Capitolo 3 Equilibrio parziale perfettamente competitivo 3.1 Analisi di equilibrio generale e parziale 3.2. L’approccio di equilibrio parziale 3.3. La configurazione di equilibrio parziale competitivo di breve periodo: a) le grandezze di mercato 3.4. Proprietà allocative del modello di equilibrio parziale: a) le grandezze di mercato 3.5. Statica comparata dell’equilibrio parziale competitivo 3.6. La configurazione di equilibrio parziale competitivo di breve periodo: b) le grandezze individuali 3.7. Proprietà allocative del modello di equilibrio parziale: b) le grandezze individuali 3.8. Equilibrio competitivo di lungo periodo Questo capitolo delle dispense del corso di Economia dell’Organizzazione Industriale è dedicato allo studio del modello di equilibrio parziale perfettamente competitivo. Due sono i principali motivi che giustificano l’attenzione che intendiamo dedicare a questo argomento. Il corso di Economia dell’Organizzazione Industriale è incentrato sullo studio dei comportamenti delle imprese con potere di mercato. Confronti continui dal punto di vista delle proprietà allocativa di questi modelli vengono peraltro effettuati con il modello della concorrenza perfetta. Questo è perciò il primo motivo che spinge ad approfondire la conoscenza dei mercati perfettamente competitivi. Il secondo motivo riguarda l’approccio di equilibrio parziale, tipico degli studi di Economia dell’Organizzazione Industriale. L’approccio di equilibrio parziale consiste nel considerare la determinazione della posizione di equilibrio di un mercato isolatamente dagli altri. Tale approccio, che trascura le pur rilevanti relazioni di interdipendenza che intercorrono fra tutti i mercati, rappresenta uno strumento insostituibile per lo studio dei problemi di statica comparata e per valutazioni di benessere sociale. Conoscerne i limiti implica capacità di valutare criticamente le conclusioni di volta in volta raggiunte. Il capitolo è sostanzialmente diviso in quattro parti. La prima, dopo aver delineato la differenza fra analisi di equilibrio generale e parziale (par. 3.1), approfondisce il senso dell’approccio di equilibrio parziale. Questo si basa sull’ipotesi di prezzi dati degli altri beni indipendentemente da quanto avviene nel mercato in esame. Ne deriva che la validità dell’approccio di equilibrio parziale dipende dall’assunzione di assenza di effetti di retroazione dal mercato in esame agli altri mercati e quindi ancora nel mercato in esame (par. 3.2). La seconda parte del capitolo, che comprende i parrr. 3.3-3.5, è dedicata allo studio della configurazione di equilibrio parziale e delle sue proprietà allocative con riferimento alle sole grandezze di mercato: prezzo e quantità scambiate. Nel par. 3.3 vengono presentati il modello Walrasiano e quello Marshalliano di mercato competitivo, viene definita la posizione di equilibrio e si delineano le proprietà di esistenza, unicità e stabilità dell’equilibrio stesso. Il tema delle proprietà allocative dell’equilibrio competitivo, sempre a livello di grandezze di mercato, è affrontato nel paragrafo successivo. Viene con cura individuato e delineato un benchmark di Domenico Tosato – Economia dell’Organizzazione Industriale, a.a. 2009-10 – Dispense per gli studenti 1 riferimento per lo studio dell’allocazione competitiva e vengono definite le condizioni affinché l’allocazione competitiva sia efficiente. Il metodo della statica comparata dell’equilibrio è presentato nel par. 3.6, con un’applicazione allo studio degli effetti sulla configurazione di equilibrio dell’istituzione di tasse e sussidi. La terza parte, analiticamente più complessa delle precedenti, esamina il ruolo dei singoli agenti, consumatori e produttori, nel contesto dell’approccio di equilibrio parziale. Viene costruito uno specifico modello di scelta ottimale dei consumatori e di determinazione della produzione ottimale delle imprese e definito il concetto di equilibrio parziale in termini di prezzo dei equilibrio e di allocazione di consumo e produzione a tutti gli agenti (par. 3.6). Viene successivamente introdotto il concetto di efficienza in senso Paretiano, individuate le condizioni marginali per un’allocazione efficiente e verificate le proprietà dell’allocazione competitiva sia sotto il profilo dell’efficienza, che sotto quello dell’equità distributiva (part. 3.7). La quarta ed ultima parte estende lo studio dell’equilibrio parziale competitivo dal breve al lungo periodo, introducendo la condizione di libertà di entrata o di uscita in presenza di extra profitti positivi o negativi (par. 3.8). Un esercizio svolto completa questa dispensa. 3.1. Analisi di equilibrio generale e parziale I prezzi delle merci prodotte e scambiate in un’economia di mercato si formano in un sistema di mercati fra loro collegati da legami di interdipendenza. Tali legami trovano origine nelle caratteristiche della domanda dei consumatori e dell’offerta delle imprese. Sussistono, come è noto, rapporti di sostituzione e di complementarietà nel consumo dei diversi beni. Le domande dei vari beni sono infatti determinate congiuntamente all’interno di un modello di comportamento razionale del consumatore, ossia di un processo di massimizzazione delle preferenze, espresse da una funzione di utilità, soggetto ad un vincolo di bilancio posto dalla ricchezza (reddito) del consumatore. Ne segue che i prezzi di tutti i beni e la ricchezza del consumatore concorrono a determinare la domanda di ciascun bene; in termini tecnici, prezzi e ricchezza sono gli argomenti delle funzioni di domanda di tutti i beni. E’, quindi, chiaro che anche le domande dell’intero mercato, ossia dell’insieme dei consumatori, dipendono da queste grandezze. L’offerta di un dato bene da parte delle imprese produttrici dipende a sua volta dai prezzi per l’uso dei fattori produttivi e da quelli di tutti gli altri beni prodotti. La ragione sta, da un lato, nel fatto che i prezzi degli input condizionano la scelta della combinazione di fattori a minor costo e l’intera struttura dei costi di produzione e, dall’altro, che ogni imprenditore decide quale bene o quali beni produrre in relazione a valutazioni di convenienza. Possiamo di nuovo concludere, in termini tecnici, che le funzioni di offerta di ogni impresa e quindi anche dell’industria, che produce un determinato bene, dipendono dall’insieme dei prezzi di tutti i beni prodotti e di tutti gli input. Lo studio della formazione dei prezzi richiede pertanto che si utilizzi un approccio di equilibrio generale, in cui domanda ed offerta dei vari beni dipendono simultaneamente dai prezzi di tutte le merci. Appropriate tecniche, che si fondano sull’impiego di strumenti analitici avanzati, sono necessarie per affrontare le problematiche poste da tale approccio ed analizzare le condizioni per l’esistenza di un sistema di prezzi di equilibrio. All’approccio di equilibrio generale si contrappone quello di equilibrio parziale, in cui si astrae dai legami di interdipendenza fra i mercati e si fissa l’attenzione su un singolo mercato, preso Domenico Tosato – Economia dell’Organizzazione Industriale, a.a. 2009-10 – Dispense per gli studenti 2 isolatamente dagli altri. La formazione del prezzo del bene considerato viene così ricondotta all’operare della domanda e dell’offerta di quel solo bene. Il vantaggio dell’approccio di equilibrio parziale sta nella possibilità di trarre conclusioni forti in merito alle conseguenze sulle grandezze di equilibrio di eventuali shock1 di domanda e di offerta. Proprio per questo motivo l’approccio di equilibrio parziale è comunemente utilizzato negli studi di economia dell’organizzazione industriale, e lo sarà anche in questo corso. Il limite dell’approccio sta ovviamente nel trascurare gli effetti di reciproca interdipendenza fra mercati, effetti che sono trasmessi attraverso il sistema dei prezzi. Il paragrafo che segue mira a fornire gli strumenti analitici per cogliere significato ed implicazioni che derivano dal trascurare gli effetti di reciproca interdipendenza fra i mercati. 3.2. L’approccio di equilibrio parziale La validità delle conclusioni desunte da un modello di equilibrio parziale dipendono essenzialmente dalla circostanza che possano ritenersi trascurabili gli effetti di retroazione dal mercato del bene considerato ai mercati degli altri beni. Per rendersi conto del senso - a prima lettura piuttosto oscuro - di questa affermazione, consideriamo il modello “Walrasiano” di un mercato perfettamente competitivo.2 Supponiamo che nell’economia vengano prodotti e scambiati L beni di consumo: il bene x, su cui fissiamo l’attenzione, ed altri L 1 beni; che vi siano K fattori della produzione k 1, 2,..., K , I consumatori i 1, 2,..., I , che per semplicità consideriamo tutti uguali, e J imprese j 1, 2,..., J che costituiscono l’industria che produce il bene x e che per il momento supponiamo anche tutte uguali. Il modello del mercato del bene x è costituito da tre relazioni: due funzioni di comportamento, che descrivono rispettivamente la domanda dei consumatori e l’offerta dei produttori, ed una condizione di equilibrio, che esprime il ruolo di coordinamento delle decisioni indipendentemente assunte dagli agenti svolto dal mercato: (3.1) x x p ; p, R (3.2) q q p ; p, w (3.3) x q 1 Il termine shock sta ad indicare variazioni inattese della domanda e dell’offerta. 