''BERLUSCONI SIMILE A ZAPATERO'' I SEGRETI DEL SUCCESSO POLITICO (UNIONE SARDA) Cgliari, 15 nov 09 (L'Unione Sarda) - «Io vado al mare». Per Jesus Timoteo Alvarez, docente di Management della comunicazione all'università di Madrid, mare vuol dire l'infinito bagnasciuga del Poetto. Passo passo, in una passeggiata esaltata dal tiepido sole di novembre, cammina lento e intanto riflette a voce alta. Più che un'intervista, la sua è una lezione imbastita in un italiano che assorbe la musicalità della lingua spagnola. Sessant'anni (a occhio e croce), sposato a una cagliaritana, Alvarez è un madrileno felice e conosciuto. Prima di salire in cattedra, ha fatto il giornalista per la Upi (United press international). Studia da una vita i meccanismi del consenso, vale a dire le ragioni segrete del successo. Ha un'opinione molto precisa sull'Italia e su Berlusconi. «Che somiglia al mio Josè Luis Zapatero». Collabora con le due università della Sardegna e ha scritto una montagna di saggi. Ascoltarlo è un piacere. Piú che postindustriale, la nostra é una società mediatica? «È lo stesso. Società postindustriale è quella in cui l´economia dominante non è agraria né industriale ma del settore terziario, dei servizi, nel quale la materia dominante nella produzione non è il grano, né il ferro, ma l´informazione ed il lavoro si fa in ufficio. E, poiché l´informazione circola in modo aperto nei media, questi diventano dominanti. Ecco perché la chiamiamo società mediatica». Quanto è vero che se non compari su tv o giornali non esisti? «É vero nella vita pubblica. Per chi ha bisogno o vuole farla in relazione e dipendenza del cliente, dei votanti, degli opinionisti, di un mercato. Per un politico, un cantante, un personaggio pubblico, i media e soprattutto la televisione sono il suo territorio: deve fare quasi piú il mestiere di attore, e di attore televisivo, che gestire o sviluppare la sua professionalitá». Oggi siamo piú o meno informati rispetto a 30 anni fa? «Circa il 60 per cento di quello che vediamo sulla televisione non è informazione. È intrattenimento. Un altro 20 per cento è promozione commerciale (pubblicità e simili). Soltanto un 20 per cento del tempo della televisione è informazione. Poi, la maggior parte di questo 20 per cento è informazione sportiva e politica, tutte e due sottomesse a tecniche di spettacolo. Dunque, la maggioranza della popolazione è tanto poco informata quanto 30 anni fa. Soltanto una minoranza é nella condizione di esser molto più informata che 30 anni fa». I giornali cartacei sono davvero in agonia? «In difficoltà, certamente. In agonia tanti. Sparire, no. É sicuro che spariranno nel format attuale: numero di pagine, sezioni, dimensione, modo di presentarsi e di distribuirsi. Ma il giornale stampato continuerà a vendersi. Non ho dubbi. Dovrá essere piu piccolo, forse in formato compact, con meno pagine e contenuti. Il giornale fará quello che nell'ultimo secolo hanno fatto i settimanali. E poi, vivrá in una diretta relazione con il network. Forse lo stesso giornale porterá una pagina-schermo di accesso al network. Avrá anche dei forti concorrenti, nel suo stesso spazio commerciale: saranno il telefonino, con capacità di ricevere ogni tipo d´informazione immediata (ma difficilmente conterrá analisi) e di accesso alla rete ed anche l'e-book, con capacità di accesso alla rete. Sará molto probabilmente cosí. Ma non c'è dubbio: si continuerá a godere sotto l´ombrellone della lettura del giornale stampato». La comunicazione tiene in vita la teoria dei bisogni: ci costringono a consumi inutili (per esempio, le notizie sul telefonino, chi se ne frega?, 350mila titoli di libri sul ipod, chi se ne frega?) «Tutti i prodotti e servizi che noi consumiamo ed usiamo hanno una componente immateriale. É dottrina economica classica. Compriamo perché ne abbiamo bisogno, ma soprattutto si compra per valore di simbolo. Il motivo per cui compriamo una macchina, un abito, un profumo, le vacanze... non è basicamente razionale, ma soprattutto è simbolico. Spesso dei biglietti aerei o una carta di credito sono la ricetta migliore contro la depressione o la noia, ad esempio. É per questo che la pubblicitá, la comunicazione in genere, sono la causa delle nostre scelte di acquisto, della nostra opzione. La massa, come mercato, dei prodotti, delle idee, della politica, è l´obiettivo di tutta la comunicazione. Frequentemente le masse vengono manipolate, spinte a decidere quello che i manipolatori vogliono». La massa, televisivamente intesa, è popolo bue: nel senso che la si puó far oscillare da una parte all´altra. «La televisione è ancora il mezzo piú perfetto per la manipolazione delle masse. Ma, i mass media come la pubblicità, come il marketing nascono come strumenti, ferramenta (tools) del mercato massivo alla fine del secolo XIX. É certo dunque che la tivu e i media hanno capacità manipolatrici. Assolutamente certo. Ma è anche certo che oggi stanno perdendo forza e capacità: la società e il mercato di massa stanno sparendo e la tecnologia permette altre possibilitá. Anche il business della pubblicità e della televisione si trova in una grossissima crisi. Come i giornali, anche la tv, la pubblicità e il marketing dovranno radicalmente cambiare per sopravvivere. I manipolatori dovranno, pure loro, svegliarsi se vogliono riuscire». Qual è il pericolo di una civiltà mediatica sotto il profilo della libertà? «Il pericolo è evidente. Non è nemmeno difficile stabilire una agenda, cioè, decidere le cose su cui la gente debba preoccuparsi ed occupare il suo cervello. Sono strategie e tecniche abbastanza note. Ma esiste anche l´altra parte: la gente. Possono essere scemi insieme ma non scemi sempre e con tutti. Tutti e due, manipolatori e gente, stiamo imparando a muoverci in questo territorio. I vecchi modi di fare perdono forza. I nuovi si stanno mettendo in piedi. É molto probabile che il diritto ad essere personalmente, individualmente informati - non all´informazione in genere -, ad avere la sufficiente informazione per prendere decisioni fondamentali di scelta, di voto, di acquisto, il diritto alla scelta personale, oggettiva, sia la libertá da conquistare nel prossimo secolo». In Italia esiste la libertà di stampa o è minacciata? «Comparativamente il sistema informativo italiano è simile a quelli europei, ma con una doppia peculiarità. Il modello è ovunque oligopolico, cioé, 3 o 4 gruppi di comunicazione coprono tra il 60-70 per cento del mercato dell´intrattenimento, della pubblicitá e dell´informazione. Ed anche, tutti sono convergenti, cioè, sono proprietari di case editrici, giornali, radio, tv, internet, cinema, produzioni per cinema e tivú, eccetera. La peculiaritá, la diversità del caso italiano risponde a due motivi: il sistema italiano è in realtà un duopolio e il proprietario di uno dei due gruppi è allo stesso tempo capo del Governo. Se non sbaglio in Italia ci sono soltanto due grandi gruppi di comunicazione, Mediaset e Rcs, piú la rete televisiva pubblica. Il piú grande gruppo di comunicazione spagnolo, Prisa, ha occupato in questi ultimi anni intorno al 30 per cento del mercato della comunicazione. Per legge, non puó stare con più del 25 per cento delle azioni in un altro gruppo. Credo che in Italia non sia cosí. Credo che un solo proprietario in Italia occupa una percentuale eccessiva di mercato, essendo allo stesso tempo Primo Ministro». Quali sono le cose che non bisogna mai fare se si vuole avere successo in tivú? «Fare un discorso come quello che facciamo qui tra noi. Dopo tre minuti non avremmo piú audience. Lo schermo impone delle regole: un linguaggio visuale, tempi stretti (secondi), movimento (azione), colpi ad effetto, colori. La prima regola delle comunicazione di massa è quella del "minimo comune denominatore", cioè, per attirare l´attenzione di una maggioranza devi pensare non a una persona normale con cui parlare ma al piú cretino di tutti quelli che ti possono vedere: la massa segue nel suo comportamento massivo il piú cretino». Il successo di Berlusconi: quali sono i meccanismi della sua straordinaria popolaritá? «Oggi conosciamo bene questo meccanismo. Il successo di Berlusconi é il successo del marketing politico. Nel 1993 Berlusconi ha comprato intelligenza, strategie e tattiche di comunicazione per applicarle alla politica. Continuava il modello di Clinton negli Usa ed anche di altri politici americani come Ross Perot. Berlusconi ha contattato Saatchi, la prima agenzia di pubblicitá d'Europa con sede a Londra, Soffres, la prima agenzia europea di sondaggi con sede a Parigi. Ha messo in piedi un'organizzazione con un marchio populista (Forza Italia), un partito non dottrinale (partitoimpresa), con una organizzazione imprenditoriale, senza ideologia definita a priori e con un programma che, come succede con il lancio di un marchio o di un prodotto, segue ed incontra gli interessi del mercato, le aspettative della popolazione». Qualcuno sostiene che sia iniziata la parabola discendente, il declino: lei ci crede? «Io credo che la politica è oggi fondamentalmente marketing. E che la figura di Berlusconi va dunque unita all´evoluzione di un prodotto e di una strategia di marketing. Allora, in marketing ogni offerta ha un ciclo vitale, una parabola di vita. La discesa o scomparsa, la fine di questo ciclo dipende da due fattori: uno è la stanchezza dello stesso mercato, che, dopo essersi abituato a quello che usa, finisce per trovarlo vecchio, noioso, fuori uso; l ´altra è la concorrenza di nuove offerte o prodotti che arrivano con innovazione e forza ad offrire alternative al vecchio prodotto. La stanchezza del mercato è inevitabile e, come minimo, produce stabilitá, riesce a mantenersi in nicchie consolidate (non crescita, non scomparsa). Berlusconi, per logica di vita ed età, non potrá resistere molti anni, ma la decadenza del suo marchio dipende fondamentalmente dall´opposizione, dalla capacitá di sviluppare una politica e, soprattutto, un marketing político alternativo e di successo». Altro leader di successo è il vostro Zapatero: ci sono punti in comune con Silvio Berlusconi? «Si sorprenderebbero tanti italiani per quanti punti hanno in comune. Hanno sviluppato lo stesso format di marketing politico. Hanno dunque tantissimi modi di fare che sono identici: la politica è soprattutto televisione, il politico è prima di tutto un attore televisivo, viene pagato non per gestire, ma per apparire in televisione, la sua attivitá ha come obiettivo definire la agenda, i discorsi che devono occupare la testa delle persone nella giornata, il suo mestiere è aprire i telegiornali di ogni giorno. Tony Blair lo raccontava molto bene dopo aver lasciato il posto di Primo Ministro: diceva che il suo lavoro era stato fare comunicati stampa e rispondere ai giornalisti (dimenticava di dire che le sue equipe tentavano di creare l´agenda con la quale i giornalisti dovevano disturbarlo). Se un italiano arriva in Spagna troverá che, per molti versi, il governo spagnolo di sinistra fa come quello italiano di destra e che l´opposizione spagnola di destra si comporta come quella italiana di sinistra». Quanto pesa la Chiesa nelle scelte politiche italiane (di destra e di sinistra)? «Per rispondere a questa domanda sarebbe necessario un libro. Certo che la Chiesa Cattolica ha un importante peso nella politica italiana. Da una parte, non possiamo capire né vedere l´Occidente e l´Italia senza la Chiesa. Dall'altra, sembra giusto il principio che la Chiesa non dovrebbe intervenire nella vita politica dell´Italia. Un'altra ancora: ci sono Paesi e situazioni (pensate, ad esempio, all'America Latina) dove meno male che c'è la Chiesa, perche è l´unico sostegno sul quale possono contare i piú disperati. In altre situazioni la Chiesa opera come una lobby e sembra abbia soprattutto interessi economici o politici. La domanda pone un antico e non risolto dilemma: io non ho risposta». GIORGIO PISANO