutti gli utilizzatori), e mi impegno nell’attività di ricerca meno di quanto sarebbe socialmente efficiente.
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Per tali ragioni, qualcuno sostiene, è stato inventato il sistema dei brevetti (o dei copyright).
Guardate la storia che segue.
Le ragioni del monopolista
(Tratto dal cap. 6 di I. Lavanda e G. Rampa, Microeconomia. Scelte individuali e benessere sociale,
Roma, Carocci, 2004)
Quando vi è un monopolio, come sappiamo, può essere opportuno qualche intervento che ne
regoli l’attività, perché il monopolio non è efficiente. Ciò non significa, però, che sia conveniente
per la collettività impedire la formazione di ogni monopolio.
Le stesse autorità che promuovono la regolazione del monopolio, infatti, nel contempo molto
spesso concedono a un’impresa che abbia ottenuto un’innovazione, di processo oppure di prodotto,
la possibilità di ottenere un brevetto che difende l’innovazione dall’imitazione e consente
all’impresa che ha ottenuto l’innovazione di sfruttarla in regime di monopolio.
La concessione di un brevetto solitamente è motivata dalla necessità di offrire alle imprese un
incentivo alla ricerca: se infatti le imprese non si aspettano di ottenere un profitto, perché
dovrebbero spendere per ottenere un’innovazione? A questa argomentazione, però, si potrebbe
rispondere: perché la collettività, per incentivare l’innovazione, deve impegnarsi a tollerare un
monopolio?
Consideriamo una innovazione di prodotto. Consideriamo un mercato concorrenziale di un vecchio
prodotto, illustrato nella Fig. 3. La retta BMaS1 rappresenta la domanda e la retta CMaS l’offerta,
cosicché la quantità prodotta è OC ed è venduta al prezzo CA. Supponiamo che un’impresa
introduca un bene nuovo, che sostituisce quello prodotto nel mercato concorrenziale. Inoltre, per
semplicità, supponiamo il bene nuovo possa essere prodotto con gli stessi costi marginali con il
quale l’industria concorrenziale produceva il prodotto vecchio. Poiché in un mercato concorrenziale
la curva di offerta coincide con la curva del costo marginale dei produttori, la retta CMaS ora
rappresenta anche la curva del costo marginale dell’impresa innovatrice. A rigor di termini, non è
corretto usare lo stesso grafico per illustrare il mercato di due beni diversi. A questa difficoltà, però,
possiamo in qualche misura ovviare supponendo che la quantità indicata sull’asse orizzontale non
indichi le unità prodotte dei due beni, ma i servizi forniti dai beni considerati al consumatore.
Figura 3
Un’innovazione di prodotto
Prezzo
K
B
CMaS
L
BMaS2
E
G
A
H
D
0
RMa
BMaS1
C
M
4
Quantità
Cosa succede se la domanda del prodotto nuovo è più alta di quella del prodotto vecchio, come
accade quando migliorano i servizi forniti ai consumatori da un nuovo bene? Supponiamo che la
domanda del prodotto nuovo sia BMaS2. Se l’impresa che ha introdotto l’innovazione ottiene il
monopolio, produrrà la quantità OM, perché per tale quantità il ricavo marginale è pari al costo
marginale, e la venderà al prezzo MB. Il surplus sociale, che era DEA quando il mercato era
concorrenziale e non era stato introdotto il bene nuovo, diventa DKBG, cioè aumenta di un
ammontare pari a EKBGA. Per la società, dunque, può essere conveniente tollerare la formazione di
un monopolio, se ciò permette di avere un’innovazione di prodotto che consente di soddisfare una
domanda più ampia.
Possiamo concludere, quindi, che un mercato concorrenziale, data la tecnologia disponibile, è
sicuramente preferibile al monopolio, che non è efficiente. Tuttavia, se la possibilità per l’impresa
di ottenere il monopolio favorisce in qualche modo l’introduzione di innovazioni, vi possono essere
buone ragioni per rinunciare ad avere un mercato concorrenziale e tollerare la presenza di un
monopolio.
Dobbiamo ora richiamare quanto detto in precedenza a proposito della “tragedia dei commons”,
e cioè che, una volta ideato un sistema di protezione delle idee nuove per esempio tramite brevetti,
si genera un problema opposto, cioè di esternalità negativa. Supponiamo infatti che tale sistema di
protezione, come spesso accade, dia il diritto di sfruttamento solo al primo che deposita l’idea. Naturalmente, la prospettiva di ottenere, con una certa probabilità, un profitto da monopolio se si arriva primi induce molti ‘concorrenti’ di questa gara a darsi da fare. Se poi succede che la probabilità
di successo aumenta se vengono impiegate più risorse in ricerca e sviluppo, ecco che molti impiegheranno molte risorse. Il vincitore, però, nel momento stesso in cui vince infligge delle perdite agli
altri, perché costoro avranno sì sostenuto le spese di ricerca e sviluppo ma rimarranno a becco asciutto. Dunque è come se l’attività di ricerca e sviluppo, quando di successo, provocasse esternalità
negative. Ecco allora che l’ammontare di risorse ivi impiegate è eccessivo rispetto a quanto sarebbe
socialmente efficiente. Per questa ragione talvolta le autorità cercano di regolamentare quella attività, per esempio garantendo dei contributi ai soli progetti che qualche commissione ha giudicato più
promettenti. Ma questo può accadere solo per la ricerca finanziata pubblicamente, non per quella
privata.
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