2 Il termine “Walrasiano”, dal nome dell’economista francese Léon Walras, denota una formulazione del modello di mercato in cui i comportamenti degli agenti vengono definiti come risposte agli incentivi di prezzo ed inoltre, per i consumatori, alla disponibilità di ricchezza. Tale formulazione è coerente con la teoria delle scelte ottimali di agenti price-takers. A questa si contrappone la formulazione “Marshalliana”, dal nome dell’economista inglese Alfred Marshall. In tale formulazione i comportamenti dei due lati del mercato sono descritti in termini di prezzo che i consumatori, da un lato, sono disposti a pagare per ottenere il bene e i produttori, dall’altro, disposti ad offrirlo. Questa diversa definizione del modello di mercato competitivo verrà presentata nel paragrafo successivo. Per chiarire il senso dell’approccio di equilibrio parziale è peraltro preferibile concentrarsi sulla definizione Walrasiana. Domenico Tosato – Economia dell’Organizzazione Industriale, a.a. 2009-10 – Dispense per gli studenti 3 Con piccolo abuso di notazione, indichiamo con x non soltanto il bene considerato, ma anche la quantità domandata dello stesso bene ed inoltre, come peraltro usuale, la relazione funzionale che esprime la dipendenza della domanda dal prezzo p del bene, dal vettore dei prezzi p di tutti gli altri L 1 beni e dal reddito – o meglio, dalla ricchezza - dei consumatori R I Ri . Indichiamo inoltre i 1 con q la quantità offerta e, allo stesso tempo, anche la relazione funzionale che esprime la dipendenza dell’offerta dal prezzo del bene, dal vettore dei prezzi di tutti gli altri beni e dal vettore dei prezzi per l’uso dei fattori produttivi w . Come evidenziato dai segni sotto la variabile, assumiamo che la domanda dipenda negativamente dal prezzo e che l’offerta invece cresca al crescere del prezzo. Sostituendo le funzioni di comportamento nella condizione di equilibrio e risolvendo per il prezzo del bene x , otteniamo la soluzione di equilibrio (3.4) p p p, w; R Sostituendo quindi nelle funzioni di domanda e di offerta determiniamo la quantità prodotta e scambiata (3.5) x* q* Q p, w; R La Fig. 3.1 riproduce la tradizionale rappresentazione grafica dell’equilibrio di mercato: le coordinate del punto di incontro delle funzioni di domanda D e di offerta S individuano la posizione di equilibrio E. p D S E p* x* q* x,q Figura 3.1 Equilibrio parziale perfettamente competitivo Due osservazioni sul modello che abbiamo utilizzato, prima di procedere all’interpretazione del risultato ottenuto. Si noterà, anzi tutto, che vi è una disomogeneità nella formulazione delle funzione di domanda e offerta: la domanda dipende dalla ricchezza dei consumatori, mentre l’offerta dipende dai prezzi d’uso dei fattori produttivi. In un contesto di equilibrio economico generale, la disomogeneità è presto risolta. Basta infatti tener presente che il reddito dei consumatori dipende dai prezzi dei servizi dei fattori produttivi che essi offrono sul mercato, in Domenico Tosato – Economia dell’Organizzazione Industriale, a.a. 2009-10 – Dispense per gli studenti 4 particolare dal compenso del lavoro e dai tassi di rendimento degli assets che detengono.3 Questo significa che essendo data la dotazione di fattori e di beni, la ricchezza dei consumatori dipende anch’essa dall’insieme dei prezzi di tutti gli input e di tutti gli output. Manteniamo, ciò nondimeno, la disomogeneità nella formulazione del modello di mercato allo scopo di poter esaminare un particolare aspetto della questione riguardante l’assenza di effetti di retroazione. La seconda osservazione riguarda la formulazione del modo in cui si suppone si realizzi il ruolo di coordinamento del mercato. Nel modello viene formulata l’ipotesi che il mercato sia in grado di svolgere tale ruolo in modo perfetto, e cioè di determinare un prezzo al quale tutti gli agenti sono in grado di realizzare le proprie scelte: i consumatori di ottenere la quantità che desiderano a quel prezzo e i produttori di vendere la quantità che trovano conveniente produrre a quel prezzo. Questo è il prezzo di equilibrio. Nel supporre che tale sia il modo di operare del mercato, noi assumiamo che il prezzo di equilibrio rappresenti un significativo punto di riferimento per la spiegazione del modo in cui effettivamente avvengono le transazioni. Nella realtà, il mercato procede per tentativi ed errori, aggiustando in continuazione il prezzo a seconda nel variare delle condizioni di domanda e di offerta. Potremmo perciò descrivere il funzionamento del mercato attraverso un processo dinamico di aggiustamento del prezzo in risposta a divergenze dalla posizione di equilibrio, e a ciò faremo riferimento più avanti nel corso di questo capitolo per esaminare la questione della stabilità dell’equilibrio. E’ chiaro che l’ipotesi di equilibrio, alla quale ci atteniamo, si presta a descrivere in modo adeguato solo quelle situazioni di mercato che, in concreto, si avvicinano a soddisfare i requisiti della concorrenza perfetta, sui quali ci siamo soffermati nel par. 2.2. del Capitolo 2. Torniamo ora alla formulazione delle funzioni di domanda e di offerta. Nella Fig. 3.1 domanda e offerta sono tracciate in funzione del solo prezzo p, assumendo come dati i valori di tutte le altre variabili indipendenti. Variazioni dei prezzi di tutti gli altri beni e del reddito costituiscono altrettanti potenziali fattori di cambiamento delle funzioni. Con riferimento alla funzione di domanda, variazioni dei prezzi degli altri beni determinano variazioni in aumento o in diminuzione della quantità domandata a seconda della natura del rapporto nel consumo. Un aumento del prezzo dei beni sostituti nel consumo provoca, a parità del prezzo p, un aumento del consumo del bene x e dà luogo, nella rappresentazione grafica, ad una traslazione in aumento della domanda; il contrario avviene in ipotesi di un aumento del prezzo di un bene complementare nel consumo. Analogamente, un aumento del reddito dei consumatori determina un aumento del consumo del bene x , se questo è un bene normale; una diminuzione, se x è un bene inferiore.4 Con riferimento alla funzione di offerta, un aumento dei prezzi d’uso dei fattori produttivi provoca un aumento del costo di produzione e, nella rappresentazione grafica, una traslazione in diminuzione, e cioè verso sinistra, della funzione di offerta; e viceversa in caso di diminuzione del prezzo degli input. Più difficile analizzare le possibili reazioni dell’offerta del bene in presenza di variazioni dei prezzi degli altri beni, anche se possiamo in generale ipotizzare un effetto di sostituzione a favore dei beni il cui prezzo relativo aumenta. 3 Si noti, per completezza di analisi, che fra le dotazioni di un consumatore possono rientrare anche stocks di beni finali posseduti, tra i quali potrebbe annoverarsi anche una certa quantità del bene in esame. In tal caso il reddito monetario verrebbe a dipendere dal prezzo del bene. Per escludere un possibile effetto Giffen è necessario supporre che la quota di reddito destinata all’acquisto del bene sia piccola. 4 E’ qui di rilievo l’ipotesi semplificatrice, che è stata adottata, di consumatori tutti uguali. In assenza di tale ipotesi, variazioni nella distribuzione del reddito, a parità di reddito totale, possono, come è facile intuire, determinare cambiamenti nella domanda di mercato. Domenico Tosato – Economia dell’Organizzazione Industriale, a.a. 2009-10 – Dispense per gli studenti 5 La conclusione analitica di tali considerazioni è data dalla soluzione di equilibrio (3.4), che sottolinea come il prezzo di equilibrio p dipende appunto dai valori assunti dai prezzi di tutti gli altri beni e dal reddito. Questo mostra come, in generale, nell’esame del mercato di un dato bene non si possa prescindere da quello che avviene nei mercati degli altri beni. Ciò posto vediamo di comprendere il senso dell’affermazione fatta all’inizio di questo paragrafo. Definizione 3.1. Sono effetti di retroazione quelli che derivano da eventi che, avendo origine nel mercato considerato, incidono sul reddito dei consumatori e sui prezzi di equilibrio degli altri beni e questi ultimi, a loro volta, modificano le condizioni di equilibrio sul mercato in esame. Per poter utilizzare in modo appropriato l’approccio di equilibrio parziale è necessario, come abbiamo detto, escludere tali effetti di retroazione o, quanto meno, poterli considerare di entità trascurabile. Devono, a questo fine, verificarsi due condizioni. La prima condizione mira ad escludere effetti di retroazione che operano attraverso i prezzi degli altri beni, che abbiamo considerato come dati indipendentemente da quanto avviene nel mercato considerato. Quello che vogliamo escludere non è l’impatto di quanto avviene nel resto dell’economia, il cui effetto sul mercato in esame possiamo agevolmente analizzare tramite lo strumento delle traslazioni, bensì le conseguenze che un cambiamento nel prezzo di equilibrio del bene x, quale ne sia l’origine, provochi cambiamenti nei prezzi di equilibrio degli altri mercati, che generano a loro volta un cambiamento di p . Vogliamo, con parole diverse, che cambiamenti delle funzioni di domanda e di offerta del bene x, i quali hanno ovviamente effetti rilevanti sul mercato in esame, abbiano effetti modesti sulle funzioni di domanda e di offerta degli altri mercati e quindi sui prezzi che si formano in questi ultimi, in modo da non vanificare l’ipotesi di prezzi dati. La validità di questa ipotesi richiede a sua volta che siano tenui i legami di sostituibilità e di complementarietà con gli altri beni e che, in ogni caso, il mercato in esame sia di piccole dimensioni rispetto al resto dell’economia. Questo è il senso dell’ipotesi di assenza o, quanto meno, di trascurabilità dell’effetto di retroazione sui prezzi degli altri beni. La seconda condizione porta ad escludere effetti di retroazione che operano attraverso il reddito. Ciò richiede che la spesa per il bene x sia piccola rispetto alla ricchezza dei consumatori. Qui il discorso è un po’ più complesso; trova rigoroso fondamento in un modello analitico di consumo che verrà presentato più avanti nel paragrafo 3.6. Anticipando in estrema sintesi i risultati di quel modello, con l’ipotesi di prezzi dati degli altri beni il problema di scelta di un generico consumatore i può essere ricondotto alla determinazione di un paniere ottimale composto da due soli beni: il bene in esame, la cui quantità indichiamo con x i , e la quantità di moneta m i che il consumatore i destina all’acquisto di tutti gli altri beni.5 Ora, se la spesa px i è piccola rispetto alla ricchezza Ri , la domanda del bene può considerarsi indipendente dalla ricchezza stessa.6 Questo significa, da un lato, che variazioni del reddito non incidono sulla quantità domandata e, dall’altro, che variazioni del prezzo di equilibrio del bene non determinano cambiamenti significativi della ricchezza 5 Per l’ipotesi di prezzi dati, tutti gli altri beni costituiscono un sottoinsieme a composizione costante che può pertanto essere considerato alla stregua di un bene composito. 6 In termini analitici, ciò significa ipotizzare che la funzione di utilità del consumatore sia quasi lineare nella ricchezza, con due conseguenze: primo, che l’utilità marginale della moneta è costante e, secondo, che la quantità domandata del bene xi dipende solo dal prezzo, appunto se la spesa è piccola rispetto alla ricchezza. Domenico Tosato – Economia dell’Organizzazione Industriale, a.a. 2009-10 – Dispense per gli studenti 6 disponibile per l’acquisto degli altri beni e quindi sui prezzi di tali beni. Quest’ultimo è l’effetto di retroazione che vogliamo escludere o quanto meno limitare nella sua intensità. 