1-2 Gennaio - Luglio 2013
HOSPITAL & PUBLIC HEALTH
Rivista scientifica trimestrale di progettazione integrata, biomedicina,
nanotecnologie, tecnica sanitaria, edilizia ospedaliera e scienza della salute
Progettazione
Armonie
o cacofonie cromatiche
nei nostri ospedali?
Progettazione
I nuovi laboratori di genetica molecolare
nel sito storico della Ca’ Granda:
Evoluzione della medicina a confronto
Sicurezza
L’esposizione a radiazioni ottiche
artificiali non coerenti e coerenti
(laser): effetti sulla salute
e sorveglianza sanitaria
laundering & sterilization
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44122 Ferrara
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HOSPITAL & PUBLIC HEALTH
Rivista scientifica trimestrale di progettazione integrata,biomedicina, nanotecnologie, tecnica sanitaria, edilizia sanitaria e scienza della salute
SOMMARIO
1-2
Gennaio - Luglio 2013
EDITORIALE
sicurezza
5° Congresso Nazionale S.I.A.I.S.
LA SANITÀ IN (TEMPI DI) CRISI REVISIONE DELLA SPESA E OBIETTIVI
DI QUALITÀ NELLE AREE TECNICHE: ARCHITETTURE, ESPERIENZE E APPORTO
DI FORZE GIOVANI PER ESSERE PROTAGONISTI DELLA RIPRESA
Firenze, 24 - 25 - 26 ottobre 2013 (NIC - Nuovo Ingresso Careggi)
Le misure di sicurezza ai sensi del D.Lgs. 81/2008 e s.m.i. nei sistemi idrici
Daniela Pedrini
4
A. Lenzi
6
I NUOVI LABORATORI DI GENETICA MOLECOLARE NEL SITO STORICO
DELLA CA’ GRANDA: Evoluzione della medicina a confronto
F. Camorani, M. Cavazzuti, B. Frascari, A. Caviglia
L. Lodola, A. Muzzi, F. Buroni, P.A. Marchese
16
E. Possanzini, A. Sacchelli
gestione ambientale
50
tecnologie
Management di un parco tecnologico:
due grandi Aziende Ospedaliere Universitarie a confronto
M. Cristaldi, M. Spanò
22
56
tecnologie
sicurezza
Gli Audit interni per la sicurezza secondo le BS OHSAS 18001:2007
42
G. Messori Ioli, F. Vola, C. Di Nicuolo, M Del Fabbro, A. Fissore
sicurezza
Il controllo dell’acqua nelle strutture ospedaliere
L’esposizione a radiazioni ottiche artificiali non coerenti e coerenti (laser):
effetti sulla salute e sorveglianza sanitaria
Per una salute di «Classe A»: il primo passo verso l’eco-sostenibilità
del Presidio Ospedaliero “Maggiore” di Chieri (ASL TO5 – Regione Piemonte)
progettazione
35
sicurezza
G.Taino, M. Giorgi
progettazione
Armonie o cacofonie cromatiche nei nostri ospedali?
R. Lombardi, A. Ledda
32
La sicurezza delle Apparecchiature Elettromedicali:
l’IT nei Servizi di Ingegneria Clinica
62
A. Toscano, R. Lilla
COLOPHON
HOSPITAL & PUBLIC HEALTh - Rivista scientifica trimestrale di progettazione integrata, di biomedicina,
nanotecnologie, tecnica sanitaria, edilizia sanitaria e scienza della salute
Anno VI - Numero 1/2 - Gennaio/Luglio 2013
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Editoriale
5° Congresso Nazionale S.I.A.I.S.
LA SANITÀ IN (TEMPI DI) CRISI
REVISIONE DELLA SPESA E OBIETTIVI DI QUALITÀ
NELLE AREE TECNICHE:
ARCHITETTURE, ESPERIENZE E APPORTO
DI FORZE GIOVANI PER ESSERE PROTAGONISTI
DELLA RIPRESA
Firenze, 24 - 25 - 26 ottobre 2013
(NIC - Nuovo Ingresso Careggi)
Benvenuti a tutti, ci siamo, il testimone del Congresso
Nazionale della S.I.A.I.S. - Società Italiana dell’Architettura
e dell’Ingegneria arriva a Firenze.
Il 5° Congresso Nazionale S.I.A.I.S. si terrà presso il NIC
(Nuovo Ingresso Careggi) dal 24 al 26 ottobre 2013.
Ad anticipare l’apertura dei lavori si prevedono anche
quest’anno corsi precongressuali il giorno 23 ottobre
2013.
Tempi questi di grave crisi economica, ma ricordando
sempre le due parti che costituiscono l’etimo: difficoltà e
opportunità. In un Congresso in tempi di crisi, come non
parlarne? Quando molte delle nostre preoccupazioni
sono oggi nel fare ancora, e se possibile meglio, con
minori risorse? Quando ci troviamo a lavorare in gruppi
sempre più anziani, che mostrano anche plasticamente
la necessità di attivare forze giovani drammaticamente
escluse dai processi?
Ecco il titolo, La sanità in (tempi di) crisi e gli argomenti, riduzione dei costi e obiettivi di qualità nelle
Aree Tecniche: Architetture, esperienze e apporto di
forze giovani per essere protagonisti della ripresa.
Poi altri temi a noi cari: le ultime realizzazioni in Sanità in
Italia e in Europa, passando dal RES Hospitals; approfondimenti su nuove tipologie di degenza e tendenze verso
un’assistenza anche a domicilio, le nuove opportunità di
legare i nuovi ospedali con la cosiddetta viabilità dolce
(bicicletta), di costruire col legno e di attivare davvero
un processo di contenimento dei costi energetici; le tec-
4 HPH Gennaio-Giugno 2013
nologie e le biotecnologie, il disaster management (normativa antincendio, antisismica), con nuove indicazioni
sulle procedure per lavori e forniture. Senza dimenticare
una riflessione su dove sta andando il nostro lavoro nelle
Aree Tecniche e di come la S.I.A.I.S., con le sue proposte,
può contribuire alla sua valorizzazione.
Non può esserci cambiamento senza formazione. In un
quadro generale di costante evoluzione e flessibilità,
la leva formativa assume un’importanza fondamentale
per garantire al cittadino prestazioni sanitarie appropriate che devono essere erogate da tutti quei professionisti che operano direttamente e indirettamente la
cui competenza è in linea con le evoluzioni scientifiche
e tecnologiche. L’organizzazione del Congresso infatti
coinvolge anche le altre associazioni professionali, le
società scientifiche e l’Università degli Studi di Firenze
(Ingegneria, Architettura, Medicina e Scienze infermie-
ristiche); queste ultime hanno partecipato sin dall’inizio
alla preparazione, organizzando corsi congiunti con giovani studenti e laureandi, i cui risultati saranno presentati nel Congresso stesso.
Il Congresso Nazionale S.I.A.I.S. rappresenta inoltre un
momento di sintesi delle attività svolte dall’Associazione
nell’anno in corso e dei programmi di carattere scientifico, sui quali riflettere in occasione di questo evento.
Nella certezza di ritrovarci numerosi a confrontarci su
queste tematiche, ringraziamo tutti coloro che contribuiscono alla realizzazione di questo Congresso.
Un cordiale benvenuto a tutti i partecipanti.
Il Presidente SIAIS
Ing. Daniela Pedrini
Gennaio-Giugno 2013 HPH
5
Progettazione
A. Lenzi
Armonie o cacofonie cromatiche
nei nostri ospedali?
Riflessione sull’Architettura e sulla bellezza (se c’è!),
delle nostre strutture di cura; in particolare su un’arma potente ma difficile: il colore
“Dimmi se tu, sensibile come sei agli effetti dell’architettura, hai mai osservato, passeggiando per
questa città, che molti dei suoi edifici sono morti,
mentre altri parlano, e alcuni infine, assai più raramente, cantano?”
Paul Valery
«Eupalinos ou l’Architecture»
PAROLE CHIAVE
Contesto, cultura del colore, effetti, approccio, customer satisfaction
Vice Presidente Nazionale SIAIS,
Resp.le U.O.C. Manutenzioni e Settore Progettazione
Area Tecnica Az. USL 9 Grosseto
Il colore oggi: scelta consapevole o
atteggiamento “di moda”?
Perché nei nostri ospedali i risultati del grande utilizzo di colore
degli ultimi anni a volte non convince, e cosa si può fare per migliorare?
Di questo cercheremo di parlare e riflettere, proponendo anche
una strategia possibilmente semplice per migliorare, ridefinendo
le nostre realizzazioni con la giusta attenzione ai costi e al gusto,
per più alti livelli di benessere, rassicurazione, accoglienza dei
nostri utenti.
Partiamo da una considerazione fondamentale e proviamo
a dirlo subito: nel progetto ospedaliero il colore non è la panacea di tutti i mali, per cui più ne mettiamo e meglio è. Non è
così! Anzi, il colore è un’arma potente ma difficile e se non la
si sa padroneggiare, meglio non usarla, o utilizzarla comunque con molta cautela. Altrimenti il risultato paradossale
delle colorazioni inserite a piene mani e inopinatamente
nelle nostre strutture sarà quello di creare, prima o poi, una
sorta di rigetto.
Bisogna ammettere che di colore c’era un gran bisogno 15
o 20 anni fa, quando in sanità tutto si presentava asettico
e pallido con forte ritardo nei confronti del nord Europa e
degli USA. Oggi però di colorazioni - a dirla tutta - ce ne sono
6 HPH Gennaio-Luglio 2013
anche troppe, spesso mal assortite, a volte incongruenti e
addirittura urlate (Las Vegas style?); col risultato di avere a
volte ambienti addirittura volgari, sgradevoli, incongrui, con
colori che non riescono a raggiungere l’effetto desiderato.
Ricordiamo infatti che lo scopo delle nostre scelte d’Architettura dovrebbe sempre sostanziarsi in un maggior senso
di accuratezza, di rassicurazione per l’utente, di accoglienza
e di comfort: un risultato lontano quindi dall’effetto di riconoscibilità per un autore che si vuole distinguere!
Occorre anche ricordare che non tutte le zone di un Ospedale
offrono la stessa gamma di opzioni progettuali; una cosa è
la pediatria o l’ostetricia, con le loro necessità di stimolazione
sensoriale per un’utenza fatta di bambini o comunque non
malata, altro una zona di terapia per adulti, con esigenze di
gradevolezza ma anche - indubbiamente - di sobrietà e riposo.
Dopo anni di inserimenti più o meno calibrati di colore (dalle
tinte a muro e a soffitto ai pavimenti e rivestimenti murari,
dalle tende alle porte e finestre, alle vetrofanie, per finire con
gli arredi e addirittura coi macchinari biomedicali spesso
anch’essi portatori di colore), la situazione si è rovesciata nei
confronti di alcuni decenni fa, creando ormai i primi segni
d’una sorta di rigetto per mancanza di sobrietà. Il colore
insomma, una volta sacrosantamente entrato nelle nostre
strutture ospedaliere, si è come “decontestualizzato”; prima
si è imposto, poi ha dettato lui le regole, facendo passare il
messaggio - fasullo e un po’ greve - che comunque tutto e in
ogni caso, dev’essere colorato. Lo ripeto: non è così! e il colore,
diciamolo ancora, è un’arma potente ma difficile; se non se
ne sanno prevedere gli effetti, non va usata.
Chi mi conosce da anni e avesse, pur distrattamente, visto
qualche mia realizzazione potrebbe pensare a un paradosso
e dire: scrive di eccesso di cromatismi proprio chi più di altri
si è battuto per l’inserimento del colore! E’ vero, proprio chi
tante volte si era scagliato contro l’anonimia, la noia asettica
degli ambienti ospedalieri, contro la mancanza di cultura professionale per il colore che portava dritta dritta alla scelta del
bianco (la somma di tutti i colori, il non colore), ora si guarda
indietro e ripensa criticamente ai risultati attuali. Credo che
la spiegazione di questo apparente cambio di rotta (peraltro
sempre possibile e dignitoso, se sincero), è che occorre sceverare la scelta consapevole dall’atteggiamento stereotipato,
il sofferto criterio innovatore dal comportamento alla moda,
che ci porta solo a proposte affrettate di colori incoerenti.
Figura 1 Nella tabella i passaggi fondamentale per una breve storia dei colori nei nostri ospedali. Partendo da un’architettura
piena di colore dei tempi antichi, si passa nel secolo dei lumi a privilegiare il bianco per aiutare l’igiene. Gli interni ospedalieri
bianchi arrivano sino agli anni ’60 del 1900, quando inizia l’utilizzo dei cosiddetti colori ospedalieri (celeste, verde, crema,
con toni tenui). Dalla fine dello scorso secolo inizia invece un forte uso del colore, prima nelle pediatrie e zone nascita, poi in
tutti gli altri spazi. Negli ultimi anni si riflette invece sull’opportunità di mantenere simili quantità di cromatismi spesso mal
assortiti e non dominati dai progettisti, o se sia invece il caso di tornare a una maggiore eleganza e sobrietà.
Per tutto questo, dopo aver visto un buon numero di realizzazioni in Italia e nelle realtà più avanzate degli States e
d’Europa, oggi penso: troppo colore nei nostri ospedali! E a
questo punto, guardando e riguardando il layout delle ultime
realizzazioni, capisco che non è più opportuno proporre più
colore. Oggi il tema vero è: migliorare la qualità dei colori nelle
nostre strutture.
Il colore in Ospedale e la sua storia
Torniamo un attimo indietro negli anni e ripercorriamo come
si sono stratificati diversi comportamenti nella cultura progettuale di noi progettisti sanitari nei confronti del colore nei
nosocomi.
Come si saprà, il colore abbondava nell’Architettura del passato e quindi anche negli ospedali, o per meglio dire nelle
strutture dedicate anche al ricovero dei malati. Nelle strutture
dell’Egitto, di Babilonia, nei templi dell’Asklepio in Grecia e
nelle prime realizzazioni romane, sino ad arrivare negli spazi
dedicati al culto utilizzati dai primi cronicari e nelle prime
strutture di ricovero nel medioevo (dall’ Hotel Dieu a Parigi
a S. Maria Nuova a Firenze), ovunque regnava il colore, con
muri decorati da affreschi, a volte veri capolavori donati da
grandi pittori. Mi vengono in mente i muri ancora visibili affrescati in S. Maria della Scala a Siena, dono dei migliori artisti
per alleviare il dolore dei propri concittadini.
Poi la situazione cambia e dopo il Barocco e il Rinascimento,
partendo dal periodo dei lumi - per l’enfasi che comprensibilmente si inizia ad assegnare all’asepsi e all’igiene in generale
- strati di calce bianca copriranno per secoli quei colori. Da
quel periodo, tra il 16° e il 17° secolo, si arriva sostanzialmente
Gennaio-Luglio 2013 HPH
7
Progettazione
Figura 2 Un interno ospedaliero tipico degli anni intorno al
1970 in cui negli ospedali si colora tutto di celestino/verdino, i cosiddetti colori sanitari. Sono anni di forte riconoscibilità per gli spazi ospedalieri. Il colore viene utilizzato in
modo generalizzato sulle superfici (quindi senza risaltare, ad
esempio, con altre zone bianche o di altro colore) e quasi si
autoannulla per mancanza di contrasti.
PO Misericordia, Grosseto
Figura 3 Alla fine del secolo scorso, all’inizio pochi, poi sempre più progettisti sanitari percepiscono nuove esigenze; si
vuole uscire dalla connotazione ospedaliera, rompere i recinti dei tipici spazi sanitari e mancanza di colore, cercando
di offrire anche in ospedale un buon livello di comfort agli
utenti. Questo trompe l’oeil ben rappresenta la grande voglia di uscire dalla banalità e ripetitività degli spazi ospedalieri per aprirli a nuove sensibilità.
P.O. Misericordia, Grosseto
8 HPH Gennaio-Luglio 2013
senza colore fino alla metà del Novecento. Si ricorderà infatti
come durante il ventennio, il bianco sia stato considerato un
lavacro del poco colore residuo, con l’attenzione (quasi l’ossessione) per l’igiene e la mancanza di fregi. Il razionalismo e
la sua variante del futurismo, con l’enfasi per l’igiene, fanno
assurgere il bianco e la calce a una valenza quasi magica per
la loro semplicità ed economicità, per il nitore… Erano gli
anni, ricordiamolo, dell’ancora irrisolta lotta alla TBC e alle
grandi malattie infettive, polmonite compresa, che ancora
mietevano vittime ovunque, e il bianco continuava a essere
il colore principe in generale ed anche nei nostri ambienti
di cura.
La sociologia americana degli anni ’40 e del primo dopoguerra e le teorie sulla customer satisfaction riformulano i
criteri progettuali anche per il layout degli ospedali. Si affermano per prime negli USA nuove forme ospedaliere, introducendo i colori con forti riferimenti all’Hotel e ai suoi lussi
(mentre da noi, più tardi, il riferimento sarebbe stato ed è
più alla casa, alla civile abitazione). In Italia invece si prolunga
l’uso del bianco anche dopo le nuove conquiste nel campo
dei medicinali, segnatamente antibiotici. Ma anche qui gli
ospedali sarebbero ormai rimasti candidi ancora per poco:
negli anni ’60 si iniziano a introdurre in Italia delle leggere
colorazioni verdi, crema o azzurro chiare, i cosiddetti colori
ospedalieri o sanitari. E il verdino e il celestino connoteranno
l’immagine dei muri interni dei nuovi ospedali per i successivi trent’anni. Va anche notato come questi pur timidi colori
vengano utilizzati per grandi campiture, al posto del bianco
che sostituivano. Di fatto, a eccezione dei soffitti, si colorano
spesso tutte le murature verticali, col risultato che l’effetto
del colore si minimizza fin quasi a sparire, per il noto fenomeno per cui uno spazio colorato completamente tende a
non enfatizzare il colore stesso, quasi spegnendolo, mentre i
colori utilizzati in limitate partiture di muro e inframmezzate
da parti bianche o con altri colori, esaltano i toni scelti.
Siamo all’ulteriore svolta degli anni ’90, connotati in sanità
dalla aziendalizzazione; con ritardo nei confronti degli ospedali nord europei e ancor più nei confronti degli USA, si riattiva anche in Italia dopo secoli l’uso dei colori negli ospedali.
Prima timidamente e solo in certe zone dove la novità viene
tollerata, come Pediatria e Ostetricia, poi in modo sempre più
generalizzato. Poiché l’utente viene valorizzato a cliente, ci si
interroga su ciò che desideri intorno a sé durante la permanenza negli ospedali. Inizia la ricerca del consenso, e ciò che
non si era fatto per cultura progettuale e per mancanza di
sensibilità, s’inizia a fare per “accaparrarsi” il cliente. Il colore è
prima ammesso e poi ricercato negli spazi sanitari anche per
un senso in parte malinteso di ciò che l’utente potrebbe desiderare: come mezzo per accontentarlo e fidelizzarlo. Si intuisce che il giudizio sull’organizzazione che il paziente si farà è
potentemente influenzato anche dal livello di attenzioni e di
coccole che gli vengono dedicate… e voilà, ecco che insieme
Figura 4 Con l’introduzione dei cromatismi negli ultimi anni del ‘ 900, si usa il colore anche come provocazione: si vuol marcare il campo dalla precedente mancanza assoluta di colore negli ospedali. I toni scelti sono a volte urlati e privi di eleganza;
casuali, incongrui, indebitamente imposti agli utilizzatori. Se ciò si poteva capire all’inizio del fenomeno, per rompere anche
provocatoriamente un comportamento inveterato, diviene incomprensibile oggi, quando si sente il bisogno di una minore
casualità e maggiore professionalità nell’uso del colore.
St. Olav Hospital - Trondheim - Norvegia.
all’uso del colore si sdoganano anche tutti quei comfort veri
o ipotizzati per far star meglio il nostro utente; dall’uso del
telefono alla presenza di zone di ristoro, dalle zone di relax
finalmente ben arredate e non più residuali, all’attenzione
anche per i propri cari quando vengono a trovarlo, con attese
dedicate, intrattenimento con musica o televisione, orari per
accessi meno rigidi. Si avvera dopo anni ciò che la cultura
americana della customer satisfaction aveva teorizzato mezzo
secolo prima. Con l’uso dei questionari si chiede al cliente
cosa vuole e poi glielo si offre, così passando - quante volte
succede! - da un eccesso di austerità al suo perfetto opposto.
Chiedendo alla popolazione che cosa vuole, rischiamo infatti
fatalmente risposte che portano a tanto colore, anche chiassoso, scivolando verso un’architettura da chioschi di bibite
di Coca Cola, tutta insegne e lucine colorate. E’ quell’effetto
luna park di cui si sono occupati tanti autori americani ma
che oggi tocca anche noi, col suo immancabile corollario di
scelte che sfociano nel kitsch.
Per motivi più o meni nobili, come si è visto, si hanno quindi
dalla fine del secolo scorso i primi timidi inserimenti del colore in strutture ancora fredde e asettiche. E il passaggio è
forte, netto, dal bianco o dai colori verdino e celestino a un
uso forte del colore: i gialli, gli arancio, i rossi… Anche, a volte,
i terribili azzurri, con varianti lilla, ciclamino, viola. Queste
tinte violente, difficili da accostare, serviranno a demarcare
il campo dalle vecchie realizzazioni, provocando comunque
una reazione, rompendo anche simbolicamente col non colore e coi toni spenti del passato. Ma se questo si può capire
nel momento della rottura con la situazione precedente, non
si coglie cosa possa significare oggi, stante l’eccesso di colori
e gli accostamenti cromatici incongruenti spesso presenti
intorno a noi.
La situazione attuale: troppo colore, toni
casuali, poca capacità professionale di
gestire gli accostamenti cromatici
Tornando a quegli anni di fine ventesimo secolo in cui si
inseriscono nuovi colori dopo tanto biancore, non si pensi
però che questo passaggio sia stato allora facile e indolore;
chi come me da questa strada è passato, sa quanta ostilità ci
fosse all’inizio nei confronti delle prime reintroduzioni del colore e di un’architettura non più spersonalizzante, ma calda,
arredativa, con un forte riferimento all’abitazione. Quante
battute ostili, ai limiti dell’irrisione abbiamo dovuto sentire,
e quanti anni sono dovuti passare perché fossero prima accettati e poi richiesti questi nuovi spazi de-ospedalizzati non
solo in Pediatria e Ostetricia, ma in ogni altro spazio. Già, ogni
altro spazio, perché oggi è pacifico ciò che allora non lo era:
ovunque in Ospedale, anche nelle sale operatorie - baluardo
della tecnologia - c’è bisogno, insieme all’ovvia attenzione
per l’igiene, di illuminazione naturale e di cura ed eleganza
anche nei colori per chi là passa tante ore.
Mi ricordo, del periodo dei contrasti e delle incomprensioni,
alcune argomentazioni dei convinti assertori dell’architettura tradizionale. Questi, al mio ipotizzato legame tra colore
e umanizzazione, ribattevano che il colore e l’attenzione
all’estetica in senso lato, essendo per loro natura soggettivi
(quindi in qualche modo privi di valori generali), erano da
Gennaio-Luglio 2013 HPH
9
Progettazione
evitare per l’alto rischio di non gradimento che portano con
sé. Per anni ho ripensato al concetto, riconoscendogli comunque almeno un senso. Poteva infatti esser giusto nella
sua accezione di cautela: in fondo gli spazi sono di tutti,
soprattutto di chi vi sarà ospitato, non sono del progettista
né di qualche estroso primario! E non è quindi eticamente
corretto imporre in ambito ospedaliero una propria visione,
se c’è il rischio reale di differenziazione forte da un comune
e condiviso senso del bello. Con gli anni mi si è chiarito però
che quelle posizioni coprivano anche una carenza mai ammessa a livello professionale. Il colore? No, per carità, non
inseriamolo, non saprei come fare, sbaglierei tutto! Si usava
solo il bianco, quindi, non per vera scelta; semplicemente,
tristemente, per non sbagliare. Cosa sarebbe stato dell’Architettura e della sua storia se questo principio di cautela
avesse sempre e comunque prevalso? Dal Rinascimento ai
nostri tempi, non è proprio insito nell’arte e nella ricerca del
bello il rischio di sbagliare, imparando dagli errori?
Comunque, con i primi anni ‘90, come si è visto, inizia anche
da noi l’inserimento del colore caricandolo del valore simbolico del cambiamento; e qui occorre chiedersi: chi faceva
queste operazioni? Chi erano gli attori del cambiamento? In
realtà erano spesso professionisti sensibili al nuovo, ma con
alle spalle il nulla. Come si sa, infatti - ma qui si entra in un
argomento che ci porterebbe lontano e a cui solo accennerò
- le facoltà universitarie da tempo non danno strumenti sufficienti sull’uso dei colori, fatta eccezione per pochi corsi sporadici. Quindi il collega Architetto, Geometra o – più raramente
– Ingegnere, che decide di entrare nel mondo del colore, o ha
per sua particolarissima storia incrociato l’argomento da altre
angolazioni (industrial design, moda, pittura, arredamento)
oppure si trova solo davanti a un nuovo mondo. Anche per
questo l’uso del colore è stato spesso ingenuo e non controllato e il percorso per un uso accorto e consapevole del
colore è stato lungo e costellato d’errori. Intendiamoci: in un
certa misura, almeno all’inizio, non poteva che essere così.
Quante volte posso dire d’aver sbagliato e, ripensandoci, mi
dico: dovevo essere più cauto… e in ogni caso una certa dose
d’ingenuità iniziale non mi stupisce: è del tutto concepibile,
all’inizio; mi delude il livello attuale delle scelte sui colori, a
quasi vent’anni dai primi inserimenti cromatici nelle nostre
strutture.
Ricapitolando: l’esperienza della colorazione, se ha avuto il
vantaggio di rompere col passato, non ha ancora prodotto
nelle nostre realizzazioni una nuova, acquisita cultura progettuale. C’è ancora troppa improvvisazione e poca capacità di
elaborare cultura di progetto, con tinte spesso incongrue e
addirittura fastidiose a un occhio attento. In altre parole l’ambito del colore, pur accettato e oggi ricercato, non è divenuto
sistema; è rimasto pur sempre un ambito residuale del progetto, a latere: una spruzzatina di colore qui, un’iniezione cromatica alla fine delle lavorazioni, semmai perché così vuole
10 HPH Gennaio-Luglio 2013
il Direttore, il Primario o la Caposala. Senza troppo pensare,
senza un progetto ad hoc, senza un vero piano del colore,
senza - soprattutto - una figura di esperto nel layout finale che
tutto coordini e sappia prefigurare. La figura che, nelle scelte
per le tinte, nei colori degli infissi, delle tende, degli arredi e
nelle finiture anche dei complementi di arredo (i quadri alle
pareti si inseriscono attentamente, non casualmente!), riesce
a prevedere e armonizzare l’effetto finale come il prodotto
delle innumerevoli scelte durante i lavori.
Il responsabile del layout finale e i piani
del colore. Colori e musica
Questa nuova figura s’impone. Non occorre individuarla a
livello di legge, non penso a un’altra figura giuridica accanto
a quelle che secoli di esperienza nei lavori ci hanno consegnato (Progettista, Direttore dei lavori, Collaudatore, RUP,
ecc… ) ma semplicemente a un esperto nel layout finale che,
affiancando la squadra già presente e in accordo con questa, riesca a creare un’armonia con tutti gli strumenti solisti
che oggi s’affollano a colorare i nostri ambienti. Ovviamente
la figura sarà da individuare solo se non già presente nella
squadra che dirige i lavori. Mancando il coordinatore del Layout finale, tutti i materiali che entrano nell’ultimo periodo
dei lavori in cantiere (pannelli per pareti prefabbricate e rivestimenti murari, pavimenti e zoccolature, corrimano, pitture
e controsoffitti, infissi e serrature, vetri e vetrofanie, arredi e
complementi d’arredo, ecc… ) si riveleranno immancabilmente casuali, incongrui, con accostamenti tra materiali e
colori che stridono, deludono, non convincono. Negli ultimi
anni, quando mi sono trovato a interpretare questa nuova
figura, ho invece tentato di contrastare questa casualità ca-
cofonica, provando a procedere in modo più armonico e
consapevole.
Prima di tutto, nella fase dei lavori in cui i fornitori chiedono
le specifiche (materiali, colori) dei materiali ordinati, occorre
elaborare i piani del colore, vere tavole riassuntive delle specifiche interfacce nei vari ambienti. In queste tavole a colori
si prende atto delle scelte già effettuate, se ve ne sono state,
e in armonia con queste si fanno le scelte cromatiche per
ogni altro oggetto da inserire. Graficamente occorrerà individuare apposite tavole che restituiranno a colpo d’occhio
le fondamentali scelte di colore fatte. Dico a colpo d’occhio
in quanto sia i file CAD su monitor che quelli poi stampati
dai plotter, non riusciranno a restituire correttamente le varie
sfumature, ma solo a dare una prima idea dell’effetto finale,
mentre i dettagli di sfumature nelle colorazioni saranno
garantiti solo dall’individuazione con sigle specifiche (ed
esempio gli specifici numeri Ral). Ricordiamoci anche che
ogni colore scelto in campione con una certa luce, risulterà
immancabilmente diverso una volta sui muri, in quel certo
contesto e con quella luce (potremmo continuare: a quella
certa ora, con luce diretta o di rimbalzo, con luce diurna o
artificiale notturna, con o senza dominati di colore intorno
ecc… ). In realtà certi programmi di renderizzazione d’ultima
generazione si avvicinano alla meta, ma rimane pur sempre il
grosso problema della calibratura dei monitor…
A proposito delle citate sigle RAL, occorrerebbe anche fare
una digressione sull’acerbità dell’ambito dei colori, dimostrata dalle diverse e mai univoche catalogazioni (Pantone,
CMYK, RGB, Ral, Sikkens, ecc… ). Qui il problema sta nelle difficoltà tecniche di passaggio dall’uno all’altro sistema; si pensi
solo al sistema RGB - nato per la colorazione dei singoli pixel
Figura 5 e 6 Pur rimanendo ancora in ambiti cromatici, negli
ultimi anni gli interventi tendono a non usare più colorazioni
urlate o incongrue, utilizzando i piani del colore e profondendo grande impegno per mantenere in armonia le varie
tonalità (sino alla scelta dei quadri alle pareti). Per ottenere
questi risultati è utile utilizzare la nuova figura del Responsabile del Layout, ampiamente descritta nell’articolo.
