Prof. Monti – Filosofia V – a.s. 2016-2017 – Georg Wilhelm Friedrich Hegel (parte 1) Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770 – 1831) PARTE 1 1. VITA [SOLO DA LEGGERE E DA INTEGRARE CON LE NOTE BIOGRAFICHE SUL LIBRO] Nasce a Stoccarda, nel 1770, in una famiglia medio borghese di fede protestante. Compiuti gli studi secondari, si iscrive all’università di Tubinga e viene accettato presso il collegio teologico. Si accosta con passione alla filosofia e si interessa moltissimo agli echi della Rivoluzione francese, che si sta consumando proprio in quegli anni. L’altra esperienza decisiva nella sua giovinezza è il culto per il mondo greco, che appariva al giovane Hegel caratterizzato da armonia fra uomo e natura, individuo e società. Nel 1793 si trasferisce a Berna ove lavora come precettore. Scrive una Vita di Gesù e un saggio su La positività della religione cristiana. Dal 1797 al 1800 vivrà a Francoforte, ove si dedicherà soprattutto allo studio, più concreto, delle istituzioni politiche e dell’economia. Il suo scritto più importante del periodo trascorso a Francoforte è Lo spirito del cristianesimo e il suo destino (1798-99). La morte del padre fa sì che egli entri in possesso di una modesta eredità: è in questo momento che accetterà l’invito di Schelling di recarsi a Jena, dove si abilitò all’insegnamento universitario. A partire da questo momento che Hegel comincerà a uscire dall’anonimato. Il confronto con l’amico Schelling appare, a prima vista, impietoso: Schelling, pur più giovane di cinque anni, è già celebre. Hegel è ancora uno sconosciuto. Il tempo però darà un risultato che nessuno, allora, avrebbe immaginato: ancora in vita Hegel diverrà una vera e propria celebrità, il suo pensiero verrà considerato il culmine e compimento massimo dell’Idealismo, i posteri non tarderanno a vedere in lui uno dei più importanti filosofi di ogni tempo. Nel primo scritto da lui pubblicato a Jena, Sulla differenza dei sistemi di filosofia di Fichte e Schelling (1801), Hegel riconsidera in termini critici la strada percorsa dalle filosofia contemporanea, da Kant in poi. Di fronte ai dualismi presenti nel pensiero di Kant (fenomeno – noumeno), i vari tentativi di soluzione gli appaiono inadeguati, persino quello dell’amico Schelling, che pure gli appare il migliore di essi. Nel 1807 pubblica una delle sue opere fondamentali, la Fenomenologia dello spirito. L’anno successivo si trasferisce a Norimberga, come preside del ginnasio locale, e qui lavora alla Scienza della logica (1812-1816). Nel 1817 torna all’insegnamento universitario presso Heidelberg, dove ottiene la cattedra di filosofia, e nello stesso anno pubblica L’enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, una esposizione sistematica del suo pensiero. 1 Prof. Monti – Filosofia V – a.s. 2016-2017 – Georg Wilhelm Friedrich Hegel (parte 1) L’anno successivo, nel 1818, viene nominato professore presso l’università di Berlino. Qui pubblica i Lineamenti di filosofia del diritto. Morirà nel 1831. 2. IL GIOVANE HEGEL: L’INTERPRETAZIONE DEL CRISTIANESIMO E LA CRITICA DELLA RAGIONE ASTRATTA Come abbiamo visto, i primi scritti di Hegel riguardano la religione cristiana. Si tratta di testi rimasti a lungo inediti, ma oggi considerati assai importanti per comprendere la genesi dell'intero sistema filosofico hegeliano. Fra questi spicca La positività della religione cristiana: è qui che il filosofo espone quella nozione di POSITIVITÀ che avrà un ruolo decisivo nel corso di tutta la sua riflessione. Si definisce “positivo” il dato che pretende di imporsi come tale e, così facendo, si sottrae a qualunque mediazione della ragione, risultando astratto, esteriore, ultimamente incomprensibile. Una religione è positiva quando è costituita da dati di questo genere: essa non cercherà un riconoscimento in termini di valore, ma solo accettazione, non ambirà al consenso che deriva dalla convinzione, ma ad una acritica obbedienza. Tutto ciò, e questo è fondamentale, non riguarda solo la religione: di carattere positivo è, per esempio, la nozione kantiana di noumeno! Ne Lo spirito del cristianesimo e il suo destino troviamo importanti riflessioni sulla storia e sul concetto di destino. Nulla è statico, ma ogni cosa è caratterizzata da un