L`omosessualità in Italia http://www.akra.it/amis/schede.asp?id

L’omosessualità in Italia
http://www.akra.it/amis/schede.asp?id=8&idsch=189
In Italia il movimento omosessuale per la parità di diritti ha una storia assai recente e risale al
periodo della contestazione giovanile e dell'affermazione di altre minoranze prima escluse o
marginalizzate, quali le donne. Il percorso di integrazione sociale è in ritardo rispetto ad altri
Stati proprio a causa della relativa accettazione del fenomeno omosessuale e della sua
repressione sociale più che penale, mentre nei paesi protestanti, dove i divieti sono più rigidi, i
gay si muovono in rivendicazione dei propri diritti ben prima, già nell’Ottocento. Unica
eccezione nel panorama italiano è il pioniere per la lotta antiomosessuale Aldo Mieli (18751950), solo italiano presente nel 1921 al primo congresso internazionale per la riforma
sessuale, e che dà vita alla "Rassegna di studi sessuali" (1921-1928) dedicata al problema. A
differenza della Germania, non c'è in Italia un particolare timore per il contagio
dell’omosessualità, dato che non esiste alcun "Männerbund", una società di maschi intesa
come gruppo accomunato da forti vincoli personali - questo perché tutta la società italiana è
maschilista e dominata dall'uomo. Tuttavia, anche in Italia è grande l'influenza delle teorie di
Otto Weiniger ("Sesso e carattere" viene tradotto nel 1913, dieci anni dopo l'edizione tedesca)
e il fascismo ne condivide le idee di superiorità maschile e di ossequio della rispettabilità, in
nome della quale gli omosessuali possono rappresentare una devianza fastidiosa.
La legislazione antiomosessuale
Al pari degli altri Paesi cattolici e a differenza dei Paesi protestanti, la legislazione italiana
preferisce il silenzio alla persecuzione, l'autorepressione indotta attraverso codici
comportamentali e usi sociali più che la repressione aperta: il risultato è egualmente efficace
senza dover apparire brutali o creare scandali, semplicemente tacendo il problema - in questo
caso l'omosessualità - inducendolo a contenersi o perlomeno a restare nascosto. Il codice
penale italiano unitario del 1861, estensione della legislazione del regno di Sardegna, penalizza
gli atti omosessuali tranne che nell'ex Regno delle due Sicilie, dove l’articolo 425 viene
abrogato. Il successivo codice Zanardelli del 1889, primo creato appositamente per lo Stato
italiano e volto a eliminare le discrepanze e le difformità, depenalizza in tutto il Paese gli atti
omosessuali tra adulti consenzienti: lo Stato non si occupa di omosessualità, delegando il
potere repressivo alla Chiesa cattolica, il cui metodo è l'indulgenza quando l'omosessuale è
discreto e non desta scandalo, o l'induzione all'autorepressione attraverso il senso di colpa, o
ancora l'esclusione dalla comunità nel caso di omosessuali conclamati che non nascondono il
loro orientamento 'anormale' e che diano scandalo. Questo non significa che il fascismo, salito
al potere nel 1922 con la cosiddetta 'marcia su Roma' di Benito Mussolini (1883-1945), non
prenda provvedimenti contro i "femmenella", come vengono chiamati gli omosessuali, in parte
tollerati e in parte puniti, sebbene non esista alcuna legge preposta ma solo il "Testo Unico di
Polizia" del 1926 e il successivo del 1931 - il cui vantaggio è garantire a prefetti, questori,
rappresentanti della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, carabinieri, ampia possibilità
di manovra in assenza di prove concrete, denunce e processi, e allo stesso tempo punire un
crimine che ufficialmente neppure esiste, in ossequio al codice morale che regola la vita degli
italiani, la rispettabilità. Forse proprio per questo, la diffida e l'ammonizione (due forme di
sorveglianza speciale: un richiamo a voce la prima, una specie di arresti domiciliari la seconda)
sono comminate più del confino, mentre i metodi preferiti dagli squadristi fascisti sono quelli
sommari e diretti dei pestaggi e dell'olio di ricino.