3.3. La configurazione di equilibrio parziale competitivo di breve periodo: a) le grandezze di mercato Studiamo in questo e nei paragrafi successivi la configurazione di equilibrio parziale e le sue proprietà. Fissiamo anzi tutto la nostra attenzione sugli aspetti di mercato, ossia sulle sole grandezze aggregate, riservandoci di esaminare più avanti gli aspetti attinenti i singoli agenti consumatori e produttori. Le relazioni (3.1)-(3.3), introdotte nel paragrafo precedente, definiscono il modello Walrasiano di determinazione della configurazione di equilibrio; le relazioni (3.4) e (3.5) esprimono la soluzione di equilibrio nelle grandezze incognite a livello di mercato: il prezzo e le quantità domandate e prodotte. Definizione 3.2. Un equilibrio parziale Walrasiano è un profilo di quantità domandata e offerta x*, q * ed un prezzo p * tali che: i) q * è la quantità offerta al prezzo p * : q* q p*,. ; ii) x * è la quantità domandata al prezzo p * : x* x p*;. ; iii) il mercato è in equilibrio: x* q * . Il puntino inserito nelle funzioni di offerta e di domanda sta ad indicare le variabili omesse che supponiamo date, ossia i prezzi degli altri beni e il reddito dei consumatori. In alternativa a quella “Walrasiana”, la formulazione “Marshalliana” del modello di equilibrio competitivo ha come obiettivo centrale la determinazione della quantità scambiata in equilibrio e utilizza le funzioni inverse della domanda e dell’offerta. Queste esprimono, da un lato, il prezzo p D che i consumatori sono disposti a pagare per poter ottenere una certa quantità q del bene e, dall’altro, il prezzo p S al quale i produttori sono disposti ad offrire la quantità q del medesimo bene.7 Il modello di equilibrio parziale è quindi rappresentato dalle seguenti relazioni: (3.6) pD p D q ;. (3.7) pS p S q ;. 7 L’esistenza delle funzioni inverse di domanda e offerta richiede che le funzioni dirette di domanda e di offerta siano monotone. Domenico Tosato – Economia dell’Organizzazione Industriale, a.a. 2009-10 – Dispense per gli studenti 7 pD (3.8) pS La configurazione di equilibrio individuata dalle due versioni del modello è ovviamente la medesima. Come vedremo, il modello Marshalliano consente di dare una lettura particolarmente significativa delle proprietà allocative della concorrenza perfetta. Come già fatto per il modello Walrasiano, possiamo dare una definizione formale di equilibrio parziale anche con riferimento al modello Marshalliano. Definizione 3.3. Un equilibrio parziale Marshalliano è una quantità prodotta q * ed un profilo di prezzi p D *, p S * tali che: i) p S * è il prezzo al quale le imprese sono disposte a produrre la quantità q * : pS * ii) p S q*;. ; p D * è il prezzo al quale i consumatori sono disposti ad acquistare la quantità q * : pD* p D q*;. ; iii) il mercato è in equilibrio: p D * p S * . Per rendere più concreto il discorso supponiamo che le funzioni di domanda e di offerta siano entrambe lineari, come abbiamo fatto implicitamente nel grafico della Fig. 3.1, e riscriviamo conseguentemente il modello del mercato nella forma seguente: (3.9) x p (3.10) q c0 cp (3.11) x q Per poterci ricollegare allo schema teorico più generale considerato nel paragrafo precedente, possiamo pensare all’intercetta della funzione di domanda come ad una grandezza che dipende parametricamente dai prezzi degli altri beni e dal reddito dei consumatori. A valori crescenti di , corrispondono traslazioni in aumento della domanda. Notiamo incidentalmente che la forma lineare della funzione implica che l’elasticità della domanda - negativa per l’ipotizzata relazione inversa tra prezzo e quantità – è decrescente in valore assoluto. Utilizzeremo frequentemente il valore assoluto dell’elasticità della domanda. Con riferimento poi alla funzione di offerta, vedremo più avanti che senso dare ai parametri di costo. La (3.11), che ripete esattamente la precedente (3.3), è la condizione di equilibrio di uguaglianza tra quantità domandata e offerta. Useremo la Fig. 3.1 come riferimento grafico per quanto segue. La soluzione di equilibrio è (3.12) p* c0 c Domenico Tosato – Economia dell’Organizzazione Industriale, a.a. 2009-10 – Dispense per gli studenti 8 (3.13) c x* q* c0 c Il medesimo modello di equilibrio parziale nella versione Marshalliana è (3.14) pD a bq (3.15) pS d0 (3.16) pD pS dq I parametri delle funzioni inverse di domanda e di offerta, che sono immediatamente ricavabili da quelli del modello iniziale,8 e che al pari di questi ultimi dipendono dai prezzi degli altri beni e dalla ricchezza dei consumatori, hanno ora un preciso significato economico: a rappresenta il prezzo massimo che i consumatori sono disposti a pagare pur di avere almeno una unità del bene e d 0 il prezzo minimo al quale i produttori sono disposti ad entrare nel mercato con un’offerta positiva.9 La condizione di equilibrio del mercato è ora espressa, come abbiamo già visto, dall’uguaglianza fra prezzo di domanda e prezzo di offerta. Il comune valore di questi prezzi è il prezzo di equilibrio. Si verifica immediatamente che la configurazione di equilibrio definita dal modello Marshalliano coincide con quella del modello Walrasiano Rispetto alla soluzione di equilibrio si pongono problemi di esistenza dell’equilibrio, di eventuale molteplicità delle configurazioni di equilibrio e di stabilità. Esistenza dell’equilibrio. La Fig. 3.1 presenta il caso tradizionale in cui l’equilibrio esiste ed è unico, con prezzo e quantità positivi. Potrebbero peraltro verificarsi situazioni in cui l’equilibrio presenta produzione nulla o prezzo zero. Le Figg. 3.2 e 3.3 offrono esempi in tal senso. Nella Fig. 3.2, il costo di produzione della prima unità prodotta è maggiore del più elevato prezzo di domanda che i consumatori sono disposti a pagare: l’equilibrio è pertanto definito da un continuum di prezzi nell’intervallo da , compreso tra le intercette sull’asse dei prezzi della funzioni di offerta e di domanda. Il grafico riflette una situazione in cui non è economicamente conveniente produrre il bene in esame, pur essendo nota la tecnologia per produrlo (un esempio potrebbe essere costituito da viaggi interplanetari). Nella Fig. 3.3 una certa quantità del bene è disponibile a costo zero e solo per quantità maggiori l’offerta diviene crescente nel prezzo;10 perciò, se il prezzo di domanda si annulla 8 Si ha a ,b 1 , d0 c0 e d c 1 . c 9 Parliamo di “unità” del bene come quantità minima domandata e offerta. In teoria dovremmo ragionare in termini di grandezze infinitesimali. 10 E’ in questo caso usuale considerare rigidamente data la quantità offerta. Un esempio tipico è la quantità di terra di una data fertilità. Domenico Tosato – Economia dell’Organizzazione Industriale, a.a. 2009-10 – Dispense per gli studenti 9 prima di aver raggiunto quella quantità disponibile, l’equilibrio si realizza ad un prezzo pari a zero ed una quantità compresa nel segmento BA sull’asse delle ascisse. Il grafico riflette una situazione in cui il bene non ha prezzo ed è perciò un bene libero.11 p p S D S d0 a D x,q Figura 3.2 Equilibrio con produzione nulla B A x,q Figura 3.3 Equilibrio con prezzo nullo Molteplicità degli equilibri. Quando le curve della domanda e dell’offerta si intersecano più volte si hanno equilibri multipli. In un contesto di equilibrio parziale ciò può verificarsi solo se il bene considerato è un bene inferiore, circostanza questa che comporta che la funzione della domanda abbia un tratto crescente. Si tratta di un caso di violazione della legge statica della domanda, sul quale non c’è modo di soffermarsi in questa sede.12 Stabilità dell’equilibrio. Un equilibrio è stabile se un allontanamento dallo stesso pone in essere forze che riportano verso la configurazione di equilibrio; è instabile in caso contrario. La stabilità è dunque una proprietà dinamica, che riguarda il processo che si determina fuori dell’equilibrio, in particolare l’esistenza o meno di un sentiero di convergenza verso l’equilibrio. Definiamo le caratteristiche del processo di aggiustamento per le due versioni del modello di equilibrio di mercato. 11 Sia il caso di una configurazione di equilibrio con quantità prodotta nulla, sia quello di un equilibrio con prezzo pari a zero si possono escludere se le preferenze dei consumatori sono lisce, in altre parole, se le funzioni di utilità sono sempre derivabili nello spazio dei beni. In questo caso le funzioni di domanda non presentano punti d’angolo e, quindi, non incontrano mai gli assi. 12 In realtà di vi è anche un secondo e più significativo caso in cui la funzione della domanda potrebbe presentare un tratto crescente, violando in tal modo la legge della domanda. Questo è il caso in cui il prezzo è anche un indicatore di qualità, nel senso che i consumatori attribuiscono ad un prezzo più elevato la percezione di una qualità migliore del bene. E’ chiaro che con un’ipotesi di questo tipo si mette in discussione l’assunzione di omogeneità del bene prodotto. Domenico Tosato – Economia dell’Organizzazione Industriale, a.a. 2009-10 – Dispense per gli studenti 10 Consideriamo il modello (3.1)-(3.3). Un eccesso di domanda riflette una situazione in cui al prezzo considerato la quantità domandata dai consumatori eccede la quantità offerta dai produttori al medesimo prezzo. Nella Fig. 3.4 al prezzo p1 , inferiore rispetto al prezzo di equilibrio p * , la quantità domandata è pari ad OA e quella offerta ad OB. Il segmento BA misura l’eccesso di domanda al prezzo p1 . Il caso opposto di un eccesso di offerta si verifica al prezzo p2 , superiore rispetto al prezzo di equilibrio p * : la quantità domandata è pari ad OC e quella offerta ad OD. Il segmento DC misura l’eccesso di offerta al prezzo p2 . Il ruolo di coordinamento delle decisioni degli agenti svolto dal mercato richiede che il prezzo iniziale si modifichi nella direzione di ridurre l’eccesso di domanda, nel primo caso, e l’eccesso di offerta, nel secondo; e cioè che il prezzo aumenti nel primo caso e diminuisca nel secondo. Una regola di aggiustamento che riflette questo principio, espressa in termini di variazioni finite piuttosto che infinitesimali, è dunque (3.17) dove p x p q p p indica la variazione del prezzo, la velocità di aggiustamento e x p q p l’eccesso di domanda o di offerta. E’ chiaro che l’equilibrio è stabile se la domanda è inclinata negativamente e l’offerta è inclinata positivamente o è orizzontale. p p D p1D p2 D A S S E p* D pp1* p1S p1 E B F p1D B F A x* G G q* Figura 3.4 Disequilibrio nel modello Walrasiano x,q q1 q* q2 x,q Figura 3.5 Disequilibrio nel modello Marshalliano Consideriamo ora il modello (3.6)-(3.8) e la relativa Fig. 3.5. Supponiamo che la quantità prodotta sia q1 q * . Si verifica in tal caso una divergenza fra prezzo di domanda p1D e prezzo di offerta p1S divergenza che misura l’incentivo per le imprese ad espandere la produzione; l’opposto avviene se supponiamo che la quantità prodotta sia q2 q * . Il processo di aggiustamento, in questo caso guidato più dalle decisioni autonome delle imprese che dal coordinamento anonimo del mercato, è dunque rappresentabile attraverso la relazione dinamica Domenico Tosato – Economia dell’Organizzazione