Costo del cap. di debito

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Scelta degli investimenti
Dopo aver analizzato le fonti di finanziamento, dobbiamo capire quali investimenti l’azienda
dovrebbe accettare … si tratta di opportunità di investimento proposte sul mercato.
Va precisato che non tutti gli investimenti scelti dall’azienda sono alternativi (cioè escludono altri
progetti di investim.), esistono anche progetti indipendenti, che escludono l’assunzione di altri, e
progetti correlati che, in un’ottica di valutazione dell’investimenti, dovrebbero essere considerati
come un unico progetto.
La scelta tra investim. alternativi implica l’assunzione di diversi problemi:
a. Identificazione delle varie opportunità di investimento presenti sul mercato
b. Valutazione dei ritorni generati dal progetto
… si tratta di stimare i flussi di cassa che il progetto promette di generare
c. Selezione del progetto migliore
… implica l’adozione di solide metodologie, per selezionare l’investimento migliore
d. Definizione di cosa si intenda per progetto di investim. migliore
La stima dei flussi finanziari, la valutazione dei criteri e la scelta migliore sono i campi di indagine
tipici della finanza d’azienda.
Il primo problema (stima dei flussi) è rilevante perché da quest’ultima dipende la redditività del
progetto e la cap. dell’azienda di creare valore. Ciascun investimento può essere identificato come
seguirsi di flussi di cassa in entrata e uscita, dove i Fc in U rappresentano gli esborsi per l’effettuaz.
dell’investimento e Fc in E rappresentano la cassa che il progetto genera.
In realtà alcuni progetti possono generare Fc in U anche durante o al
termine del periodo del progetto stesso. Quindi il profilo di cassa durante
l’investim. potrebbe oscillare nel tempo, anche se si assume per semplicità
un Fc in U in t0 e una sequenza di FC in E successivi.
Ovviamente i Fc non sono certi, ma aleatori … si parla più propriamente
di Fc attesi, in ottica di incertezza; ciò comporta assunzioni di rischio diverse tra i vari progetti.
In seconda battuta (valutazione criteri), si pone il problema di definire delle metodologie che
permettano di comparare i diversi investimenti al fine di scegliere il progetto migliore. Si parla, in
tal caso, di tecniche di capital budgeting: complesso di metodologie e tecniche d’analisi che
presuppongono lo sviluppo di criteri di scelta e di selezione dei progetti.
→ Idealmente il progetto migliore è quello che massimizza il valore dell’azienda.
Esistono diverse tecniche di selezione del progetto al fine di max tale valore; ovviamente un criterio
di selezione degli investim. dovrà risp ad una serie di requisiti … è necessario, infatti, considerare:
a. L’insieme dei flussi di cassa che l’investimento produce
b. Il rischio legato ai diversi progetti, individuando un tasso di attualizzazione appropriato
connesso al livello di rischio, per definire il valore attuale di ciascun flusso di cassa.
Tale tasso rappresenta un costo-opportunità del capitale (k).
c. Ciascun progetto in modo indipendente dagli altri … considerare, cioè, il valore dell’azienda
come sommatoria dei valori in t dei progetti.
Max del valore d’azienda
Seguendo la logica di max del valore, dovrebbero essere attualizzati i flussi di cassa percepiti dagli
azionisti, o meglio i dividendi ad essi distribuiti. La ricchezza degli azionisti corrisponde, perciò, al
𝐷𝐼𝑉𝑑
valore dell’azienda, esprimibile in termini di sommatoria dei dividendi attualizzati → ∑𝑑 (1−π‘˜π‘ )′𝑑
Spesso si dice che l’obiettivo del management è quello della max dell’utile per azione (EPs), ciò
non è propriamente corretto in quanto l’obiettivo è quello di max il valore dell’azione
… non sempre, infatti, le 2 grandezze coincidono.
Ciò lo possiamo vedere analizzando il CE ed, in particolare, il costo dei prodotti venduti: questi
ultimi dipendono fortemente dalle politiche di movimentazione del magazzino adottate dall’azienda
(LIFO, FIFO, CMP); una differenza nel criterio adottato può compromettere il risultato netto e
anche i correlati Fc in E e U … la max non è dell’utile, ma del valore dell’azione!
Tornando alla valutazione del progetto, il profilo dell’indipendenza (tra progetti) è fondamentale.
→ Un progetto viene definito ottimo quando contribuisce oggettivamente all’aumento del valore
dell’azienda: la scelta non deve, quindi, dipendere da criteri soggettivi posti dal management, nè da
politiche contabili adottate dall’azienda e nemmeno dalla redditività di altri progetti.
Le diverse tecniche di scelta possono essere, quindi, classificate in:
a. Valore attuale netto (VAN)
b. Tasso di rendimento del progetto (TIR)
c. Tempo di recupero del capitale
d. Rendimento medio contabile
e. Indice di redditività del progetto
Il migliore criterio utilizzabile è quello del VAN … come vedremo in seguito … in quanto gli altri
criteri forniscono potenziali profili di criticità contrastanti con il valore attuale netto stesso.
Tempo di recupero del capitale. Tale tecnica analizza il tempo richiesto per ricevere i flussi di cassa
investiti nel progetto … oltre alla possibilità che non consideri tutti i Fc, rilevante è il fatto che non
metta in evidenza il costo opportunità dei fondi (i flussi, infatti, non vengono attualizzati).
Ciò implica anche una forte componente discrezionale del management.
I problemi maggiori, infatti, si presenterebbero nel momento in cui sarebbe necessario valutare
progetti alternativi tra di loro … con Fc diversi, anche il relativo VAN sarebbe diverso.
Il criterio basato sul tempo di recupero potrebbe, perciò, portare a dei risultati non corretti sotto il
profilo di max del valore dell’azienda; anche perché, in tale ottica, un tempo di recupero troppo
basso implicherebbe il rifiuto di progetti più a lungo termine probabilmente più favorevoli e,
viceversa, tempo di recupero troppo alto comporterebbe il rifiuto di progetti più a breve termine.
Rendimento medio contabile. Tale tecnica valuta il progetto sulla base di un rapporto tra il reddito
medio generato dal progetto e il valore medio dello stesso; considera, quindi, l’investimento medio
realizzato. Il criterio, inoltre, si basa su una definizione contabile dei benefici che il progetto va a
produrre, determinati come ricavi generati al netto di costi mon., quote di amm.to e imposte.
Anche qui si pone un problema soggettivo di scelta tra progetti alternativi; in tal caso, dovrebbe
essere individuato un parametro di raffronto … se la redditività media del progetto è superiore al
parametro prescelto, il progetto può essere accettato e viceversa, se inferiore, dovrà essere rifiutato.
Le info fornite sono cmq distorte, infatti, la scelta di accettazione/rifiuto del progetto dipende
direttamente dal parametro di raffronto applicato, la cui soglia è definita in un’ottica soggettiva.
Valore attuale netto (VAN). Tale logica supera le altre in quanto va a considerare tutti i flussi di
cassa prodotti dal progetto e il relativo costo del capitale, vista la loro attualizzazione.
VAN = VA Fc - CI
𝐹𝑐1
𝐹𝑐2
𝐹𝑐3
= (1+π‘Ÿ)′1 + (1+π‘Ÿ)′2 + (1+π‘Ÿ)′3 - CI
La regola del VAN è la seguente:
se VAN > 0, il progetto genera valore, quindi dovrebbe essere accettato
se VAN < 0, il progetto distrugge valore, quindi non è accettabile
Tale criterio risponde a tutti i requisiti che dovrebbe possedere un criterio di scelta ottimale
a. Considera tutti i flussi di cassa del progetto
b. Considera il valore attuale di ciascun flusso di cassa
c. Permette di valutare oggettivamente progetti alternativi
d. La scelta non richiede la definizione di parametri soggettivi
→ Consente effettivamente di scegliere il progetto migliore per la max del valore aziendale
L’az. incrementa il proprio valore quando VA dei flussi del progetto > CI per il progetto stesso;
viceversa se VA flussi < CI, si va a distruggere liquidità, quindi il progetto non dovrebbe essere
intrapreso. Perciò, la regola del VAN è coerente con l’obiettivo di max del valore.
Tasso di rendimento interno (TIR). È quello che fa tendere il VAN a 0
𝐹𝐢𝑑
→ VA Fc = CI … CI = ∑𝑑 (1−𝑇𝐼𝑅)′𝑑
Se TIR > Costo opportunità dei fondi … accetto il progetto
Se TIR < Costo opportunità dei fondi … rifiuto il progetto
Non sempre, però, le regole del VAN e del TIR danno risultati
univoci; infatti, sono coerenti con gli obiettivi di max del valore
solo quando il VAN è una funziona monotona decrescente
rispetto al tasso di sconto applicato.
L’assenza di tale condiz. porta alla coesistenza di 2 tassi di
rendimento interni: ciò capita quando vi sono progetti con
un Fc in uscita iniziale e le poste successive non sono tutte
positive (+ e - si alternano) … qui, la regola del VAN e del
TIR non portano allo stesso risultato [ VAN ≠ TIR ]
In presenza di tassi interni di rendimento multipli all’interno dello stesso progetto, il criterio del TIR
può permettere la risoluzione del problema, cambiando il ragionamento di base. Infatti, attraverso
un opportuno trattamento dei Fc, è possibile trovare un tasso di rendimento unico del progetto
… vedendo il progetto come unione di 2 investimenti, possiamo definire i Fc in U come prestiti
concessi dall’azienda e Fc in E come prestiti ottenuti.
Esempio.
L'impresa effettua un investimento (Fc-) pari a 6.000 nel primo anno e si attende di ottenere un
ritorno pari al TIR del progetto, quindi 6.000*(1 + TIR); in t1 riceve un prestito (Fc+) pari a 10.000
e l’impresa, quindi, registra un saldo debitore pari a [ 10.000 - 6.000*(1 + TIR) ].
Questa somma è come se fosse stata prestata all'impresa al costo opportunità del capitale; è
quest’ultimo il tasso di reinvestimento del Fc per un anno.
Il valore del progetto capitalizzato sarà perciò: [ 10.000 - 6.000(1 + TIR) ] * (1 + k) = 10.000 (Fc-)
Se il TIR derivante dall’eguaglianza è maggiore del costo opportunità, il progetto verrà accettato.
→ Se TIR > k, l’impresa avrà convenienza ad accettare il progetto.
Una seconda trappola potenzialmente legata al TIR si riferisce alla presenza di investimenti
alternativi aventi dimensioni diverse, cioè implicano un capitale investito (CI / Fc-) iniziale diverso.
Esempio.
Progetto A. t0 = -10.000; t1 = +15.000
Progetto B. t0 = -20.000; t1 = +35.000
In una situazione simile, è possibile che la scelta applicando i criteri del TIR e VAN sia diversa.
In un’ottica prettamente di max del valore, dovrebbe prevalere il criterio del VAN; viceversa, se si
vuole utilizzare il criterio del TIR, la logica da seguire è quella di considerare i flussi incrementali
di ogni progetto: si tratta, perciò, di determinare il differenziale tra i Fc dei 2 progetti.
→ Flusso diff. (B-A). t0 = -10.000; t1 = +20.000
Se il TIR dei flussi incrementali > k costo opportunità, vale intraprendere il progetto avente
dimensione maggiore … comporta sì un investimento iniziale maggiore, ma anche Fc maggiori.
Anche se il progetto B risulta essere univocamente migliore, la scelta del progetto A può essere
obbligata da vincoli interni ed esterni, ad es. di razionamento del capitale investibile.
Flussi di cassa
Come già visto, il criterio del VAN risulta essere il criterio migliore di valutazione dei progetti.
Nella sua determinazione, però, può essere problematico definire in modo corretto i Fc e il relativo
tasso di sconto utilizzato per l’attualizzazione.
Secondo una logica finanziaria (in assenza di debito), i Fc in E si qualificano come entrate
monetarie e apporti di nuovo capitale e i Fc in U come costi monetari e dividendi distribuiti
… in una logica di eguaglianza fonti-impieghi FC+ = FcInoltre, in presenza di indebitamento (il capitale investito è, cioè, finanziato in parte da cap. di
debito e in parte da mezzi propri), in un'ottica di definizione del VAN, devono essere considerati
anche i Fc connessi al pagamento degli OF e al rimborso di quote di debito.
→ Quali Fc andare a considerare?
La loro definizione si lega strettamente al tasso di attualizzazione (k)
… nel caso in cui l’azienda si finanzi esclusivamente con mezzi propri, k sarà il costo del capitale
azionario; … nel caso l’azienda si finanzi con un mix di capitale proprio e di debito, l’utilizzo del
costo del solo cap. azionario come tasso di attualizzazione dei flussi darebbe un risultato distorto.
Deve perciò essere considerato il costo medio ponderato del capitale
→ CMP = Ks * Cp/Fonti + Kb (1-t) * D/Fonti
[ con Ks: costo del cap. proprio; Kb: costo del cap. di debito; t: aliquota d’imposte ]
𝐹𝐢𝑑
I Fc verranno, quindi, attualizzati a tale costo e il VAN verrà così determinato: ∑𝑑 (1+πΆπ‘šπ‘)′𝑑 - CI
Il costo medio del capitale rappresenta un premio al rischio che riflette le attese delle 2 tipologie di
stakeholders, cioè dei creditori di ottenere rimborso del debito e il pagamento degli OF e degli
azionisti, di ottenere la remunerazione del cap. proprio apportato.