PO Misericordia, Grosseto. Pronto soccorso. Prog. Area Tecnica az.le.
del monitor - con il CMYK, creato invece per dosare i colori
nelle stampanti. In ogni caso chi fosse interessato a sapersi
muovere in questa babele e in particolare alla corretta denominazione dei colori con una informativa sulle molte possibili
sfumature, può scaricare, digitando in Internet “tabella colori
interattiva”, le varie sfumature di colori in italiano nel sistema
RGB esadecimale, che permette di vedere l’intero schermo
colorarsi cliccando su ogni sfumatura di colore. Il vantaggio
è una migliore conoscenza dei colori in ben 240 sfumature,
lo svantaggio, appena ricordato, è che con la retroilluminazione e mancata calibratura dei monitor il risultato non sarà
mai perfetto. Tornando ai piani del colore, nella cruciale fase
delle scelte consiglio anche di coinvolgere altri interlocutori
tra gli attori dell’opera; questo perché, se è indispensabile che
il decisore sia per definizione unico, le scelte si giovano assai
di brevi scambi di opinioni e diversità di gusti. Ciò diminuisce,
tra l’altro, il rischio di accostamenti non graditi o comunque
poco compresi dall’utenza, pericolo sempre in agguato in
questo tipo di scelte.
Per implementare un piano del colore valido e condiviso,
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11
Progettazione
ARCHITETTI, TOCCA A VOI RIFARE IL MONDO
Voglio porre l’architettura al centro delle nostre scelte politiche.
L’ architettura ha un ruolo primario nel destino individuale e
collettivo degli uomini: non solo lo traduce e lo interpreta, ma
lo condiziona. L’ architettura disegna le nostre mura, le nostre
finestre, definisce il nostro ambiente di vita, orienta i nostri spostamenti, modifica i nostri rapporti con lo spazio e con gli altri.
Con l’architettura, diceva Paul Valery, “noi stiamo, ci muoviamo,
viviamo nell’opera dell’uomo”. E’ il contatto più immediato dei
cittadini con l’arte, con la storia, con la creatività. Questa Città
rappresenta in verità il nostro Paese intero, il territorio dei nostri valori, dei nostri riferimenti, delle nostre speranze - in una
parola, il luogo della nostra identità. Un’identità the affonda le
sue radici nelle nostre regioni, e al tempo stesso si esprime nell’
universalità di una cultura aperta al mondo, magnificamente
riassunta nell’ opera dell’architetto sino-americano venuto a
costruire una piramide nel cuore stesso del Louvre. L’identità
non è sinonimo di chiusura. Questa società esiste e si perpetua
grazie al cemento e ai legami della cultura, e il patrimonio culturale ne è l’illustrazione più visibile e durevole. La nostra epoca
è caratterizzata dal trionfo della scienza e della tecnologia, ma
al di là degli straordinari universi virtuali creati dall’informatica,
rischiamo sempre più di perdere la nozione delle tracce che lasceremo nella storia. Non sono favorevole a una concezione utilitaristica della cultura. Non credo che la cultura sia una semplice
merce. Il teatro, la musica, il patrimonio culturale, l’architettura, il
cinema, l’arte e gli artisti vanno sostenuti per ciò che sono in sè,
per quanto ci danno sul piano dei significati, della speranza, o
anche semplicemente del piacere. La cultura non è un’aggiunta,
un “supplemento d’anima”, è l’anima stessa della civiltà. La dimensione spirituale non è separabile da quella materiale. L’arte,
la cultura, l’architettura sono parte integrante delle condizioni di
che bisogna fare? Occorre qui rimandare alla sensibilità, alla
curiosità, alla formazione professionale, all’esperienza; oltre
a questi indispensabili ingredienti si possono però fornire un
paio di sistemi che l’esperienza ci ha confermato validi. Un
buon modo per attivare scelte sui colori è partire da uno o
due colori fondamentali, ben accostati tra di loro, di sicuro e
gradito impatto, che ricorrano poi in tutta la realizzazione o in
quanto tali o, soprattutto, nelle molte variazioni e sfumature
possibili. Il segreto è gestire le scelte e non farsi travolgere da
esse. Nell’uso del colore o di molti colori non si può sperare
che le varie tonalità staranno comunque bene insieme; raggiungeremo una certa armonia e bellezza cromatica solo se
gestiremo i processi, saremo aderenti alle idee iniziali senza
farci travolgere nelle varie scelte e senza eccedere nelle variazioni tonali. Ricordiamo sempre che se partiamo anche
semplicemente con un solo colore o con variazioni su un paio
di colori ben accostati - che so, alluminio e beige o celeste
12 HPH Gennaio-Luglio 2013
spirito della società; esprimono la sua visione del mondo, il posto
che riserva all’uomo. E ciò è particolarmente vero per l’architettura, che si colloca al crocevia di tutte le tecniche, di tutti i saperi,
di tutte le credenze, nel cuore stesso del rapporto col tempo e
con lo spazio, dell’immaginario che unisce, o che dovrebbe unire
i membri di una stessa comunità umana. E’ testimonianza di
un passato comune e di una proiezione verso il futuro. E una
politica dell’architettura, come ogni altra politica culturale, deve
tener conto allo stesso modo delle due facce del problema: il patrimonio culturale e la creatività. Potremmo dissertare a lungo
sul ruolo filosofico dell’architetto, ma è mia intenzione parlare
di politica. Perché l’architettura è anche politica, e anzi si colloca
al crocevia delle politiche culturali, economiche, urbanistiche,
abitative, ambientali... E’ questo il motivo per cui, nel momento
stesso in cui i valori collettivi sono minacciati e la competizione
mondiale tra i territori giunge al suo culmine, io vorrei dare alla
politica dell’architettura del nostro Paese una nuova ambizione,
un nuovo afflato creativo. Ecco ciò che vorrei dire agli architetti
di oggi: voi avete una sfida fantastica da raccogliere: quella di
sviluppare la vostra creatività in un universo stretto da vincoli
economici, portato dalla sua inclinazione naturale a normalizzarsi, a formattarsi, a seguire sempre il principio di precauzione.
Se questo principio fosse stato applicato all’architettura, alcune
meraviglie non avrebbero potuto nascere.
Naturalmente non ho nulla contro il principio di precauzione.
Mi limito a constatare un fatto. Cosa distingue oggi la maggior
parte dei grattacieli di Shangai da quelli di São Paulo, di Città
del Messico o di Singapore? Qual’è la differenza tra i quartieri
di villette delle periferie di Parigi e quelli di Lione, di Bordeaux o
di Marsiglia? Come preservare le identità nazionali e regionali,
quando la pressione demografica impone di trovare soluzioni
che ovviamente devono essere rapide ed economiche?
Come resistere all’appello di chi propone edifici standard da scepolvere e caffellatte - potremo, pur con variazioni sul tema,
trovare una buona armonia di risultato.
Ricordiamo anche che nella scelta dei colori ci sono fondamentalmente due approcci possibili: si può infatti lavorare
per armonia o per dissonanza. La seconda ipotesi va però
relegata a casi particolari e implica una tale padronanza della
gestione dei colori da farmi pensare che se non siamo artisti
di chiara fama è meglio lasciar perdere le provocazioni con
colori dissonanti. Abbiamo detto dissonanza, nota di colore, armonia, cacofonia; e già la terminologia usata sinora
dimostra le somiglianze con l’ambito musicale: anche nella
musica occorre trovare un’armonia finale partendo da molte
scelte soliste; e cosa farebbero i vari strumenti se qualcuno
non li sapesse dosare e legare l’uno all’altro in una idea sola,
in un’unica armonia? E ancora, come nell’approccio ai colori
per dissonanza appena citato, si può comporre anche musica
dissonante, cacofonica, che apparentemente stride nel con-
gliere in base a un catalogo, a prezzi imbattibili - una sorta di
“prêt a habiter” con eventuale giardinetto come optional?
La ricerca della bellezza architettonica è una sfida al più alto
grado culturale e umanistico. In passato, spesso l’inferno delle
città era lastricato con le migliori intenzioni. Si può rammaricarsi ad esempio degli eccessi del “funzionalismo”, sinonimo
di frammentazione degli spazi in zone abitative e produttive
... E quest’ideologia si ravvisa tuttora nel modo in cui vengono
concepiti i documenti urbanistici. lo mi auguro dunque che le
regole edilizie e urbanistiche lascino più ampi margini alla scelta
dei mezzi per conseguire gli obiettivi: siamo arrivati a un limite
massimo in fatto di vincoli, ma in questo modo si finirà per soffocare ogni creatività, ogni possibilità innovativa. E’ venuto il momento di tornare a un’architettura umana, sensibile, creativa,
attenta alle caratteristiche di ciascun territorio, alle abitudini di
vita delle popolazioni, alle particolarità del clima e dei paesaggi
naturali...
A un’architettura che parta dall’analisi del reale per inserirvi
una forma, invece di calare sulla realtà uno schema prestabilito. Il progetto di Jean Nouvel per la Philharmonie de Paris ne
costituisce un esempio nuovo e vibrante, e io farò di tutto perché questo piano possa andare in porto. Per quanto riguardala
regione parigina, vorrei proporre, al di la delle nostre differenze
d’opinione, una riflessione su un assetto globale della Grande
Parigi. Mi corre l’obbligo di portare avanti quest’idea, anche se
naturalmente non voglio contestare la responsabilità dei sindaci - sono stato anch’io sindaco per vent’anni. Ma guardiamo
a quanto si è fatto di grande cinquanta o sessant’anni fa. Allora
non si è avuto timore di guardare al futuro. Non è questione
per noi di pensare ai prossimi sei mesi, ma al secolo che ci si
apre davanti. I committenti dovrebbero sempre preoccuparsi
della qualità dei progetti, e circondarsi di architetti in veste
di consulenti. Ma e altrettanto importante che anche i privati
agiscano in base a questo principio. Oggi in Francia, l’83% delle
abitazioni individuali si costruiscono senza il contributo di un
architetto:un dato che la dice lunga sullo scarso riconoscimento
di questa professione. Il risultato è naturalmente un tendenziale
impoverimento della diversità, oltre al degrado dei paesaggi,
aggravato dal moltiplicarsi delle “aree d’attività” nelle periferie
delle città: un vero scandalo. Come se fosse normale imbruttire
le periferie per mantenere splendido il cuore delle città: non è
un ragionamento repubblicano. Perciò dobbiamo promuovere
le ragioni dell’architettura presso gli acquirenti, i promotori e i
sindaci. Dimostreremo cosi che l’innovazione e la creatività non
sono riservate a un’élite, ma possono essere accessibili all’intera
popolazione. Come vediamo, lo sviluppo armonico del nostro
patrimonio culturale- di ieri e di domani- e davvero una questione che ci riguarda tutti. E proprio per questo ci deve essere
sempre, oggi come ieri, uno stretto legame tra educazione e
cultura. In “Eupalinos ou l’Architecture”, Paul Valery chiedeva:
“dimmi se tu, sensibile come sei agli effetti dell’architettura, hai
mai osservato, passeggiando per questa città, che molti dei suoi
edifici sono morti, mentre altri parlano, e alcuni infine, assai più
raramente, cantano?”
L’architettura è l’identità del nostro Paese per i cinquant’anni a
venire. Ed è quindi del tutto normale che in quanto capo dello
Stato, io mi impegni appieno nella missione di restituire all’architettura la possibilità di essere audace. Perché se voi, signore
e signori architetti, avete il gusto dell’audacia, ma non ne avete
più la possibilità - quanto meno in un Paese come la
Francia -, io vorrei ridarvela, questa possibilità.
testo ma che poi, a una migliore comprensione, può essere
accettata e anzi apprezzata (Prokofiev, Gershwin). E come
nella musica, tutto il processo di ricerca della armonia può
partire da alcune semplici note iniziali che poi si inseguono
e si ripetono, collegandosi poi con tutte le altre note incontrate nel percorso. Ancora: non si chiamano “note di colore”le
tonalità delle colorazioni? E non diciamo “colore di un suono”
per dare un’accezione più qualitativa a una certa musica? Potremmo andare avanti così per molto tempo ricordando che
si parla di consistenza materica per le colorazioni e di timbro
per descrivere la pastosità di un suono. Troppo facile a questo
punto paragonare in qualche modo il responsabile del layout
finale che lega i vari interventi cercando la sintesi dell’immagine finale alla figura del maestro d’orchestra, senza la cui
capacità di unire e armonizzare, i suoni resterebbero slegati
e incongrui. Un ulteriore criterio da ricordare è quello per
cui il colore, nei vari ambienti, andrà usato in modo solo
parziale e con campiture tanto minori quanto più acceso si
presenta il colore stesso. Detto in altro modo: nessun colore,
per quanto piaccia al progettista o all’utilizzatore, può essere
inserito in tutta la superficie muraria di una ambiente o di un
gruppo di stanze: il risultato sarebbe disastroso o - nella migliore delle ipotesi - stancante. Se si volesse inserire un unico
colore ovunque, va ricordato che solo il bianco consente di
essere usato diffusamente. Sono forse inseribili tinteggiature
complete con tonalità chiarissime, ma debbono essere colori
davvero tenui per poter dare un risultato gradevole.
Quindi, una volta analizzate le variabili in gioco (ambientazione, tipologia degli utenti ospitati e del personale
presente) anche dal punto di vista delle soft qualities (le
varie scelte dell’interfaccia a livello di luci, colori, materiali),
condividendo il percorso anche con altri interlocutori, si
fanno, come visto, le varie scelte su colori e tonalità. A quel
punto ci sarà ancora da presidiare che gli eventi si svolgano
Vi ringrazio.
Nicolas Sarkozy
da “La Repubblica” del 19 settembre 2007
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Progettazione
Figura 7 e 8 Che diritto ha il progettista a inserire colori dissonanti e cacofonici, “violentando” per molto tempo il personale
che in quegli spazi lavora e gli stessi utenti? Non è forse opportuno ricercare una nuova cultura del colore meno urlato, più
professionale, evoluto, elegante? E’ ciò che sta succedendo negli ultimi anni nelle realizzazioni sanitarie come evoluzione
dall’uso indiscriminato del colore. Centro di cura Villa Ragionieri, Firenze. Prog. CSPE .
davvero come programmato, evitando imput imprevisti e
cercando assolutamente di impedire cambi di materiali e
colorazioni all’ultimo momento, che mettono in crisi tutta
l’armonia ipotizzata. Nel caso in cui ciò non fosse possibile
e si dovessero giocoforza inserire colori tardivi imprevisti, si
dovrà, con pazienza e dedizione, riverificare e riconiugare
tutte le scelte che è ancora possibile variare. Per affinarsi
via via all’uso del colore occorrerà anche essere curiosi ed
osservarne l’utilizzo ovunque: dalla fotografia di un bel
film, alla grafica su giornali e riviste, alle opere d’arte (da
quelle classiche alla street art); interrogarsi, discuterne,
confrontarsi, cercando appena possibile di conoscere le
ultime realizzazioni.
Negli anni occorrerà poi espandere la sensibilità acquisita
al maggior numero di colleghi possibile, mettendoli alla
prova, accettando e rispettando anche le loro scelte. Questo
atteggiamento di apertura è particolarmente importante,
in quanto la trasmissione di questi ambiti di gusto e conoscenza è talmente lunga e difficoltosa, da richiedere a tutti
noi un grande impegno: ci vogliono anni di dedizione e
14 HPH Gennaio-Luglio 2013
prove, anche di errori, per passare un po’di sensibilità nell’uso
delle colorazioni a colleghi pur predisposti. Termino con un
elenco riassuntivo delle indicazioni appena fornite, per meglio memorizzare i concetti fondamentali:
••partire, nei piani del colore discussi coi colleghi, da un’idea
iniziale con uno o due colori ben intonati e inserire via via,
negli altri componenti, solo le tonalità che si abbinano
armonicamente, procurando che non si verifichino inserimenti incongrui
••lavorare per assonanza (toni congrui, unendo colori caldi o
freddi solo fra di loro; in musica: armonia) e non per dissonanza (colori tra loro lontani o toni caldi e freddi insieme
come provocazione; in musica: dissonanza, cacofonia)
••usare i colori forti - se proprio li si vogliono usare - solo in
spazi limitati, usando tonalità tenui in spazi maggiori. Solo
il bianco, a mio parere, può essere utilizzato sempre e per
qualunque estensione.
Considerazione finale: con l’uso del bianco, tra l’altro,
avremo altri due vantaggi. Innanzitutto facilità ed economia nelle manutenzioni, poi la possibilità di inserire, a
Progettare per la sanità, novembre/Dicembre 2006, L’umanizzazione degli spazi ospedalieri, Fiorella Spinelli
Progettare per la sanità /106, Progettare le soft quality negli
ospedali pubblici, Claudia Raimondo
Academy of Marketing Science Journal 1996, The effects of
the service environment on affect and consumer perception
of waiting time: an integrative review and research propositions, Julie Baker, Michaelle Cameron
Mondo sanitario 9/2007, La qualità percepita dall’utente
nelle prestazioni di accoglienza e comunicazione. La valutazione della customer satisfaction., Michela Nocetini, Daniela Ciuffi, Cecilia Quercioli
Progettare per la sanità /68, Il progetto delle “soft qualities”
nell’edilizia ospedaliera, Alessandro Lenzi, Raffaele Boccaccini.
Articoli on-line
The Psychology of Waiting Line David H. Maister
L’architettura nel dolore: il difficile cammino verso una specificità socio sanitaria Alessandro Lenzi
La nuova immagine dell’ospedale. Atti del convengo “Centralità del cittadino nel percorso del comfort alberghiero,
dell’umanizzazione e dell’accoglienza” Bologna, Settembre
2001 “Il nuovo layout ospedaliero” Alessandro Lenzi
Atti del Convegno - L’ospedale del terzo millennio -, 4a edizione, Alba (CN) . Anno 2008
livello di arredi e complementi di arredo, colori anche non
perfettamente congruenti. Insomma, su una base bianca
si può tollerare qualche errore o incongruenza cromatica,
se si parte invece da spazi colorati, questi errori saranno
molto più visibili.
Diciamolo chiaro: il bianco “perdona” immissioni di colore
anche impreviste, il colore mai!
Chiosa: cosa c’entra Sarkozy? Per i giovani
progettisti: occorre sperimentare,
occorre il coraggio di sbagliare
Si riporta nel riquadro il discorso tenuto nel 2007 dall’allora
presidente francese N. Sarkozy in occasione dell’inaugurazione della città dell’Architettura a Parigi. Nonostante gli
anni trascorsi mi pare attualissimo e molto interessante
conoscerlo, sia per capire come in Francia si tenga in considerazione la parte estetica dell’Architettura (un vero
problema nazionale!), sia per l’appello ai giovani di sperimentare, sbagliare e recuperare gli errori. Esercizio senza
il quale non esisterebbe innovazione né - per definizione
- alcuna forma d’arte.
Bibliografia
Articoli da riviste specializzate:
Progettare per la sanità /41, Gli ospedali americani, dal
mito alla realtà, Alessandro Lenzi
Testi
Stefano Capolongo, Edilizia ospedaliera, approcci metodologici e progettuali, Hoepli, Milano, 2006
Antonella Delle Fave, Sergio Marsicano, L’umanizzazione
dell’ospedale-Riflessione ed esperienze, Franco Angeli, Milano, 2004
Terence Richard Lee, Psicologia e ambiente, Zanichelli, Bologna, 1978
Sergio Marsicano, Abitare la cura, riflessioni sull’architettura
istituzionale, Franco Angeli, Milano, 2002
Patrizia Mello, L’ospedale ridefinito, Alinea Editrice, Firenze,
2000
Donatella Ravizza, Progettare con la luce, Franco Angeli,
Milano, 2001
Maurizio Rossi, Design della luce. Fondamenti ed esperienze
nel progetto della luce per gli esseri umani, Maggioli Editore,
Santarcangelo di Romagna, 2008
Fiorella Spinelli, Eva Bellini, Paola Bocci, Raffaella Fossati, Lo spazio terapeutico, un metodo per la progettazione
degli spazi ospedalieri, Alinea, Firenze, 1994
Jorrit Tornquist, Colore e luce. Teoria e pratica, Istituto del
colore, Milano, 1999
Chiara Scaldaferri, Chiara Tentori, Alice Sombrero, Benessere e comfort in ambito sanitario. Università degli studi
di Genova, 2009.
Gennaio-Luglio 2013 HPH
15
Progettazione
F. Camorani*, M. Cavazzuti*,
B. Frascari*, A. Caviglia**
I NUOVI LABORATORI DI GENETICA MOLECOLARE
NEL SITO STORICO DELLA CA’ GRANDA:
Evoluzione della medicina a confronto
Il Padiglione Invernizzi, nuova sede dell’Istituto
Nazionale di Genetica Molecolare prossima
all’inaugurazione, si colloca in area Policlinico in
via Sforza nel centro storico di Milano, sull’area
di sedime di un preesistente padiglione demolito.
Ospiterà laboratori di ricerca e clinici con livello di
rischio biologico 2, nonché spazi per uffici e locali di
supporto. Saranno inoltre presenti aree ad elevata
tecnologia quali la crioconservazione della Cord Blood
Bank, i laboratori INGM a livello di contenimento
biologico 3 e la Cell Factory Franco Calori, con camere
bianche secondo standard GMP dedicate a produzioni
farmaceutiche avanzate di tipo sperimentale. Anche
dal punto di vista impiantistico e dell’involucro
edilizio l’edificio sposa tecnologie innovative, al fine
di contenere al massimo i consumi energetici per una
destinazione d’uso particolarmente energivora.
PAROLE CHIAVE
Biosicurezza, progettazione, ricerca clinica, terapie cellulari
*Politecnica Ingegneria e Architettura Scrl
** Infrastrutture Lombarde Spa – Segretario Scientifico Siais
INTRODUZIONE
L’Ospedale Maggiore Policlinico, oggi Fondazione IRCCS Ca’
Granda, nasce nel 1456 come grande ospedale di Milano per
volere del Duca Francesco Sforza. Alla fine del XIX sec. Inizia,
sull’altra sponda del naviglio, l’edificazione che porterà all’abbandono delle storiche crociere per la realizzazione di un
nuovo nosocomio secondo il modello a padiglioni (cit.“La città
dei Padiglioni”) già ampiamente codificato e sperimentato a
livello europeo, così come le proposte di Florence Nightingale
per l’impianto del singolo padiglione. Nel 2000 viene firmato
l’Accordo di Programma che, dopo ampia discussione, ne definisce la completa ricostruzione mantenendo il sito originario
nel centro di Milano. Il concorso di progettazione del 2007 individua la realizzazione delle aree mediche e materno-infantile a complemento di progetti già iniziati; tra questi assume
particolare importanza per l’area della ricerca il progetto per
la nuova sede dell’Istituto Nazionale di Genetica Molecolare. Il
nuovo edificio, che verrà inaugurato a marzo 2013, è destinato
16 HPH Gennaio-Luglio 2013
a laboratori per la ricerca scientifica in ambito medico e sorge
su viale Francesco Sforza, all’interno dell’area del Policlinico, al
posto del preesistente edificio ‘Convitto Infermiere’. Ospiterà
la sede dell’Istituto Nazionale di Genetica Molecolare (INGM),
nonchè alcuni dipartimenti di primaria importanza della Fondazione IRCCS Ospedale Maggiore Policlinico, Mangiagalli e
Regina Elena di Milano, nell’ottica di una piena sinergia tra le
aree di ricerca dei due enti.
Infatti nell’edificio sono previste le seguenti funzioni:
••il Dipartimento trasfusionale e di riferimento per il trapianto
di organi e tessuti, che ne occupa il piano interrato e l’ultimo piano (il quinto) con il Centro Risorse Biologiche e con
il Nord Italia Transplant (NITp) che occupa la porzione sud
del primo piano;
••l’Istituto Nazionale di Genetica Molecolare che occupa la
restante porzione del primo piano, il secondo, il terzo e il
quarto piano (con laboratori di tipo BL2 e BL3);
••La Cell Factory “Franco Calori” al piano quinto
••attività collettive e funzioni amministrative ubicate al piano
terra;
••Cord Blood Bank (crioconservazione), magazzini dei materiali d’uso, locale irradiatore e laboratorio radioisotopi al
piano interrato.
INSERIMENTO NEL CONTESTO
L’area dell’intervento si colloca in un ambito urbano molto rilevante per quanto riguarda gli aspetti storico-architettonici:
sull’altro lato della strada la Ca’Granda, progettata dal Filarete
quale sede dell’Ospedale Maggiore di Milano e oggi sede
dell’Università degli Studi; accanto il Padiglione Marangoni,
palazzo seicentesco ristrutturato con canoni neoclassici nei
primi anni dell’ottocento, con il quale la nuova struttura si
rapporta a livello funzionale, visivo e spaziale; gli altri padiglioni ospedalieri circostanti, realizzati a inizio ‘900.
Per un armonico inserimento cromatico nel contesto, il progetto fa propria la specifica indicazione della Commissione
Edilizia, circa l’impiego di una pietra chiara nelle facciate
ventilate esposte a nord, nord est e sud est, realizzandoli con
un rivestimento in pietra naturale sui toni ocra chiari (pietra
gialla di Provenza).
ASPETTI ARCHITETTONICI
Il progetto architettonico si è sviluppato muovendosi all’interno di due principali linee ispiratrici:
••da un lato la volontà di leggere con attenzione, e quindi
comprendere in profondità, il contesto urbano con cui l’edificio entra in relazione;
••dall’altro la necessità, peraltro indicata in modo esplicito anche dalla Committenza, di rappresentare in modo convincente la missione a cui è destinato l’edificio, individuando
elementi di identità formale che permettano una chiara
leggibilità dell’edificio e dell’attività di ricerca scientifica in
esso ospitata.
Fin dalle fasi progettuali è stata evidenziata la necessità di
una forte relazione tra il nuovo fabbricato e l’adiacente Padiglione Marangoni, sia a livello funzionale sia sotto il profilo spaziale, visivo e simbolico. Il nuovo edificio, pensato e
disegnato come se fosse una sorta di Vascello della Ricerca,
è stato realizzato previa demolizione di un edificio esistente,
di cui si è conservato il volume interrato per evitare nuovi
scavi, vista la presenza di un vincolo archeologico sull’area.
La conformazione planimetrica dell’intervento conferma
dunque l’impianto a ‘L’ del vecchio edificio novecentesco,
mantenendo il perimetro della grande corte compresa tra
il nuovo edificio e il Marangoni, connotata da una forte presenza di verde, potenziandone il ruolo di spazio di relazione e
di collegamento. Il progetto architettonico ha preso le mosse
da due principali assunti:
••l’edificio ha l’ambizione di riassumere i concetti chiave alla
base della ricerca scientifica: sperimentare, osservare, co-
municare; sperimentare significa assorbire nell’architettura
alcune componenti tecnologicamente avanzate e innovative; osservare significa, a scala architettonica, permettere
che dall’esterno si possa percepire l’attività che si volge
all’interno dell’edificio, ma anche permettere una buona
visibilità verso l’esterno dell’edificio; comunicare vuol dire
disegnare un edificio in grado di trasmettere in “forte” la
propria presenza e l’attività in esso ospitata;
••l’edificio è stato pensato come luogo di incontro tra i tre
stati fisici della materia: lo stato solido, rappresentato dal
rivestimento in pietra dei fronti dell’edificio rivolti verso la
città, evoca le regole, le istituzioni, la parte dura della ricerca
scientifica, ma anche i suoi risultati concreti; lo stato liquido,
rappresentato dalle facciate continue in vetro dell’edificio
rivolte verso l’area verde del giardino, evoca piuttosto la
creatività, l’intuizione, la sperimentazione, la circolarità delle
informazioni e della comunicazione come ingredienti indispensabili della ricerca scientifica; lo stato gassoso viene
evocato dalle nuvole in copertura, che ospitano il cuore
tecnologico impiantistico dell’edificio.
Dal punto di vista distributivo l’edificio trova il proprio fulcro
nella Hall centrale a tutta altezza, nella quale sono ubicati gli
ascensori panoramici e la scala vetrata e dalla quale si diramano gli ampi corridoi delle due ali. Il lato dell’edificio che
affaccia sulla corte a verde, caratterizzato da facciate continue trasparenti, ospita i laboratori, con larghezza del modulo
base di facciata di 3.30 m e una profondità di circa 8 m; sul
lato opposto, quello che abbiamo definito come più urbano,
rivestito dalla pietra, trovano posto gli uffici, con profondità di
circa 6.30 m. L’impianto modulare trova eccezione esclusivamente al piano V, dove la soluzione strutturale adottata libera
la pianta dal vincolo dei pilastri, per consentire l’inserimento
del comparto sterile della Cell Factory, secondo una diversa
logica distributiva. Gli spazi collettivi come la sala conferenze
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Progettazione
e la mensa sono ubicati a piano terra, la biblioteca a piano
primo, al livello -1, oltre ad uffici disposti in corrispondenza
di una cavea esterna integrata con il parco, è prevista la crioconservazione, magazzini e locali di servizio.
MATERIALI E METODI
L’involucro edilizio è concepito come una facciata completamente vetrata verso il giardino posto a sud, in grado di esibire
le attività di laboratorio ospitate nei locali prospicienti, abbracciata da un guscio protettivo in pietra lungo i fronti che
si affacciano su Via Francesco Sforza (nord) e sull’area ospedaliera (nord-est, sud-est). Come anticipato, tali fronti sono
realizzati con un rivestimento in pietra naturale sui toni ocra
chiari che, in corrispondenza delle finestrature, è declinata
in un motivo orizzontale continuo costituito da una serie di
ciglia, anch’esse in materiale lapideo. L’elevato isolamento
termico caratterizza tutte le facciate dell’edificio, siano esse
vetrate o del tipo a rivestimento ventilato, realizzate con
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pannelli prefabbricati in c.a., strato coibente e rivestimento
in lastre di pietra naturale armate con rete, posate tramite
agganci metallici a secco su una retrostuttura metallica, ancorata ai pannelli prefabbricati. La facciata vetrata è dotata
di un sistema di frangisole mobili a doppia pala ad asse concentrico, comandati da impianto di building automation.
Per ottimizzarne la funzione, il progetto ha messo a punto
elementi mobili disegnati ad hoc in grado di assumere le
diverse posizioni necessarie all’ombreggiamento pressoché
totale delle superfici vetrate. I movimenti, comandati da sistemi meccanici automatizzati, avverranno in modo lento e
saranno sincronizzati, la movimentazione viene comandata
dal sistema generale di supervisione (building automation) ,
che recepisce le informazioni di apposite sonde relative alle
condizioni climatiche esterne. In corrispondenza della hall
di ingresso e della punta su via Francesco Sforza la facciata
vetrata si tramuta in una facciata doppia pelle.