Industriale, a.a. 2009-10 – Dispense per gli studenti 11 (3.18) q pD q pS q Mentre la (3.17) descrive un processo di ricerca per tentativo ed errore del prezzo di equilibrio, la (3.18) descrive un analogo processo di ricerca, sempre per tentativo ed errore, della quantità di equilibrio.13 3.4. Proprietà allocative del modello di equilibrio parziale: a) le grandezze di mercato La configurazione di equilibrio, che abbiamo studiato nel paragrafo precedente, è il risultato del libero operare delle forze del mercato, in cui agenti con interessi contrapposti, i consumatori e i produttori, si incontrano e realizzano degli scambi, per ipotesi, al prezzo di equilibrio. Ne deriva che determinate quantità di risorse produttive di lavoro, terra e capitali vengono destinate alla produzione di un dato bene e, quindi, distolte dalla possibile produzione di altri beni. Nella configurazione di equilibrio si realizza pertanto una allocazione di risorse. E’ importante interrogarsi in merito alla convenienza dal punto di vista sociale di tale destinazione di risorse. Per affrontare questo problema abbiamo bisogno di costruire un modello di allocazione delle risorse alternativo rispetto a quello del mercato. La costruzione è un po’ complessa, si snoda attraverso tre momenti: l’individuazione di un sistema alternativo di allocazione, la definizione delle finalità da raggiungere attraverso l’allocazione, i criteri in base ai quali valutare l’allocazione stessa. Un modello alternativo di allocazione delle risorse è costituito dalla pianificazione centralizzata. Mentre l’allocazione di mercato si realizza attraverso gli incentivi offerti agli agenti dai prezzi di equilibrio che si formano nei diversi mercati, l’allocazione attuata dal pianificatore si realizza attraverso una destinazione diretta di quantità e prescinde, quindi, dall’esistenza di un sistema di prezzi. Un’allocazione di risorse in tale economia è dunque un’assegnazione operata per comando dal centro di quantità di input – e di eventuali beni intermedi - alle varie imprese e di output finali ai consumatori. Al modello dell’economia di mercato contrapponiamo perciò un modello di economia di comando, che costituisce così il nostro benchmark di riferimento. Supponiamo, inoltre, che per poter determinare l’allocazione delle risorse il pianificatore sia pienamente informato delle preferenze dei cittadini, della tecnologia delle imprese e delle risorse dell’economia e che le sue decisioni di quantità siano rivolte alla massimizzazione delle preferenze dei cittadini. Quest’ultima precisazione è importante: se vogliamo poter effettuare un confronto significativo fra allocazione di mercato e allocazione pianificata è necessario che il pianificatore non sostituisca le proprie preferenze a quelle dei consumatori finali. La letteratura indica con il termine di pianificatore benevolo un’autorità centrale il cui obiettivo coincide con la massimizzazione delle preferenze dei cittadini. Questo completa la costruzione del nostro benchmark di riferimento: un’economia di comando gestita da un pianificatore benevolo. 13 I processi di aggiustamento dei prezzi e delle quantità sono noti in letteratura con i termini rispettivamente di tatonnement walrasiano e tatonnement marshalliano. Interessanti sviluppi in termini di proprietà di stabilità dei modelli di mercato competitivo derivano dalla considerazione congiunta di entrambi i meccanismi di aggiustamento. Domenico Tosato – Economia dell’Organizzazione Industriale, a.a. 2009-10 – Dispense per gli studenti 12 Abbiamo, infine, bisogno di definire i criteri di valutazione dell’allocazione di risorse dal punto di vista sociale, in particolare i criteri ai quali dovrebbe attenersi nelle sue decisioni il pianificatore benevolo. Questi sono il criterio dell’efficienza allocativa e il criterio dell’equità distributiva. Esaminiamo di seguito il significato del criterio dell’efficienza allocativa, concettualmente e tecnicamente più complesso, riservandoci di studiare più avanti le implicazioni del criterio dell’equità distributiva, il cui significato è più immediato. Cerchiamo prima di tutto di cogliere il significato intuitivo del concetto di efficienza allocativa, ricordando che la nostra analisi si colloca per il momento a livello di grandezze del mercato, e cioè di quantità complessivamente prodotta. La produzione del bene impone un costo alla collettività in termini di risorse impiegate, ma genera anche un beneficio in quanto soddisfa la domanda dei consumatori, che sono i destinatari ultimi del processo produttivo. La questione dell’efficienza si pone dunque nei seguenti termini: dal punto di vista della soddisfazione dei consumatori, il bene viene prodotto nella quantità desiderabile? Sarebbe preferibile per il pianificatore benevolo destinare una maggiore o una minore quantità di risorse della società alla produzione del bene in esame? Quale criterio di bilanciamento fra benefici e costi deve adottare il pianificatore? La risposa a quest’ultima domanda, e quindi anche alle altre, è semplice. Il pianificatore deve di volta in volta chiedersi se è desiderabile assegnare una “unità “ di risorse in più o in meno alla produzione del bene considerato. Questa unità aggiuntiva ha un costo per la collettività: il costo marginale sociale; ma questa unità aggiuntiva genera anche un corrispondente beneficio: il beneficio marginale sociale. La scelta ottimale è data dalla condizione di uguaglianza fra beneficio marginale sociale e costo marginale sociale. Infatti, se il primo fosse maggiore del secondo, sarebbe socialmente desiderabile accrescere la produzione; se viceversa il primo fosse minore del secondo, sarebbe desiderabile ridurre la produzione. Questo significa che il criterio di riferimento per valutare l’allocazione di mercato è costituito dal principio dell’uguaglianza fra beneficio marginale sociale e costo marginale sociale. Dobbiamo allora capire se l’allocazione di mercato soddisfa tale criterio. Consideriamo la formulazione Marshalliana del modello di un mercato perfettamente competitivo. La curva della domanda, se letta come funzione inversa e cioè come prezzo di domanda, esprime, come abbiamo visto, la disponibilità marginale a pagare da parte dei consumatori ed è quindi una misura del valore che essi attribuiscono a quantità alternative del bene, ossia del beneficio marginale che essi derivano dal consumo di quella quantità del bene. Questo valore marginale è decrescente per effetto dell’ipotesi che l’intensità del bisogno, che viene soddisfatto da quantità crescenti del bene, vada via via riducendosi per ogni consumatore.14 Analoga lettura può essere fatta, come pure abbiamo visto, della funzione di offerta, che esprime non solo la quantità che l’industria nel complesso offre a prezzi alternativi, ma anche il prezzo che l’industria richiede per 14 Per l’ipotesi di consumatore rappresentativo che abbiamo per semplicità adottato, dalla decrescenza del prezzo di domanda di un singolo consumatore si ricava immediatamente la decrescenza del prezzo di domanda per l’insieme dei consumatori. Abbandonando l’ipotesi di consumatore rappresentativo, la decrescenza del prezzo di domanda di mercato deriva anche dalla circostanza che possiamo pensare di aver ordinato i diversi consumatori in funzione decrescente dei prezzi di domanda che sono disposti a pagare. Domenico Tosato – Economia dell’Organizzazione Industriale, a.a. 2009-10 – Dispense per gli studenti 13 quantità alternative da produrre. Ma, come sappiamo, in regime di concorrenza perfetta il prezzo di offerta coincide con il costo marginale. Ne segue che il prezzo di offerta è una misura del costo marginale delle risorse destinate alla produzione del bene in esame. Pertanto l’uguaglianza in equilibrio fra prezzo di domanda e prezzo di offerta è anche uguaglianza fra il valore marginale che i consumatori attribuiscono a quella quantità del bene e il costo marginale delle risorse impiegate per produrlo. Per poter giungere alla conclusione che l’allocazione di mercato è efficiente manca tuttavia un tassello importante del nostro ragionamento. Nel mercato domanda e offerta esprimono valutazioni private. Il prezzo di domanda misura perciò il beneficio marginale privato e il prezzo di offerta il costo marginale privato. In regime di concorrenza perfetta, le grandezze marginali private coincidono con quelle sociali solo in assenza di esternalità15 e di asimmetrie informative.16 E’ dunque solo in assenza di fallimenti del mercato che possiamo concludere che l’allocazione competitiva è efficiente. Il rispetto della condizione di uguaglianza al margine fra beneficio sociale e costo sociale assicura che la scelta di quantità da produrre del bene x massimizzi la differenza fra beneficio e costo sociale, ossia il surplus netto sociale. Daremo una definizione analitica di tale grandezza più avanti nel paragrafo 3.7, per il momento limitiamoci ad affermare che il concetto di surplus netto sociale si 15 Il concetto di esternalità si riferisce a situazioni in cui le quantità consumate o prodotte incidono direttamente sulle funzioni obiettivo degli agenti. Sono tipiche esternalità nel consumo: in negativo, i rumori o il fumo che disturbano il sonno o danneggiano la salute dei vicini; in positivo, i miglioramenti apportati ad un immobile, con conseguente riqualificazione di un’intera strada o quartiere. Sono tipiche esternalità nella produzione: in negativo, la discarica di sostanze tossiche e, in generale, quanto contribuisce al degrado ambientale; in positivo, gli investimenti per la riqualificazione del capitale umano. L’inefficienza allocativa provocata dalle esternalità deriva dall’impossibilità di attribuire costi e benefici agli agenti che con le loro azioni ne sono la causa; l’ipotesi di completezza dei mercati, che abbiamo introdotto all’inizio, consente, dal punto di vista teorico, di escludere la presenza di esternalità. In concreto, il fenomeno delle esternalità è esteso e la possibilità di risolverlo all’interno di un sistema di mercati limitata e, in casi di esternalità multilaterali, irrealizzabile come nel caso dei beni pubblici. 