Ovviamente la struttura finanziaria aziendale può essere modificata nel tempo, ciò ha riflessi in
termini di variazione del tasso quale Cmp nella determinazione del VAN.
In tale circostanza (presenza di cap. proprio e cap. di debito), in sede di valutazione del progetto,
vengono considerati i Fc finanziari aventi natura operativa
FCF = [ Δ Entrate mon. - Costi mon. ] - Imposte
… con imposte = (ricavi - costi mon. - amm.ti)*t
Nella prassi aziendale, quando si va a determinare il VAN di un progetto, viene considerato un tasso
di attualizzazione unico (anche se in realtà nel tempo non lo è)
Considerare un tasso di sconto unico significa ipotizzare che la curva dei rendimenti sia piatta.
È assolutamente improbabile osservare sul mercato una curva simile; il mercato non quoterà mai
tassi di rendimento uguali a scadenze diverse: possono essere simili, ma mai uguali.
Utilizzare un tasso unico, nella formula del VAN, perciò, non è corretto; nel modo più semplice,
dovrebbero essere applicati i tassi quotati nella curva dei rendimenti … anche ciò, però, potrebbe
portare a distorsioni, in quanto: in presenza di curva decrescente, il VAN verrebbe sovrastimato e,
viceversa, in presenza di curva crescente, il VAN sarebbe sottostimato.
Limiti connessi alle tecniche di valutaz. degli investimenti
Uno dei limiti connessi al VAN è quello della scelta dell’appropriato tasso di sconto da utilizzare
nell’attualizzazione dei flussi di cassa (non dovrebbe essere unico). Teoricamente si dovrebbe
utilizzare il rendimento atteso dal mercato per ciascuna scadenza.
Quindi, in t1 (1+r1)-1 … in t2 (1+r1)(1+1r1)-2 … in t3 (1+r1)(1+1r1)(1+2r1)-3.
Anche i problemi legati al criterio del TIR sono connessi all’utilizzo della tecnica stessa.
In generale, il TIR è il tasso che eguaglia il CI ai flussi futuri attualizzati; l’utilizzo di tale logica
implica che i flussi percepiti vengano reinvestiti allo stesso tasso di rendimento.
Ciò è ragionevole? No! … il criterio non ha, infatti, un grande fondamento logico; infatti, nella
valutazione di 2 investimenti aventi uguale rischio, non ha senso utilizzare 2 tassi di rendimento
diversi. Perciò, il tasso di reinvestimento corretto dovrebbe essere il costo opportunità del capitale,
cioè il tasso utilizzato in una logica VAN, riflettendo così livello di il rischio del progetto.
Per correggere le distorsioni sottese al TIR dovrebbe essere corretta la sua logica interna.
Si tratta, cioè, di calcolare il TIR eguagliando il flusso iniziale (-FC) alla sommatoria dei Fc
capitalizzati, di periodo in periodo, al costo opportunità del capitale.
TIR modificato … derivante dall’uguaglianza → Fc(1+r)3 = Fc(1+r)2 + Fc(1+r)1 + Fc
Un’ulteriore problema, legato all'ipotesi di reinvestimento dei flussi intermedi al TIR, si presenta
nel momento in cui è necessario valutare progetti alternativi aventi durata diversa.
→ Quale scegliere tra un progetto a 5 e uno a 10 anni? Anche se Van10 > Van5, non è detto che il
progetto a 10 anni sia migliore; se il progetto a 5 anni permette il reinvestimento per altri 5 anni, al
termine potrebbe essere più profittevole tale progetto.
In questi casi, è perciò necessario portare progetti alternativi ad una durata omogenea.
Considerando infinite repliche dei progetti, può essere valutato il VAN come segue:
VAN (5, ∞) = VAN + VAN5(1+r)-5 + VAN5(1+r)-10 + … + VAN5(1+r)-n
[ a]
-1
-6
-n+1
1/(1+r) * VAN (5, ∞) = VAN5(1+r) + VAN5(1+r) + … + VAN5(1+r)
[ b]
1
[ a-b ] → VAN (5, ∞) = VAN*
1
(1−
1+π‘Ÿ)
… questo algoritmo viene applicato ai 2 progetti alternativi (entrambi vengono fatti tendere ad ∞) e
ciò permette di confrontarli in quanto aventi la stessa durata (il confronto del VAN è corretto).
L’applicazione di tale tecnica permette di ricondurre i progetti considerati ad egual durata, rendendo
così possibile la valutazione di convenienza in base al criterio del VAN.
Tasso di attualizzaz. dei Fc, criterio VAN
Tendenzialmente, il tasso di attualizzazione dei Fc di un progetto viene fatto coincidere con il costo
opportunità del capitale (Ke); quest’ultimo deve, però, riflettere anche il rischio sotteso al progetto
stesso. Problema: ma che rischio considerare?? Quello del progetto oppure quello dell'azienda nel
suo complesso? Siccome la variabilità dei flussi del progetto potrebbe essere diversa rispetto a
quella dei flussi dell'azienda, dobbiamo fare una distinzione:
a. Se l'azienda è mono business, è cioè attiva in una sola linea di prodotto/servizio, è ragionevole
assumere che il progetto possa essere valutato tenendo conto del rischio dell'azienda nel suo
complesso … utilizzando, quindi, il costo opportunità del capitale (Ke)
b. Se l’azienda opera, invece, in business diversificati; i diversi settori di attività hanno livelli di
rischio diversi e quindi anche i diversi progetti di investimento.
→ È in questo caso che sorge il problema.
Infatti, in una logica di valutazione corretta di questi progetti di investimento non ha alcun senso
utilizzare un tasso di attualizzazione pari al costo opportunità dell’azienda nel suo complesso
(ciascun progetto è soggetto ad un livello di rischio diverso). I progetti afferenti a ciascuna linea di
attività dovranno, perciò, essere valutati con tassi diversi che riflettano il rischio della linea stessa.
Ciò è dimostrato anche dal fatto che … nel confronto di 2 progetti appartenenti a linee diverse e
soggetti a rischi diversi, secondo una logica di costo opportunità del capitale (Ke), verrebbe
preferito quello avente rischio più alto, in quanto si otterrebbe un VAN maggiore.
→ L’utilizzo del Ke come tasso di attualizzazione porterebbe ad adottare progetti aventi rischi
maggiori e metterebbe in atto un processo di selezione avversa.
Occorre, quindi, scegliere un opportuno tasso di sconto dei flussi di cassa, cioè un costo opportunità
che rifletta il rischio del singolo progetto, che potrebbe essere diverso da quello dell’azienda
La determinazione di un costo opportunità legato ai singoli segmenti di mercato è molto
complessa. Secondo la logica delle aziende comparabili, si dovrebbe andare a considerare aziende
operanti in un solo segmento di mercato e assumere come tasso di attualizzazione il loro premio al
rischio (rendimento quotato dal mercato per aziende appartenenti a quel segmento).
In alcuni casi, però, per una valutazione corretta, sarebbe necessaria effettuare un’analisi costibenefici e capire come conviene operare; perciò, spesso, sarebbe sufficiente utilizzare come tasso di
attualizzazione il costo opportunità legato all’intero segmento, anche se non sempre corretto.
In aggiunta, occorre fare delle ipotesi riguardanti il costo del cap. di terzi nella determinazione del
Cmp del capitale, ove l’azienda si finanzi con fonti diverse dai mezzi propri. In linea di principio,
dovrebbe essere utilizzato il costo dei fondi che l’azienda va a reperire per finanziare un progetto
… esiste, però, un problema di fondo legato a tale approccio: l’impresa non finanzia il singolo
progetto, ma finanzia il complesso delle sue attività, perciò non è possibile utilizzare il costo di una
particolare fonte di debito come costo da imputare alla det. del Cmp per il singolo progetto.
Dovrebbe, perciò, essere utilizzato il costo complessivo delle fonti che vanno a finanziare il
complesso delle attività aziendali … solo se l’azienda intraprende un progetto di rilevanti dimens.
(caso del project financing), può essere utilizzata una specifica fonte di finanziamento, altrimenti si
opta per considerare il costo complessivo delle fonti.
Sappiamo poi che il Cmp del capitale deriva dalla ponderazione del costo del debito al netto delle
imposte e dalla ponderazione del costo del capitale proprio, secondo determinati pesi.
Nella def. di questi pesi, il costo del cap. di debito e del cap. proprio dovranno essere valutati
secondo i costi di mercato; si tratta perciò di capire quale peso deve essere utilizzato
… analogamente a quanto detto precedentemente, se il debito finanzia il complesso di attività,
dovrà essere considerato il peso del debito complessivo nell’azienda; viceversa, in caso di un
progetto di rilevanti dimensioni potrà essere utilizzato quello relativo ad una specifica fonte di fin.
Rendimenti e rischi per progetti di investimento
Nella realtà, la scelta dei progetti sui quali investire avviene in un contesto di incertezza: i Flussi di
cassa, infatti, sono stimati e non noti, sono previsioni sottoposte ad un certo margine di errore.
Per questo il rendimento è atteso ed è legato ad un dato livello di rischio
Nella valutazione di un progetto di investim., i parametri da considerare sono, perciò:
a. Rendimento atteso → E(Ri) … funzione dei Fc
b. Volatilità → σ2 (varianza) … dipende dalla distribuzione
La rischiosità complessiva del progetto potrebbe essere riconducibile a diverse fattispecie; alcune di
queste possono essere controllare dall’investitore, altre sono fuori dal controllo dell’azienda.
Si distingue, perciò, tra il profilo di rischio:
a. Avente natura sistematica … dipende dalle condiz. di mercato e dalle Δ delle variabili macro
b. Avente natura idiosincratica (specifica) … dipende prevalentemente dall’azienda e dal
progetto stesso ed, essendo specifico, si suppone possa essere controllato dalla stessa.
Esistono cmq diverse tipologie di rischio a cui l’azienda è esposta, alcune controllabili altre meno.
Secondo la teoria della finanza, solo il rischio specifico può essere neutralizzato: diversificando, in
modo di avere una compensazione dei rischi … tale teoria si riferisce all’investitore, cioè al
soggetto che effettua investim. e cerca di ridurre il relativo rischio.
In realtà, la diversificazione può riferirsi anche all’azienda … la valutazione del rischio può,
infatti, assumere 2 prospettive: del soggetto interno o dell’investitore (azionista/creditore).
In linea di principio, l’azienda dovrebbe considerare la prospettiva degli investitori, perché sono
coloro che apportano risorse (a titolo di cap. proprio e cap. di debito) in azienda. Dovrebbero essere
considerati tutti gli investitori, anche se in realtà il profilo di rischio che conta è quello
dell’investitore marginale … soggetto che negozia titoli e che, con la sua negoziazione, contribuisce
alla determinazione del prezzo di mercato per il titolo stesso.
Sotto il profilo teorico, viene identificato come un investitore perfettamente diversificato, perché è
quello che tende a pagar di più per avere un titolo ed è per questo che la sua pressione esercitata
sull’azienda, tra gli altri investitori, sarà quella maggiore.
In tema di diversificazione. Il problema che si pone è stabilire che soggetto deve diversificare
… l’investitore o l’azienda?? Secondo un profilo di razionalità economica, è ragionevole che sia
l’azienda a diversificare quando all’investitore la diversificazione costerebbe di più e viceversa.
La diversificazione, perciò, dev’essere fatta dal soggetto a cui costa meno.
Tra il rendimento atteso e il livello di rischio esiste una relazione.
… l’idea è di dare una misura al rischio nella prospettiva di determinare un rendimento accettabile
atto a remunerare la tipologia di rischio stesso; ovviamente, tanto maggiore è il livello di rischio,
altrettanto maggiore dovrebbe essere il rendimento atteso dell’investimento.
Il modello sviluppati dalla finanza variano tra di loro a seconda dei fattori di rischio che vengono
considerati per determinare il rendimento atteso .. dovrebbe trovar remunerazione il rischio
sistematico perché quello specifico può essere neutralizzato con la diversificazione. L’esposizione
al rischio di mercato non può, infatti, essere eliminata e per questo deve essere remunerata.
Prendendo a riferimento i soli portafogli rischiosi, la relazione rischio-rendimento viene definita
attraverso una frontiera che raccoglie portafogli caratterizzati da diverse combinazioni.
Un investitore razionale dovrebbe scegliere solo quelle combinazioni che si trovano sulla frontiera
efficiente … solo questi panieri consentono, a parità di rischio, di max il rendimento atteso ed, a
parità di rendimento, minimizzano il livello di rischio associato.
Il problema si pone quando, accanto a portafogli rischiosi, si considerano anche titoli privi di
rischio. Cosa succede quando un portafoglio che rende un tasso privo di rischio si affianca ad uno
composto da attività rischiose (portafoglio di mercato)? La frontiera di efficienza qui è diversa.