I volumi destinati agli impianti tecnologici e ubicati sulla copertura dell’edificio sono stati disegnati con forme ellissoidali
sovrapposte, come fossero grandi nuvole di passaggio sul
tetto dell’edificio. In corrispondenza della hall di ingresso e
della punta su via Francesco Sforza la facciata vetrata si tramuta in una facciata doppia pelle. Internamente gli spazi
distributivi sono ampi e luminosi al fine di divenire luogo
naturale per l’interrelazione tra i ricercatori, promuovendo
lo scambio e la condivisione delle idee e del sapere. Le scelte
di progetto mirano ad una minimizzazione dei consumi energetici dell’edificio ed a uno sfruttamento attento e mirato
delle fonti di energia naturale, principalmente attraverso le
seguenti modalità:
••Utilizzo dell’acqua di falda per la produzione dei fluidi termovettori;
••Utilizzo molto diffuso di recuperatori di calore e, dove possibile, utilizzo di impianti a portata variabile;
••Sfruttamento passivo dell’energia solare e protezione regolabile dall’eccessivo irraggiamento tramite schermature
mobili progettate appositamente per l’edificio;
••Elevato isolamento termico dell’involucro;
••Impiego di efficienti scambiatori di calore per le UTA;
••Produzione dell’acqua calda sanitaria con collettori solari
posti in copertura;
••Impiego di apparecchiature elettriche a basso consumo ed
alta efficienza.
L’impiego dell’acqua di falda, caratterizzata durante tutto
l’arco dell’anno da una temperatura costante di 15 gradi circa,
consente di sfruttare una energia naturalmente disponibile
ad una profondità di pochi metri dal piano di campagna.
L’elevato isolamento termico caratterizza tutte le facciate
dell’edificio, siano esse vetrate o del tipo a rivestimento ventilato, realizzate con pannelli prefabbricati in c.a., strato coibente e rivestimento in lastre di pietra naturale armate con
rete immersa in strato resinoso, posate tramite agganci me-
tallici a secco su una retrostuttura metallica, ancorata ai pannelli prefabbricati. La struttura portante dell’edificio è stata
realizzata con telai in acciaio a travi appoggiate, a supporto
di solai a lamiera grecata più getto collaborante, nuclei di
controvento a pareti in c.a. gettato in opera, disposti simmetricamente in pianta. I telai metallici sono stati disposti longitudinalmente secondo tre allineamenti, di cui uno di spina
posto in corrispondenza delle pareti divisorie della zona uffici
e servizi a nord, in modo da assicurare la massima flessibilità
spaziale, distributiva, impiantistica ai laboratori posti a sud.
La scelta della struttura portante in acciaio ha consentito di
limitare l’ingombro dei pilastri, una maggiore rapidità esecutiva e la diminuzione della rumorosità delle lavorazioni. Inoltre l’impiego di travi in acciaio assicura uno sfruttamento ottimale dei materiali con conseguente riduzione dei pesi e degli
ingombri e offre la possibilità di realizzare fori per passaggi
verticali e nelle anime delle travi per passaggi impiantistici.
Le finiture interne prevedono pavimentazioni in resina di tipo
farmaceutico, pareti mobili modulari in acciaio verniciato e
controsoffitti in doghe metalliche con disegno a misura e integrazione di apparecchi illuminanti in fila continua.
Visto l’elevato uso di sistemi modulari per pareti e controsoffitti, la progettazione costruttiva è stata attentamente
coordinata per assicurare coerenza di disegno tra le diverse
forniture, così come il corretto posizionamento dei terminali impiantistici. La progettazione ha riguardato non solo
gli aspetti civili ed impiantistici, ma anche la fornitura degli
arredi di laboratorio e delle relative cappe e camere fredde.
Il progetto comprende inoltre la realizzazione di alcuni comparti speciali, tra i quali una Cell Factory e un laboratorio PCL3
con caratteristiche di Cell Factory, entrambi ubicati al piano V.
Si tratta in entrambi i casi di CAMERE BIANCHE GMP e relativi
spazi accessori, dedicati a produzioni farmaceutiche di tipo
sperimentale, che ospiteranno la Cell Factory “Franco Calori”,
attualmente attiva in altri spazi del Policlinico.
La Cell Factory “Franco Calori” è una struttura GMP dedicata
alla produzione di prodotti per terapia cellulare da impiegarsi
in protocolli clinici sperimentali. Dall’avvio della sua attività
nel 2004 ad oggi la Cell Factory GMP ha supportato protocolli
clinici in neurologia, reumatologia, cardiologia ed ematologia, in malattie come la sclerodermia, l’infarto acuto del miocardio e le malattie del sangue. Il 5 Luglio 2007, prima tra le
strutture pubbliche in Italia, la Cell Factory GMP ha ottenuto
l’autorizzazione alla produzione di prodotti medicinali per
terapia cellulare da parte dell’Agenzia Italiana del Farmaco
(AIFA), proponendosi, come struttura idonea a livello europeo alla fornitura di questi nuovi e promettenti “farmaci”.
La Cell Factory GMP supporta approcci clinici di terapia cellulare, sottoponendo a validazione i protocolli proposti e
fornendo allo sperimentatore i dati necessari ad ottenere
l’autorizzazione alla sperimentazione clinica da parte degli
Enti Preposti (Istituto Superiore di Sanità, Agenzia Italiana
del Farmaco) sotto forma di “Investigational Medicinal Product Dossier”. I processi svolti all’interno dell’area in oggetto
riguardano la produzione di medicinali per Terapia Avanzata,
per le seguenti tipologie di medicinali:
••Medicinali di Terapia Cellulare Somatica (n° 3 processi)
--Cellule staminali mesenchimali derivate da sangue cordonale
--Cellule staminali mesenchimali derivate da midollo osseo
--Cellule staminali mesenchimali derivate da tessuto adiposo
Gennaio-Luglio 2013 HPH
19
Progettazione
••Medicinali di Terapia Genica (n° 1 processo).
Al termine della lavorazione il prodotto può essere somministrato a fresco e/o crioconservato in vapori di azoto previo
congelamento mediante congelatore a discesa programmata. Per i processi di terapia avanzata è requisito cogente
che la produzione ed il controllo avvengano in conformità alle
GMP vigenti, di cui è organo competente AIFA. Caratteristica
comune a tutti i processi è la necessità di una produzione in
condizione di asepsi: nessun prodotto prevede la sterilizzazione
terminale. Tutti i prodotti lavorati comportano inoltre una lavorazione essenzialmente manuale ed una durata dei processi
particolarmente prolungata dovuta alle fasi di crescita cellulare
in incubatore. I processi per terapia cellulare somatica vengono
condotti in laboratorio a contenimento fisico di livello 2 (PCL2).
Il processo per la produzione di medicinali per terapia genica,
prevedendo l’utilizzo di un vettore virale, deve invece avvenire
in laboratorio a contenimento fisico di livello 3 (PCL3).
Pertanto il progetto prevede la realizzazione di 3 laboratori
PCL2, 1 laboratorio PCL3 e una serie di locali / aree a supporto
dedicate a quelle strettamente produttive, quali:
••Sterilizzazione / Decontaminazione
••Magazzino e Quarantena
••Controllo di Qualità
L’area PCL3 presenta la particolarità di unire l’esigenza di sterilità, tipica della camera bianca, con la necessità di contenimento
biologico, tipica dei laboratori in cui si manipolano agenti patogeni di tipo 3. Sulla base dello specifico lay out sviluppato con
la Committenza, la progettazione ha previsto:
••la puntuale definizione di tutte le utenze e dotazioni dei locali,
nonchè la loro più opportuna collocazione in funzione degli
spazi a disposizione e delle apparecchiature da collocare;
••l’identificazione di tutte le caratteristiche tecniche e materiche necessarie a garantire gli elevatissimi standard di qualità
dell’aria richiesti ai fini GMP;
••la separazione dei percorsi di ingresso e uscita personale e
materiali;
••il soddisfacimento di tutti i requisiti necessari alla qualifica AIFA.
20 HPH Gennaio-Luglio 2013
Le aree speciali prevedono sistemi HVAC dedicati del tipo
a tutta aria esterna. Tutta l’aria estratta dal sistema di condizionamento dell’area BL3 viene preventivamente filtrata attraverso un filtro HEPA H14, prima dell’espulsione
in atmosfera. Il filtro, del tipo “bag-in bag-out” (Canister) è
stato ubicato in posizione accessibile (copertura) in modo
da poter essere rimosso in totale sicurezza. Il tempo di
ripristino della classe di pulizia (clean-up time) è inferiore
a 15 minuti. L’aria, prima di essere immessa viene filtrata
attraverso filtri assoluti HEPA H14 terminali, dotati di serranda manuale di regolazione e di presa campione per
test di integrità. Sono stati considerati i seguenti valori
minimi di progetto in termini di ricambi orari d’aria sulla
basi dei relativi volumi:
••20 per locali classe D;
••30 per locali in classe C;
••50 per locali classe B.
Tali valori sono soddisfatti in ogni condizione operativa, ad
esempio al massimo grado di intasamento dei filtri. La temperatura dei locali a contaminazione controllata viene rilevata per
mezzo di opportune sonde poste sui canali di ripresa dell’aria e
regolata attraverso batterie di post-riscaldamento. L’umidità relativa dei locali a contaminazione controllata viene rilevata per
mezzo di opportune sonde poste sui canali di ripresa dell’aria
e regolata attraverso il sistema umidificatore in inverno e la batteria fredda in estate.
CONCLUSIONI
La nuova sede dell’Istituto Nazionale di Genetica Molecolare
presenta molteplici aspetti di interesse, sia sotto il profilo
delle tecnologie più avanzate dei laboratori e delle camere
bianche che sotto il profilo dell’efficenza energetica dell’involucro e del sistema edificio, coniugate ad una immagine
architettonica “comunicativa” e connotata e da spazi interni
concepiti non solo come luoghi di lavoro operativi ma anche come spazi per la circolazione delle idee, il confronto, la
comunicazione interna e verso l’esterno.
INFORMAZIONI GENERALI
Committente : Fondazione IRCCS Cà Granda Ospedale Maggiore Policlinico (Milano);
Anno: 2005/2006 (Prog. Prel. e Prog. Def. per Appalto)
2007/in corso (Dir. Lavori e Coord. Sicurezza);
Importo lavori : 13.701.876,82 Euro;
Superficie Utile: 7590 mq;
Prestazioni svolte da Politecnica: Progetto Preliminare, Progetto
Definitivo per Appalto Integrato, Direzione Lavori e Coordinamento Sicurezza;
Progetto realizzato in ATI Politecnica Ingegneria e Architettura
con Turner&Townsend;
Responsabile del Procedimento: Ing. Santo De Stefano.
Sicurezza
L. Lodola, A. Muzzi,
F. Buroni, P.A. Marchese
IL CONTROLLO DELL’ACQUA
NELLE STRUTTURE OSPEDALIERE
La contaminazione microbiologica dell’acqua in
una struttura ospedaliera, in termini di rischio per
il paziente e per gli operatori, è principalmente da
riferirsi alla presenza di Legionella pnemophila.
Sono tuttavia spesso presenti e possono costituire un
serio problema anche altri germi, quali Staphylococcus
aureus e Pseudomonas aeruginosa.
Nell’esperienza della Fondazione IRCCS Policlinico San
Matteo abbiamo evidenziato che lo strumento migliore
per controllare il problema è da identificarsi nella
costituzione di un gruppo di lavoro multidisciplinare
che provveda alla redazione di una adeguata
valutazione dei rischi, integrata in un piano di
autocontrollo di logica HACCP che individui punti critici
di controllo, modalità e frequenze di campionamento
e specifichi le misure da adottare in funzione dei livelli
di contaminazione riscontrati.
PAROLE CHIAVE
Legionella, acqua sanitaria, piano autocontrollo
Fondazione I.R.C.C.S. Policlinico San Matteo - Pavia
INTRODUZIONE
Il problema della Legionellosi oggi, come nel recente passato, suscita un interesse crescente da parte sia di ricercatori
e scienziati, sia di responsabili di sanità pubblica, sia di gestori
delle strutture pubbliche e private. Legionella spp è un germe
acquatico opportunistico che trova il suo habitat ideale negli
ambienti caldo-umidi, è capace di sopravvivere in condizioni
sfavorevoli agli altri germi (temperatura elevata, presenza di
biocidi, ecc.) e si moltiplica in nicchie ecologiche particolari (amebe e altri protozoi, biofilm). Per tali ragioni, molto
spesso si rileva, ed in concentrazioni elevate, nell’acqua calda
di ambienti di vita e di lavoro quali case, alberghi, strutture
ricreative e ricettizie, nonché negli ospedali e nelle strutture
di lungodegenza. E’ ampiamente dimostrato, inoltre, che le
torri di raffreddamento degli impianti di condizionamento di
grandi edifici e i punti in cui l’acqua ristagna a temperatura
di almeno 20°C rappresentano un serbatoio ottimale per la
proliferazione di Legionella spp. L’80-90% dei casi è associato
all’esposizione ai sierogruppi di Legionella pneumophila sg di
tipo 1, 3 e 6, caratterizzati da elevata virulenza, nonostante
essi non siano i più diffusi nell’ambiente.
22 HPH Gennaio-Luglio 2013
Il problema è di particolare interesse per le strutture sanitarie,
da una parte perché la maggior parte di esse risultano contaminate, dall’altra perché il paziente ricoverato è solitamente
un soggetto defedato, suscettibile di ammalarsi, anche in
forma grave, con conseguente elevato rischio di morte.
A tal proposito sono state elaborate linee guida nazionali ed
internazionali per la prevenzione e la gestione della legionellosi, dal momento che non sono attualmente disponibili
soluzioni definitive alla eradicazione del problema.
Pertanto, chiunque si trovi a gestire il controllo della contaminazione ambientale da legionella e la prevenzione della malattia dei legionari, dovrebbe conoscere ed adottare alcune
fondamentali raccomandazioni:
a) lavorare in équipe coinvolgendo tutte le figure interessate,
vale a dire impiantisti, clinici, microbiologo e medico di direzione sanitaria, esperti in trattamenti chimici e/o fisici;
b) verificare la situazione ambientale della struttura, studiando
le caratteristiche dell’impianto, i parametri chimico-fisici e batteriologici dell’acqua e, in presenza di contaminazione, capire
la dinamica e individuare i punti critici del sistema;
c) valutare il rischio per le persone esposte sia in rapporto
alla virulenza dei germi contaminanti che alla tipologia delle
persone esposte all’interno della struttura contaminata;
d) decidere le soluzioni da adottare dopo un’attenta quantificazione del costo-beneficio;
e) occorre considerare che, in genere, gli interventi di bonifica ambientale non sono di per sé sufficienti a tenere sotto
controllo il rischio di infezione, per cui occorre avviare una
serie di attività di prevenzione e di miglioramento, tra cui la
manutenzione degli impianti, la formazione del personale
sanitario, l’istituzione di una sorveglianza clinica, mirata all’individuazione precoce dei casi.
MATERIALI E METODI
L’Istituto Superiore di Sanità (ISS) ha predisposto delle linee
guida per la prevenzione ed il controllo della legionellosi (GU
n.103 del 5 maggio 2000) nelle quali vengono descritte le
modalità della sorveglianza e le possibili strategie di intervento da attuare sia in ospedali e case di cura che in strutture comunitarie (alberghi, campeggi, navi, impianti sportivi, piscine, ecc.), in assenza o in presenza di casi. Lo scopo
principale del documento è quello di sensibilizzare i medici
e fornire loro indicazioni utili ad affrontare il problema. Nel
2005 l’ISS ha predisposto delle linee guida specifiche per i
gestori di strutture turistico-recettive e termali (GU n.29 del
5 febbraio 2005). Le linee guida sono da intendersi come un
Figura 1. Il modello adottato per la gestione della sicurezza dell’acqua si basa sul Water Safety Plan pubblicato dall’Organizzazione
Mondiale della Sanità nel 2004, che prevede le seguenti fasi:
insieme di suggerimenti tecnico-pratici per ridurre al minimo
il rischio da legionellosi. L’European Working Group for Legionella Infections (EWGLI) ha predisposto delle Linee guida
europee per il controllo e la prevenzione della legionellosi
associata ai viaggi, che offrono procedure standardizzate per
prevenire, identificare e notificare le infezioni da Legionella
nei viaggiatori. Queste linee guida, operative da luglio 2002,
vanno ad integrare le linee guida nazionali già esistenti e servono da linee di indirizzo per i Paesi che non ne hanno ancora
elaborate di proprie. In ambito ospedaliero, in caso di cluster
o epidemia, è opportuno effettuare un’indagine epidemiologica per la ricerca di altri casi ed una indagine microbiologica
ambientale per la ricerca di Legionella nelle possibili fonti di
infezione. In base alla concentrazione di Legionella rilevata
nell’ambiente le linee guida ministeriali suggeriscono di
attuare o meno interventi di bonifica e disinfezione. La prevenzione della legionellosi, in ambito sia comunitario che
nosocomiale, dovrebbe innanzitutto partire dalla corretta
progettazione e realizzazione delle reti idriche, allo scopo di
ridurre e rallentare la colonizzazione e la moltiplicazione di
Legionella negli impianti di distribuzione dell’acqua calda e
nei sistemi di condizionamento. In occasione di interventi di
ristrutturazione o di nuova realizzazione, occorrerebbe evitare di installare tubazioni con tratti terminali ciechi e ristagni
d’acqua, preferire i sistemi istantanei di produzione dell’acqua calda a quelli con serbatoio di accumulo ed installare
gli impianti di condizionamento in modo che l’aria di scarico
proveniente dalle torri di raffreddamento e dai condensatori
evaporativi non entri negli edifici. La manutenzione periodica
può inoltre contribuire in modo efficace a prevenire la colonizzazione degli impianti da parte dei batteri e soprattutto a
limitarne la moltiplicazione e la diffusione. A tale proposito
è consigliabile effettuare regolarmente una accurata pulizia
e disinfezione dei filtri dei condizionatori, la decalcificazione
dei rompigetto dei rubinetti e dei diffusori delle docce, la
sostituzione delle guarnizioni ed altre parti usurate, lo svuotamento, la pulizia e la disinfezione dei serbatoi di accumulo
dell’acqua, il flussaggio periodica dell’acqua. Gli ospedali
sono ambienti particolarmente a rischio per la trasmissione
della legionellosi a causa della tipologia di persone ricoverate
. Un ulteriore elemento di rischio è rappresentato dalla tipologia di impianti con tubazioni frequentemente obsolete e
ramificate che favoriscono la proliferazione delle legionelle
nella rete idrica e dalla temperatura dell’acqua calda. Essa,
infatti, mantenuta a 48 ± 5°C per prevenire il rischio di ustioni
dei pazienti, come previsto dall’art.5, comma 7 del DPR n.412
del 26/08/1993, contribuisce alla crescita delle legionelle. Tenendo conto dei sopracitati fattori, le misure preventive da
adottare in ambiente ospedaliero devono comprendere:
••la periodica decontaminazione dell’impianto idrico;
••la pulizia, decontaminazione e disinfezione degli impianti
di ventilazione e di condizionamento, degli apparati di umidificazione dell’aria e delle eventuali vasche e piscine per
idroterapia;
••l’utilizzo di acqua sterile per le sonde nasogastriche ed in
generale per le apparecchiature per la respirazione assistita
e le terapie inalatorie, soprattutto nei reparti a rischio;
••la disinfezione e sterilizzazione dopo l’uso di tutte le attrezzature per l’assistenza respiratoria oppure l’utilizzo di
materiali monouso sterili;
••l’esecuzione di test diagnostici microbiologici quali coltura
dell’escreato, ricerca dell’antigene di Legionella nell’urina e
determinazione sierologia su tutti i soggetti ricoverati per
sospetta polmonite, al fine di individuare precocemente
eventuali casi nosocomiali;
••il monitoraggio della presenza di legionelle negli impianti
di climatizzazione e nei sistemi di distribuzione dell’acqua,
con particolare riguardo per l’acqua calda.
Sistemi di controllo
Attualmente i metodi a disposizione per il controllo della
diffusione e moltiplicazione di Legionella spp negli impianti
sono numerosi, tutti efficaci nel breve periodo ma non altrettanto a lungo termine. La scelta della metodica più appro-
Gennaio-Luglio 2013 HPH
23
Sicurezza
priata deve tenere in considerazione fattori quali le caratteristiche dell’edificio, dell’impianto idrico e dell’acqua stessa.
Occorre inoltre considerare il materiale di costruzione delle
tubazioni e la loro estensione perché potrebbero impedire
l’azione di un disinfettante, così come pH, temperatura e torbidità dell’acqua potrebbero ridurne l’efficacia.
Mezzi fisici di disinfezione
••Temperatura: la temperatura minima efficace è pari a 60°C.
La condizione per garantire la disinfezione dell’acqua è il flussaggio dell’acqua a 60°C in tutte le uscite (rubinetti, docce
ecc.) per almeno 30 minuti ogni giorno, ed il mantenimento
dell’acqua ad almeno 60°C nel sistema, altrimenti Legionella
ricompare entro poche settimane. I trattamenti termici non
sono però sempre applicabili, date le elevate temperature
da mantenere, la resistenza meccanica dei materiali dell’impianto ed anche il consistente consumo energetico;
••Radiazione ultravioletta: Agisce sul DNA impedendone la
replicazione ed ha massima attività disinfettante a 254 nm.
Data la mancanza di potere residuo, i raggi UV da soli non
sono sufficienti a controllare la presenza di Legionella. La
torbidità dell’acqua, la presenza di biofilm e depositi possono agire da barriera alla radiazione e proteggere i batteri
dall’azione disinfettante;
••Filtrazione: tale tecnica si basa sull’impiego di filtri da applicare ai punti d’uso (rubinetti, docce) che forniscono acqua esente da Legionella spp. Sono utilizzati soprattutto in
ambito ospedaliero per la protezione dei pazienti e degli
operatori sanitari dei reparti a rischio.
Mezzi chimici di disinfezione
••Ioni metallici: Rame ed argento interferiscono con i sistemi enzimatici della respirazione cellulare e si legano
al DNA con un effetto sinergico. Sono aggiunti nell’acqua
elettroliticamente o come ioni metallici in quantità pari a
100-400 µg/L per il rame e 10-40 µg/L per l’argento. L’utilizzo degli ioni richiede una attenta valutazione delle dosi
secondo le caratteristiche del sistema, il monitoraggio
dei livelli raggiunti (tenendo conto dei limiti per le acque
potabili) ed una costante manutenzione degli elettrodi.
••Agenti ossidanti :
••Cloro gassoso o ipoclorito di sodio o di calcio: Legionella spp è particolarmente resistente alla clorazione,
soprattutto quando si trova in associazione con amebe
o cisti di amebe. L’iperclorazione shock prevede l’immissione nel sistema di dosi elevate di cloro (20-50 mg/L),
il drenaggio dell’acqua ed il passaggio di nuova acqua
fino ad avere una concentrazione di cloro di circa 1 mg/L.
L’iperclorazione continua consiste nell’iniezione continua
di cloro in modo da avere circa 2 mg/L di cloro libero ai
rubinetti. I principali svantaggi della clorazione sono la
corrosione delle tubature, la formazione di sottoprodotti
organici tossici (trialometani), l’alterazione del sapore e
24 HPH Gennaio-Luglio 2013
dell’odore dell’acqua e la ricolonizzazione del sistema
idrico nel lungo periodo;
••Biossido di cloro: E’un gas preparato in situ ed usato per
la disinfezione dell’acqua potabile. A differenza del cloro
non determina formazione di composti organo clorurati
e riduce fortemente il biofilm;
••Clorammine (monoclorammina, NH2Cl): Sono più stabili del cloro libero, hanno un maggior potere residuo,
non danno origine a trialometani e penetrano meglio
nel biofilm. Sono attualmente in fase di sperimentazione, con risultati preliminari interessanti;
••Ozono: agisce rapidamente danneggiando il DNA batterico. E’ più efficace del cloro, ma non ha potere residuo;
••Bromo: è usato per la disinfezione dell’acqua delle piscine e delle torri di raffreddamento, non per le acque
potabili. Ha proprietà simili a quelle del cloro, ma è meno
efficace verso Legionella;
••Perossido di idrogeno e argento: questo trattamento
si basa sull’utilizzo di una soluzione stabile di perossido
di idrogeno e ioni argento, che agiscono con effetto sinergico e sono in grado di demolire anche il biofilm. E’
una tecnica recente che necessita di ulteriori conferme
sperimentali;
••Agenti non ossidanti: vari disinfettanti organici sono utilizzati contro Legionella spp: chetoni eterociclici, guanidine,
amidi e glicoli alogenati, tiocarbammati, tiocianati, amine,
aldeidi, ecc. In generale gli agenti non ossidanti sono meno
efficaci degli ossidanti.
ELABORAZIONE DEL PIANO AUTOCONTROLLO
PER LA SICUREZZA MICROBIOLOGICA
DELL’ACQUA IN UNA STRUTTURA OSPEDALIERA
Nella stesura del piano sono state prese in considerazione
le indicazioni contenute nelle Linee Guida Ministeriale del
2000, nel Provvedimento del 13 gennaio 2005 emanato dalla
Conferenza Stato-Regioni e successive nelle modificazioni ed
integrazioni, e nel Decreto del Direttore generale della Sanità
Regione Lombardia 175/2009 oltre alle Linee Guida in materia emanate dalle Regioni Piemonte ed Emilia Romagna e
alle Linee Guida ISPESSL in materia di Prevenzione da Esposizione a Rischio Biologico negli ambienti di Vita e di Lavoro,
nonchè le indicazioni emerse dall’esame dei risultati delle
analisi batteriologiche effettuate sugli impianti stessi.
La conoscenza delle potenziali criticità nei singoli aspetti che
caratterizzano il processo di controllo e gestione del rischio derivante da Legionella in ambito ospedaliero, ha permesso di individuare nella metodologia denominata Hazard Analysis and
Critical Control Point System (HACCP) o Metodologia dell’Analisi
dei pericoli e dei Punti di Controllo Critici, lo strumento di lavoro
più idoneo. Questa metodologia, da tempo applicata in ambito
alimentare, basandosi sulla costante sorveglianza delle tappe
fondamentali di un qualsiasi processo, consente di prevenire la
Tabella 1: limiti massimi e azioni correttive nel monitoraggio del rischio da Legionella spp. definiti presso la Fondazione IRCCS
Policlinico San Matteo:
Concentrazione
di legionella spp.
(CFU/L)
Casi accertati
di legionellosi
nososcomiale
0
0
0> = 100
0
100-1.000
0
1.000-10.000
0
1.000-10.000
1 o > di 1
>10.000
Aria ambiente
Campione positivo
0
Stato di
contaminazione
Misure correttive da applicare
Contaminazione
Nessun intervento
assente
Verifica delle procedure di prevenzione; intervento di
Presenza limitata
bonifica di grado 0
Verifica delle procedure di prevenzione; intervento di
Presenza limitata
bonifica di grado A
Aumentare la sorveglianza
Adottare misure specifiche di prevenzione e controllo di
Contaminazione grado B.
presente
Non usare docce se non protette da filtri terminali, evitare
abluzioni che potrebbero provocare aerosol
Effettuare periodicamente monitoraggio microbiologico
Oltre a quanto esposto sopra, effettuare immediato
intervento correttivo grado C di bonifica ambientale
Contaminazione
con chiusura dell’impianto; adottare misure specifiche di
presente
prevenzione e controllo; Interventi strutturali sull’impianto Ricontrolli a scadenza ravvicinata
Attuare immediatamente procedure di decontaminazione:
Contaminazione shock termico o chimico; chiusura dell’impianto ed
massiva
immediato intervento correttivo grado C Interventi
strutturali; ricontrolli a scadenza ravvicinata
Contaminazione
Azione correttiva di grado D
presente
comparsa di pericoli per la salute degli utenti e degli operatori
e di perseguire l’obiettivo indicato nel documento della Conferenza Stato Regioni, in materia di prevenzione della legionellosi. L’elaborazione di un piano per la sicurezza microbiologica
dell’acqua nella rete idrica della Fondazione IRCCS Policlinico
San Matteo, con particolare riferimento alla prevenzione della
legionellosi ospedaliera, ha coinvolto un gruppo di lavoro dedicato. Il piano è stato infatti redatto da un’equipe multidisciplinare appositamente individuata e costituita da:
••ingegnere e tecnico impiantista (Servizio Tecnico Patrimoniale);
••medico igienista di Direzione Medica di Presidio;
••chimico esperto in sistemi di trattamento delle acque;
••microbiologo;
••personale tecnico della ditta aggiudicataria;
••responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione.
Il piano si articola nei momenti fondamentali di seguito dettagliati, che sono individuabili in:
••analisi dei potenziali pericoli igienico-sanitari per gli impianti;
••individuazione dei punti o delle fasi in cui possono verificarsi tali pericoli e definizione delle relative misure preventive da mettere in atto periodicamente;
••individuazione dei punti critici e definizione dei limiti critici
degli stessi piano dei controlli analitici microbiologici per
l’individuazione di eventuali contaminazioni da Legionella
spp o da altri microrganismi “waterborne”; definizione del
sistema di monitoraggio;
••azioni correttive mirate da mettere in atto a seguito di contaminazioni accertate;
••interventi impiantistici di medio termine finalizzati ad aumentare il livello di sicurezza e qualità delle acque;
••verifiche del piano e riesame periodico, anche in relazione
al variare delle condizioni iniziali, delle analisi dei rischi, dei
punti critici e delle procedure in materia di controllo e sorveglianza.
Fasi preliminari
Durante le fasi di elaborazione del piano di autocontrollo, si è
provveduto ad una analisi sistematica della normativa di riferimento nazionale (Regolamentazioni e Raccomandazioni)
In particolare sono stati recepiti e utilizzati come parte integrante, e punti essenziali del piano stesso alcuni estratti
normativi della Conferenza permanente per i rapporti tra lo
stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano,
Linee-guida per la prevenzione e il controllo della legionellosi, 04/04/00 GU 103 del 05/05/00.
IL PIANO DI AUTOCONTROLLO DELLA
FONDAZIONE IRCCS POLICLINICO SAN MATTEO
Analisi dei potenziali pericoli igienico-sanitari
La pianificazione di sopralluoghi, di verifiche tecniche e l’analisi dei risultati delle indagini analitiche ha permesso di individuare gli impianti da sottoporre a sorveglianza:
1. Torri evaporative: la qualità dell’acqua rilasciata nelle torri
Gennaio-Luglio 2013 HPH
25
Sicurezza
Tabella 2: Ricadute economichePoliclinico San Matteo:
Totale
Costo trattamenti sulla rete idrica sanitaria
calda fino al 2007 (trattamento in continuo
a partire dal 2005)
anno 2005: 168.000€ (+ IVA 20%), pari a 201.200€
anno 2006: 252.200,00€ (IVA compresa)
453.800€
evaporative deve essere periodicamente controllata; occorre
inoltre pulire e drenare il sistema. L’uso di biocidi non deve
essere continuativo;
2. Acqua sanitaria per docce e impianti sanitari: Gli impianti dei vari padiglioni sono suscettibili di contaminazione e
rappresentano un pericolo a causa dell’aerosol prodotto dalle
docce e dai lavabi, per questo motivo essi vengono trattati
costantemente con biossido di cloro e, al bisogno, con trattamento termico o installazione di filtri assoluti. Gli impianti
soggetti a sorveglianza periodica sono indicati in figura 2
Misure generali di prevenzione
Le misure preventive vengono messe in atto anche in assenza di positività nelle determinazioni analitiche microbiologiche e sono finalizzate a creare condizioni sfavorevoli alla
crescita batterica, così da diminuire le cariche microbiche
aumentando gli standard di sicurezza.
