SANTA MARIA DI BANZI Santa Maria’s abbey is the most important of monastic construction in Basilicata, as historical-artistic and architectonic value. It dated back to 798, when Prince of Longobards Grimoaldo III, by an deed of gift, submited to Montecassino’s abbey. During the course the ages, Benedictines were replaced by Augustinians and, at last, by Franciscans, wich produced architectonic trasformations to original establishement, according to their own necessity. Today, Santa Maria’s abbey is a direct witness of medioeval and eighteenth century architecture, tipical of monasteries. …..“A sud di Palazzo si estende la vasta e magnifica foresta di Banzi, il saltus Bantini di Orazio che fu per lungo tempo il classico rifugio dei briganti… …La foresta di Banzi deve il suo antico appellativo di saltus bantinos a Bantia, città situata nell’Apulia secondo Tito Livio e Acrone, ma che Plinio annovera invece nella Lucania”1...È così che l’archeologo F. Lenormant, nel 1883, nel suo girovagare in Puglia e in Basilicata si imbatte nel centro abitato di Banzi. Questi pochi versi ci indicano come il nome Banzi ha insito dentro di sé origini sicuramente antichissime e importanti. È ormai lontano il tempo in cui Banzi era associata ad un mucchio di case sorte dal nulla su un terreno povero e privo di importanza, un centro qualsiasi e insignificante. Oggi il nome Banzi è automaticamente associato all’antica abbazia benedettina di Santa Maria; un monumento di altissimo valore storico-artistico ed architettonico, forse uno dei più importanti di tutta la Basilicata. Testimonianze scritte di quando e come il monumento sia nato mancano, ma di certo sappiamo che esso è sorto sulle rovine dell’antica Bantia, che nel II sec. a.C. fu elevata a municipium romano, la cui giurisdizione si estendeva su una vasta zona che comprendeva i territori degli odierni comuni di Banzi, Genzano, Forenza, Oppido e Palazzo. Molte sono le tracce romane; dai blocchi di marmo alle numerose iscrizioni in latino, che fanno parte integrante del complesso abbaziale, come materiale di spoglio o come cantonale. Appare quindi certa l’ipotesi che per l’impianto del complesso alto-medievale sia stato scelto il cuore stesso della città romana, in considerazione forse dell’abbondante disposizione di materiale da ricostruzione disponibile in loco. Tutto ciò trova una pre- cisa descrizione e riscontro nelle “Memorie del monastero bantino” 2, il manoscritto di Domenico Pannelli segretario del cardinale di Sant’Eusebio: questo manoscritto, oltre ad essere la storia del monastero è una sorta di fotografia non solo di Banzi e del suo territorio ma di tutta l’area circostante scattata, se così si può dire, alla vigilia delle profonde trasformazioni, che alla fine del Settecento e agli inizi dell’Ottocento cambieranno finanche il paesaggio agrario. Domenico Pannelli fece un accurato lavoro di raccolta e trascrizione di documenti relativi al monastero, più una descrizione dettagliata dello stato in cui si trovava l’abbazia al suo tempo. È pur sempre vero che si tratta di un’opera personale del segretario, ma la rigorosa corrispondenza tra le indicazioni del manoscritto e le tracce conservate nelle fabbriche hanno consentito di ripercorrere la vicenda della badia dalle origini — 125 — di Felicetta De Bonis RILIEVO ARCHITETTONICO Figura 1: prospetto B.B. B B C C Chiesa D Campanile D Antico monastero benedettino Convento francescano Ex casa del vicario Residenze A Palazzo grande Figura 2: pianta Figura 3: prospetto A.A. — 126 — A Figura 4: prospetto C.C. fino ai giorni nostri con tutte le trasformazioni storiche e architettoniche subite nel corso dei secoli. Il primo documento attestante l’esistenza del monastero di Santa Maria di Banzi è del 798: un atto di donazione con cui il principe longobardo Grimoaldo III lo sottometteva al monastero di Montecassino. L’impianto architettonico del monastero, che nel 798 già esisteva, si è ricavato attraverso analogie con altri monasteri benedettini contemporanei e con caratteristiche simili al nostro. Le “memorie” confermano: - la caratteristica del luogo era prettamente religioso-culturale; - l’economia del monastero era a circuito chiuso; - il monastero, architettonicamente, era un nucleo ben protetto con all’interno la chiesa, il chiostro, il refettorio, il parlatorio, il mulino e le botteghe varie e all’esterno, tutt’intorno, i campi da coltivare