Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. DIREZIONE e REDAZIONE hanno sede presso: Dipartimento Diritto Comparato, del Bo’, via VIII Febbraio 2, 35122 DIREZIONE ediREDAZIONE hannoPalazzo sede presso: PADOVA, Tel. 049.8278912 (P. Zatti); 049.8273475 (A. Fusaro); 049.8278919 (M. Dipartimento di Diritto Comparato, Palazzo del Bo’, via VIII Febbraio 2, 35122 Piccinni); 049.8278918 (M. Cinque). Fax e segreteria 049.655644 PADOVA, Tel. 049.8278912 (P. Zatti); 049.8273475 (A. Fusaro); 049.8278919 (M. La corrispondenza per la Rivista va indirizzata ad Arianna Fusaro, Dipartimento Piccinni); 049.8278918 (M. Cinque). Fax e segreteria 049.655644 di Diritto Comparato, Palazzo del Bo’, via VIII Febbraio 2, 35122 PADOVA La corrispondenza per la Rivista va indirizzata ad Arianna Fusaro, Dipartimento L’indirizzo di posta elettronica è il seguente: [email protected] di Diritto Comparato, Palazzo del Bo’, via VIII Febbraio 2, 35122 PADOVA L’indirizzo di posta elettronica è il seguente: [email protected] ABBONAMENTO per il 2016: ITALIA € 225,00 - ESTERO € 289,00 Offerta triennale 2016-2018: ITALIA € 573,00 - ESTERO € 737,00 ABBONAMENTO per il 2016: ITALIA € 225,00 - ESTERO € 289,00 Offerta triennale 2016-2018: ITALIA € 573,00 - ESTERO € 737,00 Condizioni generali di abbonamento L’abbonamento decorre dal 1° gennaio e scade il 31 dicembre successivo. In ipotesi il cliente sottoscriva Condizioni generali di abbonamento l’abbonamento nel corso dell’anno la scadenza è comunque stabilita al 31 dicembre del medesimo anno: L’abbonamento decorre daltenuto 1° gennaio e scade ildell’intera 31 dicembre successivo. ipotesi il clientegli sottoscriva in tal caso l’abbonato sarà al pagamento annata ed avrà In diritto di ricevere arretrati l’abbonamento nel corso dell’anno la scadenza è comunque stabilita al 31 dicembre del medesimo anno: editi nell’anno prima dell’inizio dell’abbonamento. in tal casodell’abbonamento l’abbonato sarà tenuto al pagamento dell’intera annata ed avrà ricevere gli online arretrati Il prezzo carta comprende la consultazione digitale delladiritto rivista di nelle versioni su editi nell’anno prima dell’inizio dell’abbonamento. http://www.edicolaprofessionale.com/NGCC, tablet (iOS e Android) e smartphone (Android) scaricando Il prezzo dell’abbonamento l’App Edicola professionale.carta comprende la consultazione digitale della rivista nelle versioni online su http://www.edicolaprofessionale.com/NGCC, tablet (iOS e smartphone (Android) scaricando L’abbonamento si intenderà tacitamente rinnovato pere Android) l’anno successivo in assenza di disdetta da l’App Edicolaalmeno professionale. comunicarsi 30 giorni prima della scadenza del 31 dicembre esclusivamente a mezzo lettera L’abbonamento raccomandata a.r.si intenderà tacitamente rinnovato per l’anno successivo in assenza di disdetta da comunicarsi 30all’abbonato giorni primadevono della scadenza del 31entro dicembre esclusivamente mezzo lettera I fascicoli nonalmeno pervenuti essere reclamati e non oltre un mese dalaricevimento del raccomandata a.r. Decorso tale termine saranno spediti contro rimessa dell’importo. fascicolo successivo. I fascicoli non pervenuti all’abbonato devono essere reclamati entro e non oltre un mese dal ricevimento del Il pagamento potrà essere effettuato tramite gli incaricati della Casa Editrice sottoscrivendo l’apposita fascicolo successivo. Decorso tale termine saranno spediti contro rimessa dell’importo. ricevuta intestata a WKI Srl - Cedam oppure con un versamento intestato a WKI Srl - Cedam - Viale IlIl pagamento un versamento intestato aCasa WKIEditrice Srl - Strada 1 Palazzo F6 -20090 pagamentopotrà potrà essereeffettuato effettuato tramite gli incaricati della sottoscrivendo l’apposita dell’Industria, 60 -essere 35129 Padova -con utilizzando le seguenti modalità: Milanofiori Assago (MI) utilizzando le seguenti modalità: ricevuta intestata a WKI Srl Cedam oppure con un versamento intestato a WKI Srl Cedam - Viale – Conto corrente postale 205351; dell’Industria, 60 35129 Padova utilizzando le seguenti modalità: Cassa di Risparmio del Veneto Agenzia Padova via Valeri, CIN C, ABI 06225, – • Conto Corrente Postale 54738745 – Conto Conto12163, corrente postale 205351; IBANINTESASANPAOLO CAB c/c 047084250184, IT 30 C 06225 12163- AG. 047084250184; • corrente Bancario 615222314167 ROMA intestato a Wolters Kluwer Cassa di Risparmio del Carta VenetoSi,-American Agenzia Card, Padova via Valeri, CINDiners C, ABI 06225, – Italia CartaS.r.l. di credito Visa, Master Card, American Express, Club, IBAN IT32K0306905070615222314167 – CAB 12163, c/c 047084250184, IBAN IT 30 C 06225 12163 047084250184; • Carta di credito Visa, Master Card, Carta Sì, American Card, American Express, specificando il numero – eCarta didicredito Visa, Master Card, Carta Si, American Card, American Express, Diners Club, la data scadenza. – Egregio abbonato, ai sensi dell’art. 13 del D.Lgs. 30.6.2003 n. 196, La informiamo che i Suoi dati personali sono registrati su database elettronici di proprietà di Wolters Kluwer Italia S.r.l., con sede legale in Egregio abbonato, Assago 1-Palazzo F6, 20090 Assago (MI), titolareche delitrattamento e sono trattati ai sensi dell’art. 13Strada del D.Lgs. 30.6.2003 n. 196, La informiamo Suoi dati personali sono da quest’ultima tramiteelettronici propri incaricati. registrati su database di proprietà di Wolters Kluwer Italia S.r.l., con sede legale in amministrative Wolters Kluwer Italia S.r.l. utilizzerà dati Assago che La (MI), riguardano Assago Strada 1-Palazzo F6, i20090 titolare per del trattamento e sono trattatie contabili. I Suoitramite recapitipropri postaliincaricati. e il Suo indirizzo di posta elettronica saranno utilizzabili, ai sensi da quest’ultima di vendita o servizie dell’art. 130, comma del D.Lgs. n. 196/03, amministrative Wolters Kluwer Italia4, S.r.l. utilizzerà i dati anche che Laa riguardano perdiretta di prodotti analoghi aIquelli oggetto postali della presente contabili. Suoi recapiti e il Suovendita. indirizzo di posta elettronica saranno utilizzabili, ai sensi Lei potrà130, in ogni momento esercitare i diritti dianche cui all’art. 7didel D.Lgs.diretta n. 196/03, fra cui oil servizi diritto vendita di prodotti dell’art. comma 4, del D.Lgs. n. 196/03, a di accedere ai Suoi dati edella ottenerne l’aggiornamento o la cancellazione per violazione di legge, di analoghi a quelli oggetto presente vendita. di materiale pubblicitario, e opporsi dei esercitare Suoi dati iaidirittididiinvio Lei potràalintrattamento ogni momento cui all’art. 7 del D.Lgs. n. 196/03,vendita fra cui diretta il diritto comunicazioni commerciali e di richiedere l’elenco aggiornato dei responsabili del trattamento, di accedere ai Suoi dati e ottenerne l’aggiornamento o la cancellazione per violazione di legge, di mediantealcomunicazione scritta a: Italia S.r.l. – PRIVACY Centroe di Wolters invio di Kluwer materiale pubblicitario, vendita -diretta opporsi trattamento dei Suoi da datiinviarsi ai Direzionale Strada F6,l’elenco 20090 aggiornato Assago (MI), inviando undel Faxtrattamento, al numero: comunicazioni commerciali e di1-Palazzo richiedere deio responsabili 02.82476.403. mediante comunicazione scritta da inviarsi a: Wolters Kluwer Italia S.r.l. – PRIVACY - Centro Direzionale Strada 1-Palazzo F6, 20090 Assago (MI), o inviando un Fax al numero: 02.82476.403. servizio clienti cedam Informazioni commerciali ed amministrative: tel. 06.20381100 - Indirizzo internet: www.servizioclienti.wki.it - e-mail: [email protected] 20090 Assago (MI) Autorizzazione del Tribunale di Padova del 12 dicembre 1984 n. 860 20090 Assago (MI) Direttore responsabile: Paolo Zatti Autorizzazione del Tribunale di Padova del 12 dicembre 1984 n. 860 Stampa: GECA s.r.l. - Via Monferrato, 54 - 20098 SanZatti Giuliano Milanese (MI) Direttore responsabile: Fotocomposizione: Sinergie Grafiche Srl - VialePaolo Italia, 12 - 20094 Corsico (MI) Stampa: GECA s.r.l.- Via - ViaMonferrato, Monferrato, 54 Milanese (MI) Stampa: GECA s.r.l. 54 --20098 20098San SanGiuliano Giuliano Milanese (MI) NGC_9_2016.indd 2 15/09/16 11:59 Sinergie Grafiche Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. LA NUOVA GIURISPRUDENZA CIVILE COMMENTATA ANNO XXXII 2016 RIVISTA MENSILE de Le Nuove Leggi Civili Commentate a cura di Guido Alpa e Paolo Zatti Comitato Editoriale G. Alpa F. Addis G. Amadio A. Federico G. Iudica A. Barba G. Ferrando M. Mantovani G. Conte An. Fusaro M.R. Maugeri G. Ponzanelli S. Patti E. Quadri G. De Cristofaro S. Delle Monache E. Lucchini Guastalla E. Navarretta R. Pucella P. Zatti M. Orlandi C. Scognamiglio F. Padovini P. Sirena Redazione Responsabili Ar. Fusaro M. Cinque B. Checchini G. Cinà U. Roma M. Piccinni M. Farneti F. Macario A. Pasqualetto F. Viglione Redazione giudiziaria G. Carraro V. Durante L.A. Scarano Sinergie Grafiche Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Comitato Scientifico per la valutazione G. Ajani F. Anelli A. Antonucci T. Auletta P. Auteri V. Barba M. Basile A. Bellelli A. Belvedere G.A. Benacchio F. Bianchi D’urso G. Bonilini U. Breccia C. Campiglio F. Capriglione V. Carbone P. Cendon C. Cester A. Checchini S. Chiarloni G. Collura V. Colussi L.P. Comoglio M. Confortini A. D’Adda G. D’Amico A. D’Angelo M. De Acutis M. De Cristofaro M.V. De Giorgi R. De Luca Tamajo A.M. De Vita E. del Prato G. Di Rosa M. Fortino M. Franzoni G. Furgiuele A. Gambaro A. Gentili F. Giardina A. Giussani A. Gorassini C. Granelli B. Grasso M. Graziadei C.A. Graziani A. Guarneri L. Lenti M. Libertini F.P. Luiso A. Luminoso M. Maggiolo G. Marasà M.R. Marella C.M. Mazzoni O. Mazzotta E. Merlin P.G. Monateri E. Moscati A. Natucci G. Niccolini M. Nuzzo S. Pagliantini R. Pane M. Paradiso R. Pardolesi R. Pescara A. Plaia D. Poletti P. Pollice G.C. Rivolta V. Roppo F. Ruscello U. Salanitro L. Salvaneschi C. Salvi D. Sarti G. Sbisà M. Sesta P. Stanzione M. Tamponi M. Taruffo C. Tenella Sillani R. Tommasini M. Trimarchi S. Troiano D. Valentino G. Vettori R. Weigmann A. Zaccaria V. Zeno-Zencovich Norme di autodisciplina 1. La valutazione dei contributi inviati alla NGCC per pubblicazione, sia su iniziativa degli autori, sia in quanto richiesti dal Comitato editoriale, è affidata a due membri del Comitato per la valutazione scientifica scelti per rotazione all’interno di liste per area tematica formate in base alle indicazioni di settore fatte da ciascun componente del Comitato e disposte in ordine casuale. 2. Il contributo è avviato ai valutatori senza notizia dell’identità dell’autore. 3. L’identità dei valutatori è coperta da anonimato. In ciascun fascicolo della Rivista è pubblicato in ordine alfabetico l’elenco dei valutatori che hanno collaborato alla revisione del fascicolo. 4. In caso di pareri contrastanti la Direzione assume la responsabilità della decisione. 5. Ove dalle valutazioni emerga un giudizio positivo condizionato a revisione o modifica del contributo, la Direzione promuove la pubblicazione solo a seguito dell’adeguamento del saggio assumendosi la responsabilità della verifica. I contributi del presente fascicolo sono stati valutati da: C. Campiglio G. De Cristofaro G. Di Rosa F. Giardina A. Giussani A. Gorassini S. Pagliantini D. Sarti G. Sbisà R. Tommasini S. Troiano G. Vettori Sinergie Grafiche srl Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. n NGCC 9/2016 Indice-Sommario INDICE-SOMMARIO Sentenze commentate Adozione CASS. CIV., I sez., 22.6.2016, n. 12962 ...................................................... 1135 Contratti del consumatore CORTE GIUST. UE, 18.2.2016, causa C-49/14 Autonomia processuale ed effettività della tutela del consumatore ........... di Giulio Palma 1143 CORTE GIUST. UE, 14.4.2016, cause riunite C-381/14 e C-385/14 A proposito dei ‘‘mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di clausole abusive’’ Tutela individuale e tutela collettiva ........................................................... di Nicolò Cevolani 1153 CASS. CIV., IV sez., ord. 10.2.2016, n. 2687 Considerazioni a margine di un’ordinanza in tema di foro del consumatore di Angelo Barba 1163 Contratto in genere CASS. CIV., I sez., 24.3.2016, n. 5919 ........................................................ CASS. CIV., I sez., 11.4.2016, n. 7068 ........................................................ 1168 1171 Famiglia CORTE COST., 7.4.2016, n. 76 Le sentenze straniere di stepchild adoption omogenitoriale. Il discrimine tra automaticità del riconoscimento e giudizio di delibazione .................... di Lucia Marzialetti Ipoteca Responsabilità civile Società CASS. CIV., III sez., 5.4.2016, n. 6533 Nuove prospettive in tema di ipoteca giudiziale eccessiva e responsabilità aggravata del creditore ................................................................................. di Valentina Bellomia T.A.R. LOMBARDIA, III sez., 6.4.2016, n. 650 La responsabilità della pubblica amministrazione nel caso Englaro ........... di Chiara Favilli TRIB. SPOLETO, decr. 11.2.2016 e TRIB. SPOLETO, ord. 9.3.2016 Principio dell’unanimità e competenza del Tribunale delle Imprese nella trasformazione di società di persone costituite prima della riforma .......... di Melissa Sartori 1172 1183 1194 1205 Letture e Opinioni Il problema dell’adozione del figlio del partner. Commento a prima lettura della sentenza della Corte di cassazione n. 12962 del 2016 ..................... di Gilda Ferrando NGCC 9/2016 1213 Dalla nullità relativa alla forma dimidiata? .................................................. di Paolo Gaggero 1220 Chi è il consumatore sovraindebitato? Aperture e chiusure giurisprudenziali di Enza Pellecchia 1228 1131 Sinergie Grafiche srl n Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Indice-Sommario NGCC 9/2016 Saggi e Aggiornamenti La posizione giuridica del garante-consumatore: dalle novità europee alle recentissime aperture interne ....................................................................... di Lavinia Vizzoni La giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea in tema di rilievo officioso dell’abusività di una clausola contrattuale e le sue ricadute sul piano interno ............................................................................................ di Nicola Rumine 1233 1244 Indice cronologico Corte di giustizia UE 18.2.2016, C-49/14 ............................................. 14.4.2016, C-381/14 e C-385/14 ....................... 1143 1153 Corte costituzionale 7.4.2016, n. 76 ................................................... 1174 Tribunale amministrativo regionale Lombardia, 6.4.2016, n. 650 ........................... 1194 Corte di Cassazione 10.2.2016, n. 2687 - sez. IV (ord.) .................... 1163 24.3.2016, n. 5919 - sez. I ................................. 5.4.2016, n. 6533 - sez. III ................................ 11.4.2016, n. 7068 - sez. I ................................. 22.6.2016, n. 12962 - sez. I .............................. 1168 1183 1171 1135 Tribunale Spoleto, 11.2.2016 (decr.) .............................. Spoleto, 9.3.2016 (ord.) .................................. 1205 1205 Indice autori Angelo Barba, Considerazioni a margine di un’ordinanza in tema di foro del consumatore ............... Valentina Bellomia, Nuove prospettive in tema di ipoteca giudiziale eccessiva e responsabilità aggravata del creditore (*) .................................................... 1164 1186 Nicolò Cevolani, A proposito dei ‘‘mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di clausole abusive’’. Tutela individuale e tutela collettiva (*) ..... 1157 Chiara Favilli, La responsabilità della pubblica amministrazione nel caso Englaro (*) ........................ 1198 Gilda Ferrando, Il problema dell’adozione del figlio del partner. Commento a prima lettura della sentenza della Corte di cassazione n. 12962 del 2016 .... 1213 Paolo Gaggero, Dalla nullità relativa alla forma dimidiata? ............................................................. 1220 Lucia Marzialetti, Le sentenze straniere di stepchild adoption omogenitoriale. Il discrimine tra automaticità del riconoscimento e giudizio di delibazione (*) .............................................................. 1177 Giulio Palma, Autonomia processuale ed effettività della tutela del consumatore (*) ............................ 1147 Enza Pellecchia, Chi è il consumatore sovraindebitato? Aperture e chiusure giurisprudenziali ............ 1228 Nicola Rumine, La giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea in tema di rilievo officioso dell’abusività di una clausola contrattuale e le sue ricadute sul piano interno (*) ......................... 1244 Melissa Sartori, Principio dell’unanimità e competenza del Tribunale delle Imprese nella trasformazione di società di persone costituite prima della riforma (*) ....................................................................... 1206 Lavinia Vizzoni, La posizione giuridica del garanteconsumatore: dalle novità europee alle recentissime aperture interne (*) .............................................. 1233 Legenda: Il simbolo (*) a fianco dell’autore segnala che il commento/saggio è stato oggetto di referee secondo quanto indicato supra, nelle ‘‘Norme di autodisciplina’’. 1132 NGCC 9/2016 Sinergie Grafiche srl Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. n NGCC 9/2016 Indice-Sommario NGCC online 1. Sul nuovo portale ‘‘Edicola Professionale’’, all’indirizzo www.edicolaprofessionale.com/NGCC l’abbonato può consultare l’ultimo fascicolo della rivista appena inviato in stampa ed accedere ai fascicoli degli ultimi 12 mesi. In più, nella versione su tablet e smartphone, dall’app gratuita di Edicola Professionale può effettuare ricerche all’interno del fascicolo, inserire note e segnalibri ed inviare pagine e articoli da condividere con i colleghi. 2. Sul sito dell’Università di Padova, sezione Dipartimento di Scienze politiche, Giuridiche e Studi Internazionali, all’indirizzo www.spgi.unipd.it/servizi/la-nuova-giurisprudenza-civile-commentata, è scaricabile il Sommario dell’ultimo fascicolo e un contributo segnalato dalla Direzione. 3. Su ‘‘Praticanti diritto’’, il portale Cedam per gli avvocati, notai e magistrati che devono affrontare il praticantato, all’indirizzo www.praticantidiritto.it/rivista.la-nuova-giurisprudenza.htm, sono consultabili gli Indici annuali, il Sommario dell’ultimo numero ed è possibile scaricare un fascicolo in omaggio. NGCC 9/2016 1133 Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. TASSAZIONE DEGLI ATTI NOTARILI GIOVANNI SANTARCANGELO € 140 Y60ETBN L’Opera, giunta alla terza edizione, è un vademecum che si propone di indirizzare l’operatore del diritto nella complessa materia fiscale relativa agli atti notarili, in genere, e agli atti soggetti a registrazione, fornendo in modo sintetico, ma completo, tutti gli elementi e i riferimenti necessari. Il volume si divide in tre parti. ESEMPI DI TASSAZIONE: contiene circa 1000 esempi di tassazione di atti notarili, con una sintetica indicazione della normativa e della prassi inerente a ciascuno; LEGGI: presenta un commento articolo per articolo, alle norme di riferimento, con oltre 3000 richiami alle circolari e risoluzioni dell’Amministrazione finanziaria; AGEVOLAZIONI: analizza ed elenca le principali agevolazioni fiscali previste per i vari atti notarili, distinguendole tra quelle in vigore fino al 31 dicembre 2013, ormai abrogate (la cui disciplina interessa per eventuali decadenze o formalità che dovessero ancora intervenire), e quelle in vigore dal 1° gennaio 2014. Il Cd-Rom allegato consente una rapida e agevole consultazione e fruizione dei contenuti di questa guida operativa. shop.wki.it UTET GIURIDICA ® è un marchio registrato e concesso in licenza da De Agostini Editore S.p.A. a Wolters Kluwer Italia S.r.l. Cod. 00203122 02.82476.794 [email protected] Y60ETBN.indd 1 30/06/16 17:24 Sinergie Grafiche srl Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. n Sentenze commentate Parte prima Sentenze commentate n Adozione CASS. CIV., I sez., 22.6.2016, n. 12962 – DI PALMA Presidente – ACIERNO Relatore – CERONI P.M. (concl. diff.) – D.M. – G. – C.M.R. (avv. Pili) – Conferma App. Roma, 23.12.2015 ADOZIONE – ADOZIONE IN CASI PARTICOLARI – DOMANDA PROPOSTA DA CONVIVENTE DELLO STESSO SESSO – CONFLITTO DI INTERESSI TRA GENITORE BIOLOGICO E MINORE ADOTTANDO – VALUTAZIONE IN CONCRETO – NECESSITÀ (Cost., artt. 2, 3, 117; Conv. eur. dir. uomo, artt. 8, 14; l. 4.5.1983, n. 184, art. 44, comma 1º, lett. d, n. 2) La domanda di adozione di una minore proposta dalla partner della madre biologica con questa stabilmente convivente non determina in astratto un conflitto di interessi tra il genitore biologico e il minore adottando, ma richiede che l’eventuale conflitto sia accertato in concreto dal giudice. ADOZIONE – ADOZIONE IN CASI PARTICOLARI – PREESISTENTE STATO DI ABBANDONO – NECESSITÀ – ESCLUSIONE – IMPOSSIBILITÀ ‘‘DI DIRITTO’’ DI AFFIDAMENTO PREADOTTIVO – SUFFICIENZA – ORIENTAMENTO SESSUALE DELL’ADOTTANTE – IRRILEVANZA (Cost., artt. 2, 3, 117; Conv. eur. dir. uomo, artt. 8, 14; l. 4.5.1983, n. 184, art. 44, comma 1º, lett. d), n. 2) Per l’adozione in casi particolari ex art. 44, comma 1º, lett. d), della l. n. 184 del 1983, si prescinde da un preesistente stato di abbandono del minore ed è sufficiente l’impossibilità ‘‘di diritto’’ di procedere all’affidamento preadottivo del minore, potendo accedere a tale adozione persone singole e coppie di fatto, senza che l’esame dei requisiti e delle condizioni imposte dalla legge possa svolgersi, anche indirettamente, attribuendo rilievo all’orientamento sessuale del richiedente ed alla natura della relazione da questi stabilita con il proprio partner. dal testo: Il fatto. 1. - C.M.R., legata da una relazione sentimentale e di convivenza con O.O. fin dal 2003, ha proposto dinanzi al Tribunale per i minorenni di Roma, ai sensi della L. 4 maggio 1983, n. 184, art. 44, comma 1, lett. d), (Diritto del minore ad una famiglia), domanda di adozione della minore O.A. [nata a (Omissis)], evidenziando che: - la nascita di A. è stata il frutto di un progetto genitoriale maturato e realizzato con la propria compagna di vita; - la decisione di scegliere la O., più giovane, ai fini della gravidanza è stata dettata dalle maggiori probabilità di successo delle procedure di procreazione medicalmente assistita effettuate in Spagna; - A. ha vissuto sin dalla nascita con lei e la sua compagna, in un contesto familiare e di relazioni scolastiche e sociali analogo a quello delle altre bambine della sua età, nel quale sono presenti anche i nonni O. e alcuni familiari della ricorrente. Il Tribunale adito - acquisito l’assenso della madre della minore alla adozione e sentito il Pubblico Ministero minorile, il quale ha espresso parere sfavorevole -, con la sentenza n. 299/2014 del 30 luglio 2014, ha disposto farsi luogo al- NGCC 9/2016 l’adozione di O.A. da parte di C.M.R., con conseguente aggiunta del cognome di quest’ultima a quello della minore. Tale decisione è stata basata sulle seguenti argomentazioni: a) non è ravvisabile nel nostro ordinamento, diversamente dall’adozione ‘‘legittimante’’, il divieto per la persona singola di adottare ai sensi della L. n. 184 del 1983, art. 44, comma 1, lett. d); b) nessuna limitazione normativa può desumersi dall’orientamento sessuale della richiedente l’adozione in casi particolari; c) con la menzionata disposizione, il legislatore ha inteso favorire il consolidamento di rapporti tra minore e parenti o persone che già se ne prendono cura, prevedendo un modello adottivo con effetti più limitati rispetto a quello di cui alla L. n. 184 del 1983, art. 6; d) la ratio legis deve essere individuata nella verifica della realizzazione dell’interesse del minore, da intendersi come limite invalicabile e chiave interpretativa dell’istituto; e) la condizione dell’impossibilità dell’affidamento preadottivo, contenuta nella lett. d) del comma 1 dell’art. 44, deve essere interpretata non già, restrittivamente, come impossibilità ‘‘di fatto’’, bensı̀ come impossibilità ‘‘di diritto’’, cosı̀ da comprendere anche minori non in stato di abbandono ma relativamente ai quali nasca l’interesse al riconoscimento di rapporti di genitorialità; f) tale ultimo requisito è sussistente nella specie, non trovandosi A. in stato di abbandono e 1135 Sinergie Grafiche srl n Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Parte prima Sentenze commentate risultando, di conseguenza, non collocabile in affidamento preadottivo in ragione della presenza della madre, perfettamente in grado di occuparsene; g) la minore, in virtù dello stabile legame di convivenza tra la O. e la C., ha sviluppato una relazione di tipo genitoriale con quest’ultima, relazione che, attraverso il paradigma della L. n. 184 del 1983, art. 44, comma 1, lett. d), può avere riconoscimento giuridico entro i limiti dettati dal peculiare modello adottivo applicabile; h) non sussistono, al riguardo, ostacoli normativi costituiti dall’assenza del rapporto matrimoniale e dalla riscontrata natura del rapporto tra la madre della minore e la C., in quanto persone dello stesso sesso; i) le indagini richieste dalla stessa L. n. 184 del 1983, art. 57 hanno consentito di rilevare la piena rispondenza dell’adozione al preminente interesse della minore. 2. - A seguito dell’impugnazione proposta dal Pubblico Ministero minorile avverso tale sentenza, la Corte d’Appello di Roma, sezione minorenni - in contraddittorio con C.M.R., che ha resistito all’appello; respinta, con ordinanza del 3 febbraio-9 aprile 2015, l’istanza di nomina di un curatore speciale della minore; disposta ed espletata la ‘‘verifica’’, di cui alla L. n. 184 del 1983, art. 57 -, con la sentenza n. 7127/2015 del 23 dicembre 2015, ha rigettato l’appello. In particolare, nel confermare la menzionata pronuncia del Tribunale, la Corte: a) in ordine all’esistenza di un potenziale conflitto d’interessi tra la minore e la madre, legale rappresentante della stessa in giudizio, ed alla conseguente necessità della nomina di un curatore speciale, ai sensi dell’art. 78 cod. proc. civ., nel ribadire quanto osservato con la citata ordinanza reiettiva del 3 febbraio-9 aprile 2015, ha ritenuto che non vi fosse, nel caso concreto, incompatibilità d’interessi e di posizioni tra la minore e la madre in merito all’esito della causa ed ha sottolineato che la norma richiede il preventivo assenso del genitore; b) in ordine alla dedotta illegittimità dell’interpretazione della condicio legis, relativa alla ‘‘constatata impossibilità dell’affidamento preadottivo’’, ha affermato che: nell’intenzione del legislatore, tale disposizione risponde all’esigenza di rafforzare legami di fatto esistenti in ambito familiare/ parentale e di trovare una soluzione per situazioni nelle quali non sia possibile l’adozione legittimante; insorto contrasto in dottrina ed in giurisprudenza, nella prima fase di applicazione della norma, tra l’interpretazione ‘‘restrittiva’’ - secondo la quale l’impossibilità di affidamento preadottivo presuppone una situazione di abbandono, in quanto solo tale condizione rende possibile un affidamento preadottivo - e l’interpretazione ‘‘estensiva’’ - secondo la quale può prescindersi dalla condizione di abbandono -, quest’ultima interpretazione è quella nettamente prevalente nella giurisprudenza minorile, avendo trovato autorevole avallo ermeneutico nella sentenza della Corte Costituzionale n. 383 del 1999, per la quale l’art. 44, comma 1, lett. c), nella versione ratione temporis (1999) applicabile, formalmente e sostanzialmente corrispondente alla vigente lettera d), non richiede la preesistenza di una situazione di abbandono del minore, trattandosi di un sorta di clausola residuale volta a disciplinare le situazioni non rientranti nei parametri di cui all’art. 7, relativi alle condizioni necessarie per procedere all’adozione legittimante; in conclusione, deve aderirsi all’interpretazione secondo la quale è sufficiente l’impossibilità giuridi- 1136 ca dell’affidamento preadottivo, la quale può verificarsi anche in mancanza di una situazione di abbandono; c) in particolare, ha osservato che: nessuna delle quattro fattispecie di adozione in casi particolari, previste dall’art. 44, comma 1, richiede il preventivo accertamento di una situazione di abbandono, in quanto la ratio ad esse sottesa è volta alla salvaguardia di legami affettivi e relazionali preesistenti ed alla risoluzione di situazioni personali nelle quali l’interesse del minore ad un’idonea collocazione familiare è preminente e si realizza mediante l’instaurazione di ‘‘vincoli giuridici significativi’’ con chi si occupa stabilmente di lui; l’interpretazione estensiva non può ritenersi preclusa dalla pronuncia della Corte di Cassazione n. 22292 del 2013, perché relativa ad una fattispecie nella quale l’applicabilità dell’art. 44, comma 1, lett. d), è stata esclusa per essere già in atto un affidamento preadottivo conseguente ad una dichiarazione di adottabilità; d) con riferimento al caso di specie, ha affermato che: l’impossibilità dell’affidamento preadottivo è incontestabile, esistendo un genitore con la piena consapevolezza del suo ruolo ed una figlia minore che ha maturato un rapporto interpersonale, affettivo ed educativo con la partner convivente della madre, tale da acquisire un’autonoma particolare rilevanza e da giustificarne il riconoscimento giuridico attraverso una forma legale corrispondente a ciò che si verifica nella vita quotidiana delle relazioni familiari della minore medesima; la natura residuale dell’art. 44, comma 1, lett. d), risponde pienamente a tali esigenze; il Tribunale ha accertato, in concreto, l’esistenza di un profondo legame della minore con la C., instaurato fin dalla nascita e caratterizzato da tutti gli elementi affettivi e di riferimento relazionale, interno ed esterno, qualificanti il rapporto genitoriale e filiale; si tratta non già di dare vita ad una forma di genitorialita non consentita dalla legge, ma di prendere atto di una situazione relazionale preesistente e di dare ad essa una forma giuridica secondo i parametri consentiti dalla legge sull’adozione, senza alcuna sovrapposizione al rapporto che lega la madre della minore e la C.; le indagini svolte ai sensi della L. n. 184 del 1983, art. 57 hanno consentito di accertare la piena capacità affettiva ed educativa della C. - che mantiene un solido rapporto anche con il proprio fratello e con il suo nucleo familiare di origine, nel quale la minore è coinvolta -, nonché la condizione di benessere in cui la minore vive, comprendente aspetti ludici, sociali, scolastici, ricreativi, affettivi, culturali e materiali che la stessa C. concorre a determinare. 3. - Avverso questa sentenza il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Roma ha proposto ricorso per cassazione, deducendo due motivi di censura. Resiste, con controricorso, C.M.R. I motivi. 1. - Con il primo motivo (con cui deduce: ‘‘Omessa nomina del curatore speciale della minore ai sensi dell’art. 18 c.p.c. - nel procedimento di adozione il conflitto di interessi del minore è in re ipsa’’), il Pubblico Ministero ricorrente critica la sentenza impugnata, sostenendo che: a) la situazione di conflitto d’interessi si manifesta nello stesso ricorso introduttivo, laddove è esplicitato che la nascita di A. è stata il frutto di un progetto portato avanti dalla coppia costituita dalla madre biologica e dalla ricorrente, ‘‘dal che è agevole ravvisare l’aspirazione di entrambe, e quindi anche della madre della minore, a vivere la bigenitorialità nell’am- NGCC 9/2016 Sinergie Grafiche srl Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. n Sentenze commentate Parte prima bito del rapporto di coppia come consolidamento dello stesso’’ (cfr. Ricorso, pag. 4); b) tale conflitto è ‘‘potenziale’’, dal momento che la madre agisce nel proprio interesse e ritiene che tale interesse coincida con quello della minore, sicché la decisione impugnata, anche se formalmente tesa a salvaguardare l’interesse della minore, appare sostanzialmente ispirata da una concezione ‘‘adultocentrica’’; c) l’assenso della madre all’adozione non è risolutivo, trattandosi di una condizione della procedura prevista per qualsiasi tipologia di adozione in casi particolari; d) pertanto, sarebbe stato necessario scindere le due posizioni, quella di portatrice di un interesse morale all’adozione e quella di legale rappresentante dell’adottanda, appunto con la nomina di un curatore speciale della minore. Con il secondo motivo (con cui deduce: ‘‘Errore nella applicazione della legge L. n. 184 del 1983, ex art. 44, lett. d’’), il ricorrente critica ancora la sentenza impugnata, quanto all’interpretazione dell’art. 44, comma 1, lett. d), data dalla Corte d’Appello, sostenendo che: a) la ‘‘constatata impossibilità di affidamento preadottivo’’ presuppone pur sempre la preesistenza di una situazione di abbandono, trattandosi di un istituto giuridico unitario dai caratteri individuabili in negativo che mira a offrire tutela a situazioni di adozione difficili od impossibili di fatto, come è comprovato dalla stessa scelta del participio passato ‘‘constatata’’, che rimanda ad un’attività materiale - la ricerca di una coppia idonea all’affidamento preadottivo - al cui esito infruttuoso soltanto si apre la possibilità dell’adozione speciale; b) al riguardo, il richiamo della sentenza della Corte Costituzionale n. 383 del 1999 non appare pertinente, in quanto tale sentenza è relativa ad una fattispecie concernente la domanda di adozione speciale rivolta da parenti entro il quarto grado che già si occupano ed accudiscono il minore, cosı̀ impedendo la dichiarazione di abbandono; c) invece, la sentenza della Corte di Cassazione n. 22293 del 2013 afferma correttamente che non può dilatarsi la nozione d’impossibilità di affidamento preadottivo al punto da ricomprendervi l’ipotesi del contrasto con l’interesse del minore, con la conseguenza che l’impossibilità di affidamento preadottivo rappresenta un’ipotesi subordinata al mancato esito dell’adozione legittimante. 1.1. - Nell’odierna udienza di discussione, il sostituto Procuratore Generale ha chiesto: 1) in via preliminare, la rimessione del ricorso alle Sezioni Unite, perché involgente una questione di massima di particolare importanza; 2) in via subordinata, l’accoglimento del ricorso, ritenendo inapplicabile alla fattispecie dedotta nel presente giudizio la L. n. 184 del 1983, art. 44, comma 1, lett. d), in quanto tutta la disciplina normativa relativa all’adozione, comprensiva dell’art. 44, è rivolta alla tutela dell’infanzia maltrattata, abbandonata ed abusata, mentre nel caso di specie la minore ha un genitore legittimo che si occupa in modo del tutto idoneo di lei; inoltre, l’interpretazione della condicio legis ‘‘constatata impossibilità dell’affidamento preadottivo’’ che non richieda la preventiva esistenza di una condizione di abbandono determinerebbe un aggiramento del limite contenuto nella lettera b) dello stesso art. 44, il quale consente soltanto l’adozione del figlio del coniuge ed esclude tale possibilità per le coppie eterosessuali o dello stesso sesso che non siano unite in matrimonio; ancora, la Corte d’Appello di Roma non ha neanche tentato un’interpretazione NGCC 9/2016 costituzionalmente orientata della lett. h) dell’art. 44, volta ad estenderne l’applicazione anche alle coppie di fatto, nè ha ritenuto di sollevare eccezione d’illegittimità costituzionale della norma per disparità di trattamento tra le unioni matrimoniali e le altre forme di relazione stabile oppure per discriminazione dovuta ad orientamento sessuale, ma ha ritenuto applicabile la lettera d) nonostante il carattere derogatorio e di stretta interpretazione della norma; infine, a fronte di un’ampia varietà di situazioni familiari stabili meritevoli di tutela, deve ritenersi rimessa al legislatore la scelta in ordine ai valori ed ai diritti da tutelare. 2. - Preliminarmente, quanto alla richiesta di rimessione alle Sezioni Unite formulata dal sostituto Procuratore Generale, il Collegio osserva innanzitutto che, secondo il consolidato e condiviso orientamento di questa Corte (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 4219 del 1985, 359 del 2003, 8016 del 2012), l’istanza di parte volta all’assegnazione del ricorso alle sezioni unite, formulata ai sensi dell’art. 376 cod. proc. civ. (nella specie, ai sensi del terzo comma dello stesso art. 376) e dell’art. 139 disp. att. cod. proc. civ., costituisce mera sollecitazione all’esercizio di un potere discrezionale, che non solo non è soggetto ad un dovere di motivazione, ma non deve neppure necessariamente manifestarsi in uno specifico esame e rigetto di detta istanza. Fermo restando quanto ora ribadito, può in ogni caso osservarsi che la Corte di cassazione ha pronunciato a sezione semplice su numerose questioni variamente collegate a temi socialmente e/o eticamente sensibili, in tema sia di ‘‘direttive di fine vita’’ (sentenza n. 21748 del 2007), sia di limiti al riconoscimento giuridico delle unioni omoaffettive (sentenze nn. 4184 del 2012 e 2004 del 2015), sia di adozione da parte della persona singola (sentenze nn. 6078 del 2006 e 3572 del 2011), sia di surrogazione di maternità nella forma della gestazione affidata a terzi (sentenza n. 24001 del 2014). Deve, pertanto, ritenersi che non tutte le questioni riguardanti diritti individuali o relazionali di più recente emersione ed attualità sono per ciò solo qualificabili come ‘‘di massima di particolare importanza’’ nell’accezione di cui all’art. 374 c.p.c., comma 2. 3. - In limine, il Collegio precisa che, nella specie, il rapporto di filiazione esistente tra la minore e la madre biologica e legale, al pari del rapporto che lega la minore alla richiedente l’adozione ai sensi della L. n. 184 del 1983, art. 44, comma 1, lett. d), non è riconducibile ad alcuna delle forme di cosiddetta ‘‘surrogazione di maternità’’ realizzate mediante l’affidamento della gestazione a terzi: la minore, infatti, è stata riconosciuta dalla donna che l’ha partorita, in applicazione dell’art. 269 c.c., comma 3. 4. - Il ricorso non merita accoglimento. 4.1. - Il primo motivo non è fondato. Con esso (cfr., supra, n. 1.), la critica del ricorrente si incentra sulla prefigurabilità di un conflitto ‘‘potenziale’’ (cosı̀ qualificato dallo stesso ricorrente) tra l’interesse della madre ad ottenere riconoscimento giuridico dell’unione con la propria partner e quello, autonomo, della minore adottanda, conflitto dal quale scaturirebbe la necessità della nomina di un curatore speciale della minore medesima. La questione che tale motivo pone non ha precedenti specifici e consiste nello stabilire se, nell’ambito di un rapporto di convivenza di coppia, la domanda proposta da una delle persone componenti la coppia per l’adozione del figlio 1137 Sinergie Grafiche srl n Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Parte prima Sentenze commentate minore dell’altra, ai sensi della L. n. 184 del 1983, art. 44, comma 1, lett. d), determini ex se un conflitto di interessi, anche solo potenziale, tra la madre ed il minore adottando. Al riguardo, è indispensabile premettere il quadro normativo di riferimento interno e convenzionale concernente la rappresentanza e la partecipazione del minore ai giudizi che lo riguardano. La generale previsione contenuta nell’art. 78 c.p.c., comma 2 - ‘‘Si procede altresı̀ alla nomina di un curatore speciale al rappresentato, quando vi è conflitto di interessi col rappresentante’’ - deve integrarsi, con specifico riferimento al minore, con gli artt. 3 e 12 della Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989 e resa esecutiva dalla L. 27 maggio 1991, n. 176, nonché con gli artt. 4 e 9 della Convenzione Europea sull’esercizio dei diritti del fanciullo, fatta a Strasburgo il 25 gennaio 1996 e resa esecutiva dalla L. 20 marzo 2003, n. 77. In particolare, la Convenzione di New York - dopo aver affermato, nell’art. 3, par. 1, il fondamentale principio, secondo cui ‘‘In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza sia delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente’’ -, con l’art. 12, par. 2, stabilendo che ‘‘... si darà.... al fanciullo la possibilità di essere ascoltato in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo concerne, sia direttamente, sia tramite un rappresentante o un organo appropriato, in modo compatibile con le regole di procedura della legislazione nazionale’’, sancisce l’autonomia dei diritti e degli interessi del minore anche nei procedimenti giurisdizionali. A sua volta, l’art. 4, par. 1, della Convenzione di Strasburgo dispone che ‘‘Salvo quando disposto dall’art. 9, il fanciullo ha il diritto di chiedere, personalmente o per il tramite di altre persone o organi, la designazione di un rappresentante speciale delle procedure dinnanzi ad un’autorità giudiziaria che lo concernono, qualora il diritto interno privi coloro che hanno responsabilità di genitore, della facoltà di rappresentare il fanciullo per via di un conflitto d’interesse con lo stesso’’. E il successivo art. 9, par. 1, stabilisce che ‘‘Nelle procedure che interessano un fanciullo, se, in virtù del diritto interno, coloro che hanno responsabilità di genitore si vedono privati della facoltà di rappresentare il fanciullo a causa di un conflitto d’interessi con lo stesso, l’autorità giudiziaria può designare un rappresentante speciale per il fanciullo in tali procedure’’. Tale quadro normativo convenzionale esige, dunque, che possa essere rappresentata autonomamente la posizione del minore nei giudizi che lo riguardano e si riferisce in particolare a quelli relativi ad interventi sulla responsabilità genitoriale ed a quelli adottivi, riservando tuttavia ai legislatori nazionali di stabilirne le modalità. La scelta operata dal legislatore italiano è fondata sulla predeterminazione normativa di alcune peculiari fattispecie nelle quali è ipotizzabile in astratto, senza dover distinguere caso per caso, il conflitto d’interessi, con conseguente necessità di nomina del curatore speciale a pena di nullità del procedimento per violazione dei principi costituzionali del giusto processo (cfr., ad esempio, art. 244 cod. civ., comma 6, art. 247 cod. civ., commi 2, 3 e 4, art. 248 cod. civ., commi 3 e 5, art. 249 cod. civ., commi 3 e 4, art. 264 1138 cod. civ.), mentre tutte le altre concrete fattispecie di conflitto d’interessi potenziale, che possa insorgere nei giudizi riguardanti i diritti dei minori, sono regolate dall’art. 78 cod. proc. civ., comma 2: ciò significa che il giudice del merito è tenuto a verificare in concreto l’esistenza potenziale di una situazione d’incompatibilità tra gli interessi del rappresentante e quello preminente del minore rappresentato. L’impostazione binaria ora illustrata è coerente con l’interpretazione complessiva del sistema di tutela della effettiva rappresentanza degli interessi del minore nei giudizi che lo riguardano, derivante dagli orientamenti della Corte costituzionale e della giurisprudenza di legittimità. In particolare, la Corte costituzionale, già nell’ordinanza n. 528 del 2000, allude alla necessità di verificare l’esistenza nel nostro ordinamento di norme che consentano la nomina del curatore speciale del minore nei giudizi che hanno ad oggetto la potestà genitoriale (artt. 333 e 336 cod. civ., ratione temporis applicabili), ancorché non vi sia una previsione puntuale al riguardo nelle norme codicistiche richiamate. La stessa indicazione è contenuta nella sentenza n. 1 del 2002, nella quale viene espressamente precisato che il menzionato art. 12 della Convenzione di New York integra la disciplina contenuta nell’art. 336 cod. civ. (nella versione ratione temporis applicabile) in modo da consentire, ‘‘se del caso’’, la nomina di un curatore speciale. Nella sentenza n. 83 del 2011, la Corte è esplicita nell’affermare che, se di regola la rappresentanza sostanziale e processuale del minore è affidata al genitore, qualora si prospettino situazioni di conflitto d’interessi, spetta al giudice procedere alla nomina del curatore anche d’ufficio, ‘‘avuto riguardo allo specifico potere attribuito in proposito all’autorità giudiziaria dall’art. 9, comma 1, della Convenzione di Strasburgo (...) previa prudente valutazione delle circostanze del caso concreto’’ (n. 5 del Considerato in diritto). Coerentemente con i principi soprarichiamati - fondati sul rafforzamento del potere-dovere del giudice del merito di verificare in concreto l’esistenza di una situazione d’incompatibilità tra gli interessi del genitore-rappresentante legale e quelli del minore -, sono state individuate, anche ai fini della delimitazione del sindacato di legittimità di questa Corte, le ipotesi di conflitto d’interessi, rilevabili in astratto ed in via generale, distinguendole dalle situazioni concrete che volta a volta il giudice del merito ha il poteredovere di esaminare, anche alla luce delle norme convenzionali sopra indicate e del sistema potenziato di tutela processuale della posizione del minore nei giudizi che lo riguardano, derivante dalla L. 28 marzo 2001, n. 149 (di modifica della legge n. 184 del 1983, le cui norme processuali sono entrate in vigore il 1 luglio 2007). Al riguardo, può richiamarsi la sentenza n. 7281 del 2010, con la quale, in ordine ad un giudizio di adottabilità, si è ritenuto che il conflitto d’interessi tra genitori e minore, ai sensi della L. n. 184 del 1983, art. 8, u.c., e art. 10, comma 2, sia in re ipsa, con conseguente obbligo per il giudice di provvedere alla nomina del curatore speciale, mentre relativamente al rapporto tra tutore e minore la valutazione in concreto di una situazione d’incompatibilità debba essere frutto di valutazione svolta caso per caso dal giudice (cfr., in senso conforme, le sentenze nn. 12290, 16553 e 16870 del 2010, 11420 del 2014). L’apprezzamento dell’esistenza di un potenziale conflitto NGCC 9/2016 Sinergie Grafiche srl Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. n Sentenze commentate Parte prima d’interessi, che non sia previsto normativamente in modo espresso (come ad esempio, nel disconoscimento di paternità, dal citato art. 244 c.c., u.c.) o non sia ricavabile dall’interpretazione coordinata delle norme che regolano il giudizio (come nel procedimento volto alla dichiarazione di adottabilità), è rimesso in via esclusiva al giudice del merito e non è sindacabile in sede di giudizio di legittimità: al riguardo, può richiamarsi la sentenza n. 5533 del 2001, secondo la quale il conflitto d’interessi tra genitore e figlio minore si determina non ‘‘in presenza di un interesse comune, sia pure distinto ed autonomo, di entrambi al compimento di un determinato atto, ma soltanto allorché i due interessi siano nel caso concreto incompatibili tra loro’’. Il medesimo principio è affermato nella motivazione della sentenza n. 21651 del 2011, proprio con riferimento ad una fattispecie di adozione in casi particolari, ai sensi della L. n. 184 del 1983, art. 44, comma 1, lett. b), laddove non si esclude ‘‘in linea di principio’’ l’applicabilità dell’art. 78 c.p.c., comma 2, ma sı̀ afferma, richiamando la precedente pronuncia n. 2489 del 1992, che ‘‘il conflitto deve essere concreto, diretto ed attuale, e sussiste se al vantaggio di un soggetto corrisponde il danno dell’altro’’. Alla luce dei richiamati principi, emerge chiaramente l’infondatezza del motivo in esame. Rilevato che viene censurata - sotto il profilo della violazione di norme di diritto di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, - l’‘‘Omessa nomina del curatore speciale della minore ai sensi dell’art. 78 c.p.c.’’, sul rilievo che ‘‘nel procedimento di adozione il conflitto di interessi del minore è in re ipsa’’, anche se da ritenersi non in atto ma potenziale, deve escludersi che possa trarsi in via ermeneutica, in carenza d’indici normativi specifici, un’incompatibilità d’interessi ravvisabile in generale quale conseguenza dell’applicazione della L. n. 184 del 1983, art. 44, comma 1, lett. d). Questa peculiare ipotesi normativa di adozione in casi particolari mira infatti - come meglio risulterà nel corso dell’esame del secondo motivo (cfr., infra, n. 4.2.) - a dare riconoscimento giuridico, previo rigoroso accertamento della corrispondenza della scelta all’interesse del minore, a relazioni affettive continuative e di natura stabile instaurate con il minore e caratterizzate dall’adempimento di doveri di accudimento, di assistenza, di cura e di educazione analoghi a quelli genitoriali. La ratio dell’istituto è quella di consolidare, ove ricorrano le condizioni dettate dalla legge, legami preesistenti e di evitare che si protraggano situazioni di fatto prive di uno statuto giuridico adeguato. All’interno di tale paradigma non può ravvisarsi una situazione d’incompatibilità d’interessi in re ipsa, desumibile cioè dal modello adottivo astratto, tra il genitore-legale rappresentante ed il minore adottando. Al riguardo, deve aggiungersi che non può non cogliersi, nella necessità dell’assenso del genitore dell’adottando previsto dalla L. n. 184 del 1983, art. 46, un indice normativo contrario alla configurabilità, in via generale ed astratta, di una situazione di conflitto d’interessi anche solo potenziale. Tale situazione può, invece, riscontrarsi in concreto nel corso del procedimento di adozione di cui all’art. 44, sicché il giudice, se sollecitato da una delle parti o dal pubblico ministero, deve verificarne l’esistenza nella fattispecie dedotta in giudizio. Nella specie, la Corte d’Appello, con l’ordinanza del 9 aprile 2015 (cfr., supra, Fatti di causa, n. 2.) ha trattato espressamente la questione, escludendo la necessità NGCC 9/2016 della nomina di un curatore speciale, sia in considerazione della radicale diversità della situazione sub judice rispetto a quelle che caratterizzano le dichiarazioni di adottabilità, nelle quali viene in luce proprio l’inidoneità dei genitori e l’inadempienza ai doveri discendenti dal vincolo di filiazione, sia in relazione alla valutazione in concreto della comunanza - e non dell’incompatibilità - degli interessi del genitore e del minore, sia, infine, in considerazione della necessità dell’assenso preventivo all’adozione da parte del genitore stesso. La censura, in conclusione, è da respingersi sotto il profilo della violazione di legge, dal momento che il conflitto d’interessi denunciato non è in re ipsa ma va accertato in concreto con riferimento alle singole situazioni dedotte in giudizio. Può, infine, osservarsi che l’unica ragione posta a sostegno della denunciata incompatibilità d’interessi è stata individuata nell’interesse della madre della minore al consolidamento giuridico del proprio progetto di vita relazionale e genitoriale. Al riguardo, tuttavia: o si ritiene che sia proprio la relazione sottostante (coppia omoaffettiva) ad essere potenzialmente contrastante, in re ipsa, con l’interesse del minore, incorrendo però in una inammissibile valutazione negativa fondata esclusivamente sull’orientamento sessuale della madre della minore e della richiedente l’adozione, di natura discriminatoria e comunque priva di qualsiasi allegazione e fondamento probatorio specifico; oppure si deve escludere tout court, come già ampiamente argomentato, la configurabilità in via generale ed astratta di una situazione di conflitto d’interessi. E, comunque, anche a voler qualificare il vizio denunciato all’interno del paradigma di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (ancorché non espressamente dedotto), la Corte d’Appello ha compiutamente esaminato il profilo indicato, ne ha trattato in modo completo ed ha espresso, di conseguenza, una valutazione finale insindacabile. 4.2. - Anche il secondo motivo è privo di fondamento. Il suo esame sarà incentrato sull’esatta delimitazione dell’ambito di applicazione dell’ipotesi normativa di adozione in casi particolari disciplinata nella L. n. 184 del 1983, art. 44, comma 1, lett. d). In particolare, l’indagine ermeneutica sarà concentrata sul contenuto da attribuire alla disposizione ‘‘constatata impossibilità di affidamento preadottivo’’, condizione questa - in cui deve trovarsi il minore adottando indispensabile per l’applicazione di tale fattispecie di adozione. 4.2.1. - Al fine di pervenire ad un’interpretazione coerente con la lettera e la ratio dell’istituto, oltreché con il contesto costituzionale e convenzionale all’interno del quale devono collocarsi i diritti del minore, è necessario esaminare il testo dell’art. 44 nella sua interezza nonché la sua evoluzione normativa ed applicativa alla luce, in particolare, della giurisprudenza della Corte costituzionale e di questa Corte. Il testo originario della norma era il seguente: ‘‘I minori possono essere adottati anche quando non ricorrono le condizioni di cui al comma 1 dell’art. 7: a) da persone unite al minore, orfano di padre e di madre, da vincolo di parentela fino al sesto grado o da rapporto stabile e duraturo preesistente alla perdita dei genitori; b) dal coniuge nel caso in cui il minore sia figlio anche adottivo dell’altro coniuge; c) quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento 1139 Sinergie Grafiche srl n Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Parte prima Sentenze commentate preadottivo comma 1. L’adozione, nei casi indicati nel precedente comma, è consentita anche in presenza di figli legittimi comma 2. Nei casi di cui alle lettere a) e c) l’adozione è consentita, oltre che ai coniugi, anche a chi non è coniugato. Se l’adottante è persona coniugata e non separata, il minore deve essere adottato da entrambi i coniugi terzo comma. In tutti i casi l’adottante deve superare di almeno diciotto anni l’età di coloro che intende adottare comma 4’’. L’art. 25 della menzionata L. 28 marzo 2001, n. 149, ha sostituito l’intero art. 44, inserendo, in particolare, una nuova ipotesi adottiva relativa al minore disabile, contrassegnata dalla lettera c). Per effetto di questa interpolazione, l’adozione ‘‘quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo’’ risulta attualmente contrassegnata dalla lettera d). Inoltre, le successive modifiche hanno riguardato la soppressione - ad opera del D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, art. 100, comma 1, lett. t), nel comma 2 dello stesso art. 44, dell’attributo ‘‘legittimi’’ dopo ‘‘figli’’, nonché l’inserimento - ad opera della L. 19 ottobre 2015, n. 173, art. 4, comma 1, (Modifiche alla L. 4 maggio 1983, n. 184, sul diritto alla continuità affettiva dei bambini e delle bambine in affido familiare) -, nell’art. 44, comma 1, lett. a), dopo le parole ‘‘stabile e duraturo’’, relative al rapporto del minore orfano di padre e di madre con parenti fino al sesto grado, delle parole ‘‘anche maturato nell’ambito di un prolungato periodo di affidamento’’. Il testo vigente della L. n. 184 del 1983, art. 44 risulta, pertanto, il seguente: ‘‘2. I minori possono essere adottati anche quando non ricorrono le condizioni di cui al comma 1 dell’art. 7: a) da persone unite al minore da vincolo di parentela fino al sesto grado o da preesistente rapporto stabile e duraturo, anche maturato nell’ambito di un prolungato periodo di affidamento, quando il minore sia orfano di padre e di madre; b) dal coniuge nel caso in cui il minore sia figlio anche adottivo dell’altro coniuge; c) quando il minore si trovi nelle condizioni indicate dalla L. 5 febbraio 1992, n. 104, art. 3, comma 1, e sia orfano di padre e di madre; d) quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo. 2. L’adozione, nei casi indicati nel comma 1, è consentita anche in presenza di figli. 3. Nei casi di cui alle lett. a), e), e d) del comma 1 l’adozione è consentita, oltre che ai coniugi, anche a chi non è coniugato. Se l’adottante è persona coniugata e non separata, l’adozione può essere tuttavia disposta solo a seguito di richiesta da parte di entrambi i coniugi. 4. Nei casi di cui alle lettere a) e d) del comma 1 l’età dell’adottante deve superare di almeno diciotto anni quella di coloro che egli intende adottare’’. È, infine, indispensabile tener presente che il tribunale per i minorenni, per ogni ipotesi di adozione non legittimante, oltre all’acquisizione dell’assenso del genitore dell’adottando (art. 46, comma 1, cit.), deve svolgere l’indagine prevista dal successivo art. 57, il quale dispone: ‘‘Il tribunale verifica: 1) se ricorrono le circostanze di cui all’articolo 44; 2) se l’adozione realizza il preminente interesse del minore primo comma. A tal fine il tribunale per i minorenni, sentiti i genitori dell’adottando, dispone l’esecuzione di adeguate indagini da effettuarsi, tramite i servizi locali e gli organi di pubblica sicurezza, sull’adottante, sul minore e sulla di lui famiglia secondo comma. L’indagine dovrà riguardare in particolare: 1140 a) l’idoneità affettiva e la capacità di educare e istruire il minore, la situazione personale ed economica, la salute, l’ambiente familiare degli adottanti; b) i motivi per i quali l’adottante desidera adottare il minore; c) la personalità del minore; d) la possibilità di idonea convivenza, tenendo conto della personalità dell’adottante e del minore terzo comma’’. La lettera a) del terzo comma è stata sostituita ad opera della L. n. 149 del 2001, art. 29, che ha esteso l’accertamento da svolgere anche alla ‘‘idoneità affettiva’’. 4.2.2. - Alla luce di tale quadro normativo, l’interpretazione della condizione costituita dalla ‘‘constatata impossibilità di affidamento preadottivo’’, non può essere scissa né dall’esame complessivo dell’istituto dell’adozione in casi particolari né dalle modifiche normative medio tempore intervenute, al fine di verificare se la sua ratio originaria possa ritenersi tuttora intatta oppure sia mutata in conseguenza dell’evoluzione del quadro normativo. Il Procuratore generale ricorrente ed il sostituto Procuratore generale d’udienza aderiscono nettamente alla richiamata ‘‘tesi restrittiva’’ (cfr., supra, un. 1. e 1.1.), che si fonda sulla qualificazione della ‘‘constatata impossibilità di affidamento preadottivo’’ come ‘‘impossibilità di fatto’’: secondo tale tesi, l’inveramento della condizione richiede ineludibilmente la preesistenza di una situazione di abbandono (o di semi abbandono) del minore. Al riguardo, possono individuarsi tre ragioni giustificative di questa lettura della norma: 1) la valorizzazione dell’intentio legis: l’originaria lettera c), ora lettera d), del comma 1 dell’art. 44, anche secondo alcuni orientamenti dottrinali espressi nella fase di prima applicazione della norma, doveva essere rivolta a scongiurare l’affidamento a terzi di minori da parte dei genitori mediante l’aggiramento del rigoroso regime dell’adozione legittimante; tale ratio originaria ha, di conseguenza, permeato l’istituto, limitandone anche attualmente l’applicazione a minori in condizioni di prolungata istituzionalizzazione, alla quale non sia seguito, e verosimilmente non possa seguire, l’affidamento preadottivo; 2) l’utilizzazione del sintagma ‘‘constatata impossibilità’’ richiama una situazione di fatto preesistente; 3) la contraria interpretazione ‘‘estensiva’’ come sottolineato anche dal sostituto Procuratore Generale nella sua requisitoria d’udienza - condurrebbe a dichiarare l’adozione in casi particolari tutte le volte che ciò corrisponda all’interesse del minore adottando, con conseguente aggiramento della condizione limitativa imposta dalla legge. Il Collegio non condivide tale opzione interpretativa. L’esame critico del suo fondamento va svolto, come già detto, muovendo dal quadro normativo costituito dalla L. n. 184 del 1983 e dagli altri rilevanti interventi innovativi in tema di filiazione, dianzi delineati. L’analisi deve essere completata con la verifica dell’incidenza del quadro costituzionale e convenzionale, ed in particolare dei principi affermati dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo in tema di ‘‘best interest’’ del minore. Deve sottolinearsi che l’art. 44, al comma 1, stabilisce che l’accertamento di una situazione di abbandono (art. 8, comma 1) non costituisce, differentemente dall’adozione legittimante, una condizione necessaria per l’adozione in casi particolari, e che tale prescrizione di carattere generale si applica a tutte le ipotesi previste dallo stesso art. 44, lett. a), b), c) e d). Infatti, tale norma dispone che ‘‘I minori possono NGCC 9/2016 Sinergie Grafiche srl Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. n Sentenze commentate Parte prima essere adottati anche quando non ricorrono le condizioni di cui al comma 1 dell’art. 7’’ e il richiamato art. 7, al comma 1, stabilisce come condizione necessaria per l’adozione legittimante la dichiarazione di adottabilità, la quale presuppone a sua volta l’accertamento della situazione di abbandono cosı̀ come prescritto nel successivo art. 8, comma 1. Risulta pertanto, anche dal mero esame testuale delle norme sopraindicate, che l’adozione in casi particolari può essere dichiarata a prescindere dalla sussistenza di una situazione di abbandono del minore adottando. La conferma dell’assunto si trae anche dal successivo art. 11, comma 1, nella parte in cui stabilisce che, relativamente al minore orfano di entrambi i genitori e privo di parenti entro il quarto grado che abbiano con lui rapporti significativi, il tribunale per i minorenni deve dichiarare lo stato di adottabilità, ‘‘salvo che esistano istanze di adozione ai sensi dell’art. 44’’. Le altre differenze di regime giuridico tra le due diverse categorie di adozione, hanno invece una portata applicativa più limitata. Il limite dovuto alla differenza d’età si applica soltanto alle ipotesi sub a) e d) e l’estensione alle persone non sposate non riguarda l’ipotesi relativa all’adozione del figlio del coniuge, regolata dalla lettera b). Deve, pertanto, essere pienamente valorizzata ai fini ermeneutici la portata generale della prescrizione contenuta nel comma 1 dell’art. 44, secondo la quale -sı̀ ribadisce - la preesistenza dello stato di abbandono non costituisce limite normativo all’applicazione della norma nella sua interezza e conseguentemente, per quanto rileva in questa sede, anche all’ipotesi descritta nella lettera d). Sostenere invece che, per integrare la condizione della ‘‘constatata impossibilità dell’affidamento preadottivo’’, debba sempre sussistere la situazione di abbandono, oltreché contrastare con l’art. 44, comma 1 -nella parte in cui ne esclude la necessità per tutte le ipotesi descritte dalla norma, senza distinzione tra le singole fattispecie, come invece si riscontra nel terzo comma dell’art. 44 relativamente agli altri requisiti relativi all’età o all’insussistenza dello status coniugale -, condurrebbe sempre ad escludere che, nell’ipotesi di cui alla lettera d), l’adozione possa conseguire ad una relazione già instaurata e consolidata con il minore, essendo tale condizione relazionale contrastante con l’accertamento di una situazione di abbandono cosı̀ come descritta nella L. n. 184 del 1983, art. 8 cit., comma 1. Già sul piano dell’esame testuale delle norme l’adozione in casi particolari si caratterizza per una radicale differenza di disciplina in ordine alle condizioni di accesso (oltreché a differenze di rilievo anche quanto agli effetti, il cui esame è però superfluo) non priva d’influenza sul piano sistematico. Al riguardo, deve ritenersi che vi siano due modelli di adozione, quella legittimante, fondata sulla condizione di abbandono del minore, e quella non legittimante, fondata su requisiti diversi sia in ordine alla situazione di fatto nella quale versa il minore, sia in ordine alla relazione con il richiedente l’adozione. All’interno di questa diversa categoria di genitorialità adottiva prevista dal nostro ordinamento, deve rilevarsi che delle quattro fattispecie di adozione in casi particolari descritte nell’art. 44, quella contrassegnata dalla lettera d) è caratterizzata da un grado di determinazione inferiore alle altre tre: nella prima, infatti, vengono esattamente definite NGCC 9/2016 le situazioni del minore (orfano di padre e madre) e dell’adottante (parente entro il sesto grado con preesistente rapporto stabile e duraturo con il minore); nella seconda, ugualmente, il minore adottando deve essere figlio, anche adottivo, di un coniuge e l’adottante non può che essere l’altro coniuge; nella terza, il minore deve essere orfano di entrambi i genitori e portatore di handicap, mentre non è richiesta alcuna condizione in ordine all’adottante; nella lettera d), invece, nessun requisito viene indicato per definire i profili dell’adottante e dell’adottando, essendo soltanto prevista la condicio legis della ‘‘constatata impossibilità dell’affidamento preadottivo’’. L’impostazione di cui alle considerazioni che precedono è del tutto coerente con quanto affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 383 del 1999. Con questa pronuncia, infatti, la Corte - nel dichiarare non fondata, in riferimento all’art. 3 Cost. e art. 30 Cost., comma 2, anche la questione di legittimità costituzionale della L. n. 184 del 1983, art. 44, comma 1, lett. c), (testualmente corrispondente alla vigente lettera d dello stesso art. 44: cfr., supra, n. 4.2.1.) - ha affermato, tra l’altro, che: a) ‘‘(...) l’art. 44 della l. n. 184 del 1983 si sostanzia in una sorta di clausola residuale per i casi speciali non inquadrabili nella disciplina dell’adozione ‘‘legittimante’’, consentendo l’adozione dei minori ‘‘anche quando non ricorrono le condizioni di cui al primo comma dell’art. 1’’. In questa logica di apertura, la lettera c) fornisce un’ulteriore ‘‘valvola’’ per i casi che non rientrano in quelli più specifici previsti dalle lettere a) e b)’’; b) ‘‘Le ordinanze di rimessione ritengono di dover trarre dal riferimento letterale della disposizione impugnata alla ‘‘constatata impossibilità di affidamento preadottivo’’ il presupposto interpretativo secondo cui, per far ricorso all’ipotesi prevista dalla lettera c) della norma, occorre necessariamente la previa dichiarazione dello stato di abbandono del minore e quindi la declaratoria formale di adottabilità, nonché il vano tentativo del predetto affidamento. In realtà, l’art. 44 è tutto retto dalla ‘‘assenza delle condizioni’’ previste dal primo comma del precedente art. 7 della medesima L. n. 184: pertanto, gli stessi principi relativi alle prime due ipotesi dell’art. 44 valgono anche per le fattispecie ricadenti sotto la lettera c)’’; c) ‘‘Una ulteriore conferma della adottabilità dei minori in tutti i casi rientranti nelle tre lettere dell’art. 44 anche quando non sono stati o non possono essere formalmente dichiarati adottabili sı̀ trae dal disposto del primo comma del precedente art. 11 [...]. È evidente allora che, nelle ipotesi considerate, il legislatore ha voluto favorire il consolidamento dei rapporti tra il minore ed i parenti o le persone che già si prendono cura di lui, prevedendo la possibilità di un’adozione, sia pure con effetti più limitati rispetto a quella ‘‘legittimante’’, ma con presupposti necessariamente meno rigorosi di quest’ultima. Ciò è pienamente conforme al principio ispiratore di tutta la disciplina in esame: l’effettiva realizzazione degli interessi del minore’’ (nn. 2. e 3. del Considerato in diritto). L’attenzione prestata dalla Corte costituzionale all’aspetto della continuità affettiva ed educativa della relazione tra l’adottante e l’adottando, come elemento caratterizzante la realizzazione dell’interesse del minore, anticipa significativamente le linee ispiratrici degli interventi legislativi di rifor- 1141 Sinergie Grafiche srl n Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Parte prima Sentenze commentate ma della filiazione e degli istituti dell’adozione e della stessa giurisprudenza della Corte Europea dei diritti umani, sviluppatasi nell’ultimo decennio intorno al contenuto e alla preminenza del ‘‘best interest’’ del minore anche rispetto all’interesse pubblico degli Stati. In particolare, quanto ai predetti interventi legislativi, la riforma della filiazione, di recente attuata mediante la L. Delega 10 dicembre 2012, n. 219, ed il già citato D. Lgs n. 154 del 2013, ha modificato incisivamente la preesistente disciplina normativa degli status filiali, stabilendo solo per il figlio l’imprescrittibilità del diritto a far prevalere la verità biologica: questa opzione evidenzia il riconoscimento del rilievo delle relazioni instaurate e consolidate nel tempo tra genitore e figlio sotto il profilo del diritto di quest’ultimo a conservare tale profilo caratterizzante l’identità personale fin dalla nascita. Inoltre, il medesimo principio, rafforzato dal canone dell’assunzione di responsabilità in ordine alle scelte genitoriali fatte consapevolmente, è a fondamento della L. 19 febbraio 2004, n. 40, art. 9, commi 1 e 2: in queste norme è stabilito, infatti, che un rapporto di filiazione - sorto per effetto dell’accesso a pratiche di procreazione medicalmente assistita vietate dalle legge, ove il consenso all’accesso a tali pratiche sia ricavabile da atti concludenti non può essere messo in discussione mediante il disconoscimento di paternità, l’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità o l’esercizio del diritto all’anonimato materno. Ancora, la salvaguardia della continuità affettiva costituisce la ratio della già menzionata, recentissima L. n. 173 del 2015, tanto da costituire il titolo della novella, recante appunto ‘‘Modifiche alla L. 4 maggio 1983, n. 184, sul diritto alla continuità affettiva dei bambini e delle bambine in affido familiare’’. Infine, anche l’istituto dell’adozione in casi particolari è stato significativamente lambito dalle riforme legislative sopra indicate: infatti, con riferimento all’indagine da svolgersi ai sensi del menzionato art. 57, comma 3, lett. a) - nel testo sostituito dalla L. n. 149 del 2001, art. 29 - il tribunale per i minorenni, al fine di verificare, oltre alla sussistenza dei requisiti normativi astratti, anche l’effettiva rispondenza dell’adozione richiesta all’interesse del minore, deve operare una specifica valutazione della ‘‘idoneità affettiva’’ del genitore adottante, valutazione la quale non può che essere effettuata sulla base di una relazione preesistente adottante- minore, come tale incompatibile con una situazione di abbandono. In conclusione, l’interpretazione della espressione ‘‘constatata impossibilità dell’affidamento preadottivo’’ da prescegliere non può che essere quella adottata dalla Corte d’Appello di Roma: coerentemente con il sistema della tutela dei minori e dei rapporti di filiazione biologica ed adottiva attualmente vigente, deve ritenersi sufficiente l’impossibilità ‘‘di diritto’’ di procedere all’affidamento preadottivo e non solo quella ‘‘di fatto’’, derivante da una condizione di abbandono in senso tecnico-giuridico o di semi abbandono (art. 8, comma 1). 4.2.3. - Al riguardo, deve osservarsi che la sentenza di questa Sezione n. 22292 del 2013, con orientamento confermato dalla successiva n. 1792 del 2015, non è in contrasto con la scelta ermeneutica assunta dal Collegio. Le due pronunce definiscono la nozione d’impossibilità dell’affidamento preadottivo in relazione alla richiesta di adozione ai sensi dell’art. 44, comma 1, lett. d), da parte di una coppia 1142 affidataria riferita ad un minore che era già in affidamento preadottivo presso altra coppia, perché in corso il procedimento volto all’adozione legittimante. In questo peculiare conflitto, la Corte ha ritenuto che l’impossibilità dell’affidamento preadottivo non potesse desumersi dall’allegato contrasto della scelta dell’adozione legittimante con l’interesse del minore. La condicio legis in questione viene, pertanto, esplorata sotto un versante del tutto diverso ed autonomo da quello oggetto del presente giudizio. La menzionata L. n. 173 del 2015, volta a facilitare l’accesso all’adozione legittimante da parte delle famiglie affidatarie che abbiano condiviso con il minore un lungo periodo di affidamento, è stata introdotta anche al fine di evitare conflittualità quali quelle alla base delle due richiamate pronunce. L’interpretazione della ‘‘impossibilità di affidamento preadottivo’’ all’interno di conflitti quale quello sopra delineato non osta, in conclusione, alla più ampia opzione ermeneutica che ricomprenda nella formula anche l’impossibilità ‘‘di diritto’’, e con essa tutte le ipotesi in cui, pur in difetto dello stato di abbandono, sussista in concreto l’interesse del minore a vedere riconosciuti i legami affettivi sviluppatisi con altri soggetti, che se ne prendano cura. 4.2.4. - Il quadro della giurisprudenza della Corte Europea dei diritti umani è del tutto coerente con le conclusioni raggiunte, dal momento che si sta sempre più affermando, in particolare nei procedimenti adottivi, il principio secondo il quale il rapporto affettivo che si sia consolidato all’interno di un nucleo familiare, in senso stretto o tradizionale o comunque ad esso omologabile per il suo contenuto relazionale, deve essere conservato anche a prescindere dalla corrispondenza con rapporti giuridicamente riconosciuti, salvo che vi sia un accertamento di fatto contrario a questa soluzione (cfr., tra gli altri, il caso M. e B. contro Italia - ricorso n. 16318 del 2007 - deciso con la sentenza 27 aprile 2010, nella quale viene affrontato un conflitto analogo a quello sopra illustrato in ordine alla sentenza di questa Corte n. 22292 del 2013, ma con soluzione che privilegia la relazione istaurata con gli affidatari provvisori; il medesimo principio è stato affermato nella sentenza P. e C. contro Italia del 27 gennaio 2015 - ricorso n. 25358 del 2012 - la cui fattispecie riguarda un progetto procreativo realizzato mediante gestazione per altri, vietato nel nostro ordinamento). La Corte, infine, nel caso X ed altri contro Austria (sentenza del 19 febbraio 2013 nel ricorso n. 19010 del 2007), ha riconosciuto anche in tema di adozione del figlio del partner (o adozione cosiddetta ‘‘coparentale’’) la violazione del principio di non discriminazione stabilito dall’art. 14 della Convenzione in presenza di una ingiustificata disparità di regime giuridico tra le coppie eterosessuali e le coppie formate da persone dello stesso sesso, dal momento che nell’ordinamento austriaco tale forma di adozione era consentita soltanto alle coppie di fatto eterosessuali. La Corte di Strasburgo, al riguardo, ha sottolineato che l’Austria non aveva fornito ‘‘motivi particolarmente solidi e convincenti idonei a stabilire che l’esclusione delle coppie omosessuali dall’adozione coparentale aperta alle coppie eterosessuali non sposate fosse necessaria per tutelare la famiglia tradizionale’’ (par. 151 della sentenza). Il rilievo della pronuncia rispetto al presente giudizio si coglie in relazione all’applicazione del paradigma antidiscriminatorio. Nel caso di una discriminazione fondata sul sesso o l’orientamento sessuale, NGCC 9/2016 Sinergie Grafiche srl Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. n Sentenze commentate Parte prima il margine di apprezzamento degli Stati è limitato, ed il consenso dei medesimi in ordine all’estensione del diritto all’adozione alle coppie formate da persone dello stesso sesso non è immediatamente rilevante (parr. 147, 148, 149), se in concreto si verifica una situazione, come nella fattispecie esaminata dalla Corte, di disparità di trattamento tra coppie di fatto eterosessuali e dello stesso sesso non fondata su ragioni ‘‘serie’’ (non essendovi evidenze scientifiche dotate di un adeguato margine di certezza in ordine alla configurabilità di eventuali pregiudizi per il minore derivanti dall’omogenitorialità, come riconosciuto anche dalla sentenza di questa Corte n. 601 del 2013). Ne consegue che, coerentemente con i principi sopra affermati, poiché all’adozione in casi particolari prevista dall’art. 44, comma 1, lett. d), possono accedere sia le persone singole che le coppie di fatto, l’esame dei requisiti e delle condizioni imposte dalla legge, sia in astratto (‘‘la constatata impossibilità dell’affidamento preadottivo’’), sia in concreto (l’indagine sull’interesse del minore imposta dall’art. 57, comma 1, n. 2), non può essere svolto - neanche indirettamente - dando rilievo all’orientamento sessuale del richiedente e alla conseguente natura della relazione da questo stabilita con il proprio partner. Deve sottolinearsi peraltro che, rispetto alla situazione descritta nel par. 91 della sopra citata sentenza X ed Altri contro Austria, il consenso degli Stati aderenti alla CEDU all’adozione legittimante da parte di persone dello stesso sesso e all’adozione cosiddetta coparentale è notevolmente cresciuto rispetto ai dati indicati dalla Corte di Strasburgo nella sentenza medesima: infatti, attualmente, in quattordici Stati (Belgio, Spagna, Paesi Bassi, Portogallo, Francia, Lussemburgo, Regno Unito, Irlanda, Svezia, Norvegia, Danimarca, Irlanda, Malta, Austria) è consentita l’adozione alle coppie dello stesso sesso, mentre in Germania è possibile l’adozione del figlio del partner, cosı̀ come in Croazia, Estonia e Slovenia, ma non l’adozione tout court. 4.2.5. - Si rileva, infine, che la L. 20 maggio 2016, n. 76 (Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze), entrata in vigore il 5 giugno 2016, non si applica, ratione temporis ed in mancanza di disciplina transitoria, alla fattispecie dedotta in giudizio. 5. - La circostanza che la parte soccombente è un ufficio del Pubblico Ministero comporta - in conformità con il costante principio, secondo cui l’ufficio del Pubblico Ministero non può essere condannato al pagamento delle spese del giudizio nell’ipotesi di soccombenza, trattandosi di organo propulsore dell’attività giurisdizionale al quale sono attribuiti poteri, diversi da quelli svolti dalle parti, meramente processuali ed esercitati per dovere d’ufficio e nell’interesse pubblico (cfr., ex plurimis e da ultima, la sentenza n. 19711 del 2015) - che non v’è luogo a provvedere sulle spese del presente grado del giudizio. P.Q.M. Rigetta il ricorso (Omissis) [La sentenza è oggetto di commento in Parte Seconda, con Opinione di G. FERRANDO, p. 1213] n Contratti del consumatore CORTE DI GIUSTIZIA UE, 18.2.2016, causa C-49/14 – TIZZANO Presidente – LEVITS Relatore – SZPUNAR (avv. gen.). – Finanmadrid EFC SA – Jesuús Vicente Albán Zambrano CONTRATTI DEL CONSUMATORE – CLAUSOLE ABUSIVE – PROCEDIMENTO DI ESECUZIONE FORZATA – RILEVAZIONE D’UFFICIO DEL CARATTERE ABUSIVO – POTERI DEL GIUDICE – NECESSITÀ (dir. n. 13/93 CEE, art. 6) La direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5.4.1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, dev’essere interpretata nel senso che osta a una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, che non consente al giudice investito dell’esecuzione di un’ingiunzione di pagamento di valutare d’ufficio il carattere abusivo di una clausola inserita in un contratto stipulato tra un professionista e un consumatore, ove l’autorità investita della domanda d’ingiunzione di pagamento non sia competente a procedere a una simile valutazione. dal testo: Il fatto. I motivi. Il 29 giugno 2006 il sig. J.V. Albán Zambrano ha stipulato un contratto di prestito per un importo di EUR 30 000 con la Finanmadrid per il finanziamento dell’acquisto di un veicolo. Il sig. J.L. Albán Zambrano, la sig.ra Garcı́a Zapata e la sig.ra Caicedo Merino hanno assunto, nei confronti della Finanmadrid, la posizione di garanti in solido di tale prestito. Era stata fissata una commissione per spese di istruttoria del 2,5% del capitale e il rimborso era stato dilazionato su un NGCC 9/2016 periodo di 84 mesi con un tasso d’interesse annuo del 7%. Per i casi di ritardo nel pagamento delle rate mensili, era previsto un tasso d’interesse di mora mensile dell’1,5%, unitamente a una commissione di EUR 30 per ciascuna rata insoluta. Di fronte al mancato pagamento delle rate da parte del sig. J.V. Albán Zambrano a partire dall’inizio del 2011, la Finanmadrid ha proceduto, l’8 luglio 2011, alla risoluzione anticipata del contratto di cui al procedimento principale. L’8 novembre 2011 la Finanmadrid ha chiesto al «Secretario judicial» dello Juzgado de Primera Instancia no 5 de Cartagena (Tribunale di primo grado di Cartagena, Spagna) 1143 Sinergie Grafiche srl n Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Parte prima Sentenze commentate di avviare un procedimento d’ingiunzione di pagamento contro i convenuti nel procedimento principale. Con decisione del 13 febbraio 2012, il «Secretario judicial» dello Juzgado de Primera Instancia no 5 de Cartagena (Tribunale di primo grado di Cartagena) ha dichiarato ricevibile la suddetta domanda e ha ingiunto ai convenuti nel procedimento principale di versare, entro un termine di 20 giorni, la somma di EUR 13 447,01, maggiorata degli interessi maturati a partire dall’8 luglio 2011, o di proporre, per mezzo di un avvocato e di un «procurador», opposizione all’esigibilità del debito e di comparire dinanzi al Tribunale per esporre le ragioni per le quali essi ritenevano di non essere debitori, in tutto o in parte, dell’importo richiesto. Poiché i convenuti nel procedimento principale non hanno ottemperato all’ingiunzione di pagamento né sono comparsi dinanzi al tribunale, entro il termine impartito, il «Secretario judicial», con decisione del 18 giugno 2012, ha posto fine al procedimento d’ingiunzione di pagamento, conformemente all’articolo 816 della LEC. L’8 luglio 2013 la Finanmadrid ha chiesto allo Juzgado de Primera Instancia no 5 de Cartagena (Tribunale di primo grado di Cartagena) l’ordine di esecuzione di detta decisione. Il 13 settembre 2013 tale giudice ha chiesto alle parti nel procedimento principale di presentare le loro osservazioni in merito, segnatamente, all’eventuale carattere abusivo di talune clausole del contratto oggetto di causa e all’eventuale contrarietà della normativa relativa al procedimento d’ingiunzione di pagamento al diritto a una tutela giurisdizionale effettiva. Sotto quest’ultimo profilo, il giudice suddetto ha precisato di non essere stato informato né della domanda di ingiunzione di pagamento presentata dalla Finanmadrid né dell’esame di tale domanda da parte del «Secretario judicial», né tantomeno del suo esito. Solo la ricorrente nel procedimento principale ha presentato osservazioni. Il giudice del rinvio rileva che il diritto processuale spagnolo prevede l’intervento del giudice nell’ambito del procedimento d’ingiunzione di pagamento solo ove dai documenti allegati alla domanda si evinca che l’importo richiesto non è corretto, nel qual caso il «Secretario judicial» deve darne comunicazione al giudice, oppure qualora il debitore proponga opposizione all’ingiunzione di pagamento. Il giudice del rinvio aggiunge che, poiché la decisione del «Secretario judicial» costituisce un titolo procedurale esecutivo dotato dell’autorità di cosa giudicata, il giudice non può esaminare d’ufficio, nell’ambito del procedimento di esecuzione, l’eventuale esistenza di clausole abusive nel contratto che ha dato luogo al procedimento d’ingiunzione di pagamento. Sulla base di ciò, nutrendo dubbi sulla compatibilità del diritto spagnolo pertinente con il diritto dell’Unione, detto giudice ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: 1) Se la direttiva 93/13/CEE debba essere interpretata nel senso che osta a una normativa nazionale, come la vigente disciplina del procedimento d’ingiunzione di pagamento spagnolo - articoli 815 e 816 della LEC -, la quale rende difficile o impedisce il controllo giurisdizionale d’ufficio dei contratti in cui possono sussistere clausole abusive, in quanto non prevede imperativamente il controllo delle clausole 1144 abusive né l’intervento di un giudice, salvo i casi in cui il «Secretario judicial» lo ritenga opportuno o i debitori propongano opposizione. 2) Se la direttiva 93/13/CEE debba essere interpretata nel senso che osta ad una normativa nazionale, come quella esistente nell’ordinamento spagnolo, la quale non consente di riesaminare d’ufficio in limine litis, nel successivo procedimento di esecuzione, il titolo esecutivo giudiziario - decreto emesso dal «Secretario judicial» che pone fine al procedimento d’ingiunzione di pagamento -, sotto il profilo dell’esistenza di clausole abusive nel contratto che costituisce il fondamento del decreto di cui si chiede l’esecuzione, in quanto il diritto nazionale considera formatasi la cosa giudicata (articoli 551 e 552 e, in combinato disposto, 816, paragrafo 2, della LEC). 3) Se la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea debba essere interpretata nel senso che osta a una normativa nazionale, come la disciplina del procedimento d’ingiunzione di pagamento e del procedimento di esecuzione di titoli giudiziari, la quale non prevede il controllo giudiziario in tutti i casi durante la fase dichiarativa, né consente nella fase dell’esecuzione che il giudice investito di quest’ultima riesamini quanto già deciso dal «Secretario judicial». 4) Se la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea debba essere interpretata nel senso che osta a una normativa nazionale la quale non consente di riverificare d’ufficio il rispetto del diritto al contraddittorio a motivo dell’esistenza della cosa giudicata. Sulle questioni pregiudiziali Sulla ricevibilità Il governo tedesco nutre dubbi in merito alla ricevibilità delle questioni prima, terza e quarta, argomentando che esse non sarebbero utili al giudice del rinvio per risolvere la controversia di cui al procedimento principale. A tale proposito, esso adduce che tale controversia riguarda il procedimento di esecuzione di una decisione recante un’ingiunzione di pagamento che ha acquisito forza di cosa giudicata, e non il procedimento d’ingiunzione di pagamento in sé. Di conseguenza, una risposta sulla compatibilità di quest’ultimo procedimento con la direttiva 93/13 non avrebbe alcun rapporto con l’oggetto di detta controversia. A tale riguardo, occorre ricordare anzitutto che, in forza di una costante giurisprudenza della Corte, nell’ambito del procedimento di cui all’articolo 267 TFUE, basato sulla netta separazione delle funzioni tra i giudici nazionali e la Corte, il giudice nazionale è l’unico competente ad esaminare e valutare i fatti del procedimento principale nonché a interpretare e ad applicare il diritto nazionale. Parimenti, spetta esclusivamente al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze del caso, sia la necessità sia la rilevanza delle questioni che esso sottopone alla Corte. Di conseguenza, se le questioni sollevate riguardano l’interpretazione del diritto dell’Unione, la Corte, in via di principio, è tenuta a pronunciarsi (sentenza Aziz, C-415/11, EU:C:2013:164, punto 34 e giurisprudenza ivi citata). Il rigetto, da parte della Corte, di una domanda di pronuncia pregiudiziale proposta da un giudice nazionale è infatti possibile soltanto qualora appaia in modo manifesto che l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta non ha alcun NGCC 9/2016 Sinergie Grafiche srl Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. n Sentenze commentate Parte prima rapporto con la realtà effettiva o con l’oggetto del procedimento principale, qualora il problema sia di tipo ipotetico o, ancora, qualora la Corte non disponga degli elementi in fatto e in diritto necessari per rispondere in modo utile alle questioni che le sono sottoposte (sentenza Aziz, C-415/11, EU:C:2013:164, punto 35 e giurisprudenza ivi citata). Ebbene, ciò non si è verificato nel caso di specie. Come ha rilevato l’avvocato generale al paragrafo 32 delle sue conclusioni, infatti, occorre tenere in considerazione il complesso delle norme processuali pertinenti. Orbene, a tale riguardo, se è vero che il sistema processuale spagnolo consente al debitore, nel caso in cui quest’ultimo proponga opposizione a un procedimento d’ingiunzione di pagamento, di contestare l’eventuale carattere abusivo di una clausola del contratto in questione, questo stesso sistema esclude tuttavia la possibilità di eseguire d’ufficio un controllo di tale carattere abusivo sia nella fase del procedimento d’ingiunzione, allorché a quest’ultimo sia posta fine mediante decreto del «Secretario judicial», sia nella fase dell’esecuzione dell’ingiunzione di pagamento, allorché il giudice è investito di un’opposizione a tale esecuzione. Alla luce di quanto precede, le questioni sollevate dal giudice del rinvio devono essere intese in senso lato, vale a dire come volte ad appurare, in sostanza, la compatibilità con la direttiva 93/13 dell’assenza di potere di controllo d’ufficio, da parte del giudice, nell’ambito del procedimento di esecuzione, dell’eventuale carattere abusivo di una clausola inserita in un contratto stipulato tra un professionista e un consumatore, tenuto conto dello svolgimento del procedimento d’ingiunzione di pagamento e delle competenze di cui dispone il «Secretario judicial» nell’ambito di tale procedimento. Ciò premesso, e tenuto conto della circostanza che è compito della Corte fornire una soluzione utile al giudice del rinvio, che gli consenta di risolvere la controversia di cui è investito (v., in tal senso, sentenze Roquette Frères, C-88/ 99, EU:C:2000:652, punto 18, e Attanasio Group, C-384/ 08, EU:C:2010:133, punto 19), occorre dichiarare che non appare in modo manifesto che l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta nelle questioni prima, terza e quarta non presenti alcun rapporto con la realtà effettiva o con l’oggetto del procedimento principale. Pertanto, tutte le questioni pregiudiziali sono ricevibili. Nel merito Con le sue questioni prima e seconda, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la direttiva 93/13 osti a una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, che non consente al giudice investito dell’esecuzione di un’ingiunzione di pagamento di valutare d’ufficio il carattere abusivo di una clausola inserita in un contratto stipulato tra un professionista e un consumatore, ove l’autorità investita della domanda d’ingiunzione di pagamento non sia competente a procedere a una simile valutazione. Per fornire al giudice del rinvio una risposta utile che gli consenta di risolvere la controversia di cui è investito, occorre ricordare, in via preliminare, che la Corte si è già pronunciata, nella sentenza Banco Español de Crédito (C618/10, EU:C:2012:349), sulla natura delle responsabilità che incombono al giudice nazionale, in forza delle disposizioni della direttiva 93/13, nell’ambito di un procedimento NGCC 9/2016 d’ingiunzione di pagamento, laddove il consumatore non abbia proposto opposizione contro l’ingiunzione emessa nei suoi confronti. Nella suddetta sentenza la Corte ha statuito, in particolare, che la direttiva 93/13 dev’essere interpretata nel senso che osta ad una normativa di uno Stato membro che non consente al giudice investito di una domanda d’ingiunzione di pagamento di esaminare d’ufficio, in limine litis, né in qualsiasi altra fase del procedimento, anche qualora disponga degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine, la natura abusiva di una clausola inserita in un contratto stipulato tra un professionista e un consumatore, in assenza di opposizione proposta da quest’ultimo (sentenza Banco Español de Crédito, C-618/10, EU:C:2012:349, punto 1 del dispositivo). Occorre rilevare che la legislazione nazionale, nella versione applicabile alla controversia nell’ambito della quale è stata presentata la domanda di pronuncia pregiudiziale che ha dato luogo alla sentenza Banco Español de Crédito (C618/10, EU:C:2012:349), conferiva al giudice, e non al «Secretario judicial», la competenza ad adottare una decisione d’ingiunzione di pagamento. Orbene, a partire dalla riforma introdotta con la legge 13/ 2009 (BOE n. 266, del 4 novembre 2009, pag. 92103), entrata in vigore il 4 maggio 2010, spetta ormai al «Secretario judicial», nei casi di inottemperanza all’ingiunzione di pagamento da parte del debitore o di mancata comparizione di quest’ultimo dinanzi al tribunale, emettere un decreto, dotato dell’autorità di cosa giudicata, che ponga fine al procedimento d’ingiunzione. Tale modifica legislativa, introdotta nell’ottica di accelerare lo svolgimento del procedimento d’ingiunzione di pagamento, non costituisce, di per sé, l’oggetto dei dubbi espressi dallo Juzgado de Primera Instancia no 5 de Cartagena (Tribunale di primo grado di Cartagena, Spagna) nell’ambito del presente rinvio pregiudiziale. A tale proposito, si deve osservare che, in mancanza di armonizzazione dei meccanismi nazionali di esecuzione forzata, le modalità della loro attuazione rientrano nella competenza dell’ordinamento giuridico interno degli Stati membri in forza del principio di autonomia processuale di questi ultimi. Nondimeno, la Corte ha sottolineato che tali modalità devono soddisfare la doppia condizione di non essere meno favorevoli di quelle che disciplinano situazioni analoghe soggette al diritto nazionale (principio di equivalenza) e di non rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti attribuiti ai consumatori dal diritto dell’Unione (principio di effettività) (v., in tal senso, sentenza Sánchez Morcillo e Abril Garcı́a, C-169/14, EU:C:2014:2099, punto 31 e giurisprudenza ivi citata). Per quanto riguarda, da un lato, il principio di equivalenza, occorre rilevare che la Corte non dispone di nessun elemento tale da far sorgere dubbi quanto alla conformità a tale principio della normativa nazionale di cui al procedimento principale. Infatti, risulta in particolare dal combinato disposto degli articoli 551, 552 e 816, paragrafo 2, della LEC che, nell’ambito del sistema processuale spagnolo, il giudice investito dell’esecuzione di un’ingiunzione di pagamento non può né valutare d’ufficio, alla luce dell’articolo 6 della direttiva 93/13, il carattere abusivo di una clausola inserita in un 1145 Sinergie Grafiche srl n Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Parte prima Sentenze commentate contratto stipulato tra un professionista e un consumatore, né verificare d’ufficio la contrarietà di una clausola siffatta alle norme nazionali di ordine pubblico, il che, tuttavia, spetta al giudice del rinvio accertare (v., in tal senso, sentenza Aziz, C-415/11, EU:C:2013:164, punto 52). Dall’altro lato, per quanto riguarda il principio di effettività, la Corte ha ribadito più volte che ciascun caso in cui si pone la questione se una disposizione processuale nazionale renda impossibile o eccessivamente difficile l’applicazione del diritto dell’Unione dev’essere esaminato tenendo conto del ruolo di detta disposizione nell’insieme del procedimento, dello svolgimento e delle peculiarità dello stesso, dinanzi ai vari organi giurisdizionali nazionali (sentenza Banco Español de Crédito, C-618/10, EU:C:2012:349, punto 49 e giurisprudenza ivi citata). Sotto tale profilo, si devono considerare, se necessario, i principi che sono alla base del sistema giurisdizionale nazionale, quali la tutela dei diritti della difesa, il principio della certezza del diritto e il regolare svolgimento del procedimento (sentenze Asociación de Consumidores Independientes de Castilla y León, C-413/12, EU:C:2013:800, punto 34, e Pohotovost’, C-470/12, EU:C:2014:101, punto 51 e giurisprudenza ivi citata). Nella fattispecie, occorre osservare che lo svolgimento e le peculiarità del procedimento d’ingiunzione di pagamento spagnolo sono tali che, in assenza di circostanze che comportino l’intervento del giudice, ricordate al punto 24 della presente sentenza, tale procedimento è chiuso senza possibilità che venga eseguito un controllo dell’esistenza di clausole abusive in un contratto stipulato tra un professionista e un consumatore. Se, pertanto, il giudice investito dell’esecuzione dell’ingiunzione di pagamento non è competente a valutare d’ufficio l’esistenza di tali clausole, il consumatore, di fronte a un titolo esecutivo, potrebbe trovarsi nella situazione di non poter beneficiare, in nessuna fase del procedimento, della garanzia che venga compiuta una tale valutazione. Orbene, alla luce di quanto considerato, occorre constatare che un simile regime processuale è tale da compromettere l’effettività della tutela voluta dalla direttiva 93/13. Tale tutela effettiva dei diritti derivanti da tale direttiva, infatti, può essere garantita solo a condizione che il sistema processuale nazionale consenta, nell’ambito del procedimento d’ingiunzione di pagamento o di quello di esecuzione dell’ingiunzione di pagamento, un controllo d’ufficio della potenziale natura abusiva delle clausole inserite nel contratto di cui trattasi. Tale considerazione non può essere messa in discussione laddove il diritto processuale nazionale, come quello di cui al procedimento principale, conferisca alla decisione adottata dal «Secretario judicial» autorità di cosa giudicata e le riconosca effetti analoghi a quelli di una decisione giurisdizionale. Occorre rilevare, infatti, che sebbene le modalità di attuazione del principio dell’autorità di cosa giudicata rientrino nella competenza dell’ordinamento giuridico interno degli Stati membri in virtù del principio dell’autonomia procedurale di questi ultimi, dette modalità devono tuttavia rispettare i principi di equivalenza e di effettività (v., in tal senso, sentenza Asturcom Telecomunicaciones, C-40/08, EU:C:2009:615, punto 38 e giurisprudenza ivi citata). 