••Mantenere la temperatura dell’acqua in stoccaggio costantemente sopra i 50 °C o sotto i 20°C;
••Evitare i ristagni d’acqua a temperatura ambiente. Aprire
ciclicamente (almeno 1 volta a settimana) tutti i rubinetti e
tutte le docce che non vengono normalmente utilizzate e
far scorrere l’acqua calda per almeno 10 minuti;
••Mantenere puliti e liberi da incrostazioni i diffusori delle
docce ed i rompigetto dei lavandini. Sostituire al bisogno;
••Svuotare, pulire e disinfettare tutti i serbatoi di accumulo
dell’acqua almeno due volte l’anno;
••Ispezionare accuratamente l’impianto per verificare che
non siano presenti rami morti;
••Sorvegliare e mantenere gli impianti di generazione e dosaggio di biossido di cloro con verifica di concentrazione
residua sui punti distali non inferiore a 0,2 ppm. Durante
le operazioni di verifica periodica ed analisi sul posto accertarsi che tutte le componenti degli impianti vengano
raggiunte dal trattamento.
Misure particolari per i vari impianti
1.Torri Evaporative
La qualità dell’acqua spruzzata nelle torri evaporative deve
essere periodicamente controllata; occorre inoltre pulire e
drenare il sistema:
••prima del collaudo;
26 HPH Gennaio-Luglio 2013
Canone impianti ionizzazione
Canone impianti
rame-argento e biossido di cloro biossido di cloro in
2007-2009
continuo 2009-2014
230.400,00€ /anno
119.800,00/anno
691.200€
599.000€
••alla fine della stagione di raffreddamento o prima di un
lungo periodo di inattività;
••all’inizio della stagione di raffreddamento o dopo un lungo
periodo di inattività
••almeno due volte l’anno.
Sono raccomandate analisi microbiologiche periodiche. La
carica batterica totale massima ammissibile è di 104 CFU/L;
l’uso di biocidi non deve essere comunque continuativo.
2. Acqua sanitaria
La produzione di acqua calda sanitaria è realizzata in Centrali
Termiche centralizzato o singola al servizio di ogni singolo
padiglione/struttura. Per ogni punto di produzione elevare
il più possibile la temperatura di stoccaggio dell’acqua e garantire la presenza di Biossido di Cloro nei punti più distali di
almeno 0,2 ppm.
3. Impianto di condizionamento
Le misure di prevenzione consistono nel protocollo di manutenzione e pulizia dei filtri. Vengono effettuati controlli per la
presenza di ristagni d’acqua. Gli interventi sono annotati in
apposito registro custodito presso la Struttura Tecnico Patrimoniale della Fondazione.
Punti critici di controllo
I prelievi pianificati vengono effettuati in punti critici, mantenuti costanti nel tempo, individuati in modo da risultare
rappresentativi della situazione microbiologica dell’intero
impianto. Nell’ambito del San Matteo sono stati individuati
30 punti critici di controllo (PCC). Figura 2
In tabella 1 sono riportati i limiti massimi e azioni correttive
nel monitoraggio del rischio da Legionella.
Inoltre vengono analizzati e considerati i seguenti parametri
microbiologici:
Staphylococcus aureus
Limite di tollerabilità 0 CFU/100ml – in caso si superamento
intervento di bonifica B
Pseudomonas aeruginosa
Limite di tollerabilità 0 CFU/100ml – in caso si superamento
intervento di bonifica B
Azioni correttive
Vengono intraprese in caso di positività superiore ai livelli di
accettabilità e sono mirate in modo differenziato dipenden-
Figura 2:: Planimetria della Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo di
Pavia e degli impianti di trattamento della rete idrica sanitaria calda. I
padiglioni compresi nel cerchio blu sono serviti dalla Centrale Termica,
il colore verde indica sottocentrali attive presso i singoli Reparti.
temente dall’impianto (o dalla parte di impianto) che deve
essere trattato. Si tenga presente che si deve fare in modo
che il trattamento, quale che esso sia, termico o chimico,
raggiunga tutti i punti dell’impianto, senza che vi siano rami
morti, quindi tutti i sistemi devono essere in funzione durante il trattamento.
Intervento correttivo di grado 0
Viene previsto innalzato il dosaggio di biossido di cloro fino
a 0,5 ppm del tratto di impianto contaminato per 5 giorni
consecutivi. Viene effettuata una pulizia e disinfezione straordinaria dei filtri.
Intervento correttivo di grado A
Viene immediatamente messo in atto un trattamento di iperdosaggio di biossido di cloro fino ad un massimo di 3 ppm del
tratto di impianto contaminato per 5 giorni consecutivi. Vengono sostituiti i soffioni delle docce ed i rompigetto dei lavandini ed effettuato flussaggio delle utenze. I pazienti vengono
istruiti a non utilizzare le docce se non protette da filtri. Vengono
ripetuti i controlli analitici dell’impianto contaminato.
Intervento correttivo di grado B
Viene immediatamente messo in atto un trattamento di dosaggio shock di biossido di cloro fino ad un massimo di 10
ppm del tratto di impianto contaminato per 10 ore consecutive. Vengono sostituiti i soffioni delle docce ed i rompigetto
dei lavandini ed effettuato flussaggio delle utenze. Vengono
installati filtri assoluti terminali sulle utenze dei reparti, a partire da quelli a maggior rischio. I pazienti vengono istruiti a
non utilizzare le docce se non protette da filtri. Vengono ripetuti i controlli analitici dell’impianto contaminato.
Intervento correttivo di grado C
Viene immediatamente messo in atto un trattamento di
dosaggio shock di biossido di cloro fino ad un massimo
di 15 ppm del tratto di impianto contaminato per 10 ore
consecutive. Gli utenti vengono avvertiti di non utilizzare
le docce. Vengono installati filtri assoluti terminali sulle
utenze a maggior rischio laddove non fossero già presenti.
Vengono sostituiti i soffioni delle docce ed i rompigetto dei
lavandini ed effettuato flussaggio delle utenze. Si ripetono i
controlli analitici dell’impianto contaminato che deve essere
svuotato e accuratamente sanificato. Viene inoltre eseguita
un’ulteriore analisi del rischio sull’impianto e si individuano
gli interventi strutturali adeguati ad eliminare il fattore di
contaminazione.
Intervento correttivo D
In caso di positività dei controlli in aria si procede a:
sostituire i filtri; avviare una pulizia straordinaria e/o sanificazione degli impianti di condizionamento; rivalutare il rischio.
Legenda planimetria: 1) Direzione Sanitaria 2) Padiglione Chirurgia
3) Padiglione Cl.Mediche 4) Cl.Odontoiatrica 5) Cl.Dermatologica 6)
Cl.Oculistica 7) Cl.Ostetricia e Ginecologia 8) Cl.ORL 9) Radioterapia 10)
Cardiologia 11) Fisiatria 12) Servizio Immunotrasfusionale 13) Farmacia 14) Ematologia 23) Cl.Intra Moenia 29) Cl Mal.App.Respiratorio 29)
Padiglione Ortopedia 31) Padiglione Pediatria 42) Torre AIDS
Verifica e riesame del piano
La verifica comprende tutte quelle attività (campionamenti,
analisi microbiologiche ed ogni altra prova) che permettono
di valutare la validità del piano di autocontrollo. A differenza
del monitoraggio, la verifica può avvalersi anche di prove che
richiedono tempi lunghi di esecuzione in quanto da questa
attività non ci si aspetta il controllo “in tempo reale” del processo ma la valutazione dell’efficacia delle azioni di controllo
messe in atto per la prevenzione dei pericoli igienico-sanitari.
Periodicamente, e almeno una volta all’anno, si prevede attività di riesame del piano per adattarlo ai cambiamenti intervenuti o per mettere in atto azioni preventive a fronte della
comparsa di ripetute non conformità. In caso di modifiche
impiantistiche strutturali si procede ad una contestuale revisione ed adattamento del piano.
Gestione dei documenti di registrazione
Presso la Direzione Medica di Presidio e presso la Struttura
Tecnico Patrimoniale viene archiviata e custodita la docu-
Gennaio-Luglio 2013 HPH
27
Sicurezza
mentazione relativa alle attività di sorveglianza e gestione
della Legionella tra cui:
••la data di prelievo dei campioni per l’analisi dell’acqua;
••gli esiti dei controlli dei parametri chimici e microbiologi;
••i verbali delle riunioni periodiche del gruppo di lavoro multidisciplinare;
••un registro dei requisiti tecnico-funzionali con l’indicazione
della Centrale Termica di produzione acqua calda sanitaria,
il numero e la tipologia dei filtri assoluti impiegati, il protocollo di manutenzione biossido di cloro, ecc.;
••un registro dei controlli dell’acqua calda sanitaria;
••le quantità e la denominazione dei prodotti utilizzati per la
disinfezione dell’acqua.
La documentazione è a disposizione della Direzione Sanitaria. Qualora, in seguito all’autocontrollo effettuato, si riscontrino valori dei parametri igienico-sanitari in contrasto con
la corretta gestione dell’impianto, la Direzione Medica di
Presidio attua immediati provvedimenti per la soluzione del
problema e/o il ripristino delle condizioni ottimali.
RISULTATI
La Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo si caratterizza
per una progettazione a padiglioni, in totale 28 fabbricati,
i primi dei quali costruiti a partire negli anni ’30 del secolo
scorso e che ospitano le aree di medicina, di chirurgia generale e parte delle specialistiche, di ginecologa; al nucleo
storico degli edifici si sono affiancati nel corso degli anni,
strutture quali i cosiddetti reparti “speciali”, l’ematologia, la
pediatria, la clinica di malattie dell’apparato respiratorio, il
padiglione di ortopedia, la clinica intra moenia, la clinica di
malattie infettive e l’oncologia medica. A circa 15 km da Pavia
è inoltre presente il Presidio di Belgioioso, costruito negli anni
’30 e recentemente ristrutturato per accogliere il reparto di
cure palliative per malati oncologici che presenta una superficie pari a 4.500 mq. L’estensione totale del San Matteo è di
34 ha (superficie esterna totale), la superficie dei fabbricati
presenti è pari a 195.000 mq., la lunghezza dei sotterranei
che collegano i diversi padiglioni e che ospitano locali tecnici,
magazzini e in cui corrono le tubature dell’acqua è di circa 4.5
km. I posti letto sono circa 1.000 e i dipendenti sono 3.300
(personale sanitario e amministrativo), la media annuale dei
ricoveri è pari a 55.000.
L’area storica (padiglioni cliniche mediche, chirurgia e dermatologia) del Policlinico verrà trasformata in campus universitario con annessi laboratori e i reparti di degenza attualmente
presenti verranno trasferiti nel nuovo DEA , che presenta una
superficie totale di 57.000 mq.
Il monitoraggio, attraverso prelievi seriati d’ acqua per la ricerca della Legionella pneumophila e la costanze determinazione della concentrazione del Cu (0,3-0,8 mg/L) e Ag (0,040,08 mg/L) o del biossido di cloro (0,3 mg/L) ha documentato
28 HPH Gennaio-Luglio 2013
i risultati seguenti: la colonizzazione della rete idrica misurata
come % di prelievi distali positivi, ha subito una progressiva
attenuazione, con una riduzione media percentuale >85%
negli ultimi 8 anni. In particolare:
Cliniche Mediche
Il padiglione della clinica medica è un edificio risalente agli
anni ’30 del secolo scorso, sottoposto a ripetuti interventi di
ristrutturazione/riqualificazione che hanno in parte modificato l’assetto degli impianti idrici e creato aree di ristagno
dell’acqua (rami morti) con presenza di biofilm. L’edificio è
servito dalla Centrale Termica principale, che dista circa 400
metri e che in parte condiziona la dispersione di calore lungo
il tragitto. Per le caratteristiche sovra descritte, in aggiunta
al sistema di trattamento dell’acqua calda sanitaria presente
presso la Centrale Termica, si è avviato un sistema di trattamento in loco dapprima con ionizzazione rame-argento,
quindi con produzione in loco di biossido di cloro. I risultati
relativi ai livelli di contaminazione di L.pneumophila mostrano valori oscillanti con talvolta presenza di cariche al di
sopra dei valori di normalità (sierogruppo 2-14), che hanno
condizionato l’avvio di azioni correttive quali shock chimico
o posizionamento di filtri antibatterici.
Clinica Chirurgica
Il padiglione della clinica chirugica è un edificio risalente agli
anni ’30 del secolo scorso, sottoposto a ripetuti interventi di
ristrutturazione/riqualificazione che hanno in parte modificato l’assetto degli impianti idrici e creato aree di ristagno
dell’acqua (rami morti) con presenza di biofilm. L’edificio è
servito dalla Centrale Termica principale, poco distante dalla
clinica (150-200 metri circa).
I risultati relativi ai campionamento microbiologici dell’acqua
per ricerca di L.pneumophila mostrano livelli medio-bassi di
contaminazione. Il sierogruppo isolato è il tipo 2-14.
Clinica Oculistica
L’edificio si trova nell’area storica dell’ospedale, risalente agli
anni ’30 del secolo scorso, ed è stato sottoposto ad alcuni
interventi di ristrutturazione/riqualificazione che hanno in
parte modificato l’assetto degli impianti idrici, creando aree
di ristagno dell’acqua con rami morti e conseguente formazione di biofilm. L’edificio è dotato di una propria sottocentrale termica. I livelli delle cariche di L.pneumophila rilevati
in occasione dei campionamenti dell’acqua mostrano un
controllo discreto di livelli di contaminazione.
Clinica Otorinolaringoiatria
L’edificio è ubicato nell’area più vecchia dell’ospedale, costruzione negli anni ’30 del secolo scorso, ed è servito dalla
Centrale Termica, piuttosto distante rispetto alla clinica stessa
(oltre 500 metri).
La Clinica, pur essendo stata oggetto di ristrutturazioni, non
ha presentato nel tempo contaminazioni significative di
L.pneumophila.
Clinica di Ostetricia e Ginecologia
L’edificio si trova nell’area storica dell’ospedale, risalente agli
anni ’30 del secolo scorso, ed è stato sottoposto ad alcuni
interventi di ristrutturazione/riqualificazione che hanno in
parte modificato l’assetto degli impianti idrici, creando alcune
aree di ristagno dell’acqua con rami morti e conseguente formazione di biofilm. L’edificio è distante dalla Centrale termica
principale più di 500 metri; l’impianto idrico presenta inoltre
un grado di dispersione termica tale da rendere difficoltoso
il raggiungimento dei livelli di temperatura che inibiscano la
formazione di biofilm e la proliferazione di Legionella. Per tale
ragione, la clinica è stata sottoposta a mappatura dei punti
terminali e, in corrispondenza delle aree con cariche positive
di L.pneumophila, sono stati installati filtri antibatterici assoluti in aggiunta al sistema di trattamento in continuo. Il sierogruppo isolato nella rete idrica del reparto è il tipo 2-14.
Ematologia
La clinica è stata progettata e realizzata alla fine degli anni
’70 del 1900 e presenta una sottocentrale in loco. La messa
in funzione dell’edificio al termine dei lavori di costruzione,
le dimensioni dell’impianto di medie dimensioni hanno consentito di limitare al massimo la formazione di biofilm e la
conseguente proliferazione di Legionella spp: i risultati relativi
alla crescita del microrganismo nell’acqua, hanno infatti nel
tempo dato riscontri negativi.
Reparti Speciali
La struttura denominata Reparti Speciali, costruita negli anni
’80 presenta reparti che ospitano pazienti immunodepressi
ad alto rischio di acquisire infezioni quali le terapie Intensive
(generale e cardiochirurgica), la cardiologia, la cardiochirurgia, la reumatologia e la nefrologia. L’edificio si caratterizza
per la presenza di una rete idro-aeraulica lineare, di media
estensione e priva di rami morti ed è servita da una sottottocentrale in loco. A partire dal 2001 è stato avviato un sistema
di trattamento in continuo nella rete di acqua calda sanitaria,
dapprima mediante ionizzazione rame-argento (2001-2009),
quindi con metodologia a base di biossido di cloro prodotto
in situ. I sistemi utilizzati hanno garantito un’efficace azione di
disinfezione con livelli medi di contaminazione entro le 1000
UFC/L costanti nel tempo; a differenza delle altre strutture il
sierogruppo isolato è il tipo 1.
Clinica Intra Moenia
L’edificio è di recente costruzione (anni ’90), e presenta un impianto idro-aeraulico di dimensioni contenute dotato di una
singola sottocentrale: tali caratteristiche hanno consentito di
raggiungere livello di assenza pressochè completa di contaminazione da Legionella pnuemophila un costante nel tempo.
Pediatria
L’edificio è stato progettato e realizzato all’inizio degli anni ’70
ed immediatamente messo in funzione: l’impianto, pertanto,
non ha subito la formazione di biofilm e la successiva contaminazione da parte di patogeni waterborne. L’utilizzo di sistemi di
trattamento dell’acqua calda sanitaria, associati ad un buono
stato delle tubature ha perciò consentito di mantenere nel
tempo livelli pressochè assenti di Legionella pneumophila
Clinica Malattie Apparato Respiratorio
Edificio progettato e realizzato negli anni ’30 e sottoposto a
interventi di ristrutturazione negli anni 2000, con successiva
inaugurazione del reparto nel 2005, ospita pazienti affetti da
patologie respiratorie, alcuni dei quali immunodepressi per
patologie neoplastiche e per terapia di immunosoppressione
legata al trapianto di polmone.
La gestione del rischio da Legionella negli impianti del Padiglione ha presentato notevoli criticità dovute sia al periodo
di inutilizzo degli impianti durante i lavori di ristrutturazione
sia a causa della contiguità con la struttura Torre AIDS la cui
costruzione è durata un decennio. Tali condizioni hanno
quindi comportato un ambiente favorevole alla formazione
di biofilm e alla proliferazione di L.pneumophila, con riscontri
al di sopra dei limiti consentiti che hanno comportato l’immediata adozione di misure correttive
Padiglione Ortopedia
L’edificio risale alla fine degli anni ’60 e ospita pazienti ricoverati presso la terapia intensiva, l’ortopedia, la traumatologia,
la neurochirurgia, la chirurgia vascolare, alcuni dei quali immunodepressi per patologie o per trattamenti.
La struttura presenta una sottocentrale in loco ed è stata sottoposta ad un importante intervento di ristrutturazione per
il rifacimento della terapia intensiva nel 2001. Nonostante la
rianimazione 2 sia il reparto di più recente costruzione del
padiglione, i risultati positivi per Legionella con cariche oltre
i limiti consentiti provengono esclusivamente dalla rianimazione stessa, probabilmente a causa di rami morti nell’impianto di acqua creatisi durante i lavori di ristrutturazione,
che riforniscono periodicamente la rete. Per tali ragioni, unicamente presso la terapia intensiva, oltre al trattamento in
continuo con biossido di cloro, sono presenti filtri antibatterici a livello delle utenze.
Padiglione Torre AIDS
La struttura denominata Torre AIDS, ora chiamata Padiglione
42, presenta sia il reparto di malattie infettive e di malattie
infettive e tropicali, sia il reparto di oncologia medica. La fase
di progettazione e di realizzazione dell’edificio ha avuto un
lungo corso a causa dell’interruzione dei lavori, con successivo
inutilizzo degli impianti sino all’inaugurazione avvenuta nel
2007. A causa del lungo periodo di inutilizzo degli impianti,
il momento dell’inaugurazione del padiglione si è caratterizzato per la presenza di livelli costanti di L.pneumpohila
positivi per il sierogruppo 2-14 che hanno implicato la pianificazione di ripetuti interventi di bonifica dell’impianto (shock
termici, installazione di filtri). Il monitoraggio continuo delle
concentrazioni di biossido di cloro ha consentito la drastica
riduzione delle cariche a partire dal 2009 con livelli di contaminazione entro i limiti di attenzione stabili dal 2010.
Gennaio-Luglio 2013 HPH
29
Sicurezza
Presidio di Belgioioso
La struttura risale agli anni ’30 del secolo scorso ed è stata oggetto di ripetuti interventi di ristrutturazione, il più recente dei
quali (2004-2006) ha interessato un’intera ala dell’edificio, destinata ad accogliere pazienti neoplastici terminali. Il parziale
inutilizzo della struttura, servita da due distinte sottocentrali,
ha in parte favorito la formazione di biofilm e la conseguente
proliferazione di L.pneumophila con livelli di contaminazione
importanti in corrispondenza dell’inaugurazione del nuovo
reparto, che hanno comportato l’avvio di immediate e ripetute azioni correttive quali shock termici, iperclorazioni e installazione di filtri terminali a livello delle utenze.
Ricadute economiche
La gestione del rischio derivante da contaminazione della
rete idrica da Legionella nelle strutture di ricovero e cura
rappresenta una priorità fortemente raccomandata a livello regionale e nazionale. Tali azioni, che devono necessariamente coinvolgere più strutture in un lavoro di gruppo
multi professionale, implicano un significativo impegno di
risorse umane e di tipo economico. Viene riportato in tabella
2 il costo sostenuto dalla Fondazione IRCCS Policlinico San
Matteo riguardante ai sistema di trattamento dell’acqua
calda sanitaria.
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
Le metodiche di disinfezione dell’acqua forniscono risultati
variabili sui livelli di colonizzazione da Legionella spp.
I sistemi in grado di influenzare la costituzione e/o la riduzione del biofilm, appaiono i più promettenti perché
consentono di ottenere riduzioni più durature della colonizzazione.
Limitatamente all’esperienza del nostro Istituto, maturata
nel corso degli ultimi 10 anni, la ionizzazione a rame-argento ed il biossido di cloro utilizzati singolarmente o in
combinazione fra loro, sono risultati i sistemi più efficaci
per ridurre la concentrazione di Legionella spp dalla rete
idrica ed il numero dei casi di Legionellosi di origine ospedaliera. Il successo degli interventi è possibile solo con un
approccio multidisciplinare in cui siano presenti tutte le
competenze necessarie: medico igienista, infettivologo,
chimico, ingegnere. Devono necessariamente essere coinvolte, nei processi decisionali le diverse strutture dell’ospedale interessate: Direzione Medica di Presidio, Servizio
Prevenzione e Protezione, Provveditorato, Ufficio Tecnico,
Ingegneria Clinica, Responsabili dei reparti ad alto rischio,
ecc. E’ anche fondamentale l’istituzione di un gruppo di lavoro ristretto, coordinato dalla DMP, in cui siano presenti le
professionalità necessarie che lavori in stretta sinergia con
la ditta aggiudicataria dell’appalto valutando almeno mensilmente le problematiche emerse ed i risultati ottenuti. La
procedura gestionale adottata ha consentito, da un lato di
30 HPH Gennaio-Luglio 2013
garantire livelli di sicurezza accettabili per i pazienti ma anche per i lavoratori del San Matteo, dall’altra di contenere
i costi economici derivanti dal trattamento dell’intera rete
idrica del nosocomio.
Bibliografia
Fonti Normative
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Associated Legionnaires’Disease (produced by members of the
European Surveillance Scheme for Travel Associated Legionnaires’ Disease EWGLINET - and the European Working Group for
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diagnosi microbiologica e controllo ambientale della legionellosi-Gazzetta Ufficiale Numero 29 (Serie Generale) del 5 Febbraio 2005 (pag. 25-27) Italia
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4. Sonder GJ, Coutinho RA.et al. Changes in prevention and
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Hosp Epidemiol. 2007 Aug;28(8):1009-12
Sicurezza
E. Possanzini*
A. Sacchelli**
Gli Audit interni per la sicurezza secondo
le BS OHSAS 18001:2007
L’audit, previsto al § 4.5.5. delle BS OHSAS, costituisce
un esame sistematico e documentato di ogni area
dell’organizzazione volto ad ottenere le cd. “evidenze”
di audit e a valutarle oggettivamente, per determinare
in quale misura siano soddisfatti i requisiti richiesti dalla
BS OHSAS 18001:2007. Allo scopo di rilevare le non
conformità oggettive di ogni area dell’organizzazione
e di risolverle, l’Alta Direzione aziendale forma auditor
interni affinchè effettuino controlli (audit) incrociati in
aree di lavoro diverse da quelle di provenienza.
Questo processo consente di rilevare oggettivamente e
obiettivamente le reali problematiche (non conformità)
dell’organizzazione e di verificare se il Sistema di
Gestione sia conforme alla politica aziendale e allo
Std OHSAS 18001:2007.
PAROLE CHIAVE
Audit interni per la sicurezza
*RSPP della Casa di Cura privata Piacenza S.p.A.
*Amministratore unico HSM s.r.l.
COS’E’ UN AUDIT INTERNO? DEFINIZIONE
L’audit interno per la sicurezza è espressamente previsto
dal BS OHSAS 18001, ed è codificato al paragrafo 4.5.5.,
nel capitolo dedicato ai Controlli e alle Azioni Correttive.
Esso costituisce un esame sistematico, critico e documentato di ogni area dell’organizzazione volto ad ottenere le
cd. “evidenze” di audit e a valutarle oggettivamente, per
determinare in quale misura siano soddisfatti i requisiti
richiesti dalla BS OHSAS 18001.
In sintesi si tratta di una attività di ispezione, controllo e di
misurazione di efficacia del Sistema che è stato adottato.
La guida sulle tecniche di audit è rinvenibile nella norma
ISO 19011 “Linee guida per l’audit dei sistemi digestione
della qualità e ambiente”. L’approccio dell’audit e il relativo processo sono gli stessi per il settore della Qualità,
dell’Ambiente, e della Salute e Sicurezza sul lavoro; le
differenze nascono dai dettagli specifici auditati: per la
Salute e Sicurezza sul lavoro, per esempio, il punto di partenza di un audit sarà il rischio e il suo punto di arrivo sarà
l’ eliminazione dello stesso o la sua riduzione entro limiti
di tollerabilità.
32 HPH Gennaio-Luglio 2013
OBIETTIVI PRINCIPALI
L’audit:
••Stabilisce se il Sistema di Gestione sia conforme o meno a
quanto programmato dallo Std OHSAS 18001;
••Stabilisce se il SdG sia opportunamente attuato e mantenuto: è fondamentale infatti poter rilevare chiaramente il
successo o il fallimento di una attività pianificata. Ciò implica l’individuazione dei requisisti di salute e sicurezza, stabilendo a priori che cosa debba essere fatto, in che modo,
quando, chi ne sia il responsabile e i risultati desiderati;
••Stabilisce se il SdG sia efficace nel mettere in atto la politica
aziendale (Gli auditor devono verificare infatti i requisiti del
Sistema permanentemente documentato, cioè il manuale,
le procedure, le i.o., e i risultati dei programmi di gestione,
per verificare se gli obiettivi e la Politica siano soddisfatti);
••Riesamina gli esiti di audit precedenti: verifica infatti che le NC,
cioè le criticità precedentemente rilevate siano state risolte e
quindi che le azioni correttive intraprese siano state efficaci.
Fornisce informazioni su quanto emerso al Management
(quindi una indagine dei risultati per uno sviluppo del miglioramento continuo; gli audit rappresentano infatti per
l’alta direzione aziendale non solo uno strumento di misura
di quanto è stato attuato ma anche un ritorno di informazioni
utili per la programmazione di nuovi obiettivi)
LIVELLI DI PROFONDITA’ DELL’ AUDIT E OGGETTO
DELL’AUDIT SULLA SALUTE E SICUREZZA
3.1 LIVELLO 1
Riesame della sicurezza e salute sul lavoro del reale stato di
fatto dell’ azienda:
••Esamina le prestazioni del SdG e i sistemi in atto riguardanti
i rischi relativi alla salute e alla sicurezza (si tratta di un esame
preliminare per verificare lo stato di fatto del SdG)
E’ condotto dalla Direzione sul sito e può includere:
1) Revisione di tutte le attività
2) Revisione dei singoli processi
••Fornisce una opportunità sul coinvolgimento dei lavoratori
(che vengono responsabilizzati e stimolati ad oggettivare i
problemi e a relazionare a terzi = Lead Auditor)
3.2 LIVELLO 2
Audit dei sistemi di gestione mediante l’utilizzo di check-list
L’audit del SdG verifica:
••Struttura della Direzione
••Attribuzione delle responsabilità, dei ruoli e delle figure del SdG
••Procedure e istruzioni operative aziendali
••Programmi di formazione differenziati per mansione e per
rischio
••Verifiche dell’esistenza di sistemi adeguati e della loro corretta attuazione
3.3 LIVELLO 3
Audit su argomenti specifici in riferimento ad ogni singolo
rischio. Valutazione dettagliata di un particolare argomento/
rischio: in questa fase vengono eseguite misurazioni e rac-
Gennaio-Luglio 2013 HPH
33
Sicurezza
colti dati oggettivi che vengono confrontati con i requisiti
richiesti dalla norma. La valutazione dei rischi e il piano di
controllo degli stessi è parte integrante del “processo di audit”: è necessario infatti rivedere il piano d’azione attuato allo
scopo di valutare il miglioramento ottenuto.
A titolo esemplificativo: Rischio Rumore nel luogo di lavoro,
stoccaggio rifiuti/aree di deposito (eventuale rischio per la
sicurezza dei luoghi di lavoro).
BENEFICI DELL’ AUDIT INTERNO
L’audit:
••Consente che i problemi inerenti l’organizzazione, la salute
e la sicurezza siano regolarmente riesaminati: il programma
di gestione infatti va revisionato e corretto ad intervalli re-
34 HPH Gennaio-Luglio 2013
golari e pianificati alla luce delle criticità emerse;
••Evidenzia il successo o il fallimento di una determinata attività pianificata e quindi evidenzia la necessità di nuove
risorse (economiche, tecnologiche o anche umane);
••Assicura, attraverso il monitoraggio continuo, di mantenere la
conformità dell’organizzazione con gli standard legislativi;
••coadiuva il riesame della Direzione e i piani di miglioramento (gli ESITI degli AUDIT costituiscono infatti uno degli
tanti INPUT del RIESAME, cioè un insieme di dati e informazioni utilizzati dalla Direzione aziendale per valutare i
risultati e per assumere le decisioni – OUTPUT- relative al
miglioramento del SdG e dei suoi processi.)
Allo scopo di rilevare le non conformità oggettive di ogni
area dell’organizzazione e di risolverle, l’Alta Direzione
aziendale forma auditor interni affinchè effettuino controlli
(audit) incrociati in aree di lavoro diverse da quelle di provenienza.
E’ proprio questa “estraneità” del valutatore rispetto al settore
auditato che consente di rilevare in modo obiettivo le reali
problematiche (non conformità) dell’organizzazione e di
verificare se il Sistema di Gestione sia conforme alla politica
aziendale e allo Std OHSAS 18001:2007.