processo, un divenire che ha un suo destino peculiare. Nello stesso tempo, vi è anche un destino comune ad ogni processo, si tratta della come necessità di trapassare in altro e di compiersi oltre di sé. Questa dinamica di trasfigurazione (ogni cosa si realizza pienamente oltre se stessa, al di là di se stessa, esempio: una coppia, marito e moglie, si realizza al di là di se stessa attraverso i figli!) è, per Hegel, caratteristica di ogni cosa, di ogni ente finito. L’odissea storica dell’uomo occidentale ha, per Hegel, idealmente inizio con la vicenda di Abramo: ciò che viene prima Hegel lo chiama “preistoria”. Riflettiamo sulla situazione che questo celebre personaggio biblico si trova a vivere. Abramo si trova invitato a violare una legge naturale (dunque una legge interiore, non esterna e imposta), è infatti chiamato a sacrificare suo figlio Isacco. In questo modo, idealmente, termina l’armonia preistorica caratterizzata dal naturale ripetersi di ritmi e stagioni e inizia invece la storia, fatta di lacerazioni, riconciliazioni, nuove lacerazioni. Da Abramo in poi, infatti, l’individuo non è più armonicamente inserito nel suo mondo, ma ravvisa nella legge, la legge ("positiva", dunque, come abbiamo appena ricordato, esteriore, imposta, estranea a se stessi) di Dio, quel padrone invisibile del quale ha bisogno. 2 Prof. Monti – Filosofia V – a.s. 2016-2017 – Georg Wilhelm Friedrich Hegel (parte 1) Contrariamente all'armonia che Hegel trova presso la classicità greca - ignara di ogni contrasto o scissione fra l'individuale (l'uomo) e l'universale o assoluto (Dio) - il mondo ebraico vive di una totale scissione fra il mondo umano e quello divino. Un altro passaggio si ha con il Cristianesimo: di fronte all’estraneità dell’uomo rispetto alla legge, Gesù dice all’uomo: muta te stesso, il tuo atteggiamento verso la legge, in modo che questa non sia più un vincolo esteriore. La modificazione di vita invocata da Gesù si può riassumere nel suo “Ama il prossimo tuo come te stesso”. Questo detto di Gesù ha, significativamente, la forma di un imperativo: ma l’amore si può comandare come un dovere? Hegel ritiene di no. Ecco che il messaggio cristiano, a parere del nostro, si perde proprio nella logica positiva della legge che pure avrebbe voluto superare, ricostituendo la perduta armonia fra umano e divino, singolare e universale. Il destino del cristianesimo sarebbe, dunque, quello di una liberazione mancata. Questo discorso si allarga a dismisura, infatti il pensiero moderno, sostiene Hegel, segue il medesimo ambiguo destino del cristianesimo. Al termine di un lungo processo storico, in luogo di un Dio-padrone (quello del Vecchio Testamento) troviamo l’uomo stesso, ormai postosi nei panni di un Soggetto assoluto che si pretende depositario di una ragione universale. Ecco che, nello Spirito del cristianesimo, troviamo una serrata critica alla morale interioristica e formalistica di Kant e della sua idea di ragione astratta. Questa ragione, di cui l’uomo sarebbe depositario e che troviamo esemplificata nelle categorie kantiane, sarebbe incapace di superare il dualismo fra universale e particolare, fra soggetto e oggetto. Questa ragione astratta mantiene, insomma, la positiva separatezza della legge esteriore, l’incomprensibilità e l’insensatezza dell’uccidi tuo figlio che si impone ad Abramo. Le categorie kantiane sono indicate come “astratte” nel senso della loro separazione (dalla realtà) e di una loro conseguente incomprensibilità: esse si impongono, chiedono di essere accettate senza essere capite. 3. ALCUNI CAPISALDI DEL SISTEMA HEGELIANO Dopo aver accennato nei paragrafi precedenti ad alcune importanti opere giovanili di Hegel e ad alcuni fondamentali concetti in esse emerse, continuiamo con l’indicare alcuni aspetti molto generali del suo pensiero. Vale la pena di sottolineare come Hegel stesso abbia considerata inaccettabile la pretesa di formulare, in via preliminare, i capisaldi sui quali un sistema filosofico (il suo in particolare!) si basa. Questi infatti, anche se fossero identificati in modo corretto, sarebbero descritti in modo del tutto astratto e non visti nel loro concreto operare all'interno del sistema medesimo e del suo funzionamento. Insomma: sarebbe un po' come descrivere a qualcuno il funzionamento delle parti principali di un motore a scoppio, senza che questi abbia mai la possibilità di vedere questa complessa macchina concretamente in funzione! 