Assumendo una condizione di omogeneità degli investitori, il portafoglio di investimento sarà
unico, ma con una tolleranza al rischio diversa tra gli investitori stessi … significa che tutti gli
investitori scelgono il portafoglio di mercato, anche se con una diversa propensione al rischio.
Ciò che li contraddistingue riguarda, infatti, la quota investita nell’attività priva di rischio.
L’investitore avverso al rischio allocherà una maggiore porzione di ricchezza nell’investimento risk
free e viceversa un investitore propenso al rischio potrebbe esporsi su investimenti rischiosi in
misura eccedente la propria ricchezza, andando anche a prendere a prestito mezzi sul mercato.
Però, anziché investire in un portafoglio di mercato, è possibile investire anche in una singola
attività. Quale sarà la combinazione rischio-rendimento??
Con un portafoglio non diversificato, il rendimento atteso dovrà essere pari alla somma del
rendimento per investimenti privi di rischio con un premio al rischio pesato al livello di rischio
associato … quest’ultimo fattore esprime il livello di rischio sistematico associato all’attività
marginale: si tratta di un rapporto di variabilità, definito β.
Se β = 1 … l’attività marginale tende a muoversi come il mercato (premio al rischio di mkt)
Se β > 1 … aumenta l’esposizione complessiva (premio > premio al rischio di mkt)
Se β < 1 … diminuisce l’esposizione complessiva (premio < premio al rischio di mkt)
Modelli di definizione rischio-rendimento.
La relazione di equilibrio tra rendimento e rischio è il presupposto della definizione del costo del
capitale di un investimento o di un gruppo di investimenti.
In qst ottica, il problema è trovare dei modelli che consentano di:
a. Misurare il rischio associato ad un generico investimento
b. Tradurre il rischio in un rendimento atteso
Esistono diversi modelli di valutazione.
Il più diffuso è quello che lega il rendimento al rischio di mercato (capital assets pricing model);
Inserendo un’attività finanziaria al portafoglio di mercato, l’investitore si espone in misura
eccedente rispetto alla proporzione ottimale, perché aumenta il rischio specifico.
La frontiera efficiente, per esposizione al solo portafoglio di mercato, viene definita capital
market line (CML); viceversa, quella della singola attività security market line (SML).
L’inclinazione della 1° è pari alla differenza del rendimento di mercato e quello privo di rischio,
sulla varianza del mercato … [ E(Rm) - Rf ] / σm … l’inclinazione della 2° è data dalla stessa
differenza ponderata per β; l’attività verrà, perciò, remunerata se esiste una certa correlazione con il
mercato. Se la correlazione con il mercato fosse nulla (σm = 0), l’attività non apporterebbe rischio e
non richiederebbe remunerazione superiore.
Attraverso la formulazione del rendimento della singola attività [ E(Ri) ], siamo così in grado di
definire la relazione rischio-rendim. tra portafoglio di mercato e singola attività; portando, cioè,
CML e SML su un piano comparabile, è possibile vedere che la diversità delle 2 rette è data da σim.
Se CML avesse una pendenza maggiore della SML: il rendimento atteso non cambierebbe, ma il
livello di rischio dell’attività -iesima sarebbe maggiore al rischio di mercato e questo maggior
rischio sarebbe dato dal rischio specifico … l’attività dovrebbe, quindi, trovare remunerazione.
Il modello di derivazione del rendimento in funzione del rischio sistematico è un modello
apparentemente semplice di definizione del rendimento atteso di un’attività.
Sottende però a diversi problemi:
1. Definizione dei parametri da utilizzare nel modello di definizione del rischio-rendimento
2. Validità del modello per esprimere effettivamente il livello di rischio di un investimento;
infatti il capital assets pricing model presenta molti limiti:
a. nella realtà, il portafoglio di mercato non esiste, è ideale, siccome tutte le attività possono
essere negoziabili (nella realtà non è così)
b. prevede l’utilizzo di portafogli simili a quello di mercato ideale e devono esser efficienti
c. il modello riconduce il rischio ad unico fattore: l’andamento del mercato. Non è pensabile
che un investimento sia esposto ad un unico fattore di rischio.
Per questo vengono adottati modelli alternativi plurifattoriali, dove il rischio di un’attività è legato a
diversi fattori di rischio … arbitrage pricing model (APM), il cui rendimento di portafoglio è
diversificato → Ri = E(Ri) + m + εi
… con m: esposizione a diversi fattori di mercato (rischio sistematico)
… ed ε: esposizione al rischio specifico (tende a 0)
La differenza di questo modello rispetto al CAPM sta nel fatto che mentre il 1° lega il rischio ad un
unico fattore, qui vengono identificati diversi fattori di rischio a cui un rendim. può essere esposto.
… con m: F1, F2, …, Fn;
… β quale sensibilità del rendim. rispetto allo specifico fattore di rischio (fattore di ponderazione)
→ Ri = E(Ri) + β1F1 + β2F2 + … + βnFn
→ Rp = E(Rp) + m [ … con Rp: rendimento di portafoglio; può essere visto come la sommatoria
dei rendimenti attesi delle attività che lo compongono, pesati per il beta della ricchezza che si va ad
allocare per ciascuna attività … E(Rp): media pesata dalla sensibilità delle attività rispetto a ciascun
fattore di rischio specifico ]
La variabile casuale di un portafoglio o attività è data dal rendim. atteso di quel portafoglio/attività
pesato ai diversi fattori di rischio. Per definire tali fattori di rischio, si ricorre all’analisi fattoriale:
… quest’ultima viene effettuata prendendo in considerazione la serie storica dei rendimenti sul
mercato ed evidenziando quali fattori incidono su di essi. Di solito, i fattori rilevanti sono macroeco.
e sono: l’inflazione, l’andamento dei tassi d’interesse e le dinamiche del PIL.
Assumendo nel modello, i primi 2 fattori di rischio, il rendimento di portafoglio sarà la sommatoria
dei rendimenti delle singole attività + il beta del portafoglio pesate per ogni fattore.
Rp = Σi wi*E(Ri) + βp * Int + βp * Inflaz.
La sensibilità ai tassi d’interesse indica l’intensità di Δ dei rendimenti in base al tasso d’interesse;
allo stesso modo anche la sensibilità dei rendimenti di portafoglio al variare dei tassi d’inflazione.
Il modello APM viene così definito perché si basa su un portafoglio di arbitraggio.
Esempio. Supponendo di avere 3 portafogli ed un unico fattore di rischio
A. E(Ra) = 20%; β = 2
B. E(Rb) = 12%; β = 1
C. E(Rc) = 14%; β = 1,5
… il rendimento atteso del portafoglio C può essere assunto come di equilibrio? No, perché è
possibile investire negli altri 2 portafogli con β = (stessa esposizione al rischio) e E(R) maggiore.
[ media A/B ] E(Ra+b) = 16%; β = 1,5
È possibile sfruttare possibilità di arbitraggio prive di rischio con i disallineamenti tra rendimenti.
Affinché gli investitori mantengano il portafoglio C, E(Rc) dovrà diventare almeno pari al 16%.
In altri termini, in presenza di n attività sul mercato, con le quali si va a comporre un investimento
che non comporti variazioni sulla ricchezza allocata, il rendimento atteso dovrebbe essere pari a 0.
Se la Σ Δ wi = 0 e vi è esposizione ad un solo fattore di rischio [ Σ βi Fi = 0 ] → E(Rp) = 0
Ciò indica che la variabile casuale di rendimento di un generico portafoglio può essere vista come
un tasso di rendim. in un portafoglio con β = 0 (rendimento, cioè, non influenzato da alcun fattore di
rischio) + un premio al rischio.
→ Rp = Rf + β1 * [ E(R1) - Rf ] + β2 * [ E(R2) - Rf ] + … + βn * [ E(Rn) - Rf ]
È, quindi, possibile trovare diversi portafogli con rendimento più o meno sensibili alle dinamiche
dei tassi d’interesse, all’inflazione ed ad altri fattori di rischio.
Il modello APM è più generico rispetto al CAPM, che indica un unico fattore di rischio.
Costo del capitale
Il costo del capitale viene inteso come sintesi del costo del cap. azionario … che definisce il premio
al rischio per un investimento in quella azienda … e del costo del debito … che permette di valutare
le probabilità di insolvenza dell’azienda che va a raccogliere risorse sul mercato.
Nella definizione del cap. azionario, i problemi che si pongono sono 2:
1. Quale modello andare ad utilizzare
2. Applicare il modello scelto.
Premessa.
Per stimare il costo del cap. azionario, può essere utilizzato il costo implicito delle correnti
quotazioni di mercato; per definire quest’ultimo è necessario conoscere il valore dell’azione, dato
dalla somma dei dividendi futuri attualizzati [ V = Div / (ks-g) ].
Una prima condizione per la definizione del cap. azionario è, quindi, quella che l’azienda sia
quotata in borsa; accanto a questa, un’altra essenziale è l’efficienza dei mercati, in modo tale che il
valore di mercato del titolo rifletta tutte le info disponibili sul mercato dello strumento finanziario
… se così non fosse, si potrebbe generare una stima distorta del costo del capitale azionario.
Problema: che costo del capitale deve utilizzare l’analista?
Se si ritiene che i mercati siano inefficienti, devono essere escluse le stime implicite
Se si ritiene che i mercati siano efficienti, possono essere considerati anche i dati impliciti.
In generale, dipende dalla tipologia di analisi che l’analista deve effettuare.
Siccome, la prospettiva di indagine dovrebbe proiettare il futuro, dovrebbe essere scelto quel
metodo che consenta di predire in modo accurato il livello di rischio futuro dell’azienda; i dati
storici verranno, perciò, utilizzati solo se si ritiene che riflettano le prospettive future di rischio.
Costo del cap. azionario
Il problema di definizione del modello è delicato.
Abbiamo visto il modello del CAPM, che indica un unico fattore di rischio, e quello APM, che
individua più fattori legati al rischio … nella realtà, viene applicato il CAPM, perché più semplice;
esso però sottende ad un problema rilevante: la sua applicazione non è così attendibile.
Per definire un corretto premio al rischio, è necessario stimare: Rf, E(Rm), β.
Ciascun parametro più comportare processi di stima rilevanti.
Per definire il 1° parametro (rendimento per attività prive di rischio), è necessario innanzitutto
trovare sul mercato un’attività priva di rischio. Bisogna, quindi, trovare un’attività avente un
rendimento effettivo uguale al rendimento atteso. Perché sia tale, l’attività:
a. Non deve presentare rischio di insolvenza
b. Non deve essere soggetta a rischio di reinvestimento dei flussi intermedi
La caratteristica essenziale di un’attività priva di rischio: zero coupon, emesso da un titolo sicuro.
È evidente che non sempre è facile individuare sul mercato un tasso che presenti queste caratt.
… infatti, sul mercato, si trovano solo tassi su investim. zero coupon aventi un breve arco temporale
… inoltre, è difficile trovare soggetti emittenti non sottoposti a rischio di insolvenza.
Quale scelte metodologiche applicare per sviare a qst problema?
La soluzione più semplice sarebbe quella di effettuare una valutazione … ma non sarebbe razionale
Devono essere trovate delle tecniche che permettano di superare il limite del rischio d’insolvenza.
Il tasso di rendimento sul debito sovrano (Rs) incorpora anche un premio al rischio (spread)
→ Rf = Rs - spread … ma come definire lo spread? Dovrà essere stimato.
Esistono diverse metodologie per la stima dello spread
1. Studio dei differenziali sulle strutture dei tassi per scadenza su diverse classi di rating
… la più semplice, utilizzata in ambito finanziario
Il rating è il giudizio sul grado di rischio di un emittente; è, quindi, possibile costruire le curve
dei rendimenti sulla base dei diversi rischi a cui gli emittenti sono sottoposti.
N.B.: il rating AAA è il migliore, il più basso, associato ad un soggetto per il quale non si
percepisce rischio di insolvenza (non si dice senza rischio di insolvenza, ma non si percepisce
perché anche le agenzie di rating non danno risultati certi).
Trovato il rating di Stato, è possibile stimare sulle curve di rendim., lo spread tra rating su AF
percepite prive di rischio e il rendim. associato al rating attribuito al soggetto sovrano.
2. Studio dei differenziali su rating non di Stato
In tal caso, è però necessario considerare i Fc del progetto nella valuta dello Stato in cui si
intende effettuare la valutazione; si pone, perciò, un problema di stima dei tassi di cambio.
2° parametro da valutare è il premio al rischio di mercato.
Si ricade, perciò, sulla stima del parametro: [ E(Rm) - Rf ]; questo deve riflettere 2 elementi:
1. L’avversione al rischio degli investitori (più è elevata, maggiore sarà il premio al rischio)
2. La rischiosità intrinseca del mercato.
1. In tal caso, si dovrebbero conoscere le avversioni al rischio degli investitori e stimare
un’avversione media, oppure considerare le avversioni degli investitori istituzionali
… questi processi sono però complessi.
Il metodo utilizzato in ambito finanziario è quello di considerare l’analisi storica dei rendimenti sul
mercato e quella dell’attività priva di rischio e, attraverso un’analisi statistica, individuare una
media tra le differenze dei rendim. ottenuti su mercato e quelli dell’attività non rischiosa
Il problema è che il premio al rischio passato potrebbe non essere osservato nel futuro.