BIBLIOGRAFIA
BS OHSAS 18001:2007 D.Lgs. 81/2008 e smi
Manuale per auditor interno HSM srl – edizione del 2010
Sicurezza
R. Lombardi1, A. Ledda2
Le misure di sicurezza ai sensi
del D.Lgs. 81/2008 e s.m.i. nei sistemi idrici
Lo scopo del lavoro è stato di valutare se l’applicazione del nuovo regolamento ha apportato dei
cambiamenti positivi e concreti per gli operatori del
settore o se si tratta di provvedimenti che poco aggiungono a quanto già stabilito dal Codice degli appalti. Dopo un esame della normativa di riferimento, con una focalizzazione in particolare, sui nuovi
compiti del RUP e del direttore dell’esecuzione, si è
potuto rilevare che, anche sulla base delle esortazioni dell’AVCP, vi è stata una volontà del legislatore
all’introduzione di norme specifiche per i servizi e
forniture. La criticità è che queste novità introdotte
estendono quasi sempre la disciplina dei contratti
pubblici di lavori a quella dei servizi e forniture che
avrebbero richiesto la definizione e l’elaborazione di
discipline settoriali. Basti pensare alla complessità
della regolamentazione in tema di esecuzione dei
contratti che aveva certamente bisogno di essere
disciplinata, ma senza quella dovizia di particolari
propria dei lavori pubblici, voglio dire che si potevano sfoltire alcuni passaggi delle procedure di verifica di conformità dell’esecuzione dell’appalto.
PAROLE CHIAVE
RUP, regolamento, appalti, programmazione, esecuzione
1 Dipartimento Igiene del Lavoro ex ISPESL- INAIL,
2 DIPIA ex ISPESL- INAIL
Negli ambienti di lavoro il rischio biologico è assimilato con l’identificazione del rischio di esposizione
ad agenti biologici e di conseguenza con la tecnica
di prevenzione che richiede specifiche misure di prevenzione e protezione in base a quanto previsto dagli
adempimenti del Titolo X del D.Lgs. 81/2008 e s.m.i..
L’odierna normativa ha dei contenuti fortemente innovativi, infatti questa è fondata sulla necessità di garantire una protezione e tutela appropriata ed efficace
al personale qualora si individuino delle esposizioni,
anche potenziali, ad agenti che possono provocare
un danno alla salute del lavoratore. Pertanto risulta
di grande importanza la caratterizzazione degli interventi posti in essere.
A tal proposito il Titolo X del D.Lgs. 81/2008 e s.m.i.
recepisce la Direttiva 2000/54/CE del Parlamento Europeo e Consiglio relativa alla “Protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da esposizione ad agenti
biologici durante il lavoro”.
L’art. 1 “Oggetto” della Direttiva riporta: “La presente
direttiva ha per oggetto la protezione dei lavoratori
contro i rischi che derivano o possono derivare per
la loro sicurezza e la loro salute dall’esposizione agli
agenti biologici durante il lavoro ivi compresa la prevenzione di tali rischi”. Quindi, in conformità alla precedente definizione, tutte quelle attività che richiedono
l’applicazione di misure di prevenzione e protezione
per evitare la contaminazione da agenti biologici rientrano a pieno titolo tra quelle contemplate dalla
Direttiva.
La conferma di questo ambito di applicazione è contenuta all’art. 3 “Campo di applicazione — Individuazione e valutazione dei rischi”, nel quale viene specificato che “la presente direttiva si applica alle attività
nelle quali i lavoratori sono o possono essere esposti
ad agenti biologici a causa della loro attività professionale”.
Sulla base del procedimento di valutazione del rischio, che costituisce l’elemento fondamentale del
processo, si possono desumere le misure di sicurezza
da attuare.
Ai sensi dell’art. 271 del Titolo X del D.Lgs. 81/2008 e
s.m.i. è infatti indispensabile indicare, differenziando
per luogo o ambiente di lavoro, se è presente o meno il
“rischio di esposizione” ad agenti biologici e quali siano
le misure tecniche, organizzative procedurali ( art. 272
del Titolo X) messe in atto o da dovere attuare al fine
di evitare l’esposizione dei lavoratori, individuando e
definendo i necessari interventi di protezione.
La definizione e la caratterizzazione delle misure di
sicurezza nelle strutture nelle quali si identifica quindi
il “rischio di esposizione” ad agenti biologici è di primaria importanza nell’ambito dell’attività lavorativa.
Gennaio-Luglio 2013 HPH
35
Sicurezza
Ad esempio nel caso specifico di contaminazione
dell’acqua da agenti biologici patogeni, quali ad
esempio la Legionella o Pseudomonas aeruginosa, le
Legionella Spp. o la variante Pneumophila, può verificarsi l’esposizione dell’operatore e/o di un utente a tali
agenti. Poichè questi sono classificati al gruppo 2 tra i
patogeni (V. All. del D.Lgs. 81/2008 e s.m.i.), in base a
quanto indicato nel D.Lgs. 81/2008 e s.m.i., è necessario attuare tutte le misure di sicurezza necessarie.
Gli interventi di protezione sia di tipo collettivo che
individuale, per una adeguata e concreta salvaguardia
del lavoratore, devono essere scelti e concretizzati in
funzione delle specifiche tecniche, dei requisiti ed in
relazione alle proprietà proprie degli agenti biologici,
connessi con l’ambiente o con il posto di lavoro, che si
identificano come sorgenti di rischio. A tal proposito
bisogna considerare con attenzione quanto riportato
all’art. 15 “Misure generali di tutela”, comma 1, lettera
c) del D.Lgs. 81/2008 e s.m.i., che prevede “l’eliminazione dei rischi in relazione alle conoscenze acquisite
in base al progresso tecnico e, ove ciò non è possibile, la loro riduzione al minimo“, in seguito al comma
1, lettera z) dell’ Art. 18 tra gli obblighi del datore di
lavoro e del dirigente, si indica che è il datore di lavoro che “aggiorna le misure di prevenzione, ovvero
in relazione al grado di evoluzione della tecnica della
prevenzione e protezione”, e inoltre è importante tener presente quanto pronunciato da una recente sentenza della Suprema Corte di Cassazione, la n. 12863
del 29 Dicembre 1998, che ha sancito ancora una volta
il principio della “fattibilità tecnologica“ per la tutela
della salute del lavoratore.
A titolo esemplificativo si riportano le proprietà del
batterio denominato Legionella, noto agente biologico contaminante del sistema idrico, le caratteristiche
degli impianti che ne favoriscono la proliferazione e le
strategie di prevenzione specifiche.
La comparsa di questo agente risale al 1976, anche se
si registrano casi isolati precedenti, è stato in seguito
isolato nel 1977 e gli è stato assegnato il nome di Legionella per il genere e di Legionella pneumophila per
la specie individuata nel 1978 ad Atlanta.
La crescita è favorita dai seguenti parametri fisici: pH
da 6,8 ÷ 6,95 (anche se riesce a sopravvivere per breve
tempo fino a pH 2), temperatura tra i 25°C e i 45°C
(temperatura ottimale da 32 ÷ 42 °C).
Solitamente questo agente patogeno è acquisito per
via respiratoria mediante inalazione di: aerosol, particelle di polvere derivate per essiccamento da areosol,
vapori di acqua contaminata, ecc. Inoltre, di norma,
affinché nei soggetti esposti insorga una infezione
è indispensabile che si verifichino simultaneamente
36 HPH Gennaio-Luglio 2013
Modalità
Fonte
Inalazione di
aerosol
••Impianto idro-sanitario
••Torri di raffreddamento
••Umidificazione centralizzata
dell’impianto di Condizionamento
••Apparecchi per aerosol e
ossigenoterapia
••Vasca idromassaggio
Aspirazione
••Colonizzazione orofaringea
••Sonda nasogastrica
Introduzione di ••Apparecchiatura per la
microrganismi
respirazione assistita
direttamente
••Dispositivo medico utilizzato sulle
vie respiratorie contaminate
nelle vie
respiratorie
Tabella 1 Modalità e sorgenti di trasmissione della contaminazione da Legionella
le seguenti condizioni: appropriata virulenza, esposizione reiterata e/o prolungata, concentrazione tale
da instaurare l’infezione nel soggetto esposto. Le modalità di contagio possono avere diverse fonti, di seguito sono riportate le principali modalità e sorgenti
di trasmissione.
Di conseguenza gli impianti a più rilevante rischio
sono quelli idro-sanitari nelle abitazioni civili, negli
edifici ad uso ufficio, nelle case di riposo, negli ospedali, nelle caserme e nelle strutture recettive in genere
ecc.; le torri di raffreddamento; gli impianti per attività
sportive e scolastiche; gli impianti degli stabilimenti
termali; le fontane decorative e le cascate artificiali.
Quindi, anche in considerazione delle statistiche riportate dall’ISS, le attività da monitorare con maggior
attenzione risultano essere quelle: turistico - ricettive;
ad uso collettivo (centri benessere, SPA, palestre e impianti sportivi, centri commerciali, fiere, esposizioni,
ecc.); termali; sanitarie; socio-sanitarie; socio-assistenziali.
Sulla base delle caratteristiche tecnico-costruttive gli
impianti a maggior rischio di diffusione di agenti patogeni sono: quelli più vetusti, nei quali è più probabile si
siano prodotti fenomeni di logoramento e corrosione;
gli impianti idrici o idrosanitari dotati di estese reti di
condutture, punti di giunzione e rami “morti”, tubature
con flusso d’acqua minimo o assente e quelli con presenza di serbatoi di accumulo dell’acqua e di impianto
di ricircolo; quelli realizzati non correttamente o collo-
Tecnica
Vantaggi
Svantaggi
Trattamento
termico
Non necessita di apparecchiature
sofisticate
Costo minimo
Si vanifica nel tempo
Il personale deve tenere costantemente sotto
controllo il trattamento
Rischio di temperatura troppo elevata
Efficacia temporanea
Alterazione del circuito
Iperclorazione
Si esercita disinfezione anche con
concentrazioni residue
Corrosione del circuito
Produzione di composti cancerogeni
(Trialometani)
Basso costo
Facile installazione
Non condizionabile dalla temperatura
Richiede continua manutenzione e controllo
Possibile sviluppo di resistenza (?)
Concentrazione di ioni metallici in acqua
Facile installazione
Non vi è odore o reazioni chimiche
incontrollate
Il trattamento è più effettivo se l’agente
biologico è localizzato in aree ristrette
Carenza di effetto residuo
Richiede frequente disinfezione
Possono aumentare i costi per controllare
l’omogeneità della radiazione in grado di
garantire l’efficacia
Ionizzazione
Cu/Ag
Radiazione UV
Tabella 2 Vantaggi e svantaggi dei trattamenti di decontaminazione più diffusi
cati in posizione non idonea; quelli insufficientemente
o mai sottoposti a manutenzione.
Nel caso della Legionella, in considerazione di quanto
appena detto, nei sistemi idrici si possono attuare le
seguenti strategie di prevenzione a breve termine:
evitare l’installazione di tubazioni con tratti terminali
ciechi e senza scorrimento dell’acqua; evitare la formazione di ristagni d’acqua; provvedere ad effettuare una
pulizia ricorrente degli impianti; limitare l’eventualità
di “nicchie biologiche” per i microrganismi per mezzo
di una pulizia degli impianti, la prevenzione e la rimozione dei depositi dai serbatoi d’acqua calda, bacini di
raffreddamento e altre misure igieniche; mantenere
efficienti i separatori di gocce montati “a valle” delle
unità di umidificazione; verificare lo stato di efficienza
dei filtri ed eliminare l’eventuale presenza di gocce
d’acqua sulle superfici; controllare, ove possibile, la
temperatura dell’acqua in modo da evitare l’intervallo
critico per lo sviluppo dei batteri (25-55°C); impiegare
trattamenti biocidi al fine di ostacolare la crescita di
alghe, protozoi e altri batteri che possono costituire
nutrimento per l’agente biologico; provvedere ad
un efficace programma di trattamento dell’acqua, in
grado di prevenire la corrosione e la formazione di
biofilm.
Per evitare dunque tale tipo di contaminazione si possono, inoltre, mettere in atto le seguenti strategie di
prevenzione a lungo termine: ottenimento di informazioni preliminari circa il progetto, il funzionamento
e la manutenzione dell’impianto idrico; progettare
l’impianto in modo da avere ben divise le tubazioni
dell’acqua calda da quelle dell’acqua fredda; pianificazione di visite ispettive sull’impianto idrico al fine di:
constatare possibili stagnazioni d’acqua, intersezioni
tra sistemi di acqua potabile e industriale; effettuare
rilevamenti delle temperature di accumulo e di mandata dell’acqua calda ad uso sanitario; programmare le
visite ispettive sull’impianto di climatizzazione al fine
di esaminare lo stato degli umidificatori, delle torri
evaporative, l’ubicazione delle prese di aria esterna e
lo stato delle canalizzazioni; verificare il programma
di manutenzione.
In merito alla tutela della salute da agenti biologici in
un ambiente di lavoro è necessario valutare alcuni importanti provvedimenti di prevenzione e protezione di
tipo collettivo per quanto riguarda la contaminazione
dell’acqua.
Tra questi, come già visto, un ruolo fondamentale è
svolto dalle procedure di pulizia, decontaminazione e
disinfezione degli apparati di umidificazione dell’aria,
delle vasche e piscine e dei dispositivi per trattamenti
respiratori.
La procedura di disinfezione, di rilievo sotto il profilo
della tutela della salute, è parte integrante di qualsiasi attività che comporta un’esposizione, sebbene
solo potenziale, ad agenti biologici (come ad esempio
per l’impiego di apparecchiature e dispositivi, decontaminazione ambientale, di componenti di strumenti
Gennaio-Luglio 2013 HPH
37
Sicurezza
Metodo
Facilità di
installazione
Costi
Gestione e
manutenzione
Efficacia
nel breve
periodo
Efficacia
nel lungo
periodo
Svantaggi
Facile
Bassi
Facile
Buona
Scarsa
Ricolonizzazione a basse temperature
Lavoro intenso
Potenziali ustioni
Iperclorazione
Difficile
Alti
Eseguibile Difficile
Buona
Discreta Buona
Corrosione circuito
Produzione prodotti cancerogeni
Ionizzazione
Cu/Ag
Discreta
Moderati
Eseguibile
Non
definibile
Non
definibile
Si addizionano ioni metallici
all’acqua potabile
Discreta
Prefiltrazione per avere una costante intensità di irraggiamento
Continua manutenzione e pulizia
delle lampade UV
Trattamento
termico
Radiazione
UV
Discreta
Moderati
Difficile
Buona
Tabella 3 Caratteristiche a confronto dei trattamenti di decontaminazione più diffusi
ed impianti di varia tipologia, ecc.). A tale proposito
una procedura di disinfezione si considera adeguata al
fine prefissato se è efficace nei confronti degli agenti
biologici che rappresentano la sorgente dell’infezione
o delle infezioni.
È essenziale impiegare sostanze disinfettanti che possiedono l’attività richiesta in considerazione anche
dei necessari tempi di contatto, dei diversi substrati e
degli eventuali mezzi interferenti nei quali siano presenti gli agenti infettivi, poiché le proprietà microbicide potrebbero essere insufficienti, annullate o fortemente ridotte (ad esempio in alcuni casi sono del tutto
inefficaci clorexidina, ammonici quaternari, iodofori,
ecc., in particolare per il limitato spettro d’azione e
gli insufficienti tempi di contatto). Nel contempo è
doveroso riporre altrettanta attenzione nella scelta di
questi composti valutando anche le caratteristiche di
tossicità per i soggetti esposti in funzione delle concentrazioni di impiego (ad es. evitare l’impiego di formaldeide, gliossale, gluteraldeide, ecc.).
Per la scelta dei principi attivi o delle formulazioni per
disinfezione è consigliabile considerare la documentazione tecnico – scientifica e la rispondenza alle norme
tecniche di settore. Per la valutazione dell’attività battericida di base di formulazioni ad azione disinfettante
si può prendere a riferimento la norma tecnica UNI
EN 1040, del 1999, mentre per il test quantitativo in
sospensione per la valutazione dell’attività battericida
per strumenti ci si può riferire alla norma EN1327:2003
ed ancora nella analisi dell’attività virucida di formulazioni ad azione disinfettante e della attività’ nei
confronti di poliovirus e adenovirus la norma di riferimento è la EN 14476 del 2005.
38 HPH Gennaio-Luglio 2013
Per la corretta attuazione di un test quantitativo in sospensione per valutare l’attività fungicida sarà necessaria l’adeguatezza alla norma EN13624 del 2003, mentre
la conformità alla norma EN 14347 del 2005 è richiesta
nella stima dell’attività sporicida di base e la conformità
alla EN14348 del 2005 costituisce il punto di partenza
per eseguire correttamente il test quantitativo in sospensione per la valutazione dell’attività micobattericida
di disinfettanti chimici per l’uso nell’area medica inclusi
disinfettanti per strumenti. In ultimo per la valutazione
dell’attività battericida e fungicida di formulazioni ad
azione disinfettante, test di superficie è auspicabile la
rispondenza alla norma EN 13697 del 2001.
Attualmente il trattamento di decontaminazione delle
reti di distribuzione di acqua sanitaria è considerato,
tra le misure di tipo collettivo, di rilevante importanza
per via della frequenza di casi di contaminazione delle
reti idriche da agenti biologici. Al momento per la
decontaminazione, a nostro parere, l’adozione di appositi sistemi filtranti è una soluzione generalmente
applicabile in tutti gli impianti, anche in quelli molto
vetusti. Questi, nel caso in cui la contaminazione dovesse riguardare l’intero impianto e/o se questo fosse
di grandi dimensioni o complesso, potrebbero lavorare
in forma cooperativa con altri sistemi decontaminanti
di tipo innovativo al fine di costituire una soluzione
completa e duratura.
Al riguardo si evidenzia di aver espresso un parere
di conformità ai requisiti della vigente legislazione,
i.e. D.Lgs 81/2008 e s.m.i., in merito ad alcuni sistemi
di gestione del rischio da Legionella caratterizzati
dall’adozione in contemporanea di un sistema di disinfezione e dalla collocazione di sistemi filtranti di
appropriata specificità funzionale nei punti terminali
dell’impianto idrico e/o in altre posizioni. Un esempio
di tale gestione si può osservare presso il Policlinico
San Matteo di Pavia, un altro presso le strutture della
ASL di Modena.
Nelle tabelle seguenti verranno valutate analiticamente le caratteristiche peculiari dei trattamenti di
decontaminazione più diffusi.
Bisogna valutare inoltre che durante l’attività di manutenzione è obbligatorio rendere disponibili per gli
operatori addetti specifici Dispositivi di Protezione
Individuale (DPI), adeguati per il rischio biologico.
Per quanto riguarda la specificità dei DPI ognuno
deve essere selezionato, previa valutazione del rischio, in funzione della specifica attività espletata, e
deve avere la caratteristica fondamentale di tutelare
il lavoratore dall’interazione con gli agenti biologici
che determinano il rischio di esposizione. Se l’esposizione è ad agenti biologici patogeni come nel caso
delle procedure di manutenzione su impianti contaminati, devono essere resi disponibili per gli operatori
i seguenti DPI: guanti, indumenti di protezione, dispositivi di protezione delle vie respiratorie e sistemi per
la protezione del volto da schizzi.
In merito ai guanti, è necessario che sia stata emessa
una certificazione CE di Tipo dall’Organismo Notificato
per il Produttore che dimostri la marcatura CE come
DPI, che attesti la conformità alla norma tecnica EN
374 per la “protezione da microrganismi”, e che dichiari
che il DPI è in III Categoria. In merito a questo ultimo
aspetto è consigliabile prendere visione sempre di una
copia della certificazione e della documentazione di
riferimento. Al momento sono disponibili guanti realizzati con una formulazione di disinfezione inserita
nella matrice polimerica che riesce ad abbattere considerevolmente il rischio di infezione (circa 80%) in caso
di lacerazione. Alla luce di questa caratteristica questi
si qualificano quindi come misura di sicurezza che dà
la garanzia di una migliore tutela della salute per operatori con specifiche modalità espositive che hanno
la necessità di un’ottimizzazione delle misure di sicurezza (si valuti inoltre che tali guanti sono disponibili
anche nella versione sterile per specifiche procedure
chirurgiche invasive).
Anche gli indumenti di protezione devono essere
forniti di una certificazione CE rilasciata dall’Organismo Notificato per la protezione da agenti biologici
ai sensi del D.Lgs. 475/92, in rispondenza ai requisiti
della norma tecnica EN 14126 ed essere classificati in
III categoria. Questa tipologia di indumenti può essere
di differente tipologia in relazione alle modalità lavorative ed alle mansioni da espletare, attualmente sono
Figura 1 Guanti marcati CE quali DPI
disponibili nella foggia di tuta e di camice.
Se gli indumenti sono costituiti da più elementi devono essere concepiti in modo tale da garantire la
salvaguardia in tutte le prevedibili posizioni di lavoro e per ogni indumento si deve assicurare sempre
un’adeguata protezione lungo le parti di chiusura. Nel
caso in cui la valutazione del rischio evidenzi che il
rischio di esposizione del lavoratore implica l’esigenza
di utilizzare altri DPI specifici, gli stessi devono essere
compatibili con l’indumento e devono avere requisiti di protezione adeguati. Per tutto il periodo in cui
permane il rischio di esposizione agli agenti biologici
Figura 2 Diverse tipologie di indumenti di protezione
Gennaio-Luglio 2013 HPH
39
Sicurezza
Figura 3 Facciale filtrante
è necessario indossare gli indumenti. Infine ogni indumento di protezione, deve essere corredato di una
nota informativa nella quale siano evidenziate le caratteristiche proprie e le specifiche tecniche.
È necessario, inoltre, stabilire con apposite procedure
aziendali le modalità di gestione dopo l’uso. Tali procedure devono considerare i livelli di contenimento da
conseguire in funzione degli agenti biologici che rappresentano i rischi di esposizione. Oltre a ciò dovrebbero essere stabilite le modalità di conservazione, di
eventuale decontaminazione oppure le modalità per un
corretto smaltimento. L’utilizzatore è tenuto a rispettare
le indicazioni di manutenzione fissate dal fabbricante.
Nel caso di agenti biologici volatili bisogna adottare
dei dispositivi di protezione delle vie respiratorie. Per
questi è necessario verificare che il lavoratore esposto sia adeguatamente protetto dallo specifico agente
biologico valutando con attenzione la documentazione tecnico-scientifica che ne dimostra l’idoneità di
protezione.
In base all’attuale stato dell’arte, per tutelare l’operatore esposto, anche solo potenzialmente, ad agenti
biologici è essenziale che questo indossi un facciale
filtrante monouso in possesso della certificazione CE,
rilasciata al fabbricante da un Organismo Notificato,
per la protezione da agenti biologici del gruppo 2 e
3 ai sensi della Direttiva 54/2000 CE come DPI in III
categoria in relazione alla Direttiva 686/89 CE (D.Lgs
475/92).
I facciali filtranti non dovrebbero essere riadoperati
dopo l’uso e vanno in ogni caso scartati se danneggiati, sporchi o contaminati da sangue o altri liquidi
biologici. Se si dovessero eseguire attività con specifiche modalità di esposizione, come ad esempio le
attività di manutenzione in sezioni di impianto con
ingente contaminazione, si raccomanda l’impiego di
una maschera a pieno facciale o di una semimaschera
con filtro specifico per la protezione da agenti biologici (avente una propria certificazione CE di Tipo,
dall’Organismo Notificato per il Produttore, che attesti
la marcatura CE come DPI in III categoria, e la protezione da agenti biologici del gruppo 2 e 3).
Se dalla valutazione del rischio emerge la necessità
di indossare anche i dispositivi per la protezione del
volto da schizzi di liquidi biologici e da altro materiale similare, del tipo a visiera od equivalente, questi devono avere la certificazione CE di Tipo emessa
dall’Organismo Notificato per il Produttore che ne attesti i requisiti di “protezione da spruzzi di liquidi” in
conformità a quanto previsto dalla norma tecnica EN
166. Nel caso siano disponibili dispositivi classificati
in III categoria, in relazione alla Direttiva 686/89 CE
(D.Lgs 475/92), per i quali la certificazione CE attesti
nello specifico la protezione da agenti biologici questi saranno da privilegiare come misura di protezione
individuale.
Figura 4
Maschera a pieno facciale
40 HPH Gennaio-Luglio 2013
Per approfondire le questioni trattate nel presente articolo si rimanda anche ai seguenti documenti:
D.Lgs. 81/2008 (Testo unico in materia di tutela della
salute e sicurezza sui luoghi di lavoro) - Attuazione
dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi
di lavoro (G.U. 30 aprile 2008, n. 101, suppl. ord.)., corredato di tutte le modifiche e integrazioni, fra cui in
particolare quelle derivate dal D.L.gs. 106/2009;
D.Lgs. 475/1992 - Attuazione della direttiva 89/686/
CEE del Consiglio del 21 dicembre 1989, in materia di
ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri
relative ai dispositivi di protezione individuale;
Linee guida 4 aprile 2000, «Linee guida per la prevenzione e il controllo della legionellosi» (G.U. 5 maggio
2000, n. 103);
Accordo della Conferenza Permanente Rapporti Stato
e Regioni, ai sensi dell’art. 4, decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, tra il Ministro della Salute e le Regioni
e le Province autonome di Trento e di Bolzano, «Linee
guida recanti indicazioni sulla legionellosi per i gestori
di strutture turistico ricettive e termali», (G.U. del 4 febbraio 2005, n. 28);
Accordo della Conferenza Permanente Rapporti Stato e
Regioni, ai sensi dell’art. 4, decreto legislativo 28 agosto
1997, n. 281, tra il Ministero della Salute e i Presidenti
delle Regioni e delle Province autonome, «Linee guida
recanti indicazioni ai laboratori con attività di diagnosi
microbiologica e controllo ambientale della legionellosi», (G.U. 5 febbraio 2005, n. 29);
Sentenza n. 12863 della Suprema Corte di Cassazione
del 29 Dicembre 1998;
Direttiva 2000/54/CE del Parlamento Europeo e del
Consiglio del 18 settembre 2000 relativa alla protezione
dei lavoratori contro i rischi derivanti da un’esposizione
ad agenti biologici durante il lavoro;
Direttiva 89/686/CEE del Parlamento Europeo e del
Consiglio del 30/12/1989 concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri relative ai
dispositivi di protezione individuale;
Norma tecnica UNI EN 1040 “Disinfettanti chimici e antisettici - Prova in sospensione quantitativa per la valutazione dell’attività battericida di base dei disinfettanti chimici e antisettici - Metodo di prova e requisiti (Fase 1)”;
Norma tecnica UNI EN 14476 “Disinfettanti chimici ed
antisettici - Prova quantitativa in sospensione virucida
per disinfettanti chimici ed antisettici utilizzati nella
medicina umana - Metodo di prova e requisiti (fase 2,
grado 1)”;
Norma tecnica UNI EN 13624 “Disinfettanti chimici ed
antisettici - Prova quantitativa in sospensione per la valutazione dell’attività fungicida dei disinfettanti chimici
Figura 5 Dispositivo per la protezione del volto da schizzi
per strumenti utilizzati in campo medico - Metodo di
prova e requisiti (fase 2, stadio 1)”;
Norma tecnica UNI EN 14347 “Prodotti chimici disinfettanti e antisettici - Attività sporicida di base - Metodo
di prova e requisiti (fase 1, stadio 1)”;
Norma tecnica UNI EN 14348 “Disinfettanti chimici ed
antisettici - Prova quantitativa in sospensione per la
valutazione dell’attività mico- battericida dei disinfettanti chimici nel campo medico, compresi i disinfettanti per strumenti - Metodi di prova e requisiti (fase
2/stadio 1)”;
Norma tecnica UNI EN 13697 “Disinfettanti chimici ed
antisettici - Prova quantitativa per superfici non porose
per la valutazione dell’attività battericida e/o fungicida
dei disinfettanti chimici usati in campo alimentare, industriale, domestico e istituzionale - Metodo di prova e
requisiti senza azione meccanica (fase 2/stadio 2)”;
Norma tecnica UNI EN 374 “Guanti di protezione contro
prodotti chimici e microorganismi” Parti da 1 a 3;
Norma tecnica UNI EN 14126 Indumenti di protezione
- Requisiti prestazionali e metodi di prova per gli indumenti di protezione contro gli agenti infettivi;;
Norma tecnica UNI EN 166 Protezione personale degli
occhi – Specifiche;
Linee guida sugli standard di sicurezza e di igiene del lavoro nel reparto operatorio del Dicembre 2009, Dipartimento Igiene del Lavoro dell’INAIL ex ISPESL preparato
dalla “Commissione per la definizione degli standard di
sicurezza e di igiene ambientale dei reparti operatori –
predisposizione di linee guida per i settori dell’attivita’
ospedaliera: linee guida sugli standard di sicurezza e di
igiene del lavoro nel reparto operatorio”.
Gennaio-Luglio 2013 HPH
41
Sicurezza
G.Taino1, M. Giorgi2
L’esposizione a radiazioni ottiche artificiali
non coerenti e coerenti (laser):
effetti sulla salute e sorveglianza sanitaria
Le radiazioni ottiche artificiali (ROA), non coerenti
e coerenti (Laser), trovano oggi numerose applicazioni in ambito lavorativo e possono essere responsabili di effetti biologici che si tramutano in danno
quando vengono superati i limiti di efficacia dei
meccanismi di adattamento dell’organismo.
Sono stati analizzati i dati della letteratura scientifica in merito agli effetti sull’uomo dell’esposizione a
radiazioni ottiche artificiali, con lo scopo di formulare criteri per l’effettuazione della sorveglianza sanitaria mirata alla prevenzione di potenziali effetti
nocivi sulla salute dei lavoratori professionalmente esposti al rischio. Dall’analisi condotta è emerso
che, in relazione alla loro lunghezza d’onda, l’azione
delle radiazioni ottiche artificiali si esplica principalmente sull’occhio e sulla cute secondo modalità e
gravità differenti in rapporto alle caratteristiche
della radiazione ottica e ai differenti livelli anatomici di interazione. Sono state anche analizzate le
condizioni di ipersuscettibilità al rischio dei soggetti
esposti. Si è sottolineato il fondamentale ruolo del
medico competente il quale, in considerazione degli
attuali riferimenti normativi e alla luce dei dati della
letteratura scientifica sull’argomento, ha il compito
di elaborare criteri e protocolli sulla base dei quali
effettuare una sorveglianza sanitaria mirata alla
tutela dei lavoratori dal rischio correlato all’esposizione occupazionale a ROA.
PAROLE CHIAVE
Radiazioni ottiche artificiali, cute, occhio, sorveglianza sanitaria
1
U.O. Medicina Ambientale e Medicina Occupazionale – IRCCS
Fondazione Salvatore Maugeri, Pavia.