3 Prof. Monti – Filosofia V – a.s. 2016-2017 – Georg Wilhelm Friedrich Hegel (parte 1) Nonostante questa "avvertenza", è Hegel stesso che in molte sue opere fornisce con prefazioni e introduzioni - una serie di capisaldi del suo sistema filosofico! LA RISOLUZIONE DEL FINITO NELL’INFINITO La realtà, il mondo, non è una collezione di sostanze autonome, ma un organismo unitario di cui tutto ciò che esiste è una parte o manifestazione: esso è l’Assoluto, o Infinito, o Spirito, in opposizione al finito, costituito da tutte le singole manifestazioni concrete del mondo. Il finito, come tale, non esiste: esso altro non è che manifestazione sempre parziale dell’Infinito. Detto altrimenti: l'intera realtà non deve essere vista come una sostanza (neppure nella forma del panteismo di Spinoza!) - cioè come qualcosa di "già dato", "già fatto", una "cosa" inerte o un insieme di "cose" - ma come Soggetto, Pensiero, Spirito in continuo divenire, processualità continua che solo alla fine si mostra per ciò che è veramente. Già per Fichte e Schelling, come ricorderete, la realtà è Soggetto, "attività", "azione", ma entrambi a parere di Hegel concludono a concezioni ancora incomplete e inadeguate. IL DIVENIRE DELLO SPIRITO E I SUOI TRE MOMENTI L'attività dello Spirito, il suo movimento o divenire, è l'azione dell'Assoluto infinito che si "autoproduce", si "autogenera" manifestandosi in determinazioni particolari, finite, di volta in volta superate da nuove e più ricche determinazioni che conservano in sé le precedenti. Il procedere dell'Assoluto è costituito da tre momenti distinti: "l'essere in sé", "l'essere altro da sé" (o "essere fuori di sé") e il "ritorno a sé" (o "essere in sé e per sé"). Esempio concreto: un seme, prima della germinazione, possiamo dire che "è in sé la pianta": in essa, infatti, non vi sarà nulla che, in qualche modo, non fosse già presente nel seme. Il seme non è, però, "la pianta per sé", cioè la pianta effettivamente realizzata nella sua concretezza. Come si passa dall'in sé del seme al per sé della pianta? Tramite il passaggio dell'altro da sé! Occorre, infatti, che il seme muoia come tale, che cioè divenga altro da sé, perché si giunga alla pianta. Gli esempi potrebbero essere infiniti: per Hegel infatti ogni processo reale funziona in questo modo e l'Assoluto stesso come intero si dispiega seguendo la medesima logica triadica! RAGIONE E REALTÀ: “CIÒ CHE È RAZIONALE È REALE; E CIÒ CHE È REALE È RAZIONALE” (cit. Lineamenti di filosofia del diritto) - “Ciò che è razionale è reale” significa che ciò che chiamiamo “razionalità” non è pura idealità astratta, distaccata dal reale (come invece accade, a parere di Hegel, nel pensiero di Kant). La razionalità non è una specie di strumento che appartiene all'uomo e solo all'uomo e che egli applica, per così dire, dall'esterno al mondo per misurarlo, ordinarlo, comprenderlo, ecc. - Viceversa dire che “Ciò che è reale è razionale” significa che ciò che chiamiamo “realtà” non è materia caotica, in attesa che qualcuno, dall'esterno, le dia un senso. Accade invece che ciò che è (reale) è anche ciò che razionalmente deve essere: il mondo reale è razionalità dispiegata, non esiste alcun ideale razionale che non sia reale. La realtà è una totalità processuale necessaria. 4 Prof. Monti – Filosofia V – a.s. 2016-2017 – Georg Wilhelm Friedrich Hegel (parte 1) Attenzione: quando Hegel dice che “il reale è razionale” non intende dire, come accadrebbe nella logica tradizionale, che il reale è la sostanza, la cosa, e il razionale è un predicato ad essa attribuito. Intende invece dire che “l'universale, il razionale, esprime il senso del reale”. Nella proposizione, dunque, il predicato (razionale) è tanto essenziale quanto il soggetto (reale), non è un semplice attributo che di aggiunge ad esso. LA FUNZIONE DELLA FILOSOFIA Proprio perché la realtà è un processo necessario e razionale, e non caos, la filosofia deve prendere atto di essa, mettendone in luce l’intrinseca razionalità. La filosofia non può invece pretendere di determinare o di guidare la realtà! Essa