16 Nella categorie delle asimmetrie informative rientrano situazioni di informazione nascosta e di azione nascosta. Nel primo caso ci riferiamo a situazioni in cui un lato del mercato ha maggiore informazione dell’altro in merito alle caratteristiche qualitative di un bene o di un servizio. Sono esempi tipici di informazione nascosta i mercati di beni usati, nei quali il venditore conosce la qualità del bene meglio dell’acquirente, e il mercato del lavoro, in cui il lavoratore conosce le proprie capacità meglio datore di lavoro. Queste situazioni provocano un fenomeno di selezione avversa. L’inefficienza allocativa che ne deriva può giungere fino al venir meno del mercato per il bene di migliore qualità; in ogni caso, per ovviare all’asimmetria informativa l’offerente si trova costretto ad affrontare i costi necessari ad informare i compratori e a fornire garanzia di qualità. Con il termine di azione nascosta ci riferiamo a situazioni in cui il comportamento non osservabile di una parte (l’agente) provoca dei danni per l’altra parte (il principale). Esempi tipici sono costituiti dai contratti di assicurazione, in cui il verificarsi del sinistro dipende anche dall’attenzione dell’assicurato nell’evitarne l’evento; o, ancora, dal rapporto di lavoro in cui, a motivo della presenza di un elevato costo del monitoraggio delle prestazioni, l’eventuale comportamento sleale del lavoratore ha la possibilità di passare inosservato e quindi non sanzionato. L’inefficienza allocativa che deriva da queste situazioni, note come comportamento sleale o azzardo morale, consistono nell’impossibilità di realizzare la migliore ripartizione del rischio fra le parti contraenti. Il tema del rapporto fra azionisti e management, così centrale per l’organizzazione industriale, presenta appunto aspetti di azzardo morale. Domenico Tosato – Economia dell’Organizzazione Industriale, a.a. 2009-10 – Dispense per gli studenti 14 ricollega al beneficio che gli agenti derivano dal partecipare allo scambio. Un aspetto dell’efficienza allocativa di un mercato competitivo, sempre in assenza di fallimenti, è costituito dall’affermazione che in regime di concorrenza perfetta viene massimizzato il surplus netto sociale. Consumatori e produttori ottengono e cedono tutte le unità scambiate del bene al medesimo prezzo. Ma i consumatori sarebbero disposti a pagare prezzi più elevati di quello di equilibrio per quantità inferiori a quelle di equilibrio. La somma delle differenze tra il prezzo che l’insieme dei consumatori è disposto a pagare e quello che effettivamente pagano, ossia il surplus netto dei consumatori, rappresenta il beneficio che essi derivano dallo scambio. Analogamente, i produttori, in ipotesi di costi marginali crescenti, sarebbero disposti a produrre quantità minori di quella di equilibrio a prezzi inferiori a quello di equilibro. La somma delle differenze fra il prezzo che effettivamente percepiscono per tutte le unità prodotte e i prezzi ai quali sarebbero disposti ad offrirle, ossia il surplus netto dei produttori, rappresenta il beneficio che essi derivano dallo scambio. Il surplus netto dei consumatori è misurato dall’area al di sotto nella curva della domanda, mentre il surplus netto dei produttori è a sua volta misurato dall’area al di sopra della curva di offerta. Definiamo surplus netto sociale la somma del surplus netto dei consumatori e dei produttori. p D A S E B q1 x* q * q2 x,q Figura 3.6 L’equilibrio competitivo massimizza il surplus netto sociale Come si vede dalla Fig. 3.6, in un mercato perfettamente competitivo, la quantità prodotta e scambiata al prezzo di equilibrio massimizza il surplus netto sociale. Se la quantità prodotta fosse minore di quella di equilibrio – ad esempio, q1 q * - il prezzo di domanda risulterebbe maggiore del prezzo di offerta. Aumentando la produzione fino a raggiungere l’uguaglianza fra prezzo di domanda e di offerta sarebbe possibile accrescere il surplus netto sociale di un ammontare pari all’area del triangolo AEB. L’opposto si verificherebbe se la produzione fosse maggiore di quella di equilibrio - ad esempio, q2 q * . Domenico Tosato – Economia dell’Organizzazione Industriale, a.a. 2009-10 – Dispense per gli studenti 15 In conclusione, l’allocazione che si realizza in un mercato perfettamente competitivo è, in assenza di fallimenti del mercato, efficiente nel senso che uguaglia il beneficio marginale che la collettività riceve dalla produzione del bene con il costo marginale della stessa, ossia con il valore al margine delle risorse necessarie a produrre quel bene. Questa circostanza comporta che la produzione di equilibrio competitivo massimizza il surplus netto sociale. 3.5. Statica comparata dell’equilibrio parziale competitivo Supponiamo che cambiamenti dei prezzi degli altri beni, dei fattori produttivi e della ricchezza dei consumatori provochino delle traslazioni delle curve di domanda e di offerta. Supponiamo, per fissare le idee e con riferimento al modello lineare descritto dalle relazioni (3.14)-(3.16), che vi sia un aumento dell’intercetta a della funzione della domanda, da cui deriva una traslazione in aumento (in alto e a destra) della domanda stessa, ed una riduzione dell’intercetta d 0 della funzione di offerta - dovuta, ad esempio, alla diminuzione del prezzo d’uso di un fattore produttivo o ad un miglioramento delle tecniche produttive – che si traduce in una traslazione in aumento (in basso e a destra) della curva dell’offerta. Le nuove curve della domanda e dell’offerta individuano una nuova posizione di equilibrio nel punto di incontro E’ (v. Fig. 3.7). p D’ D S S’ E p* p E’ x* q* q x,q Figura 3.7 Traslazioni della domanda e dell’offerta e nuovo equilibrio L’analisi di statica comparata fissa l’attenzione sul confronto fra posizioni di equilibrio, prescindendo dal problema del raggiungimento della nuova configurazione di equilibrio, ossia dallo studio del sentiero, se esiste, che conduce dall’iniziale punto E al punto E’. E’ chiaro che se l’equilibrio E’ è stabile, vi è convergenza verso tale posizione partendo dall’equilibrio iniziale E. In sostanza l’analisi di statica comparata mira a fornire una indicazione di tipo qualitativo sul modo in cui cambia la posizione di equilibrio a seguito delle traslazioni delle funzioni di domanda e di offerta. Nel caso rappresentato nella Fig. 3.7, si può affermare che vi è un aumento della quantità di equilibrio, mentre non possiamo dare una indicazione precisa sul prezzo, che può cambiare sia in Domenico Tosato – Economia dell’Organizzazione Industriale, a.a. 2009-10 – Dispense per gli studenti 16 aumento che in diminuzione a seconda dell’intensità relativa della traslazione della domanda rispetto a quella dell’offerta. Come applicazione dell’analisi di statica comparata studiamo gli effetti di tasse e sussidi sul bene considerato. Possiamo prendere in esame due tipi di tasse: una tassa t per unità prodotta oppure una tassa sul valore del bene scambiato (detta appunto tassa ad valorem). Con riferimento alla normativa fiscale italiana, esempi del primo tipo di tasse sono le accise, come quella che grava sulla benzina e sui tabacchi, e del secondo tipo di tasse l’imposta sul valore aggiunto (IVA), che colpisce la generalità dei beni di consumo. La presenza di una tassa produce un cuneo tra il prezzo pagato dal consumatore e il prezzo percepito dal produttore, cuneo costituito proprio dalla tassa. Nella formulazione del modello del mercato dobbiamo perciò tener conto di questa circostanza. Consideriamo anzi tutto il modello lineare (3.14)-(3.16) nella versione Marshalliana, che risulta particolarmente agevole per la formalizzazione del fenomeno della tassazione. Riprendiamo di seguito, per comodità di riferimento, il modello, nel quale modifichiamo la condizione di equilibrio per tener conto della presenza del cuneo fiscale (3.19) pD a bq (3.20) pS d0 dq (3.21a) pD pS t (3.21b) pD pS 1 Le due condizioni di equilibrio (3.21a) e (3.21b) riflettono le due ipotesi di tassazione, rispettivamente sulla quantità prodotta e sul valore. Sostituendo le funzioni inverse della domanda e dell’offerta nella condizione di equilibrio, otteniamo la quantità di equilibrio nei due casi di tassazione (3.22a) q a d0 b d a d0 1 (3.22b) q t b d b d 1 I prezzi di domanda e di offerta nella nuova configurazione di equilibrio sono ora, nel caso di tassazione sulle unità prodotte: (3.23a) pD a b (3.23b) pS d0 a d0 b d d a d0 b d t b b d t d b d Domenico Tosato – Economia dell’Organizzazione Industriale, a.a. 2009-10 – Dispense per gli studenti 17 e nel caso di tassazione sul valore (3.24a) pD a b (3.24b) pS d0 a d0 1 d b d 1 a d0 1 b d 1 Come indicato nelle Figg. 3.8 e 3.9, che offrono una rappresentazione grafica dei due casi considerati, la presenza della tassa determina una traslazione – affine (parallela) in un caso, proporzionale nell’altro - della funzione di offerta. Si verifica immediatamente che la quantità di equilibrio è inferiore a quella del caso senza tassazione e che il prezzo pagato dai consumatori è più elevato. Si noti infine che, rispetto alla configurazione di equilibrio iniziale E, si verifica una perdita di surplus netto sociale sul mercato considerato pari all’area del triangolo AEB. Si conclude che la tassazione indiretta è fonte di un’inefficienza allocativa. Prima di esprimere una valutazione definitiva sulle conseguenze della tassazione indiretta è tuttavia necessario tener conto degli effetti determinati dalla spesa del gettito fiscale. L’utilizzazione per investimenti in infrastrutture potrebbe accrescere l’efficienza complessiva dell’economia, mentre l’impiego per sussidiare la produzione di un altro bene potrebbe accrescere l’equità distributiva. Osserviamo, per completezza, che si può agevolmente pervenire alla medesima conclusione sulla base del modello Walrasiano. E’ sufficiente aggiungere alle equazioni del modello la relazione tra prezzi di domanda e di offerta (3.21a) o (3.21b), sostituire ad esempio tale relazione nella funzione di domanda e risolvere quindi la condizione di equilibrio in termini di prezzo di offerta. Lasciamo per esercizio allo studente di ricavare la soluzione e di verificarne l’identità con la precedente. p pS pD pS 1 pS pˆ D E t pD pS Ê pˆ D p t pˆ S E pˆ S q̂ q* Figura 3.8 Effetto di una tassa per unità prodotta x,q q̂ q* x,q Figura 3.9 Effetto di una tassa sul valore del bene Domenico Tosato – Economia dell’Organizzazione Industriale, a.a. 2009-10 – Dispense per gli studenti 18 I sussidi hanno effetto opposto a quello della tassazione indiretta: in questo caso il prezzo di domanda risulta inferiore a quello di offerta. In altri termini, il sussidio concesso ai produttori, ad esempio agricoli, consente ai produttori stessi di conseguire ricavi unitari maggiori che gravano sul bilancio dello stato. I sussidi possono essere, come le tasse indirette, sulla quantità o sul valore. Ferma restando la formulazione delle funzioni inverse della domanda e dell’offerta (3.19) e (3.20), le condizioni di equilibrio, parallelamente alle (3.21a) e (3.21b), sono ora (3.25a) pD pS (3.25b) pD pS 1 dove s e s sono rispettivamente il sussidio per unità prodotta e sul valore del bene prodotto. 