2
Scuola di Specializzazione in Medicina del Lavoro - Università degli
Studi di Pavia
42 HPH Gennaio-Luglio 2013
INTRODUZIONE
L’esposizione a radiazioni di ogni regione dello spettro
elettromagnetico può essere responsabile di effetti biologici che possono tramutarsi in danno quando vengano
superati i limiti di efficacia dei meccanismi di adattamento dell’organismo. In considerazione delle differenti
modalità di interazione con la materia e conseguentemente dei diversi effetti biologici inducibili negli organismi viventi, lo spettro delle radiazioni elettromagnetiche
può essere suddiviso nella regione delle radiazioni ionizzanti e in quella delle radiazioni non ionizzanti. La zona
di transizione si trova in corrispondenza della lunghezza
d’onda di 100 nm. La porzione dello spettro elettromagnetico relativa alle NIR (Radiazioni non ionizzanti) può
essere suddivisa in funzione della lunghezza d’onda o
della frequenza, secondo il seguente schema [1]:
1) Radiazioni ottiche, che comprendono:
••radiazioni ultraviolette (UV), lunghezza d’onda compresa fra 100 e 400 nm, a loro volta suddivise in: UV- C
(100 - 280 nm), UV- B (280 - 315 nm) ed UV- A (315
- 400 nm);
••radiazioni del visibile (luce), lunghezza d’onda compresa fra 380 e 780 nm;
••radiazioni infrarosse (IR), lunghezza d’onda compresa
fra 780 nm e 1 mm, a loro volta suddivise in: IR-A (780
- 1400 nm), IR-B (1400 - 3000 nm) ed IR-C (3000 nm 1mm).
2) Radiofrequenze (RF): frequenza compresa fra 100 kHz
e 300 GHz, lunghezza d’onda compresa fra 1000 Km e 1
mm. Nelle radiofrequenze sono comprese le microonde
(MW) caratterizzate dal range di frequenza 300 MHz 300 GHz.
3) Campi a frequenze estremamente basse (ELF): frequenza compresa fra 0 e 300 Hz (in pratica soprattutto
frequenze di 50-60 Hz).
Le radiazioni ottiche trovano numerose applicazioni sia
nell’ambiente di vita che nell’ambiente di lavoro. Vengono prodotte per essere utilizzate in numerosi processi
industriali e possono rappresentare un agente di rischio
non desiderato per la salute dei lavoratori esposti.
L’esposizione a radiazioni infrarosse in ambito lavorativo
è principalmente legata alla manipolazione di oggetti
caldi o alla necessità di sostare presso forni ad altissima
temperatura (lavorazione del vetro, fonderie, preparazione di cibi ecc).
Per quanto riguarda l’esposizione a radiazioni ottiche
della banda del visibile, nell’ultimo secolo si è passati
da una prevalente esposizione diretta alla luce naturale
della società pre-industriale al lavoro in ambienti chiusi
con il processo di elettrificazione e con l’enorme diffusione delle lampade a fluorescenza. L’illuminamento
dell’ambiente di lavoro è oggi caratterizzato da una raffinata qualità illuminotecnica: giusta quantità di luce,
controllo dell’abbigliamento e del contrasto, direzione
della luce, suoi caratteri in rapporto ai colori degli oggetti. Tuttavia, nel caso di impiego di lampade ad incandescenza, a scarica nei gas, fluorescenti, speciali, il
rischio è legato all’intensità ed alla forma dello spettro
di emissione con particolare riferimento alla presenza di
radiazioni UV e di luce blu.
La sorgente che in misura maggiore contribuisce a determinare il livello di esposizione a radiazioni ultraviolette è rappresentata dal sole. Le sorgenti artificiali sono
usate in campo medico (fototerapia con UVB a banda
larga, fotochemioterapia con psoraleni, terapia PUVA)
nei trattamenti estetici, nella sterilizzazione di liquidi e
superfici e in diverse applicazioni industriali e artigiane
(lavorazione dei metalli, saldatura a gas e ad arco elettrico, forgiatura, ecc.).
Le principali applicazioni della radiazione laser in ambito occupazionale riguardano oggi le seguenti attività:
trattamenti termici, incisione di materiale ceramico,
marchiatura ad alta velocità, allineamenti, misure di distanza, fabbricazione di circuiti integrati, asportazione
ad alta precisione di rivestimenti, ecc.
MATERIALI E METODI
La Direttiva 2006/25/CE del Parlamento europeo e del
Consiglio, del 5 aprile 2006 contiene le prescrizioni minime di sicurezza e di salute relative all’esposizione dei
lavoratori ai rischi derivanti dagli agenti fisici (radiazioni
ottiche artificiali) (diciannovesima Direttiva particolare
ai sensi dell’art. 16, paragrafo 1, della Direttiva 89/391/
CEE). Tale direttiva, pubblicata nella G.U.U.E. 27 aprile
2006, n. L 114, entrata in vigore il 27 aprile 2006 stabilisce le prescrizioni minime di protezione dei lavoratori
contro i rischi per la loro salute e la loro sicurezza derivanti dall’esposizione alle radiazioni ottiche artificiali.
Con l’entrata in vigore delle disposizioni di cui al Capo
V del Titolo VIII del D.Lgs. 81/08 viene ad essere garantita dal legislatore la piena tutela della sicurezza e della
salute dei lavoratori esposti a radiazioni ottiche artificiali (ROA). Dal 26 aprile 2010 la sorveglianza sanitaria
degli esposti a ROA deve essere effettuata secondo le
disposizioni di cui agli artt. 41, 185 e 218 del D.Lgs. 81/08
per tutti i lavoratori di cui al campo di applicazione oggettivo e soggettivo del medesimo decreto legislativo.
Sebbene siano emersi pareri contrastanti in merito al
motivo per cui il medico competente che non collabora
alla valutazione del rischio risulta attualmente passibile
di sanzione penale, vi è da dire che mai come nel caso
delle radiazioni ottiche artificiali il supporto specialistico
del medico competente sia da ritenersi fondamentale e
pertanto irrinunciabile. Plurime infatti sono le disposizioni di cui al Capo V del Titolo VIII del D.Lgs. 81/08 dalle
quali si evince chiaramente che le informazioni raccolte
durante gli specifici accertamenti sanitari e quelle desunte dalla più aggiornata e validata letteratura medico
scientifica risultano di fondamentale importanza al fine
di tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori esposti
a radiazioni ottiche artificiali. Fondamentale, ad esempio, deve ritenersi l’apporto del medico competente riguardo alla valutazione di qualsiasi effetto sulla salute
e sulla sicurezza dei lavoratori appartenenti a gruppi
particolarmente sensibili al rischio.
Sulla base degli attuali riferimenti normativi e alla luce
delle considerazioni illustrate, sono stati analizzati i dati
della letteratura scientifica relativamente agli effetti
sulla salute umana conseguenti all’esposizione a radiazioni ottiche artificiali e sono stati formulati criteri per
l’effettuazione della sorveglianza sanitaria e l’attuazione
di misure preventive mirati alla prevenzione degli effetti
nocivi delle radiazioni ottiche artificiali sulla salute dei
lavoratori esposti.
RISULTATI
L’azione delle ROA sugli organi bersaglio (occhio e cute)
è diversa in relazione alla lunghezza d’onda della radiazione stessa.
Le radiazioni ottiche ultraviolette (UV), in particolare
quelle di lunghezza d’onda compresa fra 220 e 310 nm
e con massima sensibilità alla frequenza di 270 nm, sono
prevalentemente assorbite a livello della congiuntiva e
della cornea. Le lesioni acute a carico di congiuntiva e
cornea, ampiamente descritte, sono legate essenzialmente ad eventi infortunistici. Le patologie croniche
che, in lavoratori nei quali sia documentabile ed oggettivabile una esposizione a ROA nel range dello spettro
fra 220 e 310 nm, possono essere ragionevolmente correlate all’esposizione al rischio, sono rappresentate da
congiuntiviti e cheratocongiuntiviti croniche eventualmente aggravate da “pterigium” [2-5]. E’ necessario
sottolineare che si tratta di affezioni del tutto aspecifiche, essendo riscontrabili tanto nella popolazione generale quanto in soggetti esposti ad altre noxae patogene.
Il riscontro di queste alterazioni deve quindi essere accuratamente correlato con la reale esposizione occupa-
Gennaio-Luglio 2013 HPH
43
Sicurezza
zionale al rischio per poterne riconoscere l’eventuale
origine professionale.
Alcuni autori hanno anche evidenziato sperimentalmente ed epidemiologicamente la possibilità che l’esposizione a radiazioni UV con lunghezza d’onda superiore a
295 nm, possa indurre opacizzazioni del cristallino che si
manifestano tipicamente come opacità corticali che si
presentano in forma di piccoli vacuoli ripieni di acqua e
di frammenti corticali. Il meccanismo patogenetico chiamato in causa ipotizza che le radiazioni con λ > 295 nm
(UVB e soprattutto UVA) vengano assorbite dalla cornea e trasmesse al cristallino che sarebbe oggetto di un
danno di natura fotochimica. Mancano infatti a livello
della lente i processi di riparazione necessari per trattare i fotoprodotti che accumulandosi favoriscono la
degenerazione delle fibre del cristallino e l’insorgenza
di opacizzazioni. Le RUV avrebbero quindi un effetto
catarattogenico sulla base di indagini epidemiologiche
sull’uomo ed esperimenti condotti su animali [2], [6-8].
La cataratta è curabile con la sostituzione chirurgica del
cristallino stesso.
L’effetto biologico delle radiazioni ottiche infrarosse
(porzione dello spettro con lunghezza d’onda compresa
fra 780 nm e 1 mm) è essenzialmente di natura termica
poiché l’energia associata a queste lunghezze d’onda
non è sufficiente a provocare la formazione di radicali
o la rottura di legami covalenti. Non e possibile tuttavia
escludere effetti non termici, a livello molecolare, relativi
a interazioni più deboli, ma in grado di perturbare delicati equilibri biologici. L’occhio è esposto a danni acuti
e cronici provocati dal sovrariscaldamento poiché le
caratteristiche di trasmissione e assorbimento dei suoi
vari costituenti favoriscono l’assorbimento delle radiazioni IR anche a livello delle strutture più profonde in
quanto l’organo non è in grado di dissipare facilmente
l’eccesso di energia termica (come invece può accadere
per la cute attraverso la circolazione corporea). Gli IRA
possono, seppur raramente, provocare danni acuti di
tipo termico a livello della retina (essenzialmente ustioni
retiniche), mentre gli IRA e IRB possono essere responsabili di ustioni della cornea. Le lesioni acute non sono
tuttavia argomento oggetto di analisi nella nostra trattazione.
Più rilevanti e noti sono i danni cronici legati all’esposizione a raggi infrarossi. Gli effetti sul cristallino sono
noti sin dal 1739. Alla fine dell’Ottocento fu descritta
la cataratta dei soffiatori di vetro (corticale posteriore).
All’inizio del Novecento fu stabilita la natura occupazionale della cataratta dei soffiatori di vetro. Dunn nel 1950
suggerì che la definizione di “cataratta dei soffiatori di
vetro” doveva essere limitata a lavoratori di età inferiore
a 50 anni, esposti a radiazioni infrarosse e affetti da ca-
44 HPH Gennaio-Luglio 2013
taratta corticale posteriore. Il cristallino è una struttura
priva di vascolarizzazione e la sua posizione nell’occhio
comporta una scarsa capacità di dissipare l’eccesso di
calore assorbito. Si ricorda inoltre che la cornea e l’umor
acqueo assorbono tutta la radiazione incidente e che
il calore generato in queste strutture può raggiungere
per conduzione il cristallino elevandone ulteriormente
la temperatura. Il cristallino è caratterizzato da un ricambio cellulare estremamente lento e tende ad assorbire
fortemente la radiazione ottica con lunghezza d’onda
compresa fra 400 nm e 2500 nm. Esempi professionali
di cataratta da IR si hanno nei soffiatori di vetro e nei
colatori dell’acciaio fuso. La maggior parte degli studi
hanno evidenziato e confermato che la cataratta da
esposizione a raggi infrarossi, nota da più di un secolo,
è tipicamente una cataratta corticale o subcapsulare
posteriore [9], [5], [10], ma è stata anche sostenuta ed
evidenziata da alcuni autori l’insorgenza di cataratta
subcapsulare anteriore [11].
Gli effetti a lungo termine delle radiazioni ottiche artificiali, in particolare della radiazione UVA e UVB, sulla cute
rimangono oggi degni di grande attenzione in considerazione del dimostrato effetto cancerogeno che, pur
riconducibile anche all’esposizione ambientale alla luce
solare, può trovare rilevanza in ambito occupazionale
almeno come possibile fattore concausale. La cancerogenesi fotoindotta dalla RUV a livello delle cellule cutanee è un processo multifattoriale di lungo periodo che
coinvolge l’organismo attraverso meccanismi non ancora del tutto chiari. Viene segnalato un ruolo centrale
delle specie reattive dell’ossigeno in tutte le fasi del processo di induzione oncologica: alterazioni fotoindotte a
carico del DNA con mutazioni dei geni oncosoppressori,
in particolare del gene p-53; attivazione della ornitinadecarbossilasi (ODC) che svolge una azione promotrice
e inducente la progressione tumorale; perossidazione
dei lipidi con generazione di aldeidi mutagene che alterano i recettori di membrana e favoriscono la liberazione
di mediatori solubili in grado di modificare la biologia
cellulare; foto-immunosoppressione che comporterebbe una ridotta capacità di eliminazione delle cellule
tumorali iniziate.
Le patologie oncologiche della cute correlabili con
l’esposizione a RUV sono classicamente rappresentate
dai carcinomi cutanei basocellulari e spinocellulari
e dai melanomi cutanei. Si tratta ovviamente di patologie del tutto aspecifiche e non distinguibili da quelle
che insorgono nella popolazione generale in relazione
a fattori genetici e ambientali. Risulta quindi anche in
questo caso fondamentale, nell’ottica di valutare una
possibile compartecipazione dell’esposizione occupazionale a RUV nel determinismo della neoplasia, una do-
cumentata e accurata conoscenza della durata ed entità
dell’esposizione professionale al rischio.
L’esposizione a luce blu causa danni esclusivamente
retinici. Ciò emerge chiaramente dall’analisi dei numerosi ed approfonditi studi, condotti prevalentemente
da istologi e biochimici, nei quali vengono descritti, in
modo dettagliato e convincente, i meccanismi patogenetici che portano al danno da luce blu. Tale danno è
indotto da “stress ossidativi” che interessano, oltre ai
coni ed i bastoncelli [12], anche l’epitelio pigmentato
retinico (EPR), essendo la luce blu in grado di intensificare in modo anomalo i normali processi biochimici di
ricostituzione dei pigmenti fotosensibili (ciclo di Wald).
In sostanza, il fotone del blu, dotato di maggiore energia
rispetto a quelli delle altre lunghezze d’onda, favorisce
un atipico processo di rigenerazione della rodopsina,
definito in letteratura “fotoreversal of bleaching”, da
cui deriva uno stress ossidativo (“oxidative damage”) in
grado di indurre apoptosi cellulare nei fotorecettori. A
conferma ed integrazione di questo fatto, vi sono studi
che hanno inequivocalmente dimostrato l’insorgenza di
danni ai bastoncelli dopo irradiazione a 403 nm, mentre l’esposizione alle medesime intensità di luce verde
(lunghezze d’onda attorno ai 555 nm) non ha provocato
alcuna alterazione [13-15]. Quando la luce giunge al
fotorecettore si innescano processi di perossidazione
lipidica da cui derivano cataboliti che vengono fagocitati dal EPR e digeriti dai lisosomi. Se questi processi
divengono meno efficaci (come avviene ad esempio con
l’invecchiamento) o non sono sufficientemente efficaci
(come avviene per stimolazioni da luce blu), si ha un accumulo di cataboliti che verranno poi espulsi, andando
a formare dei depositi tra l’EPR e la membrana di Bruch.
Questi depositi, costituiti prevalentemente da lipofuscina, sono responsabili della formazione delle “drusen”,
unanimemente ritenute determinanti nello sviluppo
della Degenerazione Maculare Senile (AMD).
Ulteriore importante elemento da considerare è rappresentato dal fatto che i processi degenerativi sopra descritti sono fortemente correlati alla lunghezza
d’onda del fotone. E’ stato ripetutamente dimostrato che
nell’ambito del blu, le lunghezze d’onda attorno ai 440
nm sono le più lesive [16, 17], e ciò spiega la necessità di
valutare l’esposizione tenendo conto della funzione di
ponderazione spettrale Bλ, come peraltro richiesto dal D.
Lgs. 81/08 (allegato XXXVII, tabella 1.3). Importante notare, a questo proposito, che applicando il coefficiente
Bλ, per il quale il rischio retinico è ritenuto massimo con
esposizioni a lunghezze d’onda tra i 435 ed i 440 nm, tale
rischio diviene, rispettivamente del 22% per i 490 nm,
del 10% per i 500 nm, del 20% per i 405 nm e addirittura
del 1% per i 380 nm. Pertanto, una valutazione di foto-
metria ambientale che indichi una generica “esposizione
a luce blu” senza riportarne l’analisi spettrale, potrebbe
risultare anche fortemente errata, per eccesso o per
difetto. In sintesi, sia i fotorecettori che l’EPR possono
essere danneggiati dalla luce blu, con gravità e tempi
di insorgenza diversi in funzione di [18]:
••intensità della sorgente (Watt/cm2);
••durata della esposizione;
••frequenza degli episodi di esposizione nel tempo
(anni);
••frequenza spettrale.
Da ultimo, deve essere rilevato che le considerazioni sopra riportate sono per lo più basate su studi di fisiopatologia in danni acuti (esposizioni di secondi o minuti).
Non sembrano invece essere presenti in letteratura ricerche o osservazioni che delineino i possibili esiti, sia
clinici che funzionali, a lungo e lunghissimo termine
(anni, decine d’anni), né indagini che abbiano valutato
gli eventuali rischi in contesti occupazionali, dove, come
noto, la dose totale accumulata dal lavoratore può variare notevolmente in funzione sia delle condizioni ambientali (potenze e ubicazioni delle sorgenti di “blu”), sia
delle diverse tipologie dei compiti lavorativi svolti.
Appare anche importante sottolineare l’esistenza di
condizioni fisiologiche e fisiopatologiche dello stato
di salute del lavoratore, nonché conseguenti a specifici
trattamenti farmacologici, che possono rappresentare
situazioni di ipersuscettibilità al rischio e quindi limitare o controindicare l’esposizione a ROA (in considerazione anche delle caratteristiche fisiche della radiazione
ottica possibile fonte di rischio). Abbiamo oggi a disposizione un documento analitico ed esteso che comprende
ed illustra un grande numero di condizioni primitive o
acquisite, permanenti o transitorie, che devono essere
attentamente considerate dal medico competente nella
valutazione della congruità fra mansione lavorativa e
stato di salute del lavoratore. Questo documento è rappresentato dalle “Indicazioni operative sulla prevenzione
e protezione dai rischi dovuti all’esposizione a radiazioni
ottiche artificiali nei luoghi di lavoro” elaborate dal Coordinamento Tecnico Interregionale della Prevenzione nei
luoghi di Lavoro e pubblicate nel marzo 2010 (19). Tali
linee interpretative fanno riferimento alla più ampia e
aggiornata letteratura scientifica sull’argomento e costituiscono un documento di sintesi di facile consultazione
da parte del medico competente. Riportiamo di seguito
una gran parte delle condizioni note di ipersuscettibilità
al rischio per le quali, ove non specificato perché riferito
a tutto lo spettro ottico, viene indicato il tipo di radiazione ottica che rappresenta fonte di rischio: donne in
gravidanza; minorenni; soggetti albini e di fototipo 1;
portatori di malattie del collagene (sclerodermia e lu-
Gennaio-Luglio 2013 HPH
45
Sicurezza
pus eritematoso nelle sue varie forme, dermatomiosite,
poliartrite nodosa, sindrome di Wegener, sindrome antifosfolipidi, ecc.) per esposizioni a radiazioni UV; soggetti in trattamento cronico o ciclico con farmaci fotosensibilizzanti (quali ad esempio: antibiotici come le
tetracicline ed i fluorochinolonici; antinfiammatori non
steroidei come l’ibuprofene ed il naprossene; diuretici
come la furosemide; ipoglicemizzanti come la sulfonilurea; psoraleni; acido retinoico; acido aminolevulinico,
neurolettici come le fenotiazine; antiaritmici come
l’amiodarone); soggetti affetti da alterazioni dell’iride
(colobomi, aniridie) e della pupilla (midriasi, pupilla tonica); soggetti portatori di drusen per esposizioni a luce
blu; lavoratori che abbiano lesioni cutanee maligne o
pre-maligne per esposizioni a radiazioni UV; lavoratori
affetti da patologie cutanee fotoindotte o fotoaggravate
per esposizioni a radiazioni UV e IR; lavoratori affetti da
xeroderma pigmentosus per esposizioni a radiazioni UV;
soggetti epilettici per esposizioni a radiazioni visibili di
tipo intermittente, cioè tra i 15 e i 25 flash al secondo;
lavoratori che hanno subito un impianto IOL (Intra Ocular Lens; “cristallino artificiale”), in particolare se esposti
a radiazioni tra 300 nm e 550 nm.
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
Nell’attività di sorveglianza sanitaria dei lavoratori esposti al rischio da radiazioni ottiche artificiali e per tutti gli
aspetti di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori che coinvolgono il medico competente rimangono
attuali e aperte alcune criticità legate a due momenti
fondamentali dell’attività del medico competente:
1) la corretta valutazione nel corso delle diverse visite
mediche previste dalla sorveglianza sanitaria delle condizioni fisiologiche e fisiopatologiche che possono limitare o controindicare il giudizio di idoneità a specifici
compiti lavorativi che espongono al rischio;
2) la corretta valutazione di eventuali patologie o alterazioni dello stato di salute, evidenziate nel corso della
sorveglianza sanitaria, che possono ragionevolmente
(sulla base di evidenze scientifiche) essere correlate
con l’esposizione a ROA e quindi possibile oggetto di
segnalazione come malattie di sospetta eziologia professionale.
Il presupposto che sottende entrambe le criticità è rappresentato, anche per il medico competente, dalla conoscenza oggettiva della presenza nell’ambiente di lavoro
e nelle specifiche mansioni prese in esame del rischio da
esposizione a ROA, ossia dalla conoscenza delle caratteristiche fisiche delle radiazioni ottiche fonte di rischio
(raggi ultravioletti piuttosto che raggi infrarossi o “luce
blu”), dalla conoscenza dei livelli di esposizione stimati
e, ove necessario in relazione alla tipologia dell’attività
46 HPH Gennaio-Luglio 2013
di lavoro e delle attrezzature impiegate, dei livelli di
esposizione misurati secondo le metodiche e modalità
chiaramente definite nel D.Lgs. 81/08. La fonte di acquisizione di tutti questi elementi da parte del medico
competente deve essere necessariamente il documento
di valutazione dei rischi (previsto dall’art. 17 del D.Lgs.
81/08).
Ad integrazione della valutazione del rischio, nella quale
è previsto il ruolo partecipativo del medico competente,
rimane ovviamente indispensabile una accurata conoscenza degli ambienti di lavoro attraverso la visita periodica degli stessi luoghi di lavoro e l’osservazione diretta
delle postazioni di lavoro oggetto della valutazione ed
identificate come situazioni di rischio per l’esposizione a
ROA. Come noto, gli organi critici di potenziale bersaglio
dell’esposizione a ROA sono rappresentati dall’occhio e
dalla cute.
La sorveglianza sanitaria per gli esposti al rischio da
radiazioni ottiche artificiali deve essere effettuata periodicamente, di norma una volta l’anno o con periodicità
inferiore decisa dal medico competente con particolare
riguardo ai lavoratori particolarmente sensibili al rischio,
tenendo in considerazione i risultati della valutazione
dei rischi. Le visite mediche e gli accertamenti integrativi
devono essere effettuati con l’obiettivo di prevenire e
scoprire tempestivamente effetti negativi per la salute,
nonché prevenire effetti a lungo termine per la salute e
rischi di malattie croniche derivanti dall’esposizione a
radiazioni ottiche. Viene anche previsto un tempestivo
controllo medico per i lavoratori per i quali sia stata rilevata un’esposizione superiore ai valori limite.
La particolarità del rischio e della sensibilità dei lavoratori all’esposizione a ROA ha spinto il legislatore ha
forzare i criteri di attuazione della sorveglianza sanitaria attribuendo al medico competente un ruolo decisionale e di definizione di protocolli sanitari molto
ampio. Infatti, anche se i valori di esposizione risultano
inferiori ai valori limite di esposizione, in considerazione
della numerosità e della presenza anche nei luoghi di
lavoro di soggetti particolarmente sensibili al rischio,
viene espressamente conferita al medico competente
la possibilità di individuare tipologia e periodicità dei
controlli sanitari, nonché le misure protettive specifiche
da mettere in atto in relazione alla tipologia ed entità
dell’esposizione ed alle condizioni di suscettibilità individuale emerse dal controllo sanitario preventivo.
Quindi, nel ribadire l’autonomia del medico competente
nella definizione di protocolli sanitari mirati alle specifiche realtà lavorative, alla natura della radiazione ottica
fonte di rischio e alle caratteristiche del rischio occupazionale, viene di seguito proposto dagli autori, facendo
riferimento alle indicazioni del Comitato permanente
per le NIR dell’AIRM (Associazione Italiana di Radioprotezione medica) e alle Linee Guida della Società Italiana
di Medicina del Lavoro e Igiene industriale (2003) (20),
un protocollo sanitario di base per l’effettuazione della
sorveglianza sanitaria. Tale protocollo prevede, per
l’esposizione occupazionale a radiazioni ottiche non
coerenti nello spettro UV e nello spettro IR:
••visita medica generale per valutare le condizioni generali di salute del lavoratore;
••visita oculistica generale (sia in occasione della visita
medica preventiva che della visita periodica), con
esame dell’acutezza visiva e del fondo oculare, comprensiva della biomicroscopia con lampada a fessura.
L’attenzione deve essere posta soprattutto alle strutture dell’occhio maggiormente interessate dall’esposizione a raggi UV (congiuntiva, cornea e cristallino);
••visita dermatologica (sia in occasione della visita medica preventiva che della visita periodica) con eventuale indagine fotografica in bianco nero e a colori e
con l’esame mediante lampada di Wood.
In merito agli accertamenti sanitari integrativi appare
utile sottolineare il fatto che la visita oculistica e la visita dermatologica devono essere effettuate da medici
specialisti nelle rispettive discipline e che, soprattutto
per la visita oculistica, la finalità dell’approfondimento
clinico non è rappresentato dalla valutazione dell’acuità
visiva, ma dalla valutazione della condizione e integrità
morfologica delle diverse strutture dell’occhio (congiuntiva, cornea, cristallino, retina) sia nella valutazione preventiva mirata alla individuazione delle alterazioni che
rendono l’apparato visivo suscettibile al rischio da esposizione a radiazioni ottiche non coerenti negli spettri UV
ed IR, sia nella valutazione periodica mirata anche alla
individuazione di patologie eventualmente correlabili
con l’esposizione al rischio. Appare quindi fondamentale che il medico competente formuli allo specialista in
oculistica, così come allo specialista dermatologo, le corrette richieste rispetto all’obiettivo per il quale vengono
richieste le stesse visite specialistiche oftalmologica e
dermatologica.
Per il rischio da esposizione a radiazioni ottiche coerenti (LASER) è necessario premettere che, a differenza
di altre tipologie di rischio, le esposizioni lavorative
sono normalmente di tipo accidentale e la prevalenza
di eventi acuti (infortuni) è limitata. Inoltre, poiché sono
ancora poco noti gli eventuali effetti delle esposizioni
croniche a livelli molto bassi di radiazioni coerenti e
non sono ad oggi note esposizioni continuative, o comunque per lunghi periodi, non si evidenzierebbero i
presupposti per richiedere “generalizzazione della sorveglianza sugli effetti a lungo termine”. Tuttavia, poiché
dal punto di vista scientifico non esiste nessun motivo
di ritenere che la radiazione coerente non causi gli stessi
effetti a lungo termine della radiazione incoerente, ad
essa si applicano le considerazioni relative alla assenza
di soglie di induzione del danno. Il protocollo sanitario
proposto per l’esposizione occupazionale a radiazioni
ottiche coerenti (LASER) prevede gli stessi accertamenti
già indicati per l’esposizione a radiazioni ottiche non coerenti.
Tuttavia, poiché nell’esposizione a luce laser i rischi associati di tipo fisico, chimico e “ambientale” (inquinanti
legati al processo lavorativo e ai materiali trattati come
componenti di vernici e metalli, rumore, radiazioni ottiche collaterali, radiazioni ionizzanti, elettricità, ecc.),
rappresentano spesso il rischio prevalente, è necessario
un attivo e specialistico contributo da parte del medico
competente nella elaborazione di un protocollo sanitario
che preveda eventuali ulteriori accertamenti integrativi
mirati agli specifici rischi associati non legati, di solito,
alla natura della radiazione ottiche coerente impiegata.
Si ricorda inoltre che nella “Guida per l’utilizzazione di
apparati laser per laboratori di ricerca” CEI 76 Fascicolo
3850R al punto E10.11 viene, in particolare, raccomandata l’effettuazione di esami oculistici in fase di visita
preventiva per i lavoratori che utilizzano laser di classe
3B e 4 e l’effettuazione di visita ed esami specialistici
dopo una esposizione accidentale oculare o dermatologica anche apparentemente nociva o presunta tale.
La sorveglianza dei lavoratori esposti al rischio da luce
blu deve tenere conto di almeno tre ordini di problemi.
Il primo riguarda le caratteristiche delle lesioni retiniche
attese, che dovrebbero essere assai simili a quelle che
si osservano nella AMD, ponendo così assai complicati
problemi di diagnosi eziologica. Il secondo è legato ai
tempi di insorgenza di tali lesioni, che essendo causate
da processi degenerativi lenti, comparirebbero dopo
anni di esposizione.
Esse sarebbero pertanto assai verosimilmente associate
a danni irreversibili del visus, rendendo ininfluenti gli
interventi di prevenzione primaria e tardivi quelli di
prevenzione secondaria. Il terzo ordine di problemi riguarda le difficoltà di individuare i soggetti da sottoporre a sorveglianza sanitaria che, date le tuttora assai
carenti modalità di analisi e quantificazione “del blu” nei
Documenti di Valutazione del Rischio, spesso non può
essere effettuata dal medico competente sulla base di
informazioni dettagliate ed affidabili in merito alle reali
condizioni di esposizione.