Criticità:
a. Scelta dell’orizzonte temporale delle serie storiche che si vanno a considerare … dovrebbero
essere considerate serie storiche quanto più lunghe possibile, anche se potrebbero indicare
rendim. riflettenti una struttura di sistema economico diversa da quella attuale.
L’errore riferibile a serie storiche più corte è cmq > rispetto a serie più lunghe
b. Scelta dei rendimenti utilizzati nelle serie storiche (giornalieri, settimanali, mensili)
… la scelta sarà diversa a seconda che le AF siano più o meno liquide.
2. Per definire il rendimento di mercato [ E(Rm) ], dovrebbe essere considerato un portafoglio di
mercato, ma, come abbiamo visto, questo è solo ideale … dovranno, perciò, essere definite delle
scelte di valutazione di un portafoglio.
Nella valutazione del rendimento atteso di mercato, deve quindi essere considerato un indice di
mercato azionario; ne esistono di diversi: l’utilizzo dell’indice più ampio possibile permetterebbe di
sviare al rischio di stime distorte del rendimento di mercato.
Si pone, però, un altro problema legato all’uso di indici locali o globali
… mentre i primi vengono calcolati dalla Borsa del Paese considerato, gli indici globali sono
indicatori non costruiti sulla base del Paese, ma considerando un paniere di titoli più ampio
Teoricamente, la scelta dovrebbe essere effettuata sulla base dell’investitore marginale della
società che si va a considerare; poi, a seconda che la negoziazione venga fatta con investitori locali
o internazionali, viene associato un indice locale o globale.
Definiti i 2 elementi, potrà essere determinato il premio al rischio di mercato
… tanto minore sarà la liquidità del mercato di riferimento, tanto più si presenterà un errore di stima
del relativo premio al rischio. Per sviare a tale problema, dovrebbe essere considerato un premio al
rischio associato ad un mercato molto liquido e correggere il premio al rischio da valutare,
pesandolo ad un coeff. di ponderazione pari al rapporto della volatilità dei 2 mercati.
Il loro differenziale indica il “rischio paese”, cioè quello correlato allo specifico Paese; pesando il
premio al rischio ad un coeff. di ponderazione remunero, quindi, questo rischio paese.
3° parametro: definizione β (rischio sistematico del mercato)
3 sono i metodi per determinarlo … su dati storici, sulla base dei fondamentali, su dati contabili.
1. Definizione di β su dati storici
Prende a riferimento dati passati sui rendimenti di un’attività
→ E(Ri) = Rf + β* [ E(Rm) - Rf ]
Questa formulazione può essere così riscritta:
a. E(Ri) - Rf = β* [ E(Rm) - Rf ]
b. E(Ri) = Rf + β E(Rm) - β Rf
= Rf(1- β) + β E(Rm)
… seguendo la formulazione a.
A partire dai rendimenti calcolati secondo la periodicità prescelta, calcolo il differenziale tra il
singolo rendimento e quello dell’attività priva di rischio → R1 - Rf; R2 - Rf; …; Rn-Rf
Determino poi la serie storica dei differenziali del rendim. di mercato → Rm1 - Rf; …; Rmn - Rf
Attraverso un’analisi di regressione [ retta: Y = α + βX ], definisco poi β.
→ [ E(Ri) - Rf ] = α + β * [ E(Rm) - Rf]
… con β: coeff. angolare della retta.
… α: differenziale di rendimento predetto dai dati storici e quelli effettivamente realizzati
… seguendo la formulazione b.
Anche qui viene fatta un’analisi di regressione sulla base del confronto dei rendim. dell’AF -iesima
con quelli di mercato. Confronto tra: Ri1; Ri2; …; Rin _ e _ Rm1; Rm2; …; Rmn
→ E(Ri) = α + β * E(Rm)
Anche qui α rappresenta il differenziale tra i 2 rendimenti secondo il modello del CAPM
Tale modello di definizione di β presenta, però, delle criticità relative:
a. Ampiezza della serie storica presa a riferimento
… in analisi di questo tipo, sarebbe necessario considerare serie storiche lunghe, onde evitare
rischi legati alla casualità di alcuni rendimenti.
b. Orizzonte temporale dei rendimenti
c. Stima di β rettificata
Spesso, le banche dati non utilizzano il β grezzo, ma ne usano uno rettificato.
Il problema si pone nel momento in cui devono essere definiti i parametri sui quali basare questo β
rettificato … la logica sottostante a tali rettifiche si basa su diversi studi che dimostrano come i beta
dell’azienda, con il passare del tempo, tendono ad avvicinarsi al mercato.
Per questo, le banche dati tendono ad usare criteri atti a far avvicinare β all’unità.
Si tratta cmq di una modalità alternativa, da trattare con molta cautela.
2. Definizione di β a partire dai fondamentali
… metodologia più soddisfacente e accurata
Tale metodo prende in considerazione il profilo di rischiosità dell’azienda.
Tendenzialmente, le dinamiche dei rendimenti di un titolo sono correlate al rischio dell’azienda e
quindi anche a β: si tratta di rischi legati alle attività che l’azienda pone in essere (quindi, rischi di
business), ma anche di natura finanziaria.
Il 1° fattore di rischiosità dell’azienda è legato alla tipologia di business, cioè al settore in cui
l’azienda opera. Il 2° è il rischio operativo, legato alla struttura dei costi dell’azienda, in relazione ai
ricavi ed il 3° fattore è legato alla struttura finanz. (incidenza del debito rispetto al totale delle fonti)
Su questi 3 livelli di rischio, l’azienda può avere una certa capacità di controllo.
Il 1° può essere controllato attraverso processi di diversificazione; il 2°, riducendo di per sé i costi,
dando in outsourcing; il 3° riducendo l’indebitamento e facendo ricordo al cap. di rischio.
Ora, un rischio finanziario potrebbe determinare una variabilità del reddito netto.
Tale rischio è legato all’incidenza degli OF ed è per questo che il livello di rischiosità dell’azienda
legato a questi ultimi incide sul β che si va a determinare.
Ragionando in termini di bilancio dell’azienda … confrontandone 2 di cui una finanzia l’attivo
con debito ed equity e l’altra solo con l’equity … queste avranno un beta diverso.
In realtà dovrebbero essere considerate 3 tipologie di beta: dell’equity, del debito e delle attività
Il primo rappresenta il livello di esposizione del cap. proprio rispetto alle dinamiche del mercato; il
secondo, le dinamiche dei prezzi obbligazionari rispetto a quelle di mercato.
… ma come definire il β delle attività?
Se un’azienda ha un portafoglio costruito con il solo debito e capitale proprio aziendale, quindi
uguale al tot. attività, la sua esposizione al rischio dovrebbe essere pesata sui soli β dell’equity, e
del debito → βe * (E/D+E) + βd * (D/D+E) = βa
Se βd = 0 [ cioè il debito non è rischioso, non risente delle dinamiche del mercato ]
→ βa = βe * (E/D+E)
→ βe = βa * (D+E)/E = βa (1+D/E)
Esiste una relazione diretta tra βe (rischiosità dell’equity) e D/E (struttura finanziaria dell’azienda);
cioè, più la struttura finanziaria viene appesantita, più sarà la rischiosità sistematica dell’azienda.
Possiamo, quindi, scomporre βe in:
a. βu (unlevered) … rischio del cap. azionario per azienda priva di debito
b. βl (levered) … rischio del cap. azionario per az. con D, oltre ad E
→ βl = βu [ 1+D/E(1-t) ]
Questa formulazione può essere utile quando è necessario trovare il β di un’azienda non quotata sul
mercato o per determinare il β legato ad un particolare business dell’azienda: in tal caso, infatti, non
risulta applicabile la tecnica delle regressioni e il modo più semplice è quello di prendere il β di
società quotate aventi stesso business (azienda comparabile) per le quali si è in grado di conoscerlo.
Problema. Il β della soc. quotata può essere utilizzato come un utile proxy (simile) all’azienda non
quotata o devono essere effettuate delle rettifiche? Se la rischiosità dell’azienda non quotata (A) è
maggiore di quella quotata (B), perché LFa > LFb, dovrà essere effettuata una rettifica.
In ogni caso, definire il livello di rischiosità dell’azienda con la formulazione βl = βu [ 1+D/E(1-t) ]
… significa tenere conto dei 3 livelli di rischio definiti in precedenza.
Il β di un’azienda indebitata deriva, appunto, dal prodotto del β di un’az. in assenza di D e la LF.
In realtà, aziende comparabili possono essere diverse non solo per la struttura finanziaria, ma anche
dal lato delle attività, ovvero per il peso della liquidità sul tot. dell’attivo.
Nel valutare il β di un’az. non quotata in borsa, è possibile procedere in 2 modi:
a. Trascurare la struttura dell’attivo e utilizzare il metodo delle az. comparabili
b. Rettificare β, applicando lo stesso metodo, tenendo però conto della diversa rischiosità
dell’azienda derivante dall’assenza o diversa misura della liquidità
In quest’ultimo caso, può essere determinato il β tot dell’impresa e quello delle attività operative
π‘Žπ‘‘π‘‘.π‘œπ‘.
π‘™π‘–π‘žπ‘’π‘–π‘‘π‘–π‘‘à
→ βimp. = βop. * π‘Žπ‘‘π‘‘.π‘œπ‘.+ π‘™π‘–π‘ž. + βl * π‘Žπ‘‘π‘‘.π‘œπ‘.+ π‘™π‘–π‘ž. … con att.op. + liq. = valore dell’impresa (VI)
Vista l’assenza di correlazione tra il β della liquidità e quello del mercato … βl = 0
→ βimp. = βop * Att.op./VI
Perciò, per definire il β delle attività operative (βu op.), in azienda in cui non è presente liquidità,
dovrà essere preso il βu grezzo e rettificato → βu op. = βu / [ 1- L/VI ]
→ βlev. = βu op. [ 1+D/E (1-t) ] … rappresenta il β dell’equity, riferito alle sole attività operative
Applicazione della relazione: βl = βu [ 1+ D/E(1-t) ]
In tal caso deve essere, innanzitutto, definito il debito da considerare.
Il debito lordo è quello presente nel passivo dello SP; Dn è, invece, dato dal Dl - liquidità
La maggior parte degli analisti preferiscono lavorare su una misura dell’indebitamento effettiva,
cioè debito netto / cap. proprio. Da un punto di vista concettuale, non c’è differenza tra i due;
viceversa, da un punto di vista metodologico, la situazione cambia.
→ Infatti, utilizzando il metodo del debito lordo, viene utilizzato un βu dell’impresa; utilizzando,
invece, il metodo del debito netto, il βu sarà solo quello delle attività operative (siccome si
considera l’ipotesi che le liquidità possano essere direttamente utilizzate per rimborsare debito).
3. Definizione di β basato su dati contabili
… metodologia che presenta maggiori rischi [ non trattata ]
Costo del cap. di debito
Dopo aver determinato il costo del capitale azionario, è necessario prendere in consideraz. quello
del cap. di debito … la sua determinazione presenta criticità, innanzitutto, nella definizione di quale
tipologia di debito stimare: debito di mercato, debito vs istituti di credito, debito a bt, debito a m/l t.
1. La soluzione più ovvia, ma anche la più complessa se l’azienda avesse attivato diverse forme di
indebitamento, sarebbe quella di prendere ciascuna forma di debito ed associarvi il relativo costo: in
tal caso, si andrebbe a definire i singoli costi per ogni fonte di finanziam. a titolo di debito.
2. Il metodo più semplice e il più corretto sarebbe quello di prendere la sommatoria del debito e
definirne un unico costo … scegliendo questa alternativa, dovrà essere determinato il costo rilevante
da valutare: per un motivo di coerenza, dovrà essere preso quello del debito a m/l termine.
→ Così facendo si valuta la capacità dell’azienda di produrre Fc in una prospettiva di m/l termine.
Prendendo, infatti, il costo del debito a breve termine, vi sarebbe il rischio di sottostimare il reale
costo dell’indebitamento, soprattutto con una struttura dei rendimenti crescente e viceversa.
Come definire il costo del debito?
In linea di principio, può essere utilizzato il modello del CAPM, e il costo del debito sarebbe:
→ Kd = Rf + [ E(Rm) - Rf ] * βD
Si creerebbero, però, dei problemi che potrebbero ostacolare un approccio di questo tipo:
a. Non sempre tutto il debito dell’azienda è quotato sul mercato
… ciò impedisce il processo di stima del β
b. Il modello CAP si colloca in una logica di media e varianza … ma, nel caso del debito, la
distribuzione dei rendimenti è asimmetrica … vi è perciò incoerenza.
Per determinare il costo del debito, in una prospettiva futura di calcolo del costo del capitale, dovrà
essere considerato un premio al rischio basato sullo spread creditizio, definito dalla classe di rating.
Eventuali problemi si porranno se l’azienda non sia sostenuta da un’agenzia di rating (non esiste
alcun giudizio del grado di rischiosità) … in tal caso, potrà essere definito un indice di tensione
finanziaria, con l’obiettivo di compararlo ad altre aziende avente copertura da agenzie di rating.
