ICONTRI 5 26 agosto Shodo Habukawa scende dal monte Koya con la preghiera buddista e il canto Shomyo Grazie all’amicizia tra don Luigi Giussani e il professor Shodo Habukawa, nata nel 1987, i monaci del monte Koya in Giappone hanno iniziato a partecipare al Meeting. Da allora tornano con gioia ogni anno. Roberto Fontolan esordisce all’Arena Frecciarossa 1000 D3 dove, alle 15, si è tenuto l’evento “Preghiera Shomyo e canti della tradizione cristiana”. I monaci pronunciano quotidianamente alle 15 il canto Shomyo, nel tempio Muryokoin, circondati dalle statue di Buddha e dalla memoria degli antenanti, ma anche dalle foto di Giovanni Paolo II, don Luigi Giussani e don Francesco Ricci, «perché l’amicizia con i cattolici è davvero importante». Il canto Shomyo celebra l’armonia delle «cose che risuonano insieme, mantenendo però le proprie caratteristiche pur fondandosi in un unico suono e questo momento è quanto vi sia più vicino alla voce del Buddha». Proprio per mostrare questo «risuonare insieme» il coro Millennium di Rimini ha eseguito canti del repertorio liturgico della tradizione cristiana. Nell’ultimo canto i due cori si sono fusi come in un unica lode in omaggio al «Mistero» che vibra dentro tutte le cose. Come sorpresa finale il coro Millennium, quasi per ricordare l’incontro con Don Giussani, dedica a Habukawa la famosa canzone napoletana Torna a Surriento. Wakako Saito traduce le sue parole: «Il Meeting è il luogo del miracolo perché nonostante le differenze di cultura e di fede si sente ugualmente il grande abbraccio del Mistero senza limite». Alla fine quello che colpisce è l’impassibilità dei monaci alla malinconia che non è indifferenza, ma desiderio di arrivare alla profondità dell’essere. M.D. Chomsky, Babele e il silenzio In diretta da Boston, il padre della linguistica contemporanea interviene sulle nuove frontiere del pensiero e della scienza «Gli interrogativi più semplici richiedono le risposte più potenti». Con lui il neuroscienziato Moro e l’astrofisico Bersanelli Quando studiava, all'apice del periodo strutturalista, sembrava che i problemi del linguaggio fossero quasi risolti dalla scienza. Oggi il quadro non potrebbe essere più diverso, «per i misteri che permangono e forse vi permarranno per sempre». Noam Chomsky, tra i massimi conoscitori del linguaggio contemporanei, ideatore della rivoluzionaria teoria della grammatica generativo-trasformazionale, è uno degli ospiti più attesi di questo Meeting. Il New York Times lo ha definito il più grande intellettuale vivente. Il grande studioso ottantaseienne non è potuto intervenire di persona in fiera, come previsto, a causa di un incidente domestico che gli ha causato la rottura di tre costole. In collegamento in diretta da Boston, ha dato un quadro affascinante della storia del pensiero e della linguistica, provocato sul tema “Stupirsi di fatti semplici: il linguaggio dell’uomo e i limiti della comprensione”. A introdurlo un linguista e un astrofisico: il suo allievo e amico Andrea Moro, che l’ha invitato a Rimini, e Marco Bersanelli, che al Meeting è di casa. Che informazioni si stanno passando i nostri neuroni in questo momento? Fisicamente di cosa è fatto il linguaggio? E cosa succede nel nostro cervello quando parliamo senza emettere suoni? Alcune recenti scoperte illustrate da Moro mostrano che il linguaggio resta, in qualche modo, nella nostra la testa. Potremmo definirlo “il suono del pensiero”, la sorpresa del silenzio. Il linguaggio si fonde con il pensiero. Anche in assenza di parole le onde elettriche dei neuroni sono le stesse di quando i suoni li emettiamo parlando. Che conseguenze potremmo trarre da questa scoperta? Moltissime, come aiutare un afasico a recuperare la parola oppure, carpire un se- greto da qualcuno. Cosa si nasconde dietro al mistero del linguaggio? E fino a che punto la scienza può conoscerlo? Negli ultimi anni la comunità scientifica ha fatto passi in avanti enormi, aprendo nuove domande che restano tuttora aperte. «Sono proprio le domande più semplici - esordisce Bersanelli – a richiedere le risposte più potenti». Chomsky non si tira indietro e ripercorre il percorso storico e scientifico del linguaggio dall’antichità ai giorni nostri. La grammatica universale è una proprietà della specie emersa negli ultimi 100mila anni. Sono