e i vigneti; - aveva due accessi: uno principale e l’altro di servizio ben controllati e serrati di notte, e mura di cinta di difesa, che delimitavano un ampio spazio, detto cortile. “..Chiuso è da altissime mura tutto il suo distretto, nel quale dalla parte d’Occidente si entra per una gran porta che ogni sera per la sicurezza degli abitanti si chiude, e poi pel comodo de’ medesimi si apre la mattina di buon’ora, e tiensi aperta tutto il giorno...”3 Non si possiedono documenti relativi alla indipendenza della badia di Banzi da Montecassino, ma è certo che vi contribuirono i principi Normanni insieme al papa Urbano II, che con sua bolla la escluse, nel 1082, dalla sottomissione alla diocesi di Acerenza, incorporando la badia fra i beni pontifici senza alcun riferimento di subordinazione nei confronti di Montecassino. Nel 1089 con la venuta del papa Urbano II per consacrare la chiesa di Santa Maria sotto le insistenze dei principi normanni e dell’abate Ursone, fu aperto nelle mura di cinta, in direzione assiale con la chiesa, un ingresso: la Porta Santa. Il periodo normanno (secc. XI e XII) fu fiorente e ricco per la badia: divenne un centro molto importante e i Normanni non trascurarono di costituirvi all’interno un proprio feudo, perseguendo una politica di alleanza tra trono e chiesa. I principi Normanni ne accrescono notevolmente i possedimenti, che si estendevano oltre le regioni lucane, nelle Puglie, nel Salento e la proteggevano dalle spoliazioni e dalle in- Figura 5: prospetto D.D. — 127 — vasioni di conti e baroni ostili. Il monastero diventa così custodia della cultura dei Normanni e dei suoi parenti attraverso la fortificazione dello stesso, con la fortificazione del Palazzo Grande. Eleganti bifore, archi ogivali, monofore e portali si rintracciano un po’ dappertutto nel vasto complesso abbaziale a testimonianza di questa lunga, incisiva e fiorente fase medievale, che dà i primi segni di decadenza nel sec. XIV, quando iniziano le invasioni, nelle province napoletane, da parte del re longobardo Ludovico. Il monastero si riduce in miseria e povertà e perde man mano tutti i suoi più ricchi possedimenti fino a quando, agli inizi del XV sec., i Sommi Pontefici decidono di darlo in commenda ai Prelati Secolari. Nel monastero e nella sua gestione rimangono anco- Figura 6: Palazzo Grande, scorcio di facciata principale ra i Benedettini fino al 1536, quando subentrano gli Agostiniani. La continuità di gestione, durata cinquantadue anni, dell’abate Carlo Barberini favorisce indubbiamente la ripresa dell’abbazia che vede rinnovate, con i suoi ospiti, le sue fabbriche. Il Barberini infatti …“diede vari saggi della sua generosità e pietà nei tanti arredi sacri, di cui tuttavia restano gli avanzi nella sacrestia, nel riparo delle fabbriche; nel pulpito ed organo, che vi fece di nuovo, e soprattutto nel magnifico soffitto, nobilmente intagliato, lavorato ed ornato, ch’ei fece l’anno 1664 nella vecchia chiesa”4… Dal momento che la gestione della commenda è esclusiva pertinenza dell’abate, il cardinale Barberini esonera gli Agostiniani dal servizio della chiesa, per aver dato asilo a dei banditi e chiama nel 1666 i Minori Figura 7: Chiostro francescano — 128 — Riformati di San Francesco della Provincia di Basilicata. Le condizioni delle fabbriche sono precarie e pertanto i Minori Riformati si attivano per chiedere l’autorizzazione ad edificare un nuovo convento, fuori del recinto. La chiesa rimane il fulcro della composizione e nel 1688, con la somministrazione di cento ducati, ha inizio la costruzione del nuovo convento a destra della chiesa, nella parte opposta al vecchio. Il convento viene edificato sul modello della riforma: esso è un quadrato perfetto con il chiostro regolare e intorno quattro corridoi tutti voltati. I lavori di costruzione del convento sono caratterizzati da tempi lunghi, da molteplici interruzioni e grosse ristrettezze, come lo furono pure per la costruzione della nuova chiesa, dove la valutazione della spesa per il restauro di una fabbrica dissestata aveva spostato l’attenzione sulla possibile convenienza a realizzarne una nuova. La nuova chiesa è costruita sul perimetro della vecchia, i muri d’ambito della nuova sono impostati sulle fondazioni di quella romanica; questa particolare circostanza evita la consacrazione della chiesa settecentesca. I Francescani hanno lasciato la propria indelebile impronta sia