… diverse sono le formulazioni per definire tale indice: Ebit/OF oppure Fc.op./OF
Deve essere fatta un’ulteriore precisazione nella definizione del debito da prendere in consideraz.
quando deve essere misurato il volume complessivo di indebitamento, infatti … non sempre il
debito iscritto in SP coincide quello effettivo dell’azienda.
Caso che lo dimostra è il leasing: forma di finanziamento degli investimenti.
Nell’attivo dello SP, il bene finanziato non è iscritto e, nel passivo, non vi è alcun debito verso la
società di leasing; viene solo iscritto, in CE, il costo per godimento beni di terzi.
Da un punto di vista sostanziale, però, l’impresa è l’utilizzatrice del bene e avrà, quindi, degli
obblighi vs la soc. di leasing tradotti in canoni periodici → Canone = Q cap. + Q int.
Secondo una logica di indebitamento effettivo …
la quota capitale rappresenta una quota del debito vs la soc. → D leasing = Σ Qcap.t / (1+r)-t
la quota interessi dovrebbe, invece, essere inclusa negli OF
Rischio di insolvenza
Il costo del debito è funzione dei tassi d’interesse, del volume dell’indebitamento e del rischio di
insolvenza. Tale rischio dovrà essere stimato … perciò, si pone un problema di tipo definitorio.
1. L’aspetto di fondo da prendere in considerazione è l’orizzonte temporale.
Generalmente, le banche prendono in considerazione l’esercizio; le agenzie di rating (danno info
riguardo al grado di insolvenza), invece, calcolano 2 orizzonti: uno a bt ed uno a m/lt.
2. Occorre poi dare una nozione di insolvenza … quando l’azienda è insolvente?
Secondo un approccio restrittivo: l’azienda è insolvente quando viene assoggettata ad una procedura
concorsuale. Assumendo tale definizione, si corre, però, un rischio rilevante: lo stato di insolvenza
viene percepito solo quando questa si è già manifestata … è perciò importante stimare dei parametri
che diano segnali dello stato dell’azienda.
Secondo un approccio più ampio: l’azienda è insolvente quando vi sono situazioni o fatti per cui è
possibile ritenere che l’azienda sia in difficoltà … si tratta, però, di una definiz. talmente ampia che
può dare segnali errati: indica uno stato di insolvenza anche quando questa non si è manifestata.
→ Le agenzie di rating, calcolando il rating dell’azienda, utilizzano una nozione di insolvenza a più
livelli: quando l’azienda è assoggettata a procedure concorsuali; quando l’azienda è impossibilitata
ad onorare i propri impegni verso i creditori; quando l’azienda opera una ristrutturazione del debito.
Le banche, invece, utilizzano una nozione di stato di insolvenza parzialmente diverso
… vengono, in tal caso, definiti i crediti in sofferenza, per i quali la banca non prevede il rientro, e
partite incagliate, cioè crediti che possono rientrare con una modifica dei termini.
Costo medio ponderato
→ WACC = Ke * E/(D+E) + Kd * D/(D+E)
… occorre capire su che basi ponderare il costo del cap. proprio e del cap. di debito.
L’approccio più corretto è quello di ragionare su dati di mercato; valorizzare, cioè, cap. di rischio e
di debito a valori di mercato (quotazioni di borsa di azioni ed obbligazioni).
Ragionare a valori di mercato è rilevante per la definizione del costo medio ponderato.
Si va, quindi, a definire il Cmp del capitale pesando le componenti di costo dell’equity e del debito
secondo i valori espressi di mercato. Definito il Cmp del capitale, si aprono tutta una serie di
problematiche legate alla finanza aziendale:
1. Il Cmp fornisce un benchmark per capire se uno o più progetti di investim. vadano accettati
… per rendere conveniente un investim., la sua redditività deve essere almeno pari al WACC
→ condiz. di creazione di valore per gli azionisti: Rendimenti marginali ≥ Wacc
Ovviamente, più il Cmp del capitale aumenta, più si riduce l’area di accettabilità e, quindi,
anche la possibilità dell’azienda di creare valore attraverso quell’investimento.
2. Relazione tra Cmp, valore d’azienda e struttura finanziaria (D, E)
… una scelta di composizione della struttura finanziaria comporta una Δ del Wacc?
… al Δ delle fonti di finanziam., varia anche il valore dell’azienda??
Se la SF non incidesse sul valore dell’azienda, significherebbe che qualunque struttura sarebbe
indifferente al fine di crear valore; mettendo, invece, le 2 grandezze in relazione, significherebbe
che dovrebbe esistere una struttura finanziaria ottimale, cioè che max il valore dell’azienda o
minimizza il Cmp del capitale. Esiste quindi una SF ottimale? Quali sono le sue condizioni?
a. Il debito genera aspetti positivi sull’indebitamento fiscale
→ Wacc viene determinato con un Kd al netto delle imposte (1-t)
b. L’incremento del debito genera aspetti negativi legati alla prob. di insolvenza
… ha effetti su Kd, Ke e sul valore dell’azienda indebitata (VI l)
→ VI lev. = VI unlev. + V.A. benefici fiscali - V.A. costo fallimento
Se VA BF > VA CF … all’azienda conviene aumentare il proprio livello di indebitamento; però,
l’incremento di quest’ultimo comporta anche un maggior costo del fallimento.
Analizziamo la situazione, partendo da una ottimale … ove, cioè, è indifferenze ricorrere all’equity,
piuttosto che al cap. di debito … Teoria di Modigliani Miller sulla SF d’azienda.
Tale teoria, per essere valida, assume dei presupposti:
a. Assenza di costi di fallimento → i debiti non sono rischiosi
b. Max del valore da parte dei manager → non esistono costi di agenzia
c. Assenza di imposizione fiscale (t = 0)
d. Esiste un tasso di rendimento privo di rischio (Rf)
e. Le aziende appartengono alla stessa classe di rischio → i Fc prodotti dalle diverse aziende
sono correlati tra di loro, cioè non variano in funzione al livello di rischio
f. Non esiste crescita → i Fc prodotti dall’azienda rappresentano rendite perpetue
Date queste ipotesi, la SF è indifferente; se queste vengono meno, la teoria non vale più.
L’obiettivo è, quindi, quello di descrivere una situazione non reale [ la SF non può essere indiff. ]
Seguendo le precedenti assunzioni …
… con ROnetto = RO(1-t)
→ FCop netti = ROnetto + Amm.ti - Inv.
Siccome per l’azienda non esiste crescita: Amm.ti = Investim → FCop netti = ROnetto
Se l’azienda introduce debito nella propria struttura finanziaria, il RO dovrà essere sufficiente a
pagare gli OF e gli azionisti. Ragionando in termini di FC operativi … gli apportatori di cap. a titolo
di debito otterranno il pagam. degli OF = Kd * D … gli azionisti otterranno RN + Amm.ti - Inv.
→ Σ Remunerazioni = Σ Fc prodotti
→ RN + Amm. - Inv. + Kd*D = (R-CF-CV - Amm.ti - Kd*D)(1-t) + Amm.ti - Inv. + Kd*D
RN + Kd*D = ROnetto - Kd*D + (Kd*D)* t + Kd*D
RN + Kd*D = ROnetto + (Kd*D )*t
… Kd*D*t rappresenta i benefici dell’indebitamento.
→ VI lev = ROnetto / Ke unlev. + (Kd*D)*t / Kb
VI lev = VI unlev. + B * t
… con Kb: tasso d’interesse di mercato del debito; B: valore di mercato del debito
… con t (aliquota d’imposiz. fiscale) = 0 → VI lev. = VI unlev.
Teoria fondamentale della finanza … che vale però solo per la presenza di quelle ipotesi!
A partire dalla relaz. → Vl = RO(1-t)/Ke u + Kd*D *t/Kb … se l’impresa effettua un investimento;
… qual è il suo effetto sull’impresa? Quali sono le condiz. di accettabilità del progetto?
→ ΔVI/ ΔI = [ RO(1-t)/(Ke u * ΔI) ] + Δ [ Kd*D *t/(Kb * ΔI) ]
→ ΔVI/ ΔI = ΔE0 / ΔI + ΔEn/ ΔI + ΔB0 / ΔI + ΔBn/ ΔI
Il valore dell’impresa, in relazione ad un nuovo investimento, è uguale alla somma delle variazioni
dell’equity e del debito, già esistente o nuovo.
… con ΔB0 / ΔI = 0 … questo perché siamo ancora nelle ipotesi di partenza, il debito è privo
rischio, cioè non subisce variazioni di valore in presenza di un nuovo investimento.
→ ΔVI/ ΔI = ΔE0 / ΔI + (ΔEn + ΔBn)/ ΔI
Il nuovo investimento deve essere finanziato con l’emissione di nuove azioni o di nuovo debito.
... con ΔEn + ΔBn = ΔI → ΔVI/ ΔI = ΔE0 / ΔI + 1
La condizione per aumentare la ricchezza degli azionisti sarà, quindi: ΔE0 / ΔI > ΔVI/ ΔI - 1
Per aumentare il VI, sarà poi necessario Max Fc prodotti dall’investimento.
Tutto ciò significa che ΔVI/ ΔI > 1 … quindi:
οƒ  ΔRO(1-t)/ ΔI > Ke u (1-ΔB*t/ΔI) è la condizione di accettabilità del progetto
… rendimento marginale dell’investim. > costo medio ponderato del capitale
Ipotizzando imposizione fiscale nulla (T = 0), il costo medio ponderato del capitale è pari a Ke u
(anche se l’azienda è indebitata) … ciò è coerente con il risultato VI levered = VI unlevered
… cioè se il VI rimane immutato per la struttura finanziaria, anche il costo del capitale non muta.
Nel momento in cui viene inserita un’imposizione sui redditi, il costo del cap. diminuisce in
relazione al volume del debito (saldo fiscale). Ciò ovviamente vale fino a quando vige l’hp di
assenza di rischio sul debito → Max VI dovrebbe, perciò, essere equivalente a MIN Cmpc.
→ Cmpc = Ke unlev. * (1 - ΔB/ΔI * t) … la problematica è determinare ΔB/ΔI
Il manager deve scegliere il livello di indebitamento che l’azienda deve mantenere; si pone il
problema di capire cosa deve essere preso a riferimento: costo del debito o il rapporto di
indebitamento a m/l t? … con ΔB/ΔI: tasso d’indebitam. marginale = ΔB/ΔVI: livello d‘indebitam.
ΔB è sempre lo stesso; ma il denominatore cambia: che valori uso per determinarlo?
a. Il valore di rimpiazzo: costo economico dell’investimento
b. Il valore di riproduzione: sommatoria dei Fc generati dall’investimento ed attualizzati ad un
opportuno tasso; rappresenta il valore dell’impresa.
La differenza tra il valore di riproduzione e quello di rimpiazzo sarà il valore attuale netto (VAN)
dell’investimento o dell’impresa; utilizzare un metodo piuttosto che un altro non è indifferente.
Se il progetto crea valore, cioè valore di riproduzione (ΔV) > valore di rimpiazzo (ΔI)
… utilizzando il valore di riproduz., la cap. di assunzione di debito sarà maggiore.
Se l’investim. ha un VAN fortemente positivo, per essere mantenuto il tasso di indebitamento
marginale, dovrà essere assunto un maggior debito. in tal caso dovrà essere trovato un finanziatore
che apporti cap. di debito per un importo maggiore rispetto al progetto che si va a finanziare.
Siccome, tanto maggiore è il valore dell’impresa, tanto maggiore risulta la capacità dell’impresa di
espandere la propria leva finanziaria, ci si attende che tale situazione sia abbastanza plausibile.
Secondo aspetto da andare ad analizzare è come definire il costo del cap. azionario di un’impresa
indebitata. Abbiamo detto che il VI lev. = f(VI unlev.; t*B) e ci chiediamo come determinare Ke
lev. e quale sia il suo rapporto con Ke unlev.
Innanzitutto possiamo dire che Ke l > Ke u … anche perché in presenza di debito, gli utili
dell’azienda sono più volativi; infatti, se Attività = Equity … ROA = ROE
In un prospettiva dell’azionista, interesserà, però, l’utile per azione (EPs).
→ Ke l = f(Ke u; t; ΔB/ΔI)
→ Ke l = Ke u + (1-t)(Ke u - Kb)* ΔB/ΔI
Aumentando la leva finanziaria, aumenta anche la remunerazione richiesta dagli azionisti.
Però, tanto maggiori sono gli OF sul debito, tanto maggiore sarà la volatilità dell’utile.
Ci si attende, perciò, che stante questa maggiore volatilità dell’utile dell’impresa, anche la
remunerazione richiesta sarà maggiore → ΔFc / ΔE.
Partendo da un’hp di imposizione fiscale nulla, abbiamo visto che Cmpc è indifferente rispetto al
rapporto di indebitamento introdotto in azienda. In ogni caso, il valore del cap. azionario, aumenta
all’aumentare dell’indebitamento, ma nel caso in cui vi sia imposizione, aumenta di più rispetto al
caso in cui non ci sia imposizione. Viceversa, nel caso di imposizione, il costo medio ponderato del
cap. diminuisce all’aumentare del debito.