temi affrontati dai più grandi filosofi e scienziati nella storia: da Cartesio a Leibniz, da Newton a Broca, fino alla “teoria della calcolabilità”, che negli anni ‘50 apre la strada alla formulazione delle proprietà di base del cervello. In sintesi i fautori di questo pensiero, che paragonano la mente a una macchina, sono convinti di essere a un passo dalla risoluzione definitiva del linguaggio. Chomsky mette in crisi questa teoria e rimette al centro l’uomo, le sue capacità e la sua libertà. Il nostro cervello usa mezzi finiti in infiniti modi, possiamo co- La prima volta di Bertinotti «Un luogo che pone domande» Un incuriosito e vivace Fausto Bertinotti, ex leader di Rifondazione comunista e ora presidente della fondazione Cercare ancora, racconta della sua prima volta al Meeting. Lo incontriamo poco prima dell’incontro durante il quale, tra l’altro, ha affermato: «Per essere guardato, come Zaccheo sul sicomoro, l’io ha bisogno di uno sguardo, di qualcuno con cui dialogare e confrontarsi». Che idea si è fatto del Meeting? Che cosa in particolare le sta piacendo? La mia curiosità è aumentata. Non c’è una cosa in particolare che mi ha colpito, perché sono molte. Proprio questa molteplicità rende il tutto intrigante. Dalla mostra in cui puoi esplorare un terreno sconosciuto, come l’esperienza di un cristiano russo che colpisce molto, all’esperienza intellettuale. Mi sono sorte molte domande. Ciò con cui più mi sono trovato in sintonia è la figura di Metropolita Antonij e la formazione di una comunità, un tema a me molto caro. Quello che Gramsci chiamava elemento di «connessione sentimentale» e che trovo molto simile con la mia tradizione. Ho assistito al dialogo su Abramo con Carrón e Weiler. Mi è piaciuto molto perché mi ha sollevato molti interrogativi, ben più delle risposte che mi ha dato. Non si può vivere in mancanza di una curiosità sulla realtà. Da non credente, che rapporto ha con la persona di Cristo? Lo vivo come una presenza del mondo che ha cambiato l’umanità. È possibile discutere del rapporto tra la vita di Gesù, la sua parola, le sue opere e il cristianesimo. Ma indubbiamente quel rapporto tra la croce e risurrezione che San Paolo ha messo al centro della sua vita è un elemento che parla della storia dell’umanità. Io però continuo a pensare che la figura di Gesù sia leggibile anche come quella presenza che parla il linguaggio dell’uguaglianza con una radicalità che resta un punto di riferimento per tutti e in particolare per chi mette questo valore al centro della sua attività politica. M.D. noscere in modo approfondito gli strumenti, anche dal punto di vista neuroscientifico, ma non l’origine. «Conosciamo la marionetta e i fili, ma non sappiamo niente del burattinaio», e un ruolo importante in questo ce l’ha la nostra storia, la nostra esperienza, che ci può «spingere, ma non costringere». Dobbiamo essere provocati dalla nostra “mancanza”, quell’incapacità di conoscere i segreti ultimi della conoscenza. «L’idea che ci siano dei confini al sapere, a volte viene considerata una forma di misticismo. Ma il vero misticismo sta nella convinzione che la nostra capacità di conoscere sia invece infinita», spiega Chomsky. C'è stata un'esplosione di studi sul linguaggio in questi anni e siamo arrivati a una profondità mai vista prima. Nuove scoperte hanno portato a nuove domande. La questione rivoluzionaria che ci si pone oggi, secondo Moro, è se anche le regole del linguaggio dipendano dal cervello, che sa distinguere tra principi possibili e impossibili. Le grammatiche non sono software inerti, ma qualcosa di vivo, in continuo divenire. «La ricerca dei prossimi anni dovrà capire da dove arriva l'ordine delle grammatiche». Di certo, quella del linguaggio, è una «possibilità distintamente e unicamente umana», sottolinea Bersanelli, che si realizza nel singolo e non è determinata a priori, ma solo suggerita dalla realtà. Per svilupparsi e compiersi ha però bisogno di una relazione e di un rapporto. Il pittore è il soggetto e resta ineffabile, anzi, «più si studia, più emerge questa ineffabilità». C'è un mistero ineliminabile, una mancanza, un limite che non è frustrazione o caduta nell’irrazionale, ma che sprona ad andare avanti nella ricerca della bellezza e del significato di tutte le cose. Margherita Dahò Alessandro Caprio