3.6. La configurazione di equilibrio parziale competitivo di breve periodo: b) le grandezze individuali Per comprendere significato e limiti dell’approccio di equilibrio parziale, abbiamo analizzato un modello competitivo formulato esclusivamente in termini di grandezze di mercato; abbiamo, in altre parole, assunto come date le funzioni della domanda e dell’offerta di mercato. Ma domanda ed offerta di mercato sono la risultante di tante decisioni individuali, guidate dal sistema dei prezzi e condizionate dalle risorse disponibili e dalle conoscenze tecnologiche. Dobbiamo ora completare lo studio fin qui svolto prendendo in considerazione le decisioni dei singoli consumatori e produttori. Lo schema teorico di riferimento è rappresentato dal modello di scelta razionale dei consumatori e dei produttori.17 Supponiamo, come già fatto nel paragrafo 3.2, che nell’economia vengano prodotti e scambiati L beni di consumo: il bene x, su cui fissiamo l’attenzione, ed altri L 1 beni; e che siano disponibili in quantità date K fattori produttivi k 1, 2,..., K . Supponiamo, inoltre, che vi siano I consumatori i 1, 2,..., I e J imprese j 1, 2,..., J , che costituiscono l’industria che produce il bene x. A differenza di quanto abbiamo fatto in precedenza, abbandoniamo l’ipotesi che i consumatori siano tutti uguali e che le imprese siano parimenti tutte uguali. Dobbiamo ora costruire la domanda e l’offerta di mercato partendo dalle scelte dei singoli consumatori e delle singole imprese e definire quindi la nozione di equilibrio parziale competitivo in termini delle decisioni individuali. La domanda di mercato. Ricordando l’ipotesi che i prezzi degli L 1 beni diversi dal bene x si suppongono dati, possiamo considerare la domanda per tutti questi altri beni come domanda per un bene composito, cui 17 Lo studente interessato ad una presentazione analitica compiuta del modello di equilibrio parziale competitivo è invitato a consultare Mas-Colell, Whinston e Green (1995, cap. 10). Si tratta, peraltro, di un testo decisamente avanzato. Domenico Tosato – Economia dell’Organizzazione Industriale, a.a. 2009-10 – Dispense per gli studenti 19 attribuiamo convenzionalmente un prezzo unitario e la cui quantità indichiamo con m, ossia la quantità di moneta destinata al suo acquisto.18 Possiamo perciò definire il problema di scelta di un generico consumatore i come scelta di un paniere xi , mi costituito dalla quantità xi del bene x e dalla quantità mi di moneta destinata all’acquisto di tutti gli altri beni. Supponiamo, quindi, tenuto conto delle caratteristiche della moneta, la cui utilità marginale viene usualmente considerata costante, che la funzione di utilità del consumatore U i xi , mi sia separabile, additiva e lineare nella quantità di moneta19 Ui xi , mi (3.26) ui xi mi e con utilità marginale del bene x positiva e decrescente – in termini analitici: u xi u xi 0 e 0 . Il consumatore razionale sceglie il paniere ottimale risolvendo il problema di massimizzazione della funzione di utilità (3.26) sull’insieme di bilancio (3.27) pxi mi Ri e sotto il vincolo di non negatività delle quantità xi e mi . Indichiamo con il termine di vincolo di bilancio l’insieme dei panieri che soddisfano la relazione (3.27) con il segno di uguaglianza. Ri rappresenta la ricchezza del consumatore derivante dai redditi dei fattori produttivi, dal valore dei beni posseduti e dalle quote di proprietà delle imprese. Essendo dati i prezzi degli altri beni e dei fattori produttivi, prendere Ri come dato richiede di escludere dalla dotazione di beni del consumatore quantità del bene x e quote di proprietà delle imprese che lo producono, in modo da evitare il verificarsi di effetti di retroazione da eventi che hanno origine nel mercato del bene x sul reddito. Si noti, con riferimento ai possibili effetti di retroazione derivanti dalla distribuzione di utili delle imprese che producono il bene x, che in equilibrio di lungo periodo, che esamineremo nel paragrafo successivo, i profitti delle imprese sono nulli. Come è noto, la scelta ottimale è determinata dalla condizione di uguaglianza tra il saggio marginale di sostituzione e il rapporto fra i prezzi dei beni e dall’appartenenza del paniere prescelto al vincolo di bilancio.20 Notiamo che, per effetto delle ipotesi contenute nella funzione di utilità (3.26), il saggio marginale di sostituzione assume una forma particolarmente semplice: è infatti uguale all’utilità marginale del bene xi , che abbiamo supposto positiva e decrescente, dato che l’utilità marginale della moneta è uguale ad uno 18 Sarebbe tecnicamente più corretto chiamare questo bene composito bene numerario, ossia bene in termini del quale vengono determinati i prezzi di tutti gli altri beni, precisamente il prezzo p del bene di consumo x e i prezzi w dei fattori produttivi. 19 Questo insieme di ipotesi, pur non essendo essenziale, facilita notevolmente la derivazione delle conclusioni. 20 Ignoriamo, per semplicità, i problemi derivanti dalla possibilità che la condizione di non negatività sia vincolante per uno dei beni del paniere e diamo per acquisito che la scelta ottimale si trovi in un punto interno del vincolo di bilancio. Domenico Tosato – Economia dell’Organizzazione Industriale, a.a. 2009-10 – Dispense per gli studenti 20 (3.28) UMAi xi SMSi UMAi mi UMAi xi Ponendo ora tale saggio marginale di sostituzione uguale al rapporto fra i prezzi, che è pari al prezzo del bene x dato che il prezzo della moneta è stato posto uguale ad uno, otteniamo (3.29) UMAi xi p Risolvendo la (3.29) per xi e il vincolo di bilancio per mi ricaviamo le funzioni di domanda (3.30) xi xi p (3.31) mi Ri pxi Supponendo verificate le condizioni di non negatività della soluzione, osserviamo che la domanda del bene x non dipende dalla ricchezza del consumatore, ma unicamente dal prezzo del bene. 21 Ma c’è un aspetto ancora più significativo della soluzione, che possiamo leggere direttamente dalla (3.29). L’utilità marginale rappresenta il beneficio marginale che il consumatore attribuisce al consumo della quantità xi , ovvero il prezzo che il consumatore è disposto a pagare per ottenere la quantità xi . Ciò significa che l’utilità marginale rappresenta il prezzo di domanda del consumatore. La (3.29) implica perciò che un consumatore razionale deve uguagliare il prezzo di domanda, che è una grandezza soggettiva, diversa in linea di principio da consumatore a consumatore, al prezzo di mercato, che è invece una grandezza oggettiva, uguale per tutti i consumatori. Possiamo a questo punto ricavare per somma delle domande individuali la domanda di mercato del bene x, che è I (3.32) x xi p x p i 1 Notiamo che, in generale, la quantità domandata da un consumatore è diversa da quella domandata da un altro consumatore. Questa diversità deriva dal fatto che ogni consumatore ha una funzione di utilità diversa dagli altri; in particolare, è diversa la sua utilità marginale del bene x. Ma ogni consumatore, che è confrontato con il medesimo prezzo di mercato, determina la sua quantità domandata uguagliando il suo prezzo di domanda al prezzo di mercato che, come già sottolineato, è uguale per tutti i consumatori. L’offerta di mercato. 21 L’ipotesi di non negatività della soluzione richiede che la domanda del bene x sia piccola rispetto alla ricchezza del consumatore. Questa circostanza spiega perché abbiamo fatto proprio questa ipotesi quando nel paragrafo 3.2 abbiamo esaminato le condizioni di validità dell’approccio di equilibrio parziale. Qui il risultato è in un certo senso ancora più forte perché la domanda del bene x dipende dal solo prezzo e non dalla ricchezza. Domenico Tosato – Economia dell’Organizzazione Industriale, a.a. 2009-10 – Dispense per gli studenti 21 Il procedimento usuale per determinare la funzione di offerta di una singola impresa richiede che venga preliminarmente definita la funzione di costo attraverso la scelta della combinazione ottima dei fattori produttivi e successivamente determinata la quantità di output che massimizza il profitto. Seguiamo questo stesso procedimento con gli adattamenti richiesti dalla struttura del modello prescelto. Supponiamo che la tecnologia di ogni impresa appartenente all’industria considerata sia rappresentabile mediante una funzione di produzione continua, la quale descrive la quantità massima di output ottenibile dall’impiego delle quantità z k dei K input. Il problema della minimizzazione del costo, in termini di numerario,22 per l’acquisto dei fattori produttivi sotto il vincolo della tecnologia è definito da: K (3.33) min z jk wk z jk k 1 t.c. q j f j z j1, z j 2 ,..., z jK La soluzione di tale problema è costituita dalle domande dei fattori produttivi condizionate dalla quantità di output (3.34) z jk z jk q j ; w e dalla definizione della funzione di costo K (3.35) Cj qj;w wk z q j ; w k 1 Notiamo che, per l’ipotesi di analisi di equilibrio parziale, i prezzi di tutti gli input zk possono considerarsi dati; possiamo quindi esprimere la dipendenza del costo dalla sola quantità prodotta. Supponiamo, infine, che la funzione di costo presenti costo marginale sempre positivo e crescente. Possiamo ora formulare il problema della massimizzazione del profitto come ricerca della quantità prodotta che massimizza la differenza fra ricavi e costi (3.36) max qj 0 qj; p pq j C j q j La condizione di massimo è naturalmente data dall’uguaglianza fra prezzo e costo marginale23 22 Ossia del bene composito moneta. 23 La condizione del secondo ordine per un massimo è soddisfatta grazie all’ipotesi che il costo marginale sia crescente. Se la funzione del costo marginale presenta un primo tratto decrescente e diviene successivamente crescente, la condizione di secondo ordine è verificata solo in questo secondo tratto della funzione. Domenico Tosato – Economia dell’Organizzazione Industriale, a.a. 2009-10 – Dispense per gli studenti 22 CMAj q j (3.37) p da cui si ricava la funzione di offerta dell’impresa24 qj (3.38) qj p L’offerta di mercato è quindi definita per somma delle offerte individuali J q (3.39) qj p q p j 1 Notiamo che il costo marginale rappresenta il prezzo al quale l’impresa è disposta ad offrire la quantità q j . La condizione di massimo profitto (3.37) richiede quindi che l’impresa uguagli il suo prezzo di offerta al prezzo di mercato. Ciò significa che l’output dell’industria, definito dalla funzione di offerta (3.39), è determinato in modo che in corrispondenza di qualsiasi prezzo di mercato tutte le imprese uguagliano il costo marginale al prezzo. Equilibrio competitivo. Posiamo ora definire in modo più compiuto la nozione di equilibrio parziale perfettamente competitivo. Definizione 3.4. Un equilibrio parziale perfettamente competitivo è un’allocazione di quantità consumate e di quantità prodotte x1,..., xI ; q1,..., qJ ed un prezzo p che soddisfano le seguenti condizioni: i) le quantità q j massimizzano i profitti delle imprese al prezzo p ; ii) le quantità xi massimizzano l’utilità dei consumatori al prezzo p , date le ricchezze Ri ; I iii) il mercato è in equilibrio: i 1 xi J qj . j 1 Confrontando tale definizione con la precedente definizione 3.1 emerge immediatamente l’elemento nuovo: non si richiede più solamente che le quantità di equilibrio appartengano alle funzioni di domanda e di offerta di mercato al prezzo di equilibrio, ma che al prezzo di equilibrio le quantità domandate e offerte dai singoli agenti massimizzino le rispettive funzioni obiettivo. 