Tuttavia, pur con le criticità sopra esposte, appare ragionevole proporre interventi di sorveglianza sanitaria
così strutturati:
a) visita oculistica generale (anamnesi, esame obiettivo
di annessi, segmento anteriore e posteriore);
Gennaio-Luglio 2013 HPH
47
Sicurezza
b)acuità visiva e rifrazione;
c) oftalmoscopia (in midriasi), con foto del fundus in
autofluorescenza;
d)esame della retina mediante Ocular Computerized
Tomography (OCT);
e) valutazione funzionale mediante griglia di Amsler;
f) test per l’esame del contrasto.
Nel corso degli accertamenti oftalmici particolare cura
ed attenzione dovrà essere posta dall’oculista nell’evidenziare l’eventuale presenza di alterazioni degenerative retiniche centrali e di drusen, ritenute, allo stato,
i segni clinici più significativi associabili ad alterazioni
da luce blu.
Da parte del MC potranno essere considerati ipersuscettibili i soggetti in terapia con farmaci fotosensibilizzanti
(amiodarone, clorochina, fenotiazine, ibuprofene, etc.),
nonchè i soggetti affetti da maculopatie, da lesioni colobomatose, i portatori di drusen e gli pseudofachici,
salvo, riguardo quest’ultimi, i portatori di IOL fotoselettive, circa la cui efficacia ed adeguatezza nell’ambito
di attività occupazionali permangono tuttavia aspetti
critici non irrilevanti.
In conclusione, appare rilevante sottolineare l’importante ruolo del Medico competente anche in ordine alla
necessità di garantire, alla luce dei dati della letteratura
scientifica sull’argomento e sulla base della conoscenza
della diversa capacità e dei livelli anatomici di interazione sull’occhio delle ROA in relazione alla lunghezza
d’onda, una corretta valutazione di patologie o alterazioni dello stato di salute evidenziate nel corso della sorveglianza sanitaria che possano essere ragionevolmente
correlate con l’esposizione e quindi possibile oggetto di
segnalazione come malattie di sospetta eziologia professionale.
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degli esposti a radiazioni non ionizzanti (2003).
Gestione ambientale
G. Messori Ioli*,
F. Vola**, C. Di Nicuolo,
M Del Fabbro, A. Fissore***
Per una salute di «Classe A»: il primo passo
verso l’eco-sostenibilità del Presidio Ospedaliero
“Maggiore” di Chieri (ASL TO5 – Regione Piemonte)
P er far fronte ai vincoli di sostenibilità economica del sistema, cui è quotidianamente e in modo sempre più pressante messo di fronte, il manager sanitario è chiamato
a cogliere le opportunità offerte da un nuovo approccio
nei confronti della sostenibilità ambientale. Una strategia green si traduce infatti per un’ASL in un maggiore
onere nel breve periodo, ma in consistenti risparmi nel
medio e nel lungo periodo. L’health impact assessment
e la valutazione di impatto strategico sono gli strumenti
che permettono di riportare queste valutazioni al centro
del momento decisionale. L’ASL TO5 sta vagliando e progressivamente implementando un insieme coerente di
soluzioni innovative, mirate ad un riallineamento della
sostenibilità economica e di quella ecologica. Questa
prospettiva «economologica» attraversa una pluralità di
ambiti decisionali: tanto la riorganizzazione delle strutture aziendali, quanto i nuovi progetti di edilizia sanitaria.
In particolare, la ristrutturazione del Presidio Ospedaliero
“Maggiore” di Chieri offre all’azienda la possibilità di sperimentare un intero ventaglio di soluzioni “eco-friendly”,
che vanno dal miglioramento dell’isolamento termico
dell’involucro edilizio, a sistemi di controllo e gestione
dell’illuminazione e della ventilazione, ad accorgimenti
per il recupero delle acque. L’extracosto rispetto ad un’edilizia tradizionale verrà recuperato in un periodo non superiore ai 12 anni.
PAROLE CHIAVE
Ecosostenibilità ambientale, health impact assessment, edilizia
sanitaria ecocompatibile
* Direttore Sanitario Presidio Ospedaliero Maggiore di Chieri
(ASL TO5 – Piemonte)
** S.C. Controllo di Gestione, ASL TO5
*** Progettisti presso Ecostudio Architetti
Introduzione
La sanità, certo non solo quella italiana, è malata di economia. Su ogni scelta pende la spada di Damocle del contenimento dei costi, che troppo spesso cessa di essere un
vincolo, e si tramuta in un obiettivo, neanche tanto negoziabile, dei manager sanitari.
50 HPH Gennaio-Luglio 2013
In uno scenario di questo tipo, la preoccupazione per
l’ambiente rischia inesorabilmente di essere bollata
come una forzatura snobistica o una cosmetica di facciata. Eppure, secondo gli autori, questa posizione origina da un’incomprensione di fondo: tendiamo infatti
ad ignorare che i termini ed i concetti di «economia» ed
«ecologia» non nascono affatto come una dicotomia, ma
sono al contrario entrambi figli di una stessa radice, di
uno stesso oikos: economia ed ecologia traducono infatti una medesima preoccupazione dell’uomo verso ciò
che lo circonda. Per sciogliere l’antinomia è sufficiente
uno sforzo concettuale, ovvero considerare economia
ed ecologia come le due facce di una medesima aspirazione alla «sostenibilità», ma con un diverso orizzonte
temporale: la prima volta al breve termine, la seconda
al lungo termine. Soltanto comprendendo che l’ecologia
altro non è se non un’«economia con altri mezzi» è possibile gettare le fondamenta per un’idea di sostenibilità
«economologica».
Approfondendo la relazione tra salute, ambiente e sanità, una riflessione attenta conduce in questo caso a
diagnosticare una forma di schizofrenia: talvolta ci si
dimentica che il nostro fine ultimo non è, come spesso
sbandierato, una “sanità economica”; questa è piuttosto
il mezzo che può contribuire ad una salute, per forza di
cose, ecologica. L’ambiente – troppo spesso fingiamo di
dimenticarlo – è uno dei principali determinanti di salute: un ospedale di «Classe A» oggi significa una salute
di «Classe A» domani per i nostri cittadini.
Quello che ci si propone è quindi provare a tradurre in
concreto queste considerazioni preliminari; riteniamo
infatti che esse definiscano un indirizzo operativo assai
stringente: riportare la salute, quindi anche l’ambiente,
al centro delle politiche sanitarie.Esiste uno strumento
concepito proprio a questo scopo: si tratta dell’Health
Impact Assessment, una sequenza strutturata di procedure per la valutazione dell’impatto di una qualunque
politica pubblica sulla salute della popolazione.1
È curioso notare come nel nostro Paese, tra i 10-15 casi
di implementazione di HIA attivati, nessuno abbia riguardato il mondo della sanità: ci siamo mai domandati
quale sia l’impatto potenziale della costruzione di un
nuovo ospedale? della ristrutturazione di un servizio?
dell’attivazione di un nuovo reparto?
L’HIA offre un attrezzo procedurale per riportare l’ambiente al centro del dibattito, in modo rigoroso e sistematico; non è affatto un caso se l’attuale riflessione
attorno a questo strumento verta sull’opportunità di integrarlo con la Valutazione di impatto ambientale, che
in Italia ha una sua specifica normativa e una storia oramai consolidata. Soprattutto nel mondo anglosassone
è da almeno 5 anni che si vanno affinando metodologie
per proporre delle «Valutazioni di impatto strategiche»,
che integrino una previsione e un monitoraggio delle
conseguenze di una politica pubblica sull’ambiente con
quelle che essa potenzialmente avrà sulla salute della
popolazione. Il nesso è evidente: un ambiente migliore
si traduce, nel medio periodo, in un miglioramento delle
condizioni di vita e di salute di una popolazione.
Le aziende sanitarie potrebbero provare in modo proattivo, ribaltando il proprio consueto modus operandi,
ad anticipare il legislatore stesso: si incamminino su un
percorso di valutazione rigorosa delle conseguenze
delle proprie azioni sulla salute e sull’ambiente.
L’introduzione dell’HIA conduce ad un’integrazione delle
politiche aziendali, nella direzione della sostenibilità che
abbiamo chiamato «economologica»: significa non lasciare la preoccupazione ecologista alla sensibilità dei
singoli decisori, ma introdurla come ineludibile variabile
all’interno delle scelte strategiche. In altri termini, vuol
dire uscire dalla logica «spot» del progetto a sfondo ecologico, ed innescare una pratica sistematica di confronto
sulla sostenibilità ambientale di lungo periodo delle decisioni in campo sanitario.
La metodologia va ad abbracciare l’insieme di tutte le
politiche di un’Azienda sanitaria che abbiano una potenziale ricaduta in termini ambientali e di salute, ovvero:
••l’edilizia sanitaria;
••la gestione della mobilità dei dipendenti e degli operatori;
••lo smaltimento dei rifiuti;
••l’organizzazione del lavoro;
••le iniziative di prevenzione.
Di fondo sta un’esigenza profonda: valutare le potenziali
conseguenze di una determinata azione, sia nel breve periodo (che abbiamo detto essere la prospettiva privilegiata
dagli economisti), che nel lungo periodo (che pare interessare maggiormente gli ecologisti…e gli amministratori più
lungimiranti!).
Facciata esposta a sud: situazione attuale
Il presidio ospedaliero «Maggiore»
di Chieri
Al Presidio Ospedaliero “Maggiore” di Chieri (ASL TO5 –
Piemonte) abbiamo cominciato un percorso di riflessione
strutturata sulle scelte adottate. Non abbiamo ancora accolto la Valutazione di Impatto sulla Salute come strumento
sistematico, ma stiamo progressivamente raffinando una
metodologia di analisi rigorosa per le nostre esigenze decisionali. La previsione del potenziale impatto delle nostre
scelte sia in termini economici, sia in termini ecologici rappresenta il focus privilegiato delle nostre valutazioni.
L’attenzione verso un’«ecosostenibilità» intesa nel suo
senso più ampio investe l’intero ventaglio delle decisioni
prese dal Presidio. In questa occasione ci preme ricordare
che la direzione sanitaria del P.O. «Maggiore» di Chieri ha
ricevuto mandato di fornire alcune indicazioni progettuali
nel quadro di un vasto programma di riorganizzazione
aziendale. Abbiamo deliberatamente scelto di articolare
le nostre riflessioni e le nostre proposte sulla base di una
metodologia di analisi progressivamente sempre più strutturata e rigorosa, capace di valutare le molteplici variabili in
gioco, presenti e prevedibilmente future.
L’obiettivo è quello di provare a predire le molteplici conseguenze attribuibili ai singoli progetti, in modo tale da offrire
alla direzione aziendale informazioni accurate ed attendibili, sulla base delle quali prendere le decisioni migliori.
Non abbiamo ancora implementato una Valutazione di
Impatto sulla Salute – si tratta infatti di uno strumento di
analisi complesso e rigoroso, con una sua metodologia ad
oggi ben codificata – ma abbiamo innescato un processo:
abbiamo scelto infatti di proporre delle politiche che fossero corroborate da solide evidenze. Abbiamo cominciato a
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Gennaio-Luglio 2013 HPH
51
Gestione ambientale
Scenario futuro: con parete a verde verticale
prendere in considerazione e stimare, anche in modo quantitativo, le ricadute che i nostri progetti potrebbero avere
sull’ambiente e sulla salute dei residenti nella nostra ASL.
Un esempio può aiutare a fare chiarezza: uno dei «mattoni» del nostro macro-progetto riorganizzativo riguarda
la ristrutturazione della rete dei laboratori analisi. In questo
caso non ci siamo limitati a considerare i potenziali risparmi
attesi da una riduzione dei macchinari utilizzati: abbiamo
invece anche avanzato una stima delle conseguenze dei
più frequenti trasporti che verosimilmente si renderanno
necessari tra i laboratori stessi. In un processo virtuoso di
feedback, partendo da quelle stesse stime, stiamo ora valutando opzioni di invio telematico dei referti, che a loro volta
presumibilmente concorreranno a ridurre il carico ambientale della riorganizzazione della rete dei laboratori.
È un piccolo passo, che tuttavia da una parte testimonia
l’attenzione che l’azienda mostra anche verso tematiche di
tipo ambientale, dall’altra inizia un cammino di evidencebased policy making, che include valutazioni e considerazioni di lungo periodo, in senso lato «ecologiste».
È tuttavia evidente come il campo di applicazione privilegiato di questa forma mentis, di questa rinnovata
attenzione verso l’ecosostenibilità delle scelte aziendali,
non può che essere quello dell’edilizia sanitaria. Il Presidio
di Chieri sta infatti affrontando un ampliamento ed una
ridefinizione delle proprie strutture, e la valutazione dei
potenziali impatti futuri del nuovo edificio sull’ambiente
e sulla salute entra a pieno titolo tra gli elementi di progettazione.
Stiamo valutando l’intero ventaglio di opportunità che
una progettazione eco-friendly può offrire, mantenendo
alta l’attenzione sul fronte dei costi e del ritorno dell’investimento. In linea generale, a fronte di un maggiore costo
iniziale, ci attendiamo un risparmio sia nel medio periodo
– sotto forma di minori consumi –, sia nel lungo periodo:
un edificio ecosostenibile non solo inquina meno, ma
può potenzialmente contribuire a migliorare la situazione
ambientale, modificando positivamente i determinanti
della salute. Un’azienda sanitaria, quindi, vince due volte.
Un ospedale ecosostenibile è fatto con materiali rispettosi dell’ambiente, funziona a risparmio energetico sfruttando al massimo la luce naturale e adottando soluzioni
nanotecnologiche per produrre involucri, filtri di impianti
di aerazione, pavimenti, elementi di arredo, il tutto con
capacità anti-inquinanti (mangiatori di smog), antibatteriche e autopulenti.
Un presidio ecosostenibile deve rispondere ad una serie di
parametri:
••contenimento delle emissioni atmosferiche;
••contenimento dello sfruttamento delle risorse primarie;
••protezione dal surriscaldamento estivo;
••ventilazione e qualità dell’aria;
••contenimento dell’uso del condizionamento;
••migliore utilizzazione della luce naturale.
Per raggiungere questi ambiziosi obiettivi, a Chieri stiamo
valutando l’opportunità di adottare un ampio spettro di
soluzioni tecniche:
••miglioramento dell’isolamento termico dell’involucro
edilizio,
••infissi e pannelli vetrati di alta qualità e prestazione,
Nella figura sono rappresentati degli esempi realizzati di facciate a verde verticale
52 HPH Gennaio-Luglio 2013
••sistemi di controllo e gestione dell’illuminazione e della
ventilazione naturali e artificiali,
••pannelli solari e fotovoltaici,
••elementi di illuminazione naturale dall’alto (sun-pipes) e
piramidi trasparenti,
••coperture piane e pareti a giardino (tetti verdi),
••pavimenti o soffitti radianti,
••caldaie a condensazione,
••BMS: sistemi di controllo della qualità e del comfort ambientale,
••sistemi di recupero delle acque.
Gli interventi previsti consentiranno un risparmio di circa il
70% di energia per il riscaldamento, del 75% per il raffreddamento e circa dell’80% per i consumi elettrici.
L’extracosto è circa il 30% rispetto ad un ospedale concepito in maniera tradizionale, ma si prevede che queste
spese possano essere recuperate in un periodo di circa 12
anni, calcolando gli ammortamenti ed un tendenziale e
graduale aumento del costo delle energie tradizionali (per
un 2% annuo).
Isolamento termico dell’involucro
edilizio
Isolando le pareti dall’esterno (isolamento termico a cappotto) si ottiene l’eliminazione di tutti i punti freddi e si aumenta la capacità di accumulo termico dell’edificio. I muri
si scaldano, accumulano calore e poi lo restituiscono all’ambiente. Questo fa sì che l’impianto possa funzionare un minor
numero di ore complessive, con un risparmio di combustibile
e una riduzione delle emissioni inquinanti. Un sicuro vantaggio dell’isolamento a cappotto è l’eliminazione totale e definitiva dei ponti termici, cioè di quei punti critici (perimetro dei
serramenti, angoli, pilastri inseriti nella muratura,...) dove è
più facile che si verifichino fenomeni di formazione di muffe e
di macchie. Il sistema di isolamento termico dall’esterno delle
facciate può inoltre avere elevate prestazioni di isolamento
acustico. L’opportuno uso di isolanti con caratteristiche idonee e le giuste scelte tipologiche e di dettaglio permettono
di realizzare con l’isolamento a cappotto una controparete
esterna in grado di funzionare rispetto alla muratura di facciata con il sistema massa-molla-massa. È necessario specificare che, nel caso dell’isolamento della facciata, molto
spesso sono gli elementi vetrati (aperture) e le discontinuità
(bocchette di ventilazione, giunti, cassette per avvolgibili,
...) a determinare l’isolamento acustico, e che dunque solo
agendo anche sui punti deboli si migliora efficacemente il
potere fonoisolante complessivo.
L’isolamento a cappotto permette comunque di migliorare
la parte di facciata cieca (muratura), nei casi in cui questa si
presenti con scarse o non sufficienti caratteristiche fonoisolanti.
Esempio di parete a verde verticale con staffe di fissaggio
e isolamento termico a cappotto (parete NORD)
In un edificio “normale” la perdita di calore attraverso le finestre può rappresentare un 20-25% del totale. Gli infissi ad alta
efficienza energetica, con un isolamento ottimale dei telai e
con speciali vetri isolanti, riducono sensibilmente il fabbisogno energetico. Le finestre per isolamento termico certificate
abbattono i costi energetici, aumentano il comfort abitativo
e diminuiscono le emissioni di anidride carbonica e di altri
agenti inquinanti. In questo modo viene tutelato l’ambiente
e vengono risparmiate risorse.
Sistemi di controllo e gestione
dell’illuminazione e della ventilazione
Stiamo inoltre prendendo in considerazione l’adozione
di sistemi di controllo dell’irraggiamento solare: questi
vengono utilizzati per garantire in ogni ambiente condizioni ideali, lasciando filtrare la luce che si desidera,
e contribuendo a regolare la temperatura all’interno.
Questi accorgimenti trattengono circa l’80% del calore
dei raggi solari e quindi consentono di ridurre fino al
40% il consumo degli impianti di climatizzazione. Inoltre
stiamo valutando la possibilità di applicare un micro-film
di fotovoltaico sui frangisole. Intendiamo avvalerci anche
di schermi naturali, come la vegetazione ad alto fusto a
foglia caduca: con l’andamento naturale del tempo regola l’ingresso dei raggi solari, aumentando l’ombreggiamento nei periodi estivi, lasciando un facile accesso alla
luce durante l’inverno, in un processo di climatizzazione
del tutto naturale, a basso costo.
Pannelli solari e fotovoltaici, elementi di
illuminazione naturale, coperture
Proponiamo l’impiego di pannelli solari sulle coperture o inseriti in facciata, per la produzione di acqua calda sanitaria o
in apporto al sistema di riscaldamento a pannelli radianti. Il
bisogno poi di una buona illuminazione il più possibile natu-
Gennaio-Luglio 2013 HPH
53
Gestione ambientale
Sistema di frangisole con pannelli fotovoltaici integrati
rale ci induce a progettare spazi di captazione della skylight:
coni di luce, grandi serre, piramidi vetrate, ecc.
Nelle aree urbane, dove l’inquinamento ambientale e visivo
è preponderante, l’utilizzo dell’erba in verticale diventa una
delle soluzioni adottabili come strumento di controllo e
miglioramento microclimatico. Oggi, grazie allo sviluppo di
nuove tecnologie, siamo in grado di avere i tappeti erbosi sui
nostri tetti, sulle superfici esterne degli edifici, all’interno degli spazi abitativi. Il tappeto erboso è un bosco in miniatura.
Diversa è la taglia delle piante ma identica è la quantità di
luce assorbita, O2 emesso, CO2 catturata, biomassa prodotta.
Il verde è poi per sua natura un ottimo deterrente agli atti vandalici. Molti studi dimostrano i benefici fisici e psicologici generati dalla presenza di tappeti erbosi: non è da escludere una
ricaduta in termini positivi sul benessere non solo dei degenti,
ma degli stessi Chieresi.
L’attuale rilevanza raggiunta dai tappeti erbosi non è dovuta
soltanto alla necessità di ricreare ambienti gradevoli, ma anche ai riconosciuti effetti positivi di protezione ambientale che
essi apportano:
••stabilizzazione delle polveri: i tappeti erbosi contribuiscono a migliorare la qualità dell’aria, essendo capaci di
intrappolare le polveri, i fumi ed i particolati di varia natura
che su di essi si depositano;
••filtraggio e depurazione: nelle aree urbane le acque
meteoriche ed i sedimenti che defluiscono dalle superfici
impermeabili possono essere contaminati da inquinanti
quali metalli pesanti (Pb, Cd, Cu, Zn) ed idrocarburi (lubrificanti, carburanti, solventi). La biomassa di foglie e steli di
un tappeto erboso, a seconda della specie, della stagione e
dal regime colturale svolge un’efficace azione filtrante nei
confronti di tali inquinanti. Inoltre, la sostanza organica del
feltro e dei residui radicali ospita un’abbondante popolazione microbica: il tappeto erboso rappresenta pertanto un
sistema biologicamente attivo che unisce un’azione filtrante
ed una azione depurante, la cui sinergia può contribuire alla
degradazione delle sostanze inquinanti;
••dissipazione del calore e regolazione della temperatura:
i tappeti erbosi, diversamente dalle superfici non evaporanti, assorbono calore con l’evapotraspirazione (2.43 kJ g-1
di acqua traspirata), così raffreddano la superficie e, conseguentemente, l’aria circostante. L’effetto climatizzante
dei tappeti erbosi e della vegetazione in generale può
consentire un notevole risparmio energetico per il condizionamento degli edifici;
••abbattimento dei rumori e riduzione del riverbero:
alcuni studi hanno dimostrato che la superficie del tappeto erboso assorbe i suoni in modo significativamente
superiore rispetto a superfici rigide, producendo pertanto
un efficace abbattimento dei rumori. Anche la riflessione
multidirezionale della luce (riverbero) è significativamente
ridotta dalla presenza di superfici a prato.
••aspetto psicologico: la presenza di vegetazione, in particolar modo negli spazi urbani ed ospedalieri, comporta sugli
individui benefici psicologici.
Pavimenti o soffitti radianti, caldaie a
condensazione
Il soffitto radiante regola lo scambio termico con l’ambiente
sfruttando la trasmissione per irraggiamento; porta pertanto
Schema esemplificativo del controllo della luce solare con l’ausilio di schermi naturali
54 HPH Gennaio-Luglio 2013
Schema esemplificativo di parete a verde verticale con facciata ventilata (parete SUD)
in temperatura l’involucro anziché l’aria ambiente, e l’unico
effetto convettivo presente è quello naturale. In
questo modo, non vi sono
correnti d’aria avvertibili e
non c’è circolazione di polvere. La grande superficie
del controsoffitto radiante
permette un elevato scambio
di energia termica tra superfici
attive e ambiente, mantenendo differenze di temperatura
molto limitate sia in orizzontale che in verticale.
Grazie alla temperatura di alimentazione del soffitto radiante, meno estrema rispetto a quella richiesta da impianti
tradizionali – sia in riscaldamento che in raffrescamento – e
più vicina alla temperatura degli ambienti, diventa possibile
sfruttare in pieno il potenziale di risparmio energetico offerto da soluzioni tecniche all’avanguardia – i recuperatori
di calore, ad esempio – e da fonti rinnovabili di energia. Il
risultato è una marcata riduzione delle emissioni di CO2.
Elevata resa, bassa inerzia termica, grande efficienza energetica, assenza di manutenzione, economicità di esercizio,
pregevole estetica e grande flessibilità nello sfruttamento
dello spazio sono i fattori che ci inducono a prendere in seria
considerazione anche questa opzione tecnica.
Le caldaie a condensazione sono una tecnologia moderna
ed ecologica per il riscaldamento domestico e la produzione
di acqua calda sanitaria, in grado di assicurare rendimenti
di combustione molto elevati grazie alla loro peculiare capacità di recuperare parte del calore latente contenuto nei
fumi espulsi attraverso il camino, corrispondente all’11%
dell’energia liberata. Rispetto a quanto avviene con una
caldaia tradizionale, nelle caldaie a condensazione i prodotti della combustione attraversano uno speciale scambiatore-condensatore che permette la condensazione del
vapore acqueo: viene dunque recuperata la quota di calore
che corrisponde al cambiamento di stato da vapore ad acqua, raggiungendo un rendimento dell’80%. Ogni unità è
trattata a quaternari d’ammonio per prevenire la diffusione
delle malattie delle vie respiratorie.
Sistema di recupero acque di scarico dei lavabi
per alimentazione vaschetta WC
gestione dell’irrigazione delle pareti verdi e del tetto a giardino, o per il rifornimento delle cassette dei wc, comporta
un notevole risparmio di acqua potabile, con significativi
benefici economici ed ecologici. L’insieme di queste ipotesi
è ora al vaglio della Direzione del Presidio, che, coadiuvata
dall’Ufficio Tecnico, si sta spendendo in una calibrata valutazione dell’intero repertorio dei possibili impatti di ogni soluzione, nel breve, nel medio e nel lungo periodo. Si preveder
di riuscire ad approntare un piano di fattibilità completo, da
proporre alla Direzione Generale, entro i prossimi 3 mesi.
Conclusioni
Senza dubbio la sfida è ambiziosa: si tratta infatti di uscire
dall’ottica della mera applicazione di direttive e di adottare
una metodologia pro-attiva di valutazione integrata, con un
obiettivo eco-nomico ed ecologico di medio-lungo periodo.
Il manager sanitario – aziendale, regionale e nazionale – sarà
sempre più chiamato a proporre progetti nei quali ecologia
significa salute, e salute significa anche economie…
…e le due sorelle «oikos» torneranno finalmente ad abbracciarsi!
Sistemi di recupero
delle acque
In fase di progettazione si è ritenuto di dover sfruttare al
massimo tutte le fonti gratuite naturali, oltre a quelle normalmente già utilizzate. L’uso delle acque meteoriche per la
Schema di recupero acque piovane
Gennaio-Luglio 2013 HPH
55
Tecnologie
M. Cristaldi*
M. Spanò**
Management di un parco tecnologico: due grandi
Aziende Ospedaliere Universitarie a confronto
In questo articolo si mettono a confronto due grandi
aziende ospedaliere universitarie italiane soggette
a differenti piani di gestione regionali. In particolare
dal confronto quantitativo dell’installato tecnologico elettromedicale emerge come sia essenziale il
ruolo delle Regioni nelle programmazioni di investimento e come, attraverso opportune strategie
aziendali di programmazione economica, si possa
preservare il parco apparecchiature elettromedicali dall’invecchiamento e dall’obsolescenza, garantendo un livello adeguato delle performance
sanitarie.
PAROLE CHIAVE
Apparecchiature elettromedicali, età media, obsolescenza
*Responsabile UOS Gestione Sicurezza Apparecchiature
Elettromedicali dell’UOC Ingegneria Clinica dell’Azienda
Ospedaliera Policlinico Umberto I di Roma:
**Dirigente del Servizio di Ingegneria Clinica dell’Azienda
Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona
INTRODUZIONE
Questo lavoro nasce dal confronto di due grandi Aziende
Ospedaliere Universitarie, l’Azienda Policlinico Umberto I di
Roma e L’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona (nel seguito AOUI Verona). Il lavoro si prefigge di valutare
lo stato dei parchi macchine delle due aziende ospedaliere
attraverso un’analisi quantitativa delle variazioni temporali
di alcuni dati legati al parco tecnologico stesso, quali l’età
dell’installato, il numero di collaudi e dei fuori uso. Dall’analisi emerge come l’azienda laziale stia tendenzialmente andando verso scenari di contrazione, degradamento e impoverimento sempre più marcati, mentre nell’azienda veneta, a
fronte di un forte investimento avutosi con la nascita del Polo
Chirurgico, si sia raggiunta una situazione in linea con i criteri
citati dal COCIR e dall’ANIE-SIRM-AINM.
La scelta di confrontare i dati di queste due grandi Aziende
Ospedaliere Universitarie, l’Azienda Policlinico Umberto
I di Roma e l’AOUI Verona, è stata resa possibile in quanto
strutture paragonabili per estensione geografica ricoperta,
numero di posti letto, numero e tipologie di apparecchiature elettromedicali gestite; l’essere situate in due regioni
56 HPH Gennaio-Luglio 2013
con una situazione economico-finanziaria estremamente
diversa rende il raffronto interessante e mette in luce quanto
la “ricchezza” di una regione e l’organizzazione di un’Azienda
possano incidere sulla attività ordinaria di gestione di un
parco macchine. La Regione Lazio infatti, a partire dal 2007,
ha previsto una serie di interventi finalizzati a ristabilire il
proprio equilibrio economico-finanziario, tramite gli accordi
sfociati nel Piano di Rientro dal disavanzo [1], ulteriormente
rivisitato nel 2009 e 2010 nei piani operativi degli anni 2010,
2011 e 2012 [2] che intendono dare prosecuzione al Piano di
rientro 2007/2009. In tale ottica le Aziende Sanitarie laziali nel
corso di questo periodo sono state sottoposte alla razionalizzazione della spesa per acquisto di beni e servizi, mediante
controllo della programmazione e valutazione della loro congruità previa autorizzazione preventiva [3].
Ciò ha dato luogo al contenimento della spesa tramite la
limitazione degli stanziamenti regionali e conseguentemente a una drastica contrazione delle acquisizioni, nonché
alla riduzione di quelle forme di acquisto in conto corrente
che fino a poco tempo prima andavano a gravare sui bilanci
delle Aziende Sanitarie laziali. Il Policlinico Umberto I, in particolare, non è esente dalle ripercussioni scaturite da questo
contesto storico e politico, tanto che nell’ultimo biennio non
è stato attuata alcuna politica di rinnovo o mantenimento del
parco tecnologico aziendale.
La Regione Veneto, invece, è una di quelle regioni non ritenuta in disavanzo economico. Da un’analisi svolta dalla Regione Veneto, nel “Libro Bianco del Servizio Socio Sanitario
della Regione Veneto 2000-2009“ [6], risulta che il risultato di
esercizio, dal 2000 al 2009, si è mantenuto in perdita intorno
ai 500-600 ml di euro e che, nello stesso periodo temporale,
si è tuttavia registrato un incremento degli investimenti e in
particolar modo quelli relativi all’acquisizione di apparecchiature elettromedicali.
A fronte di questo contesto, l’articolo si prefigge di effettuare un’analisi quantitativa del parco tecnologico delle
due aziende evidenziando come la garanzia di una congrua
disponibilità economica da parte della regione di appartenenza permetta di gestire in modo funzionale un parco apparecchiature elettromedicali e come, attraverso opportune
strategie aziendali di programmazione economica, si possa
preservare il parco apparecchiature elettromedicali dall’invecchiamento e dall’obsolescenza, garantendo un livello
adeguato delle performance sanitarie.