può, invece, rendere l’esperienza (del reale) in concetti e mostrarne la razionalità. La filosofia è come la nottola di Minerva, dice Hegel, che inizia il suo volo sul far del crepuscolo, quando tutto è già compiuto. Riportiamo, a questo riguardo, una citazione: “ Del resto, a dire anche una parola sulla dottrina di come deve essere il mondo, la filosofia arriva sempre troppo tardi. Come pensiero del mondo, essa appare per la prima volta nel tempo, dopo che la realtà ha già compiuto il suo processo di formazione ed è bell'e fatta. [...] Quando la filosofia dipinge a chiaroscuro, allora un aspetto della vita è invecchiato, e, dal chiaroscuro, esso non si lascia ringiovanire, ma soltanto riconoscere: la nottola di Minerva inizia il suo volo sul far del crepuscolo. ” G. W. F. Hegel Lineamenti di filosofia del diritto IL “GIUSTIFICAZIONISMO” HEGELIANO Quanto detto sin qui potrebbe far ritenere a molti che Hegel abbia un atteggiamento “giustificazionista” nei confronti della realtà, qualunque essa sia. Se il reale è processualità necessaria e se noi possiamo solo prenderne atto, sembra di poter affermare che il solo fatto che qualcosa accada giustifichi ciò che appunto è accaduto. Hegel certamente giustifica il reale, ma egli tiene a sottolineare che questo NON significa che lui intenda proporre una banale accettazione di tutti ciò che accade (è successa una cosa? Allora lo accetto perché doveva succedere!). Con la parola “reale” egli non intende tutto ciò che, semplicemente, esiste, tutto ciò che ha un valore di mera contingenza (per esempio: l’aver indossato in un certo giorno un abito piuttosto che un altro), ma si riferisce alla trama essenziale degli avvenimenti, di ciò che è. Certo, si tratta di un discorso problematico: è possibile distinguere in modo chiaro e netto ciò che è contingente da ciò che non lo è? 5 Prof. Monti – Filosofia V – a.s. 2016-2017 – Georg Wilhelm Friedrich Hegel (parte 1) 4. IDEA, NATURA E SPIRITO: LE PARTIZIONI DELLA FILOSOFIA Il farsi dinamico dell’Assoluto passa, a parere di Hegel, attraverso i tre momenti che abbiamo visto. Il primo momento è quello che lui chiama L’IDEA IN SÉ (è la tesi: l’Idea pura, cioè l’Assoluto considerato indipendentemente dal suo effettivo realizzarsi nel mondo, è il “programma” o “l’ossatura logico-razionale” della realtà). Il secondo momento è quello dell’IDEA FUORI DI SÉ O NEL SUO ESSER ALTRO (è l’antitesi: è la Natura, cioè l’estrinsecazione, la realizzazione dell’Idea nel mondo materiale, l’idea che "si aliena" da sé, nelle cose esistenti spazio-temporalmente). Il terzo momento è quello dell’IDEA CHE RITORNA IN SÉ (è la sintesi: lo Spirito. Si tratta dell’Idea che, dopo essersi concretizzata facendosi natura, torna in sé, perviene a sé medesima nell’uomo). Attenzione: questa non è una triade da intendersi in senso cronologico, come se i tre momenti si susseguissero l’uno dopo l’altro, ma ideale. Ciò che esiste è lo Spirito, che ha come coeterna condizione la Natura e come coeterno presupposto l’Idea pura. Corrispondentemente a questa suddivisione, il sapere filosofico si divide per Hegel in tre sezioni: la logica è la scienza dell’Idea pura; la filosofia della natura è la scienza dell’idea fuori di sé; la filosofia dello spirito è la scienza dell’idea che ritorna in sé. Schematicamente: FARSI DELL'ASSOLUTO DISCIPLINA CORRISPONDENTE 1 Idea in sé e per sé Logica 2 Idea fuori di sé o nel suo esser altro Filosofia della natura 3 Idea che ritorna in sè Filosofia dello spirito 5. LA CRITICA DELL’IDEALISMO [STUDIARE DA SOLI] Gli scritti hegeliani dei primi anni di Jena sono oggi indicati con il nome di “scritti critici”. Essi, in effetti, criticano l’idealismo inteso nel senso di analisi dei limiti della ragione e dell’esperienza e anche in quello di ricerca di un pensiero che, pensando questi limiti, in qualche modo li oltrepassi. Notate come, nella accezione sopra menzionata, Hegel includa nella nozione di “idealismo” anche il pensiero di Kant, che Fichte aveva invece definito “dogmatico”. Se l’aspetto positivo della filosofia tedesca fra ‘700 ed ‘800 era stato quello di aver intuito la possibilità di individuare un fondamento che giustifichi tutte le determinazioni della conoscenza e dell’esperienza e che sappia anche dare ragione 6 