La rispettabilità nel codice Rocco
Dopo un lungo dibattito (che ricorda quello tedesco degli stessi anni, ma con intenti opposti)
avviato nel 1927 con la bozza del nuovo codice penale, i legislatori decidono di non inserire
l'articolo 528 che introdurrebbe la penalizzazione degli atti omosessuali: reclusione da tre mesi
a sei anni per atti tra adulti, e fino a cinque anni se con minori, o in caso di prostituzione o di
reiterazione del reato - come nel codice sabaudo, anche qui sempre a condizione che gli atti in
questione creino scandalo, in ossequio al tacito accordo sociale della moralità pubblica e del
perbenismo. Dunque, il fascismo non introduce leggi restrittive, pur perseguendo gli
omosessuali, e il nuovo codice Rocco del 1931 non nomina neppure il vizio contro natura:
scegliere il silenzio comporta non ammettere che vi sia un problema, e la tendenza piccoloborghese del fascismo porta a negare l'esistenza sconveniente di persone non eterosessuali; gli
omosessuali non hanno una loro identità di gruppo, non esistono neppure, semmai esistono
singoli casi di persone che commettono atti contro la morale. In questo, l'omofobia fascista è
del tutto diversa da quella nazista: l'omosessualità non è un contagio e l'omosessuale non è
genericamente degenerato, ma un individuo sessualmente passivo che con la sua condotta
suscita scandalo.
La repressione degli omosessuali durante e dopo il fascismo
La repressione sotto il fascismo è attiva: senza bisogno di processi, a propria discrezione la
polizia può intimidire, picchiare, ammonire, diffidare o mandare al confino persone che
presumibilmente turbano la moralità. Prima del 1936, gli omosessuali appaiono tra i processati
per reati comuni e qualcuno finisce al confine politico a Ustica o a Lampedusa, poi sono
mandati al confino politico - dal 1936 sulla scia delle leggi razziali tedesche del 1935, e in
particolare dopo l'introduzione della legislazione razziale italiana, nel 1938 - come 'detenuti
politici', ma questo provvedimento troppo costoso e dal meccanismo burocratico lento dura
solo tre anni, dopo i quali i confinati sono rimandati a casa e tenuti sotto controllo; da allora
alla fine della guerra gli omosessuali rientrano nella categoria dei 'detenuti comuni'. Il
meccanismo in base al quale una persona ritenuta omosessuale viene inviata al confino
politico piuttosto che a quello comune, ad ogni modo, non è chiara. Le questure di Vercelli e di
Verona sono solerti nella repressione dell’omosessualità, ma si distingue nella sua opera
moralizzatrice contro i 'pederasti' soprattutto il questore di Catania, Molina che nel 1939
inaugura una campagna personale contro gli omosessuali, dichiarati socialmente pericolosi quasi la metà degli omosessuali italiani mandati al confino sono passati nelle sue mani. Tra i
luoghi in cui gli omosessuali sono confinati, oltre a San Domino delle isole Tremiti, Ustica, e
Ventotene, si ricorda il comune sardo di Carbonia - creato dalla dittatura e dove il lavoro dei
prigionieri è sfruttato in miniera. Diverso, come in Germania, il caso delle lesbiche: esse
incorrono più che altro in sanzioni morali e sociali, sono emarginate, magari arrestate,
perseguite con motivazioni pretestuose quali supposte malattie mentali. Particolarmente
accaniti nella denuncia del lesbismo sono preti e psichiatri: dato che l'omosessualità femminile
non è perseguibile penalmente, la stigmatizzazione delle lesbiche avviene decretandole malate
di nervi (isteriche). Anche in Italia, come in Germania, la società fortemente maschilista lascia
agli uomini, anche omosessuali, maggiore spazio di movimento. Dopo il 1945, la restaurazione
della moralizzazione da parte della chiesa cattolica impedisce per decenni l'accettazione
sociale degli omosessuali; anche a livello legislativo vi sono negli anni Sessanta alcuni progetti
di legge per la penalizzazione dell'omosessualità, ma non vengono presi in considerazione dai
governi guidati dalla Democrazia Cristiana in ossequio alla tradizionale repressione non
appariscente.