L’articolo quindi si sviluppa partendo da un preambolo nel
quale vengono brevemente descritte le due realtà ospedaliere e vengono introdotti i criteri di valutazione del parco
apparecchiature elettromedicali ai quali si riferisce l’articolo stesso. Si passa poi ad effettuare il confronto delle due
aziende ospedaliere sulla base dell’età delle apparecchiature,
sul numero dei fuori uso e dei collaudi negli ultimi 5 anni e
sull’età media del parco macchine.
L’Azienda Policlinico Umberto I di Roma
In questa sezione vengono descritti brevemente i dati più
significativi che caratterizzano l’Azienda Policlinico Umberto
I. Tali dati vengono citati per fornire dei termini di comparabilità tra le due strutture sanitarie, al fine di giustificare il
confronto di due realtà omogenee tra loro.
Il Policlinico Umberto I di Roma è un policlinico universitario
costituito in azienda a partire dal 1999 che, per complessità
e superficie, si colloca tra quelli più grandi in Europa. Il complesso ospedaliero, infatti, ospita circa 1230 posti letto e si
sviluppa su circa 270.000 mq lordi distribuiti in 54 edifici, 46
dei quali presenti all’interno del recinto che delimita la zona
ospedaliera ed 8 esterni, localizzati in zone più o meno limitrofe, ai quali si aggiungono ulteriori edifici che, a vario titolo,
risultano sedi di attività assistenziali [4]. A tale etereogeneità
collocativa si aggiunge una netta disomogeneità distributiva
dei servizi e conseguentemente una composita diffusione
del parco tecnologico aziendale.
L’installato tecnologico dell’azienda, a metà del 2012, consta
di circa 10.000 unità elettromedicali dislocate in 61 differenti
sedi di installazione, di cui 16 esterne.
A tal proposito occorre precisare che i numeri citati non sono
esaustivi, in quanto riguardano le macchine direttamente gestite dal Servizio di Ingegneria Clinica aziendale, le quali, per
strategie direzionali e politiche aziendali, sono state prese in
carico solo se di proprietà dell’azienda ed utilizzate al fine
assistenziale. Ciò equivale a dire che non è stato possibile
prendere in considerazione ulteriori dati aggiuntivi riguardanti quelle apparecchiature che siano di proprietà universitaria o utilizzate per la ricerca, né si è potuto tener conto
di quelle tipologie di apparecchiature gestite da altri servizi
interni all’azienda, quali ad esempio apparecchiature di piccola entità economica (sfigmomanometri, diafanoscopi,
teli termici, ecc.) oppure strumentario chirurgico ed ottiche
rigide ovvero sistemi che per loro complessità siano direttamente collegate agli impianti tecnologici (grandi autoclavi,
teste letto, ecc.).
L’Azienda Ospedaliera Universitaria
Integrata di Verona (AOUI Verona)
In questa sezione vengono descritti brevemente i dati più
significativi che caratterizzano l’AOUI Verona. Analogamente
a quanto specificato nel precedente paragrafo, tali dati vengono citati per fornire dei termini di comparabilità tra le due
Figura 1 – Evoluzione nel tempo delle percentuali di apparecchiature aventi rispettivamente età inferiore a 2 anni,
compresa tra 2 e 5 anni, compresa tra 5 e 10 anni e superiore
a 10 anni, nell’Azienda Policlinico Umberto I
strutture sanitarie, al fine di giustificare il confronto di due
realtà omogenee tra loro.
L’AOUI Verona è costituita da due sedi, Borgo Trento e Borgo
Roma, che ospitano rispettivamente 1.050 e 650 posti letto,
per 80 Unità Operative Complesse a direzione universitaria
e ospedaliera. Entrambe le sedi sono dotate di pronto soccorso. La sede di Borgo Trento (Ospedale Civile Maggiore)
risale ai primi decenni del 1900 ed è organizzata a Padiglioni,
mentre la sede di Borgo Roma (Ospedale Policlinico) ha una
struttura tipica a monoblocco, cioè è alloggiata in un edificio
multipiano a sviluppo essenzialmente verticale in cui ogni
piano è dotato di camere di degenza e dei relativi servizi di
diagnosi e cura.
Nel corso del tempo ci sono stati numerosi interventi di ampliamento e di ristrutturazione di entrambe le sedi e tra questi il più importante è l’attivazione, nel 2011, del Polo Chirurgico “P. Confortini”, che sorge al centro del presidio di Borgo
Trento. La realizzazione del progetto ha comportato l’intero
allestimento dell’edificio con arredi e attrezzature dedicati
alle attività chirurgiche (31 sale chirurgiche), alla degenza, al
Pronto Soccorso (comprensivo di eliporto), al poliambulatorio e alla diagnostica per immagini, con una spesa di circa 65
milioni di euro, sui 220 milioni totali. L’attuale parco aziendale
è costituito da circa 16.500 macchine, tra apparecchiature
elettromedicali, da laboratorio e dispositivi medici. Il Servizio
di Ingegneria Clinica gestisce la totalità del parco apparecchiature, fatta qualche rara eccezione, considerata più come
un sistema impiantistico (ad esempio le grandi autoclavi) e
le apparecchiature dell’Università utilizzate al solo scopo di
ricerca e non a fini assistenziali.
Criteri di valutazione parco
apparecchiature
Nella presente sezione vengono illustrati dei possibili approcci per misurare lo stato “di salute” di un parco apparecchiature.
Gennaio-Luglio 2013 HPH
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Tecnologie
Figura 2 – Evoluzione nel tempo delle percentuali di apparecchiature aventi rispettivamente età inferiore a 2 anni, compresa
tra 2 e 5 anni, compresa tra 5 e 10 anni e superiore a 10 anni, nell’AUOI
Con il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del
29 novembre 2001 sono stati introdotti i Livelli Essenziali di
Assistenza (LEA), cioè le prestazioni e i servizi che il Servizio
Sanitario Nazionale è tenuto a fornire a tutti i cittadini.
L’erogazione di tali servizi, nel rispetto delle condizioni di appropriatezza e di efficienza nell’utilizzo delle risorse, nonché
la congruità tra le prestazioni da erogare e le risorse messe a
disposizione dal Servizio Sanitario Nazionale, sono costantemente verificare dal Ministero della Salute. Risulta pertanto
evidente l’importanza, per un’azienda sanitaria, di mantenere
i LEA tramite un’attenta valutazione delle proprie esigenze
in termini di risorse necessarie a garantire le prestazioni. In
quest’ottica le amministrazioni che operano nella sanità
sarebbero tenute a redigere un piano di investimenti che
tenga in considerazione anche le esigenze di sostituzione e
innovazione delle apparecchiature e contestualmente che
garantisca il contenimento della spesa secondo i dettami
regionali. Per tale motivo, la definizione di un criterio di sostituibilità delle apparecchiature elettromedicali è di fondamentale importanza nella stesura di un piano investimenti.
A tal proposito il COCIR (Comitato per il Coordinamento Europeo dell’Industrie di apparecchiature radiologiche, elettromedicali e di IT medicali) [5] ha sottolineato l’importanza di
un parco apparecchiature “giovane”, al fine di scongiurare il
rischio di un numero elevato di guasti e di ripetuti periodi di
interruzione del servizio, di upgrade non sempre possibili.
1 le apparecchiature prossime ai 10 anni di vita nel 2008 sono circa
il 47%, pari alla differenza tra 63.20% e 16.24% sulla spezzata verde,
dell’intero installato
2 Escludendo le apparecchiature con un’età indefinita (che hanno comunque un’età elevata), circa 15% con un’età inferiore ai 6 anni, poco
più del 21% con un’età inferiore ai 10 anni e oltre il 50% con un’età
superiore ai 10 anni
58 HPH Gennaio-Luglio 2013
Lo scopo è quello di limitare i costi di gestione e garantire il
raggiungimento dei livelli di performance richiesti.
Da tali considerazioni il COCIR introduce alcune definizioni
(“golden rules”):
••Le apparecchiature con meno di 6 anni rappresentano lo
“stato dell’arte” del parco macchine. Almeno il 60% dell’installato dovrebbe avere un’età inferiore ai 6 anni;
••Le apparecchiature tra i 6 e i 10 anni sono considerate ancora utilizzabili, ma è necessario pensare a un strategia per
la loro sostituzione. Le apparecchiature con età compresa
in questa fascia non dovrebbero superare il 30% dell’installato;
••Le apparecchiature con un’età superiore ai 10 anni sono obsolete e da sostituire. La percentuale di questa tipologia di
apparecchiature non dovrebbe essere superiore al 10%.
D’altro canto, anche se solo nell’ambito delle apparecchiature di diagnostica per immagini, l’ANIE-SIRM-AINM [7] ha
considerato che la valutazione dello stato di obsolescenza
non può prescindere dal ciclo di vita dell’apparecchiatura
stessa e dalla sua evoluzione tecnologica.
Nel documento vengono proposti due metodi di valutazione
dell’obsolescenza basati sulla definizione di due età limite:
accettabilità della qualità clinica (età media circa 6 anni) e
garanzie di sicurezza (età media circa 8,5 anni). Tale ragionamento, anche se affrontato solo per le apparecchiature di
diagnostica per immagini, può comunque ragionevolmente
essere mutuato per la maggior parte delle apparecchiature
elettromedicali, introducendo quindi dei criteri leggermente
più laschi rispetto a quanto indicato dal COCIR.
In questo contesto e in considerazione dei criteri sopra descritti è stata effettuata l’analisi che segue.
Figura 3 – Evoluzione nel tempo dei collaudi e dei fuori uso di apparecchiature nell’Azienda Policlinico Umberto I
Analisi delle età delle apparecchiature –
confronto Policlinico – AOUI Verona
Partendo dall’analisi dell’età dell’intero installato tecnologico
presente nei due nosocomi a confronto, nel presente paragrafo si vuole mostrare come l’andamento temporale di questo parametro possa fornire un utile indicatore delle strategie
di investimento adottate nel corso del tempo in ambito di
apparecchiature elettromedicali.
A tale scopo si riportano in Figura 1 gli andamenti delle età
delle apparecchiature dell’Azienda Policlinico Umberto I nel
corso degli ultimi 6 anni, mentre in Figura 2 sono riportati i
valori relativi all’AOUI Verona.
Dai tracciati in figura 1, si può notare come nel corso degli
ultimi 6 anni la percentuale di macchine con età inferiore ai 2
anni si sia sempre mantenuta al di sotto del 15% riducendosi
tra il 2010 ed il 2012, fino al 7,63%.
Seppur appare evidente la volontà di portare avanti politiche
di rinnovo credibili a partire dal 2007, il grafico mette in luce
come le stesse siano state bloccate a partire dall’anno 2010.
D’altro canto risulta chiaro come un parco apparecchiature
già vetusto nel 20071, abbia assunto un carattere di obsolescenza evidente negli ultimi 3 anni (tra il 2010 ed il 2012 la
percentuale di apparecchiature che hanno più di 10 anni di
vita si mantiene costantemente intorno al 50%).
Per quanto riguarda l’AOUI Verona il rinnovamento del parco
apparecchiature appare evidente: dal 2008, anno in cui si è
lontani dai valori suggeriti dal COCIR2, si passa ad una situazione di netto miglioramento alla fine del 2010, fino a giungere al 2012, anno in cui circa la metà del parco tecnologico
aziendale ha un’età inferiore ai 5 anni e le apparecchiature
con un’età superiore ai 10 anni rappresentano solo un quarto
dell’intero installato. Tale risultato è stato raggiunto a fronte
del forte investimento intrapreso per il Polo Chirurgico: solo
nell’anno 2011 sono state collaudate infatti apparecchiature per un valore di circa € 30.000.000 (IVA inclusa), il che
ha consentito di rinnovare e potenziare il parco tecnologico
aziendale, provvedendo alla sostituzione di una parte delle
apparecchiature vecchie esistenti.
Analisi dei fuori uso delle
apparecchiature – confronto Policlinico –
AOUI Verona
Elemento utile per verificare il tipo di strategia di investimento adottata da un’azienda in ambito biomedico, può
essere l’andamento temporale dei collaudi e dei fuori uso.
Logicamente, infatti, se in un dato periodo il numero di collaudi equipara il numero dei fuori uso, potremmo parlare di
politiche di mantenimento, mentre se il numero di collaudi
risultasse superiore al numero di fuori uso si parlerebbe di
potenziamento ovvero innovazione. Naturalmente se il numero di fuori uso risultasse superiore ai collaudi saremmo in
presenza di mancanza di strategie.
A tale scopo si riportano in Figura 3 gli andamenti dei collaudi
e dei fuori uso delle apparecchiature dell’Azienda Policlinico
Umberto I nel corso degli ultimi 6 anni, mentre in Figura 4
sono riportati i valori relativi all’AOUI Verona.
Nei grafici di seguito rappresentati sono riportate a linee tratteggiate le linee di tendenza a media mobile che rendono
possibile una raffigurazione interpretativa più chiara rispetto
alle linee intere raffiguranti il numero di collaudi e di fuori uso
nel corso degli anni.
Per l’Azienda Policlinico Umberto I gli andamenti risultano
comparabili a due campane rovesciate aventi come punto
di massimo l’anno 2009, oltre il quale la tendenza generale
Gennaio-Luglio 2013 HPH
59
Tecnologie
Figura 4 – Evoluzione nel tempo dei collaudi e dei fuori uso di apparecchiature AUOI
è negativa per entrambi i parametri valutati; si nota un’inclinazione negativa maggiore per i collaudi a partire dal 2010,
mentre i fuori uso tendono a rimanere più stabili nel tempo.
Altro elemento distintivo è il fatto che le 2 medie mobili, sempre comparabili in termini quantitativi, si avvicinano sempre
di più a partire dal 2010. In altri termini sembrerebbe che fino
al 2010 si sia proceduto con una strategia di rinnovo, anche
se piuttosto debole, mentre oltre al 2010 si sia provveduto
esclusivamente ad una politica di mantenimento (apparecchiature fuori uso sostituite da nuove installazioni).
Situazione diversa si riscontra per l’AOUI Verona dove si ha
a partire dal 2008 una crescita dei collaudi effettuati, con
un conseguente aumento del numero dei fuori uso, fino a
raggiungere il picco a metà del 2011 che coincide con l’atti-
vazione del Polo Chirurgico “P. Confortini”. Contrariamente a
quanto si potrebbe pensare, ai circa 4000 collaudi effettuati
durante il 2011 non sono susseguiti altrettanti fuori uso, in
quanto la logica di acquisizione è stata quella di uniformare
le tipologie (ventilatori polmonari, apparecchiature di letti
di rianimazione e di degenza etc.) presenti nelle terapie intensive, nei blocchi operatori e nelle degenze, ma allo stesso
tempo di innalzare il livello tecnologico allo standard previsto
potenziando i servizi (ad esempio tutte le nuove postazioni di
terapia intensiva sono ora dotate di pensile, lampada scialitica
e ventilatore polmonare). Una politica di rinnovo si registra
ancora a metà del 2012 dove continua la riorganizzazione
dell’intera azienda ospedaliera a fronte di trasferimenti e potenziamenti dei servizi non coivolti nell’attivazione del Polo.
Analisi dell’età media delle apparecchiature
– confronto Policlinico - AOUI
Figura 5 – Evoluzione nel tempo del numero di apparecchiature in uso e dell’età media dell’installato nell’Azienda
Policlinico Umberto I
60 HPH Gennaio-Luglio 2013
Analoghe conclusioni possono essere dedotte dall’analisi
dell’andamento temporale delle attrezzature in uso e dell’età
media dell’installato. In particolare per il Policlinico Umbero I
si riscontra che il numero delle apparecchiature in uso tende
a decrescere a partire dal 2010 e dallo stesso anno l’età media
presenta una pendenza più ripida rispetto agli anni precedenti (figura 5). Come evidenziato, l’installato attuale ha una
media di vita pari a 10 anni, inoltre ad aggravare l’obsolescenza si aggiunge il deprezzamento annuale dell’installato.
Infatti se consideriamo valida l’affermazione che la vita media
di una macchina è di 9 anni, possiamo dire che al decimo
anno il suo valore attuale si è ridotto a zero. Questo significa
che il 50% del parco tecnologico attualmente utilizzato nel
Policlinico Umberto I, avente un’età superiore a 10 anni, ha un
Figura 6 – Evoluzione nel tempo del numero di apparecchiature in uso e dell’età media dell’installato nell’AUOI Verona
valore pressoché nullo. Di conseguenza una politica di mantenimento, seppur garantendo le prestazioni, non fa altro che
impoverire l’azienda. Dall’analisi della figura 6 emerge che la
situazione risulta essere completamente diversa per l’AOUI
Verona. Grazie al forte investimento degli ultimi due anni, infatti, l’AOUI Verona, è riuscita a diminuire drasticamente l’età
media del parco apparecchiature in uso e contestualmente
ad aumentarne il numero. Questo risultato è stato raggiunto
ovviamente in accordo alla Regione Veneto, e quindi usufruendo delle disponibilità concesse dalla stessa, ma è stato
raggiunto anche attraverso un’attenta programmazione
aziendale che dall’analisi dell’installato è riuscita a redigere
un piano investimenti che tenesse conto delle obsolescenze
attuali e future, sia in termini di sostituzione che di innovazione, delle apparecchiature presenti in azienda.
Conclusioni
In questo lavoro è stata effettuata un’analisi quantitativa di
due realtà ospedaliere universitarie italiane. Si è messo a confronto l’età di ciascun parco apparecchiature, il numero dei
collaudi e dei fuori uso registratesi negli ultimi 5 anni e l’età
media dell’intero installato.
Dall’analisi emerge che nel 2012 l’azienda laziale è dotata di
parco apparecchiature il cui 50% supera i 10 anni di vita e
che tale porzione di installato ha un valore residuo nullo; nel
contempo si è rilevata una tendenza crescente dell’età media
ed una simultanea contrazione delle apparecchiature in uso,
discostandosi ampiamente dai valori suggeriti dal COCIR e
dall’ANIE-SIRM-AINM.
Inoltre dall’analisi dei collaudi e dei fuori uso risulta evidente
come la stessa Azienda risulti attualmente priva di una politica di rinnovo dell’installato tecnologico causando un progressivo impoverimento dello stesso.
L’azienda veneta invece, in questo momento, sfruttando
l’ampia disponibilità regionale, ha avuto modo di ringiovanire il proprio parco macchine. In particolare, effettuando
investimenti mirati all’innovazione e al potenziamento dello
stesso, è riuscita a incrementare di circa il 20%, il numero di
macchine in uso in soli due anni, raggiungendo nel 2012 una
dotazione tecnologica con un’età media di circa 6 anni di cui
il 50% avente un’età inferiore ai 5 anni.
Partendo quindi da due realtà molto simili per estensione geografica, n. di posti letto e n. di apparecchiature elettromedicali gestite, dall’analisi svolta emerge una situazione diametralmente opposta per quello che riguarda lo stato di salute
di ciascun parco macchine. La garanzia di una congrua disponibilità economica da parte della regione di appartenenza
sembra quindi permettere una gestione maggiormente
funzionale del parco apparecchiature elettromedicali.
Tuttavia appare evidente che la necessità di un’attenta strategia di programmazione volta al mantenimento dei LEA non
possa prescindere dall’impegno quotidiano da parte dei servizi aziendali coinvolti (Ingegneria Clinica, Direzione Medica
e Sanitaria, Provveditorato etc.) nell’utilizzo razionale delle risorse a disposizione, al fine di preservare, con lungimiranza, il
parco apparecchiature da un continuo impoverimento.
BIBLIOGRAFIA
1.Piano di rientro della Regione Lazio – Accordo ai sensi
dell’art.1 comma 180 della Legge 311/04 – Delibera della
Giunta Regionale n. 149 del 6 marzo 2007
2.Decreto Commissariale n.113 del 31/12/2010 “Programmi
Operativi 2011-2012”
3.Decreto Commissariale n. U0042 del 31/05/2010
4.Concorso internazionale per la riorganizzazione e la ristrutturazione del complesso ospedaliero policlinico Umberto I di Roma (2009) a cura di Giovanni Parise - pubbl. su
Gazzetta Ufficiale - 5ª Serie Speciale - Contratti pubblici n. 21
del 18/02/2008
5.COCIR European Coordination Committee of the Radiological, Electromedical and Healthcare IT Industry (2009). “THE
CONTINUED NEED FOR SUSTAINED INVESTMENT”
6.Libro Bianco del Servizio Socio Sanitario della Regione Veneto 2000-2009 www.arssveneto.it;
7.Indagine Parco Installato Apparecchiature di Diagnostica
per Immagini delle Strutture Pubbliche, 2004.
Gennaio-Luglio 2013 HPH
61
Tecnologie
A. Toscano*
R. Lilla**
La sicurezza delle Apparecchiature Elettromedicali:
l’IT nei Servizi di Ingegneria Clinica
L’articolo illustra come l’utilizzo di processi IT
da parte di una Ingegneria Clinica possa essere
utile nella gestione del life cycle delle tecnologie
biomediche ed in particolar modo nell’ambito delle
nuove norme in materia di sicurezza elettrica.
PAROLE CHIAVE
Ingegneria Clinica, elettromedicale, sicurezza, software
delle attrezzature di lavoro, quali riparazioni, trasformazioni,
incidenti, fenomeni naturali o periodi prolungati di inattività”
Al comma 9 dello stesso articolo, poi è stabilito che: “I risultati
dei controlli di cui al comma 8 devono essere riportati per
iscritto e, almeno quelli relativi agli ultimi tre anni, devono
essere conservati e tenuti a disposizione degli organi di vigilanza”.
MATERIALI E METODI
*collaboratore ingegnere biomedico presso il Policlinico Umberto I
di Roma dal 2008-2011
**Ingegneria del Software b! SpA
INTRODUZIONE
La crescente complessità delle attività che ruotano intorno
ad un Servizio di Ingegneria Clinica (di seguito SIC) porta
all’inevitabile necessità di dotarsi di strumenti informatici
che consentano di gestire il ciclo di vita delle apparecchiature elettromedicali in maniera efficiente, sicura ed appropriata. Molteplici sono le attività che sovraintendono
al ciclo di vita delle apparecchiature elettromedicali: dalla
progettazione dell’acquisizione di nuove apparecchiature,
al collaudo di accettazione, alla manutenzione correttiva e
preventiva, alla dismissione per fine uso. Alla luce dei nuovi
provvedimenti legislativi, la manutenzione di questi dispositivi si configura come obbligo di legge in quanto sono a tutti
gli effetti da considerare attrezzature da lavoro per gli operatori sanitari, in base a quanto stabilito dal d. lgs. 81/08 e s.m.i.
(1). In particolare all’art. 71 comma 8 del titolo III si legge: “Le
attrezzature soggette a influssi che possono provocare deterioramenti suscettibili di dare origine a situazioni pericolose
siano sottoposte: 1. a controlli periodici, secondo frequenze
stabilite in base alle indicazioni fornite dai fabbricanti, ovvero
dalle norme di buona tecnica, o in assenza di queste ultime,
desumibili dai codici di buona prassi; 2. a controlli straordinari
al fine di garantire il mantenimento di buone condizion i di
sicurezza, ogni volta che intervengano eventi eccezionali che
possano avere conseguenze pregiudizievoli per la sicurezza
Per avere un ordine di grandezza della quantità di informazioni da gestire nell’ambito della manutenzione delle apparecchiature elettromedicali, si consideri un ospedale di medie
dimensioni e di media complessità (circa 600 posti letto). In
questo esempio si può ipotizzare un parco macchine di circa
3500 apparecchiature. In un anno si possono stimare le attività riportate in Tabella 1: La gestione organica di queste
attività diventa irrealizzabile senza il supporto di un sistema
informativo che consenta il rapido e sicuro accesso a tutte
le informazioni. La necessità di una gestione informatizzata
delle attività descritte viene ravvisata anche dalla raccomandazione n.9 dell’aprile 2009 del Ministero della Salute sulla
prevenzione degli eventi avversi conseguenti al malfunzionamento degli apparecchi elettromedicali (2). Nella fattispecie, al paragrafo 4.3 relativo alla centralizzazione di tutte le
richieste di intervento tecnico sugli apparecchi elettromedicali per guasti e/o malfunzionamenti, si legge: “Le strategie
implementate per l’ottimizzazione dell’attività manutentiva
sulle Tecnologie biomediche raggiungono piena efficacia
solo in presenza di una struttura di controllo e monitoraggio
che, quasi in tempo reale, possa valutare effettivamente il
rispetto delle condizioni pattuite con i manutentori e/o gli
indicatori di performance. A tal fine, fattori indispensabili
diventano l’informatizzazione completa del SIC, tramite moduli 100% WEB oriented, indipendenti dall’infrastruttura hardware e software presente, capace di comunicare con altre
applicazioni ed una centrale del tipo “contact center” […]”
RISULTATI
E’ su questi principi che è stata sviluppata la gestione della
sicurezza delle apparecchiature elettromedicali sul GAEM, Il
Richieste di intervento a guasto
Manutenzioni programmate
Collaudi di accettazione
1600
9000-11000
250
Tabella 1. Attività di manutenzione in un anno
62 HPH Gennaio-Luglio 2013
Figura 1. Menù principale e Trouble Ticketing sul Gaem
sistema web based di gestione del Life Cycle degli Asset elettromedicali già presentato nell’articolo n. 2/2010 di questa
rivista (3).
Nel 2010 si è intrapreso il progetto di gestire a livello informatico i dati relativi alla verifiche di sicurezza elettrica. Il proposito è stata favorito dall’introduzione della norma CEI EN
62353 (CEI 62-148) (4) per le Verifiche periodiche e prove da
effettuare dopo interventi di riparazione degli apparecchi
elettromedicali. La funzionalità relativa alle verifiche di sicurezza elettrica già presente nel sistema, oltre a consentire la
pianificazione dell’attività, consente la registrazione dei dati
relativi all’ispezione visiva e alla non conformità rilevate, con
l’attivazione automatica della richiesta di intervento tecnico
in caso di grave non conformità rilevata. L’aspetto innovativo
che si è voluto introdurre è stato quello di realizzare un’interfaccia in grado di consentire la registrazione dei valori risultanti dalla verifica elettrica strumentale, ridotti drasticamente
di numero con l’introduzione della suddetta norma.
In Tabella 2, a titolo di esempio, è riportato il confronto tra
la quantità di misure che si ottengo con l’applicazione della
guida CEI 62-122 e della norma CEI 63-148 durante una verifica di sicurezza elettrica su un Elettrocardiografo, con PA CF,
cavo 10 derivazioni. Una quantità contenuta di dati si presta
ad una rapida registrazione delle misure su un sistema informatico. La gestione di questi dati consente di adempiere ad
alcune nuove prescrizioni previste dalla norma CEI 62-148, di
cui alcune riportati in Tabella 3: Tutte le misure sono registrate
tramite un’apposita scheda in un db centralizzato in modo
da permettere le opportune successive analisi.
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
I risultati dei controlli possono essere archiviati ed elaborati
per ottenere un andamento nel tempo dei valori ed essere
utilizzati per valutare il livello di sicurezza del parco macchine
dell’Azienda. Questo genere di informazioni possono essere
analizzate per sviluppare un indicatore di sicurezza da utilizzare nella valutazione (ad esempio) dell’indice di priorità
di sostituzione, parametro di ausilio per la progettazione
dell’acquisizione di nuove tecnologie, secondo i principi
dell’Health Technology Assessment.
Un ulteriore ambito di applicazione è la valutazione del livello
di rischio elettrico associato all’utilizzo delle apparecchiature
elettromedicali, in fase di redazione del documento di valutazione dei rischi.
Guida CEI 62-122
Norma CEI 62-148
Numero delle misure
Numero delle misure
Dispersione verso terra
4
Dispers. nell’Apparecchio
2
Dispersione sull’involucro
6
Dispers. Parti Applicate
2
Resistenza di isolamento
4
Totale
8
Dispers. nel paziente CF (6X10X2)
120
Corrente aux Paziente (6X10X2)
120
Rete su P.A. (4X10)
40
Totale
290
Tabella 2 Confronto tra il numero di valori ottenuto applicando le prescrizioni della Guida CEI 62-122 e della norma CEI 62-148
Gennaio-Luglio 2013 HPH
63
Tecnologie
Ambito
Prescrizione
Applicazione
Collaudo
Il valore della VSE deve essere registrato come VALORE DI RIFERIArchiviazione del VR
MENTO (VR)
Collaudo
Deve essere riportata la FREQUENZA
DI RIPETIZIONE DELLE PROVE (FR)
Archiviazione FR  Indicazione per
pianificazione controlli periodici
Verifica
Periodica
Se 90%VL < VVSEp < 100%VL, allora il Valore ottenuto durante la
VPSE deve essere confrontato con il Valore di Riferimento, per stabilire il grado di sicurezza dell’apparecchio. Qualora non fosse disponibile il VR, è necessario aumentare la frequenza delle prove1
Pianificazione, dinamica e a condizione, dei controlli periodici. Indice
per stabilire grado di sicurezza di
una apparecchiatura
Tabella 3 Schema riassuntivo di alcune prescrizioni previste dalla norma CEI 62-148
BIBLIOGRAFIA
1. D. Lgs. 81/08. Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto
2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza
nei luoghi di lavoro.
2. Raccomandazione n. 9, aprile 2009 Raccomandazione per la
prevenzione degli eventi avversi conseguenti al malfunzionamento dei dispositivi medici/apparecchi elettromedicali
3. Rivista Hospital Public Health n.2/2010, Processi informatizzati a supporto dell’ ingegneria clinica, di Ing. R. Lilla
4. Norma CEI 62-148 - Apparecchi elettromedicali. Verifiche
periodiche e prove dopo interventi di riparazione degli apparecchi elettromedicali
5. Norma CEI 62-122 - Guida alle prove di accettazione ed alle
verifiche periodiche di sicurezza e/o di prestazione dei dispositivi medici alimentati da una particolare sorgente di alimentazione.
1 VL: valore limite prescritto dalla normativa, VVSE: valore misurato in fase
di verifica
Figura 2. Gestione della nuova normativa nella scheda verifica di sicurezza del Gaem
64 HPH Gennaio-Luglio 2013
con il Patrocinio di:
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del Convegno
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del servizio a fronte della riduzione
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specialistico (endoscopico, motorizzato e robotico)
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nel passaggio a una nuova Centrale di Sterilizzazione
• Come migliorare i rapporti tra Centrale e Blocchi Operatori
14 RELATORI - 10 CASE HISTORY - 6 CREDITI ECM
A.O.U. di Ferrara
Policlinico San Matteo di Pavia
Ospedale Niguarda di Milano
INAIL
Ospedale San Martino di Genova
A.O.U. di Ferrara
A.O.U. di Pisa
Ospedali Galliera di Genova
Ospedale Regionale San Maurizio
di Bolzano
Presidio Ospedaliero di Ciriè
A.O. “G. Salvini” Presidio di Rho
Ospedali Riuniti di Ancona
Si ringrazia
Media partner
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