3.7. Proprietà allocative del modello dell’equilibrio parziale: b) le grandezze individuali 24 Per l’ipotesi che il costo marginale sia sempre positivo e crescente segue che la curva del costo marginale è sempre al di sopra della curva del costo medio variabile. La condizione di entrata di breve periodo è pertanto sempre verificata. Domenico Tosato – Economia dell’Organizzazione Industriale, a.a. 2009-10 – Dispense per gli studenti 23 Il modello di equilibrio presentato nel paragrafo precedente consente di cogliere in modo più preciso il significato del concetto di efficienza allocativa e di dare una indicazione delle problematiche poste dal criterio dell’equità distributiva. Nello schema teorico fondato sullo studio delle sole grandezze aggregate di mercato, abbiamo collegato il concetto di efficienza allocativa alla risposta alla seguente domanda: la quantità prodotta dall’industria è quella socialmente desiderabile? Abbiamo risposto a tale domanda ponendo come condizione di efficienza allocativa che il beneficio marginale sociale della produzione coincida con il costo marginale della medesima. Abbiamo, infine, concluso che l’allocazione competitiva è efficiente in assenza di esternalità e di asimmetrie informative, perché in tal caso le grandezze marginali private coincidono con le grandezze marginali sociali. Ora il ragionamento in termini di grandezze di mercato non è più sufficiente. Non basta che la quantità complessiva sia quella socialmente desiderabile, è anche necessario che non sia possibile accrescere il benessere di qualche consumatore mediante una redistribuzione dei consumi e delle produzioni. Il concetto di efficienza allocativa va quindi riferito direttamente al beneficio dei destinatari finali del processo produttivo: i consumatori. Iniziamo con il definire un’allocazione fattibile, o realizzabile, per passare poi alla presentazione del concetto di efficienza in senso Paretiano. Definizione 3.5. Data la quantità complessivamente prodotta, un’allocazione x1,..., xI ; q1,..., qJ è fattibile se I J xi (3.40) i 1 qj j 1 Il concetto di fattibilità richiede quindi che le quantità consumate non eccedano la disponibilità del bene. Definizione 3.6. Un’allocazione x1,..., xI ; q1,..., q J è efficiente in senso Paretiano se non esiste un’altra allocazione fattibile x1,..., xI ; q1,..., qJ che consente di accrescere il benessere di un consumatore senza peggiorare la situazione di nessun altro consumatore. Questa definizione di efficienza allocativa, dovuta all’economista Italiano Vilfredo Pareto, è densa di implicazioni che vanno approfondite. Prima di tutto, come va determinato il “benessere di un consumatore”? Nella definizione di efficienza paretiana il benessere è determinato dal livello di utilità reso possibile dalla quantità del bene assegnata al consumatore: considerando per il momento il solo beneficio che il consumatore ottiene dal consumo della bene x, dall’utilità ui xi . Due aspetti di questo approccio meritano di essere sottolineati. Primo, il benessere del consumatore è misurato meramente in termini di disponibilità di beni; sono esclusi elementi importanti quali la salute, l’ambiente in cui uno vive, e così via. Secondo, il consumatore è ritenuto il miglior giudice del proprio benessere, anche se il Domenico Tosato – Economia dell’Organizzazione Industriale, a.a. 2009-10 – Dispense per gli studenti 24 bene considerato fosse un bene nocivo per la salute. Vale in sostanza in questa determinazione della nozione di benessere il principio della sovranità del consumatore, nel senso che la bontà dell’allocazione va valutata dal consumatore, come destinatario finale dell’attività produttiva. Chiediamoci, in secondo luogo, perché la definizione paretiana esclude dalla possibilità di comparazione allocazioni che conducano a peggiorare la situazione – ma ora possiamo dire, con maggior precisione, a diminuire l’utilità – di un altro consumatore? Questa limitazione del concetto di efficienza paretiana trova origine nel convincimento che l’utilità è una grandezza intrinsecamente soggettiva e pertanto non confrontabile da individuo ad individuo. Ne deriva, in assenza di ulteriori criteri, l’impossibilità di effettuare confronti interpersonali di utilità. Secondo l’approccio paretiano, l’analisi economica deve perciò fermarsi di fronte a questo tipo di problemi e lasciare il posto a valutazioni di diverso ordine, che vedremo più avanti. Per la determinazione delle condizioni analitiche affinché un’allocazione sia efficiente in senso paretiano torniamo alla linea di ragionamento svolto nel paragrafo 3.4, in cui abbiamo affermato che obiettivo del pianificatore benevolo è la massimizzazione del surplus netto sociale. Abbiamo in quella sede definito verbalmente, ma non analiticamente, il concetto di surplus netto sociale ed individuato la condizione per il raggiungimento di tale obiettivo, condizione che è rappresentata dall’uguaglianza fra beneficio marginale sociale e costo marginale sociale. Ora possiamo completare il nostro studio del problema dando una definizione analitica di surplus netto sociale derivante dal consumo e dalla produzione del bene x e collegare il criterio dell’efficienza paretiana alla massimizzazione del surplus netto sociale. Abbiamo visto che il surplus netto sociale esprime il beneficio netto che i consumatori derivano dallo scambio. Il beneficio lordo dei consumatori è rappresentato dalla somma delle utilità del consumo a fronte del quale sta il costo delle risorse necessarie per produrre il bene, che è dato dalla somma dei costi di produzione delle imprese produttrici. Il beneficio netto sociale è pertanto definito dall’espressione (3.41) Questa grandezza rappresenta l’utilità complessiva generata dalla produzione del bene x al netto del suo costo di produzione. Poiché il costo di produzione è, come abbiamo visto, espresso in unità di numerario, il termine rappresenta la quantità degli altri beni che i consumatori debbono sacrificare per poter disporre della quantità Definizione 3.7. L’allocazione del bene x. x1,..., xI ; q1,..., q J è efficiente in senso Paretiano se massimizza il surplus netto sociale (3.41) e quindi se sono soddisfatte le seguenti condizioni marginali (3.42) (3.43) (3.44) Domenico Tosato – Economia dell’Organizzazione Industriale, a.a. 2009-10 – Dispense per gli studenti 25 Il senso di queste condizioni è chiaro. La massimizzazione del surplus netto sociale (3.41) richiede che le utilità marginali di tutti i consumatori siano uguali, che i costi marginali di tutte le imprese siano anche uguali ed, infine, che le utilità marginali dei consumatori siano uguali ai costi marginali delle imprese. Queste condizioni implicano che non è possibile accrescere il benessere di un consumatore senza peggiorare quello di almeno un altro consumatore mediante una riallocazione della quantità prodotta fra i consumatori, fra le imprese produttrici e fra il consumo del bene x e quello di tutti gli altri beni. Quest’ultimo, infatti, è il senso economico della condizione (3.44): il sacrificio marginale della rinuncia a disporre di tutti gli altri beni deve essere uguale al beneficio marginale derivante dalla disponibilità del bene in esame. Abbiamo così aggiunto due elementi importanti al nostro studio dell’efficienza allocativa passando dalla considerazione delle sole grandezze aggregate a quella delle grandezze individuali di consumo e di produzione. Questi due elementi sono: uguaglianza del beneficio marginale conseguito dal consumo del bene x da ogni consumatore e uguaglianza del costo marginale sostenuto da tutti i produttori del bene; nonché impossibilità di migliorare la posizione di almeno un consumatore modificando la distribuzione delle risorse fra la produzione del bene x e quella di tutti gli altri beni, rappresentati dal bene composito m. Si noti che per ottenere questi risultati abbiamo dovuto estendere in modo significativo la nostra analisi: abbiamo, in realtà, dovuto costruire un piccolo modello di equilibrio economico generale a due beni: il bene x e i bene composito m. La particolarità della funzione di utilità scelta ci ha consentito di fissare l’attenzione sulla produzione e il consumo del solo bene x. Ma il criterio dell’efficienza paretiana impone attraverso la (3.44) di tener conto anche degli altri beni. Definito il concetto di efficienza allocativa in senso paretiano torniamo alla configurazione di equilibrio parziale competitivo. Definizione 3.8. (Primo teorema dell’economia del benessere) In assenza di esternalità e asimmetrie informative, l’allocazione di equilibrio parziale competitivo è Pareto efficiente. Abbiamo visto che nella configurazione di equilibrio competitivo ogni consumatore uguaglia il suo prezzo di domanda al prezzo di equilibrio; ma il prezzo di domanda esprime l’utilità marginale del bene. Nella configurazione di equilibrio si realizza pertanto l’uguaglianza delle utilità marginali di tutti i consumatori, che rappresenta appunto la condizione (3.42) di efficienza paretiana nel consumo.25 Abbiamo ugualmente visto che nella configurazione di equilibrio ogni impresa uguaglia il suo costo marginale, o prezzo di offerta, al prezzo di mercato, che è unico per tutte le imprese; ne segue che anche la condizione (3.43) di efficienza paretiana nella produzione è verificata. Sappiamo, da ultimo, che nella configurazione di equilibrio competitivo il prezzo di domanda coincide con il prezzo di offerta e perciò risulta soddisfatta pure la condizione (3.44). 