costruendo sul pavimento e nell’involucro di una chiesa a tre navate una semplice navata unica nello stile della Riforma, sia sacrificando il nartece inglobato nella facciata. È una fabbrica costruita nella più rigorosa e consapevole economia. Realizzata con stile barocco-rococò internamente, conserva esternamente per lo più inalterato il fronte romanico. I frati non solo reimpie- gano materiale recuperato, ma si avvalgono anche di parti delle antiche murature perimetrali, inserendole nell’intera sezione resistente di ogni contrafforte. Il sisma del 1980 è stata certamente la recente causa perturbatrice del dissesto che ha generato un quadro fessurativo, ma nelle fonti vanno ricercate quelle circostanze remote, dimenticate, che il sisma può solo aver richiamato ed esaltato. Il quadro fessurativo è più articolato e più esteso quanto più articolati sono i sistemi spingenti e quanto più eterogenei sono i materiali assemblati, più lunghi i tempi di sospensione del cantiere. Durante i lavori di restauro sono così ritornate alla luce rilevanti testimonianze dell’antica chiesa, descritte in alcuni documenti. Tra i ritrovamenti di alto valore artistico è sicuramente il bellissimo Figura 8: Chiesa Santa Maria, esterno Figura 9: Chiesa Santa Maria, interno — 129 — nastero bantino, o sia di Santa Maria in Banzia: pubblicate d’ordine del cardinale di Sant’Eusebio abate commendatario di essa badia da Domenico Pannelli suo segretario, a cura di P. De Leo, Montescaglioso, Ed. Cooper Attiva, 1995; 3 Ibidem; 4 Ibidem; Figura 10: pianta a colori del complesso abbaziale risalente al 1832, conservata nell’Archivio di Stato di Potenza pavimento musivo altomedievale, conservato sotto il pavimento della nuova chiesa, in due parti. Le parti recuperate, raffiguranti un “capro espiatorio” con i simboli dei quattro evangelisti e motivi ornamentali, dopo un accurato lavoro di restauro, aspettano una degna sistemazione all’interno della chiesa. Nel periodo della reggenza francescana furono eseguite varie opere di manutenzione: dalla riparazione del refettorio alla pavimentazione del chiostro, al rifacimento della porta santa. Nel 1751 si provvide a costruire la casa del vicario adiacente alla chiesa, inglobando in essa parte delle antiche mura, divenute muro di spina della nuova costruzione. Nel 1866 il monastero di Banzi, come tutti i monasteri dell’Italia meridionale fu soppresso ed aggregato al comune di Genzano nel 1904. Dopo la soppressione il monastero perse la sua peculiarità tipicamente religiosa e venne venduto a privati, che adattarono la struttura e la composizione architettonica alle proprie esigenze, accorpando o costruendo nuove fabbriche all’interno dell’originario chiostro benedettino. Venne man mano a deturparsi così la configurazione originaria dell’impianto, fino ad allora rimasta quasi intatta rendendo per noi oggi difficile e complicata una lettura a priori. Nonostante tutto, l’unitarietà originaria della badia, è rintracciabile sia nell’impianto progettuale sia nella destinazione d’uso. Oggi la badia è un cantiere aperto di lavori di restauro: un’occasione preziosa per sanare tutte o quasi le ferite del complesso e prepararlo ad affrontare il tanto atteso Giubileo, sottolineando tutto il suo valore storico-artistico sia come complesso architettonico che come patrimonio reliquario. In più, i lavori prevedono una nuova destinazione d’uso (ostello, biblioteca) che riusciranno forse a ridare al monumento quella supremazia e maestà che un tempo gli furono proprie. Note 1 F. LENORMANT, A’travers l’Apulia et la Lucania , vol.1, 1883; 2 D. PANNELLI, Le memorie bantine. Le memorie del mo- — 130 — Bibliografia D. PANNELLI, op.cit. T. PEDIO, Storia della storiografia lucana , Venosa, Ed. Osanna, 1984. E. BERTAUX, I monumenti medievali della regione del Vulture , Venosa, Ed. Osanna, 1991. M. CIVITA, S. Maria di Banzi. Un’esperienza di restauro tra fonti documentarie e fabbriche, in Saggi in onore di Bonelli, “Quaderni dell’Istituto di Storia dell’Architettura,” vol. 2, Roma, Multigrafica, 1992, pagg. 1007-1016. M. MAROTTA, Banzi nelle testimonianze storiche e letterarie, Matera, BMG, 1972. P. BORRARO, Atti visitali a Banzi nel XVII sec., in “Studi lucani e meridionali”, Galatina, Congedo Ed., 1978, pagg. 27-31. Le radici del futuro, III Raccolta Divulgativa di saggi storico-archeologici, a cura della Biblioteca Comunale di Banzi, Maggio 1996.