Prof. Monti – Filosofia V – a.s. 2016-2017 – Georg Wilhelm Friedrich Hegel (parte 1) dell’intimo rapporto che deve legare soggetto e oggetto, pensiero ed essere, il limite era stato quello, secondo Hegel, di aver identificato questo fondamento in modo inappropriato e riduttivo. L’“io penso” di Kant, ma anche l’“io pone se stesso” di Fichte non possono essere tale fondamento perché si identificano con forme finite di esperienza. Un semplice “io” non può ricoprire il ruolo di orizzonte trascendentale, condizione di possibilità dell’essere e del pensiero solidalmente uniti. Come abbiamo visto Fichte, in particolare, vede l'Io come attività che oppone a se stesso, in modo inconscio, il non-io, nella forma di una autolimitazione. Questa attività di continua “autoposizione” è definita da Hegel un “cattivo infinito”. Si tratterebbe, infatti, di una processualità incompleta, perché non raggiunge mai un effettivo fine o scopo. Ecco che, a parere di Hegel, Fichte in questo modo genera una scissione fra Io e non-Io la quale, però, non viene mai sanata. Hegel si mostra critico anche nei confronti di Schelling. Quest'ultimo, come abbiamo visto, ha tentato di superare la scissione fichtiana fra io e non-io ponendo l'Assoluto come identità degli opposti. Questa conclusione, però, appare ad Hegel come un illegittimo "dissolvimento di tutto ciò che è differenziato e determinato". Insomma: Schelling sarebbe caduto nell'errore opposto a quello di Fichte! Se Fichte, infatti, aveva mantenuto una irrisolta separazione fra io e non-io, Schelling avrebbe del tutto sciolto tale separazione ricadendo in una vacua indifferenza. L'Assoluto di Schelling, scrisse Fichte nella Fenomenologia dello Spirito, è come "la notte in cui tutte le vacche sono nere", una situazione cioè nella quale nulla si distingue più, anche ciò che andrebbe distinto. Questo attacco provocò la rottura dell'amicizia fra i due. Hegel intende, per parte sua, individuare una dimensione nella quale tutte le componenti di ciò che chiamiamo reale non si danno più come entità isolate, né come cose artificiosamente collegate o fuse, ma si scoprono come parte di un unico sistema o, meglio, processo razionale ed unitario. Ciò che occorre è dunque: 1) superare ogni astratto dualismo tra universo soggettivo ed universo oggettivo; 2) comprendere che l’essere del mondo reale sia intellettuale che fisico è un divenire continuo, un processo dinamico; 3) comprendere che tale divenire va inteso come un produrre, come l’opera di un unico principio. Il progetto di Hegel è, come si è visto, totalizzante: egli intende dar conto di tutta la realtà in modo unitario. Questo ha fatto sì che il sistema hegeliano sia stato interpretato talvolta come sistema idealistico (realtà come produzione dello Spirito) o come sistema realistico (realtà che diviene secondo leggi sue proprie) ed entrambe le visioni hanno una certa, seppur parziale, legittimità. In effetti, Hegel ambiva a superare questa contrapposizione, mostrando come realtà e pensiero siano un intreccio indisgiungibile. La realtà, nella sua essenza, è spirito. Attenzione però: ciò che Hegel chiama spirito, “Geist” in tedesco, non è affatto un ente a sé stante che trascende i dati empirici (un po’ come il Dio cristiano, che crea l’universo, ma lo trascende), esso invece esiste e si esprime solo dentro il divenire concreto dell’universo. Il fatto che la realtà sia spirito esprime anche la intima razionalità delle cose. 7 Prof. Monti – Filosofia V – a.s. 2016-2017 – Georg Wilhelm Friedrich Hegel (parte 1) Lo spirito, inoltre, è anche la graduale autocomprensione del pensiero che della realtà è parte integrante. Lo sviluppo dello spirito va seguito, per Hegel, da una parte come sviluppo della realtà e, dall’altra, come sviluppo del pensiero che tale realtà pensa, senza che le due cose siano separate. Lo Spirito di cui Hegel parla è sì processo infinito, ma non di una infinità ideale che mai si realizza (come in Fichte), né come vaga e ingiustificata indifferenza dei contrari (come in Schelling), ma come continua espressione e posizione di determinazioni finite e continuo superamento di tali determinazioni medesime. Lo Spirito non è né scissione né mera identità, ma una unità che si fa proprio tramite il molteplice. 8