Filosofia - Kant – Critica del Giudizio
LA CRITICA DEL GIUDIZIO
Nella Critica della ragion pura Kant studia la conoscenza; nella Critica della ragion
pratica studia la morale; nella Critica del Giudizio analizza il la facoltà di giudicare.
Quello che a noi interessa in quest’ambito è ciò che dice Kant circa il giudizio
estetico (nell’accezione odierna di studio del bello e dell’arte).
Il giudizio estetico
Quando dico che qualcosa è “bello” io esprimo un “giudizio di gusto”.
Cosa succede quando affermo che qualcosa è bello? Succede che questo qualcosa
(una rappresentazione) entra in contatto col soggetto (con me, in questo caso) e nel
soggetto è suscitato un sentimento di piacere o dispiacere: insomma, il giudizio di
gusto è soggettivo. Ma possiamo pensarlo anche come universale? Vediamo cosa ci
dice Kant…
Il bello è disinteressato
Sottolineiamo prima di tutto che “il bello è ciò che piace senza interesse”.
Una cosa o un’opera d’arte è dunque bella solo se piace in maniera disinteressata:
questo differenzia il bello sia dal piacevole che dall’utile.
Tutte le volte che la bellezza è un fatto di attrattiva fisica, che
Il piacevole
mette in moto i sensi e le inclinazioni personali più che lo spirito,
il giudizio estetico perde la sua purezza e diventa particolare e
individuale. In tal caso parliamo di piacevole e non di bello. Mentre il piacevole dà
luogo a giudizi estetici empirici (non puri né universali, ma scaturiti dalle attrattive
che le cose esercitano sui sensi e legati alle inclinazioni individuali), il bello come
piacere estetico è qualcosa di puro, non soggetto ad alcun condizionamento.
Il bello si distingue anche dall’utile, proprio perché è
L’utile
disinteressato. Qualcosa, insomma, ci piace, ma non per la sua
utilità: 10000 € mi piacciono perché mi servono; un fiore è bello e basta.
Bere un bicchier d’acqua in mezzo al deserto, appena prima di morir di sete, sarà
assolutamente piacevole e anche molto utile, dunque: ma non “bello”.
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Il bello è universale?
Per Kant il giudizio di gusto, pur riguardando il sentimento soggettivo che una cosa
suscita in una persona – ha la pretesa dell’universalità: il bello “è ciò che piace
universalmente senza concetto”. Questo significa che gli uomini possono
condividerne l’apprezzamento del bello, pur non basandosi su nessun ragionamento
(senza fare quindi riferimento a nessun concetto assoluto di bello, a nessuna idea
platonica di bello che faccia da modello).
In pratica il giudizio estetico ha una doppia valenza: “è un giudizio particolare
perché non riposa sui concetti, ma sul sentimento, che per sua natura è singolare; ma
è insieme un giudizio universale o universalmente valido in quanto il piacere estetico
vale per tutti i singoli (ricorda che per Kant noi abbiamo tutti una struttura mentale
uguale) e può essere comunicato da essi”.
Quindi una valutazione estetica vale necessariamente e universalmente, ma non è
dimostrabile da un punto di vista logico. Ci troviamo di fronte a un’opera d’arte
bella e la riconosciamo come tale immediatamente, eppure non riusciamo a dare una
dimostrazione razionale della bellezza di tale opera.
Ma se qualcosa ci piace, troviamo spesso incomprensibile che possa non venir
apprezzata dagli altri, come se il nostro giudizio dovesse valere universalmente.
La bellezza è nel soggetto, non nell’oggetto
Il bello, inoltre, non è una proprietà oggettiva delle cose, ma è nel giudizio che noi
esprimiamo su di esse. La forma dell’oggetto bello non è una qualità della cosa, ma
consiste in un incontro tra soggetto e oggetto (mettendo in primo piano il soggetto:
ancora una rivoluzione copernicana…).
Il soggetto, in pratica, vive un sentimento di armonia in sé e lo proietta
inconsapevolmente sugli oggetti: ma questa armonia, di cui l’oggetto è un riflesso, sta
nel soggetto. Se le belle forme sono in natura, la bellezza è nell’uomo, ossia nella
sua mente: è come se la bellezza fosse un “favore” (parola di Kant) che noi facciamo
alla natura, in quanto le permettiamo di elevarsi al livello dell’umanità.
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Il sublime
Il bello consiste nel contemplare la forma dell’oggetto (nella sua limitatezza); con il
sublime si ha di fronte l’illimitato e l’informe. È sublime ciò che è grande in
maniera smisurata, al di là di ogni possibile confronto. Kant distingue tra:
 Sublime matematico, che si prova di fronte all’estensione smisuratamente grande
nello spazio e nel tempo (ad es. l’oceano, le galassie, il diametro terrestre).
 Sublime dinamico, che si prova di fronte a una forza naturale dirompente (ad es.
l’uragano o il terremoto).
Di fronte a queste cose proviamo un sentimento di ambivalenza:
 da un lato proviamo dispiacere, repulsione, perché la nostra immaginazione è
troppo limitata per abbracciare tali grandezze;
 d’altra proviamo piacere, perché la nostra ragione si sente attratta e si eleva
all’idea di INFINITO.
Insomma, osservando queste realtà scopriamo la nostra limitatezza ma, coscienti dei
nostri limiti, cerchiamo di superarli mirando all’infinito. Di fronte a tale idea la
grandezza del sublime della natura si rivela ben poca cosa: il vero “sublime” non sta
allora nella grandezza infinita della natura, ma piuttosto nell’animo e nella ragione di
colui che giudica sublime tale grandezza, ossia nell’uomo.
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