1146 Orbene, per quanto concerne il principio di equivalenza, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 70 delle sue conclusioni, nessun elemento del procedimento principale consente di concludere che le modalità di attuazione del principio dell’autorità di cosa giudicata previste dal diritto processuale spagnolo siano meno favorevoli nei casi rientranti nell’ambito di applicazione della direttiva 93/13 rispetto a quelli che non vi rientrano. Per quanto riguarda il principio di effettività, il cui rispetto da parte degli Stati membri dev’essere valutato alla luce, in particolare, dei criteri illustrati ai punti 43 e 44 della presente sentenza, occorre rilevare che, a mente degli articoli 815 e 816 della LEC, il controllo da parte del «Secretario judicial» di una domanda d’ingiunzione di pagamento si limita alla verifica del rispetto delle formalità prescritte per una domanda siffatta, segnatamente dell’esattezza, alla luce dei documenti allegati a detta domanda, dell’importo del credito richiesto. Ai sensi del diritto processuale spagnolo, infatti, non rientra nella competenza del «Secretario judicial» la valutazione dell’eventuale carattere abusivo di una clausola contenuta in un contratto da cui ha origine il credito. Inoltre, occorre ricordare che il decreto del «Secretario judicial» che pone fine al procedimento d’ingiunzione di pagamento assume autorità di cosa giudicata, il che rende impossibile il controllo delle clausole abusive nella fase dell’esecuzione di un’ingiunzione, per il solo motivo che i consumatori non hanno proposto opposizione all’ingiunzione entro il termine previsto a tal fine e per il fatto che il «Secretario judicial» non ha adito il giudice. A tale proposito, occorre anzitutto rilevare che sussiste un rischio non trascurabile che i consumatori interessati non propongano l’opposizione richiesta a causa del termine particolarmente breve previsto a tal fine, ovvero poiché possono essere dissuasi dal difendersi tenuto conto delle spese che un’azione giudiziaria implicherebbe rispetto all’importo del debito contestato, oppure poiché ignorano o non intendono la portata dei loro diritti, o ancora in ragione del contenuto succinto della domanda d’ingiunzione introdotta dai professionisti e, pertanto, dell’incompletezza delle informazioni delle quali dispongono (v., in tal senso, sentenza Banco Español de Crédito, C-618/10, EU:C:2012:349, punto 54). Inoltre, dall’ordinanza di rinvio risulta che il «Secretario judicial» è tenuto ad adire il giudice unicamente qualora dai documenti allegati alla domanda si evinca che l’importo richiesto non è corretto. Ciò premesso, come rilevato in sostanza dall’avvocato generale al paragrafo 75 delle sue conclusioni, occorre constatare che la normativa di cui al procedimento principale, relativa alle modalità di attuazione del principio dell’autorità di cosa giudicata nell’ambito del procedimento d’ingiunzione di pagamento, non appare conforme al principio di effettività, in quanto rende impossibile o eccessivamente difficile, nei procedimenti instaurati dai professionisti e nei quali i consumatori sono convenuti, l’applicazione della tutela che la direttiva 93/13 intende conferire a questi ultimi. Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alle questioni prima e seconda dichiarando che la direttiva 93/13 dev’essere interpretata nel senso che osta a una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, che non consente al giudice investito dell’e- NGCC 9/2016 Sinergie Grafiche srl Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. n Sentenze commentate Parte prima secuzione di un’ingiunzione di pagamento di valutare d’ufficio il carattere abusivo di una clausola inserita in un contratto stipulato tra un professionista e un consumatore, ove l’autorità investita della domanda d’ingiunzione di pagamento non sia competente a procedere a una simile valutazione. Sulle questioni terza e quarta Con le sue questioni terza e quarta, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la Carta e, in particolare, il diritto alla tutela giurisdizionale effettiva sancito nel suo articolo 47 ostino a una normativa nazionale come quella di cui al procedimento principale. A tale riguardo, occorre rilevare che il giudice del rinvio non ha specificato le ragioni che l’hanno indotto a interrogarsi sulla compatibilità di tale normativa con l’articolo 47 della Carta, e che la decisione di rinvio non contiene quindi indicazioni sufficientemente precise e complete, tali da consentire alla Corte di fornire una risposta utile a tali questioni. Pertanto, non occorre rispondere alle questioni terza e quarta. (Omissis) «Autonomia processuale ed effettività della tutela del consumatore» di Giulio Palma* La Corte, inserendosi nel solco di quell’orientamento giurisprudenziale che riconosce un elevato livello di tutela ai consumatori, ritiene che la normativa nazionale che non consente al giudice dell’esecuzione di rilevare ex officio l’abusività di una clausola contrattuale, in virtù il passaggio in giudicato dell’ingiunzione di pagamento non opposta, non è compatibile con il sistema di tutela previsto dalla direttiva n. 13/93 CE. La sentenza consente di riflettere sul fondamento normativo del principio di effettività, sul suo utilizzo da parte della Corte di Giustizia e sull’impatto del medesimo sul principio di autonomia processuale degli Stati membri. I. Il caso Il Sig. Z., nel giugno del 2006, concludeva un contratto di finanziamento per un importo pari ad euro 30.000 con una società specializzata nel settore del credito al consumo, al fine di acquistare un veicolo. Al prestito, la cui restituzione era dilazionata in 82 mensilità, veniva applicato un tasso di interesse annuo pari al 7%, un interesse moratorio dell’1,5%, una penale di euro 30 per ogni rata insoluta ed una commissione del 2,5% a titolo di spese di istruttoria. A seguito del mancato adempimento di alcune rate nel 2011 la finanziaria, previa risoluzione del contratto, agiva innanzi al Secretario Judicial del Tribunale di Cartagena per ottenere l’ingiunzione di pagamento, nei confronti del debitore principale e dei garanti, del debito residuo. L’autorità adita accoglieva la domanda e ingiungeva al Sig. Z. e ai suoi garanti di pagare, nel termine di 20 giorni, la somma di euro 13.447,01 oltre interessi, o, in alternativa, di proporre opposizione comparendo innanzi al Tribunale. Gli ingiunti non ottemperavano all’ordine di pagamento e rinunciavano all’opposizione con la conseguenza che, nel rispetto al codice di procedura civile, il Secretario Judicial dichiarava chiuso il procedimento di ingiunzione attribuendo alla sua statuizione autorità di cosa giudicata. La finanziaria, pertanto, ricorreva al Juzgado de Primera Instancia di Cartagena per aggredire esecutivamente il patrimonio del debitore inadempiente. Il giudice dell’esecuzione di Cartagena nutrendo dubbi sulla compatibilità del procedimento di ingiunzione e della susseguente fase esecutiva con il principio di effettività della tutela giurisdizionale sospendeva il giudizio sottoponendo alla Corte di Giustizia UE alcune questioni pregiudiziali. Il giudice del rinvio, in particolare, sottolineando come l’intervento dell’autorità giudiziaria nel procedimento di ingiunzione di pagamento sia possibile solo a determinate condizioni e che, ove tale intervento non avvenga, il passaggio in giudicato dell’ingiunzione preclude al giudice dell’esecuzione di esaminare d’ufficio l’esistenza di clausole abusive nel contratto da cui origina il debito, domanda alla Corte se il principio di effettività della tutela giurisdizionale, anche ai sensi della Carta dir. UE, sia rispettato da una normativa nazionale che non consente al giudice investito dell’esecuzione di un’ingiunzione di pagamento di valutare d’ufficio il carattere abusivo di una clausola inserita in un contratto stipulato tra un professionista e un consumatore, ove l’autorità investita della domanda d’ingiunzione di pagamento non sia competente a procedere ad una simile valutazione. La sentenza della Corte di Giustizia, dando risposta affermativa ai quesiti formulati dal giudice spagnolo, contribuisce ad alimentare quell’orientamento giurisprudenziale che, in ossequio del principio di effettivi- * Contributo pubblicato in base a referee. NGCC 9/2016 1147 Sinergie Grafiche srl n Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Parte prima Sentenze commentate tà, riconosce al consumatore un elevato grado di tutela, nonostante ciò comporti una deroga all’autonomia processuale degli Stati membri. II. Le questioni 1. Effettività della tutela e condotta processuale. La Corte, a distanza di poco più di tre anni dalla sentenza Banco Español de Credito (CORTE GIUST. UE, 14.6.2012, causa C-618/10, infra, sez. III) - ove, in ossequio al principio di effettività, aveva ritenuto incompatibile la normativa nazionale che impediva al giudice investito di una domanda di ingiunzione di pagamento di rilevare d’ufficio l’abusività di una clausola contrattuale - è chiamata nuovamente a pronunciarsi sulla conformità dell’ordinamento processuale spagnolo al principio di effettività e, in particolare, del procedimento di ingiunzione di pagamento regolato dagli artt. 812 e ss. cod. proc. civ. La necessità di un nuovo pronunciamento deriva dall’intervenuta modifica del procedimento di ingiunzione, rispetto a quello censurato nella cennata sentenza. Il legislatore spagnolo, invero, al fine di rendere più celere il recupero dei crediti, ha semplificato ulteriormente la procedura monitoria attribuendo la competenza ad emanare le ingiunzioni di pagamento al Secretario judicial, il quale, non è un giudice ma un funzionario di Tribunale assimilabile, per gradi e funzioni, al cancelliere dei nostri uffici giudiziari. Lo slittamento ‘‘verso il basso’’ della competenza ha comportato, inevitabilmente, la riduzione dei poteri dell’autorità adita la quale, ai fini che qui interessano, non può rilevare d’ufficio l’eventuale carattere vessatorio di una clausola, ma semplicemente, salvo casi particolari in cui può demandare al giudice la controversia, ingiungere il pagamento invitando il debitore ad adempiere o a presentare opposizione dinanzi al Tribunale. Il nuovo assetto del procedimento di ingiunzione fa emergere una differenza importante tra il caso in esame e Banco Español de Credito. Mentre in quella controversia si trattava di attribuire al giudice investito della domanda il potere di rilevare d’ufficio l’abusività di una clausola contrattuale; in questa non si tratta di riconoscere al Secretario un potere che non potrebbe comunque esercitare, vista la portata limitata della delega giurisdizionale di cui è investito, ma di consentire al giudice dell’esecuzione la revisione del giudicato formatosi a causa della mancata opposizione del consumatore all’ingiunzione. Il punto attorno al quale ruota la sentenza, innovativo rispetto ai precedenti, risiede nella diversa considerazione della condotta processuale del consumatore. L’interrogativo, cui la Corte dà risposta affermativa, è se nonostante l’atteggiamento passivo dell’interessato 1148 il sistema processuale nazionale, che a tale inattività ricollega il passaggio in giudicato dell’ingiunzione, debba comunque essere interpretato nel senso di consentire la salvaguardia delle posizioni giuridiche di matrice comunitaria. L’affermazione di un principio di effettività in funzione non solo compensativa dello squilibrio consumatore-professionista, ma anche suppletiva rispetto alle determinazioni del consumatore si scorgeva già tra le righe delle recenti sentenze Faber e Duarte Hueros (CORTE GIUST. UE, 4.6.2015, causa C-497/13; CORTE GIUST. UE, 3.10.2013, causa C-32/12, entrambe infra, sez. III). La sentenza in commento, però, rispetto alle ultime due citate amplia il raggio di applicazione del principio di effettività. Invero, mentre in quei casi il consumatore si era attivato per la tutela giurisdizionale dei suoi diritti, sia pure incorrendo in un errore sotto il profilo deduttivo; in questo il consumatore mostra, non opponendosi, disinteresse rispetto alla salvaguardia delle situazioni giuridiche soggettive riconosciutegli. Ad avviso della Corte l’inattività del consumatore, a differenza di quanto statuito in passato, non costituisce argomento sufficiente per escludere una compressione dell’autonomia processuale interna. Una diversa valutazione della condotta processuale del consumatore era stata, invero, in precedenza operata dalla stessa Corte di Giustizia. Il riferimento è alla sentenza Asturcom (CORTE GIUST. CE, 6.10.2009, causa C-40/08, infra, sez. III) nella quale la Corte aveva esplicitamente statuito come il rispetto principio di effettività non possa «giungere al punto di esigere che un giudice nazionale debba, non solo compensare un’omissione procedurale di un consumatore ignaro dei propri diritti (...) ma anche supplire integralmente alla completa passività del consumatore interessato che (...) non ha partecipato al procedimento arbitrale e neppure proposto un’azione di annullamento contro il lodo arbitrale divenuto per tale fatto definitivo». Dalla decisione da ultimo richiamata sembrava emergere il principio secondo cui l’inerzia di colui al quale l’ordinamento comunitario attribuisce una posizione giuridica soggettiva impedisce al giudice nazionale di riesaminare il giudicato, in quanto l’effettività della tutela non può spingersi sino al punto di sostituirsi alla volontà del titolare del diritto (R. CONTI, 175, infra, sez. IV). Alla soluzione offerta nella vicenda Asturcom la Corte non ha inteso dare continuità nonostante la corrispondenza, perlomeno sotto il profilo della sequenza procedimentale, con la fattispecie in rassegna. Se è vero che in Asturcom non si discuteva dell’esecuzione di un decreto ingiuntivo ma di quella di un lodo arbitrale, è del pari vero che il passaggio in giudicato del titolo esecutivo dipendeva, proprio come nel caso in esame, dalla condotta processuale del consumatore che NGCC 9/2016 Sinergie Grafiche srl Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. n Sentenze commentate Parte prima non proponeva alcuna azione giudiziaria per far valere i propri diritti. La Corte, tuttavia, sulla base di una diversa considerazione del comportamento del consumatore, ha ravvisato un contrasto del sistema processuale iberico con la normativa europea a tutela del consumatore utilizzando le stesse argomentazioni poste a fondamento della soluzione offerta in Banco Español de Credito. La Corte, segnatamente, ritiene che sussista «un rischio non trascurabile che i consumatori interessati non propongano l’opposizione a causa del termine particolarmente breve previsto a tal fine, ovvero poiché possono essere dissuasi dal difendersi tenuto conto delle spese che un’azione giudiziaria implicherebbe rispetto all’importo del debito contestato, oppure poiché ignorano o non intendono la portata dei loro diritti, o ancora in ragione del contenuto succinto della domanda d’ingiunzione introdotta dai professionisti e, pertanto, dell’incompletezza delle informazioni delle quali dispongono». Considerando la complessità degli interessi in gioco (la tutela del consumatore da un lato; la tutela del credito e della res giudicata, dall’altro) e la necessità di un loro bilanciamento, da eseguirsi secondo un principio di proporzionalità, le ragioni da porre a fondamento della decisione, forse, sarebbero potute declinarsi diversamente. Il riferimento alla brevità del termine - tale da non consentire un’organizzazione difensiva compiuta e puntuale - oltre alle frizioni in punto di autonomia processuale, non appare in linea con la stessa giurisprudenza della Corte, la quale oramai riconosce al giudice adito il potere di rilevare d’ufficio, anche a fronte di una allegazione carente o generica, la nullità delle clausole contrattuali (caso Pénzügyi, CORTE GIUST. CE, 9.11.2010, C-137/08, infra, sez. III). Sotto altra angolazione, un termine breve sembra essere giustificato in considerazione del fatto che le finalità della procedura monitoria sono quelle di consentire una rapida tutela per il creditore. Quest’ultima, recessiva nel bilanciamento di interessi operato dalla Corte nel caso di specie, costituisce un importante obiettivo anche del legislatore europeo il quale, preoccupato di «semplificare, accelerare e ridurre i costi dei procedimenti per le controversie transfrontaliere in materia di crediti pecuniari non contestati» (cons. 9), con il reg. CE n. 1896/2006 ha istituito un procedimento europeo di ingiunzione di pagamento, applicabile anche alle controversie tra consumatori e professionisti, ove si prevede un termine di trenta giorni per proporre opposizione che non appare cosı̀ dissimile da quello censurato. Il riferimento, poi, alla circostanza per cui i consumatori «ignorano o non intendono la portata dei loro diritti» sposta il problema sul piano dell’asimmetria informativa. Tuttavia, se la Corte continua a rilevare l’esistenza di NGCC 9/2016 uno stato di ‘‘ignoranza genetica’’ del consumatore, negativamente alimentato dalla parzialità delle informazioni di cui dispone, l’intervento correttivo dovrebbe spiegarsi non dinanzi all’autorità giudiziaria, ma, in via preventiva, attraverso l’incremento delle attività destinate all’educazione al consumo, lo sviluppo di modalità più efficaci attraverso cui fornire informazioni sui prodotti e sui diritti, il rafforzamento dei meccanismi di controllo della correttezza, trasparenza ed equità delle contrattazioni. Utili, sotto tale ultimo profilano si rivelano le indicazioni elaborate dalla Behavioural Law and Economics, secondo cui dovrebbero preferirsi processi informativi semplificati e immediatamente percepibili, anche graficamente (ROJAS ELGUETA, 265, infra, sez. IV). Inoltre, considerati gli effetti controproducenti del sovraccarico informativo pre-contrattuale (MORERA, 204, infra, sez. IV), favorire ed incentivare attività di pura educazione al consumo, in esecuzione degli obblighi derivanti dall’art. 169 TFUE, può costituire un valido strumento per formare una classe di consumatori che, una volta informati, sia in grado di ‘‘intendere i propri diritti’’. Insomma, se la prospettiva è quella di un consumatore ‘‘non informato’’, è sul piano della tutela preventiva che sembrerebbe necessario muoversi, mettendolo nelle condizioni di conoscere il sistema di tutela post vendita e le sue modalità di attivazione. Alla luce di queste considerazioni, l’impianto motivazionale della sentenza sarebbe stato forse più coerente, visti i precedenti cui essa espressamente si richiama, se si fosse riferito, per giustificare l’incompatibilità della disciplina spagnola col principio di effettività, all’impossibilità del Secretario judicial di valutare l’abusività delle clausole contrattuali. La Corte, cosı̀, avrebbe potuto argomentare dall’incompetenza l’impossibilità, per la decisione non opposta, di acquistare valore di res giudicata su quel punto specifico. Sostanzialmente, l’incompetenza del Secretario judicial circa la valutazione ex officio dell’abusività sarebbe potuta essere valorizzata nel senso di escludere la possibilità che si formi giudicato su ciò che dinanzi allo stesso non è deducibile e, quindi, esula dalla sua cognizione. Ragionando in questi termini, la Corte sarebbe potuta giungere ad affermare, in accordo con le conclusioni rassegnate in Banco Español de Credito, che osta ad una disciplina nazionale la previsione di un’autorità competente ad emanare un decreto ingiuntivo ma incompetente a rilevare la nullità delle clausole contrattuali, con la conseguenza che l’abusività di una clausola è rilevabile, anche d’ufficio, fintanto che non sia passata al vaglio di un’autorità competente ad espletare una simile valutazione. Tale impostazione probabilmente avrebbe consentito, da un lato, di adeguare in via interpretativa, cosı̀ 1149 Sinergie Grafiche srl n Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Parte prima Sentenze commentate come il principio di effettività richiede (LIPARI, 896, infra, sez. IV), la normativa spagnola al sistema di tutela discendente dall’art. 6 dir. n. 13/93 CE e, dall’altro, avrebbe evitato l’affermazione di un principio di effettività che, consentendo la revisione del giudicato ingenerato dall’inerzia del consumatore, prescinde dall’instaurazione di un’azione giudiziaria da parte di quest’ultimo. 2. Effettività della tutela e poteri officiosi del giudice. La Corte di Giustizia, con la sentenza in commento, compie un altro importante passo sulla strada della tutela effettiva ai sensi della dir. n. 13/93 CE assicurando, cosı̀, un elevato livello di protezione dei consumatori. L’affermazione di una tutela effettiva del consumatore si attua, ad avviso della Corte di Giustizia, riconoscendo al giudice nazionale investito della controversia il potere di svolgere d’ufficio ogni attività idonea a consentire al consumatore di trarre il massimo ‘‘effetto utile’’. L’esercizio di tale potere, originariamente ricostruito in termini di facoltà (CORTE GIUST. CE 27.6.2000, C240/98, infra, sez. III) costituisce, oggi, un dovere per il giudice (CORTE GIUST. CE, 26.10.2006, C-168/05, infra, sez. III) il quale è chiamato a svolgere non solo un controllo sul contenuto contratto, finalizzato alla verifica di una clausola abusiva, ma anche a rilevare la qualità di consumatore ove questa non sia allegata (caso Faber, CORTE GIUST. UE, 4.6.2015, causa C497/13, cit.) e a pronunciarsi su domande non proposte (caso Duarte Hueros, CORTE GIUST. UE, 3.10.2013, causa C-32/12, cit.). Ogni ragionamento della Corte di Giustizia, per allargare le maglie del potere ex officio, muove dalla considerazione secondo cui il sistema di tutela istituito dalla direttiva n. 93/13 sia fondato sull’idea che il rapporto contrattuale professionista-consumatore sia asimmetrico, laddove quest’ultimo si trova in una situazione di inferiorità rispetto al primo (ex multis, CORTE GIUST. CE 27.6.2000, C-240/98, cit.). Per tali ragioni, affinché la tutela possa risultare effettiva, la Corte ritiene che sia necessario un intervento eteronomo funzionale a riequilibrare la genetica disparità tra i contraenti. Sulla base di queste premesse, la Corte è giunta ad affermare un dovere pressoché illimitato del giudice nazionale di intervenire in soccorso della parte debole per «supplire alla [sua] scarsa reattività processuale» (ZENO ZENCOVICH - PAGLIETTI, 268, sez. IV). Lo squilibrio fisiologico tra consumatore e professionista nella giurisprudenza della Corte, dunque, giustifica un penetrante intervento giudiziale volto ad evitare che nel processo si proietti quel grado di disparità presente già sul piano sostanziale (ORESTANO, 1184, 1150 infra, sez. IV). In questa prospettiva si è notato come «l’ampliamento del rilievo officioso vale (...) a corazzare processualmente la situazione sostantiva che sia stata fattualmente compromessa» (PAGLIANTINI, La rilevabilità officiosa, 22, infra, sez. IV). L’ampio margine di manovra riconosciuto al giudice chiamato a decidere una controversia in materia di consumer protection, come emerge dall’analisi dei precedenti della Corte, si fonda sull’interesse pubblico sotteso alla direttiva n. 93/13 il cui art. 6, in particolare, è considerato «equivalente alle disposizioni nazionali che occupano, nell’ambito dell’ordinamento giuridico interno, il rango di norme di ordine pubblico» (CORTE GIUST. CE, 6.10.2009, causa C-40/08, cit.). L’impatto che l’ampliamento dei poteri esercitabili dal giudice ex motu proprio ha sul principio di autonomia processuale degli Stati membri non è senza conseguenze. L’assenza di un meccanismo istituzionale di armonizzazione in materia processuale, infatti, ha consentito alla Corte, con frequenza crescente negli ultimi anni, di correggere - mediante il ricorso ai principi generali di equivalenza ed effettività - l’autonomia degli Stati nella scelta degli strumenti processuali adeguati a tutelare le situazioni giuridiche soggettive di derivazione comunitaria. Il ricorso al principio di effettività, da questo punto di vista, sembra essere effettuato dalla Corte di giustizia non solo per ancorare l’interpretazione conforme del diritto nazionale a quello comunitario, ma anche per imporre positivamente agli Stati membri strumenti processuali efficaci a tutelare i diritti di matrice europea (cfr. REICH, 344, infra, sez. IV). Il margine di discrezionalità degli Stati membri, in tal modo, risulta quasi azzerato e l’effettività smette di essere un correttivo in negativo dell’autonomia processuale per divenire un criterio positivo diretto non solo al giudice in sede di interpretazione ma anche al legislatore per adeguare la normativa processuale nazionale agli standard comunitari (GRECO, 12 s., infra, sez. IV). Tale impressione sembra essere confermata dal fatto che il legislatore spagnolo abbia dovuto metter mano nuovamente al codice di procedura civile per conformarlo alle conclusioni della sentenza Banco Español de Credito. Con la legge 42/2015, infatti, la competenza ad emettere decreti ingiuntivi è stata sottratta al Secretario judicial e riassegnata ad un giudice al quale, nell’ottica di garantire al consumatore una protezione effettiva dei suoi interessi, è attribuita la competenza alla rilevazione d’ufficio dell’esistenza di clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori. Il principio di effettività, insomma, sembra esser diventato uno strumento di armonizzazione surrettizia in una materia di competenza esclusiva degli Stati (PAGLIANTINI, Effettività della tutela, 812, infra, sez. IV) ai NGCC 9/2016 Sinergie Grafiche srl Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. n Sentenze commentate Parte prima quali «not much ‘‘autonomy’’ (...) seems to be left» (REICH, 357). Si tratta di «un’armonizzazione processuale ‘‘per principi’’» (CANNIZZARO, 661, infra, IV) che fa emergere la natura market-oriented del diritto privato europeo volto, non tanto alla tutela del consumatore quale individuo, ma alla regolamentazione del mercato (POILLOT, 76; PAGLIANTINI, Effettività della tutela, 806, entrambi infra, sez. IV). Si conferma cosı̀ l’idea per cui l’affermazione di una tutela generalizzata del consumatore tenda, in realtà, «verso una ‘‘giustizia del mercato’’ in cui siano vietati gli abusi di posizioni di dominio contrattuale» (BIANCA, 396, infra, sez. IV). 3. Il fondamento normativo del principio di effettività. Il giudice del rinvio con la terza e quarta questione, chiede alla Corte di vagliare la compatibilità del procedimento di ingiunzione spagnolo con l’art. 47 Carta dir. UE e, in particolare, se il diritto alla tutela giurisdizionale effettiva ivi sancito osti ad una normativa nazionale che non consente all’autorità investita di un’ingiunzione di rilevare d’ufficio l’abusività delle clausole contrattuali, né consente nella fase dell’esecuzione che il giudice investito di quest’ultima riesamini quanto già deciso dal Secretario judicial. I giudici di Lussemburgo, sul punto, non forniscono risposta rilevando come il giudice del rinvio non abbia «specificato le ragioni che l’hanno indotto a interrogarsi sulla compatibilità di tale normativa con l’articolo 47 della Carta» e l’assenza, nell’ordinanza di rinvio, di «indicazioni sufficientemente precise e complete, tali da consentire alla Corte di fornire una risposta utile a tali questioni». La circostanza, in realtà, non deve stupire. Nonostante sia proprio il principio di effettività a fondare la maggior parte delle decisioni rese in materia consumeristica, sono davvero pochi i casi in cui la Corte si riferisce direttamente all’art. 47 della Carta di Nizza. Un’esplicita menzione dell’art. 47, assieme agli artt. 6 e 13 Conv. eur. dir. uomo, è avvenuta, ad esempio, in Alassini (CORTE GIUST. UE, 18.3.2010, C-317/08, infra, sez. III) - ove, tuttavia, la Corte ha ritenuto che la previsione di un tentativo obbligatorio di conciliazione extragiudiziale come condizione di procedibilità dei ricorsi giurisdizionali non è tale da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti ai singoli dalla dir. n. 22/2002 CE - e in Banif (CORTE GIUST. UE, 21.2.2013, C472/11, infra, sez. III) ove la Corte ha richiamato l’art. 47 per affermare il dovere del giudice, una volta rilevata l’abusività della clausola, di sottoporla alle parti per la discussione in ossequio al principio del contradditorio. Le rare occasioni in cui la Corte si richiama esplici- NGCC 9/2016 tamente all’art. 47 inducono ad interrogarsi sul fondamento normativo del principio di effettività. Per fornire una risposta a tale quesito, nei limiti in cui tale sede lo consente, è utile osservare come il canone dell’effettività, presente nello strumentario della Corte sin dal 1976, è stato elaborato dalla stessa per evitare che «in assenza di (...) provvedimenti di armonizzazione (...) le modalità procedurali delle azioni giudiziali, intese a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza delle norme comunitarie», siano tali da rendere «in pratica impossibile l’esercizio dei diritti che i giudici nazionali sono tenuti a tutelare» (CORTE GIUST. CE, 16.12.1976, C-33/76, infra, sez. III). Nei suoi più recenti sviluppi il principio di effettività richiede che la normativa processuale interna non renda «eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti ai consumatori dall’ordinamento giuridico dell’Unione». Il principio di effettività, dunque, nato con l’obiettivo di garantire piena efficacia alla norma comunitaria e per consentire all’ordinamento europeo di affermarsi rispetto agli ordinamenti nazionali, successivamente ha smesso i panni di mero garante della primazia comunitaria per vestire quelli di criterio interpretativo volto a far conseguire il massimo ‘‘effetto utile’’ (LIPARI, 896, infra, sez. IV). Ed è nella prospettiva di garantire il più alto grado di protezione per il titolare di una situazione giuridica di derivazione comunitaria che il principio di effettività viene riferito al diritto fondamentale ad una tutela giurisdizionale effettiva di cui all’art. 47 della Carta dir. UE e all’art. 19, par. 2, TUE ove impone agli Stati membri di adottare rimedi giurisdizionali idonei ad assicurare una tutela giurisdizione effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione (MAK, 236; REICH, 341-343, entrambi infra, sez. IV). Sulla base di queste considerazioni la circostanza per cui la Corte solo raramente ha fatto menzione dell’art. 47 è stata spiegata nel senso che «an express reference to art. 47/19 TEU does not attach anything new to the principle of effectiveness, but only makes it conform to the more recent constitutionalisation of EU private law» (REICH, 356). In questa prospettiva, si è sottolineato che l’art. 47 può costituire la base normativa, non solo per il test di adeguatezza della legislazione processuale nazionale rispetto ai diritti di matrice comunitaria, ma anche per lo sviluppo di nuove tecniche rimediali (POILLOT, 70; MAK, 240). III. I precedenti 1. Effettività della tutela e condotta processuale. Sulla rilevanza della condotta processuale del consumatore, ai fini dell’esclusione del potere del giudice dell’esecuzione di rilevare d’ufficio l’abusività della 1151 Sinergie Grafiche srl n Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Parte prima Sentenze commentate clausola v. CORTE GIUST. CE, 6.10.2009, causa C-40/ 08, Asturcom, in Riv. dir. proc., 2010, 677, con nota di RAITI, e in Riv. it. dir. pubbl. com., 2010, 287, con nota di LO SCHIAVO e, seppure non in materia consumeristica, CORTE GIUST. CE, 1.6.1999, causa C-126/97, Eco Swiss, in Foro it., 1999, IV, 470. CORTE GIUST. UE, 14.6.2012, causa C-618/10, Banco Español de Crédito, in Contratti, 2013, 16 ss., con nota di D’ADDA, ha ritenuto incompatibile con il sistema di tutela della dir. n. 13/93 CE la disciplina processuale spagnola che impediva al giudice investito della domanda di ingiunzione di pagamento di rilevare officiosamente l’abusività di una clausola contrattuale contenuta in un contratto concluso tra consumatore e professionista. Un intervento giudiziale non solo compensativo ma, in una qualche misura, suppletivo si era già registrato in CORTE GIUST. UE, 3.10.2013, causa C-32/12, Duarte Hueros, in Riv. dir. proc., 2015, 243, con nota di GOZZI ove la Corte ha riconosciuto il potere del giudice di ridurre d’ufficio il prezzo di una compravendita intervenuto tra professionista e consumatore anche se quest’ultimo avesse richiesto solo la risoluzione per la quale, tuttavia, non ricorrevano i presupposti e in CORTE GIUST. UE, 4.6.2015, causa C-497/13, Faber, in Contratti, con nota di AZZARRI, ove si è stabilito che il giudice può domandare alle parti ‘‘chiarimenti’’ in ordine alla sussistenza o meno della qualità di consumatore se, quest’ultima, non sia stata allegata. La mancata indicazione dei motivi di opposizione ad un’ingiunzione di pagamento non impedisce ad avviso di CORTE GIUST. UE, 9.11.2010, causa C-137/08, VB Pénzügyi Lı́zing, in Contratti, 2011, 113, con nota di F.P. PATTI, al giudice di svolgere ex se attività istruttoria per accertare se una clausola attributiva di competenza giurisdizionale territoriale esclusiva rientri nell’ambito d’applicazione della dir. n. 13/93 CEE. 2. Effettività della tutela e poteri officiosi del giudice. Il potere del giudice di rilevare officiosamente l’abusività delle clausole contrattuali in termini di facoltà è sancito da CORTE GIUST. CE 27.6.2000 da C-240/98 a C-244/98, Océano Grupo Editorial, in Corr. giur., 2000, 1658. Mentre CORTE GIUST. CE, 26.10.2006, C-168/ 05, Mostaza Claro, in Foro it., 2007, IV, 373, con nota di CASORIA, sancisce il dovere per il giudice di porre in essere tale valutazione. Tale potere, tuttavia, secondo i limiti sanciti nel caso Pannon, CORTE GIUST. CE, 4.6.2009, causa C-243/08, in Foro it., 2009, IV, 489, con nota di PALMIERI, incontra il limite dell’opposizione del consumatore che può manifestare una volontà contraria declaratoria di nullità. Le citate sentenze indicano, tra le altre, le finalità della tutela prevista dalla dir. n. 13/93 CE ritenendo 1152 che l’idea fondamentale della legislazione di protezione a favore del consumatore sia insita nella asimmetria di potere contrattuale. Mentre i casi Duarte Heuros e Faber, citati nella sez. III, n. 1, costituiscono esemplificazione dell’allargamento delle maglie dell’intervento giudiziale per assicurare al consumatore il massimo effetto utile. La natura di norma di ordine pubblico dell’art. 6 dir. n. 13/93 è riconosciuta da CORTE GIUST. CE, 6.10.2009, causa C-40/08, cit., la quale, escluso il contrasto col principio di effettività della norma normativa spagnola, lo afferma rispetto al principio di equivalenza. Nel panorama giurisprudenziale italiano riconosce, tra le altre, il potere di rilevazione officiosa della nullità già in sede monitoria TRIB. MILANO, 28.5.2015, in DeJure, secondo cui «il giudice del monitorio, d’ufficio e senza bisogno di alcun atto di impulso del contraente debole, ha il potere-dovere di rilevare d’ufficio l’incompetenza e rigettare il ricorso». 3. Il fondamento normativo del principio di effettività. In materia di consumeristica si riferiscono esplicitamente all’art. 47 della Carta di Nizza CORTE GIUST. UE, 18.3.2010, C-317/08, Alassini, in Corr. giur., 2010, 1292, con nota di RIZZO e CORTE GIUST. UE, 21.2.2013, C-472/11, Banif, in Foro it., 2014, IV, 5. In entrambe, singolare coincidenza, la Corte esclude che il diritto nazionale in questione contrasti con il diritto fondamentale ad una tutela effettiva. Nella giurisprudenza nazionale, seppur in materia di illecito antitrust, CASS., 4.6.15, n. 11564, in Foro it., 2015, I, 2742 richiama espressamente l’art. 47 Carta dir. UE per ancorare un dovere del giudice di non interpretare rigidamente il principio di onere della prova e, conseguentemente, di attivare d’ufficio i poteri istruttori. Il principio di effettività nella sua declinazione essenziale funzionale a garantire la sua primazia rispetto ai diritti nazionali è sancito, per la prima volta, in CORTE. GIUST. CE, 5.2.1963, C-26/62, Van Gend en Loos, in Foro it., 1964, IV, 98, mentre nella sua accezione di limite all’autonomia processuale degli Stati membri è affermato a partire da CORTE GIUST. CE, 16.12.1976, C-33/76, Rewe, ivi, 1977, IV, 192. IV. La dottrina 1. Effettività della tutela e condotta processuale. Oltre alle note di commento degli autori citati nella sez. III, sul caso Asturcom v. le riflessioni di R. CONTI, C’era una volta il ... giudicato, in Corr. giur., 2010, 173 ss. e di SCHEBESTA, Does the National Court know European Law? A note on ex officio application after Asturcom, in European Review of Private Law, 2010, 858 ss. NGCC 9/2016 Sinergie Grafiche srl Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. n Sentenze commentate Parte prima Sul caso Faber v. F.P. PATTI, Tutela effettiva del consumatore nella vendita: il caso ‘‘Faber’’, in questa Rivista, 2016, I, 10 ss. La sentenza Banco Español de Crédito è oggetto di analisi, sotto il profilo dell’integrazione del contratto, di S. PAGLIANTINI, L’integrazione del contratto tra Corte di giustizia e nuova disciplina sui ritardi di pagamento: il segmentarsi dei rimedi, in Persona e mercato, 2013, 11. L’opportunità di tenere conto delle conclusioni cui è giunta la Behavioural Law and Economics è sottolineata da ROJAS ELGUETA, Fallimenti cognitivi e regolazione del mercato energetico, in Contr. e impr., 2016, 253 ss. Sulle disfunzioni del sovraccarico informativo v. MORERA, Irrazionalità del contraente investitore e regole di tutela, in Oltre il soggetto razionale, a cura di ROJAS ELGUETA e VARDI, Roma Tre-press, 2014, 204. Nello stesso volume, v. GRISI, Gli obblighi informativi quale rimedio dei fallimenti cognitivi. Sulla BLE, in termini generali nella letteratura italiana, v. CATERINA (a cura di), Fondamenti cognitivi del diritto. Percezioni, rappresentazioni, comportamenti, Mondadori, 2008. 2. Effettività della tutela e poteri officiosi del giudice. Sullo squilibrio, anche processuale, tra consumatore e professionista v. ZENO ZENCOVICH - PAGLIETTI, Verso un diritto processuale dei consumatori?, in questa Rivista, 2009, II, 270. In argomento, tra gli altri, v. anche ORESTANO, Rilevabilità d’ufficio della vessatorietà delle clausole, in Eur. e dir. priv., 2000, 1179 ss. e PAGLIANTINI, La rilevabilità officiosa della nullità e l’articolazione di nuovi mezzi di prova nella cornice dell’effettività della tutela. Il dialogo tra le Corti, in Contratti, 2014, 18 ss. Sull’incidenza del principio di effettività sull’autonomia processuale degli Stati membri v., ex multis, CARRATTA, Libertà fondamentali del Trattato UE e processo civile, in MEZZANOTTE (a cura di), Le «libertà fondamentali» dell’Unione Europea e il diritto privato, Roma Tre-Press, 2016, 199 ss.; GRECO, A proposito dell’autonomia procedurali degli Stati membri, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2014, 1 ss.; CANNIZZARO, Effettività del diritto dell’Unione e rimedi processuali nazionali, in Dir. un. eur., 2013, 659 ss.; R. CONTI, L’effettività del diritto comunitario ed il ruolo del giudice, in Eur. e dir. priv., 2007, 479 ss. Nella dottrina straniera, REICH, The principle of Effectiveness and EU contract law, in Oss. dir. civ. comm., 2013, 337 e ss., il quale propone, per compendiare autonomia processuale ed effettività della tutela, un «hybridisation approch». Sulla direzione del diritto privato europeo verso la regolazione del mercato unico europeo v., tra gli altri, PAGLIANTINI, Effettività della tutela giurisdizionale, consumer welfare e diritto europeo dei contratti nel canone interpretativo della Corte di giustizia: traccia per uno sguardo di insieme, in Nuove leggi civ. comm., 2014, 804 ss.; POILLOT, The European Court of Justice an general principles derived from the acquis communautaire, in Oslo Law Review, 2014, I, 67. In termini più generali, v. BIANCA, Diritto Civile, 3, Il contratto, Giuffré, 1993, 394. 3. Il fondamento normativo del principio di effettività. Sul principio di effettività nel quadro del diritto comunitario v. S.M. CARBONE, Principio di effettività e diritto comunitario, Editoriale Scientifica, 2011; LIPARI, Il problema dell’effettività nel diritto comunitario, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2009, 887 ss. Sugli art. 47 CDFUE e 19, par. 2, TUE v. TESAURO, Alcune riflessioni sul ruolo della Corte di giustizia nell’evoluzione dell’unione europea, in Diritto dell’Unione Europea, 2013, 500 ss. Sul ruolo che l’art. 47 che svolge e potrà svolgere v. MAK, Rights and Remedies. Article 47 EUCFR and effective judicial protection in European private law matters, in MICKLITZ (a cura di), Constitutionalization of European Private Law, Oxford University Press, 2014, nonché i citati lavori di REICH e POILLOT. Critico rispetto al test di effettività è BOBEK, Why there is no principle of ‘‘procedural autonomy’’ of the member states, in MICKLITZ-DE WITTE (eds.) The European Court of Justice and the autonomy of the Member states, Intersentia, 2012, 319. n Contratti del consumatore CORTE GIUST. UE, I sez., 14.4.2016, cause riunite C-381/14 e C-385/14 – TIZZANO Presidente – LEVITS Relatore - SZPUNAR (avv. gen.) – Governo spagnolo (agente Gavela Llopis) – Commissione europea (agenti Baquero Cruz e van Beek) – Sales Sinués (avv.ti Cirera Mora e Pertı́nez Vı́lchez) – Caixabank SA (avv. Ferreres Comella) – Youssouf Drame Ba – Catalunya Caixa SA (avv.ti Rodrı́guez Cárcamo e Fernández de Senespleda) CONTRATTI DEL CONSUMATORE – AZIONE INDIVIDUALE VOLTA A FAR DICHIARARE ABUSIVA UNA CLAUSOLA – AZIONE COLLETTIVA INIBITORIA SULLA MEDESIMA CLAUSOLA – OBBLIGO DI SOSPENSIONE DELL’AZIONE INDIVIDUALE AVENTE IL MEDESIMO OGGETTO - CONTRASTO CON L’ART. 7 DIR. N. 13/93 CEE – SUSSISTENZA (dir. n. 13/93 CEE, art. 7) NGCC 9/2016 1153 Sinergie Grafiche srl n Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Parte prima Sentenze commentate L’art. 7 della direttiva n. 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, dev’essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, che imponga al giudice adito da un consumatore con un’azione individuale volta a far dichiarare il carattere abusivo di una clausola contenuta in un contratto stipulato con un professionista, di sospendere automaticamente l’azione fino alla pronuncia della decisione definitiva relativa ad un’azione collettiva pendente, proposta da un’associazione di consumatori ai sensi del par. 2 dell’art. medesimo, al fine di inibire l’inserzione, in contratti dello stesso tipo, di clausole analoghe a quella oggetto dell’azione individuale, senza che possa essere presa in considerazione la pertinenza di tale sospensione dal punto di vista della tutela del consumatore che abbia adito individualmente il giudice, e senza che tale consumatore possa decidere di dissociarsi dall’azione collettiva. dal testo: Il fatto. I motivi. 1. Le domande di pronuncia pregiudiziale vertono sull’interpretazione dell’articolo 7 della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (GU L 95, pag. 29). 2. Tali domande sono state presentate nell’ambito di controversie tra il sig. Sales Sinués e la Caixabank SA, da un lato, e il sig. Drame Ba e la Catalunya Caixa SA, dall’altro lato, relative alla nullità di clausole contenute in contratti di mutuo ipotecario. Contesto normativo Direttiva 93/13 3. L’articolo 3 della direttiva 93/13 cosı̀ recita: (Omissis). 4. L’articolo 4, paragrafo 1, di detta direttiva precisa quanto segue: (Omissis). 5. L’articolo 6, paragrafo 1, della medesima direttiva cosı̀ dispone: (Omissis). 6. Ai sensi del successivo articolo 7: (Omissis). Diritto spagnolo 7. L’articolo 43 del codice di procedura civile (Ley de enjuiciamiento civil), del 7 gennaio 2000 (BOE n. 7, dell’8 gennaio 2000, pag. 575), dispone quanto segue: «[Q]uando, per pronunciarsi sull’oggetto della controversia, sia necessario risolvere una questione che, a sua volta, costituisca oggetto principale di un altro procedimento pendente dinanzi al medesimo giudice o ad un giudice diverso, qualora non risulti possibile la riunione dei procedimenti stessi, il giudice potrà disporre, su istanza di entrambe le parti o di una di esse, sentita la controparte, la sospensione del procedimento nello stadio in cui si trova fino al termine del procedimento avente ad oggetto la questione pregiudiziale». 8. L’articolo 221 del codice di procedura civile, relativo agli effetti delle decisioni pronunciate nell’ambito di procedimenti avviati da associazioni di consumatori o utenti, cosı̀ recita: «(...) 1a. Qualora sia stata chiesta una condanna pecuniaria, la condanna ad un fare, non fare o dare una cosa specifica o generica, la decisione di accoglimento della domanda designa individualmente i consumatori e utenti che, conformemente alle norme poste a loro tutela, possono beneficiare della decisione di condanna. Qualora la designazione individuale non risulti possibile, la decisione stabilisce i dati, le caratteristiche e i requisiti necessari per poter richiedere il pagamento e, se del caso, 1154 avviare l’esecuzione o intervenire nella stessa, laddove sia stata avviata dall’associazione attrice. 2a. Qualora la declaratoria di illegittimità o illegalità di un’attività o di una condotta determinata sia all’origine della condanna o della pronuncia principale o unica, la decisione stabilisce se, conformemente alla legislazione in materia di tutela dei consumatori e degli utenti, la declaratoria stessa debba avere effetti processuali non limitati a coloro che siano stati parti del procedimento di cui trattasi. 3a. Qualora al procedimento abbiano partecipato consumatori o utenti individualmente determinati, la decisione deve pronunciarsi espressamente sulle loro domande. (...)». 9. L’articolo 222 del codice di procedura civile cosı̀ dispone: «1. La cosa giudicata nelle decisioni definitive, siano esse di accoglimento o di rigetto, esclude, conformemente alla legge, qualsiasi nuovo procedimento il cui oggetto sia identico a quello del procedimento in cui la decisione sia stata pronunciata. 2. La cosa giudicata si estende al petitum della domanda attorea e riconvenzionale, nonché ai punti di cui all’articolo 408, paragrafi 1 e 2, della presente legge. Si considerano fatti nuovi e distinti, in relazione alla causa petendi della domanda, quelli verificatisi successivamente alla scadenza del termine per la presentazione delle memorie nel procedimento nell’ambito del quale la domanda sia stata formulata. 3. La cosa giudicata avrà efficacia tra le parti del procedimento nel quale è stata pronunciata e tra i loro eredi e aventi causa, cosı̀ come tra i soggetti, che non siano parti della controversia, titolari dei diritti che fondano la legittimazione attiva delle parti, ai sensi di quanto previsto dall’articolo 11 della presente legge. (...) 4. La decisione definitiva conclusiva di un procedimento, laddove abbia acquisito forza di cosa giudicata, vincola il giudice di un procedimento successivo quando in esso ricorra come antecedente logico dell’oggetto di tale procedimento, purché le parti siano le stesse ovvero la cosa giudicata si estenda ad esse per disposizione di legge». 10. Secondo l’interpretazione del giudice del rinvio, le norme processuali richiamate supra lo obbligano a sospendere i procedimenti in corso, in cui un consumatore ha proposto azione individuale di annullamento di una clausola abusiva, fino a che sia pronunciata una sentenza definitiva in un procedimento promosso da un’associazione di consu- NGCC 9/2016 Sinergie Grafiche srl Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. n Sentenze commentate Parte prima matori, debitamente legittimata ad avviare un’azione collettiva per far cessare l’utilizzo di una clausola analoga. Procedimenti principali e questioni pregiudiziali 11. Il sig. Sales Sinués stipulava, in data 20 ottobre 2005, un contratto di novazione di mutuo ipotecario presso la Caixabank SA. La clausola «di tasso minimo» contenuta in tale contratto prevede un tasso nominale annuo del 2,85%, con soglia massima fissata al 12%. Il sig. Drame Ba stipulava, in data 7 febbraio 2005, un contratto di mutuo ipotecario presso la Catalunya Caixa SA. La clausola «di tasso minimo», in tale contratto, prevede un tasso del 3,75%, con soglia massima limitata al 12%. 12. Indipendentemente dalla fluttuazione dei tassi sul mercato, i tassi d’interesse dei contratti dei ricorrenti nel procedimento principale non possono essere inferiori alla percentuale prevista dalla clausola «di tasso minimo». 13. I sig.ri Sales Sinués e Drame Ba, ritenendo che le clausole «di tasso minimo» siano state loro imposte dagli istituti bancari e che esse determinino uno squilibrio a loro sfavore, proponevano individualmente, dinanzi al giudice del rinvio, ricorso per far accertare la nullitàà di tali clausole. 14. Anteriormente alla proposizione di detti ricorsi, un’associazione di consumatori, l’Adicae (Asociación de Usuarios de Bancos Cajas y Seguros) aveva avviato, contro 72 istituti bancari, un’azione collettiva per far cessare l’uso delle clausole «di tasso minimo» nei contratti di mutuo. 15. Richiamandosi all’articolo 43 del codice di procedura civile, le parti resistenti nel procedimento principale hanno chiesto la sospensione dei giudizi di cui trattasi fino alla pronuncia della decisione definitiva che ponga fine al giudizio collettivo. I sig.ri Sales Sinués e Drame Ba si oppongono alla richiesta. 16. Il giudice del rinvio ritiene che, nelle circostanze di specie, l’articolo 43 del codice di procedura civile gli imponga di sospendere le azioni individuali dinanzi ad esso avviate sino alla pronuncia della decisione definitiva nel procedimento collettivo, e che tali effetti sospensivi comportino la necessaria subordinazione dell’azione individuale all’azione collettiva, sia in relazione al suo svolgimento che al suo esito. 17. Sottolinea, inoltre, che la partecipazione all’azione collettiva è vincolata a diversi obblighi, in quanto, da un lato, il soggetto di diritto deve rinunciare eventualmente al giudice competente del proprio domicilio e, dall’altro, in quanto la possibilità di proporre osservazioni a titolo individuale a sostegno dell’azione collettiva è limitata nel tempo. 18. Ciò premesso, il Juzgado de lo Mercantil n. 9 di Barcellona (Tribunale commerciale n. 9 di Barcellona, Spagna) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: «1) Se si possa ritenere [che l’ordinamento giuridico spagnolo preveda] un mezzo o meccanismo efficace conforme all’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13. 2) Fino a qual punto tale effetto sospensivo rappresenti un ostacolo per il consumatore e, pertanto, una violazione dell’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13 al fine di far valere la nullità delle clausole abusive inserite nel suo contratto. 3) Se il fatto che il consumatore non possa dissociarsi NGCC 9/2016 dall’azione collettiva costituisca una violazione dell’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva 93/13. 4) Ovvero se, al contrario, l’effetto sospensivo di cui all’articolo 43 [del codice di procedura civile] sia conforme all’articolo 7 della direttiva 93/13, essendo i diritti del consumatore pienamente tutelati da tale azione collettiva, atteso che l’ordinamento giuridico spagnolo prevede altri meccanismi processuali parimenti efficaci per la tutela dei suoi diritti, e dal principio di certezza del diritto». 19. Con ordinanza del presidente della Corte del 9 settembre 2014, le cause C-381/14 e C-385/14 sono state riunite ai fini delle fasi scritta e orale, nonché della sentenza. Sulle questioni pregiudiziali 20. Con le sue questioni, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 7 della direttiva 93/13 debba essere interpretato nel senso che esso osti ad una normativa nazionale che imponga, al giudice adito da un consumatore con un’azione individuale per far dichiarare il carattere abusivo di una clausola contenuta in un contratto stipulato con un professionista, di sospendere automaticamente l’azione fino alla pronuncia della decisione definitiva relativa ad un’azione collettiva pendente, proposta da un’associazione di consumatori ai sensi del paragrafo 2 del medesimo articolo, al fine, in particolare, di inibire l’inserzione, in contratti dello stesso tipo, di clausole analoghe a quella oggetto dell’azione individuale. 21. Per rispondere a tali questioni, si deve ricordare, preliminarmente, che, ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13, gli Stati membri provvedono a fornire mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra professionisti e consumatori. Parallelamente al diritto soggettivo del consumatore di adire un giudice per l’esame dell’abusività di una clausola di un contratto di cui è parte, il meccanismo previsto all’articolo 7, paragrafo 2, della direttiva 93/13 consente agli Stati membri di promuovere un controllo sulle clausole abusive contenute in contratti tipo mediante azioni inibitorie avviate nell’interesse pubblico da parte di associazioni per la tutela dei consumatori. 22. Per quanto concerne, da un lato, l’azione individuale del consumatore, il sistema di tutela istituito con la direttiva 93/13 si fonda sull’idea che il consumatore si trovi in una posizione di inferiorità nei confronti del professionista per quanto riguarda sia il potere negoziale, sia il livello di informazione (v. sentenza Perenicová e Perenic, C-453/10, EU:C:2012:144, punto 27 e giurisprudenza citata). 23. Per garantire detta tutela, la disuguaglianza tra il consumatore e il professionista può essere riequilibrata solo grazie a un intervento positivo da parte di soggetti estranei al rapporto contrattuale (sentenza Asturcom Telecomunicaciones, C-40/08, EU:C:2009:615, punto 31). 24. In tale contesto, il giudice nazionale è tenuto ad esaminare d’ufficio il carattere abusivo di una clausola contrattuale tenendo conto, come prescritto dall’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 93/13, della natura dei beni o servizi oggetto del contratto e facendo riferimento, al momento della conclusione del contratto, a tutte le circostanze che accompagnano la sua conclusione nonchéé a tutte le altre clausole di tale contratto, o di un altro contratto da cui esso dipende (v., in tal senso, sentenza Asturcom Telecomunicaciones, C-40/08, EU:C:2009:615, punto 32). 1155 Sinergie Grafiche srl n Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Parte prima Sentenze commentate 25. Tuttavia, se anche il giudice nazionale dovesse concludere per l’abusività di una clausola, il diritto ad una tutela effettiva del consumatore comprende anche la facoltà di non far valere i propri diritti, di modo che il giudice nazionale deve tener conto, se del caso, della volontà espressa dal consumatore quando quest’ultimo, consapevole del carattere non vincolante di una clausola abusiva, afferma tuttavia di opporsi alla sua disapplicazione, dando quindi un consenso libero e informato alla clausola di cui trattasi (v. sentenza Banif Plus Bank, C-472/11, EU:C:2013:88, punto 35). 26. Per quanto attiene, dall’altro lato, alle azioni promosse da persone o organizzazioni che hanno un legittimo interesse a tutelare i consumatori, di cui all’articolo 7, paragrafo 2, della direttiva 93/13, occorre sottolineare che quest’ultime non si trovano in una simile situazione di inferiorità rispetto al professionista (sentenza Asociación de Consumidores Independientes de Castilla y León, C-413/12, EU:C:2013:800, punto 49). 27. Infatti, senza negare l’importanza del ruolo essenziale che esse devono poter svolgere per conseguire un livello elevato di tutela dei consumatori all’interno dell’Unione europea, occorre nondimeno rilevare che un’azione inibitoria che contrapponga una tale associazione a un professionista non è caratterizzata dallo squilibrio presente nel contesto di un ricorso individuale che coinvolga un consumatore ed un professionista, sua controparte contrattuale (v. sentenza Asociación de Consumidores Independientes de Castilla y León, C-413/12, EU:C:2013:800, punto 50). 28. Un simile approccio differenziato trova inoltre conferma nelle disposizioni degli articoli 4, paragrafo 1, della direttiva 98/27/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 maggio 1998, relativa a provvedimenti inibitori a tutela degli interessi dei consumatori (GU L 166, pag. 51), e 4, paragrafo 1, della direttiva 2009/22/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, relativa a provvedimenti inibitori a tutela degli interessi dei consumatori (GU L 110, pag. 30), che ha sostituito la prima, per cui ad essere competenti a conoscere delle azioni inibitorie intentate dalle associazioni di tutela dei consumatori di altri Stati membri, in caso di violazione intracomunitaria della normativa dell’Unione in materia di tutela dei consumatori, sono i giudici dello Stato membro di stabilimento o di domicilio del convenuto (sentenza Asociación de Consumidores Independientes de Castilla y León, C-413/12, EU:C:2013:800, punto 51). 29. Si deve aggiungere che la natura preventiva e la finalità dissuasiva delle azioni inibitorie, nonché la loro indipendenza nei confronti di qualsiasi conflitto individuale concreto, implicano che dette azioni possano essere esercitate anche quando le clausole delle quali si chiede l’inibitoria non siano state inserite in contratti determinati (v. sentenza Invitel, C-472/10, EU:C:2012:242, punto 37). 30. Pertanto, le azioni individuali e collettive, nell’ambito della direttiva 93/13, hanno obiettivi ed effetti giuridici diversi, di modo che la relazione processuale tra lo svolgimento dell’una e dell’altra può rispondere solamente ad esigenze di natura procedurale riguardanti, in particolare, la corretta amministrazione della giustizia e volte alla necessità di evitare decisioni giudiziarie contraddittorie, senza tuttavia che l’articolazione di tali diverse azioni comporti 1156 un affievolimento della tutela dei consumatori, cosı̀ come prevista dalla direttiva 93/13. 31. Infatti, anche se la direttiva non mira ad armonizzare le sanzioni applicabili nell’ipotesi di riconoscimento del carattere abusivo di una clausola nell’ambito di tali azioni, il suo articolo 7, paragrafo 1, obbliga tuttavia gli Stati membri ad assicurare l’esistenza di mezzi adeguati ed efficaci al fine di far cessare l’utilizzo delle clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (sentenza Invitel, C-472/10, EU:C:2012:242, punto 35). 32. In tale contesto, si deve tuttavia rilevare che, in assenza di armonizzazione degli strumenti processuali disciplinanti i rapporti tra le azioni collettive e le azioni individuali previste dalla direttiva 93/13, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro, in forza del principio di autonomia processuale, stabilire regole siffatte, a condizione, tuttavia, che dette regole non siano meno favorevoli rispetto a quelle che disciplinano situazioni analoghe assoggettate al diritto interno (principio di equivalenza) e non rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti alle associazioni di tutela dei consumatori dal diritto dell’Unione (principio di effettività) (v., per analogia, sentenza Asociación de Consumidores Independientes de Castilla y León, C-413/12, EU:C:2013:800, punto 30 e giurisprudenza citata). 33. Per quanto concerne, da un lato, il principio di equivalenza, non risulta, tenuto conto di quanto si evince dalle decisioni di rinvio, che l’articolo 43 del codice di procedura civile sia oggetto di diversa applicazione in controversie relative a diritti basati sull’ordinamento nazionale e in quelle relative a diritti basati sull’ordinamento dell’Unione. 34. Dall’altro lato, per quanto riguarda il principio di effettività, la Corte ha già avuto modo di dichiarare che ciascun caso in cui si pone la questione se una norma processuale nazionale renda impossibile o eccessivamente difficile l’applicazione del diritto dell’Unione dev’essere esaminato tenendo conto del ruolo di detta norma nell’insieme del procedimento, del suo svolgimento e delle peculiarità dello stesso dinanzi ai vari organi giurisdizionali nazionali. Sotto tale profilo, si devono considerare i principi che sono alla base del sistema giurisdizionale nazionale, quali la certezza del diritto e il principio del giudicato (v. in tal senso, sentenza BBVA, C-8/14, EU:C:2015:731, punto 26 e giurisprudenza citata). 35. Nel caso di specie, si deve rilevare che, come discende dall’interpretazione offerta dal giudice del rinvio, in circostanze come quelle di cui trattasi, quest’ultimo deve, ai sensi dell’articolo 43 del codice di procedura civile, sospendere l’azione individuale per cui è stato adito in pendenza della sentenza definitiva nel procedimento collettivo la cui soluzione può essere ripresa per l’azione individuale e, pertanto, il consumatore non può più far valere individualmente diritti riconosciuti dalla direttiva 93/13, dissociandosi da detta azione collettiva. 36. Orbene, una simile situazione è idonea a pregiudicare l’effettività della tutela promossa da tale direttiva, tenuto conto delle differenze di oggetto e di natura dei meccanismi di tutela dei consumatori attuati da dette azioni, per come esse sono descritte ai punti da 21 a 29 della presente sentenza. 37. Infatti, da un lato il consumatore è obbligatoriamente NGCC 9/2016 Sinergie Grafiche srl Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. n Sentenze commentate Parte prima vincolato all’esito dell’azione collettiva, ancorché abbia deciso di non prendervi parte, e l’obbligo incombente sul giudice nazionale ai sensi dell’articolo 43 del codice di procedura civile impedisce quindi al medesimo di procedere all’analisi delle circostanze del caso sottoposto al suo esame. In particolare, non saranno determinanti ai fini della risoluzione della controversia la questione della negoziazione individuale della clausola asseritamente abusiva né la natura dei beni o servizi oggetto del contratto di cui trattasi. 38. Dall’altro lato, il consumatore, in applicazione dell’articolo 43 del codice di procedura civile come interpretato dal giudice del rinvio, è vincolato dal termine dell’adozione di una decisione giudiziaria relativa all’azione collettiva, senza che il giudice nazionale possa valutare, sotto tale profilo, la pertinenza della sospensione dell’azione individuale fino alla pronuncia della decisione definitiva nell’ambito dell’azione collettiva. 39. Una regola nazionale di tal genere si rivela quindi incompleta e insufficiente e non costituisce un mezzo né adeguato né efficace per far cessare l’uso delle clausole abusive, contrariamente a quanto prescrive l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13. 40. Ciò vale a fortiori in quanto, nel diritto interno, il consumatore, laddove intenda prender parte all’azione collettiva, è soggetto, come si evince dalla decisione di rinvio, a limiti legati alla determinazione del giudice competente e ai motivi che possono essere invocati. Inoltre, perde necessariamente i diritti che gli verrebbero riconosciuti nell’ambito di un’azione individuale, ossia la presa in considerazione di tutte le circostanze della sua causa, nonché la possibilità di rinunciare alla non applicazione di una clausola abusiva, a fortiori se non può dissociarsi dall’azione collettiva. 41. In tale contesto, si deve d’altronde sottolineare che l’esigenza di assicurare la coerenza tra le decisioni giudiziarie non può giustificare una simile carenza di effettività, dal momento che, come sottolineato dall’avvocato generale al paragrafo 72 delle sue conclusioni, la differenza di natura tra il controllo giudiziario esercitato nell’ambito di un’azione collettiva e quello esercitato nell’ambito di un’azione individuale dovrebbe, in linea di principio, prevenire il rischio di decisioni giudiziarie contraddittorie. 42. Inoltre, per quanto concerne l’esigenza di ridurre il carico giudiziario, l’esercizio effettivo dei diritti soggettivi riconosciuti dalla direttiva 93/13 ai consumatori non può essere messa in discussione sulla base di considerazioni legate all’organizzazione giudiziaria di uno Stato membro. 43. Alla luce del complesso delle suesposte considerazioni, si deve rispondere alle questioni sottoposte dichiarando che l’articolo 7 della direttiva 93/13 dev’essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, che imponga al giudice adito da un consumatore con un’azione individuale volta a far dichiarare il carattere abusivo di una clausola contenuta in un contratto stipulato con un professionista, di sospendere automaticamente l’azione fino alla pronuncia della decisione definitiva relativa ad un’azione collettiva pendente, proposta da un’associazione di consumatori ai sensi del paragrafo 2 dell’articolo medesimo, al fine di inibire l’inserzione, in contratti dello stesso tipo, di clausole analoghe a quella oggetto dell’azione individuale, senza che possa essere presa in considerazione la pertinenza di tale sospensione dal punto di vista della tutela del consumatore che abbia adito individualmente il giudice, e senza che tale consumatore possa decidere di dissociarsi dall’azione collettiva. (Omissis) «A proposito dei ‘‘mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di clausole abusive’’. Tutela individuale e tutela collettiva» di Nicolò Cevolani* L’interpretazione della legge processuale domestica, che importi la sospensione obbligatoria di un giudizio attivato dal consumatore - per censurare una clausola abusiva - nell’attesa che si definisca la causa collettiva pregiudiziale osta all’obbligo degli Stati membri di fornire ‘‘i mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e dei consumatori’’. Il principio di autonomia processuale cede davanti al principio di effettività: assumendo la sospensione del procedimento individuale, a fronte del pregiudiziale procedimento collettivo, come obbligatoria, si lede la stessa effettività del diritto dell’Unione. I. Il caso La Corte di Giustizia misura la normativa processuale domestica in materia di pregiudizialità civile, alla luce di quei ‘‘mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e dei consumatori’’, che gli Stati membri sono tenuti ad adottare, ex art. 7 § 1 della dir. n. 13/93 CEE del Consiglio, del 5.4.1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (cfr. le Conclusioni generali dell’Avvocato generale M. SZPUNAR, presentate il 14.1.2016, punto 45). L’intervento della Corte muove da due cause riunite, occasionate proprio dall’inserzione di clausole abusive all’interno di contratti di adesione stipulati tra * Contributo pubblicato in base a referee. NGCC 9/2016 1157 Sinergie Grafiche srl n Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Parte prima Sentenze commentate professionisti e consumatori. Avviando autonomi procedimenti, i consumatori Sales Sinués e Drame Ba impugnavano le clausole di tasso minimo, presenti nei contratti di mutuo stipulati con gli istituti bancari resistenti, rispettivamente Caixabank SA e Catalana Caixa SA (le parti mutuanti sostanzialmente avevano fissato una soglia oltre alla quale il tasso di interesse non avrebbe potuto scendere, tenuto al riparo dalle oscillazioni del mercato). Lamentando la natura abusiva delle clausole, i ricorrenti domandavano al Tribunale di commercio di Barcellona di dichiararne la nullità. Prima dei procedimenti in parola, l’associazione di consumatori Adicae aveva già convenuto in giudizio, davanti al medesimo Tribunale, una serie di istituti bancari, tra i quali Caixabank SA e Catalana Caixa SA resistenti nei procedimenti individuali: con azione collettiva inibitoria, l’associazione domandava di vietare l’inserimento di clausole di tasso minimo nei contratti di mutuo, previo l’accertamento della relativa natura vessatoria. Gli stessi istituti, nei procedimenti individuali, eccepivano cosı̀ il rapporto di pregiudizialità tra le cause individuali e quella collettiva, considerata la omogeneità dei relativi oggetti. Ex art. 43 del codice di rito civile spagnolo, domandavano al Tribunale di commercio la sospensione dei giudizi individuali, nelle more di quello collettivo. Sarebbe residuata, ai ricorrenti, la mera chance di una partecipazione al procedimento collettivo. Il giudice spagnolo interroga quindi la Corte di Giustizia: la norma domestica che importi la sospensione obbligatoria di un giudizio attivato dal consumatore - per censurare una clausola abusiva nell’attesa che si definisca la causa collettiva pregiudiziale è compatibile con l’obbligo - in capo agli Stati membri - di fornire ‘‘i mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e dei consumatori’’? II. Le questioni 1. Tutela individuale e tutela collettiva, azioni individuali ed azioni collettive. Il ragionamento circa la compatibilità tra il diritto processuale domestico e l’obbligo di spiegare gli idonei mezzi per censurare le clausole abusive, è introdotto da una diffusa disamina intorno al rapporto tra tutela individuale e tutela collettiva del consumatore. La Corte ripercorre la propria giurisprudenza, sulla raison d’etre della tutela tributata al consumatore: figura strutturalmente debole rispetto al professionista (in duplice considerazione del potere contrattuale del secondo sul primo, e della asimmetria informativa tra le due categorie: v. CORTE GIUST. UE, 15.3.2012, C-453/10, Perenicová e Perenic, infra sez. III); occorre l’intervento di un soggetto terzo per compensare il vantaggio del professionista sul consumatore: il giudice interno dovrà ac- 1158 certare, anche d’ufficio, l’eventuale natura abusiva delle clausole del regolamento negoziale (v., ad esempio, CORTE GIUST. CE, 6.10.2009, C-40/08, Asturcom Telecomunicaciones, infra, sez. III - la censura della clausola ha tuttavia natura dispositiva, il consumatore potrà rinunciarvi, secondo CORTE GIUST. UE, 21.2.2013, C-472/11, Banif Plus Bank, infra sez. III). È in maniera del tutto diversa, agli occhi della Corte, che le ‘‘persone o organizzazioni che hanno un legittimo interesse a tutelare i consumatori’’ si atteggiano nei rapporti con i professionisti: il confronto tra associazioni di consumatori e professionisti non presenta squilibrio alcuno (CORTE GIUST. UE, 5.12.2013, C-413/12, Asociación de Consumidores Independientes de Castilla y León, infra, sez. IV: a confermarlo l’art. 4 § 1, dir. n. 22/ 2009 CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, relativa a provvedimenti inibitori a tutela degli interessi dei consumatori, che radica la competenza in capo al foro dello Stato del professionista resistente, e non dell’associazione ricorrente, in caso di controversie transfrontaliere all’interno dei confini dell’Unione). Le associazioni di consumatori che convengano i professionisti mediante azione inibitoria non si trovano in una condizione di svantaggio; non necessitano di una tutela differenziale, come invece il singolo consumatore: esse stesse stanno a difendere le ragioni dei consumatori, manca uno squilibrio da bilanciare. Simmetricamente, le azioni (individuali) di nullità e le azioni (collettive) di inibitoria conseguono effetti e perseguono obiettivi del tutto eterogenei. La Corte aderisce alle considerazioni espresse dell’Avvocato generale (a sua volta riportava quanto suggerito dalla Commissione, v. le Conclusioni generali, cit., punto 53): il rapporto tra azione individuale ed azione collettiva si atteggia a complementarietà, non a fungibilità, la seconda sussidiaria rispetto alla prima. L’azione di nullità corrisponde allo strumento ordinario fornito al consumatore per neutralizzare le clausole abusive. L’azione inibitoria vale da complemento della tutela offerta dall’azione individuale. L’esperimento di un’azione inibitoria non può condizionare l’esperimento di una individuale, tantomeno sostituirvisi. A conclusioni pianamente sovrapponibili era già approdata la letteratura domestica: agire in nullità risponde all’esigenza di una tutela ‘‘successiva’’ (censurare la clausola abusiva di un contratto già perfezionato), l’azione inibitoria persegue finalità preventive (l’Avvocato generale si esprimeva in termini identici), prescindendo da una effettiva lesione di posizioni soggettive (BARTOLOMUCCI - PETRILLO - VACCARELLA, 656 e 662, infra, sez. IV - in particolare, sul carattere schiettamente preventivo dell’inibitoria, v. la bibliografia riportata ivi, 662, n. 26; da ultimo, si v. anche IURILLI, 117 ss., sempre infra, sez. IV). Eterogenee per obiettivi, natura ed effetti, tra l’azio- NGCC 9/2016 Sinergie Grafiche srl Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. n Sentenze commentate Parte prima ne di nullità e l’azione inibitoria può correre esclusivamente una relazione improntata alla complementarità (l’azione collettiva completa la tutela degli interessi dei consumatori già spiegata dall’azione individuale), mai alla fungibilità. Se l’Avvocato generale parla di un generico legame, tra le due azioni, necessariamente informato al favor verso il consumatore (v. il punto 35 delle Conclusioni), la Corte preferisce approfondire: il rapporto processuale tra nullità ed inibitoria rimane attestato su esigenze schiettamente processuali quale tipicamente la profilassi del contrasto tra giudicati -, che non possono interferire con la tutela del consumatore (esigenza, questa, di natura non più processuale, ma già sostanziale). L’esigenza - processuale di scongiurare pronunce contraddittorie cede all’esigenza - sostanziale - di proteggere il consumatore dalle clausole abusive, a mente dell’art. 7 § 1 dir. n. 13/93 CEE, che impone agli Stati membri di fornire ‘‘i mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e dei consumatori’’. Tale obbligo, si osserva, non implica una armonizzazione delle misure con cui gli ordinamenti domestici sono chiamati a sanzionare l’inserzione di clausole abusive. Agli Stati membri rimane una certa autonomia, circa la individuazione di tali strumenti sanzionatori, nel solco del principio dell’autonomia processuale. Fatti salvi i princı̀pi di equivalenza e di effettività. 2. Principio di autonomia processuale, princı̀pi di equivalenza e di effettività. Si tratta di un motivo piuttosto ricorrente nella giurisprudenza della Corte. Ciascuno Stato gode di autonomia, nell’impostare la tutela delle situazioni giuridiche di vantaggio spettanti ai singoli in forza del diritto UE; purché il tenore di tale protezione non si traduca in una discriminazione, rispetto alla tutela delle posizioni soggettive di matrice domestica. La Corte ne approfitta per consolidare la propria giurisprudenza circa i rapporti tra principio di autonomia processuale, principio di equivalenza, principio di effettività (v. CORTE GIUST. CEE, 16.12.1976, C-188/76, ReweZentralfinanz e Rewe-Zentral, infra, sez. III: ‘‘in mancanza di una specifica disciplina comunitaria, e‘ l’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro che [...] stabilisce le modalità procedurali delle azioni giudiziali intese a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza delle norme comunitarie aventi efficacia diretta, modalità che non possono, beninteso, essere meno favorevoli di quelle relative ad analoghe azioni del sistema processuale nazionale’’). Sub specie, si tratta di capire se la sospensione del procedimento individuale, nelle more del procedimento collettivo - scelta pianamente legittima, in astratto, in forza del principio di autonomia processuale -, sia NGCC 9/2016 misura sfavorevole, rispetto al trattamento di cui beneficino analoghe posizioni di matrice domestica (in violazione del principio di equivalenza); ovvero pregiudichi l’esercizio delle posizioni soggettive riconosciute ai consumatori dall’Unione (in violazione del principio di effettività). L’ordinamento processuale spagnolo supera la prova dell’equivalenza: non c’è discriminazione tra posizioni attribuite dal diritto interno e posizioni attribuite dal diritto dell’Unione; la tutela garantita è la medesima: l’art. 43 del codice di procedura spagnolo si applica alle controversie vertenti sul diritto spagnolo al pari di quelle inerenti al diritto dell’Unione. A differenti esiti porta il test successivo. L’effettività della norma processuale va misurata esaminando la funzione della medesima norma in relazione al procedimento, alla luce dei princı̀pi sui quali si poggi il sistema giurisdizionale nazionale (diritto di difesa e, particolarmente qui, certezza del diritto e forza del giudicato: cosı̀ la consolidata giurisprudenza a partire da CORTE GIUST., 14.12.1995, C-312/93, Peterbroeck, infra, sez. III). L’interpretazione dell’articolo 43 della Ley de enjuiciamiento civil, offerta dal giudice del rinvio sulla scorta delle particolari circostanze del caso, obbliga alla sospensione del procedimento individuale; al consumatore che non intervenga adesivamente al procedimento collettivo viene sottratta la possibilità di ottenere tutela immediata in un procedimento individuale. Ricordata la eterogeneità tra azione individuale ed azione collettiva (diverse complementari ed indipendenti, nelle parole dell’Avvocato generale, cui la Corte mostra di aderire - cfr. le Conclusioni, al punto 68), la Corte ravvisa una interferenza intollerabile all’applicazione del diritto dell’Unione. Due le criticità più cospicue: il consumatore rimane vincolato al giudizio collettivo, pur non avendovi preso parte; e senza che il giudice del procedimento collettivo possa esaminare le circostanze del suo caso. Ancora, secondo l’interpretazione del giudice del rinvio, questi sarà comunque tenuto a sospendere il procedimento individuale, senza poter apprezzare l’opportunità della medesima sospensione (i.e., sospensiva obbligatoria e non discrezionale). Vieppiù che, anche quando il consumatore decidesse di associarsi al procedimento collettivo, affronterebbe eccessivi oneri: su tutti, la competenza territoriale attirata da un foro potenzialmente diverso da quello del proprio domicilio e la piatta adesione alle modalità in cui la associazione di consumatori abbia condotto la causa, senza la possibilità di introdurre altre domande; un mero intervento nel processo collettivo non regge il paragone con l’esercizio di un’azione individuale. Agli occhi della Corte la necessità processuale - di evitare il contrasto tra giudicati non può giustificare un simile deficit - sostanziale - di effettività, anche considerando la eterogeneità tra causa collettiva e causa individuale. Si rimette in dubbio, 1159 Sinergie Grafiche srl n Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Parte prima Sentenze commentate fondamentalmente, la stessa uniformità dei controlli propri dei procedimenti collettivi ed individuali: un sindacato generale ed astratto di una clausola abusiva, nel procedimento collettivo, un sindacato concreto in quello individuale; il giudice del secondo procedimento non dovrebbe essere direttamente influenzato dall’esito del primo - cosı̀ anche l’Avvocato generale, ai punti 55 e 72 (l’osservazione era del Governo spagnolo, v. il punto 35). È in questo senso che la sospensione obbligatoria del ricorso individuale del consumatore - avente ad oggetto l’impugnazione di una clausola abusiva in un contratto B2C -, nelle more di quello collettivo - avente ad oggetto la inibitoria dell’inserzione di clausole abusive nei contratti B2C -, con esclusione della possibilità, per il consumatore stesso, di dissociarvisi, mina l’effettività della tutela approntata ai consumatori dall’ordinamento spagnolo; e si produce in una violazione dell’art. 7 § 1 dir. n. 13/93 CEE. In positivo (cosı̀ preferiva esprimersi l’Avvocato generale nelle proprie conclusioni: v. punto 74), la sospensione del procedimento individuale a fronte della definizione di quello collettivo non pregiudica il diritto dell’Unione, in quanto il giudice non vi sia automaticamente obbligato (i.e., in quanto non ne possa considerare l’opportunità, in base alle circostanze del caso concreto) e nella misura in cui il consumatore sia libero di dissociarvisi. La Corte mostra di apprezzare il confronto tra le diverse interpretazioni sviluppatesi sub art. 43 del codice di rito: la sospensione contesa tra una concezione vincolante ed una facoltativa. Secondo la prima interpretazione (fatta propria dal giudice del rinvio) la stessa sospensiva del procedimento individuale è effetto necessario dell’art. 43 del codice di rito. Al contrario, secondo uno dei due ricorrenti (il sig. Sales Sinués), la Commissione ed il Governo spagnolo si tratta di un effetto facoltativo, attivabile ope iudicis a seconda delle circostanze (v. le conclusioni generali dell’Avvocato generale, punto 60). La dottrina della sospensione automatica ed obbligatoria non è mai compatibile con l’art. 7 § 1 dir. n. 13/93 CEE. La dottrina della sospensione facoltativa potrà esserlo, quando al consumatore sia consentito di dissociarsi dall’azione collettiva pregiudiziale. 