25 Nell’ipotesi di funzione di utilità quasi lineare adottata con la relazione (3.26), l’utilità marginale del bene coincide con il saggio marginale di sostituirne fra questo bene e il bene composito moneta. La condizione di efficienza paretiana può quindi esser formulata in termini più generali come uguaglianza dei saggi marginali di sostituzione di tutti i consumatori. Domenico Tosato – Economia dell’Organizzazione Industriale, a.a. 2009-10 – Dispense per gli studenti 26 Passiamo ora ad esaminare il criterio dell’equità distributiva. Il benessere dei consumatori non dipende dalla sola quantità consumata del bene x, ma anche dalla quantità di moneta destinata all’acquisto di tutti gli altri beni di consumo, come indicato nella funzione di utilità (3.26). Le scelte massimizzanti del consumatore sono naturalmente soggette al rispetto del vincolo di bilancio. Tenuto conto del fatto che è definito dalla (3.27) sostituendo il segno di disuguaglianza debole con quello di uguaglianza stretta, possiamo utilizzare il vincolo di bilancio per sostituire per m nella funzione di utilità. Otteniamo (3.45) La relazione (3.45) mostra che il benessere del consumatore non dipende unicamente dal beneficio netto derivante dal consumo del bene x, ma anche dalla sua ricchezza ed è tanto maggiore quanto più elevata la sua ricchezza. L’eventuale disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza incide quindi sulla distribuzione del benessere dei consumatori. Il criterio dell’efficienza allocativa si dichiara esplicitamente inidoneo a pronunciarsi in merito al problema dei possibili dislivelli di benessere derivanti da una disuguale distribuzione della ricchezza. Valutazioni riguardo alla distribuzione della ricchezza richiedono di effettuare giudizi interpersonali di utilità, tassativamente esclusi dalla nozione di efficienza paretiana. Si tratta infatti di decidere se è socialmente desiderabile togliere qualche cosa a qualcuno per darla a qualcun altro; se è socialmente desiderabile diminuire il benessere di qualcuno per accrescere il benessere di un altro consumatore. Nelle società in cui viviamo, tali valutazioni sono effettuate di continuo; si riflettono nelle decisioni di spesa pubblica e tassazione, che sono potenti mezzi di redistribuzione del benessere, non soltanto in termini di modificazione della distribuzione della ricchezza monetaria, ma anche in termini di servizi offerti gratuitamente a parte della popolazione. Nel modello in esame, gli interventi di redistribuzione operano direttamente ed esclusivamente sulla ricchezza. Gli interventi di redistribuzione sono dunque il frutto di decisioni sostanzialmente pubbliche, rispetto alle quali l’economista come tale, ma non come privato cittadino, non ha titolo particolare ad esprimersi.26 Interventi di redistribuzione sono guidati da valutazioni di equità distributiva, che rappresenta pertanto il secondo fondamentale criterio in base al quale esprimere un giudizio in merito all’allocazione delle risorse realizzata in un’economia di mercato. Come già sottolineato, un’economia perfettamente competitiva realizza, in assenza di esternalità e asimmetrie informative, un allocazione Pareto efficiente, ma non necessariamente equa, dato che la distribuzione della ricchezza dipende in modo rilevante dalle condizioni di partenza dei diversi individui. 3.8. Equilibrio competitivo di lungo periodo 26 Questa affermazione va qualificata nel senso che la disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza e del reddito può in talune circostanze, e secondo talune formulazioni teoriche, incidere attraverso il consumo e il risparmio aggregato sull’equilibrio macroeconomico e sul tasso di crescita dell’economia. Domenico Tosato – Economia dell’Organizzazione Industriale, a.a. 2009-10 – Dispense per gli studenti 27 Nella configurazione di equilibrio di breve periodo, il numero delle imprese è dato, così come la loro tecnologia. Questo significa che al prezzo di equilibrio alcune imprese potrebbero conseguire extra profitti e altre non essere in grado di coprire i costi fissi. La condizione di libertà di entrata e di uscita, che caratterizza il regime della concorrenza perfetta, è incompatibile con tale situazione nel lungo periodo. Dall’ipotesi di perfetta informazione sulle condizioni del mercato discende la possibilità per tutte le imprese di imitare la tecnologia dell’impresa più efficiente, di entrare o di uscire dal mercato in risposta all’incentivo del profitto. Supponiamo, per costruire un equilibrio di lungo periodo, oltre all’ipotesi di prezzi dati di tutti gli altri beni L 1 di consumo e di tutti i K input produttivi, che vi sia un numero potenzialmente molto grande di imprese che hanno tutte accesso alla medesima tecnologia di lungo periodo C q j , con la proprietà C 0 0 . Questo implica che i profitti di restare fuori dal mercato, ossia di non produrre, sono nulli. Definizione 3.9. Data la funzione di domanda di mercato x x p e la funzione di di tutte le imprese potenzialmente attive nell’industria, un equilibrio parziale competitivo di lungo periodo è costituito da una terna di grandezze q j , p, J costo C q j tali che: i) q j massimizza i profitti di ogni impresa al prezzo p ; ii) il mercato è in equilibrio: x p Jq j ; iii) è verificata la condizione di assenza di entrata perché i profitti sono nulli: pq j C q j . L’assenza di profitti implica che ogni impresa produce in corrispondenza del punto di costo totale medio minimo. La funzione di offerta di lungo periodo dell’industria è pertanto orizzontale. Il numero delle imprese, da approssimarsi all’intero più vicino che soddisfa la condizione ii) della Definizione 2.7, è finito solo se la tecnologia considerata ammette una scala minima efficiente di produzione. Per illustrare il senso della condizione di entrata, svolgiamo un esercizio di statica comparata con l’aiuto delle Figg. 3.10.a e 3.10.b: nella prima è rappresentata la posizione del mercato, nella seconda quella di un’impresa rappresentativa. Siano D ed S le curve della domanda e dell’offerta di breve periodo; sia E la posizione iniziale di equilibrio, che supponiamo di lungo periodo, e q j la quantità prodotta da ogni impresa, con profitti nulli. Supponiamo che intervenga uno shock che trasla la domanda in aumento, da D a D’. Nel breve periodo, la posizione di equilibrio si sposta nel punto di incontro E’ della nuova domanda D’ e della funzione di offerta di breve periodo S: il prezzo di equilibrio sale da p a p . Corrispondentemente la produzione di ogni impresa aumenta da q j a q . Si verifica ora una differenza positiva fra prezzo e costo medio totale; ogni impresa ottiene dei profitti, in realtà degli extra profitti. Questa circostanza induce altre imprese ad entrate nel mercato con una conseguente traslazione in aumento della funzione di offerta da S a S’. L’equilibrio Domenico Tosato – Economia dell’Organizzazione Industriale, a.a. 2009-10 – Dispense per gli studenti 28 si sposta da E’ ad E’’; il prezzo di equilibrio diminuisce e si riducono i profitti. Il processo di entrata continua finché permangono degli extra profitti. Si arresta solo quando il prezzo ritorna al livello iniziale p nella posizione di equilibrio E , ossia quando la funzione di offerta ha subito per effetto dell’entrata di nuove imprese, ognuna delle quali produce la quantità q j , una traslazione in S . p p D D p p p E p p p p S S p E S CMA p CMET p p p E pE p qj X ,Q Figura 3.10a Equilibrio di mercato di lungo periodo qj qj Figura 3.10b Produzione della singola impresa Esercizio In un mercato perfettamente competitivo sono presenti I domanda xi 10 p . Nel medesimo mercato operano J di costo : CMA j 2q j , CMEV j q j e CF j 49 consumatori tutti uguali con funzione di 40 imprese tutte uguali con le seguenti funzioni 9 1. Determinare le funzioni individuali di breve e di lungo periodo. 2. Determinare l’equilibrio parziale perfettamente competitivo di breve e di lungo periodo. 3. Determinare il surplus netto sociale. 4. Determinare la perdita di surplus netto sociale derivante dall’imposizione di una tassa t 1 per unità prodotta nella situazione di equilibrio di breve periodo. Svolgimento 1.Cominciamo con il determinare la funzione di offerta di breve e di lungo periodo dell’impresa j. Due sono le condizioni che devono essere soddisfatte: i) la condizione di massimizzazione del profitto: p CMA j ; ii) la condizione che sia conveniente produrre: nel breve periodo p CMEV j ; nel lungo periodo p CMET j . Dalla condizione di massimizzazione del profitto p 2q j ricaviamo Domenico Tosato – Economia dell’Organizzazione Industriale, a.a. 2009-10 – Dispense per gli studenti 29 (E.1) qj 1 p. 2 che esprime la relazione fra prezzo di mercato, che l’impresa assume come dato, e quantità prodotta nell’ipotesi che per l’impresa sia conveniente produrre. Dobbiamo ora verifica questa seconda condizione, e precisamente che il prezzo non sia inferiore al costo medio variabile, ossia p q j ; tendo presente che l’impresa che massimizza i profitti determina la sua quantità prodotta secondo quanto indicato dalla (E.1), otteniamo (E.2) p 1 p 2 che è ovviamente sempre verificata. Ne segue che la funzione di offerta di breve periodo è (E.3) 1 p per p 0 . 2 qj p Dalla condizione che il prezzo non sia inferiore al costo medio totale otteniamo (E.4) CF j p CMEV j qj qj 9 qj Tenuto conto della (E.1), si ha (E.5) p 1 p 2 9 p p 36 1 2 e quindi (E.6) Prendendo la radice positiva, possiamo ricavare la funzione di offerta di lungo periodo (E.7) 0 per p 6 p per p 6 qj p 1 2 2. La funzione di offerta di breve periodo dell’industria si ottiene per somma delle funzioni di offerta delle singole imprese. Si ha quindi 42 (E.8) 1 2 q p 21 p per p 0 j 1 La domanda di mercato, ricavata di nuovo per somma delle domande individuali, è 49 (E.9) x 10 p 490 49 p i 1 Uguagliando domanda ed offerta otteniamo la soluzione di equilibrio p 7 e x q 147 (E.10) Domenico Tosato – Economia dell’Organizzazione Industriale, a.a. 2009-10 – Dispense per gli studenti 30 Al prezzo di equilibrio ogni consumatore domanda xi 3 ed ogni impresa produce q j 3.5 . L’equilibrio competitivo di lungo periodo è caratterizzato dall’assenza di extra profitti. Questo significa che il prezzo di equilibrio deve essere p 6 . A questo prezzo ogni impresa produce la quantità q j 3 . Al prezzo di equilibrio p 6 , la quantità domandata dai consumatori è x 196 . Questo significa che nell’equilibrio di lungo periodo il numero delle imprese è di circa 65. 3. Il surplus netto dei consumatori è rappresentato dall’area sotto la curva della domanda (E.11) SNC 1 (10 2 7)147 220.5 mentre il surplus netto dei produttori è (E.12) SNP 1 2 7 0 147 514.5 Il surplus netto sociale è pertanto (E.13) SNS SNC 220.5 514.5 735. SNP 4. La tassa sulla quantità prodotta inserisce un cuneo fra prezzo di domanda e prezzo di offerta. Introducendo tale distinzione il modello di equilibrio di mercato è (E.14) x 490 49 p D (E.15) q 21 p S (E.16) x q (E.17) pD pS t pS 1 Risolvendo ricaviamo la seguente soluzione di equilibrio (E.18) p S * 6.3; p D * 7.3; x* q* 132.3 La perdita si surplus netto sociale può essere agevolmente determinata calcolando l’area del triangolo AEB della Fig. 3.8 della dispensa. La perdita, ossia la variazione negativa di surplus netto sociale, è (E.19) SNS 1t 2 q* q 1 2 1 132.3 147 7.35 . Domenico Tosato – Economia dell’Organizzazione Industriale, a.a. 2009-10 – Dispense per gli studenti 31