Data quest’ultima hp, dovrebbe essere individuato un livello di indebitamento ottimale, rispetto al
quale il Wacc viene minimizzato e per il quale il valore dell’impresa viene massimizzato.
… rendiamo ora la teoria di Modigliani-Miller più realistica
Se si ammette l’esistenza di imposte, sia sulla società, sia gravanti sui soggetti che ricevono
remunerazioni dall’impresa (apportatori di cap. proprio e di cap. di debito) e si introduce il rischio
del debito d’impresa, vengono prodotti effetti sulla struttura finanziaria?
1° consideraz: imposizione fiscale
→ RN = (RO - Kd*D)(1-t) … Reddito netto azienda
→ RN = (RO - Kd*D)(1-t)(1-Ts) … Remunerazione azionisti
→ RN = Kd*D(1-Tb) … Remunerazione obbligazionisti
[ con Ts: aliquota d’imp. su azionisti; Tb: aliquota sugli obbligaz. ]
Il beneficio fiscale legato all’indebitamento può essere visto come: VI lev. - VI unlev.
Esiste, però, un beneficio, anche in presenza di imposizione
→ RN = (RO - Kd*D)(1-t)(1-Ts) + Kd*D(1-Tb)
… con VI lev = FC / Costo cap.
→ RN = RO(1-t)(1-Ts) - Kd*D(1-t)(1-Ts) + Kd*D(1-Tb)
οƒ  VI lev = { RO(1-t)(1-Ts) / Ke u } - { [ Kd*D(1-t)(1-Ts) - Kd*D(1-Tb) ] / Kb }
οƒ  BF = B * [ 1-
(1−𝑑)(1−𝑇𝑠)
(1−𝑇𝑏)
]
Se Tb > Ts, i rendimenti per gli azionisti dovrebbero essere incrementati.
Però, mentre da un lato vi saranno i BF collegati alla possibilità di recuperare le imposte pagate sul
debito, questi saranno compensati dal maggior rendimento richiesto dagli azionisti … di per sé, il
beneficio fiscale viene perso. Tale scelta è così descrivibile:
→ Rs = RO / (1 - T) … tasso di offerta di titoli azionari
→ Rd = RO / (1 - Tb marg) … tasso domandato di titoli obbligazionari
In una condiz. di equilibrio: (1-Ts) = (1-Tb) … Rs = Rd
Se Rs < Rd … la soc. avrebbe convenienza a finanziarsi tramite l’emissione di obbligazioni
Se Rs > Rd … la soc. avrà convenienza a rimborsare il debito e a finanziarsi con l’emiss. di azioni.
Queste condizioni implicano, quindi, una diversa struttura finanziaria dell’azienda.
Esiste, perciò, un livello ottimale di indebitamento → Rs = Rd
2° considerazione: rischiosità del debito
N.B.: la presenza di rischiosità del debito non implica maggiori costi di fallimento dell’impresa
Quindi, per capire se il rischio incide sulla SF, occorre determinare il tasso sull’indebitamento.
→ Rb [ rendim. obbligazionisti ] = Rf + (Rm - Rf) * βb … con βb: rischio sistematico del debito
→ Ks [ rendim. azionisti ] = Rf + (Rm - Rf) * βs … con βs: rischio sistematico del cap. di rischio
… Ks = Rf + [ (Rm - Rf)/σ2m ] * Cov(Ks, Rm)
Ma anche Ks = RN / S … con S: valore di mercato del cap. proprio
In presenza di debito rischioso, tanto maggiore è il rischio, tanto minore dovrebbe essere il costo del
cap. proprio per gli azionisti … questa preposizione è logica, perché in presenza di rischiosità del
debito, è giusto che gli obbligazionisti si assumano parte del rischio d’impresa.
Ciò comporta sì un effetto negativo sulla SF dell’impresa per la maggior presenza di debito
rischioso, ma implica anche un minor rischio legato al cap. proprio. In generale, quindi, i 2 effetti si
compensano e il valore dell’impresa, perciò, non varia.
La presenza di rischiosità del debito, di per sé, non ha effetti sulla struttura finanziaria dell’impresa.
Ciò che, invece, produce effetti sulla SF è la presenza di costi di fallimento (CF) … in sede di
liquidazione, infatti, il valore dell’impresa sarà pari al totale delle attività al netto dei CF.
Siccome oltre un certo livello di leva finanziaria, il Wacc tende ad assumere un andamento
crescente, può essere individuato un livello ottimale di leva [ (D/D+E)* ], in corrispondenza del
quale il Cmpc viene minimizzato, ove cioè il valore dell’impresa può essere massimizzato.
Decisioni di investimento e finanziamento
Le decisioni di investimento e finanziamento, che deve assumere un’azienda, possono anche essere
separate, nella misura in cui la SF aziendale non dovesse avere incidenza sostanziale sul VI.
Potrebbe essere, infatti, definito un rapporto target di finanziamento di m/l termine, che cioè
presuppone la separazione delle 2 decisioni … viene, innanzitutto, stabilita una SF ottimale e
successivamente vengono effettuate le scelte in materia di investimento, considerando i progetti che
creano valore, questi verranno poi assunti sulla base del benchmark prefissato di indebitamento.
Ciò non significa che investim. e finanziamenti non siano correlati.
Infatti, ai fini di redazione dello SP, si pone il problema di definire la composizione delle fonti di
finanziamento: fin’ora abbiamo solo distinto tra cap. proprio o cap. di terzi; in realtà, esiste un
ulteriore livello di composizione all’intero delle fonti, cioè all’interno del debito.
→ È il problema di definizione del debito secondo scadenza, che porta alla distinzione tra bt e m/l t,
e secondo tipologia di remunerazione da corrispondere, cioè tasso fisso (TF) o tasso variabile (TV).
Tale problema presenta diverse criticità, soprattutto legate alla disponibilità di fonti per l’impresa
… per questo, l’azienda dovrebbe scegliere quella composizione che le consenta di minimizzare i
costi del finanziamento e che riduca la volatilità dei Fc (rischio percepito dai finanziatori).
Ponendo il problema in questi termini, esiste una relazione tra i Fc attesi generati dalle attività
operative e il profilo dei Fc in uscita sulle passività, per pagamenti di dividendi sul cap. proprio e
degli interessi sul cap. di debito, ma anche il rimborso di quote del debito stesso.
In questa situazione, l’azienda potrebbe agire in modi diversi:
a. Trovando un matching perfetto tra attività e passività … non garantisce, però, una SF perfetta,
in quanto attività e passività possono essere sensibili o non rispetto ai tassi d’interesse
1° ordine di scelta è, quindi, quello legato al bilanciamento di attività sensibili e passività sensibili.
Inoltre, sia attività che passività hanno un determinato profilo di Fc (in E ed in U) ed, in questo
caso, l’azienda è soggetta ad un duplice profilo di rischio (legato al reinvestimento dei Fc) e risente
anche della variazione del valore del debito e dell’attivo
b. ↓ (segue a.) Dovrebbe, perciò, essere trovato anche un matching soddisfacente della
tempistica dei Fc in U ed in E
c. Un altro metodo per ridurre la volatilità dei Fc è legato alla scelta del profilo desiderato di OF
… scegliendo una fonte a tasso fisso, gli oneri sono certi
… scegliendo una fonte a bt, si pone un problema di rifinanziamento del debito sul mercato e
quindi non esiste un tasso fisso, ma una sequenza di tassi d’interesse
La condizione affinché possa essere ridotta la volatilità dei Fc con debito a breve termine è legata
alla Cov(RO, r) … se la correlazione è positiva, la riduzione della scadenza consente di ridurre la
fluttuazione dei Fc; infatti … RO+ → OF+; RO- → OFCiò ha riflessi anche sulla definizione del cap. azionario
… con V: val. azionario dell’equity
Il costo del cap. azionario Ks è funz. della COV( RN/V; Rm ), cioè della COV (ROn; Rm).
… tanto maggiori sono le oscillazioni del reddito operativo netto, rispetto alle dinamiche del
mercato, tanto più l’azienda opera in un settore ciclico; inoltre, più il finanziamento avviene con
debiti a bt, tanto più l’azienda si espone alle dinamiche di interesse di mercato.
L’effetto complessivo sarebbe, perciò, quello di ridurre il costo del cap. azionario, attesa la
riduzione delle fluttuazioni dei Fc a disposizione per gli azionisti.
Si pone poi un problema correlato, legato alla sensibilità del valore delle attività e delle passività
finanziarie rispetto alle variazioni dei tassi d’interesse.
Supponendo un debito sensibile, la sua sensibilità è in funzione della duration.
Sulla duration incidono la tipologia di remunerazione (periodicità, cedole, r fisso, r variabile) e la
durata del debito. + Durata → + Duration → + Volatilità
Analogamente, anche le attività hanno una certa volatilità in funzione della duration
Considerando attività e passività, ciascuna delle quali caratterizzate da propria duration, dovrà
essere determinata, rispettivamente sull’attivo e sul passivo, la duration media.
La differenza tra le 2 indica l’esposizione al rischio dell’azienda.
L’obiettivo dell’azienda dovrebbe, perciò, essere quello di bilanciare la duration media di A e P.
Con attività che producono benefici a m/l termine, le alternative sono 2:
a. Incrementare la scadenza media delle passività
b. Ridurre il profilo di duration dell’attivo
… quest’ultimo, per l’impresa, significa far investimenti a bt, rinunciando ad opportunità a
m/l termine; nella prospettiva di continuità aziendale, non sarebbe però conveniente
Si tratta quindi, per l‘impresa, di trovare fonti di debito a m/l termine, tali da poter compensare
l’esposizione al rischio di oscillazione del valore delle attività
→ Componendo, quindi, una D media del passivo bilanciata con la D media delle attività.
Entrambi i profili (oscillazione r sui Fc ed oscillazioni r su A e P) sono applicabili … trovando un
orizzonte temporale di immunizzazione, in relazione al quale la riduzione della volatilità, legata alle
variazioni di attività e passività finanziarie, è compensata dai guadagni ottenuti in termini di Fc, in
funzione delle dinamiche avverse dei rendimenti di mercato.
Esistono, inoltre, altre ragioni per cui l’azienda dovrebbe scegliere un certo livello di indebitamento
(oltre ai 2 profili precedenti): fa riferimento alle percezioni del mercato, quale valore che il mercato
attribuisce all’impresa; quest’ultimo dipende fortemente dalle asimmetrie informative.
Contrariamente all’impostazione di Modigliani-Miller, secondo la quale il mercato è perfetto e
valuta secondo le stesse aspettative dei manager (i Fc sono certi), ove esiste asimmetria, il problema
legato alla composizione della SF diventa un problema complesso.
La scelta della composizione della SF riflette, quindi, le imperfezioni del mercato e le decisioni
dell’az. stessa; se quest’ultima varia la SF emettendo nuovo equity (↑ Cs) si pone un problema di:
1. Incentivo del management … quando, rispetto alle info sulle prospettive dell’azienda, il
prezzo di mercato del cap. azionario è tendenzialmente sopravalutato
2. Reazione da parte del mercato … a fronte ad un annuncio di incremento del capitale, il
mercato dovrebbe reagire in modo negativo
Quest’ultimo, perciò, tenderà a valutare le aziende in media. Ciò ha implicazioni rilevanti:
a. In presenza di scenari favorevoli, il manager non è incentivato ad aum. il Cs, in quanto il
valore dell’azienda post aumento sarebbe minore rispetto a quello valutato dal mercato
b. In presenza di asimmetrie informative, il tasso di int. di mercato quoterà un valore medio e
perciò, l’azienda “buona” sarà costretta a pagare un tasso più alto rispetto alla classe di
rendimento alla quale appartiene e viceversa, le aziende “cattive” saranno avvantaggiate
… in ogni caso, l’asimmetria informativa del debito è minore a quella nel caso del cap. azionario.
Le fonte di finanziamento da preferire, in scenari favorevoli, saranno, perciò, l’autofinanziamento e
il debito e, solo nel caso questi non siano suff., sarà necessario far ricorso al cap. proprio.
Per questo, la composizione di SF ottimale potrebbe riflettere la presenza di asimmetrie, tanto
più che, con il debito, si andrebbe a ridurre l’onere finanziario da pagare.
Decisioni di capital budgeting
Supponendo che le decisioni legate alla composizione della SF dell'impresa producano effetti
connessi allo scudo fiscale o ai costi del fallimento, è da tener presente che l'accesso al mercato per
raccogliere debito può generare costi che possono avere un riflesso anche sulle scelte di finanziam.
e quindi di capital budgeting (scelta su diversi progetti di investimento).
Per tenere in considerazione gli effetti della SF, bisogna perciò apportare delle rettifiche ai criteri
tradizionali di selezione degli investimenti. Ragionando in termini di VAN, il criterio di scelta
sarebbe quello di intraprendere i progetti che producono valore, cioè con VAN > 0; se, però, si tiene
conto degli effetti della SF, potrebbe essere accettato anche un progetto con VAN <0.
In tal caso, infatti, devono essere distinti gli effetti prodotti dal progetto, funz del Fc in U iniziale e
della sequenza dei Fc in E, ma anche dello scudo fiscale (t*D).
