“EPISTEMOLOGIA INFORMATICA ED ETICA DIGITALE PROF

“EPISTEMOLOGIA INFORMATICA ED
ETICA DIGITALE”
PROF. MAURO DI GIANDOMENICO
Università Telematica Pegaso
Epistemologia informatica ed etica digitale
Indice
1
SENSO E VALORE DELL’EPISTEMOLOGIA INFORMATICA ------------------------------------------------- 3
2
ETICA ED INFORMATICA: DALLA DEONTOLOGIA ALL’ETICA APPLICATA ------------------------- 7
3
L’ETICA DELL’INFORMAZIONE --------------------------------------------------------------------------------------- 9
4
L’ETICA DIGITALE -------------------------------------------------------------------------------------------------------- 13
5
LA ROBOETICA ------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 16
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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1 Senso e valore dell’epistemologia informatica
I problemi di fondo delle scienze dell’informazione rinviano ad un piano di analisi che è
squisitamente filosofico. Concetti come metodo, informazione, comunicazