sabato 29 ottobre 2011
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SPETTACOLI
STASERA AL MUSEO ARCHEOLOGICO IL CONCERTO DELLO STRAORDINARIO VIOLINISTA NAPOLETANO
Salvatore Accardo conclude “Classico ’900”
NAPOLI. È affidata al maestro Salvatore Accardo la conclusione della
rassegna “Classico ’900”, stasera alle ore 21 presso il Museo
Archeologico Nazionale, con il concerto “Salvatore Accardo &
Friends”, in cui sarà accompagnato dal violoncellista Rocco Filippini,
dalla violinista Laura Gorna e dal violista Francesco Fiore. Il titolo del
concerto riprende il suo nome, ma il grande violinista napoletano avrà
al suo fianco altri “protagonisti” nella performance: Niccolò Paganini
e Giuseppe Verdi, di cui si eseguiranno, rispettivamente, “Quartetto
per archi n. 3” e “Quartetto in mi minore”. Il violino, per Accardo, è la
vita, come una parte di se stesso, anzi di più: è come un figlio. Da oltre
cinquant’anni, da quando nel 1958 vinse, appena 17enne, il “Premio
Paganini”, Accardo vive di musica e trionfi. Con un repertorio che
spazia dalla musica barocca a quella contemporanea, è considerato
uno dei maggiori talenti violinistici della scuola italiana del
Novecento. Compositori quali Salvatore Sciarrino, Franco Donatoni,
Astor Piazzolla e Iannis Xenakis gli hanno dedicato alcune loro opere,
TEATRO
ed è stato invitato presso le maggiori organizzazioni musicali europee
e americane, per esibizioni sia da solista sia da concertista con le più
famose orchestre sinfoniche. Il suo repertorio, particolarmente vasto,
spazia dal Settecento alle avanguardie storiche e comprende musiche
e concerti di Bartok, Bach, Beethoven, Berg, Brahms, Bruch, Paganini,
Prokofiev, Saint-Saens, Sibelius, Stravinskij, Ciaikovskj, Tartini,
Vivaldi e così via. Possiede due pregevolissimi violini “Stradivari”,
uno datato 1718 e l’altro 1727. A livello discografico, ha inciso
praticamente tutto. E molto, tant’è che una sintesi si direbbe
impossibile. Eppure la Deutsche Grammophon ci ha provato, rendendo
omaggio, come dice il titolo, a “L’arte di Salvatore Accardo” con una
raccolta di otto cd che contengono alcune delle incisioni più famose. A
lui hanno tributato omaggi trionfali in tutto il mondo e ha suonato nei
più famosi Festival musicali internazionali. A tutt’oggi, insieme
all’altro italiano Uto Ughi, la critica internazionale lo giudica
unanimamente uno dei maggiori violinisti viventi.
Salvatore Accardo chiude la rassegna “Classico ʼ900”
AL BELLINI IN SCENA LO SPETTACOLO DI LUCIANO MELCHIONNA “DIGNITÀ AUTONOME DI PROSTITUZIONE”
Quel sottile fascino della trasgressione
di Giuseppe Giorgio
NAPOLI. Chissà come avrebbe reagito la senatrice Lina Merlin, prima
firmataria della legge del 1958 per
l’abolizione delle “case chiuse” in
Italia, se avesse solo immaginato
che poco più di mezzo secolo dopo,
un nuovo “postribolo” sarebbe stato riaperto e celebrato con successo in teatro, con la partecipazione
di centinaia di clienti-spettatori, avidamente intenti a contrattare per
una prestazione offerta da un gruppo di attori ridotti alla prostituzione. E chissà cosa avrebbero pensato personaggi come Molière, Goldoni e Pirandello, ipotizzando che
un giorno, anche solo per una sottile, perfida, eccitante e coraggiosa
finzione scenica, un teatro si sarebbe trasformato in un affollato
“bordello”.
Ebbene, è evidente che il tempo
cambia le cose, così come gli usi ed
i costumi della società cosiddetta
civile tanto che, alla prima di “Dignità autonome di prostituzione”,
lo spettacolo di Luciano Melchionna in scena al Bellini, nessuno si è
scandalizzato nell’osservare politici, professori, dirigenti, professionisti e gente comune, magari in coppia, aggirarsi tra gli angoli più nascosti del teatro per beneficiare a
suon di “dollarini” comprati con il
AL “TOTÒ”
Evans, Russo e Benassi (Foto Le Pera)
biglietto d’ingresso, di una, sia pure artistica, “pillola di piacere”.
Con coraggio, trasgressione, velato
erotismo, voglia di libertà e tanti
stupendi ed introspettivi monologhi scaturiti dalla penna dello stesso artefice e regista dello spettacolo Melchionna e dalla rivisitazione
di autori come Pirandello, Shakespeare e Dostoevskij, “Dignità autonome di prostituzione”, abbattendo una volta per tutte quella famosa “quarta parete” e quindi l’im-
maginario muro, posto di fronte al
palco di un teatro, attraverso il quale il pubblico osserva l’azione, rimanendone al tempo stesso distaccato, porta in scena una grande
ventata nuova, una sorta di mutamento sociologico, intelligentemente teso al riavvicinamento fisico e psicologico della gente al teatro.
Ed ecco che, costretti a prostituirsi
pur di continuare a vivere del mestiere di attore, lo stesso che nel Novecento trasformò gli interpreti in
modelli di costume, di linguaggio e
di comportamento, con il lavoro di
Melchionna oltre cinquanta interpreti, alcuni di loro a turno, si prodigano per i vari piani dello storico
palazzo di via Conte di Ruvo per fornire, dopo un’accesa “contrattazione”, la propria “prestazione”. Con
dieci dollarini, ad esempio, dopo
una veloce ricarica fatta presso una
delle tante maitresse presenti in sala, si riesce a “comprare” l’opera di
Paola Barale, nei panni della “Stregona” che, con occhi da film horror,
parla di come sta andando male il
mondo, della mancanza di comunicazione e della cecità delle persone
di fronte alle cose che accadono.
Con meno di quattro dollarini, invece, arrampicandosi sulle scalinate che conducono ai vari palchi di
fila ed infilandosi in una stanza d’uf-
ficio, ci si può intrattenere con Daniele Russo che nei panni di “Lia”,
svela ai suoi clienti, con fare umanamente travolgente e disinibito, la
storia di un imbianchino che la notte fa il travestito per arrotondare le
entrate e che una sera tornando a
casa, stanco più del solito, dimentica di struccarsi lasciandosi scoprire al risveglio da moglie e figlio.
Ancora, con pochi dollarini, (con 15
euro se ne ottengono quattro) è possibile beneficiare delle prestazioni
di Annarita Ferraro nelle vesti di
una sconvolgente “Lolitina”, di Irene Grassi alle prese con un’avvenente e decisa “Ritrattista” e di Serenella Tarsitano, impegnata con
“La meglio di niente”. E non basta
certo una sera per “godere” di tutte le artistiche “prostitute” dello
spettacolo e di tutti i peccaminosi
“prostituti” che tra i circa cinquanta monologhi a disposizione, raggiungono il numero di una trentina
per spettacolo. In vetrina, restano
ad esempio, tra gli altri; Fabio Canino, “Il cartomante”, Rino Di Martino “O prevete”, la mascherata Dalia Frediani con la sua “esploratrice”, Autilia Ranieri, “L’ennesima”,
Rosaria D’Urso “Il dritto”, Betta
Cianchini, la stessa che ha realizzato il format dello spettacolo con
Melchionna nel ruolo di “Anja”,
Adriano Falivene in quello del clown
“Gnegno”, Gina Perna calata nei
panni de “ La grazia” e così via fino
a giungere, a sorpresa, per le varie
repliche, ai personaggi dei tanti altri interpreti, tra cui, anche quelli di
Pino Strabioli e Momo.
Rigorosamente in vestaglia o giacca da camera, gli attori al Bellini si
lasciano adescare dai “clienti-spettatori” ed a loro volta li invitano nei
privati anfratti con peccaminose
sortite. Si contratta, si scherza e nonostante la gran folla della prima
che rende difficili le trattative e lunghe le attese, le singole prestazioni
della “strana famiglia” tenutaria della “casa chiusa” dell’Arte, risultano
tutte straordinariamente invitanti
sia per i contenuti che per le belle
interpretazioni. Con gli attori alla
mercé dei clienti, con dei fantasmi
che si aggirano per il teatro insieme alle tenutarie ed alla “Vanda” di
Clio Evans, i momenti di “piacere”
divisi tra monologhi e performances di teatro classico e contemporaneo, emozionano e fanno riflettere lo spettatore che giunto al gran
finale tra le canzoni della cantautrice Momo, le personali esibizioni dei
vari artisti, le battute di “Gnegno”
ed uno straordinario e liberatorio
ballo collettivo, scopre come un “casino” sia pure teatrale, possa unire
tanta gente annullando in un solo
colpo diversità sociali e pregiudizi.
CASA MUSEO PULCINELLA
“Sciò sciò”...
tra cena e riti
NAPOLI. Questa sera alle 20,30
presso l’accogliente ed
emozionante “Casa Museo di
Pulcinella”, diretta dal regista
Franco Cutolo, in via San
Giovanni Maggiore Pignatelli,
accanto al Palazzo Carafa Spina,
si svolgerà “Sciò Sciò
Ciucciuvettole”, una cenaspettacolo dove protagonisti
assoluti saranno il malocchio... i
rimedi, le storie, i giochi. “Sciò
Sciò Ciucciuvettole” vuole
essere uno spettacolo brillante,
un momento unico di comicità
assoluta. Presente come sempre
la figura della tradizione
napoletana, l’attore evocherà
quelli che sono i testi
vernacolari. Vige allo spettacolo
lo “jettatore”... Chi volesse
approfittare... si accomodi... e
per chi non ci credesse, come si
dice: “non è vero, non ci credo,
ma... nun se po’ mai sape’! Info
e prenotazioni telefonando allo
333/2252562. Un’esperienza da
non perdere, con cucina
napoletana e tanto divertimento
assicurato.
CATERINA DE SANTIS, FABIO BRESCIA E ROSARIO VERDE IN “LUI CHI È?!”
Problemi di coppia in “agrodolce”
di Mimmo Sica
NAPOLI. Tutto esaurito per “Lui chi
è?!”, la commedia di Caterina De
Santis e di Fabio Brescia che ha
aperto la stagione del teatro Totò. Il
lavoro, per la regia di Guglielmo Marino, ha come interpreti, oltre alla De
Santis e a Brescia, Rosario Verde,
Mariano Gallo e Stefano Ariota. La
scenografia è di Tonino di Ronza e
le musiche di Marco Mussumeli.
«L’idea di questo spettacolo - ha detto la protagonista - è venuta a Fabio
Brescia dalla lettura di un testo inglese dal titolo “Uscirò dalla tua vita
in taxi” e dalla osservazione della
quotidianità della vita che è la fonte
primaria alla quale attinge il teatro.
Fabio ha adattato quel testo creandone uno completamente nuovo pregno della nostra verve, della nostra
napoletanità, del nostro istinto verace. Brescia - ha continuato l’attrice ha spaziato nella modernità di una
coppia che è in crisi e che affronta il
grosso tema della sessualità che dopo un po’ si affievolisce. Il perché di
questo spiacevole “accidente” non
dipende dalla routine del ménage familiare, ma da ben altri motivi. Il testo è divertentissimo, modernissimo, recitato con tempi e ritmi molto
vicini al pubblico e alla vita di tutti
giorni. Amo in particolar modo questo spettacolo - ha concluso la De
Santis - perché mi dà la possibilità
di essere me stessa e di vivere una
vita familiare in maniera surreale:
questa è la bellezza dell’essere attore perché si può essere quello che si
vorrebbe essere e che invece spesso non si è».
“Lui chi è?” ha tre anni, ma non li dimostra e lo conferma Fabio Brescia
il quale ogni volta che lo porta in scena si diverte come se fosse al debutto. «È uno spettacolo che ci diverte - ha detto il protagonista e autore. Siamo una compagnia piccola
e compatta, una compagnia bonsai.
Quello che mi emoziona maggiormente è andare in scena con un testo che mi piace e che è stato scritto per i colleghi che stanno lavoran-
SAN CARLO
do con me. Scrivevo le battute sapendo chi le doveva dire. È divertente stare in scena in quattro, guardarsi e capirsi con uno sguardo e
giocare su un testo che permette anche l’improvvisazione. Grande emozione è anche la forte risposta del
pubblico, soprattutto in un momento di crisi qual è quello che stiamo
vivendo. In situazioni difficili come
questa l’arte in genere e il teatro in
particolare sono il collante della società. Mi vanto di avere portato a
teatro un pubblico che a teatro non
c’era mai andato. Mi riferisco al pubblico della radio, della televisione e
di quello delle serate nei locali. Il pubblico che ci viene a vedere è trasversale per età, cultura ed estrazione sociale e questo è molto bello e
gratificante».
“Lui chi è ?” ha origini anglosassoni
e questa impronta di freddo fair play,
forse, sarebbe rimasta indelebile se
non ci fosse stata la presenza di Rosario Verde, l’artista che in questo
lavoro esprime alla grande la comicità, l’ironia, la drammaticità della
nostra razza permeando lo spettacolo di napoletanità a tutto tondo. «È vero - ha
Fabio Brescia, Caterina De Santis e Rosario Verde
detto - che l’impianto della commedia è inglese, ma in mano ai naattimo e ogni battuta è sottolineata
poletani è diventato un’altra cosa. La
da risate ed applausi. La volontà delstoria che raccontiamo è semplice e
l’autore e dei protagonisti va rispetterribilmente reale ed attuale. Lo ditata per cui non sveliamo il finale a
co in un orecchio: si parla di omosorpresa. Ci uniamo, però, alla stansessualità e non aggiungo altro». Le
ding ovation con la quale il pubblidue ore dello spettacolo volano in un
co ha salutato gli attori.
“TROY GAME” E “IL GUARRACINO”: LA SCUOLA DI BALLO CONCLUDE LA RASSEGNA
Con “Ottobre Danza” le “due punte” riscuotono un grande successo
NAPOLI. Con il grande successo della Scuola di Ballo del Teatro San Carlo - diretta dal 1990 da Anni Razzi si chiude la seconda edizione della
rassegna “Ottobre Danza” che ha visto protagonisti il Balletto di Corea,
il Balletto di Lione, la Compagnia del
San Carlo e Carolyn Carlson, una delle più acclamate icone della danza
contemporanea. In scena due dei titoli più amati nel repertorio dei giovani allievi: “Troy Game” e “Il Guarracino”. Coreografia tra le più riuscite
dell’americano Roberth North (autore anche de “La morte e la fanciulla”), non a caso continuamente messa in scena dalle più prestigiose
compagnie del mondo, “Troy Game”
è energia allo stato puro. Realizzata
per otto danzatori, in una esplosio-
ne di virtuosismo tecnico, evoluzioni impervie, salti, giri e quant’altro,
non manca di ironia. Sapiente miscuglio di danza classica, jazz, moderno, arti marziali e capoeira, sul
ritmo incalzante e scatenato della
batucada brasiliana, “Troy Game” è
una divertente presa in giro del “machismo” in una sorta di lotta-competizione in forma danzata. La danza - si sa - va di pari passo con la musica e meglio ancora col ritmo che
dà energia al movimento. Senza soluzione di continuità - in un gioco di
squadra, da soli, a due a tre - la danza è protagonista fino al culmine dello sfinimento fisico. I saluti finali, uno
spettacolo nello spettacolo per simpatia e spirito, hanno scatenato gli
applausi scroscianti del pubblico.
Geniale l’intuizione di Anna Razzi di
proporre “Troy Game” agli allievi della scuola: Giuseppe Aquila, Luca Carannante, Flavio Ferruzzi, Ferdinando De Riso, Angelo Egarese, Pasquale Giacometti, Francesco Lorusso e Fabio Tanania, bravissimi e
perfettamente all’altezza di un’esecuzione a dir poco professionale, sia
per la tecnica che per la presenza
scenica.
Atmosfera diversa per “Il Guarracino”, opera coreografica in un atto e
sei quadri tratta dall’omonima canzone di anonimo (eseguita in una
magnifica versione da Brunello Canessa). Deus ex machina dell’intero
impianto scenico - con le meravigliose scene di Emanuele Luzzati, i
costumi elaborati e ricchi di inven-
tiva di Giusi Giustino e la musica
evocativa di Gaetano Panariello - Anna Razzi che ne ha curato la sceneggiatura, la coreografia e la regia.
E non finisce qui, perché è giusto
sottolineare la forza e la dedizione totale con cui da anni si dedica ai suoi
allievi facendo della Scuola di Ballo
un faro di ottima qualità. Tutti i personaggi de “Il Guarracino” sono ben
caratterizzati e il balletto scorre scena dopo scena con grande godibilità. Una vera delizia diventata negli
anni un punto di forza per gli allievi
della scuola alle prese con sequenze
ardue e ben articolate che sviluppano nel migliore dei modi il loro senso danzante. Bellissime le scene d’insieme, che coinvolgono anche gli allievi più piccini, e che hanno il loro
apice nella battaglia tra i pesci, con
duelli all’ultimo sangue, prima di ristabilire l’armonia e la serenità. Di
grande difficoltà il passo a due dei
protagonisti Claudia d’Antonio/la
Sardella e Stanislao Capissi/il Guarracino, ricco di prese e passaggi concatenati. Accanto a loro Annarita
d’Agostino, Laura Dominijanni, Danilo de Martino, Simona Mirarchi,
Giovanni Traetto, Danilo Notaro, Maria Chiara Grasso e Ornella Tufano e
naturalmente tantissimi altri ragazzi nei panni di scugnizzi, apprendisti stregoni, pesciolini, molluschi,
crostacei e cavallucci marini per un
gran finale in cui ha trionfato la professionalità con l’amore, la fantasia
e la magia della danza. E non è poco…
Elisabetta Testa