Si andrà, quindi a declinare un valore attuale modificato (VAm)
VAm = VAN + t*D - CF - Fees … con Fees: commissioni pagate al consorzio di collocamento
In impresa unlevered, il VA sarà il flusso di cassa del progetto scontato al costo dell’equity;
questo valore attuale dovrà poi rettificato per effetto dello scudo fiscale sul debito ed altri
componenti negativi (quali costi di fallimento e commissioni che si vanno a pagare al consorzio di
collocamento del progetto d’investimento).
Viceversa, in impresa che si finanzia sia con mezzi propri sia attraverso cap. di debito, si
potrebbe partire dai Fc a disposizione dell’azionista [ EBIT al netto delle imp. - OF*(1-t) ] e
scontarli al costo del capitale levered → FCaz/Ks.
A differenza dell’approccio precedente, questi Fc tengono già conto degli OF e dell’effetto positivo
legato allo sudo fiscale; perciò, per valutare l’accettabilità o meno del progetto, si deve solamente
confrontare questo valore attuale con il valore dell'investimento
… VAN = V.A. - CI (Fc iniziale in U)
In questo caso, però, il VAN non dovrà essere determinato in base al capitale investito in sé (CI),
ma dovrà essere calcolato al netto del cap. di debito acquisito all’esterno (CI-D); si va, quindi, a
confrontare il V.A. con la liquidità interna utilizzata per finanziare quel progetto di investimento.
Un’altra alternativa potrebbe essere quella di utilizzare un metodo legato all’attualizzazione dei
Fc unlevered al Cmp del capitale come segue … (Fc unlev/Wacc) - CI.
Modifiche della SF
Come abbiamo visto, laddove venga individuata una SF ottimale, non è detto che l'impresa abbia un
SF effettiva, reale, coincidente con quella ritenuta ottimale.
L’impresa può, infatti, presentare potenzialità non sfruttate per incrementare il proprio valore; nel
caso sia sovra indebitata, esistono quindi potenzialità per minimizzare il Wacc e questo può essere
fatto riducendo il livello di indebitamento … effettuato in modi diversi:
a. Ricapitalizzazione dell’azienda (emissione di nuovi titoli azionari)
b. Rimborso del debito attraverso diverse strategie: utilizzando liquidità, riducendo o azzerano la
distribuzione dei utili agli azionisti, oppure richiedendo l’emissione di cap. proprio.
Criticità: non sempre l’impresa è incentivata a modificare la sua SF “squilibriata”, diversa cioè da
quella ottimale, anche dal punto di vista della convenienza economica (creazione del valore)
L’azienda potrebbe, perciò, non modificare la SF per una serie di motivi:
1. L’azienda potrebbe essere vincolata da precise clausole contrattuali che regolano i debiti
assunti sul mercato; possono, infatti, essere presenti delle clausole che impongono penalità
all'azienda che supera determinati paletti/limiti posti in essere nel contratto di debito.
2. È possibile che l’azienda preferisca operare con livelli di indebitam. minori a quelli ottimali.
Il debito può sì implicare rigidità aziendale, infatti gli OF rappresentano un costo fisso.
Ma l’impresa può giudicare razionale operare con indebitam. minore, per sfruttare flessibilità.
Ove l’impresa non sia in grado di stimare precisamente i fabb. finanziari futuri o cmq le aspettative
di investimento futuro, si potrebbe decidere di operare con una SF sotto indebitata, per far fronte a
tali aspettative. La convenienza a mantenere una SF simile dipenderà, quindi, dal valore attribuito
alla flessibilità: cioè tenere da parte potenzialità attuali di indebitamento per un’aspettativa futura.
3. Mantenere una SF diversa da quella ottimale può essere anche una decisione di “immagine”
nei confronti degli interlocutori dell’impresa (finanziatori, agenzie di rating …)
Se la SF ottimale è superiore rispetto a quella media del settore, incrementare il livello di debito
può comportare dei problemi: o l’azienda è in grado di dare una giustificazione economica razionale
ai potenziali investitori o la reazione da parte delle agenzie di rating potrebbe essere negativa.
Ciò accade anche nelle aziende sovraindebitate, le quali potrebbero non avere incentivo a ridurre
il proprio debito … in tal caso, infatti, potrebbe essere conveniente mantenere un livello superiore a
quello ottimo per difendere l’azienda da potenzialità di scalata ostili.
→ Questi sono i motivi per i quali si potrebbe non adeguare una SF a quella ottimale.
Ma quali sono gli strumenti per ricomporre la SF d’impresa?
1. Agendo sul rapporto di indebitamento
Utilizzando equity, per ridurre il livello di indebitamento … emissione di azioni
Oppure utilizzando debito, per ridurre l’equity … assunzione di debito sul mercato
2. Agendo dal lato delle disponibilità liquide
In tal caso, dipende dal ruolo che viene attribuito alla liquidità all’interno dell’azienda
Se l'azienda non vede progetti di investimento profittevoli, potrebbe essere razionale ridurre i
livelli di liquidità per modificare la SF. Allora stesso tempo, potrebbero anche essere venduti dei
cespiti ed essere utilizzati i proventi da essi derivanti per ridurre il livello di indebitam. o l’equity
3. Attraverso opportunità di investimento
Nel caso di impresa sovra indebitata, il progetto potrebbe essere finanziato con un rapporto di
leva finanziaria estremamente inferiore a quello corrente; viceversa, nel caso di impresa sotto
indebitata, il progetto intrapreso verrà finanziato con un livello superiore a quello di partenza.
Atteso che il progetto sia profittevole, la differenza tra questa strategia e le precedenti si
concretizza nella presenza di un duplice effetto: la manovra permette la contrazione del debito
e, allo stesso tempo, l’incremento del valore dell’impresa.
4. Agendo sui dividenti
In hp di necessità di riduzione del livello di indebitamento, può essere ridotta la quota di
distribuzione degli utili per destinarla al rimborso del debito.
Ovviamente, nessuna di queste strategie può essere utilizzata indifferentemente in modo assoluto,
cioè ogni strategia si applica in base alla singola fattispecie aziendale. Un’azienda sovra indebitata,
che cioè cerca di ridurre il proprio debito, si può trovare in una posizione intermedia in un arco che
va dall’assenza di rischi fallimentari ad una possibilità di fallimento.
In una situazione pre-fallimentare, le strategie che possono esser adottate sono 2:
a. Alienazione di attività o rami d’azienda ritenuti non strategici in modo da recuperare liquidità;
ciò può essere, quindi, fatto in presenza di cespiti alienabili, così da ridurre il debito.
… in tal caso deve essere anche fatta una scelta di convenienza, basata essenzialmente sulle
attività che indicano potenzialità in termini di creazione di valore per l’impresa
b. In assenza di attività alienabili, può essere ristrutturato il debito
Questo può essere fatto trovando degli accordi con i creditori per negoziare lo swap tra debito
ed equity. Qui, il punto di forza dell’impresa sta proprio nell’elevata possibilità di fallimento
Se l’azienda vuole, invece, ridurre il proprio debito, anche se non corre rischi fallimentari, la scelta
concreta dipende dalla disponibilità o meno di progetti di investimento favorevoli … la strategia
potrebbe essere quella di assumere progetti con un livello di indebitamento diverso rispetto a quello
iniziale dell’azienda; nel caso non ci siano opportunità di investim., l’unico modo per ridurre il
livello di indebitamento sarà quello di emettere nuovo equity, cioè emissione di cap. di rischio per
rimborsare cap. di debito … bisogna però, in tal caso, considerare anche la convenienza economica.
Conviene … sopportare i costi di rimborso del debito con l’equity oppure mantenere gli OF?
Ora, questa decisione dipende dagli effetti prodotti in termini di redditività sul capitale proprio e in
termini di valore d’azienda. Uno dei modi attraverso i quali può essere misurata la redditività è
l’analisi per indici e l’azionista sarà, infatti, interessato al ROE [ RN / Cp].
Ovviamente, gli azionisti sono interessati ad apportare capitale attendendosi un aumento del ROE;
però, un incremento del ROE non sempre implica un maggior valore dell’azienda.
Tale indice non da, quindi, indicazioni esaustive circa la capacità dell’azienda di crear valore.
Partendo dal presupposto che l’azienda usi cap. proprio per pagare debito, ci si attende che il RN si
modifichi in ragione degli OF che l’azienda andrà a risparmiare.
Ma sotto quali condizioni la strategia di sostituire D con E incrementa il ROE per gli azionisti?
In ottica di redditività, la condiz. di accettabilità sarà → r (costo delle fonti) > ROE/(1-t)
Ragionando in un’ottica di creazione di valore, la condizione sarà: Vt+1 - Vt - Δ Equity > 0
… tutto si riconduce a richiedere che il tasso d’interesse pagato sul debito (r) sia maggiore del costo
del cap. proprio (Ke); quindi, una sostituzione di D con E è favorevole perché genera un aumento
del ROE e della ricchezza degli azionisti nella misura in cui r > ROE, ma anche r > Ke.
Se il ROE > Ke, ci si può fidare della formulazione precedente che considera sia la redditività del
capitale per gli azionisti, ma anche la creazione di valore per l’azienda.
I problemi sorgono nel momento in cui Ke > ROE … questa situazione è solita per aziende che
assumono investimenti aventi elevati gradi di rischio, per ottenere maggior rendimento, ma, non
vedendosi ancora tradotta in redditività, tale maggior rischio viene espresso nel costo del capitale.
In questi casi, possono esistere 4 situazioni potenziali:
1. r > ROE e r > Ke … conviene utilizzare equity per rimborsare debito
2. r < ROE e r < Ke … non è conveniente lo swap E-D
3. r > ROE e r < Ke
4. r < ROE e r > Ke
… mentre le prime 2 casistiche risultano semplici da valutare; le altre 2 richiedono una valutazione
più dettagliata. È innanzitutto da chiedersi …
→ Come deve posizionarsi il costo del capitale (Ke) rispetto al ROE?
Dipende dalla prospettiva che si va a valutare … in un’ottica razionale, ai fini della creazione di
valore, dovrebbe essere imposta la condizione Ve (valore dell’equity) > E
… RN/Ke > RN/ROE → 1/Ke > 1/ROE → ROE > E
Questa condizione può essere giustificata come segue:
In un’ottica dinamica, un basso costo del capitale potrebbe produrre effetti opposti nella
prospettiva di creazione del valore e, quindi, Ke dovrebbe essere l’asticella da superare per accettare
un progetto di investimento. Se questa viene fissata inferiore alla redditività, significa che si
andrebbero ad accettare progetti che rendono meno rispetto al costo del capitale e ciò porterebbe
alla riduzione del ROE nel tempo
Nei casi di redditività elevata, non conviene sostituire debito con equity; viceversa, nei casi in cui il
ROE è basso, in astratto, converrebbe farlo, perché r > ROE, in tal caso si pone però un problema
legato all’attrazione per l’investitore, in quanto i suoi proventi verrebbero sottodimensionati.
Tendenzialmente, quindi, sostituire D con E non è mai conveniente sotto il profilo economico
… infatti, la condizione affinché venga prodotto valore per l’azienda sarà:
Rendimento del nuovo progetto > Costo del debito > Costo del capitale > Redditività del capitale
… R > r (OF/D) > Ke > ROE
La modifica della SF incide, perciò, su diversi livelli … in primo luogo, sugli OF = f (liv. debito; r )
e su r = f (liv. di indebitamento); dato che un maggior livello di debito, comporta un rischio
maggiore, ciò incide anche sulla tensione finanziaria (Ebit / OF). Inoltre, come abbiamo visto, una
Δ della leva finanziaria incide sul costo del capitale (Ke) e sull’indice di creazione del valore (V)
Creazione del valore
Va innanzitutto definito il concetto di valore, la cui nozione dipende dalla situazione in cui il valore
stesso viene misurato … potrebbe essere misurato in una prospettiva di finanza straordinaria e si
parla, in tal caso, di valore di trasferimento; può essere anche legato a fenomeni aziendali, quali
fallimento o scioglimento, si parla qui di valore di liquidazione; ma può avvenire anche in momenti
rilevanti di vita dell’azienda, ad es. all’accesso al mercati dei capitali (quotazione in borsa).
… le prospettive sono, quindi, diverse in relazione al momento in cui il valore viene misurato.
Esistono, perciò, diverse nozioni di valore a cui si può far riferimento:
1. Valore di mercato … è il valore che il mercato quota per quell’azienda (equity)
2. Fair value … valore equo, definito dagli investitori
3. Enterprise value … valore dell’impresa in sé: combinato dell’equity e del debito
Per determinare il valore esistono, poi, diversi metodi:
1. Indiretti … il cui valore viene attribuito per relazione (aziende comparabili); in tal caso
vengono presi a riferimento multipli, spesso P/Eps
2. Diretti … valutano attraverso metodi patrimoniali e finanziari
I metodi patrimoniali vengono distinti, a loro volta, tra:
a. Asset side … mira a valutare il valore delle attività dell’azienda
b. Equity side … valuta, invece, il valore dell’equity
La valutazione secondo metodi finanziari prevede, invece
a. Attualizzaz. dei Free Cash Flow
→ FFCE = RN + Amm.ti - Inv. + Debito - Rimborso D - OF - ΔCC
→ Σ (1 ∞) FFCEi / Ke
b. Attualizzaz. dei Fc disponibili per l’investitore
→ FCI = RN + Amm.ti - Investim. - ΔCC
→ Σ (1 ∞) FFIi / Wacc
In linea di principio, è indifferente definire il valore del cap. proprio attualizzando i FFCE oppure i
FCI, ma nella pratica no! È infatti importante considerare la differenza tra scontare i dividendi degli
azionisti o i Fc disponibili per gli stessi … mentre i dividendi rappresentano le distribuzioni che
l’azienda fa o si attende di fare a beneficio degli azionisti, i Fc disponibili sono quelli distribuibili
potenzialmente → i dividendi sono, infatti, minori dei flussi potenziali.
Quale metodologia delle 2 è preferibile?
In linea di principio, la logica che dovrebbe guidare la scelta di un metodo piuttosto che dell’altro
dovrebbe riflettere le scelte di contendibilità … in una prospettiva di trasferimento del controllo,
deve essere valutata l’azienda sulla base dei flussi di cassa potenziali che va a generare; viceversa,
se l’azienda non è contendibile, l’azienda può essere valutata anche sulla base dei dividendi.
Nel determinare il valore dell’azienda, si presentano criticità nella definizione degli input.
Utilizzando il modello del Dividend cash flow (dividendi distribuiti), gli input sono:
1. Utili distribuiti, determinati secondo il tasso di distribuzione
2. Costo del capitale utilizzato per l’attualizzazione
3. Il periodo di previsione analitica
Il 1° problema che si pone è stimare in modo analitico gli utili distribuiti … questi dipendono dalla
fase del ciclo di vita in cui l’azienda si trova: nella prima fase, si può immaginare un'elevata crescita
dei dividendi, con un tasso anche superiore alla previsione; viceversa, in una fase di maturità, utili e,
quindi, tassi di distribuzione dei dividendi saranno più coerenti con le previsioni.
Il compito dell’analista è appunto quello di determinare un tasso di crescita perpetua, allineato a
quello dell’economia … è ammissibile che il tasso di crescita perpetua dei dividendi, oltre il periodo
di previsione analitica, sia inferiore a quello dell’economia; ma, allo stesso tempo, è importante
considerare che non sia superiore al tasso di crescita dell’economia stessa.
In secondo luogo, il periodo di previsione dovrebbe corrispondere al periodo per il quale l’azienda
si attende di crescere a tassi superiori a quelli del settore; tale periodo è funzione delle dinamiche
del settore e del posizionamento competitivo dell’azienda stessa rispetto ai concorrenti.
Si pone, infine, il problema di definizione del costo del capitale … quest’ultimo diverso per
l’attualizzazione dei dividendi e per la determinazione del terminal value.
Il tasso di crescita degli utili dovrebbe essere un tasso stabile di lungo periodo (g).
… g = f (TR; ROE), cioè del tasso di reinvestimento degli utili e della redditività
Il tasso di reinvestimento è complementare al payout = 1 - POR
… g = ( 1 - POR ) * ROE
Definire g in questo modo significa far delle ipotesi circa il suo allineamento alle dinamiche del
sistema economico. La stima di g presuppone una stima del tasso di distribuzione degli utili di
lungo periodo e del ROE atteso. È ragionevole supporre che il tasso di distribuzione degli utili
aumenti quando le opportunità di investimento profittevole tendano a ridursi nel tempo e, viceversa,
se l’azienda è in crescita, vi saranno tassi di reinvestimento elevati e la distribuz. sarà, quindi, bassa.
Anche le ipotesi del ROE dovranno poi essere ancorate alle dinamiche attese del ROE nel settore
nel m/l termine, per evitare il paradosso che l’azienda cresca più dell’economia del settore.
Determinando il valore dell’azienda attraverso il metodo del Free cash flow, cioè attualizzando i Fc
a disposizione degli azionisti (FFCE), si pongono gli stessi problemi di definizione degli input.
… anche in tal caso, infatti, il costo del capitale (Ke), quale tasso di attualizzazione dei flussi di
cassa, sarà diverso per i flussi del primo periodo e per quelli di lungo periodo: mentre nel primo
periodo, Ke sarà superiore, nel periodo di crescita sarà stabile.
Può essere, quindi, determinato il tasso di crescita g secondo una logica simile alla precedente.
… ↓ g = tasso di reinvestim. dei Fc * ROE
C’è differenza tra i 2 modelli: nel primo caso, g non potrà essere mai superiore al ROE, perché il
tasso di reinvestimento non potrà mai raggiungere il 100%; nel secondo caso, le cose sono diverse:
il tasso di reinvestimento potrebbe essere negativo … quando le spese per investimenti previste
sono molto inferiori rispetto agli ammortamenti; ma potrebbe essere anche superiore al 100%,
quindi superiore all'utile … quando le dinamiche del capitale circolante o gli investimenti sono
molto elevati e l’utile potrebbe essere, quindi, non sufficiente a sostenere queste dinamiche; questa
differenza dovrà, perciò, essere compensata attraverso il ricorso a nuovo equity.
Valore aggiunto economico
Una delle metodologie spesso impiegate nell’azienda per definire l’incremento di valore aziendale è
l’EVA (economic value added): valore economico aggiunto.
Questo criterio porta ad abbandonare la logica contabile e rettificarla per giungere ad una nozione
economica di profitto, anche in relazione dei rischi ai quali l’azienda si espone (di natura operativa,
di natura finanziaria) … si tiene conto, quindi, anche dei costi che, nella logica contabile, non
venivano considerati → il Wacc, infatti, sintetizza il costo del debito e il costo del cap. proprio e
questi sono funzione dei rischi a cui l’azienda si espone.
L’EVA può essere definito come NOPAT - CI * Wacc
… reddito operativo al netto delle imposte - complesso del cap. investito in azienda
Può essere anche espresso come NOPAT/CI - Wacc … il cui rapporto (nopat/ci) rappresenta il ROI
e l’EVA esprime il differenziale tra il rendimento delle attività e il costo delle fonti.
Se l’EVA è positivo, significa che l’azienda produce valore; se, invece, è negativo lo distrugge.
Nella sua determinazione, si pone il problema di definire il reddito operativo e il cap. investito.
Nel definire il CI, si fa riferimento al complesso delle fonti di natura finanziaria.
→ CI = E + Dfin … nel debito, sono inclusi solo D a b t e D a m/l t, compreso il TFR; sono, invece,
esclusi i debiti di natura operativa, come i D vs fornitori (non producono OF espliciti).
Nel definire, invece, il NOPAT può essere utilizzato un metodo indiretto a partire dal CE
→ NOPAT = RN + Int.(1-t) … con RN = (RO - OF)(1-t)
οƒ  Esiste una relazione tra valore dell’impresa definito in funz. dei Fc liberi (FFC) e l’EVA?
Qui la nozione di Fc sarà quella di flusso disponibile per gli investitori e … determinando il valore
dell’impresa attraverso l’attualizzaz. dei FFC al Wacc, si ottiene una nozione di cap. investito (CI)
Il V0 (FFC) è funzione dell’EVA … V0 = CI0 + Σ EVAt/Wacc … Si tratta, quindi, di un esercizio di
pianificazione strategica, orientata alla creazione del valore economico aggiunto.
→ E(EVA) = E(NOPAT) - E(CI) * E(Wacc)
… in questo modo, possono essere definite le variazioni attese del valore aggiunto
→ ΔEVA = EVAt+1 - EVAt
Può essere, perciò, definito anche il valore aggiunto totale
→ EVA + Σ ΔEVA/Wacc
Il valore dell’impresa può essere visto …
ο‚· Ex-post, come CI + EVA
ο‚· Ex-ante, come CI + ΔEVA1 + ΔEVA2 + … + ΔEVAn (EVA atteso per il futuro).
Il contributo conoscitivo dato dalla valutazione dell’impresa attraverso l’EVA è quello di
identificare un momento di creazione del valore; tale metodo fallisce, però, nel definire il quanto
tale valore incrementi. L’EVA può, quindi, essere utilizzato come:
a. Indicatore di pianificazione strategica
b. Meccanismo di corporate governance … per controllare il comportamento dei manager
Soprattutto, per la definizione dei compensi degli stessi → l’idea è quella di legare la retribuzione
del manager alla creazione di valore secondo l’EVA, a partire da un CI fisso.
Esiste, inoltre, una differenza tra l’utilizzo dell’EVA e l’attualizzazione dei FC [ VI = FCI/Wacc ]
… ci si attende che, nel lungo termine, vi sia coerenza tra le 2 valutazioni.
Nel breve termine, però, non è così …. tale differenza potrebbe aver riflesso quando l’impresa stia
effettuando notevoli investimenti, operazione che generalmente comporta una contrazione dei Fc
disponibili per gli investitori. L’EVA dovrà, perciò, essere calcolato sulla base delle rettifiche legate
ai benefici proiettati nel tempo delle spese sostenute per l’effettuazione degli investimenti.
→ NOPAT = RN + Int.(1-t) + Spese - Amm.ti - Scudo fiscale
→ CI = Dfin + E + Spese non ammortizzate
Tali rettifiche vengono, quindi, apportate per incentivare i manager ad effettuare investimenti
Politica delle liquidità distribuita agli azionisti
La politica della liquidità è la 3° rilevante della finanza d’azienda, accanto a quella degli
investimenti ed a quella dei finanziamenti. Si scompone, a sua volta, in:
1. Politica dei dividendi
2. Politica di riacquisto di azioni proprie
… e presuppone, quindi, 3 decisioni:
a. Quando distribuire
b. Se distribuire
c. Quanto distribuire
Nelle decisioni legate alla remunerazione degli azionisti attraverso la distribuzione di dividendi, i
momenti fondamentali sono essenzialmente 2:
a. Annuncio di distribuzione dei dividendi … è rilevante per la reazione del mercato a seguito
della notizia → non si tratta di una reazione alla politica in sé, ma un’eventuale variazione
della politica dei dividendi rispetto a quanto fatto negli esercizi precedenti
b. Pagamento dei dividendi … momento in cui la cedola viene staccata → in concomitanza di
questa data, si verifica una contrazione del prezzo dell’azione e, tale contrazione, corrisponde
all’ammontare del dividendo per azione pagato.
Qui, il problema fondamentale che si pone è legato alla modifica del valore dell’azienda a seguito di
una decisione di distribuzione dei dividendi … si parla di irrilevanza della politica, cioè, sotto date
condizioni, la distribuzione dei dividendi non dovrebbe alterare il valore dell’impresa sul mercato
… un diverso ragionamento è da fare per l’investitore
→ Rendim. tot = Capital gain (guadagno il linea capitale) + Dividendi
Per ottenere un guadagno in linea capitale sarebbe necessario sostenere dei costi di transazione; in
assenza di questi, la politica dei dividendi dovrebbe essere irrilevante e, quindi, anche il valore
dell’impresa dovrebbe mantenersi inalterato, in quanto … ciò che viene perso in capital gain, viene
guadagnato attraverso una politica dei dividendi.
Viceversa, i dividendi potrebbero non essere desiderabili dal punto di vista dell’investitore, in
relazione alla disomogeneità fiscale delle fonti di reddito: dividendi e capital gain.
In molti ordinamenti, i dividendi sono, infatti, penalizzati in termini di trattamento fiscale rispetto ai
guadagni in linea capitale ed implicano, inoltre, anche una doppia tassazione per l’azionista.
… di conseguenza, nella misura in cui esiste uno svantaggio fiscale, ci si attende non ci sia più
differenza tra ricevere remunerazione attraverso dividendi o attraverso guadagni in linea capitale.
Da un punto di vista di comportamento razionale da parte dell’azienda, ci si dovrebbe attendere
elevate politiche di distribuzione dei dividendi … ciò è giustificato dal fatto che alcuni investitori
potrebbero non curarsi del trattamento fiscale penalizzante rispetto ai dividendi, portando così le
aziende ad effettuare una selezione degli investitori; un’altra motivazione è, invece, riconducibile
alla governance del’azienda, cioè al disallineamento tra manager e azionisti: infatti, in aziende con
azionariato frazionato, vi sono spesso molti conflitti d’interesse tra di essi.
Ragionando in termini di P/E (prezzo dell’azione su equity) e D/P (dividendi su prezzo dell’azione)
… nei casi in cui D/P è elevato, P/E sarà basso → si parla di azioni value (remuneraz. immediate)
… nei casi in cui D/P è basso, P/E sarà elevato → si parla di azioni growth (remuneraz. promessa)
Mentre le aziende value saranno meno rischiose (β < 1), quelle growth saranno più rischiose (β > 1)
→ In generale, la scuola di pensiero è favorevole alla distribuzione dei dividendi.
N.B.: c’è differenza tra distribuz. di liquidità attraverso dividendi o con riacquisto di azioni proprie
… si tratta di una politica flessibile in relazione alla singola azienda, che premette il rientro delle
azioni sul mercato per diversi fini:
a. Distribuire liquidità agli azionisti
b. Sostenere la quotazione di mercato dei titoli (aumento del prezzo dell’azione)
c. Ragioni di controllo dell’azienda
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