3. Rapporti tra azione collettiva ed azione individuale nel rito italiano. Se il legislatore italiano individua in un’unica disposizione, sub art. 36 cod. cons., il rimedio individuale della nullità della clausola vessatoria, dedica un quadro più articolato al rimedio collettivo dell’inibitoria. È agli artt. 37 e 140 cod. cons., essenzialmente, che bisogna fare riferimento. La prima disposizione riguarda in via esclusiva le clausole vessatorie La seconda disposizione reca invece una disciplina cornice del rime- 1160 dio inibitorio collettivo, attivabile a fronte di qualsivoglia violazione di un interesse collettivo dei consumatori tutelato dal codice (la si è chiamata ‘‘inibitoria generalista’’, MINERVINI, 636, e 115 ss., infra, sez. IV): le due prescrizioni si trovano in relazione di specialità (ibidem). Volendo rintracciare la disciplina processuale, è all’art. 140 che va fatto riferimento; per quanto qui interessa, i rapporti tra azione individuale ed azione collettiva sono governati dal nono comma. Essenzialmente, la norma si limita ad un rinvio alle norme del codice di rito: agli istituti di litispendenza, continenza e connessione dei procedimenti. Nel caso di specie, sembrerebbe trattarsi di continenza - rectius, pregiudizialità meramente logica; per una definizione di pregiudizialità, MANDRIOLI - CARRATTA, 344, infra, sez. IV. Per una meditata ricostruzione dei rapporti processuali tra i due giudizi, rimando a DONZELLI, 794 ss., infra, sez. IV (si dibatte sull’attitudine della causa collettiva inibitoria a spiegare effetti sul procedimento individuale in materia di nullità - in dottrina si è lamentato proprio il silenzio della disposizione, a proposito dell’efficacia intersoggettiva del giudicato collettivo sul processo individuale: MINERVINI, 659). Effettivamente, occorre ricordare come né il Governo spagnolo né la Commissione ravvisassero, tra i ricorsi individuali di Sales Sinués e Drame Ba, e quello collettivo dell’associazione Adicae, un vero rapporto di pregiudizialità (sul solco di una giurisprudenza spagnola - è contesa l’interpretazione dello stesso art. 43 della ley de enjuciamiento -, v. le Conclusioni dell’Avvocato generale, ai punti 36 e s.). Il Governo spagnolo, in particolare, argomentava la differenza tra gli oggetti delle due cause, a partire dalla - sintomatica - differenza tra gli scrutini suscitati dai ricorsi: generale ed astratto, il controllo inerente all’azione collettiva; esclusivamente basato su circostanze concrete, il controllo relativo all’azione individuale. Tra siffatti giudizi, del tutto indipendenti l’uno dall’altro, non potrebbe correre reale pregiudizialità. Al più, sussisterebbe una pregiudizialità meramente ipotetica, tale da escludere una necessaria incidenza della domanda inibitoria su quella di nullità: tale da escludere, cioè, un obbligo, in capo al giudice, di sospendere la causa individuale (coerentemente con la ventilata natura facoltativa della sospensione ex art. 43). La Corte non prende posizione (né potrebbe farlo), circa i rapporti processuali tra azione collettiva ed azione individuale nel diritto interno: si limita a censurare l’interpretazione che obblighi il giudice a sospendere in forza della pregiudizialità - l’azione individuale, nelle more del procedimento collettivo. Delle due l’una: se manca tout court la pregiudizialità tra le due questioni, nulla quaestio, i due procedimenti correranno indipendenti senza bisogno che l’uno ceda il passo all’altro. Viceversa, se sussiste connessione, la sospensione del procedimento individuale deve essere facoltativa e mai NGCC 9/2016 Sinergie Grafiche srl Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. n Sentenze commentate Parte prima necessaria (il giudice deve poter apprezzare le circostanze del caso concreto). Il consumatore ricorrente, dal canto suo, deve poter dissociarvisi. III. I precedenti 1. Tutela individuale e tutela collettiva, azioni individuali ed azioni collettive. Per una panoramica sul rapporto tra consumatore e professionista, equilibrio formale e disequilibrio v. CORTE GIUST. CE, 27.6.2000, cause riunite da C240/98 a C-244/98, Océano Grupo Editorial SA, punto 27, in Eur. e dir. priv., 2000, IV, 1173 ss., con nota adesiva di ORESTANO; CORTE GIUST. CE, 26.10.2006, C-168/05, Mostaza Claro, in Riv. dir. proc., 2007, IV, 1086 ss., con nota adesiva di RICCI, punto 26; CORTE GIUST. CE, 6.10.2009, C-40/08, Asturcom Telecomunicaciones, punto 31, ibidem, III, 670 ss., con nota adesiva di RAITI; CORTE GIUST. UE, 15.3.2012, Perenicová e Perenic; CORTE GIUST. UE, 14.6.2012, C-618/10, Banco Español de Crédito, in I contratti, 2013, I, 16 ss., con nota critica di D’ADDA, punto 41; CORTE GIUST. UE, 26.4.2012, C-472/10, Nemzeti Fogyasztovedelmi Hatosag c. Invitel Tavkozlesi Zrt, in Foro it., 2013, IV, 170 ss., punto 34. A proposito della parità di armi tra associazioni di consumatori e professionisti, CORTE GIUST. UE, 5.12.2013, C-413/12, Asociación de Consumidores Independientes de Castilla y León, punto 50. Sulla azione collettiva inibitoria quale ‘‘mezz[o] adeguat[o] ed efficac[e] per far cessare l’inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e dei consumatori’’, v. sempre CORTE GIUST. CE, 27.6.2000, cit., punto 27; CORTE GIUST. CE, 24.1.2002, C-372/99, punto 15, Commissione c. Italia; CORTE GIUST. UE, 26.4.2012, C-472/10, cit., punti 35 s. 2. Principio di autonomia processuale, princı̀pi di equivalenza e di effettività. Sulla dialettica tra principio di autonomia processuale, principio di equivalenza, principio di effettività, rimando a CORTE GIUST. CEE, 16.12.1976, C-188/ 76, Rewe-Zentralfinanz e Rewe-Zentral, punto 5; CORTE GIUST. CE, 14.12.1995, C-312/93, punto 12; CORTE GIUST. CE, 7.1.2004, causa C-201/02, Wells, punto 67; CORTE GIUST. CE, 19.9.2006, cause riunite C392/04 e C-422/04, Germany e Arcor, punto 57; CORTE GIUST. CE, 15.4.2008, C-268/06, Impact, punti 4446; CORTE GIUST. UE, 30.6.2011, C-262/09, Wienand Meilicke, punto 55; CORTE GIUST. UE, 18.10.2012, C-603/10, Pelati d.o.o., punto 23; CORTE GIUST. UE, 21.2.2013, C-472/11, Banif Plus Bank; CORTE GIUST. UE, 14.3.2013, C-415/11, Mohamed Aziz, punto 50; CORTE GIUST. UE, 5.12.2013, C-413/ 12, Asociacion de Consumidores Independientes de NGCC 9/2016 Castilla y Leon, punto 30; CORTE GIUST. UE, 30.4.2014, C-280/13, Barclays Bank, punto 37; CORTE GIUST. UE, 19.6.2014, cause riunite da C-501/12 a C506/12, C-540/12 e C-541/12, Tomas Specht, punto 112; CORTE GIUST. UE, 6.10.2015, C-61/14, Orizzonte Salute - Studio Infermieristico Associato, punto 46; CORTE GIUST. UE, 15.10.2015, C-310/14, Nike European Operations Netherlands BV, punto 28; CORTE GIUST. UE, 29.10.2015, C-8/14, BBVA SA, già Unnim Banc SA, punto 24; CORTE GIUST. UE, 18.2.2016, C-49/14, Finanmadrid EFC SA, punto 40; CORTE GIUST. UE, 16.4.2016, C-495/14, Antonio Tita, punto 35; si v. anche le Conclusioni dell’avv. generale H. SAUGMANDSGAARD ØE, in C-119/15, Biuro podróży «Partner» Sp. z o.o, punto 41, n. 26. Circa i parametri che governano l’esame dell’effettività, CORTE GIUST., 14.12.1995, C-312/93, Peterbroeck, punto 14; CORTE GIUST. UE, 6.10.2009, C40/08, Asturcom Telecomunicaciones, punto 39, cit.; CORTE GIUST. UE, 5.12.2013, C-413/12, cit., punto 34; CORTE GIUST. UE, 3.4.2014, C-470/12, Pohotovost’, punto 51; CORTE GIUST. UE, 17.7.2014, C-169/ 14, Sánchez Morcillo e Abril Garcı́a, punto 34; CORTE GIUST. UE, 29.10.2015, C-8/14, BBVA, punto 26. Tutti i provvedimenti della Corte giust. UE citt. si trovano nel sito istituzionale: http://curia.europa.eu. 3. Rapporti tra azione collettiva ed azione individuale nel rito italiano. Non sono pervenuti precedenti interni che abbiano statuito circa la relazione tra nullità individuale ed inibitoria collettiva. Una recente ordinanza della Supr. Corte (CASS., ord. 19.2.2016, n. 3323, in DeJure) dà atto dei rilievi mossi in letteratura, circa gli ampi margini di miglioramento che ancora presenta l’assetto sub artt. 140IX e 140 bis (a proposito dell’azione collettiva risarcitoria). IV. La dottrina 1. Tutela individuale e tutela collettiva, azioni individuali ed azioni collettive. Sul rapporto tra azione di nullità ed azione inibitoria, in tema di diritto dei consumatori, nel senso di un’azione (i.e. tutela) collettiva ancillare verso un’azione (i.e. tutela) individuale, rimando alle considerazioni svolte da BARTOLOMUCCI - PETRILLO - VACCARELLA, I rimedi e la risoluzione stragiudiziale delle controversie, ne I diritti dei consumatori, a cura di ALPA, nel Trattato di diritto privato dell’Unione Europea, diretto da AJANI e BENACCHIO, Giappichelli, 2009, III, 2, 656; PALMIERI, La tutela collettiva dei consumatori, Giappichelli, 2011, 25 ss. Per un ultimo contributo, in ordine di tempo, rinvio allo studio di IURILLI, Interessi superindividuali e danno collettivo, Giuffrè, 2016, 117 ss. A pro- 1161 Sinergie Grafiche srl n Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Parte prima Sentenze commentate posito della tutela collettiva del consumatore predisposta dall’ordinamento spagnolo, il rimando è a BUSTO LAGO, nel Comentario del texto refundido de la ley general para la defensa de los consumidores y usuarios y otras leyes complementarias, a cura di BERCOVITZ RODRÍGUEZ-CANO, Aranzadi, 2015, sub art. 53 del Código de Consumo, 640 ss.; cfr. altresı̀, ARIZA COLMENAREJO, La acción de cesación como medio para la protección de consumidores y usuarios, Aranzadi, 2012. Esaminano la relazione tra la tutela collettiva e la figura del consumatore CAPONE, Tutela collettiva: interessi protetti e modelli processuali, in Dall’azione inibitoria all’azione risarcitoria collettiva, a cura di BELLELLI, Cedam, 2012, 137 ss.; MINERVINI, Dei contratti del consumatore in generale, Giappichelli, 2014, 113 ss. Più in generale, sulla rielaborazione giurisprudenziale delle tutele del consumatore, v. PAGLIANTINI, La tutela del consumatore nell’interpretazione delle Corti, Giappichelli, 2012, 3 ss. 2. Principio di autonomia processuale, princı̀pi di equivalenza e di effettività. Il principio di autonomia processuale ha origini pretorie. Lo elabora la giurisprudenza della Corte di Giustizia, ricavandone i confini ‘‘in negativo’’ (il concetto è di TIZZANO, La tutela dei privati nei confronti degli Stati membri dell’Unione europea, in Foro it., 1995, IV, 27), dal rapporto con i princı̀pi di equivalenza e di effettività. Appare del tutto pertinente, in questo senso, l’analisi di chi accosta principio di autonomia processuale e principio di attribuzione; l’assenza di armonizzazione degli strumenti processuali risale al deficit di attribuzione comunitaria in materia: ‘‘non era il caso di cedere a tentazioni di protagonismo in un settore «sensibile» come quello della «giustizia», di gelosa prerogativa statuale, che gli autori del trattato avevano riservato all’autonomia dei legislatori nazionali’’, TROCKER, La carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea ed il processo civile, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2002, IV, 1189. Storicamente, i rinvii pregiudiziali avanzati dai giudici amministrativi hanno dato grande impulso al consolidamento dell’istituto: la primauté del diritto comunitario consentiva una disapplicazione diretta dei provvedimenti amministrativi lesivi del diritto comunitario, ma non più impugnabili? O piuttosto prevaleva l’autonomia processuale degli Stati membri, la sorte dei provvedimenti amministrativi ‘‘anticomunitari’’ consegnata alle regole processuali statali? La Corte di Giustizia ha avuto occasione di ribadire i confini del principio: per un’agile disamina circa i rapporti tra giustizia amministrativa e principio di autonomia processuale, FRACCASTORO, Autotutela, processo e diritto comunitario, in Corr. merito, 2013, III, 239 s.; GUELLA, La collocazione della funzione giurisdizionale nazionale nel quadro istituzionale europeo. Il giudice tra autonomia procedurale degli Stati membri e regime del giudicato interno in 1162 contrasto con il diritto dell’Unione, in Magistratura, giurisdizione ed equilibri istituzionali: dinamiche e confronti europei e comparati, a cura di TONIATTI e MAGRASSI, Cedam, 2011, 463 e la bibliografia indicata ivi, alla nota 5. 3. Rapporti tra azione collettiva ed azione individuale nel rito italiano. Per uno sguardo sulla tutela collettiva predisposta dal codice del consumo, rimando a MINERVINI, Contratti dei consumatori e tutela collettiva nel codice del consumo, in Contr. e impr., 2006, 635 ss. (l’a. descrive come ‘‘bipolare’’ l’assetto consegnato dagli artt. 37 e 140 del cod. cons., v. ivi, 636; più di recente, ribadisce l’assunto: ID., Dei contratti, cit., 115 ss.); BARENGHI, nel Codice del consumo, a cura di V. CUFFARO, Giuffrè, 2012, sub art. 37, 282 ss.; ARMONE, ibidem, sub art. 140, 726 e ss.; VULLO, nel Commentario breve al diritto dei consumatori, a cura di DE CRISTOFARO e ZACCARIA, Cedam, 2013, sub artt. 37 e 140, 418 ss. e 939 ss.; DE SANTIS, La tutela giurisdizionale collettiva, Jovene, 2013, 482 ss. Accedendo ad un versante più schiettamente processualistico, la letteratura rappresenta la continenza tra cause come una peculiare ipotesi di connessione oggettiva (comunanza di oggetto o titolo tra le domande, fattispecie positive sub artt. 31-36 del codice di rito): peculiare, per il legame di subordinazione di una causa verso l’altra, nel segno della pregiudizialità; per cui, l’esistenza di un determinato rapporto (la violazione del divieto di inserzione di clausole abusive) è pregiudiziale all’esistenza di una determinata posizione (la pretesa verso l’accertamento della nullità della clausola abusiva). Una domanda si inserisce nell’iter logico di un’altra questione: non si può decidere la seconda senza affrontare la prima. Rinvio a MANDRIOLI - CARRATTA, Diritto processuale civile. Nozioni introduttive e disposizioni generali, Giappichelli, 2016, I, 344, ed alla bibliografia ivi, in nota 210. Suscita dibattito l’attitudine del giudizio inibitorio ad influenzare il giudizio sulla clausola abusiva. Una dottrina la esclude, argomentando, al di là della relatività del giudicato, a partire dal deficit di connessione oggettiva tra causa individuale e causa collettiva (divergenti i profili oggettivi dei themata decidenda: divieto di inserzione di clausole abusive, contro la nullità delle stesse). Ad adiuvandum, si atteggerebbero del tutto eterogenei gli scrutinii sottesi ai due procedimenti: calato in una prospettiva generale, il sindacato del giudice nel processo collettivo; ancorato ad una specifica vicenda contrattuale, il sindacato nel processo individuale. Altra dottrina considera invece l’accertata abusività della clausola nel procedimento collettivo idonea ad influenzare l’accertamento dell’abusività nel procedimento individuale: per una esaustiva panoramica del dibattito, rinvio allo studio di DONZELLI, La tutela individuale degli interessi collettivi, Jovene, 2008, 794 ss. NGCC 9/2016 Sinergie Grafiche srl Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. n Sentenze commentate Parte prima n Contratti del consumatore CASS. CIV., IV sez., ord. 10.2.2016, n. 2687 – FINOCCHIARO Presidente – SCARANO Estensore – CAPASSO P.M. (concl. conf.). – Calistri (avv. Manenti) – Consorzio per la tutela del credito (avv. Di Rago) – Crif Spa (avv. Imperiali) CONTRATTI DEL CONSUMATORE – CONTROVERSIA IN MATERIA DI PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI – COMPETENZA TERRITORIALE – FORO DEL CONSUMATORE – APPLICABILITÀ (d. legis. 30.6.2003, n. 196, art. 152; d. legis. 6.9.2005, n. 206, art. 33) In tema di competenza territoriale, quando la tutela dei dati personali venga invocata nei confronti del titolare del trattamento nell’ambito di un rapporto di consumo, prevale il foro del consumatore. dal testo: Il fatto. Il sig. Massimiliano Callisti propone istanza di regolamento di competenza ex art. 42 c.p.c., sulla base di unico motivo illustrato da memoria, avverso l’ordinanza Trib. Pistoia 20/11/2014 declinatoria della propria competenza territoriale, in favore di quella ‘‘dei tribunali nel cui territorio hanno sede le singole parti convenute ex art. 152 d.lgs. 196/2003’’, in relazione a domanda dal medesimo proposta ex art. 702 bis c.p.c. nei confronti della società Consel s.p.a., del Consorzio per la tutela del Credito, della società C.R.I.F. s.p.a. e della società Experian Cerved Information Services s.p.a. di risarcimento dei danni lamentati in conseguenza dell’asseritamente ‘‘illecito trattamento dei propri dati, inerenti al mancato pagamento di alcune rate del contratto di finanziamento n. 1149750 stipulato con la Consel s.p.a. omettendo di procedere alle cancellazioni prescritte dall’art. 8 bis d.l. n. 70/2011’’. Declinatoria motivata argomentando dai rilievi che: ‘‘a) il contratto di finanziamento concluso dal C. con la Consel s.p.a. e richiamato nel ricorso introduttivo risulta essere stato espressamente concluso dal primo nella qualità di professionista..., né dal tenore della scrittura negoziale in atti è desumibile che l’attore lo avesse stipulato per scopi assolutamente estranei all’attività professionale...; b) l’attore non ha azionato alcuna pretesa con specifico riguardo al contratto di finanziamento intercorso con la Consel s.p.a.’’ sicché ‘‘non ricorre connessione alcuna tra le dedotte violazioni in tema di trattamento dei dati personali e l’adempimento delle obbligazioni scaturenti dal contratto di finanziamento personale e l’adempimento delle obbligazioni scaturenti dal contratto di finanziamento’’, con la conseguenza ‘‘che non sussistono le ragioni per ritenere sussistente e, dunque, prevalente, il c.d. foro del consumatore’’. Resistono con separate memorie difensive il Consorzio per la tutela del Credito e la società C.R.I.F. s.p.a. Con requisitoria scritta del 7/7/2015 il P.G. presso la Corte Suprema di Cassazione ha chiesto l’accoglimento dell’istanza di regolamento di competenza, con conseguentemente declaratoria della competenza del Tribunale di Pistoia. I motivi. Con unico complesso motivo l’istante denunzia ‘‘violazione e falsa applicazione degli artt. 38 c.p.c., 33 comma 2 lett. u), d.lgs. n. 206 del 2005, in riferimento all’art. 360, 1º co. n. 3, c.p.c.; nonché vizio di motivazione e travisamento dei fatti, in riferimento all’art. 360, 1º co. n. 5, c.p.c. NGCC 9/2016 Si duole che la declaratoria d’incompetenza di cui all’impugnato provvedimento sia stata dal giudice ‘‘tardivamente dichiarata d’ufficio’’, in quanto non emessa alla 1^ udienza, con conseguente radicamento della competenza in capo al giudice adito. Lamenta che il giudice abbia erroneamente ritenuto trattarsi nella specie di contratto di mutuo stipulato in qualità di professionista, e non già di consumatore, con conseguente erronea esclusione dell’operatività del foro del consumatore. Il motivo è fondato e va accolto nei termini di seguito indicati. Come questa Corte ha già avuto modo di affermare in tema di competenza territoriale, quando la tutela contro il trattamento dei dati personali nei confronti del titolare del trattamento venga invocata nell’ambito di un rapporto di consumo, come tale soggetto all’art. 33, lettera u), d.lgs. n. 206 del 2005, il foro previsto da tale norma prevale su quello individuato dall’art. 152 d.lgs. n. 196 del 2003, in quanto la sopravvenienza della prima disposizione ha derogato alla seconda con riguardo alle controversie sul trattamento dei dati personali, la cui titolarità origini da rapporti di consumo (v. Cass., 14/10/2009, n. 21814; e, conformemente da ultimo, Cass., 9/10/2015, n. 20304). Si è al riguardo altresı̀ precisato che quando il foro previsto dall’art. 10 d.lgs. n. 150 del 2011, in materia di trattamento dei dati personali nei confronti del titolare del trattamento, venga invocato nell’ambito di un rapporto di consumo, come tale soggetto al foro speciale della residenza o del domicilio del consumatore ex art. 33, lettera u), d.lgs. n. 206 del 2005, quest’ultimo prevale, in quanto stabilisce una competenza esclusiva, alla luce delle esigenze di tutela, anche sul terreno processuale, che sono alla base dello statuto del consumatore, sicché la competenza del tribunale del luogo in cui ha la residenza il titolare del trattamento dei dati, sancita dall’art. 10, comma 2, d.lgs. n. 150 del 2011, cede di fronte a quella del foro del consumatore, la cui specialità continua a prevalere sulla specialità della disposizione testé menzionata, la quale ha invero carattere meramente ricognitivo della disciplina già racchiusa nell’art. 152 d.lgs. n. 196 del 2003 (v. Cass., 12/3/2014, n. 5705). Gli argomenti addotti dalle odierne resistenti, e in particolare dal Consorzio, si appalesano invero inidonei ad indurre a riconsiderare il maturato indirizzo ermeneutico, sostanzialmente riproponendo argomenti da questa Corte già vagliati e disattesi per addivenire in particolare all’arresto del 2009. 1163 Sinergie Grafiche srl n Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Parte prima Sentenze commentate Orbene, rilevata anzitutto la tempestività dell’impugnato provvedimento, che alla stregua degli atti risulta emesso nei limiti temporali ex art. 38 c.p.c., va per altro verso osservato che diversamente da quanto ivi affermato dal giudice del merito, dalla disamina degli stessi non è dato evincere che il contratto di mutuo de quo sia stato dall’odierno ricorrente stipulato non già nella veste di consumatore bensı̀ di professionista, stante il tenore letterale del medesimo e avuto in particolare riguardo alla circostanza che il contratto risulta intestato alla persona presso la sua abitazione di via (...) (come confermato dalla circostanza che il carteggio intervenuto tra le parti in relazione alla vicenda de qua è stato ivi indirizzato dalla stessa controparte società Consel s.p.a., e non già presso l’indirizzo dello Studio di consulenza del medesimo in via (...), l’indicazione ‘professionista’ risultando meramente formulata, a meri fini enunciativi, nel riquadro dedicato alla ‘‘Qualifica/Professione attuale’’ dal mede- simo svolta), non recando nemmeno la partita I.V.A. o altre indicazioni fiscali relative all’esplicazione di attività professionale o imprenditoriale. Deve porsi ulteriormente in rilievo che le convenute all’epoca eccipienti - e in particolare le odierne resistenti non hanno d’altro canto al riguardo assolto all’onere su di esse gravanti di provare che al contratto non si applichi il foro del consumatore (cfr. con riferimento a differenti ipotesi, Cass., 20/3/2010, n. 6802; Cass., 20/8/2010, n. 18785; Cass., 26/9/2008, n. 24262), la cui inapplicabilità non può nemmeno essere dichiarata d’ufficio dal giudice a svantaggio del consumatore (cfr. Cass., 3/4/2013, n. 8167; Cass., 16/04/ 2012, n. 5974). Va pertanto dichiarata la competenza nel caso del Tribunale di Pistoia, quale giudice del foro del consumatore. Spese rimesse. (Omissis) «Considerazioni a margine di un’ordinanza in tema di foro del consumatore» di Angelo Barba L’ordinanza in esame conferma la prevalenza del foro del consumatore su quello del titolare del trattamento dei dati personali. La motivazione offre anche la possibilità, movendo da due decisioni dell’Arbitro Bancario e Finanziario, di una breve riflessione a margine circa il problema del professionista c.d. ‘‘di rimbalzo’’. I. Il caso L’ordinanza in esame affronta, ancora una volta, la questione processuale sollevata dal conflitto tra norme di settore che individuano competenze esclusive. Da un lato, l’art. 152 d. legis. n. 196/2003 all’art. 152, comma 2º, che rinvia all’art. 10 d. legis. n. 150/2011, prevede la competenza del Tribunale del luogo in cui ha la residenza il titolare del trattamento dei dati; dall’altro, la lettera u) dell’art. 33 cod. cons. prevede, ancorché in maniera implicita, la competenza territoriale del giudice del luogo in cui il consumatore ha la residenza o il domicilio elettivo. Nel caso in esame l’istanza di regolamento di competenza veniva proposta all’interno di un giudizio originato da un contratto di finanziamento, in relazione al trattamento dei dati personali del debitore che non aveva pagato alcune delle rate. La qualificazione del finanziamento come rapporto di consumo induce la Corte a confermare il più che consolidato orientamento per cui prevale il foro del consumatore su quello del titolare del trattamento. II. Le questioni 1. Criterio temporale e criterio assiologico. La prevalenza del foro del consumatore su quello del titolare del trattamento dei dati costituisce principio 1164 ormai consolidato nella giurisprudenza che, tuttavia, viene motivato in maniera differente. L’ordinanza in esame preferisce evitare una scelta argomentativa precisa, limitandosi a ribadire, da un lato, la prevalenza del foro del consumatore ‘‘alla luce delle esigenze di tutela’’ del consumatore ed in considerazione, dall’altro, del ‘‘carattere meramente ricognitivo’’ della disposizione contenuta nell’art. 10 d. legis. n. 150/2011. In sostanza il giudice dimostra di percepire il senso ed il valore della differenza tra le motivazioni dei precedenti in termini, ma sceglie di mettere insieme i profili caratterizzanti le due differenti argomentazioni. Invero con l’ord. 14.10.2009, n. 21814 (infra, sez. III) la prevalenza del foro del consumatore su quello del titolare del trattamento veniva argomentato in base al criterio della successione delle leggi nel tempo: la specialità prevalente era individuata in base ad un criterio temporale. In tale direzione assume rilievo assai significativo, nell’ordinanza in esame, il carattere solo ricognitivo, non innovativo, dell’art. 10 d. legis. n. 150/2011. È proprio tale carattere ricognitivo che consente, in base all’argomentazione temporale, di riaffermare la prevalenza del foro del consumatore. La strategia argomentativa accolta dall’ord. 12.3.2014, n. 5705, infra, sez. III, invece, risolve il conflitto tra norme speciali, rispetto alla disciplina ge- NGCC 9/2016 Sinergie Grafiche srl Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. n Sentenze commentate Parte prima nerale contenuta nel codice di procedura civile, utilizzando un criterio assiologico formalizzato mediante il richiamo ad ‘‘una lettura costituzionalmente orientata delle disposizioni’’. È l’esigenza di assicurare effettività alla tutela a giustificare la prevalenza della regola processuale che implica il costo minore per il consumatore. L’alternativa tra criterio temporale ed assiologico nella soluzione del conflitto tra norme speciali sembra rivelare un profilo giuridico e culturale ben più esteso e profondo, che in questa sede può solo essere menzionato. Si tratta in realtà di riconoscere, mediante l’interpretazione orientata ai valori costituzionali, che il criterio cronologico non può essere utilizzato per risolvere antinomie tra norme speciali. Il dato formale, ossia l’equipollenza tra le fonti, non resiste alla necessità, imposta proprio dalla specialità della disciplina, di un bilanciamento tra le ragioni che giustificano le due differenti deroghe alla regola generale. 2. Foro esclusivo e qualificazione delle parti del contratto. Il presupposto sostanziale della questione processuale è costituito dall’art. 33, lett. u) cod. cons. Si tratta della regola per cui la clausola contrattuale che deroga alla competenza esclusiva del giudice del foro del consumatore è valida solo se non vessatoria (art. 34 cod. cons.). Si tratta di una norma che era già contenuta nell’art. 1469 bis, comma 3º, n.19, e che le Sezioni unite della Cassazione, con un’ordinanza del 2003, avevano interpretato nel senso dell’istituzione di una competenza territoriale esclusiva del giudice del luogo di residenza o domicilio elettivo del consumatore (CASS., sez. un., ord. 1º.10.2003, n. 14669, infra, sez. III). La qualificazione processuale della norma implicava, tra l’altro, il corollario per cui essa si applica alle cause iniziate successivamente all’entrata in vigore, ancorché derivanti da contratti stipulati in epoca anteriore. È questo, a bene vedere, il principio di diritto che viene affermato in maniera costante dalla giurisprudenza in termini della Cassazione e che trova, ancorché in modo indiretto e solo implicito, occasione di conferma nell’art. 66 bis cod. cons. Infatti, l’inderogabilità della competenza territoriale esclusiva, prevista da quest’ultima norma, si giustifica in considerazione del carattere precontrattuale delle informazioni. Il riferimento all’art. 33 cod. cons. introduce il delicato profilo della prova della trattativa individuale come requisito di validità della clausola che deroga alla competenza territoriale esclusiva. A riguardo la giurisprudenza è consolidata nel senso che al consumatore che eccepisca l’incompetenza territoriale incombe l’onere di allegare che trattasi di controversia concernente un contratto cui si applica NGCC 9/2016 la disciplina di tutela del consumatore; mentre è il professionista che deve raggiungere la prova della trattativa individuale, se vuole avvalersi della clausola di deroga. Occorre tuttavia chiarire che il problema della prova della trattativa individuale ai fini della validità della clausola di deroga già implica l’applicazione della disciplina del consumatore. Si tratta dell’applicazione dell’art. 34 cod. cons., che presuppone risolto in senso affermativo la questione se sia o meno applicabile al caso in esame la disciplina del consumatore. Ossia se il caso rientri o meno nell’ambito soggettivo di applicazione della regola. Vuol dirsi che l’interrogativo circa l’applicabilità o meno del foro del consumatore, e dunque della validità della clausola di deroga, presuppone, e non deve essere sovrapposta, con la diversa e antecedente questione relativa alla qualificazione delle parti del rapporto come consumatore e come professionista. A tal riguardo l’ordinanza in esame offre un modello argomentativo molto efficace sotto il profilo della chiarezza nella successione logica delle qualificazioni normative. La questione della vessatorietà viene affrontata dopo la qualificazione del contratto di finanziamento, quello da cui traeva origine il caso deciso, come contratto concluso tra un consumatore ed un professionista. Anche a tal riguardo è sul professionista che grava l’onere di dimostrare che la controparte non ha agito nella qualità di consumatore. Si tratta, a bene vedere, di una presunzione relativa di scopo di consumo che trova giustificazione nella medesima esigenza di effettività della tutela ricordata in precedenza. Nel caso in esame, proprio perché i resistenti, eccipienti nel giudizio di merito, non hanno raggiunto la prova che il contratto di finanziamento fosse stato concluso per fini che rientravano nell’attività professionale svolta dal finanziato, è possibile porre il problema relativo alla prova della trattativa individuale in applicazione dell’art. 34 cod. cons. Si tratta, in sostanza, del valore tecnico da riconoscere ad una definizione normativa, quella di consumatore, che è costruita solo sulla negazione della finalità imprenditoriale dell’azione svolta dalla persona fisica. In particolare, la finalità di consumo dell’azione non costituisce un elemento della fattispecie che delimita l’ambito soggettivo di applicazione della disciplina, è invece la sua negazione (scopi estranei), se provata dal professionista, che esclude l’applicabilità della disciplina. Un profilo di particolare rilevanza pratica, quest’ultimo, che l’osservatore può rintracciare anche in giurisprudenza, se prende in considerazione l’affermazione per cui ‘‘le ragioni di fondo della protezione’’ accordata al consumatore sono da individuare ‘‘in una presunzione di inesperienza, scarsa informazione e soprattutto debolezza 1165 Sinergie Grafiche srl n Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Parte prima Sentenze commentate contrattuale’’ nei confronti del professionista (contenuta in CASS., 12.3.2014, n. 5705, cit.). Nel giudizio di cassazione, il principio di autosufficienza del ricorso rende forse meno visibile l’aspetto che è stato adesso richiamato. Tuttavia le indicazioni utilizzate dal giudice di legittimità nell’ordinanza in esame, e cioè, da un lato, l’indicazione dell’abitazione privata del contraente, e dall’altro, l’assenza di indicazioni fiscali, costituiscono elementi di fatto dedotti dal ricorrente (consumatore), che nel giudizio di merito resisteva ad un’eccezione sollevata dalla controparte (professionista). 3. Breve riflessione a margine: il fideiussore come consumatore. Il riferimento alla definizione di consumatore e quindi all’ambito di applicazione soggettiva della disciplina di protezione, autorizza una breve riflessione a margine dell’ordinanza in esame. Si tratta, in particolare, di sottolineare come tale definizione, in maniera del tutto coerente all’approccio situazionale delle tutele, non ritrovi nella destinazione dei beni e dei servizi alla persona del consumatore una necessaria connotazione legale. In altri termini, la definizione di consumatore non autorizza l’interprete a riconoscere nella corrispettività tra le prestazioni una necessaria caratteristica del rapporto di consumo. In adesione a tale impostazione, una recente sentenza di legittimità ha affermato il principio per cui la nozione di consumatore deve essere intesa con riguardo ad una persona fisica che ha contratto obbligazioni per far fronte ad esigenze personali o familiari o della più ampia sfera attinente agli impegni derivanti dall’estrinsecazione della propria personalità sociale, dunque anche a favore di terzi. A riguardo, per altro, è del tutto irrilevante la circostanza che tale nozione sia riferita alla disciplina della situazione di indebitamento, dal momento che la definizione normativa contenuta nella l. n. 3/2012 non si discosta da quella del codice del consumo. Si tratta di una definizione che delimita un ambito applicativo in grado di includere non solo le ipotesi riconducibili al contratto a favore di terzo, ma anche quelle che rientrano nella figura del contratto con obbligazioni per una sola parte. In tale direzione, più che il fenomeno dell’assunzione cumulativa del debito o quella del terzo datore di ipoteca - pure di rilievo pratico assai significativo - occorre adesso menzionare la fideiussione e la necessità di superare un orientamento giurisprudenziale consolidato, che tuttavia è molto lontano dalla realtà del sistema positivo e dalla lettura che di questo offre anche la Corte di giustizia. Invero l’idea che la qualità di consumatore del fideiussore dipenda da quella del debitore garantito in 1166 ragione del carattere accessorio della garanzia personale, non solo contraddice l’impostazione situazionale della disciplina di origine europea, ma si discosta anche dalla motivazione della sentenza resa dalla Corte di Giustizia nel caso Dietzinger (CORTE GIUST. CE, 17.3.1998, C-45-96, infra, sez. III). Quest’ultima sentenza, che dovrebbe essere riletta e meditata con avvertita consapevolezza non solo della specificità della complessa questione pregiudiziale, ma anche delle caratteristiche del diritto nazionale da cui questa traeva origine, aveva utilizzato la categoria dell’accessorietà, ma sempre sul presupposto della (autonoma) qualificazione del fideiussore come consumatore. Si tratta di una vicenda e, più in generale, di un tema assai complesso che la personale riflessione cercherà di affrontare in altra sede, adesso può essere utile limitarsi a sottolineare come il problema del professionista ‘‘di riflesso’’ o ‘‘di rimbalzo’’ - sono queste le formule, in verità più suggestive che costruttive, utilizzate per evocare la questione giuridica appena esposta - sia stato affrontato in maniera differente in alcune decisioni dell’Arbitro Bancario e Finanziario. In particolare, nella decisione n. 205 del 7.4.2010 ed in quella n. 4109 del 26.7.2013, rese dal Collegio di Roma (entrambe infra, sez. III), vi è chiara consapevolezza della necessità di distinguere il profilo oggettivo immanente al collegamento tra garanzia personale e rapporto principale, da quello soggettivo che è caratterizzato dall’esigenza di tutela determinata dalla situazione tipizzata dal legislatore (contratto concluso fuori dei locali commerciali, contratto concluso a distanza, predeterminazione di clausole contrattuali). Tale consapevolezza, che tuttavia non riesce ancora ad emancipare la decisione dal limite giuridico e culturale che affligge l’orientamento consolidato nella giurisprudenza di legittimità, raggiunge un risultato che comunque acquisisce un significativo progresso in punto di effettività della tutela. Si distingue l’ipotesi in cui la fideiussione sia stata rilasciata per motivi che attengono al collegamento esistente tra la posizione del garante e l’attività professionale del debitore principale, da quella in cui la garanzia sia stata rilasciata per ragioni del tutto diverse ad esempio per motivi coniugali o parentali- che nulla hanno in comune con l’attività professionale del debitore garantito. Nell’impostazione, il discorso ancora non supera l’idea che una caratteristica strutturale dell’atto (accessorietà della fideiussione) possa determinare la qualificazione soggettiva della persona (consumatore); qualificazione che il legislatore, invece, collega alla negazione dell’attività di impresa ed alla situazione ritenuta meritevole di protezione. Ma si tratta comunque di un prezioso contributo che l’interprete deve raccogliere e sviluppare per costruire NGCC 9/2016 Sinergie Grafiche srl Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. n Sentenze commentate Parte prima modelli di decisione più coerenti al dato positivo ed alle effettive esigenze di tutela. Il riferimento esplicito al ‘‘rapporto coniugale’’ e, più in generale, la connotazione familiare della fideiussione, da un lato, si fa carico di una reale esigenza che era emersa anche nella complessa vicenda giurisprudenziale tedesca, quella da cui aveva tratto origine la richiamata sentenza Dietzinger, ma che non aveva trovato una compiuta risposta, in punto di tutela, sotto il profilo dell’applicabilità del §138 BGB in relazione all’abuso di dipendenza familiare; dall’altro, potrebbe aiutare a comprendere le ragioni dell’ atteggiamento della Corte di Giustizia anche nella decisione del caso Kindl (CORTE GIUST. CE, 23.3.2000, causa C-208/98) circa l’applicazione della disciplina del credito al consumo alla fideiussione. III. I precedenti 1. Criterio temporale e criterio assiologico. L’ord. 14.10.2009, n. 21814, in Foro it., 2010, I, 2442, applicava il principio lex posterior specialis derogat priori generali e, quindi, riteneva che il codice del consumo avesse derogato al codice in materia di protezione dei dati personali. Tale argomentazione conserva rilievo, nella ordinanza che si annota, in ragione della natura ricognitiva dell’art. 10, comma 2º, d. legis. n. 150/2011, che viene affermata già da CASS., 12.3.2014, n. 5705, in Mass. Foro it., 2014, e che l’ordinanza conferma. Tale ultima norma, invero, ha in sostanza confermato la disposizione in origine già contenuta nel comma 2º dell’art. 152 d. legis. n. 196/2003. Il criterio della successione delle leggi nel tempo è utilizzato anche da CASS., 9.10.2015, n. 20304, ivi, 2015. Nella motivazione di CASS., 12.3.2014, n. 5705, cit., si afferma invece che ‘‘di nessuna utilità... è il richiamo al criterio della successione delle leggi, contenuto nell’arresto 21814 del 2009’’ e ciò anche in considerazione di ciò, che la prevalenza del foro del consumatore ‘‘risponde ad una lettura costituzionalmente orientata delle disposizioni che la prevedono’’. Circa il riferimento all’interpretazione assiologicamente orientata v., nella decisione di una diversa questione di diritto, CASS., 17.9.2015, n. 18214, in Dir. civ. contemp., 2015, con un meditato commento di MODICA. 2. Foro esclusivo e qualificazione delle parti del contratto. Nel senso che l’art. 1469 bis, comma 3º, n. 19, cod. civ. istituisce la competenza territoriale esclusiva del giudice del luogo di residenza o domicilio elettivo del consumatore v. CASS., sez. un., ord. 1º. 10. 2003, n. 14669, in Foro it., 2003, I, 3298. Si v. anche CASS., 8.7.2015, n. 14288, in questa Rivista, 2015, I, 1106. NGCC 9/2016 Circa la prova della trattativa individuale v. CASS., 20.8.2010, n. 18785, ivi, 2011, I, 99; cfr. altresı̀ CASS., 20.3.2010, n. 6802, in Foro it. 2010, I, 2442 e la precedente CASS., 26.9.2008, n. 24262, ivi, 2008, I, 3528. 3. Breve riflessione a margine: il fideiussore come consumatore. La definizione di consumatore contenuta nell’art. 6, lett. b) l. 27.1.2012, n. 3 è identica, nella sostanza, a quella contenuta nell’art. 3, lett. a), cod. cons. Entrambe le definizioni sono costruite sul dato negativo dell’estraneità dell’azione all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta. Si v. CASS., 1º.2.2016, n. 1869, in Foro it., 2016, I, 1804. La giurisprudenza di legittimità è consolidata nel senso che il carattere accessorio della fideiussione incide sulla qualificazione soggettiva del fideiussore in termini di estensione della qualificazione del debitore garantito, v. CASS., 11.1.2001, n. 314, in Foro it., 2001, I, 891 e, tra le sentenze più recenti, CASS., 29. 11. 2011, n. 25212, in Mass. Giust. civ., 2011; CASS., 28.1.2015, n. 1627, in Guida al dir., 2015, fasc. 20, 74. Si v. anche CASS., 13.5.2005, n. 10107, in Mass. Foro it., 2005. La sentenza della Corte di Giustizia che decideva il caso Dietzinger è del 17.3.1998, C-45-96, in Foro it., 1998, IV, 129. Le decisioni dell’AB.F., Coll. Roma, 7.4.2010, n. 205 e 26.7.2013, n. 4109 sono reperibili sul sito istituzionale www.arbitrobancariofinanziario.it. La sentenza Kindl afferma il principio per cui la dir. n. 102/87 CEE deve essere interpretata nel senso che non rientra nel suo ambito di applicazione un contratto di fideiussione concluso a garanzia del rimborso di un credito, quando né il fideiussore né il beneficiario del credito hanno agito nell’ambito della loro attività professionale: CORTE GIUST. CE, 23.3.2000, C-208/ 98, in Foro it. 2000, IV, 201. IV. La dottrina 1. Criterio temporale e criterio assiologico. I temi della norma speciale e della soluzione del conflitto tra norme sono affrontati da ZORZETTO, La norma speciale. Una nozione ingannevole, Ets, 2010, passim, ma in part. 24 ss. e 84 ss.; sull’antinomia tra norme dei codici di settore v. ZOPPINI, Sul rapporto di specialità tra norme appartenenti ai codici di settore, in Riv. dir. civ., 2016, 136 ss. 2. Foro esclusivo e qualificazione delle parti del contratto. Circa il foro del consumatore si v., in generale, MONTICELLI, Il c.d. foro del consumatore e la vessatorietà della clausola di predeterminazione dell’organismo di me- 1167 Sinergie Grafiche srl n Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Parte prima Sentenze commentate diazione, in Contratti, 2011, 856; PISTILLI, L’inderogabilità del foro del consumatore e vessatorietà delle clausole difformi, ivi, 2013, 1168. Con riguardo all’interrogativo se l’art. 33 cod. cons. rilevi anche per le ADR, v. RECINTO, Foro del consumatore e clausole di predeterminazione dell’organismo ADR, in Nuove leggi civ. comm., 2016, 119. 3. Breve riflessione a margine: il fideiussore come consumatore. Il leading case del 2001 veniva commentato da DI MARZIO, Intorno alla nozione di consumatore nei contratti, in Giust. civ. 2001, 2151; DOLMETTA, Il fideiussore può anche essere consumatore, in www.dirittobancario.it, gennaio 2014. n Contratto in genere CASS. CIV., I sez., 24.3.2016, n. 5919 – NAPPI Presidente – DI MARZIO Estensore – SORRENTINO P.M. (concl. conf.). – Intesa Sanpaolo S.p.A. (avv. Negro) – M.S. (avv.ti Antonucci e Vassalle) – Conferma App. Milano 31.5.2012 CONTRATTO IN GENERE – FORMA – FORMA AD SUBSTANTIAM – CONDIZIONI (cod. civ., art. 1325) Il contratto formale in tanto si perfeziona ed acquista giuridica esistenza, in quanto le dichiarazioni di volontà che lo creano siano state formalizzate. dal testo: Il fatto. 1. - M.S. ha convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Milano San Paolo IMI S.p.A., poi Intesa Sanpaolo S.p.A. e, dopo aver premesso di avere, in data 13 giugno 1991, conferito mandato alla convenuta per la negoziazione di strumenti finanziari, sottoscrivendo, in data 30 marzo 2001, un ordine di acquisto di 753.000 obbligazioni ‘‘Repubblica Argentina 9,25% 99/2002’’, con un esborso di 774.600,60, titoli colpiti dal default argentino del 21 dicembre 2001, ha dedotto: a) la nullità dell’operazione in quanto posta in essere in assenza del contratto scritto di negoziazione di cui della L. n. 1 del 1991, art. 6 e D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23 e del regolamento Consob numero 11.522 del 1998; b) l’illecita sollecitazione all’investimento; c) l’omessa acquisizione dei dati concernenti l’esperienza e la propensione al rischio nonché l’omessa consegna del documento sui rischi generali; d) l’inadempimento all’obbligo informativo sulla specifica operazione; f) l’inadeguatezza dell’operazione non autorizzata ai sensi dell’art. 29 del citato regolamento; g) la violazione della normativa sui conflitti di interesse nonché del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21, comma 2; h) la violazione del dovere di informare dei gravi e reiterati declassamenti del rating argentino avvenuti nella seconda metà del 2001; ii) la responsabilità solidale della banca ex artt. 1228 e 2049 c.c., per il fatto del proprio dipendente responsabile dell’operazione e dei contestati inadempimenti. Su tali premesse, la M. ha concluso per la dichiarazione di nullità ovvero per l’annullamento o la risoluzione del contratto di investimento nelle predette obbligazioni con condanna della convenuta alla restituzione ovvero al risarcimento commisurato all’entità della somma investita. Intesa Sanpaolo S.p.A. ha resistito alla domanda. 2. - Il tribunale di Milano, con sentenza del 24 giugno 2008, ha rigettato la domanda e regolato le spese di lite. 3. - Contro la sentenza ha proposto appello la M., formulando cinque distinti motivi, il primo dei quali concernente 1168 la ritenuta inammissibilità, da parte del Tribunale, dell’eccezione di nullità dell’operazione per mancanza di un valido contratto scritto di negoziazione. 4. - Nel contraddittorio di Intesa Sanpaolo S.p.A., che ha resistito all’impugnazione, la Corte d’appello di Milano, con sentenza del 31 maggio 2012, in totale riforma della sentenza impugnata, ha dichiarato la nullità, per l’assenza di un valido contratto scritto di negoziazione, dell’operazione di investimento nei titoli di cui si è detto (Omissis) 5. - Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione Intesa Sanpaolo S.p.A. affidato a sei motivi. M.S. ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria. I motivi. (Omissis) 7.1. - I primi cinque motivi del ricorso possono essere simultaneamente esaminati, in ragione del loro collegamento, dal momento che tutti sono volti a sostenere, sebbene da diversi angoli visuali, la tesi del perfezionamento del ‘‘contratto quadro’’ pur in mancanza della produzione in giudizio della copia di esso sottoscritto dalla banca. Essi sono tutti infondati. 7.1.1. - L’ordine di acquisto di obbligazioni argentine di cui si discute ha avuto luogo nel vigore dell’art. 23 Tuf (D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58), sulla base di un ‘‘contratto quadro’’ del quale la M. ha dedotto la nullità per difetto del requisito formale - stipulato in epoca in cui era vigente la L. 2 gennaio 1991, n. 1. In particolare, l’originaria attrice ha agito in giudizio producendo il documento del 13 giugno 1991 recante il conferimento alla banca del mandato di negoziazione, predisposto sotto forma di lettera diretta alla stessa banca, mancante della sottoscrizione di quest’ultima, ma contenente la dicitura: ‘‘Prendiamo atto che una copia del presente contratto ci viene rilasciata debitamente sottoscritta da soggetti abilitati a rappresentarvi’’, seguita dalla sottoscrizione della M. Nel corso del giudizio analogo documento è stato prodotto dalla banca. 7.1.2. - Orbene, il citato art. 23 stabilisce che i contratti NGCC 9/2016 Sinergie Grafiche srl Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. n Sentenze commentate Parte prima relativi alla prestazione dei servizi di investimento debbano essere redatti per iscritto a pena di nullità, ma già della L. 2 gennaio 1991, n. 1, art. 6, lett. c, secondo quanto più volte ribadito da questa Corte, poneva il medesimo requisito di forma per la stipulazione del ‘‘contratto quadro’’ (Cass. 7 settembre 2001, n. 11495; Cass. 9 gennaio 2004, n. 111; Cass. 19 maggio 2005, n. 10598). Tale previsione, dettata, secondo la prevalente opinione, a fini protettivi dell’investitore (Cass. 22 marzo 2013, n. 7283), non è incompatibile con la formazione del contratto attraverso lo scambio di due documenti, entrambi del medesimo tenore, ciascuno sottoscritto dall’altro contraente. Non v’è difatti ragione di discostarsi dall’insegnamento più volte ribadito, secondo cui il requisito della forma scritta ad substantiam è soddisfatto anche se le sottoscrizioni delle parti sono contenute in documenti distinti, purché risulti il collegamento inscindibile del secondo documento al primo, ‘‘sı̀ da evidenziare inequivocabilmente la formazione dell’accordo’’ (Cass. 13 febbraio 2007, n. 3088; Cass. 18 luglio 1997, n. 6629; Cass. 4 maggio 1995, n. 4856). Ciò detto, vertendosi in tema di forma scritta sotto pena di nullità, in caso di formazione dell’accordo mediante lo scambio di distinte scritture inscindibilmente collegate, il requisito della forma scritta ad substantiam in tanto è soddisfatto, in quanto entrambe le scritture, e le corrispondenti dichiarazioni negoziali, l’una quale proposta e l’altra quale accettazione, siano formalizzate. E, insorta sul punto controversia, vale la regola generale secondo cui, con riguardo ai contratti per i quali la legge prescrive la forma scritta a pena di nullità, la loro esistenza richiede necessariamente la produzione in giudizio della relativa scrittura (Cass. 14 dicembre 2009, n. 26174). 7.1.3. - La stipulazione del contratto non può viceversa essere desunta, per via indiretta, in mancanza della scrittura, da una dichiarazione quale quella nella specie sottoscritta dalla M.: ‘‘Prendiamo atto che una copia del presente contratto ci viene rilasciata debitamente sottoscritta da soggetti abilitati a rappresentarvi’’. La verifica del requisito della forma scritta ad substantiam si sposta qui sul piano della prova (è la stessa banca ricorrente, del resto, a riconoscerlo), ove trova applicazione la disposizione dettata dal codice civile che consente di supplire alla mancanza dell’atto scritto nel solo caso previsto dall’art. 2725 c.c., comma 2, che richiama l’art. 2724 c.c., n. 3: in base al combinato disposto di tali norme, la prova per testimoni di un contratto per la cui stipulazione è richiesta la forma scritta ad substantiam, è dunque consentita solamente nell’ipotesi in cui il contraente abbia perso senza sua colpa il documento che gli forniva la prova del contratto. E la preclusione della prova per testimoni opera parimenti per la prova per presunzioni ai sensi dell’art. 2729 c.c., nonché per il giuramento ai sensi dell’art. 2739 c.c.. Interdetta è altresı̀ la confessione (Cass. 2 gennaio 1997, n. 2; Cass. 7 giugno 1985, n. 3435) quale, in definitiva, sarebbe la presa d’atto, da parte della M., della consegna dell’omologo documento sottoscritto dalla banca. D’altronde, la consolidata giurisprudenza di questa Corte esclude l’equiparazione alla ‘‘perdita’’, di cui parla l’art. 2724 c.c., della consegna del documento alla controparte contrattuale. Nell’ipotesi prevista dalla norma, difatti, il contraente NGCC 9/2016 che è in possesso del documento ne rimane privo per cause a lui non imputabili: il che è il contrario di quanto avviene nel caso della volontaria consegna dell’atto, tanto più in una vicenda come quella in discorso, in cui non è agevole comprendere cosa abbia mai potuto impedire alla banca, che ha predisposto la modulistica impiegata per l’operazione, di redigere il ‘‘contratto quadro’’ in doppio originale sottoscritto da entrambi i contraenti. È stato al riguardo più volte ripetuto che, in tema di contratti per cui è prevista la forma scritta ad substantiam, nel caso in cui un contraente non sia in possesso del documento contrattuale per averlo consegnato all’altro contraente, il quale si rifiuti poi di restituirlo, il primo non può provare il contratto avvalendosi della prova testimoniale, poiché non si verte in un’ipotesi di perdita incolpevole del documento ai sensi dell’art. 2724 c.c., n. 3, bensı̀ di impossibilità di procurarsi la prova del contratto ai sensi del precedente n. 2 di tale articolo (Cass. 26 marzo 1994, n. 2951; Cass. 19 aprile 1996, n. 3722; Cass. 23 dicembre 2011, n. 28639, la quale ha precisato che l’esclusione della prova testimoniale opera anche al limitato fine della preliminare dimostrazione dell’esistenza del documento, necessaria per ottenere un ordine di esibizione da parte del giudice ai sensi dell’art. 210 c.p.c.; per completezza occorre dire che c’è un precedente di segno diverso, Cass. 29 dicembre 1964, n. 2974, ma si tratta di un’affermazione assai remota, isolata e per di più concernente una fattispecie in parte diversa). 7.1.4. - Resta allora da chiedersi se la validità del ‘‘contratto quadro’’ possa essere ricollegata, come vorrebbe la banca ricorrente, alla produzione in giudizio da parte sua del medesimo documento ovvero a comportamenti concludenti posti in essere dalla stessa banca e documentati per iscritto. La ricorrente ha più volte richiamato, in proposito, nel ricorso per cassazione, l’autorità di Cass. 22 marzo 2012, n. 4564 (massimata ad altro riguardo) nella quale si trova affermato, con riguardo ad una vicenda simile, pure involgente la stipulazione di un contratto bancario da redigersi per iscritto: 1) che la dicitura contenuta nel documento mancante della sottoscrizione proveniente dalla banca, secondo cui ‘‘un esemplare del presente contratto ci è stato da voi consegnato’’, rendeva ragionevole affermare che l’esemplare consegnato recasse per l’appunto la sottoscrizione della banca; 2) che la costante giurisprudenza della Corte di cassazione, muovendo dalla premessa che nei contratti per cui è richiesta la forma scritta ad substantiam non è necessaria la simultaneità delle sottoscrizioni dei contraenti, ha più volte ribadito il principio secondo cui tanto la produzione in giudizio della scrittura da parte di chi non l’ha sottoscritta, quanto qualsiasi manifestazione di volontà del contraente che non abbia firmato, risultante da uno scritto diretto alla controparte, dalla quale emerga l’intento di avvalersi del contratto, realizzano un valido equivalente della sottoscrizione mancante; 3) che, nella specie considerata, anche in mancanza di una copia del contratto firmata dalla banca, l’intento di questa di avvalersi del contratto risultava comunque, oltre che dal deposito del documento in giudizio, dalle manifestazioni di volontà da questa esternate ai ricorrenti nel corso 1169 Sinergie Grafiche srl n Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Parte prima Sentenze commentate del rapporto, da cui si evidenziava la volontà di avvalersi del contratto (bastando a tal fine le comunicazioni degli estratti conto) con conseguenze perfezionamento dello stesso. Ritiene però la Corte che al precedente non possa darsi continuità. 7.1.4. - Questa Corte ha più volte ribadito che la mancata sottoscrizione di una scrittura privata è supplita dalla produzione in giudizio del documento stesso da parte del contraente non firmatario che se ne intende avvalere (Cass. 5 giugno 2014, n. 12711 ove si precisa che, per il perfezionamento dell’accordo è necessario non solo che la produzione in giudizio del contratto avvenga su iniziativa del contraente che non l’ha sottoscritto, ma anche che l’atto sia prodotto per invocare l’adempimento delle obbligazioni da esso scaturenti; Cass. 17 ottobre 2006, n. 22223; Cass. 5 giugno 2003, n. 8983; Cass. l luglio 2002, n. 9543; Cass. 11 marzo 2000, n. 2826; Cass. 19 febbraio 1999, n. 1414; Cass. 15 maggio 1998, n. 4905; Cass. 7 maggio 1997, n. 3970; Cass. 23 gennaio 1995, n. 738; Cass. 24 aprile 1994, n. 5868, ove si precisa che il principio non trova applicazione allorché il giudizio sia instaurato non nei confronti del sottoscrittore, bensı̀ dei suoi eredi; Cass. 28 novembre 1992, n. 12781; Cass. 7 agosto 1992, n. 9374; Cass. 24 aprile 1990, n. 3440; Cass. 7 luglio 1988, n. 4471; Cass. 11 settembre 1986, n. 5552, che ammette il principio solo quando il contraente invochi in proprio favore il contratto ed intenda farne propri gli effetti, e non quando la produzione in giudizio del documento esprima essa stessa la volontà contraria ad alcuni suoi contenuti, come quando sia effettuata al fine di dimostrare con la mancata sottoscrizione del documento la non avvenuta conclusione del contratto contenutovi; Cass. 18 gennaio 1983, n. 469; Cass. 8 novembre 1982, n. 5869; Cass. 23 aprile 1981, n. 2415, ivi, 1981, 2415; Cass. 8 gennaio 1979, n. 78). In generale, il ragionamento posto a sostegno di tale indirizzo si riassume in ciò, che la produzione in giudizio da parte del contraente che non ha sottoscritto la scrittura realizza un equivalente della sottoscrizione, con conseguente perfezionamento del contratto, perfezionamento che non può verificarsi se non ex nunc, e non ex tunc (ed infatti il contratto formale intanto si perfeziona ed acquista giuridica esistenza, in quanto le dichiarazioni di volontà che lo creano siano state per l’appunto formalizzate), tant’è che il congegno non opera se l’altra parte abbia medio tempore revocato la proposta, ovvero se colui che aveva sottoscritto l’atto incompleto non è più in vita nel momento della produzione, perché la morte determina di regola l’estinzione automatica della proposta (v. art. 1329 c.c.) rendendola non più impegnativa per gli eredi (in senso diverso sembra rinvenirsi soltanto Cass. 29 aprile 1982, n. 2707, secondo cui la produzione in giudizio del documento sottoscritto da una sola parte non determina la costituzione del rapporto ex nunc, ma supplisce alla mancanza di sottoscrizione con effetti retroagenti al momento della stipulazione). Va da sé che nel caso in discorso la produzione in giudizio del contratto da parte della banca, la cui sottoscrizione difetta, avrebbe determinato il perfezionamento del contratto solo dal momento della produzione, la quale, perciò, non può che rimanere senza effetti, per i fini della validità del successivo ordine di acquisto delle obbligazioni argentine, 1170 tale da richiedere a monte (e non ex post) un valido contratto quadro. D’altro canto, far discendere la validità dell’ordine di acquisto dal perfezionamento soltanto successivo del ‘‘contratto quadro’’, non è pensabile, stante il principio dell’inammissibilità della convalida del contratto nullo ex art. 1423 c.c.. Il che esime dal soffermarsi sull’ulteriore questione se la produzione da parte della banca possa determinare il perfezionamento del contratto, sia pure ex nunc, in presenza di una condotta quale quella posta in essere dalla M., la quale ha agito in giudizio per la dichiarazione di nullità dell’ordine di acquisto in mancanza di un valido ‘‘contratto quadro’’, avuto riguardo al rilievo che la domanda rivolta alla declaratoria di nullità è domanda di mero accertamento e, a differenza di quelle costitutive, quali quelle di annullamento o di risoluzione, non presuppone l’avvenuta conclusione del contratto. Per tali ragioni, dunque, il ‘‘contratto quadro’’ non può dirsi utilmente perfezionato (sı̀ da sorreggere il successivo ordine di acquisto) per effetto della sua produzione in giudizio da parte della banca. 7.1.5. - Il problema dell’anteriorità del perfezionamento del ‘‘contratto quadro’’ non si porrebbe, invece, se potesse attribuirsi rilievo alla volontà della banca di avvalersi del contratto desumibile dalle contabili, attestati di seguito, eccetera, di cui è menzione anche nella sentenza impugnata. Ma cosı̀ non è. In generale, nei contratti soggetti alla forma scritta ad substantiam, il criterio ermeneutico della valutazione del comportamento complessivo delle parti, anche posteriore alla stipulazione del contratto stesso, non può evidenziare una formazione del consenso al di fuori dello scritto medesimo (Cass. 7 giugno 2011, n. 12297). E, fin da epoca remota, questa Corte ha affermato che il documento ha valore, per i fini del soddisfacimento del requisito formale, ‘‘in quanto sia estrinsecazione diretta della volontà contrattuale’’ (Cass. 7 giugno 1966, n. 1495). La forma scritta, quando è richiesta ad substantiam, è insomma elemento costitutivo del contratto, nel senso che il documento deve essere l’estrinsecazione formale e diretta della volontà delle parti di concludere un determinato contratto avente una data causa, un dato oggetto e determinate pattuizioni, sicché occorre che il documento sia stato creato al fine specifico di manifestare per iscritto la volontà delle parti diretta alla conclusione del contratto (Cass. 1 marzo 1967, n. 453; Cass. 22 maggio 1974, n. 1532; Cass. 7 maggio 1976, n. 1594; Cass. 9 marzo 1981, n. 1307; 30 marzo 1981, n. 1808; 18 febbraio 1985, n. 1374; Cass. 15 novembre 1986, n. 6738; Cass. 29 ottobre 1994, n. 8937; Cass. 15 dicembre 1997, n. 12673; Cass. 6 aprile 2009, n. 8234; Cass. 30 marzo 2012, n. 5158; da ultimo Cass. 12 novembre 2013, n. 25424, secondo cui non soddisfa l’esigenza di forma scritta ad substantiam l’attestazione di pagamento sottoscritta dall’accipiens e dal solvens). Orbene, è di tutta evidenza che documentazione quale quella in questo caso depositata dalla banca (contabili, attestati di seguito, eccetera), indipendentemente dalla verifica dello specifico contenuto e della sottoscrizione di dette scritture (aspetti che nel caso di specie non risultano dal ricorso per cassazione), non possiede i caratteri della ‘‘estrinsecazione diretta della volontà contrattuale’’, tale da comportare il NGCC 9/2016 Sinergie Grafiche srl Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. n Sentenze commentate Parte prima perfezionamento del contratto, trattandosi piuttosto di documentazione predisposta e consegnata in esecuzione degli obblighi derivanti dal contratto il cui perfezionamento si intende dimostrare e, cioè, da comportamenti attuativi di esso e, in definitiva, di comportamenti concludenti che, per definizione, non possono validamente dar luogo alla stipulazione di un contratto formale. 7.2. - L’ultimo motivo è inammissibile. Secondo la banca ricorrente, in breve, costituirebbe abuso del diritto, da parte della M., l’essersi avvalsa dell’eccezione di nullità del ‘‘contratto quadro’’, poiché mancante del requisito della forma scritta, pur avendo esso avuto esecuzione per lunghi anni, nel corso dei quali la cliente aveva effettuato con successo investimenti per molti milioni di Euro, cosı̀ da neutralizzare l’unico investimento per cosı̀ dire ‘‘sbagliato’’, facendone ricadere le conseguenze sulla banca. In effetti, anche in dottrina si è sostenuto che una simile eccezione costituirebbe il mascheramento di un recesso di pentimento contra legem. E, talora, anche la giurisprudenza di merito, ha ritenuto di cogliere una sproporzione tra il rimedio azionato (la nullità dell’intero ‘‘contratto quadro’’) e il risultato pratico avuto di mira (il recupero della somma investita in titoli tossici). Qui, tuttavia, non occorre approfondire l’argomento e stabilire se la figura dell’abuso del diritto, in particolare sotto forma di abuso dell’eccezione di nullità, possa dirsi ricorrente, o se invece l’investitore abbia invocato la nullità proprio al fine per cui essa è prevista, per l’evidente considerazione che tale argomento non risulta essere stato mai affrontato nelle fasi di merito, non essendovene traccia nè nella sentenza impugnata e neppure nell’espositiva del fatto contenuta nel ricorso per cassazione. A tal riguardo trova dunque applicazione il principio secondo cui, qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass. 18 ottobre 2013, n. 23675). 8. - Le spese seguono la soccombenza. (Omissis) CASS. CIV., I sez., 11.4.2016, n. 7068 – NAPPI Presidente – DOGLIOTTI Estensore – DEL CORE P.M. (concl. diff.). – D.M.L. (avv.ti Capriolo e Pizzoli) – Banca Passadore & C. S.p.A. (avv.ti Marotta e Cataldo) – Cassa App. Genova 28.1.2011 CONTRATTO IN GENERE – CONCLUSIONE MEDIANTE SCAMBIO DI PROPOSTA E ACCETTAZIONE – FORMA – FORMA SCRITTA AD SUBSTANTIAM – CONDIZIONI (cod. civ., art. 1325) Il requisito di forma scritta ad substantiam richiede necessariamente che siano formalizzate le dichiarazioni negoziali di proposta ed accettazione. dal testo: Il fatto. D.M.L. proponeva ricorso D.Lgs. n. 5 del 2003, ex art. 19, nei confronti della Banca Passadore & C. SPA, chiedendo dichiararsi la nullità del ‘‘contratto di borsa’’, per vizio di forma, e la restituzione della somma di Euro 24.903,71, impiegata nell’acquisto di Bond Argentini. Costituitosi il contraddittorio, la banca chiedeva il rigetto della domanda. Il G.I. disponeva il mutamento del rito, assegnando i termini di cui all’art. 6 del predetto decreto legislativo. Con sentenza in data 03/07/2007, il Tribunale di Genova dichiarava la nullità per vizio di forma del contratto di acquisto dei Bond Argentini e condannava la convenuta alla restituzione della somma di Euro 24.903,71, ordinando all’attrice di restituire alla banca i titoli suindicati. Proponeva appello la banca. Costituitosi il contraddittorio, l’appellata ne chiedeva il rigetto. La Corte di Appello di Genova, con sentenza in data 28/01/11, in riforma della sentenza appellata, rigettava le domande della D.M. e la condannava a restituire le somme a lei versate dalla Banca, in esecuzione della sentenza del Tribunale. Ricorre per cassazione la D.M. Resiste, con controricorso, la banca (Omissis) I motivi. (Omissis) Passando all’esame dei motivi e delle NGCC 9/2016 questioni in essi trattate, va precisato che dall’atto di appello della banca e dalle conclusioni di essa contenute nella sentenza impugnata, emerge che la banca stessa intendeva che fossero rigettate tutte le domande formulate dalla D. M., con restituzione ad essa della somma trasferita alla cliente, in virtù della provvisoria esecutività della pronuncia di nullità del contratto. Nell’appello della banca era specificamente indicato che, in pendenza del termine per l’impugnazione, essa aveva dato esecuzione alla sentenza, con riserva di impugnarla, ricevendo in restituzione i titoli, e trasferendo, come si diceva, alla D. M. il prezzo di acquisto maggiorato degli interessi. Bene aveva fatto dunque il giudice a quo, rigettando le domande della D. M. a condannarla alla restituzione della somma, senza violazione alcuna dell’art. 112 c.p.c. Va altresı̀ precisato che le argomentazioni indicate dalla ricorrente, per cui la produzione in giudizio del contratto sostituirebbe la sottoscrizione solo nel caso che non fosse stata manifestata la volontà di revoca, e comunque determinerebbe il perfezionamento del contratto, ex nunc (nella specie, in tempo successivo agli acquisti de quibus) non sono capi della sentenza bensı̀ come si diceva, mera argomentazioni di diritto, prive di autonoma individualità. Non si può quindi parlare di passaggio in giudicato relativamente a tali profili. 1171 Sinergie Grafiche srl n Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Parte prima Sentenze commentate Va invece accolta la tesi della ricorrente che aveva tempestivamente eccepito la nullità del contratto quadro per vizio di formate non solo la nullità degli ordini di acquisto. Dal contenuto del ricorso ex art. 19 emergeva la richiesta di dichiarazione di nullità del ‘‘contratto di borsa’’ per assenza di sottoscrizione, richiesta ad substantiam, richiamandosi l’assenza di contratto scritto (violazione dell’art. 23 T.U.F.) e denunciandosi che non vi era stato alcun contratto di intermediazione nè alcun ordine scritto. Errata è dunque l’affermazione che l’odierna ricorrente avrebbe eccepito la nullità del contratto quadro in epoca successiva. Va dunque esaminato se, nella specie, il contratto di negoziazione debba ritenersi nullo. Esso è stato prodotto dalla banca e reca la sottoscrizione della ricorrente, ma non del rappresentante della banca stessa. Al momento della stipulazione erano vigenti la L. n. 1 del 1991, e il D.Lgs. n. 58 del 1998. Com’è noto, la L. n. 1 del 1991, art. 6, confermato dal D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23, introduceva il requisito di forma scritta ad substantiam per il contratto quadro (al riguardo Cass. N. 10598 del 2005; 11 del 2004). E’ appena il caso di precisare che tale requisito richiede necessariamente che siano formalizzate le dichiarazioni negoziali di proposta ed accettazione, in un unico contesto ovvero anche in tempi e contesti diversi. Sussistendo controversia, la prova dell’esistenza del contratto richiede necessariamente la produzione in giudizio della relativa, o delle relative scritture (Cass. N. 26174 del 2009). Al contrario, la stipulazione non può essere desunta, in via indiretta, da dichiarazioni di contenuto differente (ad es. di scienza, di ricognizione, ecc.). Nè potrebbero all’evidenza, sopperire prove testimoniali, per presunzioni, il giuramento o la confessione (tra le altre, al riguardo Cass. N. 2 del 1997). Orientamento consolidato di questa Corte (tra le altre: Cass. N. 22223 del 2006; n. 12711 del 2014) precisa che alla mancata sottoscrizione di una scrittura privata, può sopperirsi con la produzione in giudizio del documento stesso da parte del contraente non firmatario che se ne intende avvalere. La giurisprudenza suindicata afferma che la produzione in giudizio, realizza un equivalente della sottoscrizione, con conseguente perfezionamento del contratto ex nunc, salvo, in ogni caso, che l’altra parte abbia revocato la proposta ovvero sia deceduta, determinando la morte; l’estinzione automatica della proposta, che non sarebbe dunque impegnativa per gli eredi. Giurisprudenza altrettanto consolidata di questa Corte (tra le altre, Cass. S.U. n. 5395 del 2007) afferma che, dopo la stipulazione del contratto di negoziazione, gli ordini di acquisto e le operazioni di compravendita danno luogo ad atti sicuramente negoziali, ma non a veri e propri contratti, per di più autonomi rispetto all’originale contratto quadro di cui essi costituiscono attuazione ed adempimento. La nullità del contratto incide dunque sulla validità dei successivi ordini di acquisto stante anche l’esclusione di ogni forma di convalida del contratto nullo ex art. 1423 c.c. Pertanto, nella specie, la produzione in giudizio del contratto di negoziazione da parte della banca, non rende validi retroattivamente gli ordini di acquisto e le operazioni di compravendita de quibus, con la conseguente necessità di restituzione della somma impiegata dal cliente e dei titoli alla banca. Va pertanto accolto al riguardo il ricorso, rimanendo assorbita ogni altra questione proposta. Va cassata la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di Appello di Genova) in altra composizione, che pure deciderà sulle spese del presente giudizio di legittimità. (Omissis) [I due provvedimenti che precedono sono oggetto di commento in Parte Seconda, con Opinione di P. GAGGERO, p. 1220] n Famiglia CORTE COST., 7.4.2016, n. 76 – FRIGO Presidente – ZANON Relatore FAMIGLIA – RICONOSCIMENTO DI SENTENZE E PROVVEDIMENTI STRANIERI – ADOZIONE – ADOZIONE DEL FIGLIO MINORE DEL PARTNER – COPPIA DI PERSONE DELLO STESSO SESSO – ADOZIONE ‘‘INTERNA AD UNO STATO STRANIERO’’ – DISCIPLINA INTERNA DELL’ADOZIONE – QUESTIONE DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE – INAMMISSIBILITÀ (Conv. eur. dir. uomo, artt. 8, 14; Conv. Aja, 29.5.1993, artt. 23, 24; Conv. dir. fanciullo, 20.11.1989, art. 3; Cost., artt. 2, 3, 30, 31, 117; l. 31.5.1995, n. 218, artt. 29, 41, 64, 65, 66, 67; l. 4.5.1983, n. 184, artt. 35, 36 comma 4º, 44; d. p. r. 3.11.2000, n. 396, art. 95) È inammissibile - per difetto di motivazione sulla rilevanza in ordine all’esistenza della potestas iudicandi del giudice rimettente, e altresı̀ per erronea applicazione al caso in oggetto della disciplina in tema di adozione internazionale di minori - la questione di legittimità sollevata dal Tribunale rimettente in merito alla lamentata violazione degli artt. 35 e 36 della l. 4.5.1983, n. 184, nella parte in cui, come interpretati secondo diritto vivente, non consentono al giudice di valutare, nel caso concreto, se risponda all’interesse del minore adottato (all’estero), il riconoscimento della sentenza straniera che abbia pronunciato la sua adozione in favore del coniuge del genitore, a prescindere dal fatto che il matrimonio stesso abbia prodotto effetti in Italia (come per la fattispecie del matrimonio tra persone dello stesso sesso), in riferimento agli artt. 2, 3, 30, 31, 117 Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 Conv. eur. dir. uomo. 1172 NGCC 9/2016 Sinergie Grafiche srl Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. n Sentenze commentate Parte prima dal testo: Il fatto. 1.- Con ordinanza del 10 novembre 2014 il Tribunale per i minorenni di Bologna ha sollevato questioni di legittimità costituzionale degli artt. 35 e 36 della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia), «nella parte in cui - come interpretati secondo diritto vivente - non consentono al giudice di valutare, nel caso concreto, se risponda all’interesse del minore adottato (all’estero), il riconoscimento della sentenza straniera che abbia pronunciato la sua adozione in favore del coniuge del genitore, a prescindere dal fatto che il matrimonio stesso abbia prodotto effetti in Italia (come per la fattispecie del matrimonio tra persone dello stesso sesso)», per violazione degli artt. 2, 3, 30, 31 e 117 della Costituzione, quest’ultimo in riferimento agli artt. 8 e 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (d’ora in avanti «CEDU»), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848. 2.- Il giudice a quo riferisce di essere chiamato a definire un giudizio promosso dalla signora B.E.M., al fine di ottenere il riconoscimento della sentenza straniera di adozione deliberata, in data 22 gennaio 2004, dal Tribunale di Prima Istanza dello Stato dell’Oregon, Contea di Multnomah, negli Stati Uniti d’America, con la quale era stata disposta l’adozione piena della minore J.B.S.E. in favore della ricorrente, con responsabilità genitoriale congiunta a quella della madre biologica J.E.A. Il rimettente riferisce che la minore J.B.S.E. è nata da J.E.A. in data 4 ottobre 2003, in seguito ad inseminazione artificiale, allorché J.E.A. già conviveva con B.E.M., nell’ambito, dunque, di uno specifico progetto di genitorialità delle due madri (biologica e adottiva). Subito dopo la nascita di J.B.S.E., B.E.M. ha presentato domanda di adozione al Tribunale dello Stato dell’Oregon che, dopo aver accertato l’idoneità della richiedente a svolgere il ruolo di madre e l’idoneità del nucleo familiare ad ospitare la bambina, ne ha statuito appunto l’adozione. In seguito, in data 6 giugno 2013, J.E.A. e B.E.M. hanno contratto matrimonio agli effetti della legge degli Stati Uniti d’America. Il 27 marzo 2013 il Consolato Generale d’Italia con sede a San Francisco ha attestato che B.E.M., cittadina statunitense, è anche cittadina italiana per discendenza. L’intero nucleo familiare risiede ora a Bologna. Ricorda, infine, il giudice a quo che la ricorrente non ha presentato domanda finalizzata ad ottenere l’adozione di J.B.S.E., bensı̀ ha richiesto, anche in nome della figlia adottata, il riconoscimento, in Italia, del provvedimento statunitense di adozione della minore. 3.- Il Tribunale per i minorenni di Bologna ricorda, quindi, come i provvedimenti di adozione siano riconoscibili, in Italia, ai sensi dell’art. 41 della legge 31 maggio 1995, n. 218 (Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato), il quale rinvia agli artt. 64, 65 e 66 della medesima legge, ferme restando le norme speciali in materia di adozione dei minori (in particolare, gli artt. 35 e 36 della legge n. 184 del 1983). Con riferimento alla fattispecie oggetto del suo giudizio, il rimettente rileva che sussistono «tutte le condizioni di carattere procedurale e processuale» richieste dalla legge per il riconoscimento del provvedimento straniero, in quanto lo stesso si è perfezionato negli Stati Uniti NGCC 9/2016 d’America secondo legalità e sulla base della competenza dell’autorità adita. Ritiene, tuttavia, che, nel caso di specie, osti al riconoscimento della sentenza pronunciata all’estero la sua contrarietà all’ordine pubblico, limite previsto dalle disposizioni citate. Assume, infatti, il Tribunale che, sulla scorta di una lettura - «da ritenersi prevalente e maggioritaria, di fatto corrispondente a ‘‘diritto vivente’’» degli artt. 41 della legge n. 218 del 1995 e 44, comma 1, lettera b), della legge n. 184 del 1983 (relativo, quest’ultima disposizione, all’adozione, in casi particolari, del figlio del coniuge) - debba escludersi che un minore possa essere adottato da persona che sia coniuge del genitore nell’ambito di un matrimonio contratto all’estero tra persone dello stesso sesso, costituendo la necessaria diversità dei sessi un presupposto implicito e inderogabile della disciplina adottiva, «cosı̀ cogente da dovere essere collocato nell’ambito di quelli che si connotano per partecipazione all’area semantica dell’Ordine pubblico interno». Ad avviso del giudice rimettente, tale interpretazione delle disposizioni sopra citate costituirebbe l’approdo di un ‘‘diritto vivente’’ formatosi nell’applicazione degli artt. 35 e 36 della legge n. 184 del 1983. Viene ricordata, in particolare, una pronuncia della Corte di cassazione (sezione prima civile, 14 febbraio 2011, n. 3572), secondo la quale l’adozione disposta ai sensi dell’art. 36, comma 4, della legge n. 184 del 1983 - ossia l’adozione pronunciata all’estero su istanza di cittadini italiani che dimostrino, al momento della pronuncia, di avere soggiornato continuativamente nel Paese straniero e di avervi avuto la residenza da almeno due anni non avrebbe introdotto alcuna deroga al principio generale enunciato al comma 3 del precedente art. 35, ove si stabilisce che il riconoscimento del provvedimento di adozione di un minore pronunciato all’estero non può avere luogo ove contrario «ai principi fondamentali che regolano nello Stato il diritto di famiglia e dei minori». Tra questi principi secondo il giudice a quo - vi sarebbe anche quello secondo cui l’adozione è permessa solo a coniugi «uniti in matrimonio» ai sensi dell’art. 6 della legge n. 184 del 1983 (matrimonio che, nell’ordinamento italiano, è consentito solo a persone di sesso diverso). 4.- Tanto premesso, il Tribunale per i minorenni di Bologna ritiene di non potersi discostare dall’orientamento giurisprudenziale indicato. Al tempo stesso, afferma di non condividerlo, se applicato alla fattispecie oggetto del suo giudizio, trattandosi di genitori (per quanto dello stesso sesso) con ventennale convivenza, poi confluita in un matrimonio regolarmente celebrato all’estero, in cui il coniuge del genitore ha adottato il figlio di quest’ultimo. Il giudice a quo muove, infatti, dal presupposto che il matrimonio contratto all’estero tra persone del medesimo sesso non possa più essere considerato contrario all’ordine pubblico, in quanto detto matrimonio, nel nostro ordinamento, pur improduttivo di effetti giuridici, non sarebbe inesistente (è citata la sentenza della Corte di cassazione, sezione prima civile, 15 marzo 2012, n. 4184). Inoltre, il giudice a quo evoca alcune decisioni in cui la Corte europea dei diritti dell’uomo avrebbe affermato che la coppia formata da persone dello stesso sesso è da considerare ‘‘famiglia’’ (sentenza 24 giugno 2010, Schalk e Kopf contro Austria, e sentenza 19 febbraio 2013, X e altri contro Austria). Infine ricorda sempre il rimettente - la stessa Corte costituzionale 1173 Sinergie Grafiche srl n Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Parte prima Sentenze commentate avrebbe riconosciuto che la coppia omosessuale rientra tra le formazioni sociali tutelate dall’art. 2 Cost. (sentenza n. 170 del 2014). Il Tribunale per i minorenni di Bologna ritiene pertanto che la disciplina «in materia di riconoscimento dell’adozione perfezionatasi all’estero» sia censurabile sotto due distinti profili. In primo luogo, gli artt. 35 e 36 della legge n. 184 del 1983 violerebbero gli artt. 2 e 3 Cost., in quanto, per la sola omosessualità dei genitori, esse impedirebbero in modo assoluto alla famiglia formatasi all’estero di continuare ad essere ‘‘famiglia’’ anche in Italia. Il giudice a quo ricorda come la Corte costituzionale abbia affermato che, pur spettando al Parlamento, nell’esercizio della sua piena discrezionalità, individuare le forme di garanzia e di riconoscimento delle unioni omosessuali, è ad essa riservata la possibilità di intervenire a tutela di specifiche situazioni (sentenza n. 138 del 2010). Il rimettente, pur riconoscendo l’interesse dello Stato a non modificare il modello eterosessuale del matrimonio e della famiglia, ritiene che non possa essere totalmente sacrificato il contrapposto interesse della coppia omogenitoriale a che l’unione dei membri della famiglia non sia cancellata in modo completo e irreversibile. La questione non riguarda qui - precisa il Tribunale rimettente - il rapporto di coniugio tra persone dello stesso sesso, ma esclusivamente il rapporto genitoriale e l’interesse preminente del minore al suo riconoscimento. In secondo luogo, il giudice a quo ritiene che la disciplina censurata contrasti con gli artt. 2, 3, 30, 31 e 117 Cost., quest’ultimo in riferimento agli artt. 8 e 14 della CEDU, in quanto il divieto assoluto di riconoscimento della decisione straniera cancellerebbe «in modo netto e irrazionale» la possibilità, per il giudice italiano, di condurre un vaglio sull’effettivo interesse del minore, vanificando principi di matrice internazionale ed europea. Il rimettente, su tale aspetto, ricorda anzitutto i principi espressi in alcuni trattati internazionali: la Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176, in forza della quale «[i]n tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza sia delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente» (art. 3, comma 1); la Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, fatta a Strasburgo il 25 gennaio 1996, ratificata e resa esecutiva con legge 20 marzo 2003, n. 77; la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adottata a Strasburgo il 12 dicembre 2007 (art. 24, comma 2). Dai trattati in questione emergerebbe la necessità che, in ogni atto comunque riguardante il minore, il suo interesse debba sempre essere considerato preminente. Disposizioni come quelle censurate impedirebbero, invece, al giudice di verificare quale sia l’interesse del fanciullo e, dunque, si porrebbero in contrasto con l’art. 3 Cost., sotto il profilo della ragionevolezza, e con gli artt. 2, 30 e 31 Cost., che assicurano al minore il diritto fondamentale ad una famiglia. Inoltre, l’impossibilità di riconoscere il provvedimento di adozione, formatosi all’estero, in favore di una famiglia omogenitoriale, si paleserebbe in contrasto con gli artt. 8 e 14 della CEDU. Il giudice a quo ricorda i principi espressi dalla Corte EDU nella sentenza 19 febbraio 2013, X 1174 e altri contro Austria, e nella sentenza 28 giugno 2007, Wagner e J.M.W.L. contro Lussemburgo. In particolare, in quest’ultima decisione, la Corte EDU avrebbe riscontrato una violazione dell’art. 8 della CEDU da parte dell’autorità che si era rifiutata di riconoscere una sentenza straniera di adozione piena, poiché, quando si è già formata di fatto una famiglia, è inammissibile un rigetto della richiesta di riconoscimento della sentenza straniera che contrasti con l’interesse del minore nel caso concreto: la Corte EDU avrebbe, cioè, affermato che, «quando si è già formata di fatto una famiglia, è inammissibile un rigetto della richiesta di exequatur che contrasti con l’interesse del minore nel caso concreto». 5.- Espone, infine, il giudice a quo che le questioni prospettate sarebbero rilevanti, in quanto, in assenza di una declaratoria di illegittimità costituzionale delle norme censurate, sarebbe preclusa allo stesso rimettente una valutazione del superiore interesse del minore ad ottenere il riconoscimento, anche nell’ordinamento italiano, del vincolo di filiazione già regolarmente costituito per un ordinamento giuridico straniero. In assenza di una pronuncia di accoglimento - secondo il giudice a quo - il ricorso andrebbe senz’altro rigettato. 6.- Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha spiegato intervento nel presente giudizio di legittimità costituzionale con atto depositato il 17 febbraio 2015, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili per difetto di rilevanza. In particolare, l’Avvocatura generale dello Stato ritiene che il Tribunale per i minorenni di Bologna, omettendo la doverosa ricerca di una soluzione costituzionalmente orientata della fattispecie sottoposta al suo giudizio, avrebbe erroneamente trascurato la possibilità di riconoscere la sentenza straniera secondo una disposizione diversa da quelle censurate, e cioè l’art. 44, comma 1, lettera d), della legge n. 184 del 1983, la quale consente l’adozione «in casi particolari», avuto specifico riguardo alla «constatata impossibilità di affidamento preadottivo». Dopo aver ricordato che, sulla base di tale disposizione, è stata ammessa l’adozione internazionale da parte di una persona singola, quando la stessa corrisponda all’interesse del minore (è ricordata l’ordinanza della Corte costituzionale n. 347 del 2005), e assumendo che tale condizione rilevi «per analogia» anche nel caso di «persona same sex coniugata in altro Paese con il genitore biologico», l’Avvocatura generale dello Stato ritiene che, essendo ammessa l’adozione internazionale da parte di persona singola, dovrebbe a maggior ragione concludersi che possa essere riconosciuta una decisione in tal senso assunta dal giudice straniero. Né - secondo l’Avvocatura generale dello Stato - tale riconoscimento sarebbe impedito dall’obbligo, stabilito dall’art. 35, comma 3, della legge n. 184 del 1983, di osservanza dei principi fondamentali dell’ordinamento nazionale in materia di famiglia e minori. In particolare, riguardo al matrimonio contratto all’estero fra persone dello stesso sesso, la difesa del Presidente del Consiglio dei ministri ricorda che la Corte di cassazione, pur avendo escluso che tale matrimonio possa essere trascritto negli atti dello stato civile, avrebbe, tuttavia, riconosciuto come lo stabile nucleo fondato su una relazione omosessuale vanti un diritto alla protezione della NGCC 9/2016 Sinergie Grafiche srl Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. n Sentenze commentate Parte prima vita familiare ai sensi dell’art. 8 della CEDU, e che da ciò deriverebbe anche la possibilità di adire il giudice a tutela di specifiche situazioni (è citata la sentenza della Corte di cassazione, sezione prima civile, 15 marzo 2012, n. 4184). Tale indirizzo giurisprudenziale sarebbe armonico rispetto alle decisioni della Corte EDU (in particolare, alla sentenza 24 giugno 2010, Schalk e Kopf contro Austria). Sono, infine, richiamate anche le sentenze della Corte costituzionale n. 138 del 2010 e n. 170 del 2014, le quali avrebbero affermato la «rilevanza anche giuridica dell’unione omosessuale». D’altra parte - prosegue l’Avvocatura generale dello Stato - la questione dell’adozione ad opera di persone singole e quella della relazione matrimoniale non suscettibile di riconoscimento sarebbero contigue, ma non coincidenti, aprendosi spazi per la soluzione dell’una indipendentemente dalla disciplina della seconda. La giurisprudenza di merito avrebbe già applicato l’art. 44, comma 1, lettera d), della legge n. 184 del 1983 al caso dell’adozione, da parte di una donna, della figlia naturale della sua compagna e coniuge, in relazione ad un matrimonio celebrato all’estero (è citata la sentenza del Tribunale per i minorenni di Roma 30 luglio 2014, n. 299). La clausola dell’impossibilità dell’affidamento preadottivo - se interpretata tale impossibilità come causata da impedimenti di ‘‘diritto’’, oltreché da ostacoli ‘‘di fatto’’ sarebbe utilizzabile come «‘‘porta aperta’’ sui cambiamenti che la nostra società ci propone». Tale soluzione si imporrebbe a maggior ragione nei casi in cui si tratti solo di riconoscere un rapporto adottivo già istituito all’estero, quando essa appaia corrispondere agli interessi del minore preso in considerazione. Non sarebbe, infine, d’ostacolo alla soluzione proposta la decisione della Corte di cassazione secondo la quale non potrebbero essere trascritti nei registri dello stato civile provvedimenti esteri di adozione legittimante, se non con riguardo a coniugi uniti in matrimonio (sezione prima civile, 14 febbraio 2011, n. 3572). In quel caso - sempre secondo l’Avvocatura generale dello Stato - era stata rilevata la portata ostativa dell’effetto legittimante del provvedimento da trascrivere, ma non era stata esclusa la possibilità di riconoscere l’adozione del singolo con effetti non legittimanti. E, del resto, la Corte di cassazione avrebbe, in altra occasione, ammesso finanche la possibilità di adozioni legittimanti, se corrispondenti all’interesse del minore (è citata la sentenza della sezione prima civile, 18 marzo 2006, n. 6078). 7.- In data 16 febbraio 2015 l’associazione Avvocatura per i diritti LGBTI ha depositato «atto di costituzione e intervento nel giudizio di legittimità costituzionale», chiedendo che le questioni sollevate dal Tribunale per i minorenni di Bologna siano ritenute fondate. In apertura dell’atto, la citata Associazione riconosce che la giurisprudenza costituzionale tendenzialmente esclude l’ammissibilità dell’intervento di soggetti che non siano parti del giudizio principale o portatori di un interesse immediatamente inerente al rapporto sostanziale dedotto in giudizio. È sollecitata, però, un’apertura della giurisdizione costituzionale al contributo di enti esponenziali volti alla tutela di diritti fondamentali dei cittadini, come già avvenuto, in parte, grazie ad alcune decisioni della Corte costituzionale (sono citate le sentenze n. 45 del 2005, 76 del 2001 e 314 del 1992, nonché le ordinanze n. 250 del 2007 e n. 389 e n. 50 del 2004). La difesa e l’affermazione dei diritti delle persone omosessuali, NGCC 9/2016 bisessuali e transessuali, anche con riguardo specifico a giudizi celebrati innanzi alle Corti nazionali e sovranazionali, costituisce d’altra parte - osserva l’interveniente - uno specifico obiettivo statutario dell’Associazione. L’atto di intervento prosegue con una diffusa esposizione delle ragioni che imporrebbero il riconoscimento della sentenza statunitense cui si riferisce il giudizio principale, e comunque esponendo le ragioni che dovrebbero indurre la Corte costituzionale all’accoglimento della questione sollevata dal giudice a quo. I motivi. 1.- Il Tribunale per i minorenni di Bologna solleva questioni di legittimità costituzionale degli artt. 35 e 36 della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia), «nella parte in cui - come interpretati secondo diritto vivente - non consentono al giudice di valutare, nel caso concreto, se risponda all’interesse del minore adottato (all’estero), il riconoscimento della sentenza straniera che abbia pronunciato la sua adozione in favore del coniuge del genitore, a prescindere dal fatto che il matrimonio stesso abbia prodotto effetti in Italia (come per la fattispecie del matrimonio tra persone dello stesso sesso)», per violazione degli artt. 2, 3, 30, 31 e 117 della Costituzione, quest’ultimo in riferimento agli artt. 8 e 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (d’ora in avanti «CEDU»), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848. Gli artt. 2, 3, 30 e 31 Cost. sarebbero violati perché le disposizioni censurate determinerebbero un’irragionevole compressione del diritto fondamentale del minore alla conservazione del nucleo familiare in cui è stabilmente inserito. Le disposizioni censurate, inoltre, contrasterebbero con l’art. 117 Cost., in relazione agli artt. 8 e 14 della CEDU, nella parte in cui questi ultimi impediscono ad un’autorità pubblica di interferire nella vita familiare - e, in particolare, di ostacolare la vita familiare di un nucleo che si è già formato - salvo che tale ingerenza sia prevista dalla legge, persegua uno o più degli scopi previsti dalla norma convenzionale, e sia necessaria, in una società democratica, al fine di raggiungere tali finalità. 2.- In via preliminare, deve essere dichiarato inammissibile l’intervento dell’associazione Avvocatura per i diritti LGBTI. Tale associazione chiede che il suo intervento sia dichiarato ammissibile, in quanto la difesa e l’affermazione dei diritti delle persone omosessuali, bisessuali e transessuali, anche con riguardo a giudizi celebrati innanzi alle Corti nazionali e sovranazionali, costituisce uno specifico obiettivo statutario dell’associazione. Non può che essere ribadito, tuttavia, il costante orientamento di questa Corte, secondo il quale non possono partecipare al giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale i soggetti che non siano parti nel giudizio a quo, né siano titolari di un interesse qualificato, immediatamente inerente al rapporto sostanziale dedotto in giudizio (ex plurimis, da ultimo, in relazione alla richiesta di intervento da parte di soggetti rappresentativi di interessi collettivi o di categoria, sentenze n. 221, n. 178 e n. 37 del 2015, n. 162 del 2014; ordinanze n. 156 del 2013 e n. 150 del 2012). Nel caso in esame, appare evidente come la posizione giuridica di tale associazione non risulti suscettibile di essere pregiudicata in alcun modo dall’esito del giudizio di costituzionalità, in quanto il rapporto sostanziale dedotto in cau- 1175 Sinergie Grafiche srl n Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Parte prima Sentenze commentate sa concerne solo profili attinenti alla posizione dei soggetti privati parti del giudizio a quo. 3.- La questione è inammissibile, non già per gli argomenti addotti dall’Avvocatura generale dello Stato, peraltro inconferenti rispetto alle questioni di legittimità costituzionale sollevate, bensı̀ per le diverse ragioni di seguito illustrate. 3.1.- In primo luogo, trascurando di compiere una corretta ricognizione del quadro normativo di riferimento, il Tribunale per i minorenni affronta in modo contraddittorio la questione relativa all’esistenza della propria potestas iudicandi sulla fattispecie sottoposta a giudizio. Nel suo iter logico-argomentativo, il giudice rimettente opera, infatti, un immediato ma indistinto riferimento all’art. 41 della legge 31 maggio 1995, n. 218 (Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato), in tema di riconoscimento dei provvedimenti stranieri in materia di adozione. L’articolo appena citato, tuttavia, nei suoi due commi, prevede due ben diversi procedimenti per giungere a tale riconoscimento. Il comma 1 stabilisce, quale regola di carattere generale, un riconoscimento ‘‘automatico’’ dei provvedimenti stranieri in materia di adozione, attraverso il rinvio agli artt. 64, 65 e 66 della medesima legge, relativi, rispettivamente, alle sentenze straniere, ai provvedimenti stranieri e ai provvedimenti stranieri di volontaria giurisdizione. Il comma 2, invece, stabilendo che «[r]estano ferme le disposizioni delle leggi speciali in materia di adozione dei minori», opera un riferimento alla disciplina contenuta nella legge n. 184 del 1983 e dunque, anzitutto, agli artt. 35 e 36 di tale legge, i quali prevedono che il riconoscimento in parola sia subordinato ad un vaglio da parte del Tribunale per i minorenni. Il giudice a quo non distingue tra questi due diversi procedimenti di riconoscimento. Dapprima, infatti, egli afferma che la sentenza statunitense di adozione - che è chiamato a riconoscere - risponde a «tutte le condizioni di carattere procedurale e processuale» previste dagli artt. 64, 65 e 66 della legge n. 218 del 1995, quelle a cui rinvia il comma 1 dell’art. 41 della medesima legge; immediatamente dopo, però, aggiunge che l’adozione non può essere dichiarata efficace in Italia perché non risponde ai requisiti previsti dalla normativa interna in materia di adozione di minori, in particolare, a quelli previsti agli artt. 35 e 36 della legge n. 184 del 1983, richiamati dal comma 2 del citato art. 41. La contraddittorietà di tale percorso argomentativo risulta evidente, poiché l’applicazione della legislazione speciale in materia di riconoscimento della sentenza di adozione internazionale di minori - che richiede un previo vaglio giudiziale, ad opera del Tribunale per i minorenni - non può che escludere il contemporaneo rinvio alle disposizioni ordinarie sul riconoscimento ‘‘automatico’’ dei provvedimenti stranieri. La giustificazione che il giudice a quo fornisce in ordine all’esistenza della propria potestas iudicandi esibisce cosı̀ un difetto di motivazione sulla rilevanza: se egli avesse ritenuto che la sentenza straniera dovesse essere riconosciuta ‘‘in modo automatico’’, ai sensi del comma 1 dell’art. 41 della legge n. 218 del 1995, avrebbe dovuto dichiarare inammissibile la domanda, poiché, in tale ipotesi, il provvedimento straniero potrebbe essere direttamente presentato all’ufficia- 1176 le di stato civile per la trascrizione; se, invece, avesse adeguatamente motivato in ordine al fatto che la legge n. 218 del 1995 gli consentiva di svolgere un ‘‘giudizio’’ ai fini del riconoscimento della sentenza di adozione pronunciata all’estero, avrebbe dovuto fare riferimento unicamente all’art. 41, comma 2, della legge n. 218 del 1995 e alle pertinenti disposizioni della legge n. 184 del 1983. 3.2.- In realtà, richiamando la disposizione da ultimo citata, il giudice a quo ha erroneamente ritenuto applicabile al caso oggetto del suo giudizio la disciplina in tema di riconoscimento delle sentenze di adozione internazionale di minori, riconducendo la fattispecie da cui origina il giudizio principale all’art. 36, comma 4, della legge n. 184 del 1983, che estende il controllo giudiziale del Tribunale per i minorenni ad una particolare ipotesi di adozione di minori stranieri in stato di abbandono da parte di cittadini italiani. Tale disposizione - relativa al riconoscimento di decisioni di adozione assunte in Stati che risultano parti della Convenzione per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale, fatta a L’Aja il 29 maggio 1993, ratificata e resa esecutiva con legge 31 dicembre 1998, n. 476, o che abbiano stipulato specifici accordi bilaterali con lo Stato italiano - stabilisce che «[l]’adozione pronunciata dalla competente autorità di un Paese straniero a istanza di cittadini italiani, che dimostrino al momento della pronuncia di aver soggiornato continuativamente nello stesso e di avervi avuto la residenza da almeno due anni, viene riconosciuta ad ogni effetto in Italia con provvedimento del tribunale per i minorenni, purché conforme ai principi della Convenzione». Il rimettente, ricordando come la Corte di cassazione (sezione prima civile, 14 febbraio 2011, n. 3572) abbia ritenuto che, anche in tale ipotesi, il giudice debba verificare se la sentenza pronunciata all’estero contrasti con i «principi fondamentali che regolano nello Stato il diritto di famiglia e dei minori» - limite contenuto nel comma 3 dell’art. 35 - solleva le questioni di legittimità costituzionale in esame, assumendo che proprio quel limite impedirebbe il riconoscimento della sentenza pronunciata negli Stati Uniti d’America come un’adozione in casi particolari del figlio del coniuge (ai sensi dell’art. 44, comma 1, lettera b, della legge n. 184 del 1983) nell’ambito di una coppia dello stesso sesso. Queste, dunque, le ragioni del sollevato dubbio di legittimità costituzionale, che, peraltro, nel dispositivo dell’ordinanza di rimessione coinvolge, nella loro interezza, gli artt. 35 e 36 della legge n. 184 del 1983; mentre, nella motivazione, si appunta soltanto sul comma 4 dell’art. 36 e sul comma 3 dell’art. 35. La fattispecie da cui ha avuto origine il giudizio di costituzionalità non è, però, correttamente riconducibile all’art. 36, comma 4, della legge n. 184 del 1983. Il Tribunale per i minorenni di Bologna ritiene evidentemente determinante il fatto che la ricorrente sia - al momento del ricorso - cittadina italiana. Non considera, tuttavia, che, al momento dell’adozione, ella era solo cittadina americana e che l’adozione pronunciata negli Stati Uniti d’America nel 2004 riguardava una bambina di cittadinanza americana. Ha quindi erroneamente ricondotto la fattispecie oggetto del proprio giudizio ad una disposizione - appunto il citato art. 36, comma 4 - volta ad impedire l’elusione, da parte dei soli cittadini italiani, della rigorosa disciplina NGCC 9/2016 Sinergie Grafiche srl Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. n Sentenze commentate Parte prima nazionale in materia di adozione di minori in stato di abbandono, attraverso un fittizio trasferimento della residenza all’estero. L’inadeguata individuazione, da parte del giudice rimettente, del contesto normativo determina, dunque, un’erronea qualificazione dei fatti sottoposti al suo giudizio, tale da riverberarsi sulla rilevanza delle questioni proposte (ex plurimis, ordinanze n. 264 del 2015 e n. 116 del 2014). P.Q.M. La Corte Costituzionale dichiara l’inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 35 e 36 della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia), sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3, 30, 31 e 117 della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, dal Tribunale per i minorenni di Bologna, con l’ordinanza indicata in epigrafe. (Omissis) «Le sentenze straniere di stepchild adoption omogenitoriale. Il discrimine tra automaticità del riconoscimento e giudizio di delibazione» di Lucia Marzialetti* La nota commenta la recente sentenza della Corte costituzionale n. 76/2016, che ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità sollevata dal Tribunale dei minori di Bologna in ordine agli artt. 35 e 36 l. n. 184/1983, i quali non consentirebbero al giudice di valutare nel caso concreto se il riconoscimento del vincolo di filiazione già costituito in un Paese straniero corrisponda al best interest of the child. La sentenza, nonostante la pronuncia di inammissibilità, appare particolarmente interessante perché contribuisce a chiarire quale sia il rapporto tra norme generali di diritto internazionale privato e norme speciali in materia di adozioni internazionali, attraverso la delimitazione dell’ambito di applicazione dell’art. 41 l. n. 218/1995 in tema di riconoscimento di un provvedimento straniero di adozione. I. Il caso X e Y sono due cittadine americane dello stesso sesso che proseguono da oltre vent’anni una relazione di convivenza stabile. Nel 2004, volendo costituire un nucleo familiare più ampio, ricorrevano alle tecniche di inseminazione artificiale per dare vita a due figli. Subito dopo la nascita adottavano ciascuna il figlio dell’altra, in forza di un procedimento giurisdizionale svoltosi secondo le regole dello Stato dell’Oregon e a garanzia del primario interesse del minore. Nel 2013 X e Y contraevano regolare matrimonio nello Stato di Washington, formalizzando la loro unione ad ogni effetto della legge statunitense. A seguito di un evento luttuoso, la famiglia era costretta a trasferirsi a Bologna. Una delle due donne, X, è, infatti, anche cittadina italiana. Il soggiorno in Italia si protraeva più del previsto e X si rivolgeva al Tribunale per i minorenni di Bologna per ottenere il riconoscimento del provvedimento di adozione pronunciato in Oregon, cosı̀ da conferire la cittadinanza italiana anche alla minore Z (figlia biologica di Y) e altresı̀ conseguire in Italia lo status di genitore. Il giudice adito qualificava il caso di specie come ipotesi di riconoscimento di una sentenza di adozione internazionale ex art. 36, comma 4º, l. n. 184/1983, ritenendo determinante la circostanza secondo cui la ricorrente fosse, al momento della domanda, cittadina italiana. Il Tribunale osservava che, pur sussistendo «tutti i presupposti per il riconoscimento della sentenza», era, tuttavia, di ostacolo all’esperibilità del procedimento di cui agli artt. 64 ss. l. n. 218/1995 la circostanza secondo cui l’adozione fosse «germinata da una famiglia omogenitoriale», elemento che si porrebbe in contrasto con il divieto di violazione dell’ordine pubblico come individuato dall’ordinamento nazionale. Il giudice bolognese, quindi, rilevava ex officio il possibile contrasto degli artt. 35 e 36 l. n. 184/1983 con gli artt. 2, 3, 30, 31, 117 Cost. - quest’ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 Conv. eur. dir. uomo -, nella parte in cui impediscono di valutare in qual modo nel caso concreto possa essere realizzato l’effettivo interesse del minore e quindi come possa essere salvaguardato il diritto alla conservazione del nucleo familiare e alla prosecuzione dei legami e degli affetti. Il Giudice delle leggi ha ritenuto la questione inammissibile in considerazione della irrilevanza delle norme indicate dal Tribunale ai fini della decisione del giudizio a quo, dal momento che dette norme non erano applicabili alla concreta fattispecie in esame. La sentenza appare particolarmente interessante, perché, nonostante la pronuncia di inammissibilità, contribuisce a chiarire quale sia il rapporto tra norme gene- * Contributo pubblicato in base a referee. NGCC 9/2016 1177 Sinergie Grafiche srl n Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Parte prima Sentenze commentate rali di diritto internazionale privato e norme speciali in materia di adozioni internazionali, attraverso la delimitazione dell’ambito di applicazione delle due diverse tipologie di cui all’art. 41 l. n. 218/1995 in tema di riconoscimento di un provvedimento straniero di adozione. Inoltre, sebbene la questione (correttamente) non sia stata affrontata dalla Consulta, merita di essere esaminato anche il tema della ammissibilità nell’ordinamento italiano delle sentenze straniere di stepchild adoption omogenitoriale in relazione al limite dell’ordine pubblico. II. Le questioni 1. La corretta individuazione del quadro normativo di riferimento. Il rapporto tra regole di diritto internazionale privato e norme speciali in tema di adozioni internazionali. Dopo aver ripercorso il ragionamento svolto dal giudice bolognese, la Corte esamina la questione di costituzionalità sollevata. Con argomentazioni logiche e lineari (che forse si contrappongono a quelle contraddittorie del giudice remittente), la Corte dichiara la questione inammissibile seguendo un ragionamento che prende le distanze da quello proposto dall’Avvocatura Generale dello Stato, ritenendo le argomentazioni da questa addotte «inconferenti rispetto alle questioni di legittimità sollevate». Specificamente l’Avvocatura Generale, nel suo intervento, rimproverava al Tribunale bolognese di non aver cercato una soluzione che fosse costituzionalmente orientata. Una siffatta soluzione poteva essere rintracciata, ad avviso dell’Avvocatura, nell’istituto di cui all’art. 44, comma 1º, lett. d), l. n. 184/1983. La norma, infatti, essendo posta a chiusura del sistema (FERRANDO, 319, infra, sez. IV), si comporterebbe da clausola generale, consentendo l’adozione anche in tutti quei casi in cui l’impossibilità dell’affidamento preadottivo derivi da ragioni di diritto. Sarebbe conseguentemente ammissibile da un lato l’adozione da parte di persona singola e da parte di coppie same sex, dall’altro il riconoscimento di una sentenza dello stesso tenore pronunciata in un Paese straniero. Giova ricordare, per completezza dell’esposizione, che sul punto non vi è uniformità di pensiero in dottrina e in giurisprudenza. Gli interpreti propongono, infatti, due diverse interpretazioni della norma suddetta. Una prima corrente interpreta estensivamente i limiti posti dalla norma in esame e ritiene che «la constatata impossibilità dell’affidamento preadottivo» debba intendersi non solo come impossibilità di fatto, ma anche come impossibilità di diritto, la quale coinciderebbe con una generica impossibilità giuridica di procedere all’affidamento, dove, purtuttavia, risulta nell’interesse del minore provvedere al riconoscimento di rapporti di genitorialità. Si 1178 rileva anzitutto che il dato letterale della norma non prevede espressamente un limite fattuale alla impossibilità dell’affidamento, e che inoltre, «da un punto di vista funzionale, una lettura restrittiva ostacolerebbe in una molteplicità di situazioni il perseguimento dell’interesse del minore, che, invece, deve essere il principio ispiratore anche dell’adozione in casi particolari», come peraltro ribadito dall’art. 57, comma 1º, n. 2, l. n. 184/1983 (SCALERA, 591, infra, sez. IV). La lettura ampia dell’art. 44, comma 1º, lett. d), è stata accolta anche da una giurisprudenza recente e che guadagna sempre maggior credito (ex multis v. TRIB. MIN. ROMA, 22.9.2015; APP. ROMA, 23.12.2015, entrambe infra, sez. III), al fine di garantire l’adozione a vantaggio di minori che, pur non trovandosi in uno stato di abbandono, abbiano, tuttavia, un interesse al riconoscimento di legami genitoriali aggiuntivi (CORTE COST., 7.10.1999, n. 383, infra, sez. III). A tale impostazione si contrappone l’interpretazione restrittiva di quella dottrina che ritiene «palesemente contra legem» una lettura estensiva dell’art. 44, comma 1º, lett. d). Si rileva che un’estensione dell’ambito di applicazione della disciplina contrasterebbe con la funzione e la ratio della norma de qua, che è quella di «evitare la ‘‘istituzionalizzazione’’ di un minore abbandonato e garantirgli comunque un rapporto genitoriale, per quanto limitato sotto diversi profili, anche laddove non si riesca a conseguire il risultato dell’adozione piena» (cfr. BILOTTI, Il riconoscimento, infra, sez. IV). Inoltre, cosı̀ facendo, si correrebbe il rischio di un’indiscriminata apertura ad adozioni intese a sanare rapporti familiari di fatto precostituiti in altri ordinamenti (TOMMASEO, 275, infra, sez. IV). La Corte costituzionale, tuttavia, non scende nel merito della questione, ritenendola irrilevante per la soluzione del caso di specie, e anzi individua l’esistenza di due precise motivazioni determinanti l’inammissibilità, entrambe originate dall’errata ricognizione del quadro normativo di riferimento operata dal giudice bolognese. Il primo motivo di inammissibilità concerne il difetto di motivazione sulla rilevanza in ordine all’esistenza della potestas iudicandi da parte del giudice a quo. L’iter logico seguito dal Tribunale era viziato, ad avviso della Consulta, da un «indistinto riferimento» all’art. 41 l. n. 218/1995. Non era stato, infatti, tenuto in considerazione il fatto che la norma disciplini due diverse tipologie di riconoscimento: la tipologia di cui al comma 1º, che racchiude una regola di carattere generale e che prevede il riconoscimento automatico dei provvedimenti stranieri di adozione attraverso il rinvio agli artt. 64-67 della legge medesima; la tipologia prevista al comma 2º, che, invece, facendo salve le disposizioni sulle leggi speciali in materia, rimanda agli artt. 35 ss. della l. n. 184/1983, i quali prevedono un NGCC 9/2016 Sinergie Grafiche srl Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. n Sentenze commentate Parte prima apposito procedimento di delibazione ad opera dell’organo interno. Di talché, ove per la natura del provvedimento fosse stato possibile procedere a riconoscimento ex artt. 64 ss. l. n. 218/1995, il giudice remittente avrebbe più correttamente «dovuto dichiarare inammissibile la domanda di parte», perché il provvedimento è suscettibile di essere direttamente presentato all’ufficiale di stato civile ai fini della trascrizione, e soltanto in caso di diniego presentato davanti al Tribunale o alla Corte di Appello competenti (art. 95 d.p.r. n. 396/2000 e art. 67 l. n. 218/1995). In caso contrario, ove si fosse trattato di adozione internazionale, allora il giudice a quo avrebbe potuto esercitare un vaglio sul provvedimento straniero di adozione come previsto dalla normativa. Ne deriva logicamente che l’applicazione delle norme internazionali sul riconoscimento automatico del provvedimento straniero non può che escludere il contemporaneo rinvio alle disposizioni speciali in materia, e viceversa. Il legislatore, infatti, individua distintamente sia le autorità interne cui rivolgersi - in un caso l’ufficiale di stato civile, nell’altro il tribunale dei minori - sia l’oggetto del controllo - nell’un caso la conformità all’ordine pubblico, nell’altro la non contrarietà ai «principi fondamentali che regolano nello Stato il diritto di famiglia e dei minori» (art. 35, comma 3º, l. n. 184/1983). Ad avviso dei giudici costituzionali, invece, il Tribunale a quo non sembra aver colto la distinzione. È evidente, infatti, dal testo dell’ordinanza di rimessione, la volontà del giudice di ritenere applicabili al caso di specie sia il comma 1º dell’art. 41 (in quanto il provvedimento risponderebbe a «tutte le condizioni di carattere procedurale e processuale», tali da giustificare l’automaticità del riconoscimento), sia il comma 2º (rilevando, però, il mancato funzionamento del meccanismo poiché «l’adozione non risponde ai requisiti previsti dalla normativa interna di adozione di minori»). Appare palese, secondo la Corte, la contraddittorietà del percorso argomentativo. La fattispecie è, infatti, riconducibile alla tipologia di riconoscimento di cui al comma 1º dell’art. 41 l. n. 218/1995, trattandosi di un’adozione ‘‘interna ad uno Stato straniero’’ e non di un’adozione ‘‘internazionale’’. Il secondo motivo di inammissibilità interessa l’erronea applicazione al caso di specie della disciplina in tema di riconoscimento di sentenza di adozione internazionale di minori. L’errore deriva, ad avviso dei giudici costituzionali, dall’aver ricondotto la fattispecie nell’alveo dell’art. 36, comma 4º, l. n. 184/1983 - che disciplina l’ipotesi di adozione di minori stranieri in stato di abbandono da parte di cittadini italiani - sulla base della circostanza, determinante per il giudice a quo, che la ricorrente fosse al momento della domanda anche cittadina italiana. NGCC 9/2016 La fattispecie, sostiene la Consulta, «non è però riconducibile all’art. 36, comma 4º, l. n. 184/1983». Il caso di specie presenta, infatti, elementi di estraneità che valgono a giustificare l’applicazione al provvedimento straniero di adozione del complesso normativo di cui all’art. 41, comma 1º, l. n. 218/1995, e dunque degli artt. 64 ss. della medesima legge. Il provvedimento è stato, infatti, reso a favore di e tra cittadine americane, e, poiché ai fini della qualificazione della fattispecie deve rilevare non il momento di proposizione della domanda, ma il momento della pronuncia di adozione, ne discende la conseguente applicazione della normativa ordinaria sul riconoscimento di provvedimenti interni a Stati stranieri. Diversa è, inoltre, la ratio posta a base delle due normative: mentre l’art. 36, comma 4º, l. n. 184/ 1983 si propone di scoraggiare il ricorso a pratiche elusive della rigorosa normativa attraverso un fittizio trasferimento all’estero da parte di cittadini italiani (elusività che non può rintracciarsi nel caso di specie), gli artt. 64 ss. l. n. 218/1995, invece, intendono favorire la continuità delle situazioni giuridiche validamente costituite in ordinamenti stranieri. È stata questa confusa ricognizione del contesto normativo da parte del Tribunale ad aver determinato, ad avviso del Giudice delle leggi, il difetto di rilevanza delle questioni sollevate, e quindi la loro inammissibilità. Si segnala che tra i commentatori dell’ordinanza di rimessione del Tribunale di Bologna, una parte degli interpreti aveva già paventato la possibilità di una pronuncia di inammissibilità della questione per difetto di rilevanza: alcuni correttamente rilevando che l’applicazione delle norme internazionali sul riconoscimento automatico del provvedimento straniero (art. 41, comma 1º, l. n. 218/1995) non poteva che escludere il contemporaneo rinvio alle disposizioni speciali in materia (art. 41, comma 2º, l. n. 218/1995) (cfr. BILOTTI, Il riconoscimento) - ricostruzione peraltro fatta propria dalla stessa Corte Costituzionale nella pronuncia in commento; altri sulla base del diverso argomento secondo cui al Tribunale remittente residuasse in realtà una valutazione della corretta sussistenza dell’interesse del minore al riconoscimento, in quanto «l’oggetto del giudizio era l’adozione da parte di una single», fattispecie da cui, per analogia, potevano desumersi criteri e canoni applicativi per il riconoscimento del provvedimento di adozione (GATTUSO, infra, sez. IV). Altri annotatori dell’ordinanza di rimessione, invece, superando le questioni pregiudiziali di rito, avevano messo in evidenza esclusivamente il «ruolo che l’interesse del minore doveva avere quale controlimite rispetto ai divieti di genitorialità sul piano interno» (FERRARI, 392 ss., infra, sez. IV), e, ritenendo la disciplina legislativa italiana censurabile in quanto comportante un «sacrificio integrale della relazione tra minore 1179 Sinergie Grafiche srl n Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Parte prima Sentenze commentate e ricorrente» (LOCCHI, infra, sez. IV), auspicavano l’accoglimento da parte della Consulta della questione di illegittimità sollevata. 2. L’ammissibilità dei provvedimenti stranieri di stepchild adoption omogenitoriale nell’ordinamento italiano alla luce del canone dell’ordine pubblico. Nell’ordinanza che rimetteva la questione alla Corte Costituzionale, il giudice a quo dubitava altresı̀ della legittimità costituzionale della normativa italiana nella misura in cui l’ordine pubblico, presidiando all’unicità del modello familiare italiano, non permetteva la valutazione del best interest of the child nel caso concreto. Il giudice, tuttavia, non rimettendo specificamente alla valutazione della Consulta anche detta questione, rendeva ex lege impraticabile una pronuncia sul punto. Infatti, la circostanza per cui la questione fosse inammissibile sulla base di motivi prettamente di diritto, non permetteva alla Corte di vagliare nel merito il rapporto sostanziale dedotto in giudizio. Appare, tuttavia, opportuno, interrogarsi sulla conciliabilità del provvedimento straniero di adozione omogenitoriale con l’ordinamento italiano alla luce del principio dell’ordine pubblico. In via preliminare occorre ricordare che, secondo il costante insegnamento della Supr. Corte, l’ordine pubblico preso in considerazione ai fini internazional-privatisitci è quello internazionale, inteso come limite che gli ordinamenti interni pongono all’ingresso di provvedimenti e norme straniere, e che deve comporsi sia dei valori condivisi dalla comunità internazionale sia dei principi esclusivamente propri, purché fondamentali e irrinunciabili. Solo cosı̀ l’eccezione di ordine pubblico può conservare quel ruolo di filtro e garanzia della coerenza interna dell’ordinamento, e non di mero giudizio di valore (v. CASS., 6.12.2002, n. 17349; CASS., 26.11.2004, n. 22332; CASS., 22.8.2013, n. 19405; CASS., 11.11.2014, n. 24001; tutte infra, sez. III). In ordine alle risposte fornite al quesito di cui sopra si segnala una recente sentenza della Corte di Appello di Milano (APP. MILANO, 16.10.2015, infra, sez. III). La questione sottoposta al giudizio del Collegio concerneva una fattispecie analoga a quella posta davanti al Tribunale bolognese, tuttavia, i giudici milanesi proponevano una soluzione diversamente argomentata. Fin da subito veniva pronunciata la non contrarietà all’ordine pubblico dell’adozione omogenitoriale posta in essere nello Stato straniero, ritenendo che, alla luce del quadro normativo, «in un sistema plurale, di cui e‘ partecipe il nostro ordinamento, non può ignorarsi la sinergia che proviene dall’interazione delle fonti sovranazionali con quelle nazionali». La pronuncia si distingue per la novità delle argomentazioni. La Corte non riteneva l’adozione non 1180 contraria all’ordine pubblico in ragione della supremazia del best interest of the child, ma, separando le due questioni, pronunciava due autonome statuizioni. Da un lato reputava l’adozione conforme ad ordine pubblico in via autonoma, alla luce della normativa di riferimento, dall’altro riteneva il riconoscimento del provvedimento posto al suo esame altresı̀ rispondente al miglior interesse del minore. Rilevava il Collegio che il principio in parola è radicato nel nostro ordinamento (art. 3 Conv. dir. fanciullo 1989; art. 24 della Carta dir. UE; artt. 8 e 14 della Conv. eur. dir. uomo; art. 23 del reg. CE n. 2201/2003; l’art. 25 l. n. 184/ 1983) ed è posto a garanzia del rispetto del diritto del minore alla stabilità della vita familiare, a prescindere dalla composizione del nucleo parentale. Infatti, come la Cassazione ha recentemente affermato, «costituisce mero pregiudizio ritenere che sia dannoso per l’equilibrato sviluppo del bambino il fatto di vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale» (CASS., 11.1.2013, n. 601, infra, sez. III). Il best interest of the child potrebbe allora «limitare la possibilità degli Stati di chiudersi al riconoscimento di sentenze straniere di adozione, quando il rifiuto di concedere l’exequatur della sentenza costituisce un’interferenza con il diritto alla vita familiare protetto dall’art. 8 Conv. eur. dir. uomo - interferenza di cui andrà valutata la legittimità» (cfr. LOCCHI, infra, sez. IV). Sullo stesso tema, più recentemente, bisogna tener conto anche della pronuncia della Corte di Appello di Napoli, che ha specificato e delimitato l’area di intervento del giudice nazionale. Il Collegio in tale sede precisava che la valutazione dei presupposti dell’adozione compete interamente all’organo (straniero) cui l’adozione è richiesta, sicché al giudice italiano spetta il solo esame della conformità ad ordine pubblico del provvedimento reso. Egli, infatti, non deve compiere nuovamente una valutazione dei presupposti della pronunciata decisione alla luce dei principi nazionali, ma solo valutarne gli effetti in tema di consonanza con l’armonia interna (APP. NAPOLI, 5.4.2016, infra, sez. III). Emerge, dunque, sia in dottrina sia in giurisprudenza, la tendenza a riconoscere che l’ordine pubblico internazionale non possa costituire un ostacolo alla trascrizione di provvedimenti stranieri di adozione coparentale in coppia omogenitoriale, alla luce soprattutto della tutela dell’affidamento dei singoli rispetto alla conservazione e continuazione di diritti già acquisiti. Una parte della dottrina auspica che in questa materia il limite dell’ordine pubblico non assuma il concreto significato di una misura nazionale che impedisca gli effetti della libertà di circolazione - che i soggetti esercitano nell’accedere ad una disciplina vigente in un altro ordinamento - e quindi non si sottragga ad un giudizio di legittimità internazionale alla luce dei ca- NGCC 9/2016 Sinergie Grafiche srl Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. n Sentenze commentate Parte prima noni di proporzionalità e ragionevolezza (CAGGIA, 699, infra, sez. IV). In senso contrario si pongono, invece, quegli interpreti che ritengono fondamentale in materia un ricorso rigoroso all’eccezione di ordine pubblico, quale strumento di garanzia e salvaguardia della coerenza e dell’armonia dell’ordinamento nazionale. Il ragionamento muove dalla considerazione secondo cui «la possibilità di impedire il riconoscimento e l’attuazione in Italia di sentenze e provvedimenti stranieri che siano considerati produttivi di effetti contrari all’ordine pubblico» si pone a garanzia dell’ordinamento italiano e dei principi nazionali informatori del diritto di famiglia, di talché «non sembra invero dubitabile che il riconoscimento di stepchild adoption da parte di coniuge same sex del genitore biologico dell’adottato sia in grado di turbare l’armonia interna dell’ordinamento nazionale» (BILOTTI, Il riconoscimento). Non potendosi in Italia dar vita ad un rapporto di coniugio tra persone dello stesso sesso, l’accesso alla stepchild adoption è a priori irrimediabilmente precluso. Emergerebbe, inoltre, dal dato normativo un’opinione del legislatore contraria alla omogenitorialità, a garanzia del diritto del minore ad un rapporto parentale formato da due figure genitoriali «distinte e complementari». Il riconoscimento della pronuncia straniera di adozione omogenitoriale, quindi, «finirebbe inevitabilmente per turbare l’armonia del sistema, introducendo in esso una nota dissonante». Nel caso di specie l’eccezione di ordine pubblico avrebbe l’ulteriore funzione di evitare una inaccettabile discriminazione tra situazioni simili. Infatti, riconoscere il provvedimento straniero di adozione significherebbe attribuire giuridica rilevanza ad una situazione di adozione in contesto omogenitoriale, ancorché previamente costituitasi in un diverso Stato. Ne deriva che per evitare l’effetto discriminatorio tra la prosecuzione di un rapporto giuridicamente rilevante già costituitosi e la creazione nell’ordinamento italiano di uno stesso rapporto sostanziale, dovrebbe conseguentemente accettarsi nell’ordinamento la possibilità di costituzione ex novo di un rapporto adottivo omogenitoriale, con le inammissibili conseguenze che ne deriverebbero. In tal modo, infatti, il riconoscimento dell’omogenitorialità avverrebbe per vie traverse e surrettiziamente ad opera della giurisprudenza. III. I precedenti 1. La corretta individuazione del quadro normativo di riferimento. Il rapporto tra regole di diritto internazionale privato e norme speciali in tema di adozioni internazionali. In riferimento all’individuazione della corretta normativa da applicare al procedimento di riconoscimen- NGCC 9/2016 to di un provvedimento straniero di adozione omogenitoriale, unico precedente giurisprudenziale sembra essere APP. MILANO, 16.10.2015, in www.articolo29.it, la quale inquadra la fattispecie in esame (richiesta di trascrizione dell’adozione omogenitoriale pronunciata in Stato straniero a favore di X nei confronti del minore figlio biologico del coniuge) nell’ambito dell’art. 41, comma 1º, l. n. 218/1995, ritenendo di doversi procedere a riconoscimento automatico di cui agli artt. 64 ss. l. n. 218/1995. Il Collegio dichiara, quindi, l’efficacia nella Repubblica italiana dell’ordinanza di adozione e ordina all’ufficiale di stato civile di procedere alla trascrizione del provvedimento, poiché l’adozione è ritenuta non contraria al canone dell’ordine pubblico. In merito all’estensione dell’ambito di applicazione dell’art. 44, comma 1º, lett. d), l. n. 184/1983 - e limitatamente alla parte che in questa sede rileva - si segnala una pronuncia della Corte costituzionale, la quale per la prima volta ha rilevato che quando il minore gode già di vincoli parentali idonei, al fine di correttamente applicare il disposto di cui alla lett. c) odierna lett. d) - non è necessaria la constatazione della impossibilità di un affidamento diverso da quello in atto, perché la ratio della norma è quella di favorire il consolidamento di rapporti preesistenti mediante un’adozione effettiva, ancorché limitata negli effetti (CORTE COST., 7.10.1999, n. 383, in www.giurcost.org). Sul tema anche TRIB. MIN. ROMA, 22.9.2015 e APP. ROMA, 23.12.2015, entrambe in www.articolo29.it. Altresı̀ si segnala la recente CASS., 26.5.2016, n. 12962, supra, parte I, p. 1135, con commento in parte II di G. FERRANDO, p. 1213, che ha respinto il ricorso del procuratore generale avverso la pronuncia della Corte di Appello di Roma (APP. ROMA, 23.12.2015, cit.), confermando, quindi, l’accoglimento della domanda di adozione di una minore proposta dalla partner della madre. La Supr. Corte ha spiegato che l’adozione nei casi particolari prescinde da un preesistente stato di abbandono del minore e può essere ammessa sempreché, alla luce di una rigorosa indagine di fatto svolta dal giudice caso per caso, realizzi effettivamente il preminente interesse del minore. 2. L’ammissibilità dei provvedimenti stranieri di stepchild adoption omogenitoriale nell’ordinamento italiano alla luce del canone dell’ordine pubblico. La Corte eur. dir. uomo si è pronunciata sulla possibilità di far valere l’eccezione di ordine pubblico stabilendo che il margine di discrezionalità lasciato agli Stati al fine di proteggere i confini dei propri princı̀pi fondamentali deve arrestarsi laddove vengano in rilievo aspetti fondamentali dell’identità degli individui e dell’interesse superiore del minore (v. CORTE EUR. DIR. UOMO, 26.6.2014, ricc. 65192/11 e 65941/11, 1181 Sinergie Grafiche srl n Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Parte prima Sentenze commentate Mennesson c. Francia e Labassee c. Francia; CORTE 27.1.2015, ric. n. 25358/12, Paradiso e Campanelli c. Italia, reperibili sul sito www.echr.coe.int). Nel panorama italiano sul tema si v. CASS., 6.12.2002, n. 17349, in Arch. civ., 2003, 1081; CASS., 26.11.2004, n. 22332, in Mass. Giur. Lav., 2005, 6, 457, con nota di FRANZA; CASS., 22.8.2013, n. 19405, in Foro it., 2014, I, 2898; CASS., 11.11.2014, n. 24001, in questa Rivista, 2015, I, 235, con nota di BENANTI. Sul contenuto dell’interesse del minore, ex plurimis v. CORTE COST., 23.2.2012, n. 31, in Giur. cost., 2012, 384; TRIB. MIN. BOLOGNA, 21.3.2102, in www.articolo29.it, 18.9.2014, con nota di BATTAGLIA. In merito alla non contrarietà con l’ordine pubblico del riconoscimento di sentenza straniera di stepchild adoption omogenitoriale, v. CASS., 11.1.2013, n. 601, in Giur. it., 2013, 1038 ss., con nota di WINKLER; APP. MILANO, 16.10.2015, in www.articolo29.it, 10.12.2015; APP. NAPOLI, 5.4.2016, in Ilfamiliarista.it, 11.4.2016. Per una valutazione opposta e contraria, che ritiene il rapporto di coniugio quale presupposto per l’adozione e conseguentemente la violazione del principio dell’ordine pubblico in presenza di un’adozione in contesto omegenitoriale, v. CASS., 18.3.2006, n. 6078, in Dir. e giust., 2006, fasc. 16, 12; CASS., 14.2.2011, n. 3572, in Fam e dir., 2011, 701, con nota di ASTONE; TRIB. MIN. PIEMONTE E VALLE D’AOSTA, 11.9.2015, n. 258, in questa Rivista, 2016, I, 205, con nota di NOCCO. EUR. DIR. UOMO, del partner e omogenitorialità tra interpretazione del diritto vigente e prospettive di riforma, in Fam. e dir., 2016, 589; TOMMASEO, Sul riconoscimento dell’adozione piena avvenuta all’estero, del figlio del partner di una coppia omosessuale, ibidem, 275 ss.; BILOTTA, Omogenitorialità, adozione e affidamento famigliare, in Dir. fam. e pers., 2011, 1398 ss. Per un’analisi critica v. anche MIOTTO, Stepchild adoption omoparentale ed interesse del minore, in Dir. civ. cont., 5.6.2015. Per le opinioni dei commentatori dell’ordinanza di rimessione bolognese e in particolare sulla infondatezza della questione di illegittimità sollevata, v. BILOTTI, Il riconoscimento in Italia dei provvedimenti stranieri di stepchild adoption da parte del coniuge same sex del genitore biologico: Il Tribunale per i minorenni di Bologna solleva la questione di legittimità costituzionale degli artt. 35 e 36 della legge 184/1983, in Dir. civ. cont, I, 3, 2014; GATTUSO, Adozione negli U.S.A. da parte della co-madre: il Tribunale minori di Bologna invia gli atti alla Corte Costituzionale, in www.articolo29.it, 12.11.2014. Per diverse valutazioni sullo stesso punto v. FERRARI, I legami omogenitoriali formatisi all’estero all’esame del giudice delle leggi: come tutelare l’interesse del minore, in questa Rivista, 2015, I, 387; LOCCHI, Di cosa parliamo quando parliamo di best interest of the child: l’adozione coparentale nell’ambito di una coppia omosessuale al vaglio della Corte Costituzionale, nota a Trib. min. Bologna, ord. 10.11.2014, in www.diritticomparati.it, 2014,12; SCALISI, Le stagioni della famiglia nel diritto dall’unità d’Italia ad oggi, in Riv. dir. civ., 2013, 1296 ss. IV. La dottrina 1. La corretta individuazione del quadro normativo di riferimento. Il rapporto tra regole di diritto internazionale privato e norme speciali in tema di adozioni internazionali. Per un’approfondita analisi in merito alla disciplina delle adozioni internazionali, nella letteratura più recente v. ORLANDI, Le adozioni internazionali in Italia, Giuffrè, 2006, 323 ss., 443-467, 509-515, 520-522; BISIO, L’adozione internazionale di minori, Giuffrè, 2009, 87-92, 109-118. Sulla procedura di automatico riconoscimento, PIZZOLANTE, Le adozioni nel diritto internazionale privato, Cacucci, 2008, 175-288. Sul tema v. anche DAVÌ, voce ‘‘Adozione nel diritto internazionale privato’’, nel Dig. IV ed., Disc. priv., sez. civ., 1996, II, 385; ATTARDI, La nuova disciplina in tema di giurisdizione italiana e di riconoscimento delle sentenze straniere, in Riv. dir. civ., 1995, 6; BALLARINO, Manuale breve di diritto internazionale privato, Cedam, 2002, 180 ss; BONOMI, La disciplina dell’adozione internazionale dopo la riforma del diritto internazionale privato, in Riv. dir. civ., 1996, II, 385. Per una ricostruzione del dibattito in dottrina in ordine alla portata dell’art. 44, comma 1º, lett. d), l. n. 184/1983 v. SCALERA, Adozione incrociata del figlio 1182 2. L’ammissibilità dei provvedimenti stranieri di stepchild adoption omogenitoriale nell’ordinamento italiano alla luce del canone dell’ordine pubblico. Sul concetto di ordine pubblico e sulla sua estensione, v. ORLANDI, Le adozioni internazionali, cit., 318 s.; FERACI, L’ordine pubblico nel diritto dell’Unione Europea, Giuffrè, 2012, 11 ss.; C. IRTI, Digressioni attorno al mutevole ‘‘concetto’’ di ordine pubblico, in questa Rivista, 2016, II, 481. Sulla funzione dell’eccezione di ordine pubblico quale limite al riconoscimento di sentenze straniere, v. MOSCONI, Diritto internazionale privato e processuale. Parte generale e contratti, 7 ed., Utet, 2002, 100 ss. Sul contemperamento dell’eccezione di ordine pubblico con gli altri principi fondamentali, sempre ORLANDI, op. cit., 317 ss.; CAGGIA, La convivenza, in Diritto della famiglia, a cura di PATTI e CUBEDDU, Giuffrè, 2011, 683 ss.; RESCIGNO, Relazione introduttiva, nel Convegno dell’Unione dei civilisti italiani ‘‘Giurisprudenza per principi e autonomia privata’’, tenutosi nell’Università degli Studi Roma Tre, 2015; MOROZZO DELLA ROCCA, La riforma dell’adozione internazionale, Utet, 1999, 87 ss., contro un uso «eccessivamente disinvolto della clausola di ordine pubblico»; LOCCHI, Di cosa NGCC 9/2016 Sinergie Grafiche srl Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. n Sentenze commentate Parte prima parliamo, cit.; FERRANDO, Diritti delle persone e comunità familiare nei recenti orientamenti della Corte Europea dei diritti dell’uomo, in Fam. pers. e succ., 2012, 284 ss.; CAMARDI, Diritti fondamentali e status della persona, in Riv. crit. dir. priv., 2015, 31 ss. Sull’irrilevanza dell’omosessualità e dell’identità di sesso rispetto all’idoneità genitoriale v. FANTETTI, Il diritto degli omosessuali di vivere liberamente una condizione di coppia, in Fam. pers. e succ., 2012, 857 ss.; LONG, L’adozione in casi particolari del figlio del partner dello stesso sesso, in questa Rivista, 2015, I, 117 ss.; RUO, A proposito di omogenitorialità adottiva, in Fam. e dir., 2015, 580 ss. In senso opposto sulla contrarietà all’ordine pubblico dell’adozione omogenitoriale, v. TOMMASEO, Sul riconoscimento, cit., 275 ss.; BILOTTI, Il riconoscimento in Italia, cit.; sempre ID., L’adozione semplice del figlio del convivente (dello stesso sesso), in Nuovo dir. civ., 2016, in corso di pubblicazione. Per una riforma dell’istituto dell’adozione, MORACE PINELLI, Per una riforma dell’adozione, in Fam. e dir., 2016, 7, 719 ss.; SCALERA, Adozione incrociata, cit., 589 ss. n Ipoteca CASS. CIV., III sez., 5.4.2016, n. 6533 – AMENDOLA Presidente – CARLUCCIO Relatore – FUZIO P.M. (concl. diff.). – T.M. (avv. Gargano) – Banca popolare di X soc. coop. Per azioni (avv. Laterza) – Cassa App. Bari, 28.6.2012 IPOTECA – IPOTECA GIUDIZIALE – DIRITTO DI CREDITO RIVELATOSI INESISTENTE – SPROPORZIONE RISPETTO AL CREDITO – DIFETTO DI NORMALE DILIGENZA NELLA ISCRIZIONE ECCESSIVA – ABUSO DEL DIRITTO DELLA GARANZIA PATRIMONIALE – RESPONSABILITÀ EX ART. 96, COMMA 2º, COD. PROC. CIV. – SUSSISTENZA (Cost., art. 111; cod. proc. civ., art. 96; cod. civ., artt. 2740, 2828, 2875, 2876, 2877) Nell’ipotesi in cui risulti l’inesistenza del diritto di credito, è configurabile, in capo al creditore, la responsabilità ex art. 96, comma 2º, cod. proc. civ., quando egli non abbia usato la normale diligenza nell’iscrivere ipoteca giudiziale sui beni per un valore proporzionato rispetto al credito garantito, secondo i parametri individuati agli artt. 2875 e 2876 cod. civ., cosı̀ ponendo in essere, mediante l’eccedenza del valore dei beni rispetto alla cautela, un abuso del diritto della garanzia patrimoniale in danno del debitore. Il fatto. 1. La Banca Popolare di X, nel maggio del 1997, ottenne decreto ingiuntivo in danno di T.M. e della moglie, quale garante, per l’importo di quasi 105 milioni di lire per saldi passivi di conto corrente bancario, oltre interessi, e iscrisse ipoteca giudiziale, per 150 milioni di lire sull’intero patrimonio immobiliare, facente parte della impresa del debitore finalizzata alla costruzione e vendita di immobili. L’opposizione al decreto ingiuntivo, nel corso della quale intervenne E. quale cessionaria del credito, venne accolta dal Tribunale; ma, venne rigettata la domanda di danni ex art. 96 c.p.c. proposta dall’opponente (sentenza del 2004). L’impugnazione proposta da T., relativa solo alla domanda ex art. 96 c.p.c., venne rigettata dalla Corte di appello di Bari (sentenza del 28 giugno 2012). 2. Avverso la suddetta sentenza, M.T. propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi, esplicati da memoria. La banca Popolare di X resiste con controricorso. E., ritualmente intimata, non si difende. I motivi. 1. La Corte di merito, rilevato che con l’appello l’originario opponente aveva censurato la sentenza, tra l’altro, per non aver tenuto conto che l’ipoteca giudiziale era stata iscritta su tutti i beni aziendali, del valore di oltre 3 milioni di Euro, cosı̀ determinando la cessazione della propria attività imprenditoriale, ha argomentato il rigetto sulla base delle seguenti essenziali argomentazioni. a) Per l’affermazione della responsabilità ex art. 96, secon- NGCC 9/2016 do comma, deve essere accertata l’inesistenza del credito vantato in giudizio e il difetto della normale prudenza nell’iscrizione dell’ipoteca giudiziale. L’inesistenza del credito azionato risulta dalla sentenza di primo grado, non impugnata sul punto; occorre stabilire se la banca, iscrivendo l’ipoteca nel maggio 1997, abbia agito senza la normale prudenza. b) Il risultato dell’indagine è negativo poiché l’inesistenza del credito azionato non era sufficientemente probabile e prevedibile al momento della richiesta di iscrizione. Infatti, il credito era relativo a saldi passivi di conto corrente, acceso nel 1982, e derivava dalla applicazione di clausole uso piazza che prevedevano la capitalizzazione trimestrale degli interessi. All’epoca, nel 1997, la giurisprudenza non era concorde nell’affermare l’invalidità di tali clausole. Non sussiste, pertanto, neanche la colpa lieve in capo al creditore procedente all’iscrizione dell’ipoteca giudiziale. c) L’esclusione della colpa lieve esclude l’applicabilità del primo comma dell’art. 96 c.p.c., che richiede la colpa grave e il dolo. d) Comunque, secondo la giurisprudenza di legittimità, il creditore che abbia iscritto ipoteca per una somma esorbitante o su beni eccedenti l’importo del credito vantato, non può essere chiamato, per ciò solo, a rispondere a titolo di responsabilità aggravata ai sensi dell’art. 96, secondo comma, c.p.c.; restando possibile, peraltro, configurare a carico 1183 Sinergie Grafiche srl n Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Parte prima Sentenze commentate del medesimo una responsabilità processuale a norma dell’art. 96, primo comma c.p.c., qualora egli abbia resistito alla domanda di riduzione dell’ipoteca con dolo o colpa grave. Domanda, nella specie, non presentata. 2. Con il primo motivo, si deduce la violazione degli artt. 96 c.p.c. e 2043 c.c., nonché omessa motivazione in ordine al comportamento temerario tenuto della Banca, quantomeno, nel corso del giudizio. Con il secondo motivo, si deducono vizi motivazionali per omessa e contraddittorietà della motivazione in riferimento al mancato esperimento della domanda di riduzione di ipoteca. Con il terzo motivo, si deduce violazione dell’art. 96 c.p.c., nonché la violazione di tutti i vizi motivazionali in ordine alla esistenza della prova documentale del danno. 2.1. I primi due motivi sono strettamente collegati, e vanno esaminati congiuntamente. Il fondo della censura, rivolta alla sentenza impugnata, si sostanzia nella critica: - di aver fatto applicazione della giurisprudenza di legittimità che riconosce l’applicabilità dell’art. 96 primo comma c.p.c. nel caso di resistenza in giudizio per la riduzione di ipoteca, sempre se si sia in presenza di dolo o di colpa grave; - di non aver considerato, ai fini della applicabilità del secondo comma dello stesso articolo, che richiede solo la normale prudenza e, quindi, la colpa lieve, il comportamento del creditore, qualificabile come abuso del diritto, come eccesso dei mezzi di tutela, quando iscrive ipoteca giudiziale su beni eccedenti di molto l’importo del credito vantato e persiste a non addivenire ad un accordo sulla restrizione dell’iscrizione a una parte soltanto dei beni; tanto, nonostante, nel corso del giudizio fosse emersa, tramite la consulenza tecnica, l’inesistenza del credito e l’esorbitanza dei beni ipotecati rispetto al credito vantato. Esigenza di restrizione dei beni che il debitore aveva rappresentato, nel corso di processo, con la richiesta, ex art. 700 c.p.c., che era stata rigettata. La censura va accolta. 3. La questione posta all’attenzione della Corte è ‘‘se, nell’ipotesi in cui - come nella specie - risulti accertata l’inesistenza del diritto per cui è stata iscritta ipoteca giudiziale e la normale prudenza del creditore nel procedere all’iscrizione dell’ipoteca giudiziale, sia o meno configurabile in capo al suddetto creditore la responsabilità ex art. 96, secondo comma c.p.c., per non aver egli usato la nomale diligenza nell’iscrivere ipoteca su beni di valore sproporzionato rispetto al credito garantito, con conseguente eccedenza del valore dei beni rispetto alla cautela e abuso del diritto della garanzia patrimoniale’’. Il Collegio ritiene che al quesito debba darsi risposta positiva, nonostante un consolidato orientamento della Corte di segno contrario. Tanto, in ragione delle linee di sviluppo della giurisprudenza che, alla luce di principi costituzionali, ha attribuito sempre maggior valenza al tema dell’abuso del diritto, in particolare processuale, anche in collegamento con la ragionevole durata del processo ai sensi dell’art. 111 Cost. 4. Costituisce principio tradizionale e consolidato nella giurisprudenza di legittimità (dagli anni sessanta del secolo scorso, cfr. Cass. n. 311 e 529 del 1967 e sino ad anni a noi vicini, cfr. da ultimo, Cass. n. 17902 del 2010) quello secondo cui ‘‘Il creditore che abbia iscritto ipoteca per una somma esorbitante o su beni eccedenti l’importo del credito 1184 vantato non può essere chiamato, per ciò solo, a risponderne a titolo di responsabilità aggravata ai sensi dell’art. 96, secondo comma, cod. proc. civ., restando possibile, peraltro, configurare a carico del medesimo una responsabilità processuale a norma dell’art. 96, primo comma, cod. proc. civ., qualora egli abbia resistito alla domanda di riduzione dell’ipoteca, con dolo o colpa grave’’. La ratio, ripetuta - anche rispetto a fattispecie nelle quali non si era in presenza di un accertamento di inesistenza del credito sopravvenuto alla iscrizione (cfr. Cass. nn. 17902 e 13107 del 2010; n. 16308 del 2007) - ha il suo epicentro negli art. 2740 e 2828 c.c. Si sostiene che non è ravvisabile illiceità nel comportamento del creditore che abbia iscritto ipoteca su beni di valore eccedente l’importo del credito, atteso che: - da un lato l’art. 2740 c.c. fissa il principio che il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri; - dall’altro l’art. 2828 c.c. abilita il creditore ad iscrivere ipoteca su qualunque immobile del debitore. Si trova conferma nell’art. 2877 c.c. che, nel disciplinare le spese per eseguire la riduzione di ipoteca acconsentita dal creditore le pone a carico del richiedente, e quindi del debitore che l’abbia domandata, quando la riduzione è stata chiesta adducendo il valore eccedente dei beni compresi nella iscrizione rispetto alla cautela. Mentre, pone le stesse spese a carico del creditore solo se la richiesta di riduzione attiene all’eccesso nella determinazione del credito, con la conseguenza che non sarebbe possibile ammettere una responsabilità per danni a favore del debitore, posto che la stessa legge stabilisce espressamente (art. 2877, primo comma c.c.) che, persino, le spese sostenute nella procedura di riduzione consensuale devono essere sostenute dal debitore (cfr., in particolare, Cass. n. 4968 del 2001). Contemporaneamente, si riconosce la possibilità che, in applicazione della previsione generale, di cui al primo comma dello stesso art. 96, secondo la quale risponde di responsabilità processuale chi agisce o resiste in giudizio con colpa grave o dolo, il creditore sia responsabile, ricorrendo i suddetti presupposti, nell’ambito del processo per la riduzione dell’ipoteca iniziato dal debitore. Il panorama della giurisprudenza è univoco, con l’esclusione di una isolata e antica decisione nella quale, con riferimento al sequestro conservativo, si è riconosciuta l’applicabilità del secondo comma dell’art. 96 in argomento per la sproporzione tra il credito per il quale sono sollecitate le misure cautelari e il credito accertato, sostenendo che tale sproporzione rientrava nella nozione di inesistenza del credito prevista dal codice (Cass. n. 9307 del 1994). 4.1. La tesi, riguardata alla luce della sopravvenienza dei principi costituzionali di cui al novellato art. 111 Cost., come, nelle more della loro oramai non recente introduzione, si sono inverati nell’ordinamento, non è più convincente e suggerisce una interpretazione dell’art. 96, secondo comma, che tenga conto della nuova prospettiva. 4.1.1. Innanzitutto, non c’è una ragione stringente per la quale la funzione di generale garanzia per il creditore assolta dall’intero patrimonio, presente e futuro, del debitore, (art. 2740 c.c.) non debba incontrare il limite dell’abuso del diritto. Tanto più, nel diritto processuale dove i diritti sono conferiti in ragione della strumentalità del mezzo rispetto al fine del soddisfacimento del diritto sostanziale tutelato. Inoltre, non si vede per quale stringente ragione si debba NGCC 9/2016 Sinergie Grafiche srl Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. n Sentenze commentate Parte prima leggere l’art. 2828 c.c., che abilita il creditore ad iscrivere ipoteca su qualunque immobile, presente e sopravvenuto del debitore, e quindi a scegliere su quanti e quali immobili iscrivere ipoteca, come abilitazione ad iscrivere ipoteca su tutti gli immobili. Anzi, proprio la strumentalità della garanzia reale rispetto a crediti determinati autorizza a ipotizzare che, ferma la libertà di scelta tra quali immobili, il valore degli stessi non possa non rapportarsi alla cautela riconosciuta. D’altra parte, nello stesso sistema di norme che disciplinano la materia, il profilo della sproporzione non è assente, ma regolato, nell’ambito della riduzione giudiziale, con l’individuazione della misura eccedente. Cosı̀, le ipoteche giudiziali devono ridursi se i beni compresi nell’iscrizione hanno un valore, che eccede la cautela, superiore ad un terzo dei crediti iscritti, accresciuto dagli accessori; se la somma determinata dal creditore nell’iscrizione ecceda di un quinto quella che l’autorità giudiziaria dichiara dovuta. 4.1.2. L’art. 2877 c.c., poi, non offre una conferma sicura della tesi tradizionale. Posto che siamo nell’ambito della riduzione di ipoteca ‘‘consensuale’’ tra debitore e creditore e che si tratta unicamente delle spese per le ‘‘formalità ipotecarie’’ connesse alla riduzione/restrizione di ipoteca già iscritta, la regolamentazione legislativa ha plausibili ragioni che non impattano direttamente con il profilo della responsabilità processuale. Ed, infatti, l’essere poste le spese della riduzione di ipoteca, chiesta per l’eccesso rispetto al valore dei beni ipotecati, in capo al ‘‘richiedente’’ - che peraltro solo in linea di normalità coincide con il debitore - ha la sua ragionevole spiegazione, oltre che nell’interesse preponderante ed impellente che il debitore può avere a liberare beni vincolati e ‘‘fuori mercato’’, anche nella difficoltà, e conseguente soggettività, della valutazione dei beni da farsi da parte del creditore senza procedere ad un accertamento tecnico. Cosı̀, come l’essere le spese in argomento poste in capo al creditore, quando la riduzione/restrizione dell’ipoteca è chiesta per l’eccesso nella determinazione del credito garantito, ha una plausibile ragione nell’essere egli il solo in condizioni di conoscerne e di stimarne meglio l’ammontare (ragioni, peraltro, non disconosciute dalle decisioni che hanno affermato l’indirizzo ora sottoposto a revisione, cfr. Cass. n. 4968 del 2001). 5. È pacifico nella giurisprudenza di legittimità che l’art. 96 c.p.c. disciplina una responsabilità per atti e comportamenti processuali. Una responsabilità in capo al soccombente che, all’interno del processo, abbia compiuto un’attività qualificabile quale ‘‘illecito processuale’’, quando il comportamento assume modalità illecite sostanziandosi nell’abuso del diritto di agire o resistere in giudizio. Una responsabilità speciale rispetto alla generale norma di cui all’art. 2043 c.c. e devoluta al giudice cui spetta conoscere il merito della controversia (ex plurimis, Cass. n. 17523 del 2011). Responsabilità, la cui regolamentazione si è da ultimo arricchita (terzo comma dell’art. 96 c.p.c., come novellato dall’art. 45, comma 12, della legge n. 69 del 2009) con una norma generale per lite temeraria, che ha alla sua base l’abuso del processo. Responsabilità che presuppone la soccombenza totale nell’azione o nella resistenza in giudizio e la determinazione di un pregiudizio alla controparte. Responsabilità dove l’elemento psicologico richiesto è differenziato in ra- NGCC 9/2016 gione del diverso è più pregnante impatto che l’agire processuale può determinare negli interessi della controparte. Infatti, è generalmente richiesta la mala fede o la colpa grave (primo comma) ed, invece, con regola più severa, il solo difetto della normale prudenza, e quindi, solo la presenza della colpa lieve, quando - per la tipologia delle ipotesi previste attinenti a processi esecutivi e cautelari - l’atto o il comportamento del creditore si presta ad essere potenzialmente foriero di danni, e sempre che il diritto vantato si sia rivelato inesistente. 5.1. A partire dalla decisione delle Sezioni Unite del 2007 (n. 23726), il principio costituzionale del giusto processo ha trovato numerose applicazione nel riconoscimento di un abuso degli strumenti processuali, che l’ordinamento offre alla parte nei limiti di una corretta tutela del suo interesse sostanziale. La sopravvenienza nell’ordinamento dell’art. 111 Cost., che nell’interpretazione delle norme processuali impone, insieme, la ragionevolezza della durata del processo e la giustezza del processo, quale risposta alla domanda della parte, comporta che ‘‘giusto’’ non può essere un processo frutto di abuso per l’esercizio in forme eccedenti, o devianti, rispetto alla tutela dell’interesse sostanziale, che individua la ragione dell’attribuzione dei poteri processuali e, quindi, i limiti dell’attribuzione della potestas al titolare. Proprio la sopravvenienza di una norma costituzionale finalistica, sia rispetto alla durata del processo sia rispetto al perseguimento del bene della vita cui il processo è preposto, ha reso non più consentiti quei comportamenti che, eccedenti rispetto alla tutela accordata al diritto sostanziale perseguito, incidono sulla possibilità del contenimento della durata del processo in termini ragionevoli, per l’evidente antinomia tra la moltiplicazione dei processi e la durata degli stessi. In definitiva, il principio del giusto processo, espresso dall’art. 111, primo comma, Cost., non consente più di utilizzare, per l’accesso alla tutela giudiziaria, metodi divenuti incompatibili con valori avvertiti come preminenti ai fini di un efficace ed equo funzionamento del servizio della giustizia. Impedisce, perciò, di accordare protezione ad una pretesa priva di meritorietà e caratterizzata per l’uso strumentale del processo (Cass. n. 28286 del 2011). Con la conseguenza, che le norme processuali vanno interpretate in modo da evitare lo spreco di energie giurisdizionali (cosı̀, da ultimo, Sez. Un. n. 12310 del 2015). 5.2. In questa prospettiva, il creditore che iscrive ipoteca giudiziale sui beni del debitore il cui valore sia eccedente la cautela, discostandosi dai parametri normativi mediante l’iscrizione per un valore che supera di un terzo, accresciuto dagli accessori, l’importo dei crediti iscritti (artt. 2875 e 2876 c.c.), pone in essere un comportamento di abuso dello strumento della cautela rispetto al fine per cui gli è stato conferito. Utilizza lo strumento processuale oltre lo scopo previsto dal legislatore per assicurarsi la maggiore garanzia possibile, ma determinando un effetto deviato in danno del debitore. Non può assumere rilievo dirimente la circostanza che il debitore, a fronte di una iscrizione di ipoteca su beni il cui valore ecceda la cautela, potrebbe evitare ogni danno addivenendo ad un accordo con il creditore per la riduzione o chiedendo giudizialmente la riduzione con apposito procedimento (art. 2844 c.c.). 1185 Sinergie Grafiche srl n Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Parte prima Sentenze commentate Infatti, non vengono in rilievo i contrapposti interessi considerati da una ottica soggettivistica, ma - in un’ottica di sistema generale della tutela processuale - la mancanza di tutela apprestata dall’ordinamento costituzionale al creditore quando l’utilizzo dello strumento processuale è effettuato oltre i limiti della sua funzionalizzazione al perseguimento del diritto per cui è stato conferito. E, costringere il debitore a cercare un accordo e, soprattutto, costringerlo ad un autonomo diverso procedimento, si traduce in un abuso dello strumento fornitogli per la sua tutela, con implementazione dei procedimenti e conseguente impatto sulla efficienza della risposta alla domanda di giustizia sostanziale. 6. In definitiva, il primo e secondo motivo di ricorso sono accolti sulla base del seguente principio di diritto ‘‘Nell’ipotesi in cui come nella specie - risulti accertata l’inesistenza del diritto per cui è stata iscritta ipoteca giudiziale e la normale prudenza del creditore nel procedere all’iscrizione dell’ipoteca giudiziale, è configurabile in capo al suddetto creditore la responsabilità ex art. 96, secondo comma c.p.c., quando non ha usato la nomale diligenza nell’iscrivere ipoteca sui beni per un valore proporzionato rispetto al credito garantito, secondo i parametri individuati nella legge (artt. 2875 e 2876 c.c.), cosı̀ ponendo in essere, mediante l’eccedenza del valore dei beni rispetto alla cautela, un abuso del diritto della garanzia patrimoniale in danno del debitore’’. 7. L’accoglimento nei termini suddetti, comporta l’assorbimento di ogni altro profilo di censura in riferimento al comportamento del creditore nel corso del processo, nonché l’assorbimento del terzo motivo, attinente ai danni lamentati. La sentenza impugnata è annullata, con rinvio alla Corte di appello di Bari, in diversa composizione, che deciderà la controversia in applicazione del suddetto principio e liquiderà le anche del giudizio di cassazione. (Omissis) «Nuove prospettive in tema di ipoteca giudiziale eccessiva e responsabilità aggravata del creditore» di Valentina Bellomia* Il creditore che iscriva ipoteca giudiziale su beni il cui valore superi ampiamente la cautela, pone in essere un abuso del proprio diritto (sostanziale) alla garanzia patrimoniale nonché un abuso del proprio diritto (processuale) alla iscrizione ipotecaria. Ciò abilita il debitore, anche nel caso in cui la scelta di iscrivere la garanzia reale non possa essere rimproverata al creditore nemmeno a titolo di colpa lieve, a pretendere il risarcimento del danno sofferto a titolo di responsabilità processuale aggravata ai sensi del comma 2º dell’art. 96 cod. proc. civ. Una tale conclusione è imposta dalla crescente importanza assunta dal divieto di abuso del processo, al fine della realizzazione del giusto processo ex art. 111 Cost. anche dal punto di vista della correttezza dei comportamenti delle parti coinvolte. D’altra parte, nessuna norma dell’ordinamento costituisce un ostacolo decisivo alla cennata tesi, ed anzi meriterebbe di essere riconsiderato anche il presupposto della necessaria soccombenza totale o inesistenza del diritto sostanziale di cui sempre all’art. 96 cod. proc. civ. I. Il caso La banca Alfa otteneva un decreto ingiuntivo nei confronti di Tizio e della di lui moglie e garante, Sempronia, per l’importo di 150 milioni di lire, a titolo di saldi passivi di conto corrente bancario, derivanti dalla applicazione di clausole c.d. uso piazza, con capitalizzazione trimestrale degli interessi. Alfa, pertanto, iscriveva ipoteca giudiziale sull’intero patrimonio immobiliare - del valore complessivo di 3 milioni di euro dell’impresa di costruzione dei due coniugi. Di conseguenza, l’attività imprenditoriale cessava. Nel corso del giudizio, le suddette clausole venivano dichiarate invalide e, conseguentemente, il credito preteso da Alfa giudicato inesistente (con sentenza sul punto mai appellata). I giudici di merito rilevavano però non esservi stata colpa, neanche lieve, in capo alla banca, in quan- to, all’epoca dei fatti, l’invalidità delle clausole de quibus non era affatto pacifica, per cui l’inesistenza del relativo credito, al momento della iscrizione ipotecaria, non poteva dirsi né probabile né prevedibile. Inoltre, la Corte d’appello si rifaceva a quella consolidata giurisprudenza secondo cui il solo fatto di avere iscritto ipoteca su una somma esorbitante o su beni di valore eccedente l’importo del credito vantato, non espone il creditore a responsabilità ai sensi del comma 2º dell’art. 96 cod. proc. civ., fatta salva l’applicabilità del comma 1º qualora egli resista con dolo o colpa grave alla domanda di riduzione dell’ipoteca, nella specie mai presentata. L’opposizione a decreto ingiuntivo spiegata da Tizio e Sempronia veniva pertanto accolta, salvo che per la domanda ex art. 96 cod. proc. civ., sia in primo che in secondo grado. * Contributo pubblicato in base a referee. 1186 NGCC 9/2016 Sinergie Grafiche srl Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. n Sentenze commentate Parte prima La Corte di Cassazione, con la sentenza in esame, si discosta nettamente dalle cennate motivazioni dei giudici di merito, soffermandosi a valutare se, nel caso di un credito la cui inesistenza non possa essere rimproverata al creditore a titolo di colpa, il fatto di avere iscritto ipoteca giudiziale su beni di valore sproporzionato rispetto al credito garantito possa configurare, in capo al creditore medesimo, una responsabilità ex art. 96, comma 2º, cod. proc. civ. per difetto della normale diligenza. La sentenza, pertanto, reinterpreta il comma 2º dell’art. 96 cod. proc. civ., sottoponendo a revisione critica il consolidato orientamento secondo cui l’ipoteca c.d. esorbitante non costituisce, di per sé, titolo di responsabilità processuale aggravata. Ciò alla luce della costituzionalizzazione del principio del giusto processo e della crescente importanza, nel nostro ordinamento, dell’istituto dell’abuso del diritto, sostanziale e processuale. La decisione cui giunge la Supr. Corte è che il creditore che iscrive un’ipoteca giudiziale esorbitante per quanto concerne il valore dei beni coinvolti, discostandosi ampiamente dai parametri normativi di cui agli artt. 2875 e 2876 cod. civ., abusa dello strumento processuale conferitogli, con conseguente responsabilità ai sensi dell’art. 96, comma 2º, cod. proc. civ. E se è vero che, nella fattispecie, era stata accertata la definitiva inesistenza del credito azionato, con conseguente conformità della fattispecie, da questo punto di vista, al dettato del richiamato art. 96, comma 2º, cod. proc. civ., la Supr. Corte svolge, in motivazione, un ragionamento di più ampio e generale respiro, che induce a riconsiderare anche il presupposto della radicale inesistenza del diritto sostanziale (e della totale soccombenza in giudizio). Ciò al fine di rendere suscettibile di valutazione ed, eventualmente, di sanzione risarcitoria, il comportamento del creditore che abbia colposamente proceduto ad una iscrizione ipotecaria eccessiva e dannosa. II. Le questioni 1. L’art. 96 cod. proc. civ. e l’abuso del processo. La Corte di Cassazione fonda la propria innovativa interpretazione dell’art. 96, comma 2º, cod. proc. civ. sul principio, non espressamente normato, ma ormai pacificamente ritenuto immanente all’ordinamento, del divieto di abuso del diritto, sia sostanziale che processuale (amplissima, come noto, la bibliografia sul tema: per alcuni richiami essenziali v. infra, sez. IV). La Supr. Corte muove difatti dalla constatazione per cui il creditore che iscriva ipoteca giudiziale per un valore sproporzionato rispetto al credito da garantire pone in essere un comportamento abusivo della propria garanzia patrimoniale, in danno del debitore, sia sul piano sostanziale sia su quello processuale (CONS. STATO, 6.8.2015, n. 3990, infra, sez. III; GHIRGA, NGCC 9/2016 Abuso del processo e sanzioni, 5 s., infra, sez. IV). Sul piano sostanziale, perché egli abusa del proprio diritto di credito, e sul piano processuale, perché realizza tale abuso attraverso una iniziativa (quella, nella fattispecie, della iscrizione di ipoteca giudiziale) ‘‘collegata’’ al processo. Da quest’ultimo punto di vista, la norma che meglio esprime, nel nostro ordinamento, il principio del divieto di abuso del processo è - soprattutto oggi, con il terzo comma, introdotto dalla l. n. 69/2009 (per dei minimi riferimenti bibliografici v. infra, sez. IV) - il discusso art. 96 cod. proc. civ., ed in particolare, per quanto riguarda l’iscrizione di ipoteca, il suo secondo comma. Come anticipato, sono molti i riconoscimenti, da parte della giurisprudenza e della dottrina, di un divieto generalizzato di abusare degli strumenti processuali (su cui v. la recente analisi di GHIRGA, Recenti sviluppi, 445 ss., infra, sez. IV), con comportamenti contrari ai canoni di buona fede e correttezza nonché al giusto processo, pena il risarcimento del danno causato. La costituzionalizzazione di quest’ultimo principio, con l’art. 111 Cost., ha contribuito notevolmente al consolidarsi ed al diffondersi della cultura del divieto di abuso del giudizio, perché non può essere considerato giusto un processo che venga utilizzato in modo distorto (id est: abusivo) attraverso iniziative ‘‘eccedenti o devianti rispetto alla tutela dell’interesse sostanziale, che segna il limite, oltreché la ragione dell’attribuzione, al suo titolare, della potestas agendi’’ (cosı̀ la celebre CASS., sez. un., 15.11.2007, n. 23726, in tema di frazionamento del credito; conf., da ultimo, CASS., 15.5.2015, n. 9935; CASS., 9.6.2014, n. 12914; tutte infra, sez. III. In dottrina v. NICOTINA, passim; GHIRGA, Abuso del processo e sanzioni, 26; ASPRELLA, passim; CARIGLIA, 371 ss.; DONDI - GIUSSANI, 193 ss.; contra, per un recente orientamento critico nei confronti dello stesso concetto di ‘‘abuso del processo’’, PANZAROLA, 23 ss.; tutti infra, sez. IV). Questo non solo perché abusare del processo significa comprometterne l’efficacia, la durata e l’idoneità tecnica, in contrasto con gli intenti del legislatore costituzionale, ma anche perché, come autorevolmente rilevato (COMOGLIO, Abuso del processo, 329, infra, sez. IV), del giusto processo è parte una ‘‘essenziale componente «deontologica»’’, che attiene alla correttezza dei comportamenti dei soggetti coinvolti. D’altronde, sulla parte che agisce in giudizio incombe un espresso e specifico dovere di lealtà e probità, ai sensi dell’art. 88 cod. proc. civ. (CASS., 23.3.2011, n. 6597, infra, sez. III; sul rapporto tra gli artt. 88 e 96 cod. proc. civ. v. MAZZOLA, 36-38, infra, sez. IV; e GHIRGA, Abuso del processo e sanzioni, spec. 32. Cfr. anche SCARSELLI, Lealtà e probità nel compimento degli atti processuali, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1998, 91 ss.) e la più recente giurisprudenza non ha mancato di sottolineare che i 1187 Sinergie Grafiche srl n Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Parte prima Sentenze commentate principi di buona fede e correttezza non attengono solo al rapporto obbligatorio, ma costituiscono un canone di comportamento cui deve conformarsi anche la parte in giudizio (CASS., 22.12.2011, n. 28286, infra, sez. III; in dottrina, in senso critico, v. TARUFFO, 832 ss., infra, sez. IV; e PANZAROLA, 23 ss.). I diritti di azione e di difesa in giudizio, pertanto, pur costituzionalmente riconosciuti e tutelati, non per questo sono esenti dal potere essere giudicati abusivi, con tutte le connesse conseguenze (cfr. PICARDI, 174; MANDRIOLI, 432 ss.; e DONDI, 2010, 1, tutti infra, sez. IV; quest’ultimo sottolinea la difficoltà con cui si è pervenuti a tali conclusioni, quando scrive che ‘‘l’idea stessa di abuso, come riferita alle attività del processo, è a lungo apparsa estranea e, anzi, intimamente confliggente con una concezione per cosı̀ dire liberale classica del processo civile’’). La necessità di bilanciare tali diritti con i principi di giustizia ed effettività della tutela giurisdizionale, legittima misure ed interpretazioni che, pur avendo un’indubbia finalità dissuasiva (vi è chi, come SCARSELLI, Sul c.d. abuso del processo, 1457, infra, sez. IV, ritiene l’abuso del processo ‘‘solo un nuovo modo per contrarre e render più difficoltoso l’esercizio del diritto di azione e di difesa, attribuendo per converso al giudice il nuovo potere di sanzionare il comportamento processuale delle parti anche in ipotesi non predeterminabili’’), sono volte a ridurre il rischio dell’abuso del processo e, quindi, alla migliore realizzazione del processo giusto (CASS., 18.3.2016, n. 5433, infra, sez. III; in dottrina v. TOPPETTI, 1 ss., infra, sez. IV). Una di queste misure è appunto rappresentata dall’art. 96 cod. proc. civ., in particolare dal comma 2º, che qui più interessa, che mira alla repressione di un abuso del processo (o, meglio, di alcune iniziative ad esso collegate) a tutela dell’interesse privato della controparte danneggiata. Il collegamento con il ‘‘giusto processo’’ ci sembra allora pertinente se lo si intende nei sensi da ultimo indicati, privatistici e non pubblicistici, ossia come un processo che non diventi il mezzo per creare, con propri scorretti comportamenti, ingiustificati danni alla controparte (sottolinea l’estraneità dell’art. 96, commi 1º e 2º, rispetto all’art. 111 Cost.: CORTE COST., 23.12.2008, n. 435, infra, sez. III; DALLA MASSARA, spec. 69, infra, sez. IV, evidenzia come, invece, la previsione del comma 3º, dell’art. 96 cod. proc. civ. abbia natura punitiva e sia posta a presidio di ‘‘un interesse pubblicisticamente caratterizzato’’). L’articolo disciplina una ipotesi di lite temeraria, qualificata dall’elemento soggettivo, e mira a sanzionare chi agisca in giudizio o assuma iniziative ad esso connesse nella consapevolezza (o nella colpevole ignoranza) della chiara infondatezza della propria pretesa (sul concetto di lite temeraria non può non rinviarsi a CHIOVENDA, 321, infra, sez. IV). Esso pertanto disciplina un illecito processuale, che, rispetto alla ipotesi 1188 del comma 1º, si caratterizza per la diversità delle iniziative oggetto del comportamento abusivo della parte, che riguardano anche atti lato sensu processuali, come appunto l’iscrizione di ipoteca giudiziale (CORDOPATRI, L’abuso del processo, 364 s., infra, sez. IV). Secondo un orientamento consolidato, l’art. 96 cod. proc. civ. disciplina una ipotesi specifica di responsabilità civile (CORTE COST., 23.12.2008, n. 435, cit.), speciale rispetto alla previsione generale di cui all’art. 2043 cod. civ. (BIANCA, 775; BONGIORNO, 1 ss.; contra, CALVOSA, 385, tutti infra, sez. IV), con esclusione di un possibile concorso tra le due norme (ex multis, CASS., 23.6.2011, n. 13827; CASS., 23.8.2011, n. 17523; CASS., 3.3.2010, n. 5069; CASS., 2.11.2010, n. 22267; CASS., 24.7.2007, n. 16308; CASS., 23.3.2004, n. 5734; CASS., 4.4.2001, n. 4968; tutte infra, sez. III. V. anche, però, per l’ipotesi di trascrizione illegittima, il dibattito sul rapporto tra la domanda ex art. 96, comma 1º, e quella ex art. 2043 cod. civ., come ricostruito e composto da CASS., sez. un., 23.3.2011, n. 6597, cit. Parte della dottrina, nella richiamata ottica, qualifica senz’altro l’art. 96 cod. proc. civ. come norma sostanziale, impropriamente situata nel codice di rito: TOPPETTI, 5 ss.; MAZZOLA, 6.). L’art. 96 cod. proc. civ. esaurisce, quindi, per comune opinione, le ipotesi di responsabilità processuale previste dall’ordinamento, integralmente e compiutamente disciplinate da tale disposizione, al di fuori della quale è preclusa la possibilità di invocare la responsabilità generale da fatto illecito ex art. 2043 cod. civ. (già GRASSO, 93 ss., infra, sez. IV). Ciò significa che, salvi gli elementi peculiari di cui all’art. 96, commi 1 e 2, quali la soccombenza/inesistenza del diritto e l’elemento soggettivo, trovano per il resto applicazione, alle ipotesi di responsabilità processuale, i principi generali in tema di illecito aquiliano (DALLA MASSARA, 57 ss.). Il comma 2º, rispetto alla fattispecie disciplinata dal comma precedente, presuppone che la parte, oltre ad affermare di vantare un diritto (‘‘inesistente’’), abbia anche assunto una iniziativa di ‘‘aggressione’’ alla sfera patrimoniale altrui, ad esempio iscrivendo ipoteca sui suoi beni (CASS., sez. un., 23.3.2011, n. 6597, cit.). Ciò giustifica, come vedremo, la rilevanza del difetto della diligenza media, considerate le modalità particolarmente invasive dell’atto (COMOGLIO, sub art. 96, 1270 s., infra, sez. IV); l’iscrizione ipotecaria, ad esempio, certamente viene ad incidere in maniera significativa sull’altrui patrimonio, anche in termini di discredito sociale e commerciale, pregiudicandone la commerciabilità (CASS., 30.7.2010, n. 17902, infra, sez. III; TRIB. ROMA, 9.12.2010, in Giur. merito, 2011, 2699; BIANCA, 777). Il primo presupposto dell’istituto è la soccombenza di chi ha agito o resistito in giudizio (comma 1º) - che la giurisprudenza assolutamente maggioritaria intende co- NGCC 9/2016 Sinergie Grafiche srl Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. n Sentenze commentate Parte prima me soccombenza totale, con esclusione di ogni possibilità di applicazione della norma in caso di soccombenza reciproca o solo parziale (ex multis, CASS., 6.6.2003, n. 9060; CASS., 2.3.2001, n. 3035; CASS., 28.7.2000, n. 9897; tutte infra, sez. III) - o l’inesistenza del diritto sostanziale (comma 2º). A tale ultimo proposito, la giurisprudenza è concorde nel ritenere che senza l’accertamento della inesistenza sostanziale del credito per cui si è iscritta ipoteca non può sussistere alcuna responsabilità ai sensi dell’art. 96, comma 2º, cod. proc. civ., ferma restando l’applicabilità del comma 1º nel caso in cui il creditore resista con mala fede o colpa grave nel giudizio di riduzione intentato dal debitore (CASS., 29.4.2015, n. 8711; CASS., 28.5.2010, n. 13107; CASS., 30.7.2010, n. 17902; CASS., 3.9.2007, n. 18533; CASS., 24.7.2007, n. 16308; CASS., 7.5.2007, n. 10299; CASS., 22.2.2006, n. 3952; CASS., 23.5.2003, n. 8171; CASS., 4.4.2001, n. 4968; CASS., 14.9.1999, n. 9803; CASS., 29.9.1999, n. 10771; CASS., 21.2.1985, n. 1545; tutte infra, sez. III). Al di fuori del caso del credito inesistente, quindi, per la tesi tradizionale e maggioritaria, nessuna responsabilità può essere addossata al creditore che pure abbia iscritto ipoteca su una quantità di beni di valore esorbitante (o per una somma di molto eccedente il credito). Anche la Corte di Cassazione, nella sentenza in esame, non supera espressamente tale impostazione, ma il suo ragionamento, ci sembra, ne rende opportuna una rivalutazione critica, come si dirà. L’elemento psicologico è differenziato a seconda delle fattispecie. Mentre per l’ipotesi regolata dal comma 1º è richiesta la mala fede o la colpa grave (v. MORANO CINQUE, 2015, 1168 ss.), con una deroga, quindi, ai principi generali dell’illecito civile, giustificata dal fatto che trattasi di una responsabilità connessa all’uso (distorto) di un diritto costituzionalmente garantito, per quella di cui al comma 2º è sufficiente accertare che la parte abbia agito ‘‘senza la normale prudenza’’. Il concetto è comunemente interpretato come colpa lieve, ossia la mancanza della prudenza tipica dell’uomo di media diligenza (CASS., 25.10.2013, n. 24166, CASS., n. 17523/2011, cit.; CASS., 17.1.1996, n. 342; CASS., 2.3.1995, n. 2398; tutte infra, sez. III; FRANZONI, spec. par. 5, infra, sez. IV). La previsione di cui al comma 2º, quindi, dal punto di vista dell’elemento soggettivo, si inquadra perfettamente nella disciplina generale della responsabilità aquiliana (CASS., 23.3.2004, n. 5734, cit.), mentre il comma 1º ne delinea una ipotesi speciale di responsabilità attenuata (BIANCA, 777). La normale prudenza non deve essere valutata con riferimento alla regolarità formale del titolo in base al quale si è agito, ma alla infondatezza sostanziale del diritto preteso, che la parte avrebbe potuto prospettarsi NGCC 9/2016 se avesse usato la diligenza che può ordinariamente pretendersi da chi si trovi nella data situazione. Secondo la Corte, tale valutazione va effettuata anche in relazione alla scelta della quantità di beni da sottoporre al vincolo, ed anche nel caso in cui, come nella fattispecie, non sia ravvisabile colpa, neanche lieve, nella ponderazione della fondatezza del diritto sostanziale e, quindi, nella scelta di iscrivere ipoteca. Infine, secondo i principi generali, per il configurarsi della responsabilità è necessario che sia accertato il danno sofferto dalla parte che avanza l’istanza, quale effetto diretto ed immediato dell’altrui comportamento. In presenza dei cennati presupposti, la condotta processuale della parte è da qualificarsi abusiva anche qualora motivata, come normalmente è, dalla sola volontà di assicurarsi una tutela particolarmente efficace e pregnante, come nel caso di iscrizione di una ipoteca molto elevata per garantirsi la maggiore garanzia possibile. In altri termini, il diritto di agire, se utilizzato con finalità e modalità sproporzionate rispetto al fine da raggiungere e, quindi, ingiustificatamente dannose per la controparte, si trasforma in un abuso passibile di condanna risarcitoria. 2. La tesi tradizionale, contraria alla applicabilità dell’art. 96, comma 2º, cod. proc. civ. nel caso di iscrizione ipotecaria su beni di valore esorbitante. Secondo una prima e consolidata tesi della giurisprudenza di legittimità, che la stessa sentenza in esame definisce ‘‘univoca’’, il creditore che abbia iscritto ipoteca su beni il cui valore ecceda, anche grandemente, la cautela, non può essere chiamato, per ciò solo, a risponderne a titolo di responsabilità aggravata ex art. 96, comma 2º, cod. proc. civ. (né ex art. 2043 cod. civ.), salva la possibilità - come si è anticipato - di configurare un’ipotesi di responsabilità processuale a norma del comma 1º del richiamato art. 96, in capo al creditore procedente, qualora quest’ultimo abbia resistito con mala fede o colpa grave nel giudizio per la riduzione dell’ipoteca instaurato dal debitore. Tale orientamento fa riferimento alla più risalente giurisprudenza secondo cui l’eccesso di iscrizione ipotecaria su beni del debitore non costituisce un illecito civile risarcibile ex art. 2043 cod. civ. (CASS., 3.11.1961, n. 2548, infra, sez. III). La tesi si basa sul convincimento che, avendo il creditore la facoltà di determinare liberamente i beni da sottoporre alla garanzia reale ed avendo, di contro, il debitore la possibilità di agire con l’azione di riduzione ipotecaria, non vi sarebbe margine per un giudizio di responsabilità risarcitoria del primo nei confronti del secondo. Una serie di motivazioni, ricorrenti in giurisprudenza, sorreggono tale conclusione. 1189 Sinergie Grafiche srl n Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Parte prima Sentenze commentate Innanzitutto, in contrasto con l’indicazione letterale dell’art. 96, comma 2º, non si verserebbe in un caso di inesistenza del credito sostanziale, in quanto l’ipotesi in considerazione è quella del credito esistente a cui corrisponde una iscrizione ipotecaria sproporzionata. Inoltre, un tale comportamento non sarebbe tacciabile di illiceità data la presenza, nell’ordinamento, di diverse norme che lo consentirebbero. Innanzitutto, l’art. 2740 cod. civ., che, nel fissare il principio della responsabilità patrimoniale generica illimitata del debitore, legittima il creditore ad aggredire il suo intero patrimonio. Vi è poi l’art. 2828 cod. civ., che abilita il creditore ad iscrivere ipoteca su qualunque immobile del debitore e non dispone alcun obbligo, in capo al creditore medesimo, di commisurare la garanzia al credito. Infine, e soprattutto, bisogna considerare l’art. 2877 cod. civ. che, come noto, pone sempre a carico del richiedente le spese di riduzione dell’ipoteca, anche qualora consentita dal creditore, salvo il caso in cui la riduzione abbia luogo per eccesso nella determinazione del credito fatta dal creditore. Come potrebbe ipotizzarsi una responsabilità per danni quando è la stessa legge che, nella ipotesi data, prevede che le spese per la riduzione della ipoteca, che il debitore ha il diritto di chiedere ed ottenere, sono tuttavia a suo esclusivo carico persino nel caso di riduzione consensuale (v. CASS., 4.4.2001, n. 4968, e le altre sentenze citate infra, sez. III)? A fronte di un creditore che ha tutto il diritto di garantirsi iscrivendo ipoteca sull’intero patrimonio della controparte - si afferma - la riduzione costituisce l’unico strumento offerto dal sistema al debitore per contrastare l’iscrizione esorbitante (già CASS., 3.11.1961, n. 2548, cit.), senza nemmeno il diritto alla refusione delle spese sostenute, né, quindi, a maggior ragione, al risarcimento dei danni patiti (MONTEL, 741, infra, sez. IV). 3. Verso la responsabilità processuale ex art. 96, comma 2º, cod. proc. civ. nel caso di iscrizione ipotecaria eccessiva. Le motivazioni sopra brevemente ricordate sono sembrate alla Corte di Cassazione suscettibili di un ampio ripensamento, in linea con la sempre più avvertita esigenza di un processo giusto ed efficiente. La proposta della Corte, che ci sembra senz’altro meritevole di essere accolta, è di non limitarsi a valutare la legittimità formale del comportamento del creditore, senza valutare se esso violi i suddetti canoni di correttezza, buona fede, divieto di abusare del giudizio, per una propria esclusiva utilità, che risulti ingiustificata e dannosa alla luce della comparazione dei vari interessi. Innanzitutto, la sentenza che si annota si occupa di demolire la ricordata giurisprudenza maggioritaria. 1190 Il primo argomento, si è detto, si appunta sull’art. 2740 cod. civ. che, come noto, identifica genericamente l’oggetto della responsabilità patrimoniale del debitore con ‘‘tutti i suoi beni presenti e futuri’’. In linea generale, e salve le limitazioni di responsabilità cui fa riferimento il comma 2º dello stesso articolo, nessun bene del debitore è sottratto alla funzione di garanzia. Tuttavia, il principio della garanzia universale ed illimitata del debitore non è sottratto al limite dell’abuso del diritto e deve essere letto in conformità ai principi di proporzionalità ed adeguatezza, che devono connotare anche l’azione esecutiva del creditore (v. MANFREDINI, 314, infra, sez. IV, ed i richiami bibliografici cui l’a. fa riferimento). Quest’ultimo ha sı̀ il diritto di soddisfarsi su tutti i beni del debitore, ma tale diritto non può essere interpretato in maniera del tutto autonoma rispetto all’entità del credito vantato. La proporzione tra responsabilità del debitore e valore del debito deve essere preservata anche nella fase precedente l’esecuzione, in cui l’obiettivo dell’ordinamento è quello di conservare i beni del debitore in vista del miglior soddisfacimento delle ragioni creditorie (MANFREDINI, 314). Correttamente, pertanto, la sentenza in esame osserva che, nella fattispecie, avere iscritto ipoteca giudiziale su beni del valore di oltre tre milioni di euro, a garanzia di un credito di centocinquanta milioni di lire, rappresenta un abuso del diritto sostanziale alla garanzia patrimoniale generica espresso dal richiamato art. 2740 cod. civ., nonché un abuso del diritto processuale di iscrizione della ipoteca giudiziale. L’altro ostacolo da superare è l’art. 2828 cod. civ.; esso autorizza sı̀ il creditore ad iscrivere ipoteca su qualunque immobile, presente e futuro, del debitore, ed a scegliere, quindi, su quanti e quali beni fare ricadere la garanzia, ma, per le ragioni dianzi indicate, non può e non deve essere letto nel senso di abilitare il creditore ad iscrivere ipoteca senza considerare il valore degli immobili stessi. Tale interpretazione - osserva la Supr. Corte - si porrebbe in contrasto financo con l’essenza della garanzia reale in questione, che risiede nella sua strumentalità rispetto a crediti determinati (anche) nel loro valore. Il favor creditoris cui la norma in questione è certamente ispirata non toglie che debba sussistere un ragionevole rapporto tra il valore del credito, l’importo iscritto ed il valore dei beni gravati dal vincolo, pena la responsabilità del creditore consapevolmente o colposamente scorretto (MANFREDINI, 315). Il principio della necessaria proporzionalità tra credito e garanzia, d’altra parte, come dedotto sempre dalla Supr. Corte, è espressamente regolato nell’ambito della riduzione giudiziale di ipoteca. Difatti, è proprio con i parametri normativi di cui agli artt. 2875 e 2876 cod. civ. che il legislatore ha fornito una imprescindibile indicazione circa il limite al di sopra del quale può valutarsi NGCC 9/2016 Sinergie Grafiche srl Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. n Sentenze commentate Parte prima l’eventuale responsabilità aggravata del creditore. Tale limite è oltrepassato quando il valore dei beni superi di un terzo, tanto alla data della iscrizione quanto posteriormente, l’importo dei crediti iscritti, accresciuto degli accessori. Se al di sotto della indicata soglia il debitore non ha diritto di chiedere la riduzione della garanzia, neppure si può ritenere che abbia diritto al risarcimento del danno subı̀to. Evidentemente, difatti, il legislatore ha ritenuto coerente con la protezione del creditore (e sopportabile dal debitore) l’iscrizione che sia contenuta entro il detto limite. Al di sopra, invece, una aprioristica esenzione di responsabilità del creditore imprudente ci sembra ingiustificata. Infine, la sentenza propone una diversa lettura del già richiamato art. 2877 cod. civ. La disposizione, innanzitutto, ha un ambito di applicazione preciso e ben delimitato, limitandosi a disciplinare il regime delle spese per le formalità connesse alla riduzione della ipoteca, anche consensuale, tra debitore e creditore. Essa inoltre, secondo la Corte, trova una ragionevole spiegazione che non interferisce con il diverso profilo della responsabilità processuale. La ratio di avere posto tali spese in capo al solo debitore richiedente risiede nella preponderanza dell’interesse di quest’ultimo a concludere rapidamente l’operazione, nonché nella maggiore difficoltà, per il creditore, di procedere ad una esatta valutazione di beni non propri. La medesima ratio giustifica la regola inversa, posta sempre dallo stesso articolo, per il caso di riduzione giustificata dalla eccedenza dell’ammontare del credito garantito, che il creditore è in condizioni di meglio valutare (v. CASS., 4.4.2001, n. 4968, cit.; in dottrina, v. GORLA, 415 e conf. RUBINO, 493, entrambi infra, sez. IV). Insomma, non sussiste alcuna ragione insuperabile, desumibile dalle disposizioni richiamate, che giustifichi una deviazione dai principi generali in tema di responsabilità da atto illecito e di responsabilità aggravata in ambito processuale. Come si è accennato, si è sostenuto che non vi possa essere abuso quando la parte abbia a disposizione degli strumenti per reagire all’altrui iniziativa, con l’effetto di eliminarne le conseguenze dannose (PANZAROLA, 23 ss.). Il riferimento è all’istituto della riduzione delle ipoteche, con cui il debitore, ai sensi degli artt. 2872 ss. cod. civ., può reagire alla altrui iscrizione eccessiva. Anche tale argomento, però, non sembra inconfutabile. Riduzione e risarcimento rispondono a logiche affatto diverse; se con la riduzione possono certamente contenersi i danni della iscrizione sproporzionata, liberando i beni dal vincolo, ciò non toglie che il danno (già) subı̀to dal debitore, se e nella misura in cui risulti provato, dovrà essere riparato. La soluzione all’abuso, poi, non può essere quella di costringere il debitore all’azione giudiziale (o ad un accordo con il creditore) che si risolverebbe, a sua volta, in un abuso dello strumento previsto in sua tutela (con conseguente molti- NGCC 9/2016 plicazione delle iniziative giudiziali, già di per sé in contrasto con i principi del giusto processo). Sul presupposto che ogni diritto è suscettibile di essere abusato e che la scorrettezza può connotare anche il comportamento della parte che ha ragione, il sistema non impedisce ed, anzi, pretende, che l’iscrizione ipotecaria colposamente eccessiva sia suscettibile di sanzione risarcitoria. Tale conclusione è valida anche nel caso di credito riconosciuto in parte esistente, oltre che in quello, di cui alla sentenza in commento, di credito inesistente, qualora, però, la scelta di procedere all’iscrizione ipotecaria non sia in alcun modo rimproverabile al creditore? L’ostacolo letterale frapposto dai primi due commi dell’art. 96 cod. proc. civ. è forte. Tuttavia, già una significativa parte della dottrina sostiene che non è necessario, ai fini della condanna per lite temeraria, che la soccombenza sia totale, come invece ritenuto dalla giurisprudenza assolutamente maggioritaria (COMOGLIO, Abuso del processo, 347 ss.; conf. GHIRGA, Giudizio cautelare, spec. 1517, infra, sez. IV; v. anche FRANZONI, 1063 ss.). Secondo tale tesi ‘‘sarebbe iniquo non sanzionare l’illecito processuale solo perché chi lo ha compiuto è poi risultato, anche se solo parzialmente, vincitore’’ (GHIRGA, Giudizio cautelare) Una tale conclusione avallerebbe ‘‘una pesante iniquità, in palese contrato con le garanzie costituzionali, azzerando in pratica ogni possibilità di tutela (e di sanzione) nei confronti di un accertato «abuso»’’ (cosı̀ COMOGLIO, Abuso del processo, 350). E la necessità di una ‘‘emancipazione’’ tra condanna e soccombenza integrale sarebbe particolarmente evidente proprio nei casi tipicamente previsti al comma 2º dell’art. 96 cod. proc. civ. (GHIRGA, Giudizio cautelare, 1518), dove trattasi di iniziative, come detto, dalle potenzialità particolarmente dannose ed intrusive. Può una minima soccombenza giustificare l’esclusione della applicabilità della norma in questione? In queste ipotesi, peraltro, sarebbe escluso anche il rinvio al comma 1º della norma de qua, non ravvisandosi la soccombenza totale in giudizio, nonché l’art. 2043 cod. civ., per le ragioni che si sono dianzi illustrate. A rispondere affermativamente, quindi, il creditore si troverebbe legittimato ad iscrivere una ipoteca esorbitante, magari con il solo intento di danneggiare il proprio debitore, certo della ‘‘impunità’’ del proprio comportamento. Peraltro il comma 2º dell’art. 96 cod. proc. civ. non fa riferimento, a differenza del comma 1º, alla soccombenza della parte ma solo alla inesistenza del credito. Secondo un isolato precedente, tale nozione sarebbe atta a ricomprendere anche la notevole sproporzione tra il quantum accertato e quello per cui sono state sollecitate misure cautelari o iscritta ipoteca. Difatti, in assenza di un dato letterale che qualifichi ulteriormente la nozione di ‘‘inesistenza’’ del diritto, ‘‘l’accertamento di una diversa 1191 Sinergie Grafiche srl n Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Parte prima Sentenze commentate o minore entità del credito del sequestrante non afferisce soltanto ad una mera delimitazione quantitativa del relativo diritto (...) ma, investendo tale diritto, ne rivela sia pure «in parte qua» l’inesistenza’’ (CASS., 2.2.1994, n. 1037, infra, sez. III; in dottrina aderisce a tale orientamento COMOGLIO, sub art. 96, 1272). La tesi, certo, è costretta a forzare il dato letterale, al fine di un superamento della impostazione più restrittiva. Sempre in tale ottica, è stato allora autorevolmente osservato come la soccombenza in senso sostanziale non è idonea a fungere da presupposto della responsabilità processuale; la prima, difatti, attiene al merito della pretesa dedotta in causa, mentre la seconda riguarda i comportamenti delle parti nel giudizio (CORDOPATRI, L’abuso del processo, 352 ss.). La soccombenza, nell’art. 96 cod. proc. civ., al pari della inesistenza del diritto, non vanno riferite al diritto sostanziale, ma al ‘‘rapporto tra soggetto agente e atto processuale compiuto’’ (ivi, 354) ossia alla ‘‘posizione assunta dal soggetto, in sede di compimento dell’atto, verso gli obblighi e/o doveri incombenti, per e nel processo, al soggetto agente’’ (ancora ibidem). In altri termini, le nozioni di soccombenza e di inesistenza del diritto, esprimono, nella norma in esame, lo stesso concetto e rinviano al comportamento della parte che abbia utilizzato lo strumento processuale in modo distorto ed abusivo. In sostanza, ‘‘l’apprezzamento delle ‘‘risultanze processuali’’ - cui fa riferimento la parte prima del comma 1 dell’art. 96 cod. proc. civ. - è ben diverso dall’apprezzamento dell’esito finale del provvedimento: il primo si riferisce evidentemente alla attività svolta dalla parte nel processo; il secondo guarda alla portata della pronuncia’’ (CORDOPATRI, L’abuso del processo, 357). La responsabilità processuale è la valutazione, soggettiva, di un comportamento, tutta fondata, come è, sulla scorrettezza dolosa o colposa di tale comportamento, il che è tutt’altro dalla valutazione, oggettiva, che attiene alla soccombenza nel giudizio o alla inesistenza sostanziale del diritto di credito. Per questo i due aspetti non possono influenzarsi in maniera tanto decisiva come avviene nella lettura tradizionale della norma in questione. Il rischio di concedere un potere discrezionale molto ampio al giudice e di indebolire la essenziale funzione di garanzia delle norme processuali (rischio evidenziato da ultimo da PANZAROLA, 23 ss.) non è di poco conto e va tenuto sempre presente, in primis dalla magistratura. Tuttavia, la proposta interpretazione dell’art. 96, commi 1 e 2, cod. proc. civ. potrebbe costituire quella ‘‘interpretazione innovativa e coraggiosa’’ già da tempo auspicata (PONZANELLI, I danni punitivi, in questa Rivista, 2008, II, 31), al fine di offrire la giusta riparazione a tutti i pregiudizi subiti dalla parte a causa del doloso - o, aggiungiamo, colposo - comportamento processuale altrui. I benefici che ne potrebbero derivare, anche alla ‘‘giustizia’’ del processo, ci sembrano maggiori dei rischi. 1192 III. I precedenti 1. L’art. 96 cod. proc. civ. e l’abuso del processo. In materia di abuso del processo non può prescindersi da CASS., 15.11.2007, n. 23726, in Foro it., 2008, I, 1514 (in tema di frazionamento del credito), confermata, da ultimo, da CASS., 9.6.2014, n. 12914, in Dir. e giust., 2014. Sul punto v. anche, tra le sentenze più recenti, CASS., 18.3.2016, n. 5433, in Mass. Giust. civ., 2016; CASS., 22.2.2016, n. 3376, ibidem; T.A.R. TORINO, 12.11.2015, n. 1552, in Red. Giuffrè, 2015; CASS., 21.10.2015, n. 21318, in Mass. Giust. civ., 2015; CONS. STATO, 6.8.2015, n. 3990, in Foro amm., 2015, 1934; CASS., 15.5.2015, n. 9935, in Foro it., 2015, I, 2323; CASS., 9.3.2015, n. 4702, in Mass. Giust. civ., 2015; CASS., sez. un., 15.6.2015, n. 12310, in Foro it., 2016, I, 255 ss.; CASS., 9.6.2014, n. 12914, in Dir. e giust., 2014; CASS., 22.12.2011, n. 28286, in Mass. Giust. civ., 2011; CASS., 22.12.2011, n. 28286, ibidem. Sull’art. 96 cod. proc. civ. si è pronunciata la CORTE COST., 23.12.2008, n. 435, in Giur. cost., 2008, 4925. In particolare, sul rapporto tra l’art. 96 cod. proc. civ. e l’art. 2043 cod. civ., cfr. CASS., 23.6.2011, n. 13827, in Dir. ind., 2011, 490; CASS., sez. un., 23.3.2011, n. 6597, in Giust. civ., 2011, 2015 ss.; CASS., 23.8.2011, n. 17523, in Mass. Giust. civ., 2011; CASS., 3.3.2010, n. 5069, in ivi, 2010; CASS., 2.11.2010, n. 22267, in questa Rivista, 2011, I, 344 ss.; CASS., 24.7.2007, n. 16308, in Mass. Giust. civ., 2007; CASS., 23.3.2004, n. 5734, ivi, 2004; CASS., 4.4.2001, n. 4968, ivi, 2001. Sull’interpretazione del concetto di ‘‘normale prudenza’’ di cui sempre al comma 2º dell’art. 96 cod. proc. civ.: CASS., 25.10.2013, n. 24166, in Dir. e giust., 2013; CASS., 11.4.2013, n. 8913, in Mass. Giust. civ., 2013; CASS., 17.1.1996, n. 342, ivi, 1996; CASS., 2.3.1995, n. 2398, in Dir. ind., 1996, 89; CASS., 20.10.1982, n. 5470, in Mass. Giust. Civ., 1982. 2. La tesi tradizionale, contraria alla applicabilità dell’art. 96, comma 2º, cod. proc. civ. nel caso di iscrizione ipotecaria su beni di valore esorbitante. Sono espressione della tesi maggioritaria: CASS., 30.7.2010, n. 17902, in Giust. civ., 2011, 2106; CASS., 28.5.2010, n. 13107, in Mass. Giust. civ., 2010; CASS., 24.7.2007, n. 16308, ivi, 2007; CASS., 7.5.2007, n. 10299, ibidem; CASS., 4.4.2001, n. 4968, cit.; CASS., 29.9.1999, n. 10771, in questa Rivista, 2000, I, 455 ss.; CASS., 3.11.1961, n. 2548, in Foro pad., 1962, I, 740. Sul requisito della necessaria soccombenza totale o inesistenza del credito v. in particolare, CASS., 29.4.2015, n. 8711, in Foro it., 2015, I, 3931 ss.; CASS., 12.10.2009, n. 21590, in Mass. Giust. civ., 2009; CASS., 3.9.2007, n. 18533, in Giust. civ., 2007, 2402; CASS., 22.2.2006, n. 3952, in Mass. NGCC 9/2016 Sinergie Grafiche srl Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. n Sentenze commentate Parte prima Giust. civ., 2006; CASS., 23.5.2003, n. 8171, ivi, 2003; CASS., 6.6.2003, n. 9060, ibidem; CASS., 2.3.2001, n. 3035, ivi, 2001; CASS., 28.7.2000, n. 9897, ivi, 2000; CASS., 14.9.1999, n. 9803, ivi, 1999; CASS., 2.2.1994, n. 1037, ivi, 1994; CASS., 21.2.1985, n. 1545, ivi, 1985. 3. Verso la responsabilità processuale ex art. 96, comma 2º, cod. proc. civ. nel caso di iscrizione ipotecaria eccessiva. L’isolato precedente cui fa riferimento la sentenza in commento (citandone però erroneamente il numero) è CASS., 2.2.1994, n. 1037, cit. IV. La dottrina Sull’abuso del diritto, ci si limita a richiamare: RESCIGNO, L’abuso del diritto, in Riv. dir. civ., 1965, 205 ss.; RESTIVO, Contributo ad una teoria dell’abuso del diritto, Giuffrè, 2007; ORLANDI, Contro l’abuso del diritto (in margine a Cass., 18.9.2009, n. 20106), in questa Rivista, 2010, II, 129 ss.; SCOGNAMIGLIO, Abuso del diritto, buona fede, ragionevolezza (verso una riscoperta della pretesa funzione correttiva dell’interpretazione del contratto?), in questa Rivista, 2010, II, 139 ss.; MESSINETTI, voce «Abuso del diritto», in Enc. dir., Agg.to, II, Giuffrè, 1998, 1 ss.; CASTRONOVO, Abuso del diritto come illecito atipico?, in Europa e dir. priv., 2006, 1051 ss.; DI BIASE, Frazionamento giudiziale del credito unitario e conseguenze giuridiche, in Contr. e impr., 2016, 41 ss. Amplissima è poi la dottrina in tema di abuso del processo, tra cui v. ANSANELLI, Abuso del processo, nel Digesto IV ed., Disc. priv., sez. civ., Agg.to III, Utet, 2007, 1 ss.; BONGIORNO, voce «Responsabilità aggravata», in Enc. giur. Treccani, Ed. Enc. it., 1991, 1 ss.; CARIGLIA, L’infrazionabilità del credito tra limiti oggettivi del giudicato e divieto di abuso del processo (nota a Trib. Perugia, 19 ottobre 2015), in Giur. it., 2016, 371 ss.; DONDI, voce «Abuso del processo (diritto processuale civile)», in Enc. del dir., Giuffrè, Annali, III, 2010, 1 ss.; ID., Spunti di raffronto comparatistico in tema di abuso del processo (a margine della l. 23-3-2001, n. 89), in questa Rivista, 2003, II, 62 ss.; DONDI - GIUSSANI, Appunti sul problema dell’abuso del processo civile nella prospettiva de iure condendo, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2007, 193 ss.; DE CRISTOFARO, Doveri di buona fede ed abuso degli strumenti processuali, in Giusto proc. civ., 2009, 1018; MANDRIOLI, Diritto processuale civile, I, Giappichelli, 2012, 432 ss.; NICOTINA, L’abuso nel processo civile, Aracne, 2005; PICARDI, Manuale del processo civile, Giuffrè, 2006, 174; TROPEA, L’abuso del processo amministrativo. Studio critico, Esi, 2015; ASPRELLA, Il frazionamento del credito nel processo, Cacucci, 2015; CORDOPATRI, L’abuso del processo, Cedam, 2000; ID., L’abuso del processo nel diritto positivo italiano, in Riv. dir. proc., 2012, 874 ss.; CATALANO, NGCC 9/2016 L’abuso del processo, Giuffrè, 2004; GHIRGA, La meritevolezza della tutela richiesta. Contributo allo studio sull’abuso dell’azione giudiziale, Giuffrè, 2004; ID., Recenti sviluppi giurisprudenziali e normativi in tema di abuso del processo, in Riv. dir. proc., 2015, 445 ss.; ID., Abuso del processo e sanzioni, Giuffrè, 2012; TOPPETTI, Il risarcimento del danno da lite temeraria, Giuffrè, 2014, 1 ss.; PANZAROLA, Presupposti e conseguenze della creazione giurisprudenziale del c.d. abuso del processo, in Dir. proc. amm., 2016, 23 ss.; SCARSELLI, Sul c.d. abuso del processo, in Riv. dir. proc., 2012, 1450 ss.; TARUFFO, Abuso del processo, in Contr. impr., 2015, 832 ss. Nel testo, si è fatto riferimento a CHIOVENDA, La condanna nelle spese giudiziali, Torino, 1901, rist. anast., Esi, 2001, 319 ss. Sull’art. 96, comma 3º, v. BUSNELLI - D’ALESSANDRO, L’enigmatico ultimo comma dell’art. 96 cod. proc. civ.: responsabilità aggravata o ‘‘condanna punitiva’’?, in Danno e resp., 2012, 585 ss.; CORDOPATRI, L’abuso del processo nel diritto positivo italiano, cit., 874 ss.; DALLA MASSARA, Terzo comma dell’art. 96 cod. proc. civ.: quando, quanto e perché?, in questa Rivista, 2011, II, 55 ss.; PORRECA, L’art. 96, 3º comma, cod. proc. civ.: tra ristoro e sanzione, in Foro it., 2010, 2242 ss.; SALVATORI, Tra abuso del diritto e funzione punitiva: una lettura ricognitiva dell’art. 96, comma 3, cod. proc. civ. e prospettive de iure condendo, in questa Rivista, II, 2015, 630 ss. Sui presupposti di applicabilità dell’art. 96, comma 2º, cod. proc. civ.: C.M. BIANCA, Diritto civile. La responsabilità, 5, Giuffrè, 2012, 773 ss.; CALVOSA, La condanna al risarcimento dei danni per responsabilità aggravata, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1954, 385; COMOGLIO, nel Commentario del codice di procedura civile, diretto da COMOGLIO, CONSOLO, SASSANI e VACCARELLA, Utet, 2012, sub art. 96, 1257 ss.; FRANZONI, La lite temeraria e il danno punitivo, in Resp. civ. e prev., 2015, 1063 ss.; GRASSO, Individuazione delle fattispecie da illecito processuale e sufficienza dell’art. 96 cod. proc. civ., in Giur. it., 1961, 93 ss.; MAZZOLA, Responsabilità processuale, Utet, 2013, 5 ss.; MORANO CINQUE, Promozione del giudizio per «motivi pretestuosi»: malafede processuale, abuso del processo e lite temeraria, in Resp. civ. prev., 2015, 1168 ss. Sul tema del rapporto tra necessaria soccombenza/inesistenza del diritto e responsabilità processuale v. in particolare CORDOPATRI, voce «Spese giudiziali», in Enc. dir., 1990, XLIII, Giuffrè, spec. 351 ss.; COMOGLIO, Abuso del processo e garanzie costituzionali, in Riv. dir. proc., 2008, 320 ss.; GHIRGA, Giudizio cautelare e responsabilità aggravata, in Riv. dir. proc., 2013, 1515 ss. Sulla riduzione di ipoteca esorbitante e responsabilità processuale v. RAVAZZONI, Le ipoteche, nel Trattato Cicu-Messineo, Giuffrè, 2006, spec. 597 ss.; GORLA, Pegno. Ipoteca, nel Commentario Scialoja-Branca, Zanichelli - Foro it., 1968, sub artt. 2784-2899, 414 s.; 1193 Sinergie Grafiche srl n Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Parte prima Sentenze commentate RUBINO, L’ipoteca immobiliare e mobiliare, Giuffrè, 1956, 493; BUSANI, Responsabilità del creditore per eccessiva iscrizione ipotecaria su beni del debitore, in questa Rivista, 2000, I, 617 ss. Per una nota di commento all’orientamento maggioritario: MONTEL, Ancora in tema di responsabilità per eccesso di iscrizione ipotecaria, in Foro pad., 1962, 741. Si esprime invece senso critico rispetto all’impostazione tradizionale, anticipando alcuni degli argomenti della sentenza in commento: MANFREDINI, La responsabilità per eccesso di iscrizione ipotecaria, in Notariato, 2000, 313 ss. n Responsabilità civile T.A.R. LOMBARDIA, III sez., 6.4.2016, n. 650 – DI MARIO Presidente – DE VITA Relatore – T. (avv.ti Angiolini, Formilan e Basilico) – Regione Lombardia (avv. Schiena) RESPONSABILITÀ CIVILE – PROVVEDIMENTO ILLEGITTIMO DELLA P.A. – NATURA SPECIALE DELLA RESPONSABILITÀ – CONFIGURABILITÀ – MODELLI NORMATIVI PROPRI DEL DIRITTO CIVILE – ESTRANEITÀ (cod. civ., artt. 1218, 2043) La responsabilità da provvedimento illegittimo della P.A. ha natura speciale e non è riconducibile ai modelli normativi propri del diritto civile. Rispetto alla responsabilità extracontrattuale, il comportamento illecito si inserisce nell’ambito di un procedimento amministrativo ispirato al principio di legalità e come tale non assimilabile alla condotta di chi - con un comportamento materiale o di natura negoziale - cagioni un danno ingiusto a cose, a persone, a diritti, posizioni di fatto o altre posizioni tutelate ai fini risarcitori erga omnes dal diritto privato. Rispetto alla responsabilità contrattuale, sono diverse le posizioni soggettive che si confrontano: da un lato, dovere di prestazione (o di protezione) e diritto di credito, dall’altro, potere pubblico e interesse legittimo o, nelle materie di giurisdizione esclusiva, diritto soggettivo. Gli elementi costitutivi della responsabilità della p.a. sono rappresentati dall’elemento oggettivo, dall’elemento soggettivo (colpevolezza o rimproverabilità), dal nesso di causalità materiale o strutturale e dal danno ingiusto, inteso come lesione alla posizione di interesse legittimo. RESPONSABILITÀ CIVILE – PAZIENTE IN STATO VEGETATIVO PERMANENTE – ILLEGITTIMO RIFIUTO DELL’INTERRUZIONE DI ALIMENTAZIONE E IDRATAZIONE – RISARCIMENTO DANNI IURE PROPRIO E IURE HEREDITATIS – SUSSISTENZA (Cost., artt. 2, 3, 13, 32; cod. civ., art. 2043) Il genitore della persona cui è stata illegittimamente rifiutata l’interruzione del trattamento di alimentazione e idratazione, ha diritto al risarcimento del danno sia a titolo di erede, per la lesione del diritto fondamentale di autodeterminazione in ordine alla libertà di scelta di non ricevere cure, oltre che della salute e la lesione del diritto all’effettività della tutela giurisdizionale, sia di quello iure proprio, per lesione del rapporto parentale risarcibile anche laddove la lesione del legame familiare non dipenda da una condotta penalmente illecita. dal testo: Il fatto. Con ricorso notificato in data 12 gennaio 2015 e depositato il 22 gennaio successivo, il ricorrente ha chiesto la condanna della Regione Lombardia al risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, derivanti dagli atti annullati con sentenza del T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. III, 26 gennaio 2009, n. 214, come confermata dal Consiglio di Stato, Sez. III, 2 settembre 2014, n. 4460. Va premesso che il ricorrente, nella sua qualità di tutore della propria figlia, in stato di coma vegetativo permanente, ha impugnato avanti a questo Tribunale la nota della Regione Lombardia prot. n. M1.2008.0032878 del 3 settembre 2008, con la quale il Direttore Generale della Direzione Generale Sanità aveva respinto la sua richiesta finalizzata ad ottenere dalla Regione Lombardia la messa a disposizione di una struttura per il distacco del sondino naso-gastrico che alimentava e idratava artificialmente la predetta figlia, in 1194 ragione dell’autorizzazione rilasciata dalla Corte di Appello di Milano, con decreto del 9 luglio 2008. Questo Tribunale, con sentenza n. 214 del 26 gennaio 2009, ha accolto il ricorso e annullato il provvedimento impugnato. Nella predetta sentenza, ritenuta la sussistenza della giurisdizione amministrativa, è stato evidenziato come il provvedimento impugnato abbia illegittimamente vulnerato il diritto costituzionale di rifiutare le cure, riconosciuto alla figlia del ricorrente dalla sentenza della Cass. Civ., sez. I, 16 ottobre 2007, n. 21748, quale diritto di libertà assoluto, il cui dovere di rispetto si impone erga omnes, nei confronti di chiunque intrattenga con l’ammalato il rapporto di cura, non rilevando se operante all’interno di una struttura sanitaria pubblica o privata. Successivamente al decesso della figlia del ricorrente, avvenuto il 9 febbraio 2009 a Udine, la Regione Lombardia ha proposto appello avverso la sentenza di questo Tribunale; con la decisione n. 4660 del 2 settembre 2014, la Terza NGCC 9/2016 Sinergie Grafiche srl Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. n Sentenze commentate Parte prima Sezione del Consiglio di Stato, ritenendo la sussistenza dell’interesse ad una pronuncia di merito, ha rigettato l’appello e confermato la sentenza di primo grado. Con il ricorso proposto nella presente sede il ricorrente, sia in proprio che nella sua qualità di tutore della propria figlia defunta, ha chiesto il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale, che domandato già in occasione del ricorso proposto nell’anno 2008 (sfociato nella sentenza di questo Tribunale n. 214 del 2009), fu oggetto di rinuncia in ragione della necessità di ottenere una decisione in forma semplificata all’esito dell’udienza camerale cautelare. A sostegno del ricorso viene dedotta la violazione dei principi costituzionali e del diritto sovranazionale in materia di garanzia dell’effettività del diritto alla tutela giurisdizionale, attesa la mancata volontaria attuazione da parte degli Uffici regionali di prescrizioni discendenti da pronunce definitive sia della Corte di Cassazione che della Corte d’Appello di Milano; nel ricorso si procede poi a quantificare l’entità sia del danno patrimoniale che di quello non patrimoniale. Si è costituita in giudizio la Regione Lombardia, che ha chiesto il rigetto del ricorso. In prossimità dell’udienza di trattazione del merito della controversia, le parti hanno depositato memorie a sostegno delle rispettive posizioni; la difesa della Regione Lombardia ha altresı̀ sollevato alcune eccezioni di carattere preliminare, sia con riguardo alla legittimazione ad agire del ricorrente in qualità di tutore, sia con riferimento alla violazione dell’art. 30 cod. proc. amm.; la difesa del ricorrente ha replicato alle predette eccezioni, chiedendone il rigetto. Alla pubblica udienza del 19 novembre 2015, su conforme richiesta dei difensori delle parti, il ricorso è stato trattenuto in decisione. I motivi. 1. In via preliminare va esaminata l’eccezione di inammissibilità (e/o improcedibilità) del ricorso formulata dalla difesa regionale e fondata sulla circostanza che la domanda risarcitoria sarebbe stata già proposta, e successivamente rinunciata, nel giudizio sfociato nella sentenza di questa Sezione n. 214 del 2009, resa tra le stesse parti e avente ad oggetto la medesima questione. 1.1. L’eccezione è infondata. Il Consiglio di Stato, nel ritenere ammissibile l’appello della Regione Lombardia avverso la citata sentenza di questo Tribunale, nonostante l’avvenuto decesso della figlia del ricorrente, ha evidenziato come la Regione Lombardia avesse ‘‘un perdurante interesse a veder dichiarata in via definitiva la eventuale legittimità del potere in concreto esercitato anzitutto, se non esclusivamente, nella vicenda che ne occupa, senza dire che il ricorrente potrebbe comunque chiedere il risarcimento dei danni conseguenti all’accertata illegittimità della delibera regionale, stante anche il fatto che egli aveva rinunciato alla domanda risarcitoria inizialmente proposta avanti al T.A.R., ma non certo all’azione e, dunque, all’eventuale diritto di chiedere il ristoro dei danni in ipotesi subiti, una volta passata in giudicato la sentenza di annullamento’’ (sentenza n. 4460 del 2 settembre 2014). 1.2. Di conseguenza, il ricorso proposto nella presente sede ed avente ad oggetto unicamente la pretesa risarcitoria deve essere ritenuto ammissibile. 2. Sempre in via preliminare, va scrutinata l’ulteriore eccezione formulata dalla difesa regionale di inammissibilità NGCC 9/2016 dell’azione proposta dal ricorrente nella sua qualità di tutore per carenza di legittimazione ad agire. 2.1. L’eccezione è fondata. Il tutore svolge il suo ufficio nell’esclusivo interesse del soggetto incapace e quindi non può agire in vece di quest’ultimo, laddove sia intervenuta la cessazione dell’incarico; la morte dell’incapace determina certamente la cessazione dall’incarico e quindi l’impossibilità di operare in via ultrattiva in tale veste. Del resto, trattandosi di un compito assunto nell’interesse di un altro soggetto, nessun danno potrebbe concretizzarsi direttamente nei confronti del tutore, laddove sia posta in essere un’attività o un comportamento in danno dell’incapace. In tal senso si è pronunciato anche il supremo giudice amministrativo, allorquando ha sottolineato che ‘‘la morte dell’interdetto comporta la cessazione definitiva ed automatica di qualunque tipo di tutela; pertanto, una volta sopravvenuto il decesso, le situazioni giuridiche afferenti al patrimonio del defunto possono esser fatte valere unicamente dagli eredi’’ (Consiglio di Stato, V, 29 agosto 2006, n. 5030). 2.2. Di conseguenza, deve essere dichiarata la carenza di legittimazione ad agire del ricorrente nella qualità di tutore della figlia defunta. 3. Va scrutinata nel merito invece la domanda di risarcimento formulata dal ricorrente nella qualità di padre della persona deceduta e destinataria del provvedimento emanato dalla Regione Lombardia, prot. n. M1.2008.0032878 del 3 settembre 2008, annullato da questo Tribunale con la sentenza n. 214 del 2009. 4. Il ricorso è fondato, secondo quanto di seguito specificato. Trattandosi di una domanda proposta esclusivamente al fine di ottenere il risarcimento del danno appare opportuno richiamare la giurisprudenza che si è soffermata sulla natura della responsabilità della pubblica amministrazione e sugli elementi costitutivi della stessa, al fine di procedere al suo inquadramento e di ricavarne le coordinate per farne applicazione nella concreta fattispecie. Come già evidenziato dalla giurisprudenza amministrativa, ‘‘la responsabilità della pubblica amministrazione da provvedimento illegittimo risponde ad un modello speciale non riconducibile ai modelli di responsabilità che operano nel settore del diritto civile’’ (Cons. Stato, VI, 14 marzo 2005, n. 1047). La responsabilità extracontrattuale, che rinviene il fondamento generale della sua disciplina nell’art. 2043 cod. civ., presuppone che l’agente non abbia normalmente alcun rapporto o contatto con la parte danneggiata. La norma citata, infatti, impone, con clausola generale dotata di una sua autonomia precettiva, il rispetto del dovere generale del neminem laedere a tutela di qualunque posizione soggettiva meritevole di protezione giuridica. La responsabilità contrattuale è conseguenza della violazione di un rapporto giuridico che sorge non solo da un contratto ma, esprimendo l’espressione impiegata una sineddoche, anche dalla legge o da contatto tra le parti che può generare un rapporto contrattuale di fatto. Le posizioni soggettive sono riconducibili alla categoria del diritto soggettivo relativo. La responsabilità della pubblica amministrazione ha natu- 1195 Sinergie Grafiche srl n Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Parte prima Sentenze commentate ra speciale non riconducibile ai modelli normativi di responsabilità sopra indicati. In primo luogo, rispetto alla responsabilità civile, quella in esame presuppone che il comportamento illecito si inserisca nell’ambito di un procedimento amministrativo. L’amministrazione, in ossequio al principio di legalità, deve osservare predefinite regole, procedimentali e sostanziali, che scandiscono le modalità di svolgimento della sua azione. L’esercizio del potere autoritativo «non è assimilabile alla condotta di chi - con un comportamento materiale o di natura negoziale - cagioni un danno ingiusto a cose, a persone, a diritti, posizioni di fatto o altre posizioni tutelate ai fini risarcitori erga omnes dal diritto privato (e la cui tutela è prevista dagli articoli 2043 e ss. del codice civile)» (Cons. Stato, VI, n. 1047 del 2005). In secondo luogo, rispetto alla responsabilità contrattuale, sono diverse le posizioni soggettive che si confrontano: da un lato, dovere di prestazione (o di protezione) e diritto di credito, dall’altro, potere pubblico e interesse legittimo o, nelle materie di giurisdizione esclusiva, diritto soggettivo. In definitiva, ‘‘la peculiarità dell’attività amministrativa che deve svolgersi nel rispetto di regole procedimentali e sostanziali a tutela dell’interesse pubblico - rende speciale, per le ragioni indicate, anche il sistema della responsabilità da attività illegittima’’ (Consiglio di Stato, VI, 29 maggio 2014, n. 2792; altresı̀, 27 giugno 2013, n. 3521). Gli elementi costitutivi della responsabilità della p.a. sono rappresentati, quindi, dall’elemento oggettivo, dall’elemento soggettivo (colpevolezza o rimproverabilità), dal nesso di causalità materiale o strutturale e dal danno ingiusto, inteso come lesione alla posizione di interesse legittimo. In particolare, il fatto lesivo deve essere collegato, con un nesso di causalità giuridica o funzionale, con i pregiudizi patrimoniali o non patrimoniali lamentati (cfr. Consiglio di Stato, VI, 27 giugno 2013, n. 3521). Va precisato poi che, laddove sia stata proposta, come nel caso de quo, un’autonoma azione di responsabilità, il giudice amministrativo «può effettuare un giudizio prognostico applicando, con gli esposti adattamenti, le regole elaborate in ambito civilistico per ricostruire il nesso di causalità. Occorre, pertanto, accertare se vi è stato danno ingiusto valutando se, in applicazione della teoria condizionalistica e della causalità adeguata, è ‘‘più probabile che non’’ che l’azione o l’omissione della pubblica amministrazione siano state idonee a cagionare l’evento lesivo» (Consiglio di Stato, VI, 29 maggio 2014, n. 2792). 5. Nella fattispecie di cui al presente giudizio si possono rinvenire tutti gli elementi costituitivi della responsabilità della pubblica amministrazione, come in precedenza evidenziati. 5.1. Quanto all’elemento oggettivo della responsabilità, ossia il fatto lesivo e la sua ingiustizia, esso consiste in primo luogo nell’impedimento frapposto all’esecuzione dell’autorizzazione rilasciata dalla Corte di Appello di Milano, con decreto del 9 luglio 2008, emesso nel giudizio di rinvio disposto dalla Corte di Cassazione, sez. I, 16.10.2007, n. 21748, e in sede di reclamo contro provvedimento del giudice tutelare del Tribunale di Lecco e divenuto ormai definitivo. Anche la sentenza di questo Tribunale n. 214 del 26 gennaio 2009, confermata dal Consiglio di Stato con sen- 1196 tenza del 2 settembre 2014 n. 4460, che ha annullato il diniego del Direttore Generale della Direzione generale Sanità della Giunta Regionale Lombardia del 3 settembre 2008 di accettare il ricovero della malata, è rimasta inadempiuta prima del decesso dell’interessata. 5.2. Anche l’elemento soggettivo e il nesso di causalità tra comportamento della Pubblica Amministrazione e danno ingiusto sono certamente sussistenti. A fronte di un decreto della Corte d’Appello di Milano adottato il 9 luglio 2008 - di cui non può contestarsi l’efficacia di cosa giudicata (punto 66.3 sentenza n. 4460 del 2014 del Consiglio di Stato), contenente l’ordine di eseguire la prestazione richiesta (punto 65.4 cit.), la Regione si è rifiutata deliberatamente e scientemente di darvi seguito, ponendo in essere un comportamento di natura certamente dolosa. Come evidenziato dalla pronuncia del Consiglio di Stato (punto 23.1), la Regione ha inteso negare l’effettuazione della richiesta prestazione sanitaria non con la semplice inerzia o con un mero comportamento materiale, agendo ‘‘nel fatto’’, o adducendo a motivo di tale mancato adempimento l’impossibilità tecnica della prestazione richiesta o un impedimento di ordine fattuale, bensı̀ con l’emanazione di un espresso provvedimento, a firma del Direttore Generale della Sanità Lombarda. Non è possibile che lo Stato ammetta che alcuni suoi organi ed enti, qual è la Regione Lombardia, ignorino le sua leggi e l’autorità dei tribunali, dopo che siano esauriti tutti i rimedi previsti dall’ordinamento, in quanto questo comporta una rottura dell’ordinamento costituzionale non altrimenti sanabile. Né, a tal fine, si possono invocare motivi di coscienza, in quanto, come evidenziato dalla pronuncia del Consiglio di Stato (punto 55.6), «a chi avanza motivi di coscienza si può e si deve obiettare che solo gli individui hanno una ‘‘coscienza’’, mentre la ‘‘coscienza’’ delle istituzioni è costituita dalle leggi che le regolano». Anche il nesso di causalità sussiste in quanto l’inottemperanza al giudicato civile prima, ed a quello amministrativo poi, ha determinato la protrazione di uno stato vegetativo permanente in capo al soggetto interessato e contro la sua volontà, con tutte le conseguenza che ne sono derivate. 6. A questo punto deve provvedersi alla liquidazione dei danni sia nella componente patrimoniale che non patrimoniale (sul danno non patrimoniale legato allo svolgimento di un’attività amministrativa, da ultimo, Consiglio di Stato, IV, 21 settembre 2015, n. 4375). 6.1. Con riguardo al danno patrimoniale, il ricorrente ha chiesto la liquidazione della somma complessiva di E 12.965,78, cosı̀ ripartita: E 647,10 legati al costo del trasporto della paziente; E 470,00 quale retta per la degenza; E 11.848,68 per costi legati al piantonamento fisso (all. 2 al ricorso). Tali costi possono essere certamente riconosciuti in favore del ricorrente, atteso che in ragione della peculiare situazione che si era venuta a creare - anche a causa del rifiuto regionale di interrompere le cure - e per la difficoltà di individuare celermente una struttura fuori Regione, disposta ad eseguire il trattamento di interruzione di alimentazione e idratazione della figlia, non sarebbe stato concretamente possibile effettuare approfondite verifiche in ordine ai costi NGCC 9/2016 Sinergie Grafiche srl Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. n Sentenze commentate Parte prima dei vari servizi e alla loro eventuale rimborsabilità da parte del S.S.N. (quest’ultimo certamente difficile da ottenere, visto il complessivo comportamento regionale); quanto alle spese di piantonamento, le stesse appaiono giustificate avuto riguardo alla risonanza mediatica della vicenda, ampiamente dimostrata dagli articoli di stampa allegati agli atti di causa. 6.2. Pertanto, a titolo di danno patrimoniale deve essere liquidata al ricorrente la somma di E 12.965,78, oltre agli interessi legali dal momento dell’esborso e fino alla data di pubblicazione della sentenza. 7. Quanto al danno non patrimoniale, vanno sottolineati alcuni aspetti preliminari. 7.1. Il ricorrente, nella veste di genitore della persona cui è stata rifiutata l’interruzione del trattamento di alimentazione e idratazione, ha diritto al risarcimento sia del danno a titolo di erede, sia di quello iure proprio per lesione del rapporto parentale. 7.2. In ordine al danno di natura non patrimoniale a titolo ereditario (per la domanda relativa a siffatta voce di danno si vedano le pagg. 25 e 44-45 del ricorso introduttivo e la pag. 18 della memoria finale del ricorrente) va evidenziato come il comportamento della Regione Lombardia ha leso il diritto fondamentale della sig.ra -OMISSIS- ad ottenere l’interruzione del procedimento di alimentazione artificiale, atteso che è stato riconosciuto in capo alla stessa, come pure a ciascun individuo, il diritto assoluto a rifiutare le cure ad essa somministrate in qualunque fase del trattamento e per qualunque motivazione (cfr. Cass. Civ., I, 16 ottobre 2007, n. 21748, riferita proprio al caso de quo), sul presupposto della sussistenza di specifici presupposti (la cui verifica è stata affidata alla Corte d’Appello di Milano che ha pronunciato il decreto in data 9 luglio 2008). A fronte dei predetti provvedimenti giurisdizionali che hanno accertato la sussistenza del diritto ad ottenere l’interruzione del trattamento sanitario, il rifiuto espresso dalla Regione Lombardia con l’atto dirigenziale del 3 settembre 2008, contenente il diniego di ricovero al fine di sospendere il trattamento di idratazione e alimentazione artificiale annullato con la sentenza di questo Tribunale n. 214 del 2009, confermata dalla decisione del Consiglio di Stato n. 4460 del 2014 -, ha determinato la lesione del diritto fondamentale di autodeterminazione in ordine alla libertà di scelta di non ricevere cure, oltre che della salute, cosı̀ come ricostruito nelle sentenze che li hanno riconosciuti (c.d. diritto di staccare la spina: da ultimo, Cass., SS.UU., 22 dicembre 2015, n. 25767), e la lesione del diritto all’effettività della tutela giurisdizionale; le lesioni sono state aggravate dalla circostanza che, nemmeno dopo la pronuncia di questo Tribunale, la Regione ha messo a disposizione una struttura per eseguire quanto statuito nelle diverse sedi giurisdizionali. Si tratta poi di danno conseguenza, ossia di lesione che ha avuto degli effetti, seppure di tipo non patrimoniale, giacché non è stata rispettata la volontà del soggetto interessato - per come ricostruita dalla Corte d’Appello - di voler mettere fine ad un trattamento sanitario; ciò rappresenta una palese violazione degli artt. 2, 13 e 32 Cost. (Corte costituzionale, sentenza n. 438 del 2008; Cass. Civ., III, 12 giugno 2015, n. 12205). La quantificazione dei sopra richiamati danni, di tipo non patrimoniale, che può avvenire soltanto attraverso una valutazione in via equitativa (Cass. Civ., III, 23 gennaio 2014, NGCC 9/2016 n. 1361), va effettuata tenendo conto sia della natura dolosa del rifiuto regionale, pur a fronte delle numerose iniziative giurisdizionali intraprese dal sig. (Omissis), sfociate nel decreto della Corte d’Appello del 9 luglio 2008, sia del non brevissimo lasso di tempo - dalla predetta pronuncia - che la sig.ra (Omissis) ha dovuto attendere prima della interruzione del trattamento sanitario. In ragione di ciò il risarcimento può essere determinato nella somma complessiva di E 60.000,00 (sessantamila/00) che, quale danno a titolo ereditario, va ridotto avendo riguardo alla possibile presenza di altri eredi, del cui numero non vi è certezza (fatta eccezione per la madre; cfr. art. 571 c.c. sulla contemporanea presenza di più soggetti aventi diritto all’eredità): pertanto appare equo ridurre la somma ad un terzo, ossia ad E 20.000,00 (ventimila/00). 7.3. Non può essere riconosciuto invece quanto richiesto dal ricorrente, iure proprio, a titolo di danno morale soggettivo (in tema, cfr. Cass., SS.UU., 11 novembre 2008, n. 26972; III, 12 maggio 2003, nn. 7281 e 7282), atteso che lo stesso non ha ancorato la richiesta di danno morale alla sussistenza di una, seppure ipotetica, illiceità penale direttamente collegata all’adozione del provvedimento impugnato, ma ha individuato la genesi di tale categoria di danno non patrimoniale nelle attività e nei comportamenti di alcuni organi regionali o di altri soggetti, anche estranei all’apparato regionale - e per lo più svolgenti attività riconducibili alla sfera dell’indirizzo politico - che avrebbero posto in essere una vera a propria campagna diffamatoria e calunniatoria nei suoi confronti; appare tuttavia evidente che, seppure un collegamento effettivamente possa ritenersi sussistente, non vi è un nesso di causalità diretto tra l’atto regionale impugnato e gli eventuali danni subiti dal ricorrente in ragione delle dichiarazioni e dei comportamenti dei vertici politici della Regione o di altri soggetti aventi un ruolo pubblico, trattandosi di condotte di natura personale e poste in essere da soggetti non aventi una propria specifica competenza nell’adozione degli atti e delle attività richiesti all’Amministrazione resistente. I danni asseritamente subiti a causa di tali comportamenti possono essere fatti valere soltanto in un autonomo giudizio civile o attraverso la costituzione di parte civile in un procedimento penale. Ne discende che tale tipologia di danno, ossia quello morale soggettivo, non può essere riconosciuta nella presente sede. 7.4. Va invece riconosciuto il danno richiesto dal ricorrente, iure proprio, a titolo di lesione alle relazioni familiari e al rapporto parentale. Infatti si tratta di un pregiudizio a diritti fondamentali che trovano la loro fonte diretta nella Costituzione, atteso che nell’art. 2059 c.c. trova adeguata collocazione ‘‘anche la tutela riconosciuta ai soggetti che abbiano visto lesi i diritti inviolabili della famiglia (artt. 2, 29 e 30 Cost.) (sent. n. 8827 e n. 8828/2003, concernenti la fattispecie del danno da perdita o compromissione del rapporto parentale nel caso di morte o di procurata grave invalidità del congiunto)’’ (Cass., SS.UU., 11 novembre 2008, n. 26972). Tale figura di danno, da collocare nell’ambito del danno conseguenza non patrimoniale, risulta quindi pienamente risarcibile, anche laddove la lesione del legame familiare non dipenda da una condotta penalmente illecita. Quanto al suo accertamento, trattandosi di pregiudizio ad un bene immateriale, ‘‘il ricorso alla prova presuntiva è 1197 Sinergie Grafiche srl n Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Parte prima Sentenze commentate destinato ad assumere particolare rilievo, e potrà costituire anche l’unica fonte per la formazione del convincimento del giudice, non trattandosi di mezzo di prova di rango inferiore agli altri (v., tra le tante, sent. n. 9834/2002). Il danneggiato dovrà tuttavia allegare tutti gli elementi che, nella concreta fattispecie, siano idonei a fornire la serie concatenata di fatti noti che consentano di risalire al fatto ignoto’’ (Cass., SS.UU., 11 novembre 2008, n. 26972; altresı̀ Cass. Civ., III, 20 agosto 2015, n. 16992). Nel caso di specie, tenuto conto della peculiare situazione legata alla persistenza dello stato vegetativo della sig.ra (Omissis) per ben 17 anni, scaturito da un incidente stradale, il diniego regionale del 3 settembre 2008, assunto in consapevole ed evidente contrasto con le richiamate pronunce giurisdizionali, ha aggravato le difficoltà e i turbamenti che hanno dovuto affrontare i genitori, in particolare il padre, odierno ricorrente, che assunto anche la veste di tutore, vanificando gli effetti del Decreto della Corte d’Appello di Milano del 9 luglio 2008. In ragione di ciò la vita familiare, già sconvolta da fondamentali e radicali cambiamenti dello stile di vita, è stata ulteriormente turbata dall’ostruzionismo della Regione Lombardia (cfr. Cass. Civ., III, 20 agosto 2015, n. 16992): si è impedito quindi al ricorrente di dare seguito alla volontà della figlia di non continuare a vivere quello stato di incoscienza permanente, essendo stata accertata con le più volte citate pronunce giurisdizionali - rese sia in sede civile che amministrativa e passate in giudicato - l’incompatibilità di uno stato vegetativo con lo stile di vita e i convincimenti profondi riferibili alla persona, correlati ai fondamentali di- ritti di autodeterminazione e di rifiutare le cure (artt. 2, 13 e 32 Cost.). La quantificazione del danno alla lesione del rapporto parentale, di natura certamente catastrofale, non può che avvenire in via equitativa pura in ragione della assenza di criteri standardizzati o di riferimenti rinvenibili nell’ordinamento (sulla valutazione equitativa e sulla ‘‘personalizzazione della liquidazione’’, si veda Cass. Civ., III, 20 agosto 2015, n. 16992). Anche in tale frangente va considerata rilevante la circostanza della natura dolosa del rifiuto regionale, che ha reso ancora più gravosa la condizione esistenziale del ricorrente, reputandosi pertanto equo liquidare allo stesso la somma di E 100.000,00 (centomila/00). 8. In conclusione il ricorso va accolto secondo quanto specificato in precedenza, liquidando al ricorrente le somme di E 12.965,78, a titolo di danno patrimoniale, di E 30.000,00 (trentamila/00), a titolo di danno iure hereditatis per lesione dei diritti fondamentali della sig.ra (Omissis), e di E 100.000,00 (centomila/00), a titolo di danno non patrimoniale da lesione di rapporto parentale. Trattandosi di debito di valore, sulla somma che lo esprime sono dovuti interessi e rivalutazione dalla data di proposizione del ricorso deciso con la sentenza di questa Sezione n. 214 del 2009 fino al saldo (cfr. Cass. Civ., II, 11 maggio 2011, n. 10349), fatta eccezione per la somma liquidata a titolo di danno patrimoniale (cfr. il precedente punto 6.2 del diritto). 9. Le spese in parte vengono compensate e in parte seguono il criterio della parziale soccombenza a carico della Regione Lombardia, venendo liquidate in dispositivo. (Omissis) «La responsabilità della pubblica amministrazione nel caso Englaro» di Chiara Favilli* Dopo avere alimentato il dibattito in campo giuridico e bioetico in ordine all’attuazione delle scelte di fine vita del soggetto incapace, il caso Englaro offre al giudice amministrativo - chiamato a rimediare alle conseguenze del provvedimento regionale che ha impedito il tempestivo esercizio del diritto di rifiutare le cure riconosciuto al termine di una lunga battaglia giudiziaria - l’occasione per aderire alla tesi della natura speciale della responsabilità per lesione degli interessi legittimi, nonché per estendere il risarcimento del danno da lesione del rapporto parentale, oltre le ipotesi consuete della morte e delle gravi lesioni inferte al congiunto da terzi: alla violazione del diritto di autodeterminazione del familiare al quale consegua il prolungamento di una condizione difforme dalla sua identità e dalla sua concezione sulla dignità della vita. I. Il caso La pronuncia in commento apre una nuova fase della tormentata vicenda attraversata dal padre e tutore di Eluana Englaro al fine di ottenere l’autorizzazione a disporre l’interruzione dei trattamenti di nutrizione e idratazione artificiale che mantenevano in vita la figlia da quando un incidente stradale l’aveva ridotta in stato vegetativo permanente, sı̀ da conformarsi alla presumibile volontà, come ricostruita sulla base dei desideri di lei, della sua personalità, del suo stile di vita, dei suoi più intimi convincimenti. In esito a ripetuti e defatiganti interpelli giudiziali il distacco dei presidi vitali viene ammesso sul presupposto del diritto di rifiutare le cure e, stante l’incapacità dell’interessata, al suo esercizio è * Contributo pubblicato in base a referee. 1198 NGCC 9/2016 Sinergie Grafiche srl Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. n Sentenze commentate Parte prima delegato il legale rappresentante a particolari condizioni (assoluta irreversibilità della condizione patologica; elementi di prova chiari, univoci e convincenti circa la corrispondenza della scelta interruttiva ai desideri della paziente). A complicare ulteriormente l’iter si frappone, però, la delibera regionale che respinge la richiesta diretta ad ottenere la messa a disposizione di una struttura idonea a procedere alla sospensione dei trattamenti, secondo quanto prescritto dal giudice, con la conseguente necessità di trasferire la paziente nella clinica di Udine che aveva offerto la propria disponibilità, senza attendere l’esito dell’impugnazione al tribunale amministrativo. A seguito dell’annullamento dell’atto, il T.a.r. viene chiamato nuovamente a decidere in ordine alla responsabilità della Regione Lombardia per i pregiudizi in tal modo cagionati. Nell’opinione della Corte, il deliberato e ingiustificato diniego, oltre ad avere inficiato la garanzia dell’effettività del diritto alla tutela giurisdizionale, ha leso il diritto costituzionale di rifiutare le cure riconosciuto alla paziente. Ne consegue il diritto del ricorrente al risarcimento del danno patrimoniale, per le spese sostenute per esercitare il diritto fuori Regione, oltre che alla riparazione del pregiudizio non patrimoniale. In particolare, la violazione dei suddetti diritti fondamentali assume rilevanza sia iure hereditario, sia iure proprio, per la sua incidenza sulle relazioni familiari e sul rapporto parentale, giacché l’ostruzionismo regionale, nel determinare il protrarsi dello stato vegetativo, ha aggravato le difficoltà e i turbamenti dei genitori. Viene, invece, escluso, in difetto di rilevanza penale oltre che di collegamento eziologico con l’atto impugnato, il danno morale soggettivo iure proprio imputato dal ricorrente ai vertici pubblici ritenuti artefici di una campagna denigratoria nei suoi confronti. II. Le questioni 1. La natura della responsabilità della pubblica amministrazione per il danno da lesione di interessi legittimi. Il superamento della tradizionale immunità della p.a. per la lesione degli interessi legittimi, a seguito della svolta impressa da Cass., sez. un., n. 500/1999 (infra, sez. III), rappresenta uno dei riflessi dell’affermazione del concetto di ingiustizia del danno quale norma primaria e clausola generale, non più circoscritta pertanto alla protezione delle posizioni riconducibili alla categoria del diritto soggettivo ma aperta alla tutela dell’intera area delle situazioni giuridicamente rilevanti. Ciò malgrado, e nonostante la chiara scelta di campo dell’art. 30 del cod. proc. amm., la tesi extracontrattuale non ha convinto la totalità degli interpreti, i quali, osservando l’assetto multiforme dei rapporti tra privato e pubblica amministrazione e il variare dei margini di discrezionalità nello svolgimento delle numerose funzioni e attività NGCC 9/2016 ad essa imputabili, hanno elaborato una serie di proposte ricostruttive ulteriori. Alla alternativa contrattuale, ascritta alla violazione di obbligazioni senza prestazione nascenti dal contatto procedimentale, si sono aggiunti, infatti, il richiamo all’art. 1337 cod. civ. nelle decisioni relative all’illegittimità di procedure selettive - destinato però a riaprire la medesima alternativa, stante l’esclusione di una propria valenza autonoma - e la riconduzione a un tertium genus, un modello speciale, equidistante dalle categorie tradizionali, secondo un orientamento tracciato dal Consiglio di Stato. A rendere significativa l’adesione a questa prospettiva nella pronuncia in esame è il carattere peculiare dell’interesse fatto valere dal ricorrente. Il provvedimento illegittimo di diniego è stato adottato, infatti, nell’ambito di un’attività vincolata non a livello normativo, ma giudiziale. Se per motivare il rifiuto si è addotta l’esigenza di evitare il venir meno del personale sanitario regionale ai propri obblighi professionali e di servizio, «anche in considerazione del fatto che il provvedimento giurisdizionale di cui si chiede l’esecuzione non contiene un obbligo formale a carico di soggetti o enti individuati», il T.a.r. Lombardia (con la pronuncia del 26.1.2009, n. 214, in Foro it., 2009, III, 238 ss., con nota di PALMIERI, confermata da CONS. STATO, 2.9.2014, n. 4460, in questa Rivista, 2015, I, 74) sottolinea, invece, che «la regola di diritto, ermeneuticamente desunta dall’ordinamento giuridico ed applicata nel caso concreto dalla giurisprudenza, non ha minore effetto conformativo dell’ordinamento generale di quella promanante dalle fonti scritte, almeno sino a quando essa non sia sconfessata dal Legislatore». Una volta riconosciuto il diritto di rifiutare le cure, quale diritto di libertà assoluto, «il cui dovere di rispetto si impone erga omnes» (T.A.R. LOMBARDIA, 26.1.2009, n. 214, cit., sulla scia di CASS., 16.10.2007, n. 21748, in questa Rivista, 2008, II, 331 con nota di AZZALINI, Tutela dell’identità del paziente incapace e rifiuto di cure: appunti sul caso Englaro) e una volta indicata l’esecuzione, in hospice o altro luogo di ricovero confacente, tra le «disposizioni accessorie cui attenersi in fase attuativa» (APP. MILANO, decr. 9.7.2008, in Foro it., 2009, I, 987, con nota di MALTESE, Il falso problema della nutrizione artificiale), i margini di apprezzamento discrezionale dell’autorità amministrativa regionale interpellata si sono ridotti all’identificazione della struttura idonea all’espletamento del diritto riconosciuto alla paziente. L’interesse in gioco sembra poter essere inquadrato, pertanto, nella categoria degli interessi legittimi c.d. a «risultato garantito» (GRECO, 1999, 1128, infra, sez. IV), giacché il ricorrente ha titolo all’effettivo conseguimento del bene della vita avuto di mira. Potrebbe, altresı̀, ipotizzarsi la lesione di un diritto soggettivo come si è sostenuto in presenza di un atto illegittimo impeditivo della tempestiva esplicazione del diritto (CASETTA, voce ‘‘Responsabilità civile della pubblica amministrazione’’, nel Digesto IV ed., Disc. pubb., XIII, 1199 Sinergie Grafiche srl n Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Parte prima Sentenze commentate Utet, 1997, 218) e come ha implicitamente riconosciuto CONS. STATO, 2.9.2014, n. 4460, cit., nel confermare il giudizio di illegittimità del diniego quando ha messo in luce che, pur in difetto di una normativa di riferimento, consentire alla Regione di rifiutare di rendere la funzione amministrativa cui è preposta equivale in sostanza a negare lo stesso diritto fondamentale (sul punto anche R. FERRARA, Il caso Englaro innanzi al Consiglio di Stato, in questa Rivista, 2015, II, 11). L’inquadramento nell’uno o nell’altro schema non inciderebbe comunque sulla competenza, trattandosi di materia rientrante nella giurisdizione esclusiva. Incanalandosi sul modello francese (TORCHIA, La responsabilità della pubblica amministrazione, in NAPOLITANO (a cura di), Diritto amministrativo comparato, Giuffrè, 2007; LAZARI, Modelli e paradigmi della responsabilità dello Stato, Giappichelli, 2005, 87 ss.), la tesi della natura speciale della responsabilità muove, come già accennato, dalle stesse premesse critiche che hanno indotto a intravedere un’«area di turbolenza tra contratto e torto», e a popolarla via via di diverse figure di responsabilità: l’insoddisfazione per l’inquadramento nell’alternativa tradizionale in tutte quelle ipotesi nelle quali non sia possibile escludere pregresse relazioni tra danneggiante e danneggiato ma neppure ravvisare gli estremi dell’obbligazione. Per questa «peculiare figura di illecito, qualificato dall’illegittimo esercizio del potere autoritativo» (CONS. STATO, 14.3.2005, n. 1047, infra, sez. III), lo svolgimento del rapporto (procedimento amministrativo) all’interno del quale si inserisce la condotta illecita secondo regole predefinite (ispirate dal principio di legalità) lascia trasparire, per un verso, il difetto dell’estraneità e della genericità del dovere di neminem laedere che caratterizzano la responsabilità aquiliana, e per un altro verso, la presenza dell’abbinamento tra potere pubblico e interesse legittimo/diritto soggettivo in luogo del nesso tra dovere di prestazione/protezione e diritto di credito che contraddistingue la responsabilità da inadempimento. L’argomentazione addotta nella pronuncia in commento lascia aperta invero la possibilità di superare le perplessità relative all’inquadramento aquiliano, giacché l’argomento descrittivo utilizzato, riflesso della responsabilità extracontrattuale intesa come responsabilità del «passante», del «chiunque», appare certamente ridimensionato, se non addirittura smentito, dagli sviluppi normativi e giurisprudenziali più recenti. Essa tuttavia non rende accessibile il percorso interpretativo speculare, che ambisce a dipingere la «zona grigia tra contratto e torto» dei colori della responsabilità contrattuale, mediante l’estensione dell’art. 1218 cod. civ. all’inadempimento delle obbligazioni senza obbligo primario di prestazione nascenti dal contatto qualificato (Castronovo, 2006, 446 ss., infra, sez. IV) Critico circa il ricorso al contatto sociale e sostenitore della sua inapplicabilità agli interessi legittimi: G. DI GIAN- 1200 DOMENICO, Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale nella lesione di interesse legittimo, in DI GIANDOMENICO (a cura di), Il danno risarcibile per lesione di interessi legittimi, E.S.I., 2004, 35 ss.). Si esclude, infatti, testualmente la configurabilità di un dovere di protezione, oltre che di prestazione, a carico della P.A. Rispetto ai precedenti, tra gli argomenti che compongono la pars destruens si trascura, invece, di richiamare a mo’ di controprova l’omesso richiamo nell’art. 35 del d.lgs. n. 80 del 1998 delle disposizioni del codice civile oltre che delle nozioni fondamentali (diligenza, dolo, colpa, ecc.) su cui si basano i sistemi della responsabilità civile (cosı̀ CONS. STATO, 14.3.2005, n. 1047, cit.). A questo riguardo si è correttamente osservato, innanzitutto, che l’assenza di una specifica disciplina rende necessario il ricorso a un modello di riferimento (l’art. 1218 o l’art. 2043 cod. civ.) per evitare di affidarsi in toto all’opera creativa della giurisprudenza (CARINGELLA, 53, infra, sez. IV); poi, che a differenza di quanto avviene nel sistema francese, la specialità non implica la natura oggettiva della responsabilità, ma postula ancora la colpa, sulla falsariga dell’art. 2043 cod. civ. È quanto finisce per fare la pronuncia in commento (ma già CONS. STATO, 27.6.2013, n. 3521, infra, sez. III), nella pars construens che scandisce gli elementi costitutivi della responsabilità speciale della p.a., i quali a ben vedere ricalcano nel contenuto oltre che nella forma, i presupposti della responsabilità aquiliana secondo la sentenza n. 500/1999. Si richiede, infatti, la prova dell’elemento oggettivo, «ossia il fatto lesivo e la sua ingiustizia», rappresentato dall’impedimento frapposto dal provvedimento di diniego all’esecuzione dell’autorizzazione. Il danno ingiusto, secondo le Sezioni Unite, è integrato dalla colpevole adozione di un provvedimento amministrativo illegittimo che risulti lesivo dell’«interesse al bene della vita [meritevole di tutela alla luce dell’ordinamento positivo] al quale l’interesse legittimo si correla». Nel caso di specie, è indubbio che la delibera regionale illegittima abbia vulnerato l’interesse ad essere messo in condizione di esplicare il bene della vita rappresentato dal diritto (al rifiuto delle cure) giudizialmente riconosciuto, oltre a ledere quello all’effettività della tutela giurisdizionale. D’altra parte, la tesi contrattuale avrebbe consentito il risarcimento anche a prescindere dalla lesione del bene della vita, per l’inadempimento degli obblighi nascenti dal contatto amministrativo qualificato. Occorre poi la dimostrazione dell’elemento soggettivo, ravvisato nel rifiuto cosciente e deliberato della p.a, quindi in un contegno non limitato alla mera inerzia o a una condotta scusabile (riconducibile al caso di contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione di una norma, di formulazione incerta di norme da poco entrate in vigore, di rilevante complessità del fatto, d’influenza determinante di comportamenti di altri soggetti o di illegittimità derivante da una succes- NGCC 9/2016 Sinergie Grafiche srl Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. n Sentenze commentate Parte prima siva dichiarazione di incostituzionalità della norma applicata) ma addirittura doloso. Anche le Sezioni Unite nella richiamata sent. n. 500/1999 avevano sottolineato la necessità della prova del presupposto soggettivo e il parallelo rifiuto della presunzione di colpa per l’adozione e l’esecuzione di atto amministrativo illegittimo. In caso di opzione contrattuale il ricorrente sarebbe esonerato dalla prova della colpa mentre sarebbe spettato all’amministrazione dimostrare la non imputabilità dell’inadempimento. La qualificazione aquiliana, d’altro canto, non vale a ridurre il bacino del danno risarcibile rispetto all’inquadramento nell’art. 1218 cod. civ. perché la connotazione dolosa apre al risarcimento del danno non prevedibile Infine, si evoca il doppio giudizio di causalità: tra comportamento della p.a. e lesione dell’interesse legittimo e tra quest’ultima e il pregiudizio immediato e diretto inferto all’interesse, di natura patrimoniale e non, correlato all’interesse legittimo. Tale giudizio si ritiene superato alla luce del fatto che l’inottemperanza della p.a. ha frustrato l’interesse (pretensivo) all’autorizzazione al distacco del sondino naso-gastrico e che il prolungamento dello stato vegetativo della paziente ha prodotto le conseguenze, patrimoniali e non, oggetto della pretesa risarcitoria. I requisiti per integrare la responsabilità speciale enucleata dalla pronuncia in commento ricalcano, insomma, i presupposti della responsabilità ex art. 2043 cod. civ. Alla stregua di quest’ultima, si può semmai osservare che, relativamente all’ingiustizia del danno, l’indubbia legittimità della pretesa da parte del titolare dell’interesse legittimo a «risultato garantito» di un esito favorevole il comporta la altrettanto certa rilevanza dell’affidamento riposto dal richiedente nel risultato al quale può dirsi, a priori, avere diritto. Non occorre, pertanto, avviare il complesso accertamento prognostico circa la sussistenza di un legittimo affidamento nel provvedimento favorevole della p.a. che si ha nell’ipotesi di esercizio della potestà discrezionale, giudizio da basare sul dato normativo rapportato al caso in esame e sull’idoneità della condotta della p.a. di ingenerare di fatto un affidamento (NAVARRETTA, Il danno ingiusto, 216 s., infra, sez. IV). La peculiarità degli interessi in gioco nel caso di specie rende sostenibile, peraltro, anche la tesi contrattuale, fondata sulla lettura relazionale del procedimento amministrativo (il fondamento normativo del «contatto» tra cittadino e pubblica amministrazione, viene rinvenuto nella l. 7.8.1990, n. 241 che consente ai privati di partecipare al procedimento amministrativo e negli sviluppi normativi successivi) e diretta a identificare l’attività illegittima con l’inadempimento di un’obbligazione. Nel caso dell’esercizio di un potere vincolato, il comportamento dovuto è rappresentato dall’adozione del provvedimento della cui doverosità è fonte la legge (o, nel nostro caso, un provvedimento giudiziale) per NGCC 9/2016 cui il cittadino si troverebbe a lamentare il mancato soddisfacimento di un vero e proprio diritto di credito. Sembra, pertanto, che nel caso in esame non sussistano le ragioni per respingere le alternative tradizionali: né per scartare la tesi contrattuale, posto che in capo al ricorrente potrebbe essere ravvisata una vera e propria facoltà di pretendere l’esecuzione delle prescrizioni statuite nella sentenza; né, tantomeno, la tesi extracontrattuale ove si scelga di abbandonare, come suggerito in dottrina, il collegamento univoco con la pregressa estraneità tra le parti (NAVARRETTA, Il danno ingiusto, 236). A quest’ultima, d’altro canto, sembra aderire di fatto la sentenza. Va sottolineata, altresı̀, l’inutile evocazione della specialità. La regola generale tende naturalmente ad adattarsi al contesto applicativo e alla specificità degli interessi in gioco senza bisogno di richiamare un concetto che implica eccezionalità. 2. Il danno non patrimoniale in caso di lesione del diritto di rifiutare le cure e del diritto alla tutela giurisdizionale effettiva. Il contegno ostruzionistico della Regione Lombardia viola un duplice ordine di diritti fondamentali. Innanzitutto, il diritto di rifiutare le cure, fondato sugli artt. 2, 3, 13, 32 Cost., sulla scorta, per un verso, dell’opinione che riconduce la nutrizione e l’idratazione artificiale al novero degli atti medici in senso tecnico, anziché degli strumenti di sostegno vitale; per un altro verso, della possibilità di esercizio da parte del legale rappresentante del paziente incapace, in presenza di precisi presupposti. Sul primo versante, infatti, è stata a lungo prevalente l’opinione secondo la quale nutrizione e idratazione rappresentano atti dovuti da un punto di vista etico e giuridico in quanto indispensabili per garantire le condizioni fisiologiche di base per vivere», non destinate a diventare ‘‘atti medici’’ o ‘‘trattamenti medici’’ in senso proprio solo perché somministrati da terzi per via artificiale e perché messi in atto inizialmente e monitorati periodicamente da operatori sanitari, tanto che la prosecuzione non può essere ricondotta all’accanimento terapeutico mentre l’interruzione può essere considerata una forma di ‘‘abbandono’’ del malato; opinione rinvenibile nel parere del Comitato di Bioetica del 30.9.2005 su ‘‘L’alimentazione e l’idratazione dei pazienti in stato vegetativo persistente’’ e nelle motivazioni delle pronunce che hanno respinto la richiesta di autorizzazione). L’orientamento è stato abbandonato da Cass., n. 21748/2007 secondo la quale nutrizione e idratazione devono essere sempre considerati quali trattamenti sanitari, in quanto la loro somministrazione presuppone specifiche competenze scientifiche, ancorché all’avvio da parte del personale medico, sia possibile il subentro del personale ausiliario. 1201 Sinergie Grafiche srl n Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Parte prima Sentenze commentate Sul secondo versante, si tendeva a ritenere ostativa l’inidoneità dell’interessata a formulare il proprio personale dissenso informato, libero e attuale alla prosecuzione dei trattamenti. La medesima pronuncia di legittimità richiamata ha ammesso la possibilità di attribuire una legittimazione in tal senso al tutore nell’ambito del potere di cura, in caso di irreversibilità dello stato vegetativo e in presenza di chiari, univoci e convincenti elementi di prova circa la presunta volontà della persona in stato di incoscienza. L’altro diritto leso è quello all’effettività della tutela giurisdizionale fondato sull’art. 24 Cost. e sugli artt. 6 § 1 e 13 Conv. eur. dir. uomo, nonché sull’art. 47 Carta dir. UE. Il diniego ha rappresentato, infatti, un ostacolo alla realizzazione del diritto giudizialmente riconosciuto e il successivo annullamento non è valso a emendare la perdita di utilità che ne è scaturita. Invero, sembra possibile affermare che nel caso di specie, ove fosse risultata ammissibile una richiesta contestuale di condanna della p.a. all’emanazione del provvedimento illegittimamente rifiutato (dibattuta dopo l’eliminazione della previsione contenuta nel testo provvisorio dell’art. 40 cod. proc. amm.) la particolare natura degli interessi coinvolti (da considerarsi ‘‘a soddisfazione necessaria’’ nell’an) avrebbe consentito di ridurre le conseguenze negative. Se è vero che per evitare un’ulteriore dilatazione dei tempi di attesa (e l’aggravamento del danno), il tutore ha scelto di procedere altrove, è anche vero che la delibera regionale ha ulteriormente aggravato i disagi procurati alla famiglia della paziente da una battaglia giudiziaria protrattasi già da oltre 10 anni. Da ciò la spettanza del diritto al risarcimento del danno per equivalente per le conseguenze della lesione dei diritti inviolabili richiamati. Il profilo più singolare della pronuncia è legato al riconoscimento del danno non patrimoniale al ricorrente, non soltanto iure hereditario, ma anche «iure proprio a titolo di lesione alle relazioni familiari e al rapporto parentale», in considerazione del fatto che la «peculiare situazione legata alla persistenza dello stato vegetativo [...] ha aggravato le difficoltà e i turbamenti che hanno dovuto affrontare i genitori». Nell’interpretazione adeguatrice alla Costituzione, infatti, il risarcimento del danno non patrimoniale postula l’offesa ai diritti della persona, con un minimo di serietà e nel rispetto di una soglia di tolleranza dell’agire altrui. Se tali presupposti possono indubbiamente dirsi integrati relativamente al danno inflitto alla paziente, e quindi al versante iure hereditario, appare meno solida la motivazione per quanto concerne il danno iure proprio. E quel che appare ancor più significativo è che nella liquidazione di questa voce di danno si è offerto un risarcimento che è oltre tre volte l’entità del danno non patrimoniale concesso iure hereditario (Euro 100.000 contro i 30.000 del primo). Il primo problema concerne l’identificazione del di- 1202 ritto leso. Si dice che ad essere coinvolti sono per espresso richiamo i «diritti della famiglia» (ricondotti agli artt. 2, 29, 30 Cost.), categoria evocativa dei diritti riconosciuti all’interno della Costituzione e nelle leggi civili ma se cerchiamo di capire quale diritto del ricorrente riconducibile alla summenzionata protezione costituzionale sia stato inciso sembra da escludere la possibilità di affermare che i rapporti con la figlia o più in generale interni alla famiglia sono stati lesi dal provvedimento di diniego e non piuttosto dalla tragica vicenda iniziata con l’incidente e dal lungo percorso che è stato necessario intraprendere per evitare di prolungarla fino al suo termine naturale. Inoltre, il riferimento al profondo sconvolgimento della vita familiare e delle abitudini di vita dei componenti del nucleo sembrerebbe evocare un diritto alla serenità e tranquillità familiare del quale è esclusa da sempre, tuttavia, l’autonoma rilevanza giuridica. Il secondo problema, anche ammettendo la possibilità di identificare la situazione rilevante, concerne l’idoneità della condotta lesiva a coinvolgere il nucleo inviolabile dell’interesse. La risarcibilità del danno non patrimoniale presuppone, infatti, un accertamento sulla gravità dell’offesa in senso positivo, tale cioè da scalfire il nucleo inviolabile dell’interesse (NAVARRETTA, Il danno non patrimoniale e la responsabilità extracontrattuale, in EAD., (a cura di), Il danno non patrimoniale, infra, sez. IV, 34 s.). Tale non sembra essere quella arrecata dall’autorità regionale, che si è limitata a frapporre un ostacolo aggiuntivo alla conclusione di una vicenda di oggettiva e indubbia tragicità, ad aggiungere, come la stessa pronuncia riconosce, turbamento ad una vita familiare «già sconvolta da fondamentali e radicali cambiamenti dello stile di vita». È chiaro, quindi, l’intento del T.a.r. di valorizzare l’incidenza della connotazione dolosa sul piano emotivo per la sua idoneità ad aggravare i riflessi negativi delle vicende pregresse e per il fatto che andava a dilatare i tempi di un’attesa dolorosa che sembrava giunta al termine. Di conseguenza, l’attenzione avrebbe dovuto essere spostata sulla componente del danno morale, la più adatta a contemplare gli effetti di natura meramente emotiva ed interiore dell’illecito. Non potendo assumere rilevanza autonoma in difetto di una fattispecie di reato o di una normativa di riferimento e, come sembra, della lesione di un diritto inviolabile riferibile al ricorrente, del danno morale doveva essere valorizzato il ruolo ancillare nell’ambito della riparazione delle conseguenze lesive patite dalla paziente, essendo irrilevante la circostanza che si trovasse in stato vegetativo permanente. Sarebbe stato opportuno, da questo punto di vista, enfatizzare la volontarietà della condotta ostruzionistica sul piano della quantificazione del danno riconosciuto alla paziente e spettante al ricorrente iure hereditario dando voce alla funzione individual-deterrente NGCC 9/2016 Sinergie Grafiche srl Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. n Sentenze commentate Parte prima del risarcimento (NAVARRETTA, Il contenuto del danno non patrimoniale e il problema della liquidazione, in EAD. (a cura di), Il danno non patrimoniale, cit., 93 s.). III. I precedenti 1. La natura della responsabilità della pubblica amministrazione per il danno da lesione di interessi legittimi. In giurisprudenza alla tesi della natura extracontrattuale della responsabilità della p.a. (CASS., sez. un., 22.7.1999, n. 500, in questa Rivista, 2000, II, 423, con nota di BARCA, La risarcibilità del danno per la lesione di interessi legittimi: orientamenti dottrinali e revirement delle sezioni unite; CASS., sez. un., 23.3.2011, n. 6594 e 6595, in Corr. giur., 2011, 934 ss., con nota di DI MAJO, L’affidamento nei rapporti con la p.a.) è stata contrapposta quella contrattuale da contatto sociale-provvedimentale (CONS. STATO, 6.8.2001, n. 4239, in Foro it., 2002, III, 1, con nota di CASETTA e FRACCHIA, Responsabilità da contatto: profili problematici; CASS., 10.1.2003, n. 157, in Foro it., 2003, I, 1, 78 ss., con nota di FRACCHIA, Risarcimento del danno causato da attività provvedimentale dell’amministrazione: la Cassazione effettua un’ulteriore (ultima); CASS., 21.7.2011, n. 15992, in questa Rivista, 2012, I, 172, con nota di MONTANI, Tra responsabilità civile e contrattuale: il contatto sociale). L’inquadramento nell’art. 1337 cod. civ. quale fonte di regole comportamentali di buona fede e correttezza, che l’amministrazione è tenuta a rispettare in aggiunta a quelle di evidenza pubblica: CONS. STATO, 6.12.2006, n. 7194, in Guida al dir., 2007, fasc. 3, 85, con nota di PONTE, Alla ricerca di un punto di equilibrio fra i diversi interessi pubblici e privati. La natura speciale della responsabilità della pubblica amministrazione è stata sostenuta da CONS. STATO, 27.6.2013, n. 3521, in www.dejure.it in linea con il precedente di CONS. STATO, 14.3.2005, n. 1047, in Foro amm. CDS, 2005, 1574, con nota di ROMEO, Alla ricerca dell’utile: dall’interesse legittimo all’interesse al ricorso, poi seguita da CONS. STATO, 29.5.2014, n. 2792, ivi, 2014, 1458 (s.m.) e da CONS. STATO, 10.12.2015, n. 5611, ivi, 2015, 3094 (s.m). 2. Il danno non patrimoniale in caso di lesione del diritto di rifiutare le cure e del diritto alla tutela giurisdizionale effettiva. La giurisprudenza in materia di danno da lesione del diritto di rifiutare le cure riguarda essenzialmente l’esclusione delle emotrasfusioni per motivazioni religiose. In particolare, si v. CASS., 23.2.2007, n. 4211, in Resp. civ. e prev., 2007, 1885, con nota di FACCI, Le trasfusioni dei Testimoni di Geova arrivano in Cassazione (ma la S.C. non decide) e CASS., 15.9.2008, n. 23676, NGCC 9/2016 in questa Rivista, 2009, I, 175 con nota di CRICENTI, Il cosiddetto dissenso informato, che negano il risarcimento del danno ad un paziente, testimone di Geova, emotrasfuso per salvargli la vita mentre si trovava in stato di perdita di conoscenza malgrado la manifestazione di volontà contraria espressa nel primo caso al momento del ricovero al momento in cui le trasfusioni si resero necessarie e nel secondo mediante un cartellino che giaceva sul suo corpo, in quanto il dissenso deve essere manifestato in maniera diretta tramite una dichiarazione espressa, inequivoca, informata ed attuale, formulata dopo essere stato edotto dai medici sulla sua effettiva situazione medica. Nella pronuncia di TRIB. FIRENZE, 2.12.2008, in La resp. civ., 2009, 899, con nota di MIGHELA, Trasfusioni eseguite contro la volontà del paziente e risarcimento del danno da lesione della libertà di autodeterminazione, relativa all’azione di un paziente, testimone di Geova, emotrasfuso malgrado il suo espresso consenso contrario, si riconosce il risarcimento del danno non patrimoniale, mettendo in luce, però, per giustificare l’importo ridotto, la situazione di incertezza in materia fino alla pronuncia n. 21748/2007 sul caso Englaro e il convincimento dei medici di agire nell’interesse del paziente e in conformità con il codice di deontologia. Nel caso deciso da TRIB. MILANO, 16.12.2008, n. 14883, in questa Rivista, 2009, I, 639, con commento di CRICENTI, Il rifiuto delle trasfusioni e l’autonomia del paziente, e APP. MILANO, 19.8.2011, n. 2359, in Fam. pers. e succ., 2012, 185, con nota di GHIDONI, Il trattamento sanitario tra protezione della personalità e imposizione di valori etici, è stato invece concesso il risarcimento agli eredi del paziente deceduto per uno scompenso cardiaco provocato dalla somministrazione di emoderivati contro la sua volontà espressa in stato di capacità di intendere e di volere in conformità con il proprio credo religioso. Per quanto concerne le conseguenze non patrimoniali della violazione del diritto alla tutela giurisdizionale effettiva, la casistica autoctona si incentra sull’irragionevole durata del processo, su cui si rinvia alle pronunce tabellate da CARBONARO e BIANCHI, in NAVARRETTA (a cura di), Il danno non patrimoniale, Giuffrè, 2010, 707 ss. In ottica sovranazionale, riconosce il danno morale per la violazione degli artt. 6 § 1 e 13 Conv. eur. dir. uomo, v. CORTE EUR. DIR. UOMO, ric. 20400/03, 21.2.2008, Affaire Tunce at autres v. Turquie, in hudoc.echr.coe.int. IV. La dottrina 1. La natura della responsabilità della pubblica amministrazione per il danno da lesione di interessi legittimi. La tesi extracontrattuale della responsabilità della 1203 Sinergie Grafiche srl n Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Parte prima Sentenze commentate p.a. è sostenuta da BUSNELLI, Dopo la sentenza n. 500. La responsabilità civile oltre il ‘‘muro’’ degli interessi legittimi, in Riv. dir. civ., 2000, I, 335 e ID., La responsabilità per esercizio illegittimo della funzione amministrativa vista con gli occhiali del civilista, in Dir. amm., 2012, 531; NAVARRETTA, Forma e sostanza dell’interesse legittimo nella prospettiva della responsabilità, in Danno e resp., 1999, 949; EAD., Il danno ingiusto, in Diritto civile, a cura di LIPARI e RESCIGNO, IV, III, La responsabilità e il danno, Giuffrè, 2009. Sulla qualificazione contrattuale si v. CASTRONOVO, Responsabilità civile per la pubblica amministrazione, in Jus, 1998, 651; ID., La nuova responsabilità civile, Giuffrè, 2006, 221 ss.; SCOGNAMIGLIO, Lesione dell’affidamento e responsabilità civile della Pubblica Amministrazione, in Resp. civ. e prev., 2011, 1749; L. FERRARA, Dal giudizio di ottemperanza al processo di esecuzione. La dissoluzione del concetto di interesse legittimo nel nuovo assetto della giurisdizione amministrativa, Giuffrè, 2003. Sulla responsabilità precontrattuale della p.a. si v. RACCA, La responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione tra autonomia e correttezza, Jovene, 2000; ILACQUA, La responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione. Evoluzioni giurisprudenziali, in Giust. amm., 2009, 418 ss. Sulla tesi della responsabilità speciale si v. CARINGELLA, La responsabilità della pubblica amministrazione, Dike Giuridica, 2012, 52; SAVIOTTI, La natura speciale della responsabilità civile della Pubblica Amministrazione. Incompatibilità con i modelli di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, in Il Diritto marittimo, 2015, 605 ss. In generale, sulla tutela risarcitoria degli interessi legittimi e sulla natura della responsabilità della p.a., si v. FIORILLO, La natura giuridica della responsabilità della pubblica amministrazione per lesione degli interessi illegittimi prima e dopo il codice del processo amministrativo, in Giur. it., 2012, 602 ss. e, tra i lavori monografici: ZITO, Il danno da illegittimo esercizio della funzione amministrativa. Riflessioni sulla tutela dell’interesse legittimo, Editoriale scientifica, 2003, 101 ss. Sulla tutela dell’affidamento del privato nell’operato della p.a. e sulla tutela risarcitoria, si v. GIANI, Funzione amministrativa ed obblighi di correttezza. Profili di tutela del privato, Editoriale scientifica, 2005, 181 ss., spec. 251 ss. L’espressione posizioni a «risultato garantito» è di GRECO, Interesse legittimo e risarcimento dei danni: crollo di un pregiudizio sotto la pressione della normativa europea e dei contributi della dottrina, in Riv. it. dir. pubb. com., 1999, 1128 e ripresa da FRACCHIA, Risarcimento dei danni da c.d. lesione di interessi legittimi: deve riguardare i soli interessi a «risultato garantito»?, in Foro it., 2000, III, 479. 1204 2. Il danno non patrimoniale in caso di lesione del diritto di rifiutare le cure e del diritto alla tutela giurisdizionale effettiva. Sull’autodeterminazione del paziente nelle scelte di fine-vita, BALESTRA, L’autodeterminazione nel «fine vita», in Riv. trim. dir. proc. civ., 2011, 1009; CASTRONOVO, Autodeterminazione e diritto privato, in Eur. e dir. priv., 2010, 1037 ss.; GIACOBBE, Autodeterminazione, famiglie e diritto privato, in Dir. fam. pers., 2010, 297; NIVARRA, Autonomia (bio)giuridica e tutela della persona, in Eur. e dir. priv., 2009, 719. Sul diritto di rifiutare le cure: ZATTI, Consistenza e fragilità dello ius quo utimur in materia di relazione di cura, in questa Rivista, 2015, I, 20 ss.; TRIPODINA, Nascere e morire tra diritto politico e diritto giurisprudenziale, in CAVINO - TRIPODINA (a cura di), La tutela dei diritti fondamentali tra diritto politico e diritto giurisprudenziale: ‘‘casi difficili alla prova’’, Giuffrè, 2012, 41 ss. Sui limiti dell’obiezione di coscienza alla quale fa cenno la pronuncia in esame per escluderne la rilevanza quale causa giustificativa del provvedimento di diniego regionale: AMITRANO ZINGALE, L’obiezione di coscienza nell’esercizio della funzione sanitaria, in Giur. cost., 2015, 1098. Sul tema è d’uopo, inoltre, il rinvio al d.d.l. «Norme in materia di relazione di cura, consenso, urgenza medica, rifiuto e interruzione di cure, dichiarazioni anticipate» (Atto Sentato n. 13, XVII Legislatura a firma del sen. Luigi Manconi), che recepisce le linee propositive emerse dal gruppo di lavoro coordinato da P. Zatti, che ha messo in dialogo giuristi, medici e studiosi di bioetica attorno al blog ‘‘Per un diritto gentile in medicina’’: https://undirittogentile.wordpress.com/. Sul danno per lesione del diritto di rifiutare le cure si v. BRIGNONE, Punti fermi, questioni aperte e dilemmi in tema di rifiuto di cure: la prospettiva civilistica, in Dir. fam. e pers., 2010, 1342 ss.; PASQUINO, Consenso e rifiuto nei trattamenti sanitari: profili risarcitori, in La resp. civ., 2011, 165 ss., spec. 172. Sul diritto alla tutela giurisdizionale effettiva, PIVA, Il principio di effettività della tutela giurisprudenziale del diritto dell’Unione europea, Jovene, 2012; ORIANI, Il principio di effettività della tutela giurisdizionale, Editoriale Scientifica, 2008. Sul danno non patrimoniale derivante dall’irragionevole durata del processo, si v. BIANCHI, Il danno non patrimoniale da irragionevole durata del processo, in NAVARRETTA (a cura di), Il danno non patrimoniale, cit., 401 ss.; GIROLAMI, Il danno non patrimoniale da irragionevole durata del processo, in Responsabilità civile. Danno non patrimoniale, diretto da PATTI, a cura di DELLE MONACHE, Utet, 2010, 533 ss. NGCC 9/2016 Sinergie Grafiche srl Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. n Sentenze commentate Parte prima n Società TRIB. SPOLETO, decr. 11.2.2016 – SALCERINI G. Un. – V.M.B. – M.D. SOCIETÀ – SOCIETÀ DI PERSONE – TRASFORMAZIONE IN SOCIETÀ DI CAPITALI – DECISIONE A MAGGIORANZA DEI SOCI – APPLICABILITÀ – ESCLUSIONE (cod. civ., artt. 2500, 2500 bis, 2500 ter) L’art. 2500 ter cod. civ. si applica anche alle società di persone costituite prima del 1º gennaio 2004; in esse la decisione sulla trasformazione in società di capitali va assunta non a maggioranza dei soci bensı̀ all’unanimità. dal testo: Il fatto. Il sig. M.B.V. propone ricorso d’urgenza ex art. 700 cod. civ., affinché l’adito Tribunale di Spoleto inibisca al socio accomandante di maggioranza della società C. (Omissis) sas di V.M.B. di procedere alla trasformazione della predetta in società a responsabilità limitata sulla base del disposto dell’art. 2500 ter cod. civ. e, quindi a maggioranza e non all’unanimità. Il Tribunale, con decreto inaudita altera parte, rilevata la sussistenza dei requisiti del fumus boni iuris della domanda cautelare e del periculum in mora, visti gli artt. 669 sexies e 700 cod. proc. civ., ha inibito al sig. M.D., in qualità di socio accomandante di maggioranza di procedere alla trasformazione delle società C. (Omissis) sas sulla base del disposto dell’art. 2500 ter cod. civ. e quindi a maggioranza e non all’unanimità. È stata, inoltre, fissata udienza di comparizione delle parti ed assegnato al ricorrente termine per la notifica del ricorso e pedissequo decreto. Si è costituito il sig. M.D. eccependo l’incompetenza del Tribunale di Spoleto a favore del Tribunale delle Imprese e l’inammissibilità del ricorso d’urgenza. Il Tribunale di Spoleto, con ordinanza, ha confermato il provvedimento emesso inaudita altera parte e condannato il convenuto al rimborso delle spese di lite sostenute dal ricorrente. I motivi. Rilevato che la ricorrente ha chiesto all’adito Tribunale di inibire a M.D. in qualità di socio (accomandante) di maggioranza della (Omissis) di procedere alla trasformazione della detta società in società a responsabilità limitata sulla base del disposto dell’art. 2500 ter cod. civ., e quindi a maggioranza e non all’unanimità; rilevato, peraltro, che la (Omissis) è stata costituita il 21.06.2000 (Omissis) allorché per le modifiche del contratto sociale occorreva il consenso di tutti i soci, giusto il disposto dell’art. 2252 cod. civile; rilevato che, effettivamente, l’applicabilità dell’art. 2500 ter cod. civile alle società costituite prima dell’entrata in vigore della riforma costituisce questione abbastanza controversa, dato che ove venisse affermata tale applicabilità si finirebbe per attribuire all’art. 2500 ter cod. civ. efficacia retroattiva contro il disposto dell’art. 11 delle preleggi (tanto più che la trasformazione della società incide direttamente sull’assetto contrattuale voluto dalle parti e, quindi, sul fatto generatore e non semplicemente sugli effetti che quel contratto presupponga); rilevato, inoltre, che l’art. 11 dell’atto costitutivo della (Omissis) contiene un richiamo per relationem alle leggi in allora vigenti e, dunque, alle regole di unanimità previste per la trasformazione, né può attribuirsi all’art. citato l’efficacia di mera clausola di stile, visto che vi veniva espressamente formulata la volontà di cristallizzare in ambito negoziale tutte le norme vigenti, o quanto meno di non derogarvi; rilevato, dunque, che sussiste il fumus boni iuris della domanda cautelare; rilevato inoltre, quanto al requisito del periculum in mora, che una volta operata la trasformazione ed eseguita la pubblicità presso il registro delle imprese non può essere più pronunciata l’invalidità dell’Atto di trasformazione ed il soggetto che si è opposto a tale trasformazione può solo chiedere il risarcimento del danno (art. 2500 bis c.c.); rilevato, a tale riguardo, che la convocazione innanzi al notaio (Omissis) per il 12.2.2016 è funzionale alla detta trasformazione (Omissis), onde nel tempo occorrente ad instaurare il contraddittorio potrebbero verificarsi modifiche irreversibili; rilevato che, pertanto, ricorrono le condizioni per emettere il provvedimento richiesto inaudita altera parte P.Q.M. Visti gli artt. 669 sexies e 700 c.p.c. inibisce a M.D., in qualità di socio (accomandante) di maggioranza della C. sas (Omissis), di procedere alla trasformazione della detta società in società a responsabilità limitata sulla base del disposto dell’art. 2500 ter cod. civile, e quindi a maggioranza e non all’unanimità. (Omissis) TRIB. SPOLETO, ord. 9.3.2016 – SALCERINI G. Un. – V.M.B. – M.D. SOCIETÀ – SOCIETÀ DI PERSONE – TRASFORMAZIONE IN SOCIETÀ DI CAPITALI – CONTROVERSIE RELATIVE A TRASFORMAZIONE NON ANCORA COMPIUTA – COMPETENZA (d. legis. 27.6.2003, n. 168, art. 1) In materia di controversie relative alla trasformazione di società di persone in società di capitali è competente il Tribunale Ordinario e non il Tribunale delle Imprese qualora la trasformazione debba ancora essere compiuta. NGCC 9/2016 1205 Sinergie Grafiche srl n Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Parte prima Sentenze commentate dal testo: (Omissis) Il G.I., a scioglimento della riserva assunta all’udienza del 24.2.16, esaminati gli atti del ricorso ex art. 700 cpc proposto da V.M.B. nei confronti di M.D. osserva quanto segue: il decreto emesso inaudita altera parte l’11.2.2016 merita di essere integralmente confermato; infatti la difesa del resistente M.D. non ha apportato elementi di valutazione di segno contrario a quelli che emergevano sulla base della documentazione allegata al ricorso introduttivo, poiché: - la dedotta incompetenza del Tribunale di Spoleto (per essere competente il Tribunale delle Imprese) fa leva sul fatto che la società di persone stava per essere trasformata in società a responsabilità limitata, ma proprio per il fatto che la trasformazione non fosse (sia) ancora compiuta la competenza è quella del Tribunale ordinario, tanto più se si considera che la stessa parte resistente ha affermato che la riunione straordinaria oggetto di lite era stata indetta ‘‘per discutere ed eventualmente decidere sulla trasformazione’’ (Omissis), sicché è a dir poco contraddittorio sostenere che si applichi la disciplina prevista per le società a responsabilità limitata quando sia ancora all’ordine del giorno la discussione in ordine alla relativa trasformazione; - non è revocabile in dubbio il fatto che alla ricorrente siano stati concessi termini ristrettissimi per decidere in merito ad una decisione cosı̀ importante come la trasformazione della struttura societaria (con tutto quello che ne consegue); si tenga solo a mente che la raccomandata con cui veniva indetta la riunione straordinaria è pervenuta alla destinataria l’8.2.16 (Omissis) e la riunione era fissata il 12.2.16. Tra l’altro non va sottaciuto che si tratta di una società che ha una storia significativa (quasi 16 anni di vita; (Omissis) e valutare una trasformazione come quella prospettata (ivi compreso l’esercizio del possibile recesso) in cosı̀ poco tempo risulta fin troppo penalizzante per la socia (oltre che ingiustificato); - la tesi per cui sia inammissibile il ricorso d’urgenza nella fattispecie in esame non è condivisibile, data la residualità del rimedio (e comunque si pone nel senso dell’ammissibilità la prevalente giurisprudenza); - nel merito (requisiti del fumus boni iuris e periculum in mora), le argomentazioni del convenuto non scalfiscono le considerazioni espresse nel decreto impugnato; rilevato, che, pertanto, il provvedimento emesso inaudita altera parte merita piena conferma; rilevato infine che, nella fattispecie, la pronuncia è idonea ad anticipare la sentenza di merito, onde è applicabile il combinato disposto dei commi 6 e 7 dell’art. 669 octies cpc, condanna il convenuto al rimborso delle spese di lite sostenute dalla ricorrente che, tenuto conto del valore della causa (indeterminato) e dell’assenza della fase istruttoria, liquida come da dispositivo; P.Q.M. Conferma il provvedimento emesso inaudita altera parte l’11.2.2016; visto l’art. 669 octies cpc condanna il convenuto al rimborso delle spese di lite sostenute dalla ricorrente che liquida in E 488,00 per spese, E 3.400,00 per compensi professionali, oltre al rimborso forfettario ed accessori di legge (Omissis) «Principio dell’unanimità e competenza del Tribunale delle Imprese nella trasformazione di società di persone costituite prima della riforma» di Melissa Sartori* I provvedimenti in esame pongono la necessità di approfondire la questione relativa all’applicabilità del principio di maggioranza di cui all’art. 2500 ter cod. proc. civ. alla trasformazione di società di persone costituite prima del 1º.1.2004, data di entrata in vigore della riforma delle società di capitali, e il cui atto costitutivo contenga un richiamo alle leggi vigenti. Il Tribunale ha ritenuto che la problematica rientri nell’ambito della propria competenza, e non in quella del Tribunale delle Imprese, ed ha altresı̀ stabilito che l’applicazione dell’art. 2500 ter cod. proc. civ. contrasta con l’art. 11 delle preleggi e deroga a quanto prescritto dall’art. 2252 cod. civ. Il presente commento evidenzia, inoltre, come il principio di maggioranza possa essere pregiudizievole per i soci accomandatari di minoranza. I. Il caso Il socio accomandante di maggioranza di una società in accomandita semplice ha indetto una riunione straordinaria al fine di decidere in merito alla trasformazione di detta società in società a responsabilità limitata. L’accomandatario e socio di minoranza, con ricorso d’urgenza ex art. 700 cod. proc. civ., ha adito il Tribunale di Spoleto chiedendo che sia inibito al socio di maggioranza di procedere alla trasformazione sulla base del disposto normativo di cui all’art. 2500 ter cod. proc. civ. ossia a maggioranza anziché ad unanimità. Il fumus boni iuris della domanda del ricorrente è ravvisato nel fatto che alla trasformazione della società di persone, costituita nel 2000, non può ritenersi ap- * Contributo pubblicato in base a referee. 1206 NGCC 9/2016 Sinergie Grafiche srl Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. n Sentenze commentate Parte prima plicabile l’art. 2500 ter cod. proc. civ. dal momento che trattasi di norma introdotta dal d. legis. 17.1.2003 ed entrata in vigore il 1º.1.2004 e, quindi, in epoca successiva alla data di costituzione della società. Il requisito del periculum in mora è rappresentato dal pregiudizio che il socio di minoranza, contrario alla trasformazione, sarebbe costretto a subire qualora l’operazione straordinaria fosse decisa e l’onere della pubblicità assolto; infatti, una volta eseguito quest’ultimo incombente l’eventuale invalidità dell’atto di trasformazione non potrebbe più essere dichiarata con la sola possibilità del socio dissenziente di agire per ottenere il risarcimento del danno. Con decreto ex artt. 669 sexies e 700 cod. proc. civ. pronunciato inaudita altera parte, il Tribunale di Spoleto ha accolto la domanda del ricorrente ritenendo che non possa applicarsi l’art. 2500 ter cod. civ. alle società costituite prima del 1º.1.2004, data di entrata in vigore della riforma societaria che ha introdotto la norma. Il Tribunale ha rilevato che attribuire efficacia retroattiva a detta norma contrasterebbe con quanto prescritto dall’art. 11 delle preleggi e che l’applicazione del principio di maggioranza, di cui all’art. 2500 ter cod. civ., nell’ambito della trasformazione di società di persone derogherebbe a quanto sancito dall’art. 2252 cod. civ. che, per le modifiche del contratto sociale, prescrive il necessario consenso di tutti i soci. Il commento si concentra sulla questione di maggior interesse trattata dai provvedimenti in esame circa l’applicabilità del principio di maggioranza prescritto dall’art. 2500 ter cod. civ. alla trasformazione di società di persone in società di capitali ed in particolare alle società di persone che, come quella del caso in commento, sono state costituite prima del 1º.1.2004, data di entrata in vigore del d. legis. 17.1.2003 n. 6 recante la riforma organica della disciplina delle società di capitali. II. Le questioni 1. Applicabilità dell’art. 2500 ter cod. civ. alle società costituite prima del 1º.1.2004. L’art. 2500 ter cod. civ. prescrive che la trasformazione di società di persone in società di capitali sia decisa con il consenso della maggioranza dei soci e attribuisce al socio, che non concorre alla decisione, il diritto di recedere. Quest’ultimo rappresenta l’unico strumento di tutela riconosciuto dal legislatore a quei soci che non abbiano partecipato alla decisione di trasformazione. Il tema dell’applicabilità della norma alle società costituite prima dell’entrata in vigore della riforma societaria è molto controverso ed il Tribunale di Spoleto, nel provvedimento de quo, ha aderito alla tesi di quella NGCC 9/2016 parte della dottrina e della giurisprudenza che sostengono l’applicabilità del principio unanimistico nelle trasformazioni di società di persone costituite prima del 1.1.2004. Il Giudicante ha motivato la propria decisione ritenendo che l’attribuzione di efficacia retroattiva all’art. 2500 ter cod. civ. contrasterebbe con l’art. 11 delle preleggi ed, inoltre, che il richiamo per relationem, nell’atto costitutivo della società in accomandita semplice alle leggi vigenti, costituita antecedentemente all’entrata in vigore della riforma societaria, giustificherebbe il ricorso al principio unanimistico. Tuttavia è necessario evidenziare che un generico rinvio alle norme di legge, senza un espresso e specifico richiamo all’art. 2252 cod. civ. - che appunto richiede il necessario consenso unanime per le modifiche del contratto sociale - potrebbe significare null’altro che l’indifferenza dei soci all’applicazione dell’una regola in luogo dell’altra, con la conseguenza che potrebbe trovare facile attuazione il principio maggioritario di cui all’art. 2500 ter cod. civ. Il Tribunale di Milano, con provvedimento datato 11.12.2004, in Riv. notar. 2005, 115 ss., ha sottolineato l’applicabilità del principio maggioritario anche laddove l’atto costitutivo della società di persone ‘‘si limiti a rimettere la disciplina di quanto dallo stesso non regolato alle norme di legge previste per il tipo societario adottato dai soci’’. Detto rinvio, infatti, ‘‘non evidenzia necessariamente l’intento di recepire, elevandole a disposizioni pattizie, le norme disciplinanti il modello di società prescelto’’. Al contrario, invece, il Tribunale di Roma ha stabilito che il generico rinvio a norme di legge, e quindi l’assenza di un esplicito richiamo dell’art. 2252 cod. civ., non determina automaticamente il fatto che la decisione di trasformazione possa essere adottata a maggioranza. In tal caso sarà il Giudice a dovere procedere ad una ricostruzione ed interpretazione della volontà delle parti ‘‘al fine di accertare se, pur in assenza di un espresso richiamo, le parti non abbiano inteso richiamare ‘‘per relationem’’ la regola di unanimità per la decisione di trasformazione’’ in modo da inglobarla nel patto contrattuale’’. Il Tribunale di Roma ha ritenuto che la volontà delle parti, alla luce dell’assetto complessivo del patto, si fosse espressa nel senso di voler applicare la regola dell’unanimità anche per la decisione di trasformazione integrandosi, in tal modo, la diversa contraria pattuizione che rende inoperante la regola maggioritaria introdotta dall’art. 2500 ter cod. civ. (TRIB. ROMA, 21.7.2006, in Riv. dir. comm., 2006, fasc. 7-8-9, 96). Tuttavia, anche nell’ipotesi in cui vi fosse un preciso richiamo all’art. 2252 cod. civ., lo stesso non sarebbe da solo sufficiente ad escludere l’applicazione del principio maggioritario dal momento che, sovente, negli atti costitutivi di società di persone detto richiamo rappresenta una mera clausola di stile. 1207 Sinergie Grafiche srl n Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Parte prima Sentenze commentate L’interpretazione, quindi, di quest’ultima clausola costituisce uno dei punti nodali della questione attinente all’efficacia retroattiva dell’art. 2500 ter cod. civ. In merito il Consiglio Notarile di Milano, con la massima n. 55 del 19.11.2004 reperibile all’indirizzo web http://www.scuoladinotariatodellalombardia.org, non ha riconosciuto alla clausola meramente riproduttiva dell’art. 2252 cod. civ. l’effetto di derogare all’art. 2500 ter cod. civ. Al fine di approfondire la questione in esame si rende, pertanto, necessario concentrare l’attenzione sull’interpretazione della clausola di rinvio contenuta nell’atto costitutivo, nonché verificare se la data di sottoscrizione dello stesso sia antecedente al 1º.1.2004, giorno di entrata in vigore della riforma organica delle società, oppure successiva. Nel caso di costituzione di società dopo il 1º.1.2004, il richiamo all’art. 2252 cod. civ. pone evidentemente il problema di individuare il principio applicabile: quello unanimistico come, del resto, il rinvio all’art. 2252 cod. civ. richiederebbe o, al contrario, quello maggioritario, quale principio vigente trattandosi di società costituite dopo la riforma. Infatti, nel caso di costituzione di società dopo il 1º.1.2004, il richiamo all’art. 2252 cod. civ. può essere interpretato in senso derogativo alla disciplina di cui all’art. 2500 ter cod. civ. Ciò in quanto il fatto che nell’atto costitutivo di una società di persone sia stato inserito un riferimento alla regola di cui all’art. 2252 cod. civ., in un periodo in cui l’art. 2500 ter cod. civ. era già in vigore, potrebbe rappresentare la volontà sociale di derogare al principio maggioritario sancito da quest’ultima norma in favore di quello unanimistico. In definitiva, il mero richiamo alle norme vigenti nelle società costituite prima del 1º.1.2004, potrebbe essere interpretato nel senso di far ritenere prevalente il principio maggioritario, mentre in quelle costituite successivamente rappresenterebbe una deroga allo stesso. Proprio per il fatto che detto rinvio può essere qualificato come una mera clausola di stile, non si può ritenere che esso valga come deroga all’art. 2500 ter cod. civ. e che, pertanto, alcuna società di persone costituita prima dell’entrata in vigore della riforma possa trasformarsi con il consenso della maggioranza. Contrariamente il Tribunale di Milano, con sentenza del 8.7.2005, in Giur. merito 2006, 949, ha statuito che la clausola di rinvio alle leggi vigenti contenuta nei patti sociali di una società di persone costituita anteriormente alla riforma del diritto societario determina l’applicabilità del principio unanimistico di cui all’art. 2252 cod. civ., non trovando, pertanto, applicazione la disciplina dell’art. 2500 ter cod. civ. Autorevole dottrina ritiene, comunque, che pur essendo necessario concentrare l’indagine circa l’origina- 1208 ria volontà dei contraenti al momento della sua manifestazione non si possa prescindere dal riesame del contratto di società qualificato come contratto di durata per il quale non è praticamente incongrua né difforme dal presumibile intento delle parti una interpretazione della volontà di queste che si adegui alle mutate circostanze di fatto (OPPO, Profili dell’interpretazione oggettiva del negozio giuridico, Zanichelli, 1943, 16 s.). In pratica, la qualificazione del contratto di società quale contratto di durata determina la necessaria consapevolezza che le parti devono avere circa il fatto che il quadro normativo vigente all’epoca della costituzione è suscettibile di variare nel tempo. Ulteriore aspetto da evidenziare è relativo al fatto che l’art. 2252 cod. civ. stabiliva, e stabilisce tuttora, che il contratto sociale possa essere modificato soltanto con il consenso di tutti i soci ‘‘se non è convenuto diversamente’’; mentre la formulazione dell’art. 2500 ter cod. civ. ha modificato il rapporto tra regola ed eccezione, laddove ha stabilito che la trasformazione debba essere decisa con il consenso della maggioranza dei soci ‘‘salvo diversa disposizione del contratto sociale’’. Il legislatore, con l’introduzione del principio maggioritario, ha sostanzialmente perseguito l’obiettivo di semplificare la trasformazione delle società a base personale in quelle di capitali preferendo evidentemente queste ultime; tuttavia, introducendo nell’art. 2500 ter cod. civ. la dicitura ‘‘salvo diversa disposizione del contratto sociale’’ ha voluto tutelare i soci che potrebbero essere esposti a mutamenti radicali della società per effetto della decisione della maggioranza. Ai sensi, quindi, dell’art. 2500 ter cod. civ., per evitare che sia applicato il principio di maggioranza nella trasformazione di società di persone in società di capitali è indispensabile che nel contratto sociale sia espressamente pattuita la necessità dell’unanimità dei consensi. Ora, la mancanza nell’atto costitutivo di una precisa deroga alla disciplina legale e, quindi, la mera presenza di una clausola di rinvio alla normativa vigente non determina, in modo chiaro e preciso, la volontà dei soci di sottrarsi all’applicazione del principio maggioritario. In conclusione, si può ritenere che la questione relativa all’irretroattività del principio maggioritario sia al centro di un contrastato dibattito giurisprudenziale. Da un lato, infatti, l’irretroattività trova fondamento nel principio sancito dall’art. 11 delle preleggi, tesi quest’ultima alla quale si è uniformato anche il Tribunale di Spoleto. Al contrario, vi è un orientamento più possibilista che ritiene di non porre limitazioni, soprattutto di ordine temporale, all’applicabilità della norma de qua, qualificandola norma di carattere speciale e, pertanto, prevalente rispetto a quella generale di cui all’art. 2252 cod. civ. La problematica relativa all’individuazione del prin- NGCC 9/2016 Sinergie Grafiche srl Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. n Sentenze commentate Parte prima cipio applicabile - unanimistico o maggioritario - è difficilmente riscontrabile nelle società costituite dopo la riforma del 2004 nei confronti delle quali deve, infatti, trovare applicazione il principio di maggioranza - salvo che il contratto sociale non disponga diversamente - ed in cui il correttivo a detto principio è determinato dal riconoscimento del diritto di recesso al socio che non ha concorso alla decisione. Ciò premesso è da ritenere condivisibile il provvedimento de quo laddove il Tribunale di Spoleto ha voluto ritenere applicabile il principio unanimistico alla società in accomandita semplice in quanto costituita prima del 2004 e quindi in forza di un generico richiamo alle leggi vigenti e in mancanza di un preciso rinvio all’art. 2252 cod. civ. Ulteriore aspetto da evidenziare, seppur non affrontato dal Tribunale di Spoleto, attiene al fatto che l’applicazione, in ogni caso, del principio maggioritario potrebbe configurare un pregiudizio per i soci di minoranza. Infatti, nelle società in accomandita semplice in cui i soci accomandanti detengano partecipazioni idonee a conseguire la maggioranza questi ultimi potrebbero, d’accordo fra loro, stabilire di trasformare la società in società di capitali senza il consenso del socio accomandatario e, dunque, eludere l’applicazione dell’art. 2319 cod. civ. che esige il necessario consenso dello stesso accomandatario per la revoca della facoltà di amministrare; e cosı̀ attribuire l’amministrazione della società trasformata ad un soggetto diverso dall’accomandatario sgradito, al quale viene riconosciuta la sola possibilità di esercitare il diritto di recesso. La minoranza dissenziente può trovare tutela nell’istituto del recesso che, però, implica un obbligo informativo a favore di ciascun socio affinché anche i soci non amministratori possano partecipare alle scelte di natura straordinaria a causa delle quali un socio accomandatario potrebbe essere esonerato dalla funzione di amministratore. Nel senso di non esigere il consenso dell’accomandatario il Tribunale di Roma si è pronunciato determinando l’applicabilità dell’art. 2500 ter cod. civ. anche alle società di persone costituite ante riforma (TRIB. ROMA, 2.5.2006, in Riv. notar., 2007, 188 ss.) in tal modo configurando la possibilità di decidere la trasformazione in pregiudizio di quei soci che non hanno partecipato alla decisone. In particolare il Tribunale ha ritenuto che la ‘‘mancata convocazione del socio accomandatario (titolare di una quota di partecipazione agli utili pari allo 0,01%) presso il notaio, nel giorno in cui i soci accomandanti (titolari di quote complessivamente pari al 99,99%) hanno deciso la trasformazione in s.r.l., sia irrilevante, non avendo la volontà contraria dell’accomandatario alcun effetto impeditivo della validità della trasformazione’’. Il principio di maggioranza previsto dall’art. 2500 ter NGCC 9/2016 cod. civ. potrebbe, insomma, prestarsi allo scopo di configurare un vero e proprio abuso del diritto da parte dei soci di maggioranza, con un conseguente pregiudizio per il socio dissenziente o astenuto, situazione questa che potrebbe configurarsi sia nelle società costituite prima della riforma del 2004 sia in quelle successive alla riforma stessa, ossia in tutti i casi in cui la decisione circa la trasformazione sia assunta con il principio maggioritario anziché con quello unanimistico. Occorre soggiungere che, una volta eseguita la pubblicità con le formalità prescritte dall’art. 2500 cod. civ., l’invalidità dell’atto di trasformazione non potrebbe più essere dichiarata, secondo quanto stabilito dall’art. 2500 bis cod. civ., con l’unica possibilità per l’accomandatario di ottenere il risarcimento del danno. In merito si è pronunciato sempre il Tribunale di Roma stabilendo che la decisione di trasformare una società in accomandita semplice in società a responsabilità limitata, indipendentemente dall’applicabilità o meno della regola di maggioranza, qualora sia stata adottata dai soli soci accomandanti, pur rappresentanti la quasi totalità del capitale sociale, in assenza e all’insaputa dell’unico accomandatario, inficia all’origine la decisione stessa e la rende radicalmente inefficace ‘‘Pur non essendo necessario, nelle società di persone, dar corso ad un procedimento assembleare, è, infatti, in ogni caso indispensabile, ai fini della formazione della decisione, un atto d’impulso a tanto finalizzato che promani dal soggetto a cui tale potere istituzionalmente compete (nella specie l’accomandatario), in modo che tutti i soci siano messi in condizione di esprimersi, anche semplicemente per far valere il proprio dissenso’’ (TRIB. ROMA, 21.7.2006, cit.). In definitiva, onde evitare di attribuire la possibilità ai soci di maggioranza di decidere di trasformare la società, con conseguente pregiudizio per gli accomandatari di minoranza e, quindi, di aggirare il principio di inamovibilità dell’amministratore, è opportuno ricorrere all’unico strumento di tutela riconosciuto dall’art. 2500 ter cod. civ., laddove nel precisare ‘‘salvo diversa disposizione del contratto sociale’’ prevede la possibilità di inserire nel contratto sociale il ricorso al principio unanimistico. 2. Competenza del Tribunale delle Imprese. L’art. 2 del d.l. 24.1.2012, n. 1, convertito, con modificazioni in l. 24.3.2012, n. 27, sotto la rubrica ‘‘Tribunale delle imprese’’ ha istituito la nuova figura delle sezioni specializzate in materia di impresa. L’art. 3 del d. legis. 26.6.2003, n. 168, nell’elencare le materie di competenza delle sezioni specializzate, al comma 2º, precisa che queste ultime sono competenti, relativamente alle società di cui al libro V, titolo V, capi V, VI e VII, e titolo VI, del codice civile per le cause e i procedimenti relativi al trasferimento delle partecipazioni sociali o ad ogni altro negozio avente ad 1209 Sinergie Grafiche srl n Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Parte prima Sentenze commentate oggetto le partecipazioni sociali o i diritti inerenti (lett. b). L’elencazione compiuta dall’articolo 3 del d. legis. in esame si ritiene sia di natura meramente esemplificativa più che tassativa, e ciò induce a sostenere che alle controversie ivi precisamente elencate se ne possano aggiungere altre in via interpretativa. Lo stesso termine ‘‘negozio’’ di cui all’art. 3, comma 2º, lett. b), lascia presumere che si possa ivi comprendere tutta una serie di questioni non necessariamente derivanti da un contratto. Il fatto, inoltre, che nella suddetta norma si faccia riferimento sia alle ‘‘cause’’ che ai ‘‘procedimenti’’ è da interpretarsi nel senso che nella competenza del Tribunale delle Imprese rientrino sia controversie di carattere contenzioso che di volontaria giurisdizione. Nell’ordinanza in commento il Tribunale di Spoleto respinge l’eccezione di incompetenza per materia sollevata dal socio accomandante a favore del Tribunale delle Imprese, e motiva la propria decisione sul fatto che la trasformazione societaria non era ancora stata compiuta. La decisione trova fondamento sulla circostanza che la società di cui si sta discutendo è una società di persone, non essendo, ancora stata trasformata in società a responsabilità limitata, ed in quanto tale è esclusa dalla competenza delle sezioni specializzate. Il legislatore, infatti nel precisare, nell’art. 3, comma 2º, d. legis. 27.6.2003, n. 168, che dette sezioni sono competenti relativamente alle società di cui al libro V, titolo V, capi V, VI e VII e titolo VI del codice civile ha voluto espressamente limitare detta competenza alle sole società di capitali, ovvero s.p.a., s.r.l., s.a.p.a., cooperative, società europee, escludendo in tal modo le società di persone. Interpretando, quindi, letteralmente il testo della norma è evidente che, nel caso in commento, la competenza sia del Tribunale ordinario dal momento che la società di cui si discute è una società di persone. Tuttavia, trattandosi di atti prodromici alla trasformazione, la norma potrebbe anche essere oggetto di un’interpretazione estensiva con la conseguenza che competente a decidere sarebbe il Giudice specializzato, di certo più idoneo a trattare la materia. L’unica possibilità che le cause ed i procedimenti relativi alle società di persone possano essere ricomprese nella competenza del Tribunale delle Imprese è data dal fatto che queste ultime esercitino o siano sottoposte a direzione o coordinamento rispetto a società di capitali o cooperative. Ciò premesso, non si può non evidenziare che l’eterogeneità delle materie attribuite alla competenza del Tribunale delle Imprese, con le conseguenti difficoltà di individuare i limiti della stessa, abbia come unica conseguenza quella di assistere alla presentazione di 1210 numerosi regolamenti di competenza in cui si sia rilevato l’erroneo ricorso a tale organo. III. I precedenti 1. Applicabilità dell’art. 2500 ter cod. civ. alle società costituite prima del 1º.1.2004. La questione attinente all’applicabilità o meno del principio maggioritario di cui all’art. 2500 ter cod. civ. è stata oggetto di diverse pronunce giurisprudenziali. Sull’irrettroattività dell’art. 2500 ter cod. civ. si veda TRIB. REGGIO EMILIA, 13.1.2006, in Riv. notar. 2006, 1603 ss., con nota critica di CUPINI; TRIB. VARESE, 21.8.2014, in Società, 2014, 1419. Sulla necessità del consenso unanime dei soci, onde evitare la lesione di diritti soggettivi degli stessi, si veda TRIB. ROMA, 2.1.1987, ivi, 1987, 430. Si veda anche APP. TORINO, 20.1.2010, in Riv. notar., 2011, 907, in merito all’applicazione della disciplina della trasformazione vigente al momento della trasformazione stessa e non con riferimento alla data di costituzione della società. Sull’applicabilità dell’art. 2500 ter cod. civ. alle società costituite prima del 1º.1.2004 ove nel contratto sociale vi sia un mero rinvio alle norme di legge, si veda TRIB. ROMA, 30.4.2006, in Riv. dir. comm., 2006, 7-8-9, 95. In merito alla necessità che nell’atto costitutivo il rinvio sia effettuato nei confronti di norme determinate ed esattamente individuate si veda CORTE COST., 9.7.1993, n. 311, in Giur. cost., 1993, 2547. Sulla derogabilità della trasformazione a maggioranza di una società di persone in società a responsabilità limitata ove sia stata pattuita la variabilità dei patti sociali a maggioranza si veda TRIB. CASALE MONFERRATO, 26.2.1982, Riv. notar., 1983, 523. In merito alla nullità della decisone di trasformazione presa a maggioranza ed il conseguente diritto al risarcimento del danno riconosciuto al socio di minoranza, si veda TRIB. AGRIGENTO, 4.11.2004, in Giur. comm. 2007, 1, 222 con nota di CAMELLINI. 2. Competenza del Tribunale delle Imprese. Sulla competenza del Tribunale delle imprese si veda CASS., 9.7.2015, n. 14369 in Mass. Giust. civ., 2015. Sull’inammissibilità del regolamento di competenza si veda CASS., 9.11.2006, n. 23891, in Giust. civ., 2007, 1, 69; CASS., 22.11.2011, n. 24656, in Mass. Giust. civ., 2011. IV. La dottrina 1. Applicabilità dell’art. 2500 ter cod. civ. alle società costituite prima del 1º.1.2004. Sul contrasto tra la disciplina dell’art. 2500 ter cod. NGCC 9/2016 Sinergie Grafiche srl Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. n Sentenze commentate Parte prima civ. e quella dell’art. 2252 cod. civ. si veda MISEROCCHI, La trasformazione, in AA.VV., Il nuovo ordinamento delle società. Lezioni sulla riforma e modelli statutari, Ipsoa, 2003, 357. Per un commento sull’art. 2500 ter cod. civ. si rimanda a BOLOGNESI, nel Commentario delle società, a cura di GRIPPO, Utet, 2009, sub art. 2500 ter cod. civ., 1200. In merito all’applicabilità o meno del principio maggioritario alle società costituite prima del 1º.1.2004 si veda MONTALENTI, La riforma delle società di capitali: prospettive e problemi, in Società, 2003, 343, e si veda anche IANNIELLO, S.r.l. e nuova disciplina delle trasformazioni, in La nuova disciplina della s.r.l., a cura di V. SANTORO, Giuffrè, 2003, 289; MENTI, nel Commenta- NGCC 9/2016 rio Cian-Trabucchi, Cedam, 2004, sub artt. 2498-2500 novies, 2742 ss; MARASÀ, Spunti sulla nuova disciplina di trasformazioni e fusioni, in Giur. comm., 2004, 784. 2. Competenza del Tribunale delle Imprese. Sulla non tassatività dell’elenco delle materie rientranti nella competenza del Tribunale delle imprese si veda DALFINO, in I procedimenti in materia commerciale, a cura di COSTANTINO, Cedam, sub art. 1, 2005, 18; MONTANARO, nel Commentario dei processi societari, a cura di ARIETA - DESANTIS, Utet, 2007, sub art. 1, 15; CELENTANO, Le sezioni specializzate in materia di impresa, in Società, 2012, 817. 1211 Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. 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Genitori dello stesso sesso. - 6. La legge n. 76/2016. - 7. La mancata nomina del curatore speciale del minore. 1. Il caso. accertato in fatto - secondo il disposto dell’art. 57 l. adoz. - che il ricorso all’adozione, sia pur nella sua forma ‘‘minor’’, corrisponda al preminente interesse del bambino, in quanto formalizzazione di una relazione affettiva già esistente e valutata nel corso dell’istruttoria come elemento positivo nella sua crescita 3. Con sentenza del 22 giugno scorso la Supr. Corte conferma la decisione della Corte d’appello di Roma che aveva ritenuto ammissibile l’adozione in casi particolari da parte della compagna della madre della bambina generata nell’ambito di un comune progetto parentale e fin dalla nascita amata e accudita da entrambe come figlia (c.d. stepchild adoption) 1. Due sono le questioni affrontate: quella delle condizioni di ammissibilità dell’adozione ex art. 44, lett. d), l. 4.5.1983, n. 184 e quella della mancata nomina, nel relativo procedimento, di un curatore speciale della minore. Nel confermare, sotto l’uno e l’altro profilo, la decisione di merito, la Supr. Corte sviluppa argomenti di grande rilevanza nel solco della giurisprudenza interna ed europea ed alla luce dei principi costituzionali, della tutela del preminente interesse del bambino, del suo diritto alla famiglia, del principio di non discriminazione. Per quanto riguarda l’adozione da parte della compagna della madre sia il Tribunale che la Corte d’appello di Roma 2 avevano pronunciato l’adozione a norma della lett. d) dell’art. 44 ritenendo che la nozione di ‘‘impossibilità di affidamento preadottivo’’ comprenda non solo l’impossibilità ‘‘di fatto’’ - che sussiste quando un bambino dichiarato in stato di abbandono non può essere collocato in adozione piena per problemi legati alle sue condizioni di salute, di età, o altro - ma anche l’impossibilità ‘‘di diritto’’ - intendendosi tale quella derivante dalla mancanza dei presupposti giuridici per procedere all’adozione ‘‘piena’’ -, e sempre che risulti Il punto di partenza per giungere ad un’interpretazione ‘‘coerente con la lettera e la ‘ratio’ dell’istituto’’, con il ‘‘contesto costituzionale e convenzionale’’ è la messa a fuoco dell’evoluzione normativa ed applicativa dell’art. 44 a partire dal testo originario del 1983 per giungere a quello attuale, attraverso le modifiche che lo hanno interessato con le riforme operate dalla l. 28.3.2001, n. 149 (riforma dell’adozione ) - che ha introdotto la lett. c) (minore con handicap grave, orfano dei genitori), facendo slittare alla lett. d) la ‘‘constatata impossibilità di affidamento preadottivo’’ - , dal d. legis. 8.12.2013, n. 154 (riforma della filiazione) - che ha eliminato nel comma 2º il riferimento ai figli ‘‘legittimi’’- , dalla l. 19.10.2015, n. 173 (diritto alla continuità affettiva) che ha previsto alla lett. a) che il rapporto stabile e duraturo tra adottante ed orfano di entrambi i genitori possa essere maturato anche nell’ambito di un prolungato periodo di affidamento preadottivo -. Il testo attuale dell’art. 44 risulta pertanto differente da quello originariamente contenuto nella l. n. 184/1983, il che giustifica una lettura non rigidamente ancorata alle 1 Cass., 22.6.2016, n. 12962; la sentenza è pubblicata supra, Parte prima, p. 1135. 2 Trib. Roma, 30.7.2014; App. Roma, 9.4.2015. 3 Nello stesso senso, v. Trib. min. Roma, 2.3.2016 - adozione in- crociata da parte di una coppia di co-mamme - e Trib. min. Roma, 23.12.2015 - adozione in casi particolari a favore del compagno del padre biologico del figlio generato con GPA (gravidanza per altri) all’estero - in questa Rivista, 2016, p. 976, con nota di Farina. NGCC 9/2016 2. L’adozione in casi particolari nell’evoluzione normativa e applicativa. 1213 Sinergie Grafiche srl n Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Parte seconda Letture e Opinioni intenzioni del legislatore di trent’anni fa. Per giungere ad una corretta lettura della ‘‘impossibilità di affidamento preadottivo’’ si deve inoltre tener conto della disciplina complessiva dell’adozione semplice, delle regole generali valide per tutte le ipotesi previste dall’art. 44, del fatto che in ogni caso è richiesto l’assenso del genitore dell’adottando (art. 46, comma 1º), che il tribunale deve verificare, nei modi puntualmente indicati dall’art. 57, che l’adozione realizzi il preminente interesse del minore, senza trascurare che presupposto generale dell’adozione semplice posto in apertura dell’art. 44 è quello per cui ‘‘i minori possono essere adottati anche quando non ricorrono le condizioni indicate dall’art. 7’’ per l’adozione piena dei minori e quindi anche in presenza di minori che non siano stati dichiarati in stato di adottabilità in quanto non si trovano in situazione di abbandono. La lettura della ‘‘constatata impossibilità di affidamento preadottivo’’, limitata alle situazioni di impossibilità di fatto, di prolungata istituzionalizzazione del bambino senza che ne sia seguito e ragionevolmente ne possa seguire l’affidamento preadottivo ad una coppia con i requisiti per l’adozione piena, secondo l’interpretazione proposta dalla dottrina in una prima lettura della l. n. 183/1984, non tiene conto dell’evoluzione legislativa ed applicativa dell’istituto nell’attuale quadro costituzionale e convenzionale. La consapevolezza che il primo diritto del minore è il diritto alla propria famiglia (art. 1 l. n. 184/1983) ha nel tempo portato ad intendere in senso sempre più rigoroso la nozione di ‘‘stato di abbandono’’ che la recente riforma fa dipendere dalla constatazione della ‘‘irrecuperabilità delle capacità dei genitori in tempi ragionevoli’’ [art. 15, lett. c), legge adoz., sostituita dall’art. 100 d. legis. n. 154/2013]. La legge tende a privilegiare, rispetto agli interventi sostitutivi della famiglia di origine, quelli di sostegno che favoriscono il recupero, anche parziale, dei rapporti con i genitori 4. Le situazioni familiari difficili trovano cosı̀ sempre più spesso una risposta nell’accoglienza da parte di parenti o nell’affidamento familiare (artt. 2 ss. l. adoz.). Si creano in tal modo legami affettivi tra il minore e gli affidatari che sarebbe crudele spezzare per procedere ad adozione piena nei confronti di coppie che ne abbiano fatto richiesta. Ed appare preferibile ricorrere ad una forma di adozione più elastica che non spezza completamente i rapporti con la famiglia di origine e che può essere pronunciata anche a favore di persone singole. Fin da anni ormai lontani, parte della giurisprudenza di merito ha cosı̀ applicato quella che allora era la let- tera c) dell’art. 44 [divenuta lett. d) con la riforma del 2001] allo scopo di rendere possibile la formalizzazione dei rapporti parentali di fatto esistenti con il passaggio dall’affidamento all’adozione a favore degli affidatari in quei casi in cui la situazione di abbandono definitivo si manifesta tardivamente, dopo che tra minore e affidatario si è stabilito un rapporto familiare meritevole di protezione 5. Altre volte la norma è stata impiegata per fronteggiare situazioni di ‘‘semiabbandono permanente’’ 6; per formalizzare i rapporti nati all’interno di ‘‘famiglie ricostituite’’ 7; per rendere efficaci in Italia adozioni compiute da persone singole all’estero 8. Ancora si è fatto ricorso all’adozione semplice per dare veste giuridica, in Italia, a rapporti costituiti all’estero sulla base di istituti, come la kafalah di diritto islamico, sconosciuti alla nostra tradizione giuridica 9. È stato in circostanze di questo tipo che ha preso forma quella nozione di impossibilità di affidamento preadottivo ‘‘di diritto’’, che si verifica ogni volta in cui l’adozione piena non realizza adeguatamente l’interesse del bambino o non è possibile perché non sussiste uno stato di abbandono conclamato (si parla a volte di abbandono soltanto ‘‘relativo’’). Andando oltre quelle che erano le intenzioni del legislatore del 1983, l’applicazione giurisprudenziale dell’art. 44 l. adoz. ha sfruttato i margini di elasticità dell’istituto per dare una risposta alle molteplici situazioni in cui la formalizzazione del rapporto con gli adottanti andava incontro all’interesse del minore ad ottenere certezza e garanzia del suo status. La Corte costituzionale 10 ha condiviso questa impostazione quando ha affrontato la questione se sia ammissibile l’adozione in casi particolari del bambino abbandonato dai genitori, ma accudito da parenti entro il quarto grado, proprio a favore di quei parenti che, supplendo alle carenze parentali, si sono presi cura di lui. Il problema nasce dal fatto che l’assistenza prestata da parenti stretti esclude lo stato di abbandono. Da un lato dunque, non è possibile la dichiarazione di adottabilità, dall’altro una lettura limitativa dell’art. 44 impedirebbe ai parenti di procedere ad adozione semplice. Una interpretazione della lett. c) [ora lett. d)] che ne consenta l’applicazione solo nei confronti dei bambini dichiarati adottabili, ma per i quali di fatto l’affidamento preadottivo è impossibile, non avrebbe consentito di pronunciare l’adozione semplice. Ma non è questa, a sentire la Corte, la corretta lettura della norma in questione. L’art. 44 costituisce infatti ‘‘una sorta di clausola residuale’’ per ‘‘i casi speciali non inquadrabili nella disciplina dell’adozione ‘legittimante’, consen- 4 V. Cass., 24.11.2015, n. 23979, in questa Rivista, 2016, I, 669, con nota di Cinque; Cass., 18.12.2015, n. 25526, ibidem, 680. 5 V. Trib. min. Roma, 18.3.1985, in Dir. fam. e pers., 1985, 620; Trib. min. Genova, 14.10.1995, in Fam. e dir., 1996, 346; Trib. min. Roma, 22.6.1987, in Dir. fam. e pers., 1988, 947. 6 App. Genova, 1º.12.1995, in Fam. e dir., 1996, 147. 7 Trib. min. Milano, 28.3.2007; App. Firenze, sez. min., 4.10.2012. 8 Cass., 14.2.2011, n. 3572, in Foro it., 2011, I, 728. 9 Trib. min. Trento, 5.3.2002 e Trib. min. Trento, 10.9.2002, in questa Rivista, 2003, I, 149. 10 Corte cost., 7.10.1999, n. 383. 1214 NGCC 9/2016 Sinergie Grafiche srl Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. n Letture e Opinioni Parte seconda tendo l’adozione ‘anche quando non ricorrono le condizioni di cui al primo comma dell’art. 7’’’. In questo contesto, ‘‘la lettera c) fornisce un’ulteriore ‘valvola’ per i casi che non rientrano in quelli più specifici previsti dalle lettere a) e b)’’. Diversamente da quella ‘legittimante’, l’adozione ex art. 44 ‘‘non recide i legami del minore con la sua famiglia di origine, ma offre allo stesso la possibilità di rimanere nell’ambito della nuova famiglia che lo ha accolto, formalizzando il rapporto affettivo instauratosi con determinati soggetti che si stanno effettivamente occupando di lui’’. Alla Corte appare quindi destituita di fondamento l’interpretazione letterale tale per cui per far ricorso alla lett. c) ‘‘occorre necessariamente la previa dichiarazione dello stato di abbandono del minore e quindi la declaratoria formale di adottabilità, nonché il vano tentativo del predetto affidamento’’. È vero invece che ‘‘l’art. 44 è tutto retto dalla ‘assenza delle condizioni’ previste dal primo comma del precedente art. 7 della medesima legge n. 184’’. La Corte costituzionale imposta dunque in modo chiaro i rapporti tra adozione piena e adozione particolare: solo la prima ha come presupposto indefettibile lo stato di abbandono, la seconda, invece, intende realizzare il diritto del minore ad una famiglia in casi in cui, pur se non ricorrono le condizioni per l’adozione piena del minore, è comunque necessario od opportuno procedere all’adozione dando veste giuridica a relazioni familiari già esistenti di fatto. Si delinea cosı̀ una distinzione tra adozione (piena) dei minori in stato di abbandono ai quali occorre dare una famiglia sostitutiva di quella di origine, e adozione (semplice) dei minori non in stato di abbandono per i quali occorre dare veste giuridica a rapporti familiari di fatto. Si tratta di un’impostazione che, sia detto per inciso, la Corte mantiene ferma anche in più recenti sentenze dove la distinzione tra adozione di minori in stato di abbandono e adozione di minori non in stato di abbandono viene ribadita al fine di identificare la disciplina applicabile al riconoscimento del provvedimento di adozione pronunciata all’estero a favore della compagna della madre 11. 3. L’adozione in casi particolari e la formalizzazione dei rapporti familiari di fatto. A questa interpretazione si conforma la Corte di cassazione nella odierna sentenza. Nel nostro ordinamento vi sono ‘‘due modelli di adozione, quella legittimante, fondata sulla condizione di abbandono del minore e quella non legittimante, fondata su requisiti diversi sia in ordine alla situazione di fatto nella quale versa il minore, si in ordine alla relazione con il richiedente l’adozione’’. Il fatto che l’assenza di stato di abbandono costituisca il presupposto comune a tutte le ipotesi contemplate dall’art. 44, si desume non solo dall’incipit della norma, ma anche dall’art. 11, comma 1º, della legge ove si dice che, in relazione al minore orfano di entrambi i genitori, e privo di parenti entro il quarto grado che abbiano con lui rapporti significativi, il tribunale per i minorenni deve dichiarare lo stato di adottabilità ‘‘salvo che esistano istanze di adozione ai sensi dell’art. 44’’, confermando dunque che la formalizzazione rapporti affettivi già esistenti ha carattere prioritario rispetto all’adozione (piena) a favore di una coppia di estranei. In altri termini, l’adozione in casi particolari è stata introdotta dalla l. n. 184/1983 proprio per realizzare il diritto del minore ad una famiglia in casi in cui, pur se non ricorrono le condizioni per l’adozione piena del minore, è comunque necessario od opportuno procedere all’adozione. Si tratta di ipotesi di adozione particolari, ma non eccezionali, in quanto anche questo tipo di adozione, al pari dell’adozione piena, mira a tutelare il preminente interesse del minore, inserendolo in una famiglia che si prenda cura di lui. All’interno di tali ipotesi, le prime tre sono tipizzate in modo più circostanziato mentre l’ultima è connotata da margini maggiori di elasticità, ciò che ne rende possibile l’applicazione di più ampio raggio. Alla luce di queste considerazioni, appare destituito di fondamento anche l’altro argomento che sostiene l’interpretazione letterale della ‘‘constatata impossibilità di affidamento preadottivo’’, vale a dire il timore che, attraverso una lettura estensiva si giunga ad aggirare la condizione limitativa imposta dalla legge che riserverebbe al coniuge (e solo a lui) la facoltà di adottare il figlio dell’altro (lett. b). È vero che al coniuge del genitore è stata riservata, per cosı̀ dire, una corsia preferenziale, tenuto conto del fatto che, di solito, chi sposa persona che ha già il un figlio instaura con lui un rapporto qualificato, cosicché, nel ricorrere delle altre condizioni di legge [interesse del minore (art. 57) e consenso dell’altro genitore (art. 48)], la prova del rapporto familiare di fatto è, per cosı̀ dire, facilitata. Se questo è vero, è però altrettanto vero che ciò non significa che la legge riservi ‘‘in via esclusiva’’ al coniuge del genitore la facoltà di adottare con adozione semplice il figlio dell’altro. È vero invece il contrario: l’adozione semplice è possibile anche al fine di formalizzare altri tipi di relazioni familiari ‘‘di fatto’’, dovendosi in tal caso dare la prova della loro esistenza e consistenza (questa volta non presunta, come nel caso di rapporto di coniugio) oltre che, naturalmente, dell’interesse del bambino (art. 57) e sempre che sussistano i consensi ed assensi previsti dalla legge (artt. 46, 48). Ed è stato seguendo questo modulo interpretativo 11 Corte cost., 7.4.2016, n. 76, pubblicata supra, Parte prima, p. 1172. NGCC 9/2016 1215 Sinergie Grafiche srl n Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Parte seconda Letture e Opinioni che la giurisprudenza ha ammesso, ad esempio, l’adozione semplice a favore degli zii, del compagno della madre, o nel caso di kafalah di diritto islamico 12. L’adozione semplice è quindi strumento per garantire la continuità delle relazioni affettive del minore e renderne possibile la formalizzazione. Da questo punto di vista, osserva la Supr. Corte essa si pone in linea di continuità con i recenti interventi normativi in tema di filiazione ed adozione. Anche la riforma della filiazione, stabilendo solo per il figlio l’imprescrittibilità delle azioni di impugnativa della paternità e prevedendo invece per gli altri legittimati un termine ‘‘tombale’’ di cinque anni esprime un’opzione che ‘‘evidenzia il riconoscimento del rilievo delle relazioni instaurate e consolidate nel tempo tra genitore e figli’’. Ed altrettanto deve dirsi per la l. 19.2.2004, n. 40 che preclude il disconoscimento al marito che abbia dato il consenso alla fecondazione eterologa della sua compagna. In modo ancor più significativo la riforma dell’adozione ad opera della l. n. 173/2015 intende garantire il diritto delle bambine e dei bambini alla continuità delle relazioni affettive privilegiando l’adozione piena da parte di coloro che hanno accolto i bambini in affidamento familiare. La stessa disciplina dell’adozione in casi particolari dà rilevanza alle relazioni familiari già esistenti tra adottante e adottato. Al riguardo, la Supr. Corte fa notare che l’art. 57, comma 3º, lett. a), - nel testo sostituito dalla l. n. 149/2001, art. 29 - stabilisce che ‘‘il tribunale per i minorenni, al fine di verificare, oltre alla sussistenza dei requisiti normativi astratti, anche l’effettiva rispondenza dell’adozione richiesta all’interesse del minore, deve operare una specifica valutazione della ‘idoneità affettiva’ del genitore adottante, valutazione la quale non può che essere effettuata sulla base di una relazione preesistente adottante-minore, come tale incompatibile con una situazione di abbandono’’. Anche la Corte eur. dir. uomo, d’altra parte, da tempo riconosce include nella nozione di ‘‘vita familiare’’, meritevole di protezione secondo l’art. 8, anche le relazioni familiari di fatto. Questo principio si va sempre più consolidando specie in casi che riguardano proprio i procedimenti adottivi nel senso che il rapporto affettivo esistente all’interno di un nucleo familiare merita considerazione e protezione anche a prescindere dalla sua corrispondenza con rapporti giuridicamente riconosciuti 13. E talvolta la Corte ha censurato il ricorso a forme di adozione che interrompono completamente i rapporti con i genitori, quando sia possibile, in alternativa, l’impiego di strumenti più elastici che, da un lato conservano, almeno in parte, que12 V. infra, § 2. Corte eur. dir. uomo, 27.4.2010, ric. 16318/07, Moretti e Benedetti c. Italia; 27.1.2015, ric. 25358/12, Paradiso e Campanelli c. Italia. 14 Corte eur. dir. uomo, 21.1.2014, ric. 33773/11, Zhou c. Italia; 13 1216 sti rapporti e, dall’altro, favoriscono il consolidarsi di situazioni di fatto esistenti 14. 4. La ‘‘constatata impossibilità di affidamento preadottivo’’ tra criteri ‘‘di fatto’’ e ‘‘di diritto’’. In apparente dissonanza con il filone interpretativo che si è cercato di ricostruire si segnalano talune pronunce della Supr. Corte 15 che, tuttavia, a ben vedere, non costituiscono precedenti del caso odierno. Il principio di diritto enunciato in queste sentenze - secondo cui ‘‘l’impossibilità di affidamento preadottivo’’ va intesa come ‘‘mancato reperimento (o rifiuto) di aspiranti all’adozione legittimante’’ e non anche come ‘‘ipotesi di contrasto con l’interesse del minore’’- si riferisce infatti a fattispecie del tutto diverse da quella oggetto dell’odierna decisione, a fattispecie in cui, in presenza di accertato stato di abbandono, era già stata pronunciata la dichiarazione di adottabilità e disposto l’affidamento preadottivo a favore di coppia in possesso dei requisiti richiesti dalla legge. Si tratta di casi in cui la domanda di adozione ex art. 44 da parte delle persone che avevano avuto in affidamento familiare i minori era sopravvenuta quando la procedura di adottabilità aveva già fatto il suo corso. Anche con riguardo a situazioni di questo tipo la Supr. Corte ha tuttavia premura di far rilevare come la l. n. 173/ 2015 abbia modificato il quadro normativo, essendo stata introdotta ‘‘anche al fine di evitare conflittualità quali quelle alla base delle due richiamate pronunce’’. Del tutto differente si presenta il caso odierno dove la domanda di adozione si riferisce ad una bimba che non è abbandonata, ma accudita amorevolmente dalla madre e dalla sua compagna. La domanda di adozione in casi particolari ha come scopo la formalizzazione di una situazione familiare già esistente e ritenuta in fatto, con ampia motivazione dai giudici di primo grado e di appello, pienamente soddisfacente dal punto di vista relazionale ed educativo. La formalizzazione del rapporto di filiazione da parte del compagno o della compagna del genitore mira ad ottenere le garanzie giuridiche che lo mettano al riparo dai rischi (ad esempio, per il caso di morte del genitore biologico, o di rottura della vita comune) e dalle incertezze che lo caratterizzano nei confronti dei terzi (si pensi alle istituzioni scolastiche o sanitarie). Intende garantire la stabilità degli affetti e la continuità delle relazioni affettive esistenti di fatto, non diversamente da quanto prevede, per l’affidamento familiare, la l. n. 173/2015. Seguendo la distinzione chiaramente fatta dalla Corte costituzionale tra adozione semplice di un minore 13.10.2015, ric. 52557/14, S.H. c. Italia, in questa Rivista, 2016, I, 683, con commento di Lenti, ibidem, II, 785. 15 Cass., 27.9.2013, n. 22292 (est. Bisogni) e Cass., 2.2.2015, n. 1792 (est. Acierno, relatrice anche della presente). NGCC 9/2016 Sinergie Grafiche srl Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. n Letture e Opinioni Parte seconda abbandonato, ammissibile quando vi sia di fatto impossibilità di affidamento preadottivo, ed adozione semplice di minore non abbandonato, finalizzata a dare veste giuridica a rapporti familiari di fatto e per la quale, dunque, l’impossibilità di affidamento preadottivo riguarda la carenza dei presupposti ‘‘di diritto’’ dell’adozione piena, è chiaro che il caso in esame rientra nella seconda alternativa. In questo caso, seguendo l’insegnamento della Corte costituzionale, ‘‘l’interpretazione della nozione di ‘‘impossibilità di affidamento preadottivo’’ da prescegliere non può che essere quella adottata dalla Corte d’Appello di Roma’’ secondo cui ‘‘deve ritenersi sufficiente l’impossibilità ‘‘di diritto’’ di procedere ad affidamento preadottivo’’. Non è necessario in questi casi che sussista la c.d. ‘‘impossibilità di fatto’’ 16. 5. Genitori dello stesso sesso. Non costituisce ostacolo il fatto che, in seguito all’adozione da parte della compagna della madre la responsabilità genitoriale venga ad essere esercitata da una coppia di genitori dello stesso sesso. Si tratterebbe infatti di una discriminazione ingiustificata che la Supr. Corte anche in altra occasione ha avuto modo di stigmatizzare, in quanto appoggiata su argomenti ‘‘alla base dei quali non sono poste certezze scientifiche o dati di esperienza, bensı̀ il mero pregiudizio che sia dannoso per l’equilibrato sviluppo del bambino il fatto di vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale’’ ed in forza dei quali ‘‘si dà per scontato ciò che invece è da dimostrare, ossia la dannosità di quel contesto familiare per il bambino’’ 17. Come notavamo in apertura, è il principio di non discriminazione l’altro pilastro su cui poggia la sentenza e che ha alla sua base l’insegnamento della Corte eur. dir. uomo 18 che ha riconosciuto sussistere la violazione del principio di non discriminazione (art. 14, in relazione all’art. 8 Conv. eur. dir. uomo), una ingiustificata disparità di regime giuridico tra coppie eterosessuali ed omosessuali, nel fatto che la legge nazionale ammetta le coppie di fatto all’adozione c.d. ‘‘coparentale’’ solo se formate da persone di sesso diverso e non invece quando composte da persone dello stesso sesso. Gli Stati godono di margini di discrezionalità nell’ammettere o non ammettere le coppie non sposate all’adozione c.d. ‘‘coparentale’’ 19, ma, se le ammettono, non possono trattare diversamente quelle dello stesso sesso rispetto a quelle di sesso diverso. In caso di discriminazione 16 Come invece ritenuto da Trib. min. Piemonte-Valle d’Aosta, 11.9.2015, in questa Rivista, 2016, I, 205 ss., con nota di Nocco, riformata da App. Torino, 27.5.2016. 17 Cass., 11.1.2013, n. 601. 18 Corte eur. dir. uomo, 19.2.2013, ric. 19010/07, X c. Austria. 19 Corte eur. dir. uomo, 31.8.2010, ric. 25951/07, Gas e Dubois c. Francia. NGCC 9/2016 fondata sul sesso o sull’orientamento sessuale, infatti, il margine di apprezzamento di cui godono gli Stati è limitato e l’Austria non ha fornito ‘‘motivi particolarmente solidi e convincenti idonei a stabilire che l’esclusione delle coppie omosessuali dall’adozione coparentale aperta alle coppie eterosessuali non sposate fosse necessaria per tutelare la famiglia tradizionale’’ (§ 151 della sentenza). Si tratta di una sentenza che si inscrive in un orientamento inaugurato nel 2008, quando la Corte 20 - operando un sostanziale revirement rispetto a quanto affermato sei anni prima 21 - aveva condannato lo Stato convenuto per violazione dell’art. 14 Conv. eur. dir. uomo in combinato disposto con l’art. 8 per aver considerato una persona single inidonea all’adozione in ragione della sua omosessualità 22. In coerenza con questi principi, con affermazione di grande rilievo, la Corte conclude che, dato che all’adozione ex art. 44 possono accedere sia persone singole, sia coppie non sposate, ‘‘l’esame dei requisisti e delle condizioni imposte dalla legge, sia in astratto (‘‘la constatata impossibilità di affidamento preadottivo’’), sia in concreto (l’indagine sull’interesse del minore imposta dall’art. 57, c.1, n. 2), non può essere svolto - neanche indirettamente - dando rilievo all’orientamento sessuale del richiedente ed alla conseguente natura della relazione da questo stabilita con il proprio partner’’. 6. La legge n. 76/2016. La Corte ha cura di sottolineare che nel caso di specie non trova applicazione la legge 20.5.2016, n. 76 (entrata in vigore il 5.6.2016) che regolamenta le unioni civili tra persone dello stesso sesso e le convivenze, lasciando in tal modo impregiudicata la questione di quale sia la soluzione dei casi che si porranno nel vigore della nuova legge. Come è noto, la l. n. 76/2016 garantisce alle coppie dello stesso sesso il diritto di ottenere il riconoscimento solenne e formale dell’unione, e uno status analogo a quello coniugale. Le ‘‘unioni civili’’, pur costituendo un istituto distinto dal matrimonio, condividono con il matrimonio i tratti essenziali, sia per quel che riguarda il momento costitutivo (il profilo dell’‘‘atto’’) sia per quanto riguarda la relazione interpersonale (il profilo del ‘‘rapporto’’) e la rilevanza nei confronti dei terzi e della collettività. Dal punto di vista della disciplina, la principale differenza rispetto al matrimonio riguarda i rapporti con i 20 Corte eur. dir. uomo, 22.1.2008, ric. 43546/02, E.B. c. Fran- cia. 21 Corte eur. dir. uomo, 26.2.2002, ric. 36515/97, Fretté c. Fran- cia. 22 Successivamente, v. Corte eur. dir. uomo, 2.3.2010, ric. 13102/02, Kozak c. Polonia. 1217 Sinergie Grafiche srl n Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Parte seconda Letture e Opinioni figli, in particolare per il fatto che il testo definitivamente approvato non prevede più la possibilità che il partner possa adottare il figlio dell’altro secondo quanto dispone, per il coniuge, l’art. 44, lett. b), l. adoz. (c.d. stepchild adoption). Il dibattito parlamentare si è purtroppo focalizzato sulla condotta dei genitori, prospettandosi da alcuni come preminente l’esigenza di rafforzare la sanzione penale per il ricorso alla maternità surrogata all’estero 23. In tal modo si ripropone quella logica - che speravamo ormai estranea al sistema - per cui il diritto dei figli allo status ed alla relazione con i genitori viene condizionato dalla supposta esigenza di sanzionare e/o prevenire condotte dei genitori ritenute ‘‘devianti’’. Si tratta di una logica ormai completamente abbandonata dal legislatore, persino in quelle situazioni - come l’incesto - in cui la condotta dei genitori suscita particolare riprovazione sociale (v. art. 251 cod. civ.). Prevale infatti la considerazione che il bambino, con la nascita, acquista piena dignità di persona e merita quindi piena tutela anche con riguardo alla costituzione dello status filiationis che è aspetto fondamentale dell’identità individuale 24. Anche la Corte costituzionale 25 ha rifiutato ogni logica sanzionatoria quando ha escluso che la condanna per il reato di alterazione di stato giustifichi, come sanzione accessoria, l’automatica decadenza dalla potestà/responsabilità dei genitori, dovendo anche in tal caso il giudice valutare, nell’esclusivo interesse del bambino, l’effettiva qualità della relazione e l’opportunità di salvaguardarla. Ci si chiede dunque perché tale logica riemerga oggi per sanzionare il ricorso alla gestazione per altri all’estero in Paesi (come il Canada e la California) che la ammettono e la disciplinano. Anche nel caso di GPA, l’attenzione deve focalizzarsi sui diritti del bambino non sulla condotta dei genitori. Tutto ciò senza contare che l’adozione coparentale non riguarda solo la GPA, riguarda anche l’adozione del bambino nato da precedenti relazioni eterosessuali, o matrimoni, riguarda, nel caso di coppia formata da due donne, il bimbo nato con fecondazione eterologa. Di qui un problema di ragionevolezza della mancata estensione dell’art. 44, lett. b), l. adoz alle coppie dello stesso sesso, problema che in questa sede non è possibile approfondire. Eliminato il riferimento esplicito all’ammissibilità della c.d. ‘‘stepchild adoption’’, la disciplina definitivamente approvata è tutta racchiusa nel comma 20º dell’art. 1 della l. n. 76/2015 il quale, in termini generali, sancisce l’applicabilità alle unioni civili di tutte le disposizioni (esclusa la legge sull’adozione), ‘‘che si riferiscono al matrimonio’’ o che contengano ‘‘le parole ‘coniuge’, ‘coniugi’ o termini equivalenti, ovunque ri23 Come è noto, l’art. 12, comma 6º, l. n. 40/2004 già prevede sanzioni penali per la maternità surrogata. 1218 corrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi o nei contratti collettivi’’. Per quel che riguarda il codice civile, invece, si applicano soltanto le norme espressamente richiamate dalla legge. Con specifico riferimento all’adozione, lo stesso comma 20º dispone che ‘‘resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti’’. Dato che la lett. b) dell’art. 44 l. adoz, prevede l’adozione da parte del coniuge del figlio dell’altro, è chiaro che, secondo il tenore letterale del comma 20º, questa disposizione non si applica alle unioni civili. Questa esclusione non riguarda tuttavia la lett. d). Mentre la lett. b) contiene una disciplina specifica per l’adozione da parte del coniuge, la lett. d), invece, contiene una disciplina di carattere generale per i casi di ‘‘impossibilità di affidamento preadottivo’’, da intendersi nel senso precedentemente illustrato. L’ampio riferimento contenuto nella seconda parte del comma 20º a quanto (espressamente) ‘‘previsto’’ e a quanto ‘‘consentito’’ (secondo l’interpretazione corrente) conforta nel ritenere che questa lettura dell’art. 44, lett. d), legge adoz., sviluppata dalla odierna sentenza della Supr. Corte, vada mantenuta ferma anche dopo l’approvazione della nuova legge. Il fatto che la legge non disciplini espressamente l’adozione del figlio da parte del partner finisce dunque per demandare ai giudici il compito di garantire il diritto dei figli alla certezza e stabilità del rapporto con coloro che effettivamente esercitano la funzione genitoriale. Ma l’intervento giudiziale, necessariamente episodico, frammentario e incerto nei suoi esiti, solo in modo imperfetto può attuare il diritto dei bambini alla famiglia (art. 1 l. n. 184/1983). 7. La mancata nomina del curatore speciale del minore. Il principio di non discriminazione costituisce argomento fondamentale per confutare anche l’altro motivo di ricorso che si appuntava sulla mancata nomina di curatore speciale del minore e sul conflitto di interessi esistente tra la madre (in veste di rappresentante legale del minore) ed il minore stesso. Secondo la tesi del PM ricorrente, infatti, la domanda proposta da una delle persone componenti la coppia per l’adozione del figlio minore dell’altra - ex art. 44, comma 1º, lett. d), l. adoz. - determinerebbe ex se un conflitto di interessi, anche solo potenziale, tra la madre ed il minore adottando. Tale conflitto di interessi sussisterebbe principalmente per il fatto che l’adozione è voluta per soddisfare l’aspirazione delle due donne 24 25 Corte cost., 28.11.2002, n. 494. Corte cost., 23.2.2012, n. 31; Corte cost., 23.1.2013, n. 7. NGCC 9/2016 Sinergie Grafiche srl Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. n Letture e Opinioni Parte seconda (l’adottante e madre della minore) ‘‘a vivere la bigenitorialità nell’ambito del rapporto di coppia come consolidamento dello stesso’’ (frase riportata dal ricorso introduttivo). Tale conflitto sarebbe ‘‘potenziale’’, ‘‘dal momento che la madre agisce nel proprio interesse e ritiene che tale interesse coincida con quello della minore’’, sicché la decisione di merito, anche se formalmente tesa a salvaguardare l’interesse della minore, sarebbe in realtà sostanzialmente ispirata da una concezione ‘‘adultocentrica’’. Tali argomenti vengono confutati sulla base della ricostruzione del sistema normativo interno (art. 78 cod. proc. civ.) e convenzionale (artt. 3 e 12 Convenzione di New York 1989; artt. 4 e 9 Convenzione di Strasburgo 1996) e dei precedenti giurisprudenziali (Corte cost., 15.11.2000, n. 528; 16.1.2002, n. 1; 7.3.2011, n. 83). In estrema sintesi, si desume dal quadro normativo convenzionale la necessità che possa essere rappresentata autonomamente la posizione del minore nei giudizi che lo riguardano, in particolare per quanto riguarda i procedimenti sulla responsabilità genitoriale e quelli adottivi, restando riservato tuttavia ai legislatori nazionali di stabilirne le modalità. In questo contesto, la scelta operata dal legislatore italiano corre su un duplice binario: da un lato la ‘‘predeterminazione normativa di alcune peculiari fattispecie nelle quali è ipotizzabile in astratto, senza dover distinguere caso per caso, il conflitto d’interessi, con conseguente necessità di nomina del curatore speciale a pena di nullità del procedimento per violazione dei principi costituzionali del giusto processo (cfr., ad esempio, art. 244 cod. civ., comma 6, art. 247 cod. civ., commi 2, 3 e 4, art. 248 cod. civ., commi 3 e 5, art. 249 cod. civ., commi 3 e 4, art. 264 cod. civ.)’’; dall’altro, la previsione di un generale potere di nomina del curatore speciale in tutte le diverse concrete fattispecie di conflitto d’interessi potenziale, dovendo il giudice del merito verificare in concreto, nei giudizi riguardanti diritti dei minori, ‘‘l’esistenza potenziale di una situazione d’incompatibilità tra gli interessi del rappresentante e quello preminente del minore rappresentato’’ (art. 78, comma 2º, cod. proc. civ.). In coerenza con il sistema binario descritto, la Supr. Corte ha di volta in volta individuato le ipotesi in cui il conflitto di interessi è in re ipsa, con conseguente obbligo del giudice di provvedere, pena la nullità del procedimento (Cass., 26.3.2010, n. 7281; 19.5.2010, n. 12290; 14.7.2010, n. 16553; 19.7.2010, n. 16870; 22.5.2014, n. 11420), da quelle in cui è invece soltanto potenziale, e la cui individuazione è rimessa in via esclusiva al giudice di merito con giudizio insindacabile in cassazione (Cass, 13.4.2001, n. 5533; 19.10.2011, n. 21651, relativa ad una fattispecie di adozione in casi particolari). Con riguardo al caso di specie, ‘‘in carenza d’indici normativi specifici’’, si deve escludere che, ‘‘in via ermeneutica’’, possa essere ravvisata in generale un’incom- NGCC 9/2016 patibilità d’interessi ‘‘quale conseguenza dell’applicazione della L. n. 184 del 1983, art. 44, comma 1, lett. d)’’. Si tratta di una ipotesi di adozione in casi particolari la cui ratio è proprio quella ‘‘di consolidare, ove ricorrano le condizioni dettate dalle legge, legami preesistenti e di evitare che si protraggano situazioni di fatto prive di uno statuto giuridico adeguato’’, una ratio evidentemente incompatibile con l’ipotesi di un conflitto d’interessi in re ipsa, desumibile dal modello adottivo astratto. A ciò si deve aggiungere che la previsione normativa (art. 46 l. adoz) della necessità dell’assenso del genitore dell’adottando costituisce un evidente ‘‘indice normativo contrario alla configurabilità, in via generale ed astratta, di una situazione di conflitto d’interessi anche solo potenziale’’ tra il genitore e il minore. Resta la possibilità di esistenza di un conflitto d’interessi in concreto che si manifesti nel corso del procedimento di adozione e del quale il giudice, se sollecitato da una delle parti o dal pubblico ministero, deve verificare l’esistenza nella fattispecie dedotta in giudizio. Nel caso di specie, tuttavia, la Corte d’appello ha escluso con motivazione esauriente, incensurabile in Cassazione, l’esistenza di un tale conflitto. Al di là di tutto, la Corte non manca di cogliere e confutare la vera e unica ragione su cui si basa la tesi dell’incompatibilità di interessi tra la madre (in veste di rappresentante legale) ed il minore, vale a dire il fatto che, con l’adozione la madre miri ‘‘al consolidamento giuridico del proprio progetto di vita relazionale e genitoriale’’. Al riguardo la Corte è molto chiara. O, infatti, si ritiene che sia proprio la natura omoaffettiva della relazione tra le due donne ad essere potenzialmente in contrasto con l’interesse della bambina, o invece si deve escludere che il desiderio dei genitori di ‘‘consolidare’’ la propria relazione di coppia sia da valutare negativamente, dato che è nel DNA di questo tipo di adozione quello di favorire, con la formalizzazione giuridica della situazione familiare, anche il ‘‘consolidamento’’ della relazione di coppia tra i genitori, non diversamente, d’altra parte, da quanto accade anche nel caso di adozione da parte del coniuge del genitore, dato che il fatto di avere figli in comune viene solitamente visto come circostanza che rafforza e cementa il rapporto di coppia. Se quindi il problema vero è la natura ‘‘omoaffettiva’’ della relazione tra le due donne, bisogna allora dire a chiare lettere che una ‘‘valutazione negativa fondata esclusivamente sull’orientamento sessuale della madre della minore e della richiedente l’adozione’’ è ‘‘inammissibile’’, ha esclusivamente ‘‘natura discriminatoria’’ e, nel caso di specie, è ‘‘comunque priva di qualsiasi allegazione e fondamento probatorio specifico’’. Ed è questo il messaggio importante che conclusivamente la Corte ci consegna: l’inammissibilità di ogni discriminazione fondata su ragioni di genere e di orientamento sessuale. 1219 Sinergie Grafiche srl n Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Parte seconda Letture e Opinioni Dalla nullità relativa alla forma dimidiata? di Paolo Gaggero SOMMARIO: 1. Forma scritta del contratto e manifestazioni della volontà negoziale. - 2. Forma scritta del contratto e manifestazioni esplicite della volontà negoziale. - 3. Forma scritta e sottoscrizione del contratto. - 4. Forma scritta, sottoscrizione e struttura del contratto. Le speciali discipline dettate per specifiche figure contrattuali possono alterare l’ordinario regime d’istituti classici. Si tratta, tuttavia, d’una mera eventualità, sicché parrebbe semplificante e sconveniente un aprioristico approccio alle regole di settore che la desse per scontata; e abdicasse a verificarne la coerenza (e la concorrenza) con il diritto comune. Da qualche tempo, in particolare, s’è posto l’interrogativo se la sottoscrizione (anche) dell’intermediario che presti servizi di investimento sia necessaria affinché possa dirsi integrato il requisito della forma scritta del contratto quadro di cui formino oggetto, che è preteso dall’art. 23 t.u.f. E sulla questione si confrontano due indirizzi applicativi: uno, più aderente alla concezione tradizionale della forma richiesta per la validità dell’atto negoziale 1; un altro, più liberale, che si accontenta della sottoscrizione del solo cliente 2. La vulgata sulla forma solenne dei negozi giuridici 3, ancorché - anche per tratti di notevole momento - non sia uniforme 4, parrebbe solido sostegno del primo in- dirizzo interpretativo. La c.d. forma ad substantiam è ritenuta elemento costitutivo del negozio 5 che, quando ne difettasse, non potrebbe essere - per congruente corollario - convalidato, bensı̀ solo rinnovato, siccome inutili ne sarebbero la ripetizione e l’accertamento ché riguarderebbero un atto nullo. La portata dell’istituto, nei modelli interpretativi, conosce invero attenuazioni ed espansioni, che dipendono, in primo luogo, dalla definizione del suo ambito applicativo. A tale ultimo proposito, risulta la tendenza ad accontentarsi e, segnatamente, a ritenere che la prescrizione formale riguardi il contenuto minimo di ciò a cui sia predicata 6 e, dunque, se riferita a un atto negoziale, possa rivestire le sole pattuizioni relative agli effetti che lo caratterizzano sul piano tipologico 7. Tuttavia, con rigore, quanto debba risultare con una forma vincolata deve necessariamente esserne rivestito sicché, in ipotesi di imposizione della forma scritta, dovrà sgorgare dal testo 8; e il testo dovrà essere in tale forma imputabile ai contraenti, i.e. in essa esser fatto da quelli proprio. Sotto il primo dei due profili da ultimo accennati, 1 Cfr. App. Bologna, 8.3.2012, in www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/fin.php?id_cont=10079.php; App. Milano, 27.3.2013, in www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/fin.php?id_cont=10081.php; Trib. Bologna, 6.2.2013, in www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/fin.php?id_cont=9286.php; Trib. Prato, 26.8.2013, in www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/fin.php?id_cont=10143.php; Trib. Reggio Emilia, 16.9.2013, in www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/fin.php?id_cont=10167.php. 2 Cosı̀, Trib. Milano, 12.11.2013, in www.dirittobancario.it/sites/ default/files/allegati/tribunale_di_milano_13_novembre_2013_n._14268.pdf. 3 La letteratura è molto estesa: per alcune efficaci sintesi, cfr. Gentili, La forma, in Lezioni sul contratto, a cura di Orestano, Giappichelli, 2009, 69 ss.; Pagliantini, Dei contratti in generale, nel Commentario Gabrielli, a cura di Navarretta e Orestano, II, Utet, 2011, sub art. 1350, 5 ss.; Sica, Atti che devono farsi per iscritto, nel Commentario Schlesinger, Giuffrè, 2003, sub art. 1350. 4 Si allude, ad es., al dibattito che ha diviso la dottrina, più che la giurisprudenza, relativo all’esistenza o meno del principio generale della libertà di forma: per un riassunto del non recente dibattito, v. Cataudella, I contratti. Parte generale, Giappichelli, 4a ed., 2014, 124 s. 5 V., ad es., Verdicchio, Le forme convenzionali nell’opera di G. Setzer, in Studi in onore di Giovanni Giacobbe, I, Giuffrè, 2010, 218 ss. e 228 ss. 6 Non di rado la giurisprudenza ha ritenuto che il requisito di forma riguardi - e possa essere soddisfatto con riguardo a - i soli elementi essenziali: ad es., v. Cass., 24.6.1982, n. 3839, in Mass. Giust. civ., 1982. 7 Diversamente orientata, forse, Modica, Vincoli di forma e disciplina del contratto. Dal negozio solenne al nuovo formalismo, Giuffrè, 2008, 262. 8 Ciò, tuttavia, non significa che sia ‘‘messa al bando’’ la relatio nei negozi formali, né che la prescrizione di requisiti di contenuto (minimo) e di forma (vincolata) si traduca in una regola di ‘‘necessaria determinatezza dell’oggetto’’ (entrambe le tesi sono sostenute da Modica, op. ult. cit., 263), neppure con riguardo ai soli contenuti indefettibili per positiva previsione. La combinata imposizione dei detti requisiti dell’atto negoziale, infatti, sembra che non ponga in crisi neppure l’indirizzo ammissivo, a date condizioni, delle clausole di rinvio anche nei negozi formali (per una sintesi, sia consentito il rinvio a La modificazione unilaterale dei contratti bancari, Cedam, 1999, 192 ss., e cfr. Betti, Teoria generale del negozio giuridico, nel Trattato Vassalli, XV, 2, Utet, 2a ed., 3a rist., 1960, 286 ss. 1. Forma scritta del contratto e manifestazioni della volontà negoziale. 1220 NGCC 9/2016 Sinergie Grafiche srl Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. n Letture e Opinioni Parte seconda riordinando preliminarmente sul piano nominalistico alcuni predicati, si può muovere dal dato semantico; si può convenientemente (evitare l’ossimorico accostamento contenuto nel sintagma ‘‘espresso tacitamente’’ e) riferire l’endiadi espressa-tacita a(i modi de)lla manifestazione di volontà e i qualificativi esplicito, chiaro, inequivoco, trasparente et similia a(i modi de)lla dichiarazione negoziale, sull’assunto che, per sua natura, quest’ultima appartenga al genere delle comunicazioni linguistiche, dunque delle manifestazioni espresse di volontà; e si può prendere posizione sulla netta contrapposizione tra due modelli ricostruttivi di matrice giurisprudenziale, l’uno, e dottrinale, l’altro. Si allude, per un verso, all’interpretazione eterodossa profilata dalla Supr. Corte secondo cui il contenuto dell’atto negoziale che debba soddisfare il requisito della forma scritta non deve necessariamente risultare dal testo, siccome accade che il diritto positivo pretenda nel contempo la manifestazione espressa di volontà e la forma scritta di essa (arg. ex art. 2879, comma 1º, cod. civ. 9); per ciò la (prescrizione della) forma scritta della manifestazione di volontà non postula che quest’ultima debba senz’altro essere espressa nella sua interezza direttamente dal testo; il requisito formale è soddisfatto anche in relazione alle manifestazioni volitive tacite, risultanti da contegni, purché riconoscibili e ricollegabili alla scrittura. Il tutto in asserita coerenza con il principio di libertà di forma 10. E si allude, per altro verso, all’indirizzo dottrinale più restrittivo che pretende che risulti dal testo il contenuto della manifestazione volitiva che debba essere ornata dalla forma scritta, che vi sia cioè diretta corrispondenza tra l’uno e l’altro, osservando che la prescrizione della scrittura implica quella della dichiarazione espressa; e che, concedendo che la qualità formale in considerazione sia integrata (anche) da (e con riguardo a) manifestazioni volitive non risultanti dal testo purché a esso ricollegabili, si finirebbe per ammettere che il requisito della forma scritta possa essere soddisfatto solo virtualmente ossia, del tutto erroneamente, che la forma scritta sussiste là dove invece difetta 11. Per questo, del ricordato modello giurisprudenziale si può conservare l’asserto che prescrivere la forma scritta dell’atto negoziale è altro dal disporre la manifestazione espressa di volontà, dunque dell’inesistenza d’una simmetria tra quest’ultima e la scrittura che, dal punto di vista logico, è soltanto una delle possibili forme della prima e, persino se prescritta, s’impone per il solo contenuto minimo che caratterizza l’atto. Si può pure ammettere che l’atto negoziale in forma scritta non sia, necessariamente, soltanto rivelazione di volontà esplicita: la scrittura è dichiarazione che, per definizione, è manifestazione espressa di volontà, ma abbisogna dell’interpretazione, che può svelare contenuti impliciti, poiché testo e contesto interferiscono 12; può dunque incorporare segmenti del regolamento negoziale pur sempre risultanti dallo scritto, ancorché non immediatamente, e a essi trasmettere la propria forma; non muta per ciò natura di manifestazione espressa di volontà e implicita, indiretta(mente desumibile) o, se proprio si vuole, tacita, in questi casi, è (una parte de) la volontà, il contenuto, il significato della dichiarazione, non la dichiarazione in sé che, in quanto (complesso di fonemi o corrispondenti segni grafici con precipuo scopo di) comunicazione linguistica, non si accoppia facilmente a tali predicati senza rischi di fraintendimento. E si può infine concedere che la prescrizione della forma scritta della manifestazione di volontà non postula che l’unica volontà negoziale giuridicamente rilevante sia solo quella risultante esplicitamente dalla scrittura 13, per almeno due ragioni: la prima la si è appena accennata e attiene ai riflessi dell’interpretazione della dichiarazione, alla circostanza cioè che la dichiarazione può avere anche contenuti impliciti; la seconda è che, se persino il contenuto effettivo eccedente il minimo dell’atto assoggettato a forma vincolata è aperto all’integrazione di manifestazioni volitive prive di quella, salvi i limiti della prova che però occupano un piano diverso, in linea generale il regolamento risultante dall’atto scritto può allora ritenersi permeabile a volizioni non scritte, persino tacite 14. 9 La manifestazione di volontà espressa, in altri luoghi, è invece prescritta senza l’aggiuntiva imposizione della forma scritta: v. ad es. gli artt. 1268, 1273, 1456 e 1936 cod. civ. 10 Cfr. Cass., 10.5.1996, n. 4400, in questa Rivista, 1997, I, 196 ss., a cui sembra aderire Modica, op. ult. cit., 155 s. e 157. Per il contrario indirizzo applicativo, v. Cass., 19.1.1954, n. 92, in Riv. dir. civ., 1955, 473 ss.; Cass., 24.7.1964, n. 1995, in Foro it., 1964, I, 1780 ss.; Cass., 14.5.1993, n. 5486, in Riv. giur. edil., 1994, I, 37 ss. 11 Per primo, v. Sacco, in Sacco-De Nova, Il contratto, nel Trattato di diritto civile, diretto da Sacco, I, Utet, 1996, 622. Cfr. Di Majo, Esiste o meno la forma ‘‘virtuale’’ del contratto?, in Corr. giur., 1996, 1115 ss., e Nuzzo, Forma e procedura del licenziamento, ne I licenziamenti individuali e collettivi nella giurisprudenza della Cassazione, a cura di De Luca Tamajo e Bianchi D’Urso, Giuffrè, 2006, 299 ss. e 305. Diversamente orientato, prossimo al più liberale indirizzo della citata giurisprudenza di legittimità, Bianca, Diritto civile, 3, Il contratto, Giuf- frè, 2000, 296, in relazione al precedente contributo Id., In tema di forma solenne, in Riv. dir. civ., 1955, 480 ss. 12 Per tutti, Irti, Testo e contesto, Cedam, 1996, passim. 13 Non potrebbe, invero, negarsi rilevanza almeno a plurimi documenti formati dalle parti che possano riallacciarsi gli uni agli altri: cfr. Liserre-Jarach, Forma, in Il contratto in generale, a cura di Alpa, Breccia e Liserre, nel Trattato Bessone, XIII, 3, Giappichelli, 1999, 395 ss. e 420. 14 Fin che si resti sul piano dell’interpretazione della dichiarazione, i significati che le si attribuiscano ne hanno la forma (cfr. Di Majo, Esiste o meno la forma ‘‘virtuale’’ del contratto?, cit., 1120; e Sacco, L’interpretazione, in Alpa-Guarneri-Monateri-Pascuzzi-Sacco, Le fonti del diritto italiano. Le fonti non scritte e l’interpretazione, nel Trattato di diritto civile, diretto da Sacco, II, Utet, 1999, 165 ss., spec. 239, 292, a proposito della creazione dottrinale e giurisprudenziale del diritto, per cui si resta sul terreno dell’interpretazione se non si sconfini NGCC 9/2016 1221 Sinergie Grafiche srl n Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Parte seconda Letture e Opinioni 2. Forma scritta del contratto e manifestazioni esplicite della volontà negoziale. Non sembra, invece, che ci si possa spingere fino a ritenere che il requisito della forma proprio del testo negoziale si estenda sino ad abbracciare anche volontà tacitamente risultanti da contegni, neppure se siano riallacciabili alla scrittura e, in questo senso, indirettamente riconducibili al regolamento negoziale che essa esprima. Il risultato appare precluso dalla circostanza che siffatte volizioni non appartengono al significato della dichiarazione (qui scritta), neppure quali suoi contenuti impliciti, siccome sono rivelate da fonti intrinsecamente extratestuali. Quando si desuma da elementi estranei alla comunicazione linguistica del regolamento negoziale a cui siano in qualche modo collegati, la volontà non può dirsi manifestata dalla dichiarazione, poiché lo è da fatti estrinseci che, alieni ai significanti di cui quest’ultima si compone, esprimono contenuti contrattuali ulteriori, diversi rispetto a quelli proclamati 15; e, non essendovi una dichiarazione che possa dirsi manifestazione del segmento di contratto in questione, non può neppure sussisterne la forma in relazione a esso, che non ha che quella propria del fatto che lo disvela. Il ricordato indirizzo giurisprudenziale, del resto, non trova maggior fondamento enfatizzando la ritenuta esigenza - che intende soddisfare - di assicurare, là dove siano congiuntamente disposte la manifestazione espressa di volontà e la forma scritta di essa, un’autonoma portata prescrittiva a entrambe le regole. Non solo poiché il fine non è in grado di vincere le segnalate criticità dell’argomentazione della norma che lo realizzerebbe 16, ma soprattutto perché, se la previsione della forma scritta implica una manifestazione volitiva espressa nel significato ortodosso della locuzione e, quindi, si potrebbe evitare di prescrivere separatamente la seconda, ciò non significa che disporle entrambe sia una superfetazione inutile. Infatti, la scrittura è solo una delle forme della manifestazione espressa di volontà, che si serve della comunicazione linguistica; i due fenomeni non si equivalgono, essendo l’uno inscritto nell’altro; dunque, i significati delle disposizioni prescrittive dell’una e dell’altra non coincidono, ma corrispondono a regole niente affatto ripetitive, bensı̀ diverse, che procedono dal generale al particolare e la cui congiunta formulazione va a beneficio della chiarezza, facendosi apprezzare perché agevola la ricostruzione dogmatica. Al fine di assicurare un’autonoma portata e utilità alla prescrizione che imponga la ‘‘manifestazione espressa di volontà’’ e si aggiunga all’imposizione della forma scritta dell’atto, dunque, non occorre allontanarsi dall’accezione classica della locuzione; assegnarle, in dettaglio, il significato di esplicitazione ‘‘non equivoca’’ della volontà negoziale; conseguentemente postulare che sola si opponga all’inclusione nel contenuto negoziale proprio della dichiarazione, persino quando debba soddisfare il requisito della forma scritta sotto pena d’invalidità, anche delle manifestazioni volitive tacite risultanti da contegni che siano indirettamente riconducibili a quella espressa. Tali assunti, del resto, non sembrano corroborati dal richiamo operato al principio di libertà di forma, in cui non possono trovare conforto siccome, per un verso, esso è già derogato dalla prescrizione della forma scritta e, per altro verso, l’inequivocità della comunicazione linguistica non pare attenga alla forma dell’atto; non appaiono funzionali al superamento del preteso equivoco dell’identificazione della volontà espressa con quella manifestata in forma scritta 17, che pare inconsistente se non si confondono illogicamente volizioni espresse e scritte; danno essi invece corpo ad ambiguità, a causa dell’istituzione d’una equivalenza tra espresso e non equivoco, dunque tra espressività e inequivocità della manifestazione volitiva che, però, non sussiste 18. La manifestazione di volontà che sia espressa per la sua forma non è invariabilmente né, tantomeno, necessariamente chiara, esplicita, inequivoca, trasparente, et similia; cosı̀ come i contegni che manifestino volontà non lo fanno necessariamente e invariabil- in quello dell’arbitrio, ossia finché il processo ermeneutico- ancorché articolato, non orientato soltanto alla fonte scritta e al suo testo - possa essere ricollegato a elementi che trovino legittimazione nella dichiarazione, altrimenti l’interprete non interpreta, ma pone senz’altro una regola assumendo le vesti d’autore. 15 Per l’articolata ricostruzione del rapporto tra consenso, silenzio, manifestazione tacita e fatti concludenti, v., ad es., Sacco, in SaccoDe Nova, I costituenti del contratto, Il contratto, nel Trattato di diritto civile, diretto da Sacco, I, Utet, 1993, 81; nonché, per il più generale rilievo che la libertà di creare regole, eventualmente estesa alla scelta della procedura con cui crearle, richiede una seppur minima attività di esteriorizzazione dell’atto di autonomia, Id., voce «Autonomia nel diritto privato», nel Digesto IV ed., Disc. priv., sez. civ., I, Utet, 1987, 517 ss. e 518. La diversa natura della manifestazione di volontà si associa a diversi gradi di discrezionalità interpretativa, i cui confini sono particolarmente indagati con riguardo all’interpretazione degli enunciati normativi: sulla differenza tra interpretazione (della disposizione) e (radicale) creazione del diritto a opera dell’interprete, ossia tra attività interpretativa (ancorché contrassegnata da un’accentuata discrezionalità) che produce norme e attività tout court creativa di regole (che sconfina nell’arbitrio) dell’interprete, v. Sacco, L’interpretazione, cit., 239, 292; Fabiani, voce «Clausola generale», in Enc. del dir., Annali, V, Giuffrè, 2012, 183 ss. e spec. 221 ss.; nonché Di Marzio, Interpretazione giudiziale e costrizione. Ipotesi sulla legittimazione della discrezionalità interpretativa, in Riv. dir. civ., 2006, 395 ss. e 398 per l’opzione di confinare l’interpretazione alla discrezionale scelta tra possibili opzioni di significato, comunque finite. 16 Per l’inclusione dell’argomentazione tra le fonti del diritto, v. Gentili, Il diritto come discorso, Giuffrè, 2013, 15 s., 21. 17 Cosı̀, parrebbe, Modica, op. ult. cit., 157. 18 In tal senso, approvando l’indirizzo giurisprudenziale qui disapprovato, Id., op. ult. cit., 156, che, tuttavia, non può poi mancare di riconoscere che la scrittura (dunque la dichiarazione) non è affatto sinonimo di inequivocità (chiarezza, comprensibilità, e cosı̀ via: 157). 1222 NGCC 9/2016 Sinergie Grafiche srl Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. n Letture e Opinioni Parte seconda mente in modo equivoco. Forma e significatività (o, più in generale, significazione) occupano piani distinti, il che si lascia anche inferire dalle disposizioni della disciplina del contratto che, ormai frequentemente, prescrivono che il regolamento negoziale abbia i menzionati attributi. Il quesito residuale s’essi attengano alla forma della manifestazione di volontà 19, pertanto, merita una risposta negativa 20 siccome appaiono predicati del regolamento negoziale (o di sue parti); è quest’ultimo a essere, ad esempio, più o meno chiaro oppure senz’altro oscuro, ossia il nome a cui si riferiscono i menzionati qualificativi; dette qualità dipendono dai significanti impiegati e dal relativo assemblaggio, piuttosto che dalla forma che essi assumano, e pongono questioni di contenuto, in ipotesi, della comunicazione linguistica 21. Generalizzando, l’equivocità, l’opacità e altri analoghi connotati della manifestazione volitiva, al pari dei contrari, non dipendono dall’elemento strutturale che consiste nella forma di quella, bensı̀, in una prospettiva semiotica e, più in generale, semiologica, dai significanti e, estensivamente, dai segni utilizzati, nonché dalle consecuzioni in cui li si organizzi. Come dimostra, casomai ve ne fosse bisogno, l’inequivocità del messaggio trasmesso da un semaforo, quel che rende chiara, comprensibile, indubbia, completa, trasparente una manifestazione di volontà non ne è la forma, bensı̀ sono le relazioni di significazione che dipendono dai segni e dalle reciproche interrelazioni dei segni impiegati, di modo che non si pone una questione di forma del regolamento contrattuale, ma semmai di contenuto dell’atto manifesta19 In tal senso parrebbero Danese, Commento alla direttiva 93/13/ CEE sulle clausole abusive. Una prospettiva per l’attuazione nell’ordinamento interno, in Resp. civ. e prev., 1995, 427, 446; Cian, Il Nuovo capo XIV-bis (Titolo II, Libro IV) del Codice civile, sulla disciplina dei contratti con i consumatori, in Studium Juris, 1996, 417 ss., 418; Masucci, in La nuova disciplina delle clausole vessatorie nel codice civile, a cura di Barenghi, Jovene, 1996, sub art. 1469-quater, 135 ss., 141; Modica, op. ult. cit., 155, 156 s., che, tuttavia, finisce per riferire al contenuto del contratto le disposizioni prescrittive della chiarezza del regolamento del rapporto (157); più sfuggente Senigaglia, Buona fede e trasparenza contrattuale nella disciplina dei consumi, Jovene, 2004, 141, 252, che reputa che le regole sulla trasparenza del regolamento negoziale riguardino la struttura del contratto con riferimento sia al contenuto sia alla forma dell’atto. 20 Con Breccia, La forma, in Formazione, a cura di Breccia, Granelli e Roppo, nel Trattato del contratto, diretto da Roppo, I, Giuffrè, 2006, 463 ss., 553, e Roppo, voce «Clausole vessatorie (nuova normativa)», in Enc. giur. Treccani, VI, Ed. Enc. it., 1996, 1 ss., 4, che non esita a collocare forma dell’atto e trasparenza del regolamento su piani del tutto distinti. 21 Di ciò sembra potersi trarre conferma dalla giurisprudenza della Corte del Lussemburgo formatasi sull’art. 4, § 2, direttiva del Consiglio, 5.4.1993, n. 13/93 CEE: v. Corte giust. UE, 30.4.2014, causa C-26/ 13, sulla domanda di pronuncia pregiudiziale proposta, ex art. 267 TFUE, dalla Kúria ungherese, nel caso Árpád Kásler e Hajnalka Káslerné Rábai c. OTP Jelzálogbank Zrt. 22 Ciò che preclude, di conseguenza, l’inclusione nella categoria dei negozi formali dei contratti in relazione ai quali siano stabiliti vincoli modali consistenti nella chiarezza, nella completezza, nell’intelligibilità, NGCC 9/2016 tivo 22. Tanto più che la rubrica delle disposizioni prescrittive degli attributi in esame non ha particolare peso 23; e che il legislatore non ha poteri che gli consentano di intervenire magicamente sull’ontologia dei fenomeni 24 oltrepassando il limite della ragionevolezza. Donde l’inopportunità di riconoscere rango formale alle prescrizioni di contenuto 25, lasciandosi all’incontro preferire la rigorosa distinzione tra (ciò che attiene al)la forma dell’atto e (quanto inerisce al)la sostanza del suo significato, più in generale del suo contenuto, compreso quello minimo di volta in volta preteso 26. 3. Forma scritta e sottoscrizione del contratto. Sotto il secondo dei due profili in considerazione, l’atto negoziale che debba manifestarsi in una forma vincolata, dovendo necessariamente esserne rivestito, dev’esser pure nella prescritta forma imputabile a, quindi fatto proprio da chi sia il soggetto dell’atto, cioè da colui al quale quest’ultimo si profili riconducibile, ossia del quale l’atto sia proprio; che lo abbia voluto e, cosı̀, posto in essere; dal quale l’atto provenga e che sia artefice dell’atto e dei relativi effetti, che gli sono allora ascrivibili. Sicché in ipotesi di imposizione della forma scritta del contratto, non soltanto il contenuto (minimo) del regolamento convenzionale dovrà sgorgare dal testo, ma quest’ultimo dovrà essere nella medesima forma fatto proprio dai contraenti. Da qui la necessità della sottoscrizione quale tecnica di manifestazione in forma scritta della volontà del contratto e dei relativi effetti, sul rilievo che la firma è astrattamente idonea nella comprensibilità, nella trasparenza, e cosı̀ via del regolamento convenzionale (inserimento profilato da Modica op. ult. cit., 156 s.), fino al limite di disposizioni che immediatamente regolino le caratteristiche formali dei significanti (come la dimensione o il colore dei caratteri della comunicazione linguistica) che, tuttavia, in principio sottenderanno o s’aggiungeranno alla prescrizione della scrittura (che comporta già di per sé quell’inclusione: per tutti, v. Nicolò, La relatio nei negozi formali, in Riv. dir. civ., 1972, 117 ss.). 23 Contra, v. Modica, op. ult. cit., 155, con particolare riguardo al rilievo, ai fini di cui al testo, della rubrica dell’art. 35 cod. cons., a cui potrebbe aggiungersi, almeno, l’art. 35 d. legis. 23.5.2011, n. 79, c.d. codice del turismo. Ma cfr., tra gli altri, Porzio, La rubrica dell’art. 2247 del codice civile, in Giur. comm., 1994, I, 1000 ss. 24 Cfr. Belvedere, I poteri semiotici del legislatore (Alice e l’art. 12 preleggi), in Scritti per Uberto Scarpelli, a cura di Gianformaggio e Jori, Giuffrè, 1997, 85 ss., e, sul carattere vincolante o meno delle definizioni legislative, Sacco, L’interpretazione, in Le fonti del diritto italiano. Le fonti non scritte e l’interpretazione, cit., 165 ss., ivi 267. 25 Cosı̀, invece, Modica, op. ult. cit., 262. Quel riconoscimento è equivoco; e non appare un’appropriata traduzione dell’ormai diffusa tendenza delle discipline del contratto di diritto speciale a prescrivere requisiti cc.dd. di forma-contenuto: cfr. Roppo, Il contratto, nel Trattato Iudica-Zatti, 2001, 224. 26 Ciò senza negare l’attitudine delle discipline afferenti i due profili a interferire nel quadro del c.d. neo-formalismo negoziale (per un’analisi dell’articolazione di fini di quest’ultimo da cui muovere, v. Alessi, Luci e ombre del nascente diritto europeo dei contratti, in Diritto europeo e autonomia contrattuale, a cura di Alessi, Flaccovio, 1999, 7 ss., 23 ss.). 1223 Sinergie Grafiche srl n Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Parte seconda Letture e Opinioni ad assumere il significato di approvazione dell’atto a cui sia aggiunta e di consenso a esso da parte di chi la apponga; e a configurarsi, dunque, come l’ordinaria modalità con cui l’autore, in forma scritta, rende riconducibile l’atto a sé, facendolo proprio in uno con gli effetti di quello 27. La necessità che la forma vincolata dell’atto debba assisterne l’imputabilità all’autore, del resto, appare persino più evidente per la forma vincolata prescritta per la validità. In tal caso, infatti, il requisito formale positivamente imposto si configura come uno dei costituenti della fattispecie negoziale, siccome risulta attratto alla categoria degli elementi essenziali dell’atto dall’art. 1325 cod. civ. sicché, se la forma scritta sul piano oggettivo è la modalità con cui l’atto deve esteriorizzarsi e, dal punto di vista soggettivo, è il modo con cui la volontà delle parti deve manifestarsi all’esterno, sul piano strutturale la sottoscrizione è il segmento conclusivo del procedimento di valido perfezionamento del vincolo contrattuale. Per ciò, ove sia prevista la forma scritta del contratto, la sottoscrizione di tutti i contraenti è, in principio, indispensabile, mentre non lo è la redazione del testo a cui può provvedere anche un terzo, fino al limite del biancosegno. La natura della sottoscrizione che, in ambito negoziale e dal punto di vista funzionale, si configura come un segno significante che in forma scritta esprime consenso al regolamento contrattuale, spiega del resto la rilevanza strutturale che la sottoscrizione può assumere. L’accennato significato che appare connaturato alla sottoscrizione si associa alla funzione che può esserle riconosciuta secondo un criterio di regolarità 28. Per questo, in difetto di sottoscrizione delle parti del rapporto o d’una di esse, si possono congruentemente dare le alternative per cui manca un segmento essenziale di modo che il contratto non può dirsi perfezionato; o è nullo se la forma scritta sia prevista per la validità; o non si può dimostrare se non con limitati mezzi. E, in vece del rilievo che il difetto di forma può assumere sul terreno dell’inesistenza del con- tratto, si può profilare l’alternativa tra la figura della forma (positivamente) vincolata per la validità; e quella stabilita per la prova, la cui mancanza lascia impregiudicata la validità, l’efficacia, l’esecuzione, la ricognizione dell’atto, bensı̀ implica solo limiti endoprocessuali. Ciò non esclude che, ove manchi sul documento in cui si raccolga il regolamento contrattuale, la sottoscrizione abbia equipollenti 29, siccome essa non fa parte di quest’ultimo, né occorre la contestualità delle firme dei contraenti. Cosı̀, ad esempio, alla sottoscrizione - in ipotesi mancante - del contratto si può parificare la produzione in giudizio del documento contenente il regolamento negoziale non firmato dal contraente che a essa provveda per avvalersi dell’atto e accreditare il rapporto, grazie al medio logico della sottoscrizione della procura al difensore; e con i limiti derivanti in particolare dalla caducazione degli effetti della proposta conseguente alla revoca, dall’incapacità sopravvenuta del proponente o dalla morte del destinatario 30. Tanto più che conviene analiticamente riconoscere la differenza tra l’accettazione e la comunicazione di quest’ultima 31 a cui solitamente si associa il perfezionamento del contratto 32, secondo una distinzione posta a fondamento dell’orientamento applicativo per cui, quand’anche per la validità del contratto sia prescritta la forma scritta, l’accettazione dell’oblato può essere portata a conoscenza del proponente con modalità che ne prescindono, poiché la comunicazione dell’accettazione se, da un lato, dev’essere provata, dall’altro, non richiede la forma pretesa ad substantiam 33. Ma, per l’appunto, in ipotesi di imposizione della forma scritta del contratto, ove sul documento in cui si raccolga il regolamento contrattuale manchi la sottoscrizione, occorrono equipollenti. E, tuttavia, non ostante, cioè, il rilievo che la forma vincolata per la validità dell’atto e - ove sia contemplato il vestimentum della scrittura - le sottoscrizioni dei contraenti hanno dunque tradizionalmente assunto nel quadro della (ricostruzione della) struttura della fattispecie 27 Ad es., v. Landini, Formalità e procedimento contrattuale, Giuffrè, 2008, 58 e 64 s.; e Carpino, Scrittura privata, in Enc. dir., XLI, Giuffrè, 1989, 805 ss. A questo proposito, chi registra la ‘‘crisi della sottoscrizione’’ allude alle (ritenute) finzioni a cui si affida l’individuazione di equipollenti (v. Pagliantini, Dei contratti in generale, nel Commentario Gabrielli, cit., 99 ss.) o alla crisi della sottoscrizione autografa siccome quest’ultima (al pari del documento cartaceo) è sostituita da un ‘‘apparato tecnico’’ nella funzione attributiva dello scritto a un soggetto (Id., op. ult. cit., 102 ss.; e Id., La forma nei Principi Acquis del diritto comunitario dei contratti: Textform, forme di protezione e struttura del contratto, in I «princı̀pi» del diritto comunitario dei contratti. Acquis communautaire e diritto privato europeo, a cura di G. De Cristofaro, Giappichelli, 2009, 95 ss.). 28 Il tema dell’imputazione del testo all’autore è trattato ampiamente da Orlandi, La paternità delle scritture. Sottoscrizione e firme equivalenti, Giuffrè, 1997; in giurisprudenza, sull’essenziale profilo funzionale della sottoscrizione, cfr. Cass., 30.5.1989, n. 2588, in Notiz. giur. lav., 1989, 761, e Cass., 26.1.1987, n. 720, in Giust. civ., 1988, I, 242 ss. 29 Il tema è articolato e pone questioni che formano oggetto di ampio, risalente dibattito: v., ad es., Sacco, La forma, in Sacco-De Nova, Il contratto, nel Trattato Rescigno, 10, II, Utet, 2002, 291 ss. e 301. 30 Sugli accennati limiti ritorna Cass., 24.3.2016, n. 5919, pubblicata supra, Parte prima, p. 1168 che si segnala anche per l’illustrazione dei caratteri che debbono contrassegnare la documentazione affinché la produzione di quest’ultima in giudizio possa ritenersi equipollente della sottoscrizione del contratto. 31 Già se ne occupano, tra gli altri, Boileux, Commentaire sur le code napoléon, IV, 6e ed., Paris, 1856, 16 ss.; e Durma, La notification de la volonté. Rôle de la notification dans la formation des actes juridiques, Paris, 1930. 32 Sulle alternative, v., ad es., Benedetti, Autonomia privata procedimentale. La formazione del contratto fra legge e volontà delle parti, Giappichelli, 2002, 49 e passim. 33 Cfr. Cass., 12.7.2011, n. 15293, in Contratti, 2012, 369 ss.; Cass., 1º.9.1997, n. 8328, in Rep. Foro it., 1997, voce «Contratto in genere», n. 312; e Trib. Roma, 8.7.2014, in www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/civ.php?id_cont=10854.php. 1224 NGCC 9/2016 Sinergie Grafiche srl Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. n Letture e Opinioni Parte seconda contrattuale, in aderenza a stringenti e sperimentati modelli interpretativi 34 ricalcati da quelli applicativi 35, parte della recente giurisprudenza ha mostrato disinteresse, se non noncuranza per questi ultimi, esprimendo un indirizzo più liberale. Si allude agli orientamenti che si sono formati con riguardo ai contratti aventi per oggetto operazioni e servizi bancari e finanziari 36, da un lato, o, dall’altro, (taluni) servizi d’investimento o accessori a questi ultimi 37; che sono rispettivamente fondati sugli artt. 117, commi 1º e 3º, t.u.b. e 23, comma 1º, t.u.f. che, con formule sovrapponibili, disciplinano il contratto disponendo ch’esso dev’essere redatto per iscritto e che nel caso di inosservanza della forma prescritta il contratto è nullo; e che reputano che la prescrizione della forma scritta a pena di nullità del contratto sia rispettata quando esso sia redatto per iscritto e sia sottoscritto (anche soltanto) dal cliente, siccome tale forma sarebbe sancita nel di lui interesse, in quanto andrebbe intesa quale forma c.d. di protezione. 4. Forma scritta, sottoscrizione e struttura del contratto. Tale indirizzo non è del tutto disinteressato, radicalmente noncurante dell’accennata incidenza della for34 Cfr., tra i molti, Gentili, La forma, cit., 69 ss.; Venosta, Tre studi sul contratto, Giuffrè, 2008, 21; Lener, Forma contrattuale e tutela del contraente «non qualificato» nel mercato finanziario, Giuffrè, 1996, 173; Mazzamuto, Il problema della forma nei contratti di intermediazione mobiliare, in Contr. e impr., 1994, 37 ss. e 40 s. L’accennato rilievo strutturale non sembra inciso dalla riferita ‘‘crisi della sottoscrizione’’ nell’anzidetto significato che l’espressione assume (cfr. Pagliantini, La forma nei Principi Acquis del diritto comunitario dei contratti, cit., 95 ss., e Id., La forma del contratto: appunti per una voce, in Studi Senesi, 2004, 105 ss.). Sulla necessità delle sottoscrizioni di tutti i contraenti, ad es., già Barbero, Sulla produzione in giudizio della scrittura privata non sottoscritta, in Foro pad., 1951, 1251 ss. e 1253 s. 35 Che la forma vincolata, quando sia richiesta ad substantiam, sia elemento costitutivo, strutturale del contratto è - come chiarisce Cass., 24.3.2016, n. 5919, cit. - il presupposto dell’orientamento che esige per la validità dell’accordo da farsi per iscritto ch’esso risulti da documenti costituenti l’estrinsecazione formale diretta della volontà contrattuale delle parti e aventi il fine specifico di manifestare tale volontà (in tal senso, tra le altre, Cass., 9.3.1981, n. 1307, in Mass. Giust. civ., 1981, e Cass., 12.11.2013, n. 25424, ivi, 2013). 36 Nel senso che sia sufficiente la sottoscrizione d’uno dei contraenti e, segnatamente, del cliente v. Trib. Messina, 8.5.2015, in Redaz. Giuffré, 2016; Trib. Reggio Emilia, 28.4.2015, ivi, 2015; Trib. Napoli, 24.2.2015, in Banca, borsa tit. cred., 2016, II, 16; Trib. Mantova 21.4.2007, in www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/ban.php?id_cont=605.php (v. pure Trib. Mantova, 28.10.2015, in Redaz. Giuffré, 2016, che si spinge a ritenere che l’onere formale sia soddisfatto sol che il cliente della banca dichiari di avere ricevuto copia del contratto; e Trib. Massa, 26.6.2013, in Banca, borsa, tit. cred., 2014, II, 683, per cui un contratto bancario potrebbe essere validamente concluso persino per facta concludentia, sol che accessorio rispetto ad altro). Contra, v. Trib. Mantova 13.3.2006, in www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/ ban.php?id_cont=332.php; Trib. Reggio Emilia, 25.8.2015, in Redaz. Giuffré, 2016; e Trib. Napoli, 22.1.2015, in Banca, borsa tit. cred., 2016, II, 17). 37 Nel senso che sia sufficiente la sottoscrizione d’uno dei contraenti e, segnatamente, del cliente v. Cass., 22.3.2012, n. 4564, in Mass. NGCC 9/2016 ma scritta e della sottoscrizione nel momento genetico del vincolo, ma è contrassegnato da una marcata eccentricità rispetto alla tradizione sotto un duplice profilo. Infatti, da un lato, svaluta la rilevanza strutturale dell’una e dell’altra, ponendola sullo fondo, accreditando un’inconsueta prevalenza del connotato funzionale della previsione del requisito formale che trascura che neppure il rifiuto di una visione rigidamente normativa e strutturale conduce al primato di un approccio squisitamente funzionale 38. Dall’altro lato, opera una riduzione dell’articolazione (o complessità) delle funzioni della forma vincolata, risolvendola nell’esclusività del fine di protezione d’una delle parti del rapporto negoziale. La discontinuità rispetto alla teoria generale classica si avvantaggia della moltiplicazione di micro-sistemi legislativi in cui trova spazio (anche) la disciplina di specifiche figure contrattuali, a due dei quali appartengono le citate disposizioni; dell’associata idea che il fenomeno dia luogo a una de-costruzione che marginalizza il ruolo del diritto comune di derivazione codicistica, ossia a singoli micro-sistemi contraddistinti dall’autoreferenzialità, ciascuno espressivo di, e retto da principi e logiche proprie 39; della conseguente connessa opportunità di liberare il discorso Giust. civ., 2012; App. Venezia, 28.7.2015, in www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/fin.php?id_cont=13567.php; Trib. Milano, 12.11.2013, cit.; Trib. Mantova, 16.2.2016, in www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/fin.php?id_cont=14278.php; Trib. Rimini, 3.3.2016, in www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/fin.php?id_cont=14945.php. Contra, v. Cass., 24.3.2016, n. 5919, cit.; Cass., 11.4.2016, n. 7068, pubblicata supra, Parte prima, p. 1171; App. Torino, 20.1.2012, in www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/fin.php?id_cont=7177.php; App. Bologna, 8.3.2012, cit.; App. Milano, 27.3.2013, cit.; App. Bologna, 14.5.2015, in www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/fin.php?id_cont=12701.php; Trib. Mantova, 22.3.2007, in www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/fin.php?id_cont=594.php; Trib. Torino, 5.1.2010, in www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/fin.php?id_cont=1994.php; Trib. Bari, 15.7.2010, http:// www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/fin.php?id_cont=2360.php; Trib. Torino, 29.9.2010, in www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/ fin.php?id_cont=2445.php; Trib. Alba, 2.11.2010, in www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/fin.php?id_cont=2660.php; Trib. Mondovı̀, 9.11.2010, in www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/fin.php?id_cont=2658.php; Trib. Parma, 4.5.2011, in www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/fin.php?id_cont=5743.php; Trib. Rimini, 27.10.2011, in www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/fin.php?id_cont=7496.php; Trib. Napoli, 14.11.2011, in www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/fin.php?id_cont=7155.php; Trib. Bologna, 27.3.2012, in www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/fin.php?id_cont=7118.php; Trib. Bologna, 6.2.2013, cit.; Trib. Firenze, 31.5.2013, in www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/fin.php?id_cont=9185.php; Trib. Prato, 26.8.2013, cit.; Trib. Reggio Emilia, 16.9.2013, cit.; Trib. Forlı̀, 14.10.2013, in www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/fin.php?id_cont=10173.php; Trib. Torino, 25.6.2014, in www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/fin.php?id_cont=10772.php; Trib. Roma, 29.9.2014, in www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/fin.php?id_cont=12626.php; Trib. Mantova, 16.2.2016, in www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/fin.php?id_cont=14278.php. 38 Cfr. Modica, op. ult. cit., 26. 39 Cfr. Irti, «Codici di settore»: compimento della «decodificazione», in Dir. e soc., 2005, 131 ss.; e Id., Leggi speciali (dal mono-sistema al polisistema), in Riv. dir. civ., 1979, 145 ss. 1225 Sinergie Grafiche srl n Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Parte seconda Letture e Opinioni meta-legislativo incentrato su quelli da sovrastrutture teoriche riflettenti modelli interpretativi più risalenti. Sennonché, l’autoreferenzialità dipende dal grado di autosufficienza, dunque di chiusura che argomentatamente si assegni al singolo micro-sistema; e, più in generale, non può senz’altro assumersi che il diritto comune abbia abdicato alla sua funzione di dettare regole generali con cui quelle speciali concorrono 40, poiché il rapporto tra le due tipologie di fonti ben può ricostruirsi componendo un sistema stellare in cui il codice civile conserva una posizione di centralità 41. L’indirizzo applicativo in esame non sembra che sgorghi da una meditata riflessione su queste preliminari questioni, né da un ponderato confronto tra le disposizioni di fonte speciale e il bagaglio che accompagna gli istituti e le regole tradizionali ch’esse altererebbero, atteso che l’autosufficienza delle prime è puramente sottintesa e il secondo è ignorato; e, dunque, già per questo pare affetto dal limite dell’incompiutezza 42. La specialità dell’enunciazione normativa diviene presupposto d’una inspiegata indipendenza della fonte e dell’interpretazione che se ne offre; e d’una libertà di quest’ultima che passa per l’affrancamento dal passato e travalica nell’arbitrio, che si appoggia alla reticenza e si giova e si risolve in un discorso che si svolge per asserzioni sovente apodittiche 43, come se il dire dell’interprete fosse esso stesso autosufficiente, ossia bastasse all’essere del diritto. Ciò che si nota anche in relazione all’innalzamento della protezione del creditore della prestazione caratteristica (il ‘‘cliente’’) a fine esclusivo, più che prevalente delle regole applicate, non ostante il (trascurato) più ampio catalogo positivamente esplicitato degli interessi in vista della cui tutela sono poste le discipline speciali a cui esse appartengono (v. artt. 5 t.u.f. e 5 t.u.b.); e residuino ambiti in cui lo scopo in considerazione continua a essere un obiettivo indiretto della normazione 44. Sotto questi profili, quell’indirizzo ne ricorda un altro 45, di cui sembra avviato a seguire anche le sorti 46. D’altro canto, esso sembra reggersi, implicitamente, sull’idea che l’imposizione legislativa di requisiti di forma-contenuto segni il passaggio da una forma di ‘‘efficacia’’ a una forma di ‘‘protezione’’ 47, la quale tuttavia 40 Cfr. Peltier, Marchés financiers & droit commun, Paris, 1997, spec. 146 ss. e 170 ss. 41 V. Alpa, I contratti dei consumatori e la disciplina generale dei contratti e del rapporto obbligatorio, in Riv. dir. civ., 2006, 351 ss., e Schlesinger, Codice civile e sistema civilistico: il nucleo civilistico ed i suoi satelliti, ivi, 1993, 403 ss. 42 Cfr. Gentili, Il diritto come discorso, cit., 26. 43 Esemplare, per i difetti dell’argomentazione, appare Trib. Milano, 12.11.2013, cit., per cui, ricomponendo il testo della decisione in modo da migliorarne la leggibilità, ‘‘[c]onformemente all’evoluzione del diritto comunitario, infatti, la forma non è più solo finalizzata a responsabilizzare l’esplicitazione del consenso delle parti in taluni contratti di particolare incisività nelle relazioni sociali, ma è destinata, piuttosto, a dare rilievo alla trascrizione delle regole contrattuali, perché siano note a quei contraenti che si trovino in posizione di inferiorità rispetto ad altri (...). Nel regime previsto dall’art. 23 TUF (...) il Tribunale evidenzia come la prescrizione, a pena di nullità, della forma scritta del contratto quadro vada intesa nella prospettiva di garantire al cliente il rispetto dei canoni di chiarezza e trasparenza nell’apprendere (e comprendere) le regole del rapporto che instaura con la controparte bancaria (...). È nell’esclusivo interesse del cliente che tale regola di forma viene sancita, a tutela del suo interesse sostanziale alla certa conoscibilità delle regole del mandato di negoziazione dato alla banca (la forma per il cliente, e solo per lui, equivale a sostanza) (...) diviene essenziale: da un lato, la redazione da parte della banca di un atto che comprenda le regole minime normativamente prescritte; dall’altro, la sottoscrizione di tale atto da parte del cliente, che in tal modo viene, sia responsabilizzato circa la serietà dell’impegno negoziale che va ad assumere, sia informato circa il contenuto e la portata dell’attività di intermediazione e negoziazione che demanda alla banca (...). Di fatto, quindi, l’assenza della firma della banca non priva di contenuto il contratto redatto per iscritto o la sua conoscibilità da parte del cliente delle regole in esso comprese (di certa provenienza dalla banca), né può ritenersi che la banca abbia un suo sostanziale interesse a sottoscrivere un modulo che essa stessa ha predisposto e quindi ben conosce (la sottoscrizione della banca rileva in termini di consenso alla ricezione dell’incarico di negoziazione, ma nelle controversie quale quella di cui al presente procedimento, non si assume che la banca si sia sottratta al mandato ricevuto o che lo disconosca, ma che l’abbia eseguito in termini difformi dalle regole che lo governano) (...). In tal senso, -conclude il Tribunale- ove il contratto, completo nel suo contenuto cartaceo, sia unicamente privo della sottoscrizione da parte della banca, non potrebbe il cliente rinvenire in ciò alcuna lesione del proprio interesse sostanziale, atteso che, da un lato, è mancanza che non priva di contenuto il contratto e la conoscibilità per il cliente delle regole in esso scritte, e dall’altro la mera carenza formale di firma non potrebbe in ogni caso legittimare la banca, nè ad impugnare il contratto quadro dalla stessa predisposto, sottraendosi -per tale ragione- alle regole in esso sancite (il che è vietato dall’art. 23 comma 3 TUF), né ad impugnare la singola operazione negoziale già posta in essere in adempimento di detto mandato’’. Su queste basi, il Tribunale ha ritenuto che la prescrizione della forma scritta a pena di nullità dei contratti bancari e finanziari possa ritenersi rispettata quando il contratto redatto in forma scritta sia sottoscritto dal solo cliente, nel cui interesse tale forma sarebbe sancita; e che, in tal senso, la mancanza della sottoscrizione della banca sia circostanza di per sé inidonea a inficiare la validità del contratto quadro, atteso che la prescritta redazione per iscritto di esso dovrebbe intendersi quale forma c.d. di protezione in favore del cliente, da ritenersi rispettata se sottoscritto dal cliente. 44 Cfr. Alpa, nel Commentario al Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, a cura di Alpa e Capriglione, Cedam, 1998, sub art. 21, 213. 45 Si allude all’orientamento che inclinò a configurare come ipotesi di nullità virtuale dei contratti, in particolare aventi a oggetto la prestazione di servizi di investimento, la violazione di regole di comportamento dettate con riguardo alla fase anteriore al perfezionamento del vincolo contrattuale: nell’ampia letteratura, v. D’Amico, Regole di validità e regole di comportamento nella formazione del contratto, in Riv. dir. civ., 2002, 37 ss.; Roppo, La tutela del risparmiatore fra nullità e risoluzione (a proposito di Cirio bond & tango bond), in Danno e resp., 2005, 604 ss.; Roppo-Afferni, Dai contratti finanziari al contratto in genere: punti fermi della Cassazione su nullità virtuale e responsabilità precontrattuale, ivi, 2006, 25 ss.; Cottino, Una giurisprudenza in bilico: i casi Cirio, Parmalat, bonds argentini, in Giur. it., 2006, 537 ss.; Franzoni, La responsabilità precontrattuale: una nuova stagione, in Resp. civ., 2006, 295 ss.; Scoditti, Regole di comportamento e regole di validità: i nuovi sviluppi della responsabilità precontrattuale, in Foro it., 2006, 1105 ss.; Sicchiero, Un buon ripensamento della S.C. sulla asserita nullità da inadempimento, in Giur. it., 2006, 1602 ss. 46 Cfr. Cass., 24.3.2016, n. 5919, cit., e Cass., 11.4.2016, n. 7068, cit. 47 V. Chiné, Il diritto comunitario dei contratti, in Il diritto privato dell’Unione Europea, a cura di Tizzano, nel Trattato Bessone, XXVI, 1, Giappichelli, 2006, 745 ss, 754. Similmente, sembra di capire, Putti, La nullità parziale. Diritto interno e comunitario, Esi, 2002, 308, sic- 1226 NGCC 9/2016 Sinergie Grafiche srl Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. n Letture e Opinioni Parte seconda appare una semplificante sineddoche 48, non soltanto perché le prescrizioni formali, immediatamente, continuano a investire l’atto sul piano strutturale 49; e perché la forma vincolata non perde le funzioni tradizionali, ma ne aggiunge casomai di nuove. L’enfasi con cui si accredita la funzione protettiva delle prescrizioni formali caratteristiche della moderna disciplina dei contratti appare invero inconsapevole della molteplicità dei fini di quelle 50, che non si esauriscono affatto nella funzione di salvaguardia dell’interesse negoziale della parte in tesi debole, ma - almeno in astratto abbracciano finalità ulteriori di conformazione 51 dell’attività d’impresa, nella prospettiva del mercato 52 e, segnatamente, della concorrenza che si giova della conoscibilità dei regolamenti contrattuali dei competitori di cui permette il confronto 53; o del controllo di tali attività 54. Non è necessario prendere posizione sull’esistenza o meno del principio della libertà delle forme; né occorre negare (o semplicemente svilire) la rilevanza della dimensione funzionale della forma 55, né che l’analisi funzionale delle prescrizioni di requisiti formali possa occupare uno spazio prevalente e, in questo senso, un primato rispetto alle analisi strutturali 56. Ciò non è necessario per rifiutare l’assunto, che pare suggestivo, che detta dimensione sia esclusiva o tanto prevalente da offuscare, fino a elidere, il rilievo strutturale della forma vincolata dell’accordo 57, che costituisce deriva che non sembra che possa essere giustificata alla luce del ritenuto ‘‘polimorfismo che interviene innegabilmente a connotare la dimensione tutta postmoderna del contratto’’ 58, secondo una visione marcatamente nichilista che scambia la causa con l’effetto. Tanto più se, come accade in seno alle discipline speciali a cui ci si è riferiti, le prescrizioni che impongono il requisito della forma scritta ad substantiam si accompagnino a ulteriori regole che accrescono il catalogo delle moderne nullità speciali in relazione alle quali la tradizionale assolutezza del rimedio lascia il posto all’inderogabilità relativa 59 (artt. 23 t.u.f. e 127 t.u.b.). Qui, infatti, l’alterazione dell’istituto della nullità rispetto alla configurazione classica, per modellarlo sul fine di protezione dell’interesse d’uno dei contraenti 60, parrebbe già sufficiente a perseguire tale finalità; ed esenta dell’aggiungere, alla crisi della dicotomia tra nullità e annullabilità ch’essa alimenta, l’ulteriore risultato di dimidiare il ruolo strutturale della forma vincolata consustanziale all’integrità e necessaria per l’integralità dell’accordo. come la nullità per difetto di forma non sarebbe sanzione comminata per una deficienza dell’atto, bensı̀ per una condotta scorretta. 48 Cfr. Alessi, op. ult. cit., 23 ss.; Gentili, I principi del diritto contrattuale europeo: verso una nuova nozione di contratto?, in Riv. dir. priv., 2001, 20 ss., 31; e Modica, op. ult. cit., 264. 49 Correlativamente, non sembra che si debba necessariamente abbandonare la tradizionale classificazione delle regole prescrittive di requisiti di forma vincolata tra le norme ordinative o di configurazione (v., rispettivamente, Ferri, Ordine pubblico, buon costume e la teoria del contratto, Giuffrè, 1970, 159 s., e Albanese, Violazione di norme imperative e nullità del contratto, Jovene, 2003, 203 ss.), oppure senz’altro qualificative (v. Betti, Teoria generale del negozio giuridico, nel Trattato Vassalli, XV, 2, Utet, 2a ed., 3a rist., 1960, 12; e Irti, Idola libertatis. Tre esercizi sul formalismo, Giuffrè, 1985, 83): ci si può piuttosto domandare se esse siano ancora ‘‘eminentemente’’ ordinative o qualificative. 50 Cfr. Modica, op. ult. cit., 265. 51 La finalità ‘‘informativa’’ del consumatore e quella ‘‘conformativa’’ dell’attività d’impresa si affiancano, ad es., già in Jannarelli, La disciplina dell’atto e dell’attività: i contratti tra imprese e tra imprese e consumatori, in Diritto privato europeo, a cura di Lipari, II, Cedam, 1997, 489 ss., poi Id., La disciplina dell’atto e dell’attività: i contratti tra imprese e tra imprese e consumatori, nel Trattato di diritto privato europeo, a cura di Id., III, Cedam, 2003, 13 ss., 15. V. altresı̀ Alessi, op. ult. cit., 23 ss., e Nigro, La legge sulla trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari: note introduttive, in Dir. banca e merc. fin., 1992, 432 ss., 423. 52 Per l’idea che la disciplina del contratto sia (mediatamente) strumentale a quella del mercato, v. Irti, L’ordine giuridico del mercato, Laterza, 1998, 69, e cfr. Jannarelli, La disciplina dell’atto e dell’attività: i contratti tra imprese e tra imprese e consumatori, in Diritto privato europeo, loc. ult. cit., poi Id., La disciplina dell’atto e dell’attività: i contratti tra imprese e tra imprese e consumatori, nel Trattato di diritto privato europeo, cit., 3 ss.; Camardi, Integrazione giuridica europea e regolazione del mercato. La disciplina dei contratti di consumo nel sistema del diritto della concorrenza, in Eur. e dir. priv., 2001, 703 ss.; Gabrielli, Mercato contratto e operazione economica, in Rass. dir. civ., 2004, 1044 ss. 53 Cfr. Jannarelli, op. ult. cit., 15. 54 Cfr. Alessi, op. ult. cit., 23 ss. 55 Essa è posta in luce, tra gli altri, da Cian, Forma solenne e interpretazione del negozio, Cedam, 1969, 2 s. e nt. 3 ss., in uno con la pluralità dei fini che alle prescrizioni di requisiti formali possono essere sottesi. 56 Cfr. Perlingieri, Forma dei negozi e formalismo degli interpreti, Esi, 1987, 54 ss. e passim, e Breccia, La forma, cit., 504. 57 Cfr. Pagliantini, Forma e formalismo nel diritto europeo dei contratti, Ets, 2009, 102, a proposito del ‘‘(discutibile) iato tra forme ad evidenza strutturale (rilevanti in termini di nullità testuale, assoluta e definitiva) e forme ad evidenza informativa (serventi una nullità virtuale, relativa e di pleno iure)’’. 58 Cosı̀ Modica, Formalismo negoziale e nullità, in Le invalidità nel diritto privato, a cura di Bellavista e Plaia, Giuffrè, 2011, 465 ss. e 476. 59 Cfr. Macario, Norme in attuazione di direttive comunitarie in tema di credito al consumo, in Nuove leggi civ. comm., 1994, 745 ss. e 767. 60 Sulle nullità di protezione quale specie della nullità relativa, cfr. Gentili, La ‘‘nullità di protezione’’, in Eur. e dir. priv., 2011, 77 ss., e Pagliantini, La nullità di protezione tra rilevabilità d’ufficio e convalida: lettere da Parigi e dalla Corte di Giustizia, in Riv. dir. priv., 2009, 139 ss. NGCC 9/2016 1227 Sinergie Grafiche srl n Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Parte seconda Letture e Opinioni Chi è il consumatore sovraindebitato? Aperture e chiusure giurisprudenziali di Enza Pellecchia SOMMARIO: 1. La nozione di consumatore rilevante ai fini della l. n. 3/2012: le aperture della Cassazione con la sentenza 1º.2.2016, n. 1869. - 2. La non colpevolezza del sovraindebitamento per l’accesso al piano del consumatore: le chiusure dei giudici di merito e le possibili aperture normative. - 3. Una piccola provocazione: è utile un regime specifico per il consumatore sovraindebitato? La specifica considerazione del sovraindebitamento del consumatore è il frutto, com’è noto, dell’incisivo intervento di riforma della l. 27.1.2012, n. 3, realizzato con l’art. 18 del d.l. 18.10.2012, n. 179 1 per correggere alcuni dei più evidenti limiti di una disciplina tanto attesa quanto, poi, sostanzialmente inutilizzata 2. La iniziale previsione - criticabile e criticata - nella l. n. 3/2012 di un’unica procedura destinata a categorie eterogenee di debitori (civili, commerciali ma esclusi dalle procedure concorsuali, enti collettivi) 3, è stata dunque successivamente abbandonata, predisponendo un regime specifico per il consumatore con conseguente disarticolazione interna dell’ampia platea dei debitori non assoggettabili alle procedure concorsuali 4. Siffatta disarticolazione della disciplina in chiave soggettiva - certamente necessaria per superare uno dei limiti principali della l. n. 3/2012 - è stata realizzata assumendo come criterio di selezione il riferimento al consumatore, definito dall’art. 6, comma 2º, lett. b), l. n. 3/ 2012 come la ‘‘persona fisica che ha assunto obbliga- 1 La l. 27.1.2012, n. 3 è il punto di approdo di un percorso lungo, accidentato e a tratti paradossale, avviato nel 2001 da un progetto di legge depositato dall’Adiconsum presso il CNEL, ripreso e poi interrotto in sede di riforma della legge fallimentare, rilanciato nel 2008 all’interno di un disegno di legge per la riforma della disciplina dell’usura (c.d. disegno Centaro, dal nome del senatore proponente), bruscamente accelerato dal Governo alla fine del 2011 con ricorso alla decretazione d’urgenza, giunto infine a compimento con la parallela e ravvicinata approvazione non di uno bensı̀ di due provvedimenti: la l. n. 3/2012, recante «disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione delle crisi da sovraindebitamento» e il d.l. 22.12.2011, n. 212 « recante disposizioni urgenti in materia di composizione delle crisi da sovraindebitamento e disciplina del processo civile ». In sede di conversione in legge il decreto è stato prima interamente riscritto - con un emendamento presentato dal Governo che si traduceva nella introduzione di una specifica normativa sul sovraindebitamento del consumatore da coordinare con la disciplina generale dettata dalla l. n. 3/ 2012 per tutti i debitori non assoggettabili alle procedure concorsuali e poi amputato della parte relativa al sovraindebitamento, riproposta da ultimo - con l’art. 18 d.l. 18.10.2012, n. 179 del (c.d. decreto sviluppo bis), convertito (con modifiche) nella l. 17.12.2012, n. 221. 2 Lo strumento previsto dalla iniziale versione della l. n. 3/2012 era un accordo con i creditori, su proposta del debitore, sulla base di un piano di ristrutturazione dei debiti - redatto con l’ausilio degli organismi di composizione della crisi costituiti ad hoc da enti pubblici e iscritti in apposito registro - che assicurasse il regolare pagamento dei creditori non aderenti all’accordo e dei titolari di crediti privilegiati. In sede di riforma si è avuta una radicale trasformazione del procedimento in chiave concordataria, con estensione degli effetti dell’accordo di ristrutturazione concluso con i creditori rappresentanti almeno il sessanta per cento dei crediti complessivi pure ai creditori che non aderiscono alla proposta di accordo, e con possibilità di soddisfacimento non integrale anche dei crediti muniti di privilegio, pegno o ipoteca (allorché ne sia assicurato il pagamento in misura non inferiore a quella realizzabile in caso di liquidazione dei beni sui quali insiste la causa di prelazione, avuto riguardo al valore di mercato ad essi attribuibile). Sono state inoltre anticipate le misure di protezione del patrimonio del debitore, con il blocco delle procedure esecutive individuali già a partire dal deposito della proposta di accordo. 3 Per un commento alla prima versione della l. n. 3/2012 v. Di Marzio, Macario e Terranova (a cura di), Composizione della crisi da sovraindebitamento, Giuffrè, 2012. 4 La nuova disciplina prevede non una sola procedura di composizione della crisi, ma tre, disposte in una sorta di schema a ipsilon, lungo un tracciato a volte comune a volte specifico. Sono infatti contemplate tre forme di composizione della crisi: l’accordo del debitore, il piano del consumatore e - in alternativa o, in talune specifiche ipotesi, in consecuzione ad entrambe le procedure - la liquidazione del patrimonio. L’accordo del debitore (che può essere proposto da tutti i soggetti «non fallibili») ha per oggetto la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti sulla base di un piano che - approvato da una maggioranza qualificata di creditori - è vincolante anche per i dissenzienti. Il piano del consumatore prevede, analogamente all’accordo del debitore, la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti, ma è riservato al solo debitore persona fisica che abbia assunto obbligazioni esclusivamente per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta: prescinde da un accordo con i creditori, essendo soggetto solo all’omologazione da parte del giudice. Infine, la liquidazione del patrimonio (che può essere proposta da tutti i debitori non fallibili), consiste - sulla falsariga della liquidazione fallimentare nella liquidazione di tutti i beni del debitore, compresi quelli sopravvenuti nei quattro anni successivi, ad eccezione dei beni aventi carattere personale: viene eseguita da un liquidatore con il ricorso a procedure competitive e, come il piano del consumatore, prescinde da un accordo con i creditori, in quanto è soggetto soltanto all’omologazione da parte del giudice. 1. La nozione di consumatore rilevante ai fini della l. n. 3/2012: le aperture della Cassazione con la sentenza 1º.2.2016, n. 1869. 1228 NGCC 9/2016 Sinergie Grafiche srl Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. n Letture e Opinioni Parte seconda zioni esclusivamente per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta’’. La casistica giurisprudenziale relativamente all’attribuzione della qualità di consumatore ai fini dell’accesso alla procedura ‘‘dedicata’’ (un piano sottoposto direttamente al giudizio di omologazione) ha riguardato soprattutto i casi di insolvenza ‘‘ibrida’’ (nella quale confluiscono debiti ‘‘da consumo’’ e debiti di impresa) e le ipotesi di soggetti ‘‘non professionali’’ che abbiano prestato fideiussione. Rispetto alla prima questione, è prevalso l’orientamento secondo cui ‘‘ai fini dell’ammissibilità di una domanda di composizione della crisi da sovraindebitamento ex art. 6 l. n. 3/2012, per consumatore deve intendersi solo il debitore persona fisica il cui indebitamento non sia riconducibile ad un’attività imprenditoriale o libero professionale’’ 5. Con riguardo invece alla estensibilità al fideiussore della qualità di consumatore, tale estensibilità è stata negata, in applicazione del principio secondo il quale la qualità del debitore principale ‘‘attrae’’ quella del fideiussore, con la conseguenza che ‘‘non può essere ammesso al beneficio del sovraindebitamento il soggetto gravato da obbligazioni derivanti anche e soprattutto dalla prestazione di garanzie personali (nella specie fideiussioni) nell’interesse di società esercente attività di impresa’’ 6. Su entrambe le questioni influisce una recente sentenza della Corte di cassazione 7, la quale ha stabilito che ‘‘la nozione di «consumatore abilitato al piano», quale modalità di ristrutturazione del passivo e per l’esercizio delle altre prerogative previste dalla l. n. 3 del 2012, pur non escludendo il professionista o l’imprenditore - attività non incompatibili purché non residuino o, comunque, non siano più attuali obbligazioni sorte da esse e confluite nell’insolvenza - comprende solo il debitore, persona fisica, che abbia contratto obbligazioni, non soddisfatte al momento della proposta di piano, per far fronte ad esigenze personali, familiari ovvero attinenti agli impegni derivanti dall’estrinsecazione della propria personalità sociale e, dunque, anche a favore di terzi, ma senza riflessi diretti in un’attività d’impresa o professionale propria, salvi solo gli eventuali debiti di cui all’art. 7, 1º comma, terzo periodo (tributi costituenti risorse proprie dell’Unione europea, imposta sul valore aggiunto e ritenute operate e non versate) che vanno pagati in quanto tali, sulla base della verifica di effettività solutoria commessa al giudice nella sede di cui all’art. 12 bis, 3º comma, l. n. 3 del 2012’’ 8. 5 V. ad esempio Trib. Milano, sez. II, 16.5.2015, in www.ilcaso.it. Cosı̀ ad esempio Trib. Foggia, 23.7.2015, in Fallimento, 2015, fasc. 11, 1259. 7 Tra i giudici di merito, nello stesso senso v. Trib. Bergamo, sez. fall., 12.12.2014, in ilcaso.it: ‘‘anche l’imprenditore o il libero professionista possono avere la qualifica di ‘‘consumatore’’ a condizione che le obbligazioni scadute e non adempiute, e che abbiano determinato il ‘‘sovraindebitamento’’, non siano riferibili in alcun modo all’attività d’impresa o professionale svolta’’. 6 NGCC 9/2016 Il dato decisivo, dunque, non è rappresentato da una qualità relativa al soggetto, bensı̀ dalla consistenza qualitativa dell’insolvenza: le obbligazioni scadute e non adempiute, che abbiano determinato il sovraindebitamento, non devono essere riconducibili all’attività d’impresa o professionale svolta. Non è necessaria una ‘‘matrice omogenea assoluta dell’insolvenza’’, il richiamo è piuttosto ‘‘alla qualità dei debiti da ristrutturare che la connotano, in sé considerati e nella loro composizione finale’’ 9. Si profila dunque la possibilità, per l’imprenditore e per il professionista, di utilizzare il piano del consumatore (in presenza, ovviamente, dei requisiti prescritti dall’art. 12-bis), per rimodulare quella parte della esposizione debitoria colorata dalla causa di consumo 10, ‘‘lasciando sullo sfondo i rapporti d’impresa o pendenti con i terzi e quale professionista’’ 11 e utilizzando ‘‘beni e redditi per ristrutturare il resto dei suoi debiti’’ 12. La Corte si raffigura la possibile obiezione - e cioè che si determinerebbe ‘‘un mutamento sostanziale delle garanzie generiche offerte dal proprio patrimonio, in concreto utilizzato per la ridefinizione di una massa passiva che, assente da ogni ricognizione segregata o autonoma pregressa (perché in capo alla persona fisica nessuna distinzione in tal senso sarebbe configurabile, ogni bene apparendo destinato naturalmente a soddisfare debiti d’impresa o di professione alla pari dei debiti di consumo), verrebbe separata nella opportunità liquidatoria o comunque nella vocazione satisfattiva a vantaggio solo dei debiti c.d. comuni’’ - , ma ritiene che tale obiezione possa essere superata rinviando alle ‘‘opportunità contestative, sul profilo della convenienza, rimesse a qualunque interessato (dunque anche ai creditori d’impresa o da professione, non coinvolti nel piano) e, prima ancora, ai controlli giudiziali sulle cause del sovraindebitamento e la serietà dei propositi compositivi ex art. 12 bis, rispettivamente commi 4 e 3’’ 13. L’altra questione su cui la Cassazione ha operato una ‘‘apertura’’, riguarda la situazione del fideiussore, implicitamente evocato dal richiamo a debiti derivanti dall’assunzione di obbligazioni correlate alla ‘‘estrinsecazione della propria personalità sociale, dunque anche a favore di terzi, ma senza riflessi diretti in un’attività d’impresa o professionale propria’’ 14. Sembrano trovare accoglimento, in questo inciso, le considerazioni svolte da una parte della dottrina 15, critica rispetto alla dominante teoria del ‘‘professionista di riflesso’’, formulata sulla base del profilo - assunto 8 Cass., 1º.2.2016, n. 1869, in questa Rivista, 2016, p. 989. Cass. n. 1869/2016, cit. 10 Alecci, I rigidi confini della nozione di «consumatore» nella composizione della crisi da sovraindebitamento, in Dir. civ. cont., 2.3.2016. 11 Cass. n. 1869/2016, cit. 12 Cass. n. 1869/2016, cit. 13 Cass. n. 1869/2016, cit. 14 Cass. n. 1869/2016, cit. 15 Un’attenta ricostruzione si può leggere in Vizzoni, Verso una 9 1229 Sinergie Grafiche srl n Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Parte seconda Letture e Opinioni come costitutivo di tutta la disciplina - della accessorietà della garanzia fideiussoria rispetto all’obbligazione principale 16: si aprirebbe dunque ora la strada per consentire l’accesso al piano del consumatore anche al fideiussore non professionale sovraindebitato 17. Questa apertura potrebbe aiutare a mitigare una delle criticità della l. n. 3/2012, cioè la mancata considerazione del sovraindebitamento dei nuclei familiari. Una considerazione del livello complessivo di indebitamento della famiglia sarebbe stata quanto mai opportuna sol che si ponga mente al fatto che spesso altri componenti del nucleo familiare sono coobbligati del debitore principale (soprattutto imprenditore), in virtù di garanzie personali prestate ai creditori. La non estensibilità ai garanti degli effetti di ristrutturazione realizzati tramite una procedura di composizione della crisi conclusa dal debitore principale (art. 11, comma 3º, e art. 12-ter, comma 3º) e l’applicazione della teoria del ‘‘fideiussore di riflesso’’ per escludere il familiare garante di un imprenditore (a propria volta) sovraindebitato dai benefici che sarebbero derivati dalla possibilità di presentare un piano del consumatore, hanno finora pesantemente inciso sulle effettive possibilità di arginare il problema dell’insolvenza ‘‘a cascata’’ del coobbligato familiare, impedendo a molte famiglie di interrompere la spirale del debito 18. 2. La non colpevolezza del sovraindebitamento per l’accesso al piano del consumatore: le chiusure dei giudici di merito e le possibili aperture normative. Per accedere ai benefici del piano del consumatore, non è sufficiente addurre una condizione di sovraindebitamento, ma è necessaria l’indicazione delle cause dell’indebitamento e della diligenza impiegata dal consumatore nell’assumere volontariamente le obbligazioni, l’esposizione delle ragioni dell’incapacità del debitore di adempiere le obbligazioni assunte, nonché il resoconto sulla solvibilità del consumatore negli ultimi cinque anni. L’omologazione è subordinata alla ‘‘valutazione di meritevolezza’’ effettuata dal giudice, il quale tutela ‘‘consumeristica’’ del fideiussore: spunti di riflessione, in Contratti, 2015, 195 ss. 16 La tesi del professionista ‘‘di riflesso’’ è sostenuta, fra le altre, da Cass., 11.1.2001, n. 314, in Corr. giur., 2001, 891 ss., con nota di Conti, La fideiussione rispetto alle clausole vessatorie; da Cass., 6.10.2005, n. 19484, in Dir. prat. soc., 2006, 72 ss., con commento di Longhini, ‘‘Factoring’’ e fideiussione rilasciata da socio della società cedente: profili di tutela, e più di recente; da Cass., 29.11.2011, n. 25212, in Dir. e giust., 2011, 506 ss., con nota di Bortolotti, Il fideiussore di una società non è un consumatore. 17 Un’apertura verso la ‘‘tutela consumeristica’’ del fideiussore era già stata operata da A.B.F. Roma, 2.2.2012, n. 300. 18 Galletti, Insolvenza civile e «fresh start»: il problema dei coobbligati, in L’insolvenza del debitore civile. Dalla prigione alla liberazione, a cura di Presti-Stanghellini e Vella, in Analisi giuridica dell’economia, II, 2004, 397. Gli ‘‘effetti rovinosi’’ delle fideiussioni omnibus prestate da 1230 omologa il piano ‘‘quando esclude che il consumatore ha assunto obbligazioni senza la ragionevole prospettiva di poterle adempiere ovvero che ha colposamente determinato il sovraindebitamento, anche per mezzo di un ricorso al credito non proporzionato alle proprie capacità patrimoniali’’. L’applicazione di questi parametri si è rivelata tutt’altro che agevole. Il sovraindebitamento è, di norma, un processo graduale. La legge non offre criteri per stabilire la soglia al di là della quale si passa da un indebitamento ‘‘fisiologico’’ ad un indebitamento ‘‘eccessivo’’ e perciò non sostenibile. Proprio in questo spazio indeterminato si collocano condotte - omissioni di informazioni, pratiche commerciali sleali, negligenti valutazioni del merito di credito - che possono contribuire ad innalzare il livello di indebitamento del soggetto per l’accumularsi degli esiti di una contrattazione ‘‘scorretta’’. Talvolta in questo processo di indebitamento ‘‘patologico’’ ha un peso significativo il finanziamento erogato ad un soggetto già indebitato. Certo questa constatazione non autorizza generalizzazioni e semplificazioni: altrettanto spesso, infatti, la richiesta di finanziamento è funzionale alla necessità di fronteggiare un dissesto economico determinato da fattori non controllabili dal debitore e nemmeno imputabili ad altri a titolo di responsabilità. Per molti debitori vittime di eventi sfortunati l’ulteriore indebitamento è quasi un percorso obbligato, nel tentativo di fermare la spirale del debito che invece nella maggior parte dei casi si avvita ulteriormente ed ineluttabilmente. Rischia di verificarsi una situazione paradossale: e cioè che molti debitori, in situazione di grave sofferenza economica, non possano accedere alla procedura ‘‘premiale’’ del piano del consumatore e debbano tentare la più difficile via dell’accordo di ristrutturazione perché dalla sproporzione tra redditi disponibili e ammontare del debito si deduce pressoché automaticamente la natura colposa dell’indebitamento, con il conseguente rifiuto dell’omologazione in caso di piani proposti da consumatori che, già in condizione di diffamiliari sono state oggetto di particolare attenzione in Germania, dove la Corte costituzionale - in una nota decisione del 1993 - ha statuito che ‘‘nel diritto tedesco, nei rapporti contrattuali caratterizzati da una strutturale disparità delle parti e dalla notevolissima onerosità degli obblighi assunti dalla parte debole, il giudice, nel determinare il contenuto delle clausole generali di correttezza e buona fede e di contrarietà al buon costume, deve utilizzare il precetto costituzionale della garanzia dell’autonomia negoziale dei privati ed operare a tale stregua un controllo del contenuto del contratto’’: la decisione del BVerfG, 19.10.1993, 1 BVR 567/89 e 1044/89, è pubblicata in questa Rivista, 1995, I, 197 ss., con nota di Barenghi, Una pura formalità. A proposito di limiti e di garanzie dell’autonomia privata in diritto tedesco. Sull’argomento v. anche Colombi Ciacchi, Le fideiussioni rovinose: un nuovo campo di applicazione delle clausole generali del BGB a tutela della parte debole, in Annuario del dir. tedesco, 1999, I, 149 ss. NGCC 9/2016 Sinergie Grafiche srl Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. n Letture e Opinioni Parte seconda schiacciati dal peso di un debito divenuto insopportabile. In tale ottica si è quindi optato per l’inserimento di requisiti negativi, ostativi ai benefici di legge, individuati nella mala fede o nel compimento di atti di frode (la mala fede tendenzialmente rilevante nel momento della contrazione del debito, la frode normalmente operante nelle fasi precedenti o successive all’ammissione alla procedura). Un significativo cambio di passo potrebbe aversi poi con riguardo alla valutazione della condotta dei finanziatori che erogano ‘‘cattivo credito’’, cioè credito a soggetti già ampiamente in difficoltà. La Commissione Rordorf, infatti, nel prendere atto che ‘‘alla determinazione di una situazione di sovraindebitamento del consumatore concorre spesso il creditore, mediante la violazione di specifiche regole di condotta’’, ha prospettato ‘‘la necessità di responsabilizzare il soggetto concedente il credito attraverso la predisposizione di sanzioni, eventualmente anche di tipo processuale (limitando, ad esempio, le sue facoltà di impugnazione ed opposizione)’’. Se questa strada - come si auspica - venisse percorsa, si consoliderebbe una prospettiva di erogazione responsabile del credito che gioverebbe al sistema creditizio nel suo complesso. ficoltà economica - e talvolta proprio nel tentativo estremo di gestire queste difficoltà - avevano chiesto e ottenuto finanziamenti, aggravando la propria situazione: ma mentre nessuna responsabilità è stata ravvisata in capo ai soggetti finanziatori (per avere concesso credito a soggetti che probabilmente non presentavano un livello adeguato di merito creditizio), maggiore severità è stata usata nei confronti dei consumatori, ai quali è stata preclusa la via del piano e lasciata solo la meno agevole opzione dell’accordo con i creditori 19. Con il rischio quindi di un cortocircuito tra la disciplina del sovraindebitamento e la disciplina del credito al consumo: l’una, severa nella valutazione della ‘‘meritevolezza’’ del debitore con riguardo alla natura non colposa del sovraindebitamento; l’altra, generica e indeterminata sul piano dei rimedi con riguardo alla negligente valutazione, da parte del creditore, del c.d. merito di credito del richiedente il finanziamento 20. Qualche novità potrebbe arrivare in sede di riforma delle discipline delle crisi d’impresa e dell’insolvenza, secondo le linee dello schema di disegno di legge delega elaborato dalla c.d. Commissione Rordorf 21. Nel corso dei lavori della Commissione molto si è discusso sul come configurare - soprattutto con riguardo all’esdebitazione - i requisiti di meritevolezza del debitore. A fronte di un’opinione che, paventando il rischio di troppo facile abuso dell’istituto, avrebbe preferito un regime più severo, è prevalso l’orientamento di chi, in linea con le legislazioni dei paesi (anche extraeuropei) che vantano il più alto indice di applicazione delle procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento, ha scelto di non esigere requisiti soggettivi troppo stringenti. A ciò ha indotto la considerazione, da un lato, dell’eterogeneità qualitativa dei soggetti destinatari (spesso privi di livelli culturali idonei per rendersi conto del progressivo sovraindebitamento), dall’altro dell’oggettiva difficoltà di individuare rigorosi criteri, sicuramente verificabili, in rapporto all’estrema varietà delle situazioni di vita che possono determinare situazioni individuali di grave indebitamento, senza rischiare di generare un contenzioso dalle proporzioni difficilmente prevedibili o senza, altrimenti, finire per restringere a tal punto la portata dell’istituto da frustrare sostanzialmente le finalità di politica economica ad esso sottese: finalità consistenti non tanto in una forma di premialità soggettiva quanto piuttosto nel consentire una nuova opportunità a soggetti Per concludere, un (provocatorio) spunto di riflessione circa la persistente utilità di un regime specifico che riguardi il consumatore o l’opportunità di un regime che riguardi piuttosto, in senso ampio, il debitore civile. È stato opportunamente osservato in dottrina che la disciplina del sovraindebitamento è ‘‘una disciplina sulla responsabilità patrimoniale e non - come il legislatore ci ha abituati con la pervasiva legislazione consumeristica dell’ultimo ventennio - sul rapporto contrattuale’’ 22. Osservando la l. n. 3/2012 in questa prospettiva, non si può fare a meno di rilevare che innestare la logica consumeristica nella disciplina del sovraindebitamento - e dunque della responsabilità patrimoniale - implica alcuni rischi. L’interprete sa bene, infatti, che ‘‘il diritto dei consumatori è un diritto dell’impresa’’ 23 e che evocare la figura del consumatore significa evocare il contesto nel quale quel soggetto si muove: il mercato, e le sue logiche. 19 V. ad esempio Trib. Pistoia, 28.2.2014, in Banca, borsa e tit. cred., 2014, 537 ss. 20 Del tutto insoddisfacente, a tale riguardo, è la formulazione dell’art. 124-bis del Testo Unico Bancario, il quale impone l’obbligo di procedere - prima della concessione del finanziamento - ad una valutazione del merito di credito del consumatore richiedente, ma nulla dice circa le conseguenze della omessa valutazione o della concessione di credito a soggetti che, già indebitati, abbiano ricevuto il finanzia- mento e si siano trovati poi sovraindebitati. 21 Cfr. il d.d.l. C. 3671-bis, Delega al Governo per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza. 22 Macario, Finalità e definizioni, in La «nuova» composizione della crisi da sovraindebitamento, a cura di Di Marzio, Macario e Terranova, Giuffrè, 2013, 18. 23 Somma, Il diritto dei consumatori è un diritto dell’impresa, in Pol. dir., 1998, 679 ss. NGCC 9/2016 3. Una piccola provocazione: è utile un regime specifico per il consumatore sovraindebitato? 1231 Sinergie Grafiche srl n Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Parte seconda Letture e Opinioni Ma se regole speciali possono avere un senso in materia di contratti dei consumatori - nella prospettiva del superamento delle asimmetrie informative che si traducono in asimmetrie di potere contrattuale e fallimenti del mercato - riesce più difficile comprendere le ragioni della creazione di un ‘‘diritto speciale delle obbligazioni’’ per il debitore-consumatore: questo diritto speciale - costruito nell’ottica dell’efficienza del mercato - avrebbe un effetto eversivo del diritto generale delle obbligazioni, perché per garantire (tramite la ristrutturazione dei debiti) il rapido recupero della ragion d’essere del consumatore - ovvero ritornare a consumare il più possibile per alimentare il circuito della domanda e dell’offerta - si interverrebbe sulla fisionomia stessa dell’essere debitore 24. In sintesi e provocatoriamente si potrebbe dire che le esigenze del mercato premono affinché il soggetto sia sempre meno debitore per poter essere sempre più consumatore: anche intervenendo sulla responsabilità patrimoniale e sacrificando gli interessi dei creditori. Ebbene, se si ritiene che non abbia senso (e sia anche pericoloso, dal punto di vista della complessiva tenuta del sistema) iniziare a costruire un regime speciale del rapporto obbligatorio funzionale alle esigenze del mercato, ha grande importanza verificare invece se attraverso il riferimento al sovraindebitamento del consumatore non si sia inteso, piuttosto, regolare vicende che prescindono dalla qualità di consumatore (e dal ruolo che esso gioca in una logica di mercato) e attengono alle ragioni del sovraindebitamento e alla gestione delle sopravvenienze. Per accedere ai benefici del piano del consumatore, non è infatti sufficiente addurre una condizione di sovraindebitamento, ma è necessaria l’indicazione delle cause dell’indebitamento e della diligenza impiegata dal consumatore nell’assumere volontariamente le obbligazioni, l’esposizione delle ragioni dell’incapacità del debitore di adempiere le obbligazioni assunte, nonché il resoconto sulla solvibilità del consumatore negli ul- timi cinque anni. L’omologazione è subordinata alla ‘‘valutazione di meritevolezza’’ effettuata dal giudice, il quale omologa il piano ‘‘quando esclude che il consumatore ha assunto obbligazioni senza la ragionevole prospettiva di poterle adempiere ovvero che ha colposamente determinato il sovraindebitamento, anche per mezzo di un ricorso al credito non proporzionato alle proprie capacità patrimoniali’’. In questa prospettiva, il regime ‘‘premiale’’ è riservato al debitore ‘‘onesto ma sfortunato’’: per proporre il piano, in altre parole, non è tanto decisivo essere consumatore, è piuttosto determinante essere debitore diligente e incolpevolmente sovraindebitato. Se la specialità attiene alla qualità del sovraindebitamento (incolpevole) e non al debitore (consumatore), non si vede per quale ragione il debitore civile non consumatore - parimenti diligente e incolpevolmente sovraindebitato - non possa avvalersi della medesima procedura. Detto altrimenti: ferma la opportunità di un percorso specifico per l’insolvenza civile, non sarebbe sistematicamente più coerente individuarne il presupposto soggettivo nell’ampia nozione di debitore civile, piuttosto che nella nozione di consumatore? Questa opzione non introdurrebbe fratture nel sistema (con il rischio di creare un regime speciale della responsabilità patrimoniale del consumatore): attraverso la rilevanza data alle cause del sovraindebitamento e alle ragioni che determinano l’incapacità di adempiere sarebbe possibile l’assorbimento, all’interno della disciplina del rapporto obbligatorio, di vicende sopravvenute che riguardano la situazione del debitore. Le feconde intuizioni e le lungimiranti elaborazioni teoriche in materia di impossibilità soggettiva, impossibilità relativa, inesigibilità della prestazione troverebbero cosı̀ una compiuta realizzazione 25. Varrebbe la pena, in vista della nuova riforma del sovraindebitamento, provare a vagliare almeno dal punto di vista della riflessione - questa strada. 24 Sia consentito il rinvio a Pellecchia, Dall’insolvenza al sovraindebitamento. Interesse del debitore alla liberazione e ristrutturazione dei debiti, Giappichelli, 2012, 228. 25 Mengoni, voce «Responsabilità contrattuale (diritto vigente)», in Enc. del dir., XXXIX, Giuffrè, 1988, 1087; Id., La parte generale delle obbligazioni, in Riv. crit. dir. priv., 1984, 518; Natoli, L’attuazione del rapporto obbligatorio, XVI, Il comportamento del debitore, 2, Giuffrè, 1984, 71 ss. e 11 ss. 1232 NGCC 9/2016 Sinergie Grafiche srl Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. n Saggi e Aggiornamenti Parte seconda La posizione giuridica del garanteconsumatore: dalle novità europee alle recentissime aperture interne di Lavinia Vizzoni* SOMMARIO: 1. Introduzione. Lo scenario di riferimento. - 2. La possibile configurazione di un fideiussoreconsumatore fra decisioni della Cassazione e prospettive europee. - 3. La recente risposta positiva della Corte di giustizia dell’UE. - 4. Segue: il limite alla soluzione positiva: il collegamento funzionale con il debitore garantito. - 5. La pronuncia della Corte di giustizia dell’UE nell’ottica del principio di effettività. - 6. Da ultimo: una possibile svolta della Cassazione? 1. Introduzione. Lo scenario di riferimento. La figura del fideiussore - con specifico riguardo alla posizione concretamente rivestita da tale contraente incontra, nell’ordinamento italiano, un sostanziale disinteresse da parte del legislatore. In effetti, la disciplina della garanzia personale per eccellenza, che può vantare origini antichissime 1, dopo essersi conformata nel diritto romano, è confluita nel cod. civ. del 1865 e poi in quello del 1942 senza subire modifiche di rilievo 2. L’unica eccezione a tale immobilismo normativo è rappresentata dalle revisioni operate nel 1992 3, quando - nel contesto di una complessiva riforma volta ad attuare il valore fondamentale della trasparenza banca- ria - si è inciso in funzione limitativa sugli aspetti dubbi della fideiussione omnibus 4, ossia sull’ampiezza eccessiva del suo oggetto, con conseguente violazione del requisito di determinatezza, o almeno determinabilità, dell’oggetto del contratto, e, più in generale, sull’abusività delle condotte spesso poste in essere dalla banche nell’esercizio dell’attività di concessione del credito, contro le quali si è da più parti invocato il principio di salvaguardia della buona fede 5. Ora, se è vero che grazie alla riforma del 1992, per quanto essa sia relativa alla sola fideiussione omnibus, taluni dei più rilevanti rischi di abusi a danno del fideiussore sono stati contenuti, è altrettanto vero che la figura del garante non appare sufficientemente considerata, quanto meno a livello normativo, soprat- * Contributo pubblicato in base a referee. 1 Come segnalato a titolo di curiosità da Macario, in Sacco-De Nova, Garanzie personali, nel Trattato di diritto civile, diretto da Sacco, II, 4, Utet, 2009, le origini della fideiussione si potrebbero far risalire addirittura ai poemi omerici, dove sembrano rinvenirsi tracce della garanzia, poiché Nettuno figurerebbe come fideiussore di Vulcano. 2 Cfr. l’analisi storica di Campogrande, Trattato della fideiussione nel diritto odierno, Torino, 1902, passim, e Talamanca, voce «Fideiussione (storia)», in Enc. del dir., XVII, Giuffrè, 1968, 326 ss. Sull’evoluzione della fideiussione dal diritto romano ad oggi, con particolare riguardo al profilo dell’accessorietà della garanzia, v. anche Mannino, Fideiussione e accessorietà, in Eur. e dir. priv., 2001, 907 ss. 3 Per una disamina approfondita delle relative vicende, cfr. Di Biase, La fideiussione omnibus a ventun’anni dalla legge sulla trasparenza bancaria: alla ricerca dei ‘‘limiti’’ all’impegno del garante, in Nuove leggi civ. comm., 2014, I, 169 ss., sopr. 182 ss., in cui l’a. fa un bilancio complessivo della riforma del 1992. 4 Sugli aspetti dubbi della garanzia omnibus, v. già Rescigno, Il problema della validità delle fideiussioni c.d. omnibus, in Banca, borsa, tit. cred., 1972, II, 27 ss. 5 Sull’operatività del limite della buona fede in tema di fideiussione v. fra gli altri, Senofonte, Buona fede e fideiussione per obbligazione futura, in Giust. civ., 1990, I, 134 ss.; Munari (a cura di), Fideiussione omnibus e buona fede, Giuffrè, 1992, che ripercorre gli orientamenti al riguardo a pochi mesi dalla modifica legislativa. In tema di buona fede, sono state inoltre esemplari le applicazioni talvolta operate dalla giurisprudenza. In tal senso, v. Cass., 18.7.1989, n. 3362, in Foro it., 1989, I, 2750 ss., con osservazioni di Pardolesi e note di Di Majo, La fideiussione ‘‘omnibus’’ e il limite della buona fede, e Mariconda, Fideiussione ‘‘omnibus’’ e principio di buona fede. Tale pronuncia, insieme ad altre quattro sentenze coeve, è stata definita ‘‘devastante’’ da Pardolesi, nelle sue osservazioni, cit., 2751. La portata rivoluzionaria delle pronunce è stata evidenziata anche da Bussoletti, La Cassazione e le fideiussioni bancarie, in Banche e banchieri, 1990, 51, che ne parla come di un ‘‘terremoto giurisprudenziale’’. Tale giurisprudenza pone chiaramente in luce come la buona fede - intesa in senso etico, quale requisito della condotta - costituisca uno dei cardini della disciplina delle obbligazioni e formi oggetto di un vero e proprio dovere giuridico, che viene violato non solo ove la parte agisca col proposito doloso di recare pregiudizio, ma anche se il suo comportamento non sia stato improntato alla diligente correttezza e al senso di solidarietà sociale che integrano il contenuto della buona fede. Tuttavia, attenta dottrina ha mosso rilevanti critiche alle (invero talora molto singolari) applicazione giudiziali della buona fede. Tra gli altri, cfr. Barcellona, La buona fede e il controllo giudiziale del contratto, in Il contratto e le tutele. Prospettive di diritto europeo, a cura di Mazzamuto, Giappichelli, 2002, 324 ss. e Belfiore, La presupposizione, nel Trattato Bessone, Giappichelli, 2003, XIII, 4, sopr. 30. NGCC 9/2016 1233 Sinergie Grafiche srl n Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Parte seconda Saggi e Aggiornamenti tutto laddove si tratti di un soggetto per cosı̀ dire ‘‘privato’’, che agisce cioè in veste non professionale. In effetti, non si può che constatare come la normativa codicistica in materia di fideiussione non contenga alcuna considerazione di quel garante che - stante una sua peculiare qualifica soggettiva - si trovi ad agire, nella complessa operazione economica realizzata, in condizioni particolari, connotate soprattutto da debolezza contrattuale. Cosı̀, nell’impianto del codice, il fideiussore viene in rilievo solo laddove l’art. 1936 si incentra proprio sulla figura del garante, descritto come il soggetto che assume, nei confronti del terzo creditore, l’obbligazione di garantire l’adempimento di un obbligo altrui, cosı̀ rimarcando il carattere personale della garanzia stessa. Per il resto, la legislazione dettata si rivolge ai vari profili di funzionamento della fideiussione, senza operare alcuna differenziazione della disciplina applicabile in considerazione del ‘‘tipo’’ di garante. Solo qualche accenno compare nella legislazione speciale, per la quale si ricorda l’inapplicabilità al fideiussore ‘‘privato’’ della disciplina in materia di commercio elettronico 6. Il quadro normativo risulta dunque caratterizzato, in tal senso, da una certa staticità. Eppure, non mancano interrogativi che, in senso contrario, pongono in luce la necessità di operare differenziazioni fra le varie connotazioni che il garante può assumere. Già nei primi anni del ‘900, nella vigenza del codice di commercio parallela a quella del codice civile, taluni tendevano a distinguere fra fideiussione prestata per obbligazioni commerciali e per obbligazioni non commerciali, con conseguente possibile distinzione della disciplina applicabile 7. Sulla stessa linea, suonano nette le parole di quella dottrina 8 che, in epoca successiva, evidenziava, non senza qualche estremizzazione, come il rilascio di fi- deiussione determinasse, non di rado, a carico di un soggetto chiamato ‘‘privato’’, una vera e propria ‘‘sopraffazione’’ 9 a suo danno. In tal senso, veniva già opportunamente evidenziata la profonda differenza intercorrente fra la situazione in cui è una banca a prestare la garanzia e quella in cui si rende fideiussore un soggetto operante al di fuori di un’attività imprenditoriale o professionale 10: nel primo caso, un soggetto esercente un’attività economica organizzata è certamente in grado di ridurre l’entità del rischio assunto con l’assunzione della garanzia tramite l’adozione di appositi accorgimenti tecnico-aziendali; nel secondo caso, può invece accadere che il garante risulti ‘‘impreparato’’ di fronte all’operazione economica in cui si trova coinvolto 11. Cosı̀ ragionando, l’angolatura di osservazione del fenomeno si sposta dalla fideiussione al fideiussore, dal versante oggettivo a quello soggettivo della garanzia, e la relativa prospettiva di indagine si appunta sulla possibile applicazione al fideiussore di specifiche normative, aventi prevalente funzione di tutela, ma forse capaci al contempo di realizzare una maggiore coerenza sul piano dell’analisi economica del diritto. 6 L’art. 11 d. legis. 9.4.2003, n. 70 esclude infatti dall’ambito di applicazione del decreto proprio i ‘‘contratti di fideiussione o di garanzie prestate da persone che agiscono a fini che esulano dalle loro attività commerciali, imprenditoriali o professionali’’. A questo può aggiungersi che il rilascio di taluni tipi di garanzie fideiussorie è in alcuni casi espressamente riservato a soggetti qualificati, quali quelli elencati dall’art. 3 d. legis. 20.6.2005, n. 122. 7 Cfr. Campogrande, op. cit., 82 ss., che ripercorre il dibattito in questione. 8 Si fa riferimento all’approfondita analisi critica di Simonetto, La fideiussione prestata da privati, Cedam, 1985. L’autore, significativamente, accostava già - in un periodo in cui la disciplina italiana a tutela del consumatore doveva ancora vedere la luce - la materia della fideiussione al settore delle clausole vessatorie, rivendicando una funzione più incisiva per le clausole generali, in primis la buona fede, che al contempo stava assumendo un ruolo sempre più centrale nel dibattito già in corso relativo alla fideiussione omnibus. 9 Cfr. Id., op. cit., 4. 10 Sul punto, ancora Id., op. cit., 24 ss. 11 Per utilizzare le parole dal forte impatto utilizzate dall’autore, il fideiussore privato si trova ‘‘preso alla sprovvista e intrappolato’’: Id., op. cit., 26. 12 Nella quasi sconfinata bibliografia sul consumatore cfr., fra gli altri, De Strobel, La sovranità del consumatore, Cedam, 1970; Aa.Vv., Il consumatore e l’Europa: recenti sviluppi, Jovene, 1994, e, negli anni più recenti, Macario, Dalla tutela del contraente debole alla nozione giuridica di consumatore nella giurisprudenza comune, europea e costituzionale, in Obbl. e contr., 2006, 872 ss.; Zoppini, Il contratto asimmetrico tra parte generale, contratti di impresa e disciplina della concorrenza, in Riv. dir. civ., 2008, 536 ss.; Granelli, Il codice del consumo a cinque anni dalla sua entrata in vigore, in Obbl. e contr., 2010, 731 ss. Sulle modifiche più recenti alla relativa disciplina, v. l’analisi di Id., ‘‘Diritti dei consumatori’’ e tutele nella recente novella del codice del consumo, in Contratti, 2015, 59 ss. Con specifico riguardo all’applicazione delle tutele consumeristiche al garante, v. la riflessione critica di Monticelli, Accesso al credito e tutela del consumatore: questioni nuove e problemi irrisolti, in Giust. civ., 2012, 527 ss. Sul tema, sia inoltre consentito rinviare a Vizzoni, Verso una tutela ‘‘consumeristica’’ del fideiussore: spunti di riflessione, in Contratti, 2015, 195 ss. Più in generale, v. la ricognizione delle differenti categorie soggettive che il garante può assumere operata da Macario, Garanzie personali, cit., 104 ss. 1234 2. La possibile configurazione di un fideiussore-consumatore fra decisioni della Cassazione e prospettive europee. Fra le qualifiche soggettive che il garante può rivestire un ruolo di primo piano spetta sicuramente alla categoria che negli ultimi decenni ha rivoluzionato l’intero diritto privato, imponendo il ripensamento di taluni importanti dogmi, ossia quella di consumatore 12. Da un punto di vista oggettivo, bisogna premettere che la fideiussione rientra senz’altro nell’ambito di applicazione dell’art. 1469-bis cod. civ., poi confluito nel NGCC 9/2016 Sinergie Grafiche srl Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. n Saggi e Aggiornamenti Parte seconda codice del consumo; è infatti ormai definitivamente superata la relativa diatriba sullo specifico profilo grazie all’intervento della l. 21.12.1999, n. 526, la quale ha espunto il problematico riferimento ai soli contratti che abbiano ‘‘per oggetto la cessione di beni o la prestazione di servizi’’ 13. A questo punto, la domanda che ci si pone è, in sintesi: può un fideiussore che rivesta i connotati di un consumatore, e cioè sia persona fisica che agisce al di fuori dello svolgimento di una qualsiasi attività professionale, essere considerato giuridicamente tale e dunque essere destinatario delle relative discipline? La risposta sinora fornita dalla nostra giurisprudenza di legittimità è stata negativa: com’è noto, la Suprema Corte si mantiene fedele all’impostazione per cui stante il legame di accessorietà intercorrente tra contratto di fideiussione e rapporto principale - la qualifica di consumatore non deve essere autonomamente ricercata nel garante, in riferimento alla vicenda fideiussoria stessa, bensı̀ tale qualifica viene derivata, ‘‘di riflesso’’, da quella del debitore garantito. La forza dell’accessorietà è dunque ritenuta tale da produrre i suoi effetti anche sulle qualifiche dei soggetti coinvolti, nel senso che se il debitore garantito è un professionista, dovrà essere considerato tale, seppur indirettamente, anche il fideiussore, nonostante si tratti di un soggetto ‘‘privato’’, che non agisce in veste professionale 14. Almeno in una occasione, la questione si è direttamente incentrata proprio sull’applicabilità, al fideiussore che opera al di fuori dell’esercizio di attività professionale, di ciò che rappresenta il vero e proprio ‘‘cuore’’ della disciplina consumeristica, ossia la normativa in materia di clausole abusive: cosı̀, la Cassazio- ne 15 ha precisato che la vessatorietà di una clausola deve essere valutata anche con riguardo alle ‘‘circostanze esistenti al momento della sua conclusione ed alle altre clausole del contratto medesimo o di un altro collegato da cui dipende’’. Si è dunque valorizzata la caratteristica propria della fideiussione, consistente nell’essere un contratto funzionalmente collegato a quello principale, con conseguente affermazione del valore ‘‘assorbente’’ del legame di accessorietà. In via dissonante rispetto a tale orientamento unanime della Cassazione, si pongono, oltre ad un’isolata pronuncia di merito 16, talune recenti decisioni 17 di un soggetto - l’Arbitro Bancario Finanziario - che, sebbene non giurisdizionale, è deputato a risolvere conflitti riguardanti i soggetti che più di frequente sono coinvolti nel rilascio di fideiussioni, ossia gli istituti bancari e creditizi. Tali decisioni, che hanno peraltro incontrato il favore di attenta dottrina 18, rifiutano l’automatica estensione al garante della qualifica soggettiva propria del debitore principale, e ritengono di circoscrivere l’ambito di operatività del collegamento tra i due negozi al solo versante oggettivo, relegandolo comunque in secondo piano ed anzi vanificandolo sostanzialmente quando il profilo soggettivo evidenzi una specifica esigenza di tutela dei soggetti coinvolti. A livello europeo, sul versante giurisprudenziale viene in gioco, in primo luogo, la sentenza Berliner Kindl Brauerei 19, nella quale si discuteva circa la possibilità di applicare la dir. n. 102/87 CEE, in materia di credito al consumo, all’ipotesi di un garante che agisce al di fuori dello svolgimento di attività professionale. In tale caso, la Corte ha optato per la soluzione negativa, in considerazione del dato letterale, nonché 13 Sulla questione cfr. Stella, Le garanzie del credito, Giuffrè, 2010, 127 ss. 14 La tesi del professionista ‘‘di riflesso’’ è sostenuta, fra le altre, da Cass., 11.1.2001, n. 314, in Corr. giur., 2001, 891 ss., con nota di Conti, La fideiussione rispetto alle clausole vessatorie; da Cass., 6.10.2005, n. 19484, in Dir. e prat. soc., 2006, 72 ss., con commento di Longhini, ‘‘Factoring’’ e fideiussione rilasciata da socio della società cedente: profili di tutela, e in Contratti, 2007, 225 ss., con nota di Guerinoni, Quando il fideiussore è consumatore; e più di recente, da Cass., 29.11.2011, n. 25212, in Dir. e giust., 2011, 506 ss., con nota di Bortolotti, Il fideiussore di una società non è un consumatore. 15 Si tratta di Cass., 11.1.2001, n. 314, cit. In proposito, cfr. Stella, Le garanzie personali del credito, in Il Draft Common Frame of Reference del diritto privato europeo, a cura di Alpa, Iudica, Perfetti e Zatti, Giuffrè, 2009, 281 ss., specie 290 ss. 16 Cfr. Trib. Palermo, 13.12.2005, in Corr. merito, 2006, 317 ss., con commento di Conti, Il fideiussore non è sempre professionista ‘‘di rimbalzo’’. 17 Cfr., fra le altre, A.B.F. Roma, 26.7.2013, n. 4109, in www.arbitrobancariofinanziario.it/decisioni/categorie/Apertura%2520di%2520credito/Garanzie/Dec-201307264109.pdf. 18 Cosı̀ Rabitti, La qualità di ‘‘consumatore-cliente’’ nella giurisprudenza e nelle decisioni dell’arbitro bancario finanziario, in Contr. e impr., 2014, 201 ss., A.A. Dolmetta, Il fideiussore può anche essere consumatore. A proposito di Abf Roma, n. 4109/2013, in www.dirittobancario.it/spunti- dall-abf/garanzie, il quale afferma provocatoriamente, ma in maniera condivisibile, che ‘‘non è dato comprendere cosa c’entri la regola di accessorietà con la nozione di consumatore’’, ed aggiunge altresı̀ che ‘‘anzi, a bene vedere, la tesi della Cassazione si risolve piuttosto nell’allegazione di una (insussistente) regola di simmetria: e, per vero, e non meno dell’altra non afferente alla materia in questione (della riconosciuta veste di consumatore, appunto)’’. Già Tucci, Contratti negoziati fuori da locali commerciali e accessorietà della fideiussione, in Banca, borsa, tit. cred., 1999, 136 ss., con specifico riguardo al caso Dietzinger (su cui v. infra), aveva prospettato la necessità di valutare in concreto le esigenze di tutela del contraente debole, richiamando le soluzioni applicate nell’ordinamento tedesco alle fideiussioni ‘‘rovinose’’ del coniuge/familiare. 19 Si tratta della sentenza della Corte giust. UE, 23.3.2000, causa C-208/98, Berliner Kindl Brauerei c. Siepert, in Foro it. 2000, IV, 201 ss., con nota di Palmieri. Nella dottrina tedesca, cfr. l’ampia riflessione di Sölter, Die Verbraucherbürgschaft Zur Anwendbarkeit des Verbraucherkreditgesetzes auf die Bürgschaft, Berlin, 2001, che si interroga sull’applicabilità, in generale, della normativa consumeristica in favore del fideiussore che rilasci garanzie sulla spinta di circostanze contingenti e/o emozionali, senza prestare particolare attenzione al contenuto della garanzia stessa. L’autrice dimostra, in generale, di fornire al quesito una risposta che tendenzialmente equipara consumatore e garante ‘‘privato’’ (der private Bürge). Sullo specifico caso Berliner Kindl Brauerei c. Siepert, v. Ead., op. cit., 95 ss. NGCC 9/2016 1235 Sinergie Grafiche srl n Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Parte seconda Saggi e Aggiornamenti della ratio stessa della normativa europea, che deve intendersi come non estesa anche al contratto di fideiussione 20. Un’altra pronuncia significativa è quella resa dalla Corte giust. UE sul caso Dietzinger 21, che si è posta il problema dell’applicabilità della dir. n. 577/85 CEE, in materia di contratti negoziati fuori dai locali commerciali, ad un contratto a favore di terzi, e più precisamente ad un contratto di fideiussione concluso in seguito a una vendita a domicilio, con specifico riguardo alla possibilità di esercizio dello ius poenitendi. Anche qui, la risposta fornita dalla Corte è stata negativa poiché il credito garantito dalla fideiussione era stato richiesto in correlazione all’esercizio di un’attività commerciale. Come osservato 22, in tale occasione la Corte ha attribuito un rilievo forse eccessivo allo scopo dell’operazione di garanzia - considerata in stretta correlazione rispetto al rapporto principale - e ha riservato invece un’attenzione soltanto marginale al profilo strettamente soggettivo rivestito dal fideiussore. Tuttavia, la Corte giust. UE non ha escluso a priori la possibilità che un fideiussore potesse beneficiare delle tutele previste dalla normativa in esame 23. Per quanto attiene al versante della soft law europea, lo stesso Draft Common Frame of Reference, nel Capitolo 4 del Libro IV, Parte G (relativa alle Personal Securities), detta Special rules for personal security of consumers, precisa espressamente che le regole - delle quali è inoltre esclusa la derogabilità in senso sfavorevole al garante - ivi previste debbano trovare applicazione ‘‘when a security is provided by a consumer’’, cosı̀ dimostrando, come osservato 24, che è la persona del 20 V. Macario, op. ult. cit., 107. Corte giust. UE, 17.3.1998, causa C-45/96, Bayerische Hypotheken Wech Selbank AG c. Dietzinger, in Foro it., 1998, IV, 129 ss., con nota di Palmieri, in Danno e resp., 1998, 330 ss.; con nota di Sesta, Direttiva comunitaria, contratto di fideiussione e tutela dei consumatori, in Corr. giur., 1998, 769 ss.; con nota di M. Graniero, Natura accessoria della fideiussione nei contratti conclusi fuori dei locali commerciali, in Guida al dir., 1998, 17, 74 ss.; con nota di Moreschini, Chi presta garanzia a un professionista perde la tutela «europea» per i consumatori - La fideiussione è regolata dalle norme nazionali se assiste un credito di natura «non privata»; nonché in Banca, borsa, tit. cred., 1999, 129 ss., con nota di Tucci, cit. In proposito v. anche Lobuono, Contratto e attività economica nelle garanzie personali, Esi, 2002, 45 ss. Sulla pronuncia Dietzinger, nella dottrina tedesca, in senso adesivo, v. Pfeifer, Die Bürgschaft unter dem Einfluss des deutschen und europäischen Verbraucherrechts, in ZIP, 1998, 1129 ss. Peraltro, lo stesso autore rifletteva sull’applicabilità della disciplina in materia di contratti negoziati fuori dai locali commerciali prima dell’emanazione della sentenza Dietzinger. Cfr. Id, Haustürwiderrufsgesetz und Bürgschaft - Ein Beitrag zur causa ‘‘kausaler’’ Sicherungsgeschäfte und zum europäischen Zivilrecht, in ZBB, 1992, 1 ss. 22 Cosı̀ Alpa, Ancora sulla definizione di consumatore, in Contratti, 2001, 205: ‘‘qui non si prende in considerazione lo status soggettivo del fideiussore - che la Corte ammette essere consumatore, cioè un soggetto che non aveva agito nell’ambito della sua attività professionale - ma si prende in considerazione lo scopo per cui aveva agito il debitore prin21 1236 garante ad assumere un rilievo decisivo nella valutazione relativa alla sussistenza di un contraente che riveste la qualifica di consumatore 25. 3. La recente risposta positiva della Corte di giustizia dell’UE. Dopo le due sentenze europee da ultimo indicate - le quali forniscono sı̀ una risposta negativa ai relativi quesiti, ma facendo leva, più che sul principio di accessorietà della garanzia, ampiamente invocato invece dalla Cassazione italiana, su ragioni concrete riferite all’ambito di applicazione di normative settoriali - è giunta, di recente, una decisione della Corte di giustizia dell’Unione Europea che si segnala per un deciso cambiamento di rotta. Si tratta più precisamente dell’ordinanza datata 19.11.2015, originata da un rinvio pregiudiziale proposto dalla Corte d’appello di Oradea (Romania) 26. Il caso di specie ha ad oggetto due contratti - genericamente definibili di garanzia - stipulati da una coppia di coniugi in favore della società individuale di cui il di loro figlio risultava socio unico e amministratore. Proprio su richiesta del figlio - che intendeva ottenere un aumento della linea di credito già accordata alla propria società da una banca - i genitori avevano da un lato costituito ipoteca a favore della banca su un bene immobile di loro proprietà, e, dall’altro, si erano resi fideiussori garantendo il pagamento di quanto ottenuto dalla società del figlio a titolo di finanziamento. In seguito, i coniugi adirono il tribunale competente chiedendo l’annullamento dei due contratti di garanzia stipulati e, in via subordinata, delle clausole, ritenute abusive, in essi contenuti. Gli attori videro la loro cipale, la controparte del professionista. E poiché il contratto principale era stato concluso dal debitore con intenti professionali, anche il contratto accessorio è considerato assoggettato alla disciplina di diritto comune, privando cosı̀ il fideiussore della tutela accordata dal consumatore. Non è quindi la valutazione oggettiva che rileva - il contratto di fideiussione in sé - quanto lo scopo di quel contratto collegato con lo status del contraente del contratto principale’’. Analogamente, nella dottrina tedesca, si dimostrano critici nei confronti della sentenza Dietzinger, in un’ottica tendenzialmente favorevole ad un’estensione applicativa, che consideri maggiormente il profilo soggettivo del garante Reinicke-Tiedtke, Schutz des Bürgen durch das Haustürwiderrufsgesetz, in ZIP, 1998, 893 ss. 23 Come puntualmente osservato da Camardi, Tecniche di controllo dell’autonomia contrattuale nella prospettiva del diritto europeo, in Eur. e dir. priv., 2008, 870, la pronuncia della Corte di giustizia ‘‘propone un’applicazione estensiva della Direttiva, prospettando uno spiraglio di tutela che solo in fatto non viene accordata’’. 24 Cfr. Stella, op. ult. cit., 289. 25 Id., ivi, 302, ritiene che, in punto di qualifica soggettiva del consumatore, la soluzione adottata dal Draft, incentrata esclusivamente sulla figura del garante, sia preferibile a quella sostenuta dalla Cassazione italiana, che ricava la qualifica del fideiussore ‘‘di riflesso’’ da quella del debitore garantito. 26 La pronuncia è pubblicata in lingua italiana in G.U.U.E. 2016, C 38/68. NGCC 9/2016 Sinergie Grafiche srl Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. n Saggi e Aggiornamenti Parte seconda domanda respinta in primo grado, in base all’art. 1, § 1, della legge rumena n. 193/2000 27, che circoscrive l’ambito di applicazione della disciplina in materia di clausole abusive ai contratti aventi a oggetto la vendita di un bene o la fornitura di un servizio ad un consumatore: quest’ultima condizione non venne ritenuta integrata nel caso di specie, stante la natura di società commerciale del soggetto beneficiario del credito, cosı̀ come delle garanzie prestate. Il tribunale individuò anche una seconda ragione per ritenere i due contratti di garanzia esclusi dall’ambito di applicazione della l. 22.6.2000, n. 193, corrispondente al loro carattere accessorio rispetto al contratto di credito, stipulato fra la banca e la società, priva della qualità di consumatore. È stato il giudice di secondo grado, a cui i coniugi ricorsero in appello, a sottoporre alla Corte due questioni pregiudiziali, in realtà riducibili ad una sola - ed infatti risolta come tale dalla Corte giust. UE - concernente l’interpretazione dell’art. 1, § 1, dir. n. 13/93 CEE. In particolare, al giudice europeo si chiedeva se tale disposizione dovesse essere interpretata nel senso di includere nel relativo ambito di applicazione anche i contratti accessori, quali, in primis, quelli di garanzia, laddove il soggetto garantito sia una società commerciale, se la stipula della garanzia è avvenuta da parte di persone fisiche che hanno agito per scopi estranei all’attività professionale eventualmente svolta, ed altresı̀ in mancanza di collegamenti con l’attività esercitata dal professionista che beneficia della garanzia. Per quanto ovvia, è opportuno premettere una prima osservazione relativa al contesto normativo: invero, la disciplina rumena di riferimento, che ha recepito la dir. n. 13/93 CEE, appare del tutto analoga a quella italiana oggi contenuta nel codice del consumo 28. La decisione della Corte giust. UE opera una ricostruzione dettagliata dei fatti, evidenziando anche come, nel caso di specie, i genitori si siano resi garanti solo in considerazione della posizione - di socio unico e amministratore della società beneficiaria del credito del loro figlio, e come questi adirono il tribunale sulla base della convinzione di aver agito in qualità di consumatori. La pronuncia pone poi in luce come, in base a giurisprudenza consolidata della Corte stessa 29, l’ambito di applicazione della disciplina in materia di clausole abusive sia da riferire a qualsiasi contratto stipulato tra un professionista e un consumatore che non sia stato oggetto di negoziato individuale fra le parti. È a questo punto che le affermazioni della Corte giust. UE si fanno di particolare interesse: la Corte sebbene con toni sbrigativi e in alcuni passaggi assai assertivi - sostiene che l’indagine volta ad verificare la sussistenza di un contratto che ricade nell’ambito di applicazione in questione dovrà rivolgersi non all’oggetto del contratto stesso (che viene definito addirittura ‘‘irrilevante’’ 30 a tal fine), bensı̀ alla qualità dei contraenti, valutando se gli stessi agiscano o meno nell’ambito della loro attività professionale. Il criterio incentrato sulla qualità delle parti viene peraltro significativamente ricondotto alla ratio che costituisce il fondamento del sistema di tutela istituito dalla direttiva in questione in favore del consumatore, ossia la collocazione del consumatore stesso in una situazione di inferiorità rispetto alla controparte professionista, con riguardo sia al potere nelle trattative sia al piano informativo, e che si traduce in un’induzione ad aderire alle condizioni contrattuali unilateralmente predisposte dal professionista, senza poter incidere sul relativo contenuto 31. La Corte riferisce poi, più specificamente, l’individuato ambito di tutela ai contratti di fideiussione conclusi fra un istituto di credito e un consumatore: in questi casi l’esigenza di protezione si fa ancora più consistente, poiché la stipulazione comporta l’assunzione di un impegno personale da parte del garante, che si vincola all’adempimento dell’obbligazione altrui, con relativo rischio economico non sempre agevolmente calcolabile. Ciò comporta quindi la nascita, in capo al fideiussore, di ‘‘obblighi onerosi che hanno l’effetto di gravare il suo patrimonio di un rischio finanziario spesso difficile da misurare’’. 27 Di implementazione della dir. 13/93 CEE del Consiglio, 5.4.1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori. 28 L’unica nota distintiva è rappresentata, invero, dal riferimento che la definizione di ‘‘consumatore’’ contenuta nella legge rumena compie, oltre che alla persona fisica, anche al ‘‘gruppo di persone fisiche costituite in associazione’’. 29 V. la recente Corte giust. UE, 15.1.2015, causa C-537/13, Šiba, richiamata dall’ordinanza nei Considerando nn. 20, 21, 23 e 24. 30 Fatte salve le eccezioni indicate al decimo Considerando della dir. 13/93 CEE, ossia i contratti di lavoro, i contratti relativi ai diritti di successione, i contratti relativi allo statuto familiare, i contratti relativi alla costituzione ed allo statuto delle società (Considerando n. 22). 31 Considerando n. 24. Si potrebbe osservare che la Corte giust. UE assume un’impostazione piuttosto semplicistica, nonché di stampo esclusivamente paternalistico. Soprattutto, un tale atteggiamento si avverte laddove la Corte intende rafforzare ed espandere le tutele in favore di un soggetto ritenuto strutturalmente ed irrimediabilmente debole. Come è noto, l’approccio paternalistico non è andato esente da critiche, ed è stato accusato di escludere in radice la capacità di autoregolamento del consumatore stesso. V. soprattutto Sacco, in SaccoDe Nova, Il contratto, nel Trattato di diritto civile diretto da Sacco, I, Utet, 3a ed., 2004, 488. Piuttosto, si è quindi suggerito di considerare l’obiettivo di rendere la condotta del consumatore virtuosa, come funzionale ad un efficiente funzionamento delle stesse dinamiche di mercato. In tale prospettiva, gli istituti a tutela del consumatore acquistano una matrice concorrenziale, e la stessa concorrenza del mercato diventa il bene giuridico tutelato. In tale prospettiva, cfr. Camardi, La protezione dei consumatori tra diritto civile e regolazione del mercato. A proposito dei recenti interventi sul codice del consumo, in Jus civile, 2013, 305 ss. NGCC 9/2016 1237 Sinergie Grafiche srl n Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Parte seconda Saggi e Aggiornamenti Riguardo al profilo dell’accessorietà, la Corte osserva, in primis, che il contratto di fideiussione presenta senz’altro, in riferimento al proprio oggetto, carattere ‘‘accessorio’’ rispetto al contratto principale; tuttavia, ancora una volta, la vicenda deve essere guardata dal punto di vista delle parti contraenti: allora, ben si osserva che il contratto di garanzia è distinto dal rapporto principale perché stipulato tra soggetti diversi. Pertanto, anche la qualifica di professionista ovvero di consumatore dovrà essere indagata con esclusivo riguardo alle parti del contratto di garanzia 32. Nel prosieguo, la decisione ricorda che la nozione di consumatore deve essere valutata alla luce di un criterio funzionale volto ad analizzare se il rapporto contrattuale in esame si collochi al di fuori dell’esercizio di una professione; una valutazione che spetta al giudice nazionale investito della relativa controversia. Anche nel caso di specie, quello di una persona fisica che garantisca l’adempimento delle obbligazioni di una società commerciale, sarà il giudice nazionale a verificare in primo luogo se il garante abbia agito o meno nell’ambito della sua attività professionale, nonché se sussistano indici che lo ricollegano funzionalmente al debitore garantito, oppure al contrario, se il fideiussore abbia agito per scopi di natura privata 33. La conclusione della Corte è che la normativa in materia di clausole abusive nei contratti dei consumatori può trovare applicazione anche a un contratto di fideiussione 34 stipulato tra una persona fisica e una banca per garantire le obbligazioni assunte da una società commerciale, ‘‘quando tale persona fisica ha agito per scopi che esulano dalla sua attività professionale e non ha alcun collegamento di natura funzionale con la suddetta società’’ 35. L’ordinanza in questione, pur riconoscendo l’esistenza di un’innegabile accessorietà che collega i due piani contrattuali, assegna alla garanzia un certo livello di autosufficienza, quanto meno limitatamente alla valutazione autonoma circa la sussistenza della qualità di consumatore; verifica che dovrà infatti avvenire, come sancito chiaramente, con esclusivo riguardo alle parti del contratto di garanzia. Due sono infatti i profili da individuare e distinguere: il primo, relativo all’oggetto del contratto di garanzia, evidenzia la dipendenza funzionale della fideiussione rispetto al rapporto principale; il secondo, relativo invece al profilo soggettivo delle parti contraenti, mostra come il rapporto di garanzia, intercorrente fra fideiussore e creditore, sia ben distinguibile da quello principale, intercorrente fra debitore principale e creditore. Indipendentemente da quale che sia la qualifica soggettiva del debitore principale all’interno del rapporto principale (normalmente un contratto di credito), il fideiussore assumerà una qualità ‘‘propria’’, misurata in riferimento alla vicenda fideiussoria. Non si può negare che una certa propensione ad indagare il contesto di riferimento, in cui il garante agisce, alla luce della ratio e della normativa della cui applicabilità al fideiussore si discute piuttosto che sull’esclusiva considerazione del rapporto garantito, era già emersa in precedenti decisioni della Corte europea stessa 36. La pronuncia in questione adotta quindi una posizione assai netta, volta a prospettare una tutela del fideiussore in chiave consumeristica, in presenza di determinate condizioni. Di certo, dall’ordinanza, forte della sua efficacia che va ben oltre il caso di specie 37, si trae uno spunto significativo - valevole soprattutto per l’ordinamento italiano, il quale manifesta particolare resistenza in proposito - per considerare la possibile diversificazione delle qualifiche soggettive che il fideiussore può assumere all’interno della vicenda economica complessiva in cui si inserisce la prestazione della garanzia 38. Non è dunque escluso, in tale prospettiva, che si possa ipotizzare, anche nel perseguimento dell’armonizzazione del diritto europeo, un’incidenza diretta di tale pronuncia, in ottica conformativa, sulle soluzioni che nel nostro ordinamento in futuro verranno fornite al problema in esame, cosı̀ aderendo a prospettazioni che, in verità, erano già state avanzate, senza che fossero però accolte dalla giurisprudenza di legittimità 39. 32 Molto chiara l’affermazione della Corte: ‘‘È dunque in capo alle parti del contratto di garanzia o di fideiussione che deve essere valutata la qualità in cui queste hanno agito’’, Considerando n. 26. 33 ‘‘Quali l’amministrazione di quest’ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale’’, Considerando n. 29. 34 O anche di garanzia immobiliare: i due casi sono infatti trattati congiuntamente dall’ordinanza. 35 Considerando n. 30. 36 Si tratta dei già citati casi Dietzinger e Berliner Kindl Brauerei. Significativa, inoltre, in tale ottica, anche se rimasta lettera morta, la proposta di direttiva europea sul credito ai consumatori del 2002, COM/2002/443, in G.U.C.E. 2002, C 331 E/200, che provvedeva ad estendere espressamente il relativo ambito di applicazione anche al fideiussore. In proposito, sia consentito rinviare a Vizzoni, op. cit., 200 ss. 37 Riguglio, voce «Pregiudiziale comunitaria», in Enc. giur. Treccani, XXIII, Ed. Enc. it., 1997, 1 ss. Non manca neppure chi ipotizza una vera e propria efficacia ‘‘normativa’’ delle pronunce pregiudiziali: in questi termini cfr. Martinico, Le sentenze interpretative della Corte di giustizia come forme di produzione normativa, in Riv. dir. cost., 2004, 249 ss. 38 Peraltro, l’orientamento espresso dalla Corte giust. UE sembra essere stato già recepito da Trib. Milano, 4.4.2016, in www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/14729.pdf: nel caso di specie, relativo ad una fattispecie di anatocismo bancario, in cui peraltro era dubbia la stessa natura - autonoma o fideiussoria - della garanzia prestata, la pronuncia di merito, senza scandagliare ulteriormente la questione, in maniera forse semplicistica, si limita a sostenere che si deve procedere con l’applicazione delle tutele consumeristiche, ‘‘anche nell’ipotesi di qualificazione della garanzia in termini di contratto autonomo’’, e richiama, in proposito, proprio quanto sancito dall’ordinanza della Corte giust. UE del novembre 2015. 39 Circa il contrasto di posizioni fra Cassazione e ABF, cfr. in parti- 1238 NGCC 9/2016 Sinergie Grafiche srl Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. n Saggi e Aggiornamenti Parte seconda 4. Segue: il limite alla soluzione positiva: il collegamento funzionale con il debitore garantito. Secondo la soluzione adottata da ultimo dalla Corte giust. UE, non ogni fideiussore ‘‘privato’’, che agisca cioè al di fuori dell’esercizio di un’attività professionale, può essere automaticamente trattato alla stregua di un consumatore. La decisione individua infatti, per quanto sinteticamente, un secondo requisito necessario ai fini dell’attribuzione della qualità di consumatore, ossia l’insussistenza di ogni tipo di collegamento di natura funzionale con il debitore-professionista garantito. Tale aspetto chiama in causa un ulteriore profilo, ad esso strettamente connesso, ossia la possibilità che sussista un interesse patrimoniale del garante stesso al rilascio della garanzia: è evidente infatti che laddove sussista suddetto collegamento fra fideiussore e debitore principale, si evidenzierà anche un interesse proprio del garante a rendersi tale. La presenza di un interesse proprio del garante alla conclusione del negozio di garanzia è un fattore che ha esplicato un certo peso nelle decisioni assunte in altri ordinamenti, soprattutto in materia di fideiussioni prestate dal coniuge o familiare del debitore garantito, a condizioni particolarmente gravose 40. Cosı̀, già nella sentenza del Bundesverfassungsgericht 41 più nota al riguardo, la quale - constatata, a carico del contraente-garante, una situazione di ‘‘squilibrio sociale ed economico’’ (‘‘soziales und wirtschaftliches Ungleichgewicht’’) 42, e facendo diretta applicazione dei principi costituzionali (c.d. Drittwirkung) per il tramite delle clausole generali - ebbe l’esito ‘‘clamoroso’’ di sancire la nullità della fideiussione prestata dalla figlia ventunenne e nullatenente del debitore garantito: con colare Rabitti, op. cit., 217 ss., che rigetta una visione antagonistica del rapporto fra giurisprudenza della Corte di legittimità e decisioni dell’Arbitro, proponendo fra i due poli un’interazione costruttiva. 40 Con particolare riguardo all’ordinamento tedesco, v. l’analisi di Nappi, Prestazioni fideiussorie inadeguate alle condizioni patrimoniali del garante: gli interventi del Bundesverfassungsgericht ed un ‘‘distinguo’’ del Bundesgerichtshof, in Id., Studi sulle garanzie personali, Giappichelli, 1997, 115 ss. 41 Si tratta di BVerfG, 19.10.1993, in NJW, 1994, 36 ss., la cui traduzione italiana è pubblicata in questa Rivista, 1995, I, 197 ss., con nota di Barenghi, Una pura formalità. A proposito di limiti e di garanzie dell’autonomia privata in diritto tedesco. Una traduzione italiana della pronuncia, a cura di Di Nella e Favale è pubblicata anche in Rass. dir. civ., 1994, 594 ss., con il commento, di particolare interesse, di Honsell, Fideiussione e corresponsabilità di congiunti privi di reddito e di patrimonio. Sulla sentenza cfr. anche Macario, op. ult. cit., 119 ss.; Calderale, Autonomia contrattuale e garanzie personali, Cacucci, 1999, 110 ss. e, con specifico riguardo ai profili ‘‘familiari’’ della garanzia rovinosa, Catanossi, Le fideiussioni prestate dai prossimi congiunti. Saggio di diritto comparato, Iseg, 2007, 17 ss., Colombi Ciacchi, Le fideiussioni rovinose: un nuovo campo di applicazione delle clausole generali del BGB a tutela della parte debole, in Annuario di Diritto Tedesco 1999, a cura di Patti, Giuffrè, 2000, 161 ss., Favale, La fideiussione prestata dai familiari insolventi nel modello tedesco, in Annali del Dipartimento di Scienze Giuridico-sociali e dell’amministrazione, n. 3/2001, Università del Mo- NGCC 9/2016 ciò, l’elemento della (in)sussistenza di un interesse del garante stesso venne ritenuto determinante 43. Peraltro, vale la pena osservare come tale pronuncia abbia goduto di un’estesa considerazione nell’ordinamento tedesco 44, dove ha dato adito ad un dibattito di più ampio respiro soprattutto per quanto attiene ai profili di compressione dell’autonomia privata insiti nell’estensione del sindacato sul contenuto contrattuale, il c.d. Inhaltskontrolle 45. Da parte di alcuni 46, si è addirittura sostenuto che la decisione avrebbe creato una clausola generale volta a sanzionare con la nullità il contratto integrato da clausole vessatorie a pregiudizio del contraente debole. Non sono mancati rilievi di paternalismo, rivolti alla sentenza, laddove la stessa attribuisce un significato determinante - nella direzione della compressione della libertà di scelta del contraente-garante - a profili quali la giovane età e l’impreparazione del fideiussore stesso, nonché il legame di parentela con il debitore principale 47. Ancora con riguardo al profilo dell’interesse del fideiussore al rilascio della garanzia, nelle sentenze successive, il Bundesgerichtshof ha individuato, nel novero delle circostanze che escludono la contrarietà al buon costume della fideiussione rilasciata - nonostante la presenza della suddetta sproporzione, ed in cui quindi non si giustifica il ricorso alla sanzione della nullità proprio la sussistenza di un giustificato interesse del creditore alla corresponsabilità familiare 48. D’altronde, le stesse pronunce tedesche in materia, pur non giungendo alla stessa soluzione fatta propria dalla Corte giust. UE nel caso di specie, perché tendenzialmente incentrate su aspetti diversi, manifestano un grande rilievo alla luce della decisione in esame, nel punto in cui focalizzano l’attenzione su un elemento lise, ESI, 2002, 207 ss. 42 In particolare, gli elementi della inferiorità del garante e della gravosità delle condizioni contrattuali vengono ricondotti al carattere omnibus della fideiussione, che non indicava quali fossero l’importo massimo garantito, né gli interessi o le spese. Cfr. Honsell, op. cit., 611. 43 Cfr. Catanossi, op. cit., 20-21 ss. 44 V. il commento di Wiedemann, Anmerkung zu BVerfG JZ 1994, 408, in JZ 1994, 411 ss. 45 Isensee, Vertragsfreiheit im Griff der Grundrechte - Inhaltskontrolle von Verträgen am Maßstab der Verfassung, in Festschrift für Bernhard Großfeld zum 65. Geburtstag, Heidelberg, 1999, 485 ss. 46 Cosı̀ Adomeit, Die gestörte Vertragsparität - ein Trugbild, in NJW, 1994, 2467 ss. In senso contrario, Rittner, Die gestörte Vertragsparität und das Bundesverfassungsgericht, in NJW, 1994, 3330 ss., il quale nega che la Corte costituzionale abbia enunciato una siffatta clausola generale. Tuttavia lo stesso a. rileva criticamente come il Bundesverfassungsgericht taccia in merito alle modalità di esercizio della correzione giudiziale del contenuto del contratto di fideiussione. In proposito, cfr. anche Grunsky, Vertragsfreiheit und Kräftegleichgewicht, Berlin-New York, 1995, 10. 47 Cfr., sul punto, Enderlein, Rechtspaternalismus und Vertragsrecht, Sondereinband, 1996, 54 ss. e 141 ss. 48 V. Colombi Ciacchi, op. cit., 174 ss. 1239 Sinergie Grafiche srl n Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Parte seconda Saggi e Aggiornamenti terminati indici, laddove un coniuge/familiare presti fideiussioni in maniera sistematica in favore dell’altro coniuge/familiare, che eserciti un’attività commerciale - è possibile individuare una società occulta che coinvolge garante e garantito, tale che può esserne dichiarato il fallimento, con conseguente coinvolgimento anche del fideiussore nella relativa procedura 51. È evidente che ci si trova dinanzi a situazioni ben diverse da quelle sinora considerate, in cui l’esigenza primaria non è più quella di tutelare il fideiussore, bensı̀ piuttosto quella di garantire la soddisfazione dei creditori. meritevole di particolare interesse, ma ancora scarsamente considerato dalla nostra Cassazione, ossia la situazione ‘‘personale’’ del garante: esse, dunque, valorizzano il profilo soggettivo di questi, all’interno della vicenda economica di riferimento, tratteggiando uno specifico ‘‘statuto fideiussorio’’. In particolare, nelle pronunce straniere viene attribuita rilevanza al legame di parentela sussistente fra fideiussore e debitore garantito, presente anche nel caso deciso dalla Corte di Giustizia, in cui, in effetti, i garanti erano genitori del debitore garantito esercente l’attività imprenditoriale: si tratta di situazioni che, nell’ordinamento tedesco, sono state oggetto di decisione e di discussione con riguardo al profilo della ‘‘rovinosità’’ della garanzia 49; con tale espressione facendo espressivamente riferimento alle fattispecie in cui l’assunzione di una fideiussione particolarmente gravosa è riconducibile essenzialmente al vincolo di coniugio o di parentela esistente fra debitore e garante. Al contrario, la giurisprudenza italiana si è occupata di tale aspetto solo con riguardo ad un profilo molto specifico, facendo derivare dal rapporto di coniugo/parentela che lega garante e garantito proprio l’elemento determinante ai fini dell’esclusione dall’ambito di applicazione delle relative tutele, ossia il collegamento funzionale fra garanzia prestata e professionista garantito, con conseguente emersione di un interesse del fideiussore stesso nella vicenda considerata 50. In tal senso, si è sostenuto che - in presenza di de- Tornando a considerare l’ordinanza del 19.11.2015 della Corte giust. UE e spostando la riflessione sul piano argomentativo, non si può non osservare come la stessa concretizzi una plastica espressione del tanto discusso ed anche osteggiato principio di effettività, caratteristico delle pronunce della Corte di giustizia 52. In primo luogo, appare significativo lo stesso utilizzo della forma dell’ordinanza, in aderenza all’art. 99 del regolamento di procedura della Corte giust. UE, secondo il quale ove la risposta a un quesito pregiudiziale non dia adito a nessun ragionevole dubbio, la Corte, previo rispetto di determinate condizioni procedurali, può statuire in qualsiasi momento con ordinanza motivata 53. 49 In generale, sul contratto di fideiussione nel diritto tedesco cfr. Barillà, Fideiussione «a prima richiesta» e fideiussione «omnibus» nella giurisprudenza del Tribunale federale tedesco, in Banca, borsa, tit. cred., 2005, 337 ss., e Sangiovanni, La fideiussione nel diritto tedesco, in Contratti, 2009, 190 ss. Per un’analisi comparata delle garanzie personali riferita agli ordinamenti tedesco e italiano, v. Demuro, Die persönlichen Kreditsicherheiten im italienischen und deutschen Recht. Eine rechtsvergleichende Untersuchung, Konstanz, 2008. Sul tema specifico delle fideiussioni rovinose nel contesto familiare v. Gerhübner, Ruinöse Bürgschaften als Folge familiärer Verbundenheit, in JZ, 1995, 1086 ss. L’a. si interroga sulla stessa opportunità di consentire le fideiussioni familiari, in considerazione delle pressioni psicologiche che in ambito familiare risultano particolarmente avvertite. All’a. si deve, peraltro, la stessa definizione di ‘‘fideiussioni rovinose’’. Sulla stessa linea, v. anche Teubner, Ein Fall von struktureller Korruption? Die Familienbürgschaft in der Kollision unverträglicher Handlungslogiken, in Kritische Vierteljahresschrift für Gesetzgebung und Rechtswissenschaft, 2000, 83 ss., che considera le ‘‘garanzie familiari’’ come il punto di emersione di un vero e proprio conflitto istituzionale fra la famiglia, contesto animato da spinte solidaristiche, e il mercato, mosso invece da logiche strettamente utilitaristiche. 50 Tale elemento è stato inoltre oggetto di attenta considerazione anche da una parte della dottrina italiana. Secondo Lobuono, op. cit., 100 ss., sopr. 105, il vero elemento determinante nella valutazione circa l’attribuzione al fideiussore della qualifica di consumatore deve essere la sussistenza di un interesse proprio del garante al rilascio della garanzia. Qualora questo sussista, alla causa di garanzia vera e propria si affianca la causa di finanziamento, il che porterebbe, secondo l’autore, ad escludere che il garante possa classificarsi come consumatore. A tale tesi potrebbe però obiettarsi che la causa di finanziamento ben può affian- carsi, tanto più nella complessità dei traffici giuridico-economici contemporanei, alla causa di garanzia, senza che, per ciò solo, si possa individuare un interesse del fideiussore alla prestazione della garanzia stessa. Ciò avviene, emblematicamente, proprio in quelle situazioni in cui è un familiare del debitore principale a garantire quest’ultimo, al fine di fargli ottenere credito, senza però che si evidenzi alcun collegamento del garante con l’attività imprenditoriale del garantito. Sull’affiancamento fra causa di garanzia e causa di finanziamento, nel senso che la fideiussione, intrinsecamente connotata da una causa di garanzia, diviene (anche) strumento imprescindibile di accesso al credito, v. Macario, op. ult. cit., 150. 51 Sulla fideiussione rilasciata dal coniuge (ma lo stesso problema si pone, più in generale, per le garanzie prestate nell’ambito familiare) quale possibile indice dell’esistenza di una società occulta, cfr. Biscontini, in Valentino, Dei Singoli Contratti, nel Commentario Gabrielli, IV, Giuffrè, 2011, sub art. 1936, 409 ss., e sopr. 421 ss.; e Macario, op. ult. cit., 121 ss., Petti, La fideiussione e le garanzie personali del credito, Cedam, 2006, 274 ss. In giurisprudenza cfr., fra le altre, già Cass., 22.2.1957, in Banca, borsa, tit. cred., 1957, 341 ss., con nota di Simonetto, e, più di recente, Cass. 14.2.2001, n. 2095, in Fallimento, 2001, 1230 ss., con nota di Patini, e Cass., 22.2.2008, n. 4529, in Fallimento, 2008, 911 ss., con nota di Barbieri, L’estensione del fallimento del socio occulto o di fatto. 52 Su cui v. le riflessioni di Lipari, Il problema dell’effettività del diritto comunitario, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2009, 887 ss., che definisce, in via generale e preliminare, l’effettività come ‘‘una esistenza giuridica valutata nella concretezza dei comportamenti praticati’’. 53 In generale, sulla rilevanza della soluzione delle questioni pregiudiziali da parte della Corte giust. UE, v. Sorrentino, Principi costituzionali e complessità delle fonti, in La metafora delle fonti e il diritto privato 1240 5. La pronuncia della Corte di giustizia dell’UE nell’ottica del principio di effettività. NGCC 9/2016 Sinergie Grafiche srl Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. n Saggi e Aggiornamenti Parte seconda Peraltro, l’ordinanza si caratterizza, come già accennato, per essere assai breve, concisa e netta nel sostenere le proprie conclusioni; forse persino sbrigativa laddove si tratta di argomentare determinate soluzioni. Essa fa inoltre particolare riferimento alla ratio che supporta ed ispira la disciplina dettata a tutela del consumatore. È assai chiaro che la pronuncia compie un’applicazione dei principi del diritto dell’UE - recepito nella normativa interna - al caso di specie, ricavandone una regola di interpretazione con valore autentico e vincolante, nell’ottica del perseguimento di un obiettivo che appare centrale, ossia l’effettività della tutela, (forse) a discapito dell’argomentazione giuridica sottesa. Con evidenza la Corte procede in un ragionamento per principi, secondo una logica di stampo ‘‘sostanzialistico’’, in vista della garanzia di effettività della tutela della parte coinvolta. Si tratta di affermazioni non prive di implicazioni, che inducono ad una riflessione profonda - in questa sede consentita solo per brevi cenni - relativa, innanzitutto, allo stesso sistema delle fonti. La Corte di Giustizia dell’UE dimostra spesso di prediligere l’atteggiamento meramente ermeneutico a quello strettamente dogmatico 54, in ciò spinta soprattutto dall’esigenza di pervenire all’uniforme applicazione del diritto europeo, ed invoca l’effettività della tutela in situazioni in cui, si è detto in chiave fortemente critica, ‘‘la soluzione adottata nel caso concreto non trova altra soluzione che in se stessa’’ 55. Ma anche le Corti nazionali stanno effettuando un’applicazione diretta e quanto mai ‘‘disinvolta’’ dei principi 56. Basti pensare alle note decisioni con cui la Corte costituzionale si è pronunciata sulla questione di legittimità riguardante l’assenza di una norma sulla riduzione giudiziale della caparra confirmatoria di am- montare eccessivo, e che hanno statuito il potere-dovere del giudice di rilevare e dichiarare, anche d’ufficio, la nullità, totale o parziale, ex art. 1418 cod. civ., della clausola contrattuale che preveda una caparra confirmatoria ‘‘manifestamente eccessiva’’, per contrasto con il con il principio di ‘‘solidarietà sociale’’ di cui all’art. 2 Cost. 57. Il parametro costituzionale fa in tal modo diretto ingresso all’interno del regolamento contrattuale e impone l’applicazione dello strumento del bilanciamento, in relazione alle circostanze del caso concreto, senza passare necessariamente attraverso l’intermediazione della legge 58. Come osservato, anche criticamente, da una simile impostazione il sistema delle fonti esce disgregato, in nome del conseguimento di una giustizia contrattuale intrinseca 59 e lo stesso sistema positivo emerge destrutturato, sostituito da un insieme di principi, norme spesso prive di una fattispecie che esigono un bilanciamento fra valori diversi 60. Ci troviamo innegabilmente di fronte ad un incisivo mutamento della ‘‘giuridicità’’ e dello stesso sistema delle fonti 61; tutto sta nella prospettiva da cui considerarlo. Da un lato vi è chi considera tutto ciò sintomatico di un’inesorabile ‘‘eclissi’’ a cui il diritto civile è ormai condannato; al punto che l’atteggiamento della Corte giust. UE - giudice che non disdegna di jus condere, ancora nell’ottica rimediale del perseguimento di una non meglio precisata tutela effettiva - viene ritenuto il vero e proprio emblema del declino, in grado di far venir meno persino il significato del sintagma ‘‘ordinamento giuridico’’ 62. Dall’altro lato, non manca chi considera il fenomeno piuttosto sul versante del recupero di un certo legame diretto fra diritto e società; il che porta con sé neces- europeo. Giornate di studio per Umberto Breccia, a cura di Navarretta, Giappichelli, 2015, 8. 54 Cosı̀ Castronovo, Eclissi del diritto civile, Giuffrè, 2015, 3. 55 Id., op. cit., 4. 56 Principi, i quali perdono senz’alto il loro limitato significato primigenio, quello cioè di strumento interpretativo utilizzabile solo in caso di lacune e vengono utilizzati per operazioni ermeneutiche - tanto del testo legislativo quanto dello stesso comune sentire - che consentono al giudice di rendersi interprete del tessuto socio-economico, nonché del patrimonio di diritti e di valori della civiltà giuridica. Da strumento ermeneutico con funzione originariamente residuale, i principi generali sono visti come doveroso momento di raccordo fra il diritto ed il suo necessario fondamento di giustizia e equità: in questi termini Lipari, Intorno ai ‘‘principi generali del diritto’’, in Riv. dir. civ., 2016, 28 ss. e 39, che ricostruisce i profondi mutamenti intervenuti nel sistema delle fonti e nella stessa cultura giuridica civilistica, per lungo tempo fortemente condizionata dal modello del positivismo e dai relativi vincoli., evidenziando come sia ormai assodato che l’argomentazione giuridica non si esaurisce in mere operazioni logico-formali, assiologicamente neutrali, bensı̀ coinvolge operazioni valutative e scelte di valore. 57 Si tratta di Corte cost., ord. 13.10.13, n. 248 e ord. 26.3.2014, n. 77, su cui v. le note di Astone, Riduzione della caparra manifestamente eccessiva, tra riqualificazione in termini di ‘‘penale’’ e nullità per violazione del dovere generale di solidarietà e di buona fede, in Giur. cost., 2013, 3770 ss.; D’Amico, Applicazione diretta dei principi costituzionali e nullità della caparra confirmatoria ‘‘eccessiva’’, in Contratti, 2014, 927 ss.; e, anche in ottica comparatistica, con particolare riguardo alle soluzioni conseguite dalla giurisprudenza tedesca, cfr. l’analisi di F.P. Patti, Il controllo giudiziale della caparra confirmatoria, in Riv. dir. civ., 2014, 685 ss. (ma v. anche, dell’a., più ampiamente, La determinazione convenzionale del danno, Jovene, 2015, 400 ss.). 58 Cfr Vettori, Controllo giudiziale del contratto ed effettività delle tutele. Una premessa, in Pers. e merc., 2014, 102. 59 Cfr. D’Amico, op. cit., 927, che pone in luce il pericolo consistente nell’immolare sull’altare della c.d. giustizia del caso concreto regole e principi fondamentali del diritto contrattuale; il che può produrre effetti definiti ‘‘destabilizzanti’’. 60 Cosı̀, ma in chiave non critica, Vettori, Contratto giusto e rimedi effettivi, in Pers. e merc., 2015, 5 ss., specie 11, dove l’a. sostiene che ‘‘L’asse della giuridicità si sposta dall’assolutismo della legge alla centralità dell’interprete’’. 61 Rileva che la fonte perde veste formale, per ‘‘segnare il predominio della sostanza sulla forma’’, Di Majo, Diritto dell’Unione Europea e tutele nazionali, in La metafora delle fonti e il diritto privato europeo, cit., 123. 62 Castronovo, op. cit., 5. NGCC 9/2016 1241 Sinergie Grafiche srl n Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Parte seconda Saggi e Aggiornamenti sariamente l’erosione del predominio legislativo statale, e la differenziazione delle fonti del diritto 63, sul presupposto che le istanze ed i giudizi valoriali non siano privi di fondamento razionale: anzi, questo convincimento errato viene ritenuto un dogma ingiustificato imposto dal positivismo 64. In tale ottica, il declino della post modernità è evidente; si va però oltre il nichilismo stesso per affidarsi piuttosto ad un atteggiamento di stampo realista, che, anche nel diritto, guardi alla dimensione concreta del presente 65. Ed è pur vero che soprattutto il diritto dell’UE spinge verso la ricerca del rimedio effettivo, ma il contesto all’interno di cui ciò deve avvenire è un sistema che si costruisce a partire dal dialogo fra norma e giudici 66. Ne risulta eroso il valore della certezza del diritto 67, che, comunque, anche storicamente non trova il suo unico referente nella legge. Di fronte a tutto ciò, il lavoro del giurista, lungi dal subire interruzioni o limitazioni, piuttosto cambia forma, prosegue, ma con nuovi orizzonti, imposti dalla necessità di compiere una riflessione ‘‘su come applicare diritti, principi e clausole generali in base a fonti giuridiche che diversificano le posizioni soggettive dei privati e inducono a percepire le differenze e la fonte generatrice delle diseguaglianze’’ 68. Tale riflessione dovrà avvenire grazie ad una tecnica argomentativa nuova, ma rigorosa al pari della dogmatica tradizionale 69. Per tornare all’ordinanza in esame, si può affermare che un esame più approfondito di essa svela il suo essere sintomatica di una modalità di ius dicere assai caratteristica delle corti europee, fortemente orientata verso la ricerca di un principio di effettività della tutela, che privilegia l’aspetto assiologico della vicenda, a 63 ss. Vettori, Regole e principi. Un decalogo, in Pers. e merc., 2015, 51 64 Id., Contratto giusto e rimedi effettivi, cit., 15. V. ancora Id., op. ult. cit., 11, secondo cui ‘‘Il giurista è sempre meno appagato da un ossequio al linguaggio e alle procedure per ricercare la verità parziale del proprio tempo, capace di orientare e determinare l’opera dell’interprete, condizionato sempre più da un’oggettività legata ad una dimensione concreta del presente e dell’esserci’’. 66 In proposito, con particolare riguardo al ruolo della giurisprudenza, anche nell’ottica di una crescente convergenza degli ordinamenti di civil law e di quelli di common law, v. S. Patti, L’interpretazione, il ruolo della giurisprudenza e le fonti del diritto privato, in La metafora delle fonti e il diritto privato europeo, cit., 163 (anche in Foro it., 2014, IV, 114 ss.). 67 Sul cui valore e i relativi punti di ‘‘rottura’’, fra cui, in primis, il diritto dell’UE, v. l’accurata analisi di. Lipari, I civilisti e la certezza del diritto, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2015, 1115 ss. 68 Cosı̀ ancora Vettori, op. ult. cit., 11. 69 Lo stesso a., in più di uno scritto (cfr. sopr. Regole e principi. Un decalogo, cit., 56, ma anche Contratto giusto e rimedi effettivi, cit., 11 ss.) individua precisi ‘‘antidoti’’ contro il rischio di fare abuso dei principi. Tra questi, in primo luogo il fatto e l’argomentazione - nel senso che la ricostruzione puntuale della fattispecie dovrà indicare subito i termini entro cui si articola la conseguente risposta al problema della vita e sarà la tecnica argomentativa a dare conto di come dovranno essere impiegate le regole e i principi - ma anche la distinzione fra due piani spesso 65 1242 discapito dell’intermediazione legislativa, nonché forse della stessa argomentazione giuridica 70. In effetti, soprattutto nella parte della decisione fondamentale ai fini della risoluzione del caso - in cui si distingue fra rapporto principale e rapporto di garanzia, il profilo relativo all’accessorietà del secondo rispetto al primo viene scarsamente considerato, e quasi ‘‘messo da parte’’ ai fini che qui interessano. Le implicazioni giuridiche dell’accessorietà risultano, in effetti, quanto meno tralasciate. Eppure, proprio tale aspetto rappresenta il fulcro argomentativo delle decisioni che la Cassazione ha finora fornito sul punto, sebbene non manchino, sul punto, altre pronunce della stessa Corte di legittimità che limitano l’operatività della regola di accessorietà della garanzia, dimostrando che non di un principio assoluto si tratta 71. Invero, quanto osservato con riguardo al principio di effettività non significa comunque che la soluzione, sostenuta dalla Corte nel caso di specie - per quanto insufficientemente motivata - non abbia un fondamento scientifico solido. Non a caso tale prospettazione non è nuova né alle pronunce giurisdizionali di altri paesi, né allo stesso panorama italiano, in cui pur tuttavia risulta ancora minoritaria. 6. Da ultimo: una possibile svolta della Cassazione? Una recentissima sentenza dei giudici di legittimità sembra muoversi in direzione opposta rispetto alla salda adesione all’assorbente principio di accessorietà della garanzia, manifestando un’apertura decisamente maggiore in proposito, che forse segna una vera e propria svolta giurisprudenziale 72. confusi: quello del diritto ad un ricorso effettivo, inteso quale possibilità di agire, attivando una tutela giurisdizionale effettiva, e quello del diritto ad rimedio effettivo, che consente di ottenere nel processo tutte le tutele che consentano la piena soddisfazione del diritto azionato. 70 Nella decisione sembra cioè emergere con evidenza quella confusione e sovrapposizione fra diritti fondamentali e principi generali, denunziata da Alpa, I ‘‘principi fondamentali’’ e l’armonizzazione del diritto contrattuale europeo, in Contr. e impr., 2013, 825 ss., il quale osserva proprio come la Corte di giustizia dell’UE tenda, nelle proprie decisioni, a utilizzare i diritti fondamentali quali principi generali di diritto contrattuale. Cfr. sopr. 834 ss. 71 Cosı̀, di recente, Cass., sez. un., 5.12.2011, n. 25934, il cui testo è reperibile all’indirizzo www.neldiritto.it/appgiurisprudenza.asp?id=7224#.VK5aESuG98E, cosı̀ massimata: ‘‘Pur se fra loro collegate, l’obbligazione principale e quella fideiussoria mantengono una propria individualità sia oggettiva che soggettiva, con la conseguenza che la disciplina della prima non può refluire sulla seconda, per la quale continuano perciò a valere le normali regole, comprese quelle sulla giurisdizione’’. In precedenza, le sezioni unite si erano già pronunciate in tal senso con Cass., sez. un., 5.2.2008, n. 2655. Per un’analisi dei contenuti della pronuncia cfr. Gianniti-Bonamassa-Grande (a cura di), Sentenze scelte in materia civile e penale. Aggiornamento 2008, Utet, 2008, 77 ss. 72 Si tratta di Cass., 1º.2.2016, n. 1869, in Giur. it., 2016, 817 ss., con nota di Capoccetti, La nozione di ‘‘consumatore’’ nella disciplina NGCC 9/2016 Sinergie Grafiche srl Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. n Saggi e Aggiornamenti Parte seconda In tale occasione, la Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi sui requisiti necessari ai fini dell’accesso alla procedura in favore del ‘‘debitore civile’’ sovraindebitato, introdotta dalla l. 27.1.2012, n. 3 73. Il relativo ricorso viene ritenuto inammissibile per la genericità delle contestazioni con esso avanzate, nonché perché rivolto a censurare una pronuncia priva di carattere decisorio. Eppure, il Collegio ha ritenuto che la questione giustificasse, per la sua particolare importanza, l’enunciazione ai sensi dell’art. 363, comma 3º, cod. proc. civ. del principio di diritto circa la delimitazione della nozione di consumatore, rilevante al fine dell’accesso ai benefici di cui alla l. n. 3/2012. Nonostante il carattere sintetico, ed in alcuni passaggi quasi ermetico, la pronuncia della Cassazione che è senz’altro destinata a suscitare ampio dibattito in tema di legittimazione all’accesso alle procedure di esdebitazione in favore del debitore civile - presenta, al fine che qui interessa, un carattere particolarmente significativo laddove osserva come, ai fini dell’attribuzione della qualifica di consumatore, meritino di essere considerate anche ‘‘le esigenze personali o familiari o della più ampia sfera attinente agli impegni derivanti dall’estrinsecazione della propria personalità sociale’’. Viene posta dunque particolare enfasi sul piano soggettivo della vicenda, in linea, d’altronde, con le suggestioni provenienti dal contesto europeo, e, da ultimo, proprio dalla recente ordinanza della Corte giust. UE esaminata. La sentenza della Cassazione si dimostra inoltre di particolare interesse laddove, nel definire ulteriormente la nozione di consumatore, aggiunge altresı̀ che i ‘‘suddetti impegni’’ possono essere ‘‘anche a favore di ter- zi’’, purché ‘‘senza riflessi diretti in un’attività d’impresa o professionale propria’’. Con tale significativo inciso, la Suprema Corte sembra aprire l’accesso alla procedura di esdebitazione anche per i debiti derivanti da impegni presi a favore di terzi, quali proprio le fideiussioni, purché essi non producano riflessi su una propria attività d’impresa, andando di contrario avviso rispetto alla giurisprudenza di merito, che aveva finora fermamente negato tale possibilità 74. In sostanza, la sentenza sembra per la prima volta includere nella nozione di consumatore, essenziale ai fini dell’applicazione della disciplina in questione, anche il fideiussore che agisca quale ‘‘privato’’, cioè in assenza di ogni collegamento con l’attività professionale eventualmente svolta. La portata di tale decisione, resa in materia di sovraindebitamento, è in realtà ben più ampia perché incide sulla stessa delimitazione della nozione di consumatore, ed apre nuovi scenari per la configurazione a pieno titolo di un garante-consumatore. Non è escluso, pertanto, che l’impostazione accolta dalla pronuncia possa provocare un allineamento più deciso della giurisprudenza nazionale a quella della Corte di giustizia europea, lungo il percorso dell’attenuazione del peso (finora ritenuto determinante) del carattere accessorio della garanzia, per favorire - in un’ottica più pragmatica, benché accompagnata dalle dovute cautele - un’indagine rivolta al profilo ‘‘personalista’’ del soggetto sulla cui qualifica ci si interroghi, con particolare attenzione alla vicenda economica complessivamente considerata. della crisi da sovraindebitamento; e in Fallimento, 2016, 405 ss., con commento di Ferro, Accesso di professionisti e imprenditori al piano del consumatore. 73 In proposito, v. Pellecchia, Dall’insolvenza al sovraindebitamento: interesse del debitore alla liberazione e ristrutturazione dei debiti, Giappichelli, 2012; Di Marzio-Macario-Terranova (a cura di), Composizione della crisi da sovraindebitamento: in vigore dal 29 febbraio 2012, Hoepli, 2012; Cerini, Sovraindebitamento e consumer bankruptcy: tra punizione e perdono, Giuffrè, 2012. 74 Cfr. Trib. Bergamo, decr. 12.12.2014, in www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/11822.pdf, secondo il quale la qualità del debitore principale attrae quella del fideiussore, e non può quindi essere ammesso alla procedura del sovraindebitamento il soggetto gravato da obbligazioni derivanti anche dalle garanzie personali prestate nell’interesse di una società esercente attività di impresa. Sulla stessa linea, Trib. Milano, ord. 16.5.2015, in www.ilcaso.it/ giurisprudenza/archivio/13047.pdf, secondo cui la verifica circa la sussistenza del requisito di cui all’art. 6 l. n. 3/2012 - ossia la qualifica di consumatore del soggetto che chiede di essere ammesso alla procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento - deve essere effettuata intendendo in senso stretto e rigoroso il rapporto di funzionalità al privato consumo delle obbligazioni contratte. In particolare, l’obbligazione fideiussoria contratta dal socio unico e amministratore unico per assicurare finanziamenti alla relativa società non viene considerata attinente alla sfera personale e familiare del soggetto, il quale non può quindi qualificarsi come consumatore ai fini dell’accesso alla procedura. NGCC 9/2016 1243 Sinergie Grafiche srl n Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Parte seconda Saggi e Aggiornamenti La giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea in tema di rilievo officioso dell’abusività di una clausola contrattuale e le sue ricadute sul piano interno di Nicola Rumine* SOMMARIO: 1. I precedenti della Corte di giustizia in punto di rilievo officioso dell’abusività di una clausola contrattuale nei contratti del consumatore. - 2. Una recente pronuncia della Corte di giustizia, 16.2.2016, causa 49/14, c.d. Zambrano. - 3. Il dialogo con la giurisprudenza nazionale e i profili di contrasto. - 4. Segue: i limiti di ammissibilità delle c.d. nullità di protezione virtuale. Una recente sentenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea (Corte giust. UE, 16.2.2016, causa C-49/14, c.d. Zambrano), apportando significative novità al dibattito giurisprudenziale sorto intorno al rilievo officioso del carattere abusivo di una clausola nei contratti del consumatore 1, offre l’occasione per ripercorrere le tappe principali di tale dibattito 2 e, in secondo luogo, per esaminare il suo grado di penetrazione nell’ordinamento interno ed individuare alcune possibili linee di approfondimento per l’operatore. La pronuncia, che si segnala nella parte in cui la Corte afferma per la prima volta la necessità di derogare al principio dell’intangibilità del giudicato in nome dell’esigenza del rilievo d’ufficio di una clausola abusiva 3, costituisce infatti l’ultima tappa di un percorso giurisprudenziale a sua volta articolato e per varie ragioni innovativo rispetto ai principi e alle regole del diritto interno, sia di carattere sostanziale che processuale. In premessa è utile segnalare che i parametri normativi utilizzati nei citati arresti sono costituiti dall’art. 6 della direttiva n. 93/13 CEE del Consiglio 4, del 5 aprile 1993, a mente del quale le clausole abusive non vincolano il consumatore alle condizioni stabilite dalle legislazioni nazionali, e dall’art. 7 della medesima direttiva 5, secondo cui gli Stati membri sono chiamati * Contributo pubblicato in base a referee. 1 Per introdursi al tema del rilievo d’ufficio e, più in generale, delle nullità di protezione: Di Majo, Il contratto in generale, nel Trattato Bessone, VII, Utet, 2002, 127 ss.; Roppo, Il contratto, nel Trattato Iudica-Zatti, Giuffrè, 2011, 705 ss.; Mantovani, I rimedi, nel Trattato del contratto Roppo, II, Giuffrè, 2006, 1 ss. 2 Per una rassegna delle sentenze della Corte di giustizia in tema di rilievo officioso e per un esame delle relative criticità, anche nel confronto con la giurisprudenza nazionale: Girolami, Le nullità dell’art. 127 t.u.b. (con l’obiter delle Sezioni unite 2014), in Banca, borsa, tit. cred., 2015, 172 ss.; Alessi, Nullità di protezione e poteri del giudice tra Corte di giustizia e sezioni unite della Corte di Cassazione, in Eur. e dir. priv., 2014,1141 ss.; Della Negra, Il controllo d’ufficio sul significativo squilibrio nella giurisprudenza europea, in Pers. e merc., 2014, 71 ss.; Valle, La nullità delle clausole vessatorie: le pronunce della Corte di giustizia dell’Unione europea e il confronto con le altre nullità di protezione, in Contr. e impr., 2011, 1366 ss.; Prisco, Il rilievo d’ufficio delle nullità tra certezza del diritto ed effettività della tutela, in Rass. dir. civ., 2010, 1227 ss. Ulteriori riferimenti bibliografici circa la suddetta giurisprudenza in Carrano, Clausole vessatorie e rilevabilità d’ufficio delle nullità di protezione, in questa Rivista, 2014, II, 727 ss., De Hippolytis-Palmieri, In tema di clausole abusive nei contratti dei consumatori, in Foro it., 2014, I, 40 ss.; De Hippolytis, Sui poteri del giudice in tema di clausole abusive di un contratto, in Foro it., 2013, IV, 202 ss. 3 Sul rapporto col principio di giudicato, ripercorrendo la giurisprudenza della Corte di giustizia, si veda per tutti Lo Schiavo, La Corte di giustizia ridimensiona progressivamente il principio nazionale di cosa giudicata, in Riv. it. dir. pubbl. comun., 2010, I, 287 ss. 4 Art. 6, § 1º: ‘‘Gli Stati membri prevedono che le clausole abusive contenute in un contratto stipulato tra il consumatore e un professionista non vincolano il consumatore, alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionali e che il contratto resti vincolante per le parti secondo i medesimi termini, sempre che esso possa sussistere senza le clausole abusive’’. 5 Art. 7, § 1º: ‘‘Gli Stati membri, nell’interesse dei consumatori e dei 1. I precedenti della Corte di giustizia in punto di rilievo officioso dell’abusività di una clausola contrattuale nei contratti del consumatore. 1244 NGCC 9/2016 Sinergie Grafiche srl Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. n Saggi e Aggiornamenti Parte seconda ad adottare mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione delle clausole abusive tra professionisti e consumatori. Si è soliti ricondurre l’avvio del filone giurisprudenziale in esame alla sentenza c.d. Océano Grupo Editorial SA (Corte giust. CE, 27.6.2000, cause da C-240/98 a C-244/98) 6, ove la Corte afferma per la prima volta, con riferimento alla clausola che aveva stabilito un foro di competenza esclusiva a favore del professionista, che a fronte del citato art. 6 il principio di effettività attribuisce al giudice la facoltà del rilievo officioso dell’abusività. Com’è noto il principio di effettività, insieme a quello di equivalenza, è ritenuto limite alla libertà procedurale degli Stati membri e comporta il dovere di questi ultimi di non rendere impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio di un diritto attribuito dalla normativa dell’Unione; la relativa valutazione va però compiuta tenendo conto di altre esigenze e valori processuali, in particolare i principi fondamentali della tutela del diritto di difesa, della certezza del diritto e del rispetto del contraddittorio. L’intervento di un terzo sarebbe dunque imposto dal principio di effettività, quale unico strumento che permette di riequilibrare il rapporto contrattuale, in considerazione della situazione di debolezza in cui versa il consumatore, apprezzabile sia sotto il profilo delle informazioni, sia per quanto concerne il potere nelle trattative. Infatti il consumatore, in virtù di tale situazione, ad esempio per il fatto di ignorare la portata dei suoi diritti, ma anche per evitare di sostenere i costi della lite, potrebbe non far valere l’abusività di fronte a un giudice. La Corte, in definitiva, intende affermare che, essendo l’intera direttiva posta a protezione di una parte debole, risulterebbe contraddittorio non agevolare il rilievo d’ufficio, lasciando l’iniziativa alla parte debole stessa 7. Il mezzo è inoltre giudicato coerente con l’art. 7, producendo un effetto dissuasivo simile a quello delle azioni collettive inibitorie. I principi appena visti sono confermati, con identica motivazione, nella successiva pronuncia c.d. Cofidis (Corte giust. CE, 21.11.2002, causa C-473/00) 8, in cui la Corte era stata chiamata ad esaminare la clausola contrattuale che impediva al consumatore di rilevare la vessatorietà di una clausola decorso il termine di due anni dalla conclusione del contratto. Profili di novità sono invece presenti nella sentenza c.d. Mostaza Claro (Corte giust. CE, 26.10.2006, causa C-168/05) 9, ove la Corte, a fronte del dubbio sollevato dal rimettente circa la possibilità di effettuare il rilievo in sede di impugnazione del lodo arbitrale, all’interno del quale il consumatore non aveva peraltro prospettato alcuna questione in punto di abusività, pare per la prima volta affermare l’obbligo - dunque non più la sola facoltà - della rilevazione d’ufficio. Ulteriore motivo di interesse è dato dal fatto che l’art. 6 della direttiva è qualificato come norma di ordine pubblico, cui aveva fatto riferimento anche l’Avvocato generale nelle conclusioni della sentenza c.d. Océano discorrendo, precisamente, di ordine pubblico economico. Nella sentenza c.d. Pannon (Corte giust. CE, 4.6.2009, causa C-243/08) 10, dando seguito all’arresto appena visto, si afferma chiaramente che il giudice nazionale ha l’obbligo di rilevare l’abusività di una clausola ed è infatti la pronuncia cui generalmente si attribuisce la paternità dell’affermazione. Tale obbligo, si aggiunge, sussiste a partire dal momento in cui il giudice dispone degli elementi necessari, pur non chiarendosi se questi possa, a tal fine, azionare i poteri officiosi. Si precisa, infine, che a mente dell’art. 6 la clausola abusiva sopravvive nel caso in cui il consumatore manifesti una volontà contraria alla caducazione. Con la sentenza c.d. Asturcom (Corte giust. CE, 6.10.2009, causa C-40/08) 11 si stabilisce un livello ancora più elevato di tutela, concludendosi, con riferimento alla clausola attributiva della competenza a un collegio arbitrale, che il predetto obbligo sussiste anche concorrenti professionali provvedono a fornire mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e dei consumatori’’. 6 In Eur. e dir. priv., 2000, 1173 ss., con nota di Orestano, Rilevabilità d’ufficio della vessatorietà delle clausole. 7 Questa la formula che compare ormai tralaticiamente nelle motivazioni della Corte, presente anche nella sentenza c.d. Océano, al § 25º: ‘‘(...) si deve ricordare che il sistema di tutela istituito dalla direttiva è fondato sull’idea che il consumatore si trovi in situazione di inferiorità rispetto al professionista per quanto riguarda sia il potere nelle trattative sia il grado di informazione, situazione che lo induce ad aderire alle condizioni predisposte dal professionista, senza poter incidere sul contenuto delle stesse. L’obiettivo perseguito dall’art. 6 della direttiva, che obbliga gli Stati membri a prevedere che le clausole vessatorie non vincolino i consumatori, non potrebbe essere conseguito se questi ultimi fossero tenuti a eccepire essi stessi la illiceità di tali clausole’’. Circa l’evoluzione della nozione di consumatore nella giurisprudenza europea, si veda Della Negra, Il diritto del consumatore ed i consumatori nel quadro giuridico europeo. Alcuni spunti di riflessione sui recenti orientamenti della Corte di giustizia, in Pers. e merc., 2013, 309 ss. 8 In Foro it., 2003, IV, 16. 9 In Danno e resp., 2007, 875 ss., con nota di Pastorelli, Rilevabilità della nullità della clausola compromissoria in sede di impugnazione del lodo. 10 In Contratti, 2009, 1115 ss., commentata da Monticelli, La rilevabilità d’ufficio condizionata delle nullità di protezione: il nuovo ‘‘atto’’ della Corte di giustizia. Si riporta il passaggio di maggior interesse: ‘‘(...) il ruolo cosı̀ attribuito al giudice nazionale dal diritto comunitario nell’ambito di cui trattasi non si limita alla semplice facoltà di pronunciarsi sull’eventuale natura abusiva di una clausola contrattuale, bensı̀ comporta parimenti l’obbligo di esaminare d’ufficio tale questione, a partire dal momento in cui dispone degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine, incluso il caso in cui deve pronunciarsi sulla propria competenza territoriale’’. 11 In Corr. giur., 2010, II, 170 ss., con nota di Lo Schiavo, op. cit., 287 ss. NGCC 9/2016 1245 Sinergie Grafiche srl n Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Parte seconda Saggi e Aggiornamenti in fase di esecuzione del giudicato. Si ritiene violato il principio di equivalenza, sulla base della considerazione che l’ordinamento spagnolo permette di superare il giudicato qualora siano state violate norme di ordine pubblico. Il principio di equivalenza, come già osservato, costituisce il secondo limite alla libertà procedurale degli Stati ed impone infatti di non realizzare discriminazioni nell’applicazione delle norme di diritto interno rispetto a quelle europee del medesimo rango. In definitiva il riferimento all’ordine pubblico permette di rafforzare l’idea che il rilievo d’ufficio non è solo un presidio del consumatore, ma è anche posto a tutela di interessi generali. Medesima conclusione si rinviene nella successiva ordinanza c.d. Pohotovost (Corte giust. UE, 16.11.2010, causa C-76/10) 12. Una delle affermazioni più discusse, per i problemi che suscita negli ordinamenti nazionali con riferimento al principio dispositivo, è quella contenuta nella pronuncia relativa al caso c.d. Penzugyi (Corte giust. UE, 9.12.2010, causa C-137/08) 13, in cui la Corte sostiene, superando i dubbi lasciati aperti dalla sentenza c.d. Pannon, che il giudice è tenuto ad adottare misure istruttorie d’ufficio per accertare che la clausola, nel caso di specie attributiva di un foro esclusivo, rientri nell’ambito di applicazione della direttiva e quindi, secondo quanto chiarito dalla Corte stessa, se essa sia stata o meno oggetto di trattativa. La soluzione, che non si segnala per una motivazione articolata, pare supportata dal mero riferimento all’art. 6 e dalla funzione, che attraverso di esso si persegue, di riequilibrare il rapporto contrattuale. In tempi recenti la sentenza c.d. Banco Español de Crédito (Corte giust. UE, 14.6.2012, causa C-618/ 10) 14 ha esteso l’obbligo di rilevazione anche al procedimento ingiuntivo, con riferimento a un caso giudiziario in cui la competenza ad emanare il relativo decreto era ancora affidata a un giudice. In proposito è d’interesse segnalare le vibranti critiche mosse dall’Avvocato generale all’estensione dei principi espressi dalla giurisprudenza pregressa, in particolare dalla sentenza c.d. Penzugyi, a tale procedimento, che risponde invece a esigenze di speditezza. La sentenza si sofferma inoltre, per la prima volta, sulla possibilità di integrare il contratto in seguito alla dichiarazione di abusività e fornisce una risposta recisamente negativa, spinta a tale conclusione sia dalla lettera degli artt. 6 e 7, sia dallo scopo della direttiva (si veda anche il considerando 21 15). D’altra parte il profes- sionista, come è stato efficacemente notato, potrebbe addirittura ‘‘tentare la fortuna’’, sperando che un giudice intervenga in modo a lui comunque favorevole. Gli effetti della conclusione del contratto sono esaminati dalla Corte di giustizia anche nella sentenza c.d. Perenicova (Corte giust. UE, 15.3.2012, causa C453/10) 16, ove si osserva che la decisione giudiziale circa il mantenimento in vita del contratto deve essere condotta alla stregua di una valutazione obiettiva, che tenga cioè in considerazione non soltanto gli interessi dei consumatori, imponendo tale conclusione esigenze di certezza dei traffici. Ciò, comunque, non impedisce agli Stati di garantire un livello più elevato di tutela per il consumatore e quindi anche di prevedere la caducazione dell’intero contratto. Mentre la distinzione tra rilievo e dichiarazione dell’abusività non risultava chiaramente tracciata nella giurisprudenza precedente, si deve alla pronuncia c.d. Banif Plus Bank (Corte giust. UE, 21.2.2013, causa C-472/11) 17 la precisazione che il giudice, in ossequio al principio di contraddittorio, è tenuto a informare le parti dell’esistenza di una clausola abusiva prima di dichiararla. Il giudice, peraltro, è abilitato alla dichiarazione anche in assenza di una domanda del consumatore, dovendo in definitiva ritenersi il silenzio del consumatore equivalente al tacito assenso. L’importanza del principio del contraddittorio, come l’impossibilità di integrazione del contratto, anche soltanto per mezzo di norme dispositive, sono ribadite dalle sentenze cc.dd. Asbeek Brusse (Corte giust. UE, 30.5.2013, causa C-488/11) 18 e Joros (Corte giust. UE, 30.5.2013, causa C-397/11) 19. Per concludere il percorso giurisprudenziale occorre infine osservare che nella sentenza c.d. Aziz (Corte giust. UE, 14.3.2013, causa C-415/11) 20 si dichiara che la direttiva comunitaria osta a una normativa nazionale che non permette al giudice del merito che sia investito della questione dell’abusività di una clausola, nel caso di contemporanea pendenza di un procedimento di esecuzione, di adottare misure provvisorie per garantire l’efficacia della sua decisione. 12 In Obbl. e contr., 2011, 227 ss., con nota di Pagliantini, L’interpretazione più favorevole per il consumatore ed i poteri del giudice, in Riv. dir. civ., 2012, 291 ss. 13 In Contratti, 2011, 113 ss., con nota di Patti, Oltre il caso Pannon: poteri istruttori del giudice. 14 Ivi, 2013, 16 ss., con nota di D’Adda, Giurisprudenza comunitaria e ‘‘massimo effetto utile’’ per il consumatore: nullità (parziale) necessaria della clausola abusiva e integrazione del contratto. 15 Considerando 21: ‘‘(...) se (...) tali clausole figurano in detti contratti, esse non vincoleranno il consumatore, e il contratto resta vincolante per le parti secondo le stesse condizioni, qualora possa sussistere anche senza le clausole abusive’’. 16 In Foro it., 2013, IV, 171 ss. Cfr. in proposito Pagliantini, L’interpretazione più favorevole, cit., 291 ss. 17 Ivi, 2014, IV, 5 ss. 18 Ibidem, 3 ss. 19 Ibidem, 3 ss. 20 Ibidem, 5 ss. 1246 2. Una recente pronuncia della Corte di giustizia, 16.2.2016, causa 49/14, c.d. Zambrano. È in questo contesto che si inserisce dunque la sentenza c.d. Zambrano, la cui novità, come già detto, è NGCC 9/2016 Sinergie Grafiche srl Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. n Saggi e Aggiornamenti Parte seconda costituita dall’affermazione secondo cui al giudice nazionale è imposto il rilievo dell’abusività anche in sede esecutiva. Per quanto riguarda, innanzitutto, i fatti che hanno occasionato il procedimento pregiudiziale, una società di finanziamento aveva agito giudizialmente per il recupero del credito nascente da un contratto di mutuo, poi risolto a causa del prolungato inadempimento del consumatore. La Corte di giustizia era stata dunque interrogata circa la compatibilità del divieto di rilevare l’abusività di una clausola contrattuale (dal contesto della sentenza si evince che la clausola sospettata di vessatorietà concerneva gli interessi) in fase esecutiva, anche se successiva al procedimento monitorio, che una modifica al codice di procedura spagnolo aveva riservato al Secretario Judicial, ausiliario paragonabile al cancelliere, precludendogli di chiedere l’intervento del giudice al di fuori del caso in cui ritenesse non corretto l’importo richiesto dall’istante. Il giudice rimettente, per quel che più rileva, aveva inoltre prospettato il contrasto rispetto al divieto incombente sul Secretario (contrasto rilevato, pur incidentalmente, anche dall’Avvocato generale), ma la Corte ritiene di dover reinterpretare la domanda in modo tale che il divieto di rilievo in sede esecutiva sia valutato ‘‘tenuto conto’’ della fase giudiziale precedente. Un dubbio interpretativo era stato infine posto rispetto all’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali 21: la Corte afferma di non potersi pronunciare in mancanza di elementi utili e non offre dunque chiarimenti circa i rapporti con i principi di effettività e di equivalenza 22. Giungendo al punto di maggior interesse, l’impostazione della Corte, del tutto coerente con i precedenti, è estremamente pragmatica 23 e a dispetto delle dichiarazioni formali rivela una scarsa propensione a scendere a patti con le disposizioni processuali, anche fondamentali, dei singoli Paesi membri; si è al proposito autorevolmente notato che la Corte di giustizia non conosce concetti, ma politiche 24. Il pragmatismo della Corte si palesa dunque, di nuovo, nel riferimento al principio di effettività: l’art. 6 della direttiva, nella parte in cui stabilisce che le clausole abusive non vincolano il consumatore, imponendo il rilievo giudiziale della clausola abusiva, determina anche la necessità di superare il principio del giudicato (e il connesso principio di certezza del diritto), che la Corte aveva però a più riprese individuato come patrimonio degli Stati membri, ma anche dell’Unione. Nel caso c.d. Asturcom, al contrario, la Corte aveva invocato il principio di equivalenza, anche se, è appena il caso di aggiungere, non aveva espressamente escluso la violazione del principio di effettività. Ai paragrafi da 43º a 45º, in particolare, la Corte spiega le ragioni del contrasto e offre l’occasione di evidenziare ulteriormente il pragmatismo che ispira le sue decisioni: ‘‘(...) per quanto riguarda il principio di effettività, la Corte ha ribadito più volte che ciascun caso in cui si pone la questione se una disposizione processuale nazionale renda impossibile o eccessivamente difficile l’applicazione del diritto dell’Unione dev’essere esaminato tenendo conto del ruolo di detta disposizione nell’insieme del procedimento, dello svolgimento e delle peculiarità dello stesso, dinanzi ai vari organi giurisdizionali nazionali (...). Sotto tale profilo, si devono considerare, se necessario, i principi che sono alla base del sistema giurisdizionale nazionale, quali la tutela dei diritti di difesa, il principio della certezza del diritto e il regolare svolgimento del procedimento (...). Nella fattispecie, occorre osservare che lo svolgimento e le peculiarità d’ingiunzione di pagamento spagnolo sono tali che, in assenza di circostanza che comportino l’intervento del giudice, (...) tale procedimento è chiuso senza possibilità che venga eseguito un controllo dell’esistenza di clausole abusive in un contratto stipulato tra un professionista e un consumatore. Se, pertanto, il giudice investito dell’esecuzione dell’ingiunzione di pagamento non è competente a valutare d’ufficio l’esistenza di tali clausole, il consumatore, di fronte a un titolo esecutivo, potrebbe trovarsi nella situazione di non poter beneficiare, in nessuna fase del procedimento, della garanzia che venga compiuta una tale valutazione. Orbene, alla luce di quanto considerato, occorre constatare che un simile regime processuale è tale da compromettere l’effettività della tutela voluta dalla direttiva 93/13’’. Occorre a questo punto domandarsi quali siano le reali motivazioni che hanno spinto la Corte a rivedere 21 L’art. 47, § 1º, cosı̀ recita: ‘‘Ogni individuo i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, nel rispetto delle condizioni previste nel presente articolo’’. 22 Si vedano intanto le conclusioni dell’Avvocato generale, paragrafi da 89º a 91º: ‘‘A tale riguardo, benché io sia giunto alla conclusione che la direttiva 93/13 e il principio di effettività ostano alle norme nazionali in questione, una siffatta conclusione non può, a mio avviso, essere tratta dal solo articolo 47 della Carta. Tale divergenza si spiega con il fatto che il livello della tutela giurisdizionale dei diritti che i consumatori attingono dalla direttiva 93/13 è più ampio di quello che deriva, per qualsiasi parte di una controversia civile che coinvolge il diritto dell’Unione, dall’articolo 47 della Carta. Infatti, come rileva correttamente la Commissione, l’articolo 47 della Carta non osta, in generale, a che alcune decisioni rientranti nell’esercizio della funzione giurisdizionale siamo emesse da un organo non giurisdizionale, purché esse possano formare oggetto a posteriori di un controllo giurisdizionale’’. 23 In proposito utili riferimenti in Tesauro, Alcune riflessioni sul ruolo della Corte di giustizia nell’evoluzione dell’Unione europea, in Dir. un. eur., 2013, 483 ss. e, soprattutto, in Trocker, Il diritto processuale europeo e le ‘‘tecniche’’ della sua formazione: l’opera della Corte di giustizia, in Eur. e dir. priv., 2010, 361 ss. 24 Gentili, La ‘‘nullità di protezione’’, in Eur. e dir. priv., 2011, 77 ss. NGCC 9/2016 1247 Sinergie Grafiche srl n Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Parte seconda Saggi e Aggiornamenti la propria giurisprudenza e se, conseguentemente, essa possa trovare applicazione al di là della situazione particolare che l’ha determinata. Risulta innanzitutto rilevante che nella pronuncia sia stata data continuità all’affermazione che il consumatore è parte debole anche in termini processuali e dunque soggetto al quale è necessario offrire supporto: per la Corte non è sufficiente che al consumatore sia data la possibilità di proporre opposizione, potendo questi essere scoraggiato da una pluralità di circostanze, non ultima l’ignoranza dei propri diritti. Rilievo centrale, non sempre enfatizzato dalla Corte, va poi attribuito anche al coinvolgimento di interessi generali dell’Unione. D’altronde, se si esaminano i considerando della direttiva, in particolare 2 25, 5 26 e 6 27, si evince che scopo della stessa è prima di tutto quello di evitare distorsioni della concorrenza e di facilitare le contrattazioni del consumatore negli altri Paesi membri, che in mancanza di una legislazione comune sulle clausole abusive sarebbe fortemente scoraggiata. Dalla direttiva, in particolare, si desume l’idea che il mercato dell’Unione potrà divenire realmente unico soltanto quando il consumatore sarà consapevole che non sussistono taluni ostacoli relativamente alle contrattazioni realizzate al di fuori dei confini nazionali. Solo in seconda istanza è indicata l’esigenza di tutela del consumatore. Interessi generali al fianco di quelli particolari, comunque, secondo uno schema motivazionale già sperimentato. Un ruolo ugualmente significativo paiono poi svolgere le peculiarità del caso concreto e l’esigenza di offrire una risposta utile al giudice rimettente, tra l’altro già sottolineata dall’Avvocato generale. Secondo quest’ultimo, che lamentava criticità corrispondenti, tra l’altro, alla verosimile mancanza degli elementi in fatto necessari a compiere la valutazione di abusività (che dovrebbe quindi determinare il giudice dell’esecuzione ad adottare misure istruttorie d’ufficio) e al pregiudizio arrecato al principio di autorità della cosa giudicata (pensiamo, tra l’altro, agli inconvenienti pratici conseguenti alla disapplicazione della norma interna che sancisce il principio), doveva affermarsi l’obbligo di un controllo nella fase esecutiva solo ‘‘a titolo di eccezione e in mancanza di una soluzione migliore’’. A tal proposito osserviamo che la Corte era inoltre a conoscenza del fatto che il legislatore spagnolo stava apprestandosi a modificare il codice di procedura in modo tale che il cancelliere fosse tenuto a informare il giudice in caso di sospetto dell’abusività di una clausola. Volendo riassumere, la sentenza resa nel caso c.d. Zambrano si colloca nel solco della giurisprudenza precedente, specialmente per il riferimento alla situazione di debolezza del consumatore e all’intervento di riequilibrio del giudice, mentre presenta profili di novità per quanto riguarda il superamento del giudicato, anche se ne sono incerti gli sviluppi. Resta dunque da comprendere meglio quale ruolo abbiano svolto le particolarità del caso concreto, soprattutto in considerazione dell’importanza che è stata a più riprese attribuita al giudicato dalla medesima Corte. La Corte subordina invero il superamento del giudicato alla circostanza che non vi sia stato un giudice abilitato a eseguire il controllo di abusività, eventualità dunque del tutto peculiare e allo stato inidonea a conferire valore dirompente alla sentenza in commento. La pronuncia ha però il merito di aver posto con forza il problema, per la prima volta, anche agli studiosi e agli operatori in materia, che dovranno dunque domandarsi se il bilanciamento tra i valori in gioco possa in futuro concludersi diversamente: è ad esempio immaginabile, anche in dipendenza di ulteriori sviluppi nel processo di armonizzazione e dunque del nuovo ruolo attribuito al bene concorrenza, che il rango di norma di ordine pubblico riconosciuto all’art. 6 della direttiva citata porti la Corte ad ammettere il superamento del giudicato anche ove risulti dagli atti che un giudice, pur avendone la possibilità, non abbia concretamente affrontato il problema dell’abusività. Indicazioni utili potrebbero nel frattempo giungere dal caso c.d. Aktiv Kapital Portfolio Investment, causa C-122/11, concernente questione identica a quella esaminata nella sentenza c.d. Zambrano, sui cui la Corte si pronuncerà a breve. 25 Considerando 2: ‘‘Considerando che le legislazioni degli Stati membri relative alle clausole nei contratti stipulati tra il venditore di beni o il prestatario di servizi, da un lato, ed il consumatore, dall’altro, presentano notevoli disparità, con il risultato che i mercati nazionali relativi alla vendita di beni ed all’offerta di servizi ai consumatori differiscono l’uno dall’altro e possono manifestarsi distorsioni di concorrenza tra i venditori di beni e i prestatari di servizi soprattutto in caso di commercializzazione in altri Stati membri’’. 26 Considerando 5: ‘‘Considerando che normalmente i consumatori non conoscono le norme giuridiche che disciplinano, negli Stati membri diversi dai loro, i contratti relativi alla vendita di beni o all’offerta di servizi; che tale ignoranza può distoglierli dalle transazioni dirette per l’acquisto di beni o la prestazione di servizi in un altro Stato membro’’. 27 Considerando 6: ‘‘Considerando che, per facilitare la creazione del mercato interno e per tutelare il cittadino che acquisisce, in qualità di consumatore, beni o servizi mediante contratti disciplinati dalla legislazione di Stati membri diversi dal proprio, è indispensabile eliminare le clausole abusive da tali contratti’’. 1248 3. Il dialogo con la giurisprudenza nazionale e i profili di contrasto. Intendiamo adesso verificare se le conclusioni principali raggiunte dalla sentenza in commento e da quelle che l’hanno preceduta siano effettivamente penetrate nell’ordinamento interno e soltanto accennare ad alcuni problemi aperti in tema di rilievo d’ufficio della NGCC 9/2016 Sinergie Grafiche srl Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. n Saggi e Aggiornamenti Parte seconda nullità di protezione, che, come è noto, costituisce lo strumento cui ha fatto ricorso il nostro ordinamento, fin dall’emanazione del c.d. codice del consumo, per sanzionare l’inserimento di clausole abusive. Pare opportuna una riflessione preliminare. L’accenno appena fatto alla libertà degli Stati di stabilire le condizioni alle quali le clausole abusive non vincolano il consumatore consente di osservare che, se le istituzioni dell’Unione Europea non hanno volutamente compiuto scelte dogmatiche sul punto (abbiamo già notato che questa conosce politiche e non concetti e ricordato che l’art. 6 della direttiva n. 93/13 CEE fa in proposito riferimento alle condizioni stabilite dalle legislazioni nazionali), la Corte però, con la sentenza in commento, sembra di fatto optare decisamente per una forma grave di invalidità, tendenzialmente non in grado di produrre effetti e che può essere infatti rilevata anche dopo la formazione del giudicato. Orbene, l’obiettivo di misurare il grado di ricezione delle regole europee conduce ad osservare che, sul piano interno, un tentativo di ordinare la materia delle nullità di protezione, da sempre oscillanti tra il polo della nullità e quello dell’annullabilità, è stato recentemente compiuto da Cass., sez. un., 12.12.2014, nn. 26242-26243 28, che costituiscono punto di riferimento per le considerazioni che seguono. Dalle suddette pronunce emerge la necessità di distinguere il momento della rilevazione, di carattere obbligatorio, e quello della dichiarazione, quest’ultimo meramente eventuale e comunque subordinato all’instaurazione del contraddittorio secondo gli strumenti processuali di cui il giudice nazionale è stato recentemente dotato (art. 101, comma 2º, cod. proc. civ., inserito dalla l. 18.6.2009, n. 69). Nella fase del contraddittorio, infatti, il professionista potrebbe convincere il giudice della non abusività della clausola, ovvero dell’esistenza della trattativa, cosı̀ come il consumatore potrebbe esprimere la volontà di conservare la clausola. Devo però aggiungersi che per la Suprema Corte, diversamente da quanto affermato nella sentenza c.d. Banif Plus Bank, la declaratoria è subordinata alla proposizione della relativa domanda da parte della persona fisica, dovendo altrimenti il giudice accogliere o rigettare la domanda per altro motivo. Secondo la Cassazione, inoltre, non si produce in questo caso l’effetto di giudicato, in ragione delle peculiarità delle nullità di protezione 29. Un secondo elemento di confronto è dato dall’affermazione che le nullità speciali sono poste a presidio, oltre che di interessi particolari, anche di interessi generali, conclusione utilizzata per spiegare l’obbligo generalizzato del rilievo officioso 30. Tra gli interessi generali di cui la Suprema Corte fa espressamente menzione vi sono il corretto funzionamento del mercato e l’uguaglianza non solo formale tra contraenti forti e deboli, che vengono però ricondotti al testo costituzionale (rispettivamente agli artt. 41 e 3 Cost.) e non ai principi comunitari. Le sezioni unite, dando seguito ad autorevole dottrina e spinte dall’esigenza di ricondurre a unità la materia, ritengono dunque di poter rinvenire interessi generali sul piano interno; sollevano comunque perplessità nella parte in cui ammettono che tali interessi sono riscontrabili in qualsivoglia ipotesi di nullità di protezione, caratterizzate invece, come diremo ancora, dalla molteplicità delle forme. Porre l’accento sull’esistenza di interessi generali anche al di fuori dell’ambito applicativo della direttiva è utile alla Corte, come appena detto, per giustificare il rilievo officioso generalizzato. È possibile allora sottolineare che la Corte innova fortemente, non solo per quanto concerne il rilievo delle nullità in generale, tema rispetto al quale sono a tutti noti il tradizionale orientamento contrario della giurisprudenza, solo isolatamente contrastato (recentemente da una pronuncia delle sezioni unite, che gli aveva però riconosciuto un ambito applicativo limitato, corrispondente al giudizio in cui fosse stata proposta domanda di risoluzione del contratto 31), e le variegate opinioni presenti nel dibattito dottrinale, ma anche rispetto alle nullità c.d. speciali o di protezione 32. Terzo punto di riflessione attiene alla possibilità di 28 Cass., sez. un., 12.12.2014, nn. 26242-26243, in questa Rivista, 2015, I, 299 ss., con note di Pagliantini, Spigolando a margine di Cass., sez. un., 12 dicembre 2014, n. 26242 e n. 26243: le nullità tra sanzione e protezione nel prisma delle prime precomprensioni interpretative, 185 ss.; di Scognamiglio, Il pragmatismo dei principi: le sezioni unite ed il rilievo officioso delle nullità, 197 ss.; e di Rizzo, Il rilievo d’ufficio della nullità preso sul serio, 315 ss. 29 Cfr. il § 7.3 delle sentenze appena citate. 30 Il rapporto tra interessi generali e particolari è indagato in particolare da Gentili, La ‘‘nullità di protezione’’, op. cit., 79, che ravvisa finalità di protezione anche nelle ipotesi tradizionali di nullità, e Polidori, Nullità di protezione e interesse pubblico, in Rass. dir. civ., 2009, 1019 ss. 31 Un precedente autorevole, richiamato dalle medesime sezioni unite, è Cass., sez. un., 4.9.2012, n. 14828, in questa Rivista, 2013, I, 15 ss., ove tra l’altro si ripercorrono i termini essenziali del dibattito pre- cedente, commentato da Scognamiglio, Il giudice e le nullità: punti fermi e problemi aperti nella giurisprudenza della Corte di Cassazione. 32 Nella pronunce citate, al punto 3.13.2, si legge infatti: ‘‘Nullità che non a torto è stata definita, all’esito del sopravvento del diritto europeo, ad assetto variabile, e di tipo funzionale, in quanto calibrata sull’assetto di interessi concreto, con finalità essenzialmente conformativa del regolamento contrattuale, ma non per questo meno tesa alla tutela di interessi e valori fondamentali, che trascendono quelli del singolo. Si è cosı̀ osservato che, se le nullità di protezione si caratterizzano per una precipua natura ancipite, siccome funzionali nel contempo alla tutela di un interesse tanto generale (l’integrità e l’efficienza del mercato, secondo l’insegnamento della giurisprudenza europea) quanto particolare/seriale (quello di cui risulta esponenziale la classe dei consumatori o dei clienti), la omessa rilevazione officiosa della nullità finirebbe per ridurre la tutela di quel bene primario consistente nella deterrenza di ogni abuso in danno del contraente debole’’. NGCC 9/2016 1249 Sinergie Grafiche srl n Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Parte seconda Saggi e Aggiornamenti ‘‘convalida’’ data al consumatore, cui si è già accennato e che costituisce a nostro avviso il profilo più delicato tra quelli presi in considerazioni dalla Suprema Corte. Le sezioni unite, anche sulla scorta del dato normativo interno (in particolare l’art. 36 del c.d. codice del consumo), confermano il potere di convalida e ne fanno anzi una regola generale 33: la posizione di debolezza, infatti, basterebbe a giustificare, anche al di fuori dell’ambito di applicazione della normativa consumeristica, la rinuncia alla tutela di interessi generali. Il tema della ‘‘convalida’’, per la verità, porta con sé ulteriori problemi, a cui è possibile fare solo un cenno, quali il coordinamento con la regola della contumacia e il silenzio del consumatore dopo il rilievo (situazione nella quale le sezioni unite, come detto, escludono che il giudice debba procedere alla dichiarazione della nullità speciale), gli effetti sostanziali della ‘‘convalida’’ (di cui è però lecito dubitare, in mancanza di una norma espressa, recependo il nostro ordinamento, come detto, le diverse logiche dell’ordinamento comunitario), la possibilità di ‘‘convalidare’’ prima del processo, l’ammissibilità di integrazione, giudiziale o legale, in caso di caducazione della clausola 34. Le sezioni unite accolgono però soluzioni anche notevolmente difformi da quelli della sentenza c.d. Zambrano e della giurisprudenza precedente. L’osservazione riguarda in primo luogo la possibilità di superare il giudicato 35: dagli arresti della Suprema Corte si desume infatti con chiarezza che la formazione del giudicato è stata fino ad oggi considerata limite ultimo per il rilievo della nullità, anche di protezione. Spetta peraltro agli studiosi del diritto costituzionale indicare se, presente un simile contrasto sul piano interno, vi siano i presupposti per azionare i c.d. controlimiti di fronte alla Corte costituzionale 36. All’affermazione, poi, che il giudice nazionale dovrebbe adottare misure istruttorie d’ufficio per verificare l’esistenza di una trattativa, le sezioni unite replicano che la nullità deve emergere ex actis. Al di là dei tentativi di offrire letture minimaliste della sentenza c.d. Penzugyi, cioè relative alle sole clausole determinative della competenza, si è giustamente notato che la questione è spesso sdrammatizzata dal deposito in giudizio del contratto, circostanza che dovrebbe infatti valere a verificare l’esistenza della trattativa. Le risposte a tali ultimi interrogativi dipendono però, come detto, dal fatto che si riconosca la possibilità di applicare i relativi principi di diritto al di là delle situazioni particolari che hanno occasionato la loro enunciazione. 33 Oltre alla dialettica interessi generali e particolari, che segna l’intera motivazione, cfr. specificamente il § 3.13.2, ove la Corte di cassazione pare voler trasferire sul piano interno le conclusioni raggiunte dalla giurisprudenza europea. Con riguardo ai rapporti tra rilievo d’ufficio e opposizione del consumatore alla dichiarazione di nullità: Pagliantini, La nullità di protezione tra rilevabilità d’ufficio e convalida: lettere da Parigi e dalla Corte di giustizia, in Riv. dir. priv., 2009, 139 ss.; Alessi, Clausole vessatorie, nullità di protezione e poteri del giudice: alcuni punti fermi dopo le sentenze Joros e Asbeek Brusse, in Jus civile, 2013, 18 ss.; Passagnoli, Note critiche in tema di sanabilità e rinunziabilità delle nullità di protezione, in Obbl. e contr., 2013, 409 ss. Quest’ultimo autore pone l’accento sulla mancanza di effetti sostanziali dell’opposizione del consumatore; nello stesso senso Monticelli, op. cit., 1119 ss. Sul punto si rinvia anche a Perlingieri, La convalida delle nullità di protezione e la sanatoria dei negozi giuridici, Edizioni Scientifiche Italiane, 2011, oltre che al recente studio di Rizzuti, La sanabilità delle nullità contrattuali, Edizioni Scientifiche Italiane, 2015, in particolare 108 ss. 34 Circa il mantenimento in vita e l’eventuale integrazione del contratto, dispositiva o giudiziale: Guadagno, Squilibrio contrattuale: profili rimediali e intervento correttivo del giudice, in questa Rivista, 2015, II, 744 ss., che si segnala anche per riferire della soluzione, favorevole all’integrazione, adottata da taluni progetti di codificazione europea; Pagliantini, L’integrazione del contratto tra Corte di giustizia e nuova disciplina sui ritardi di pagamento: il segmentarsi dei rimedi, in Contratti, 2013, 406 ss.; D’Adda, Giurisprudenza comunitaria, op. cit., 22 ss. Sui rapporti col principio dispositivo dopo il caso c.d. Penzugyi: Pagliantini, L’interpretazione più favorevole, cit., 291 ss. 35 Cfr. ancora Trocker, op. cit., 405 ss. 36 È a tutti noto il dibattito sorto intorno alla collocazione del giudicato tra i principi fondamentali, i soli evocati dalla giurisprudenza costituzionale, specialmente a partire da Corte Cost., 27.12.1973, n. 183, c.d. Frontini, nell’ambito della c.d. teoria dei controlimiti. In questa sede pare opportuno ricordare che nella Carta fondamentale non è presente alcun riferimento al principio del giudicato, ma che esso è stato talvolta annoverato dalla dottrina tra i valori fondamentali invocando altre norme, segnatamente gli artt. 24 e 111 Cost. Per riferimenti giurisprudenziali e per alcune possibili linee di sviluppo del dialogo tra le Corti si veda Pulvirenti, Intangibilità del giudicato, primato del diritto comunitario e teoria dei controlimiti costituzionali, in Riv. it. dir. pubbl. comun., 2009, II, 341 ss. e Di Seri, Primauté del diritto comunitario e principio della res iudicata nazionale: un difficile equilibrio, in Giur. it., 2009, 2835 ss. Per una panoramica generale sulla c.d. teoria dei controlimiti cfr. Villani, I ‘‘controlimiti’’ nei rapporti tra diritto comunitario e diritto italiano, in Studi in onore di Vincenzo Starace, Editoriale Scientifica, 2008, II, 1295 ss. 37 Sull’applicazione analogica della disciplina delle nullità di protezione sono fondamentali i contributi di Alessi, Nullità di protezione, cit., e De Cristofaro, Le invalidità negoziali di protezione nel diritto comunitario dei contratti, in Studi in onore di Giorgio Cian, a cura di De Cristofaro, De Giorgi e Delle Monache, Cedam, 2010, I, 667 ss., che insiste sulle cautele che devono circondare l’operazione. Si veda, in particolare, 692: ‘‘Siamo dunque ancora molto lontani non solo dal poter predicare l’esistenza di una categoria generale di ‘invalidità negoziale’ comunitaria, ma anche dal poter prospettare - sulla base del vigente diritto comunitario - l’esistenza di una categoria unitaria di invalidità parziale ‘di protezione’ valevole per tutti i rapporti contrattuali caratterizzati da asimmetrie informative e disparità di potere contrattuale fra le parti, o anche soltanto per i rapporti contrattuali tra consumatori e professionisti (...)’’. Nel medesimo senso, tra gli altri, Nuzzo, Riflessioni in tema di nullità speciali, in Liber amicorum per Francesco Busnelli, a cura di Ponzanelli, Giuffrè, 2008, II, 233 ss. Sulle nullità di protezione per violazione di norma imperativa (c.d. nullità virtuale di protezione), cioè derivanti dalla violazione di una 1250 4. Segue: i limiti di ammissibilità delle c.d. nullità di protezione virtuale. Dopo avervi fatto cenno a più riprese, vogliamo infine porre l’accento sull’estensione della disciplina prevista dalla direttiva in considerazione ad altre ipotesi di nullità, le c.d. nullità di protezione virtuale 37, avendo NGCC 9/2016 Sinergie Grafiche srl Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. n Saggi e Aggiornamenti Parte seconda la giurisprudenza italiana compiuto passi ulteriori rispetto a quelli imposti dall’appartenenza all’Unione Europea. Con tale locuzione si fa riferimento alla possibilità di applicare la disciplina delle nullità poste a protezione della parte debole, quale risultante da una serie di disposizioni esterne al tessuto codicistico, a partire dall’art. 36 del c.d. codice del consumo, oltre i casi espressamente considerati: infatti, alcuni tratti di disciplina delle nullità di protezione, in considerazione della loro sempre più frequente ricorrenza nella legislazione speciale, non potrebbero più essere considerati eccezionali e quindi insuscettibili di applicazione analogica 38. Non avrebbero più pregio, in definitiva, argomenti come quello che fa leva sull’art. 1421 cod. civ., a mente del quale dovrebbe ammettersi la legittimazione relativa all’azione di nullità nei soli casi previsti dalla legge 39. Il nostro ordinamento, invero, conosce numerose ipotesi di nullità di protezione, a partire da quelle di stretta derivazione consumeristica (distinguibili al loro interno a seconda che l’ordinamento nazionale abbia o meno stabilito un livello di tutela più ampia) fino a quelle inserite autonomamente dall’ordinamento nazionale. Fanno cosı̀ parte delle prime, oltre al fondamentale e già citato art. 36 del c.d. codice del consumo, agli artt. 134, comma 1º, e 143, comma 1º, del medesimo codice, ad esempio l’art. 124, comma 1º, d. legis. 1º.9.1993, n. 385; rientrano nelle seconde, citando di nuovo solo alcune ipotesi significative, gli artt. 4, 5, 6 e 9, comma 3º, l. 18.6.1998, n. 192, sulla subfornitura nelle attività produttive, l’art. 13 l. 9.12.1998, n. 431 sulla locazione di immobili urbani destinati a uso abitativo, l’art. 2, comma 1º, d. legis. 20.6.2005, n. 122 relativo alla tutela degli acquirenti degli immobili in costruzione. Ciò che allora preme sottolineare è che le varie previsioni normative possono differire tra loro notevolmente in punto di disciplina, prevedendosi ad esempio in alcuni casi, come conseguenza della dichiarazione di nullità, la caducazione dell’intero contratto in luogo della singola clausola, oppure dandosi solo occasionalmente rilievo alla previa trattativa individuale tra le parti. La Corte di cassazione, come già detto, chiedendo peraltro ausilio al principio di effettività della tutela, ritiene però comune a qualsiasi ipotesi di nullità speciale il rilievo officioso e la possibilità della convalida, per il modo particolare in cui si relazionano interessi generali e particolari. Tali regole dovrebbero applicarsi a ciascuna ipotesi di nullità di protezione, in assenza di una disciplina specifica o completa, pur a fronte della varietà delle forme caratterizzanti le nullità di protezione presenti nel nostro ordinamento, anche quelle di origine comunitaria. Il riferimento offre allora l’occasione per sottolineare che l’interprete nazionale che andasse in cerca di ulteriori regole generali dovrebbe innanzitutto valutare se alla loro formazione contribuiscano in modo decisivo la normativa e la giurisprudenza dell’Unione; considerando che queste presidiano esigenze e logiche peculiari, peraltro molto varie, e che la Corte di giustizia ci ha abituato a sviluppi imprevedibili, spinta anche dalla necessità di rispondere alle esigenze del caso concreto, dovrebbe quindi procedere con assoluta cautela. presunta norma imperativa, in assenza della sanzione specifica della nullità: Pagliantini, Nullità virtuali di protezione?, in Contratti, 2009, 1040 ss., e D’amico, Nullità virtuale - Nullità di protezione (Variazioni sulla nullità), in Contratti, 2009, 732 ss., entrambi dubbiosi circa la loro ammissibilità. Nello stesso senso le notissime sentenze Cass., sez. un., 19.12.2007, nn. 26724-26725, in questa Rivista, 2008, II, 432 ss. 38 In tal senso, diffusamente, Passagnoli, Nullità speciali, Giuffrè, 1995. 39 Si legge al § 3.13.4 delle sentenze in commento: ‘‘Senza dire, poi, come le nuove species di nullità esemplifichino casi totalmente ignoti al legislatore del 1942, onde l’interrogativo su quanto sia (poco) razionale invocare la nominatività dell’incipit dell’art. 1421 al fine di escludere un non certo irragionevole ricorso al procedimento di integrazione analogica. La riconduzione ad unità funzionale delle diverse fattispecie di nullità - lungi dal risultare uno sterile esercizio teorico - consente di riaffermare a più forte ragione l’esigenza di conferire al rilievo d’ufficio obbligatorio il carattere della irrinunciabile garanzia dell’effettività della tutela dei valori fondamentali dell’organizzazione sociale’’. NGCC 9/2016 1251 Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. 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Il Trattato di diritto di famiglia, curato dai più autorevoli esperti della materia, è un’indispensabile guida per l’approfondimento dei rapporti familiari, e risponde ai bisogni d’interdisciplinarità dell’avvocato, e degli altri operatori del diritto, fornendo un quadro completo dell’intera disciplina normativa (Codice civile, norme complementari, internazionali, comunitarie). Ciascun contributo è caratterizzato dall’inquadramento delle norme di riferimento e da un’attenta analisi dei diversi orientamenti della dottrina e della giurisprudenza, di legittimità e di merito. pagg. 4736 - cod. . 00188312, prezzo € 230,00 Acquista su www.shop.wki.it Y64ESBN.indd 1 Rivolgiti alle migliori librerie della tua città Contatta un agente di zona www.shop.wki.it/agenzie Contattaci 02.82476.794 [email protected] Y64ESBN UTET GIURIDICA ® è un marchio registrato e concesso in licenza da De Agostini Editore S.p.A. a Wolters Kluwer Italia S.r.l. Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. 10/02/16 15:15 Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. DIREZIONE e REDAZIONE hanno sede presso: Dipartimento Diritto Comparato, del Bo’, via VIII Febbraio 2, 35122 DIREZIONE ediREDAZIONE hannoPalazzo sede presso: PADOVA, Tel. 049.8278912 (P. Zatti); 049.8273475 (A. Fusaro); 049.8278919 (M. Dipartimento di Diritto Comparato, Palazzo del Bo’, via VIII Febbraio 2, 35122 Piccinni); 049.8278918 (M. Cinque). Fax e segreteria 049.655644 PADOVA, Tel. 049.8278912 (P. Zatti); 049.8273475 (A. Fusaro); 049.8278919 (M. La corrispondenza per la Rivista va indirizzata ad Arianna Fusaro, Dipartimento Piccinni); 049.8278918 (M. Cinque). Fax e segreteria 049.655644 di Diritto Comparato, Palazzo del Bo’, via VIII Febbraio 2, 35122 PADOVA La corrispondenza per la Rivista va indirizzata ad Arianna Fusaro, Dipartimento L’indirizzo di posta elettronica è il seguente: [email protected] di Diritto Comparato, Palazzo del Bo’, via VIII Febbraio 2, 35122 PADOVA L’indirizzo di posta elettronica è il seguente: [email protected] ABBONAMENTO per il 2016: ITALIA € 225,00 - ESTERO € 289,00 Offerta triennale 2016-2018: ITALIA € 573,00 - ESTERO € 737,00 ABBONAMENTO per il 2016: ITALIA € 225,00 - ESTERO € 289,00 Offerta triennale 2016-2018: ITALIA € 573,00 - ESTERO € 737,00 Condizioni generali di abbonamento L’abbonamento decorre dal 1° gennaio e scade il 31 dicembre successivo. In ipotesi il cliente sottoscriva Condizioni generali di abbonamento l’abbonamento nel corso dell’anno la scadenza è comunque stabilita al 31 dicembre del medesimo anno: L’abbonamento decorre daltenuto 1° gennaio e scade ildell’intera 31 dicembre successivo. ipotesi il clientegli sottoscriva in tal caso l’abbonato sarà al pagamento annata ed avrà In diritto di ricevere arretrati l’abbonamento nel corso dell’anno la scadenza è comunque stabilita al 31 dicembre del medesimo anno: editi nell’anno prima dell’inizio dell’abbonamento. in tal casodell’abbonamento l’abbonato sarà tenuto al pagamento dell’intera annata ed avrà ricevere gli online arretrati Il prezzo carta comprende la consultazione digitale delladiritto rivista di nelle versioni su editi nell’anno prima dell’inizio dell’abbonamento. http://www.edicolaprofessionale.com/NGCC, tablet (iOS e Android) e smartphone (Android) scaricando Il prezzo dell’abbonamento l’App Edicola professionale.carta comprende la consultazione digitale della rivista nelle versioni online su http://www.edicolaprofessionale.com/NGCC, tablet (iOS e smartphone (Android) scaricando L’abbonamento si intenderà tacitamente rinnovato pere Android) l’anno successivo in assenza di disdetta da l’App Edicolaalmeno professionale. comunicarsi 30 giorni prima della scadenza del 31 dicembre esclusivamente a mezzo lettera L’abbonamento raccomandata a.r.si intenderà tacitamente rinnovato per l’anno successivo in assenza di disdetta da comunicarsi 30all’abbonato giorni primadevono della scadenza del 31entro dicembre esclusivamente mezzo lettera I fascicoli nonalmeno pervenuti essere reclamati e non oltre un mese dalaricevimento del raccomandata a.r. Decorso tale termine saranno spediti contro rimessa dell’importo. fascicolo successivo. I fascicoli non pervenuti all’abbonato devono essere reclamati entro e non oltre un mese dal ricevimento del Il pagamento potrà essere effettuato tramite gli incaricati della Casa Editrice sottoscrivendo l’apposita fascicolo successivo. Decorso tale termine saranno spediti contro rimessa dell’importo. ricevuta intestata a WKI Srl - Cedam oppure con un versamento intestato a WKI Srl - Cedam - Viale IlIl pagamento un versamento intestato aCasa WKIEditrice Srl - Strada 1 Palazzo F6 -20090 pagamentopotrà potrà essereeffettuato effettuato tramite gli incaricati della sottoscrivendo l’apposita dell’Industria, 60 -essere 35129 Padova -con utilizzando le seguenti modalità: Milanofiori Assago (MI) utilizzando le seguenti modalità: ricevuta intestata a WKI Srl Cedam oppure con un versamento intestato a WKI Srl Cedam - Viale – Conto corrente postale 205351; dell’Industria, 60 35129 Padova utilizzando le seguenti modalità: Cassa di Risparmio del Veneto Agenzia Padova via Valeri, CIN C, ABI 06225, – • Conto Corrente Postale 54738745 – Conto Conto12163, corrente postale 205351; IBANINTESASANPAOLO CAB c/c 047084250184, IT 30 C 06225 12163- AG. 047084250184; • corrente Bancario 615222314167 ROMA intestato a Wolters Kluwer Cassa di Risparmio del Carta VenetoSi,-American Agenzia Card, Padova via Valeri, CINDiners C, ABI 06225, – Italia CartaS.r.l. di credito Visa, Master Card, American Express, Club, IBAN IT32K0306905070615222314167 – CAB 12163, c/c 047084250184, IBAN IT 30 C 06225 12163 047084250184; • Carta di credito Visa, Master Card, Carta Sì, American Card, American Express, specificando il numero – eCarta didicredito Visa, Master Card, Carta Si, American Card, American Express, Diners Club, la data scadenza. – Egregio abbonato, ai sensi dell’art. 13 del D.Lgs. 30.6.2003 n. 196, La informiamo che i Suoi dati personali sono registrati su database elettronici di proprietà di Wolters Kluwer Italia S.r.l., con sede legale in Egregio abbonato, Assago 1-Palazzo F6, 20090 Assago (MI), titolareche delitrattamento e sono trattati ai sensi dell’art. 13Strada del D.Lgs. 30.6.2003 n. 196, La informiamo Suoi dati personali sono da quest’ultima tramiteelettronici propri incaricati. registrati su database di proprietà di Wolters Kluwer Italia S.r.l., con sede legale in amministrative Wolters Kluwer Italia S.r.l. utilizzerà dati Assago che La (MI), riguardano Assago Strada 1-Palazzo F6, i20090 titolare per del trattamento e sono trattatie contabili. I Suoitramite recapitipropri postaliincaricati. e il Suo indirizzo di posta elettronica saranno utilizzabili, ai sensi da quest’ultima di vendita o servizie dell’art. 130, comma del D.Lgs. n. 196/03, amministrative Wolters Kluwer Italia4, S.r.l. utilizzerà i dati anche che Laa riguardano perdiretta di prodotti analoghi aIquelli oggetto postali della presente contabili. Suoi recapiti e il Suovendita. indirizzo di posta elettronica saranno utilizzabili, ai sensi Lei potrà130, in ogni momento esercitare i diritti dianche cui all’art. 7didel D.Lgs.diretta n. 196/03, fra cui oil servizi diritto vendita di prodotti dell’art. comma 4, del D.Lgs. n. 196/03, a di accedere ai Suoi dati edella ottenerne l’aggiornamento o la cancellazione per violazione di legge, di analoghi a quelli oggetto presente vendita. di materiale pubblicitario, e opporsi dei esercitare Suoi dati iaidirittididiinvio Lei potràalintrattamento ogni momento cui all’art. 7 del D.Lgs. n. 196/03,vendita fra cui diretta il diritto comunicazioni commerciali e di richiedere l’elenco aggiornato dei responsabili del trattamento, di accedere ai Suoi dati e ottenerne l’aggiornamento o la cancellazione per violazione di legge, di mediantealcomunicazione scritta a: Italia S.r.l. – PRIVACY Centroe di Wolters invio di Kluwer materiale pubblicitario, vendita -diretta opporsi trattamento dei Suoi da datiinviarsi ai Direzionale Strada F6,l’elenco 20090 aggiornato Assago (MI), inviando undel Faxtrattamento, al numero: comunicazioni commerciali e di1-Palazzo richiedere deio responsabili 02.82476.403. mediante comunicazione scritta da inviarsi a: Wolters Kluwer Italia S.r.l. – PRIVACY - Centro Direzionale Strada 1-Palazzo F6, 20090 Assago (MI), o inviando un Fax al numero: 02.82476.403. servizio clienti cedam Informazioni commerciali ed amministrative: tel. 06.20381100 - Indirizzo internet: www.servizioclienti.wki.it - e-mail: [email protected] 20090 Assago (MI) Autorizzazione del Tribunale di Padova del 12 dicembre 1984 n. 860 20090 Assago (MI) Direttore responsabile: Paolo Zatti Autorizzazione del Tribunale di Padova del 12 dicembre 1984 n. 860 Stampa: GECA s.r.l. - Via Monferrato, 54 - 20098 SanZatti Giuliano Milanese (MI) Direttore responsabile: Fotocomposizione: Sinergie Grafiche Srl - VialePaolo Italia, 12 - 20094 Corsico (MI) Stampa: GECA s.r.l.- Via - ViaMonferrato, Monferrato, 54 Milanese (MI) Stampa: GECA s.r.l. 54 --20098 20098San SanGiuliano Giuliano Milanese (MI) NGC_9_2016.indd 2 15/09/16 11:59 costa 6 mm Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. ISSN 1593-7305 9 2016 La NUOVa giurisprudenza Civile commentata anno XXXII a cura di Guido alpa e paolo zatti La Rivista contribuisce a sostenere la ricerca giusprivatistica nell’Università di Padova 9/2016 edicolaprofessionale.com/NGCC Avvocato stabilito: dispensa dalla prova attitudinale (Cass., sez. un., n. 5073/2016) Tariffa R.O.C.: Poste Italiane S.p.a. - Sped. in abb. post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Milano 00202451 la nuova giurisprudenza civile commentata RIVISTA mensilE Autonomia processuale e tutela del consumatore (Corte giust. UE, 18.2.2016, causa C-49/14) Caso Englaro: responsabilità della P.A. (T.A.R. Lombardia, 6.4.2016) Ipoteca giudiziale eccessiva (Cass., n. 6533/2016) Foro del consumatore (Cass., n. 2687/2016) Adozione del figlio del partner [In Parte prima Cass., n. 12962/2016] Forma scritta e nullità [In Parte prima Cass., n. 5919/2016 e Cass., n. 7068/2016] Consumatore sovraindebitato € 30,00 i.v.a. inclusa NGC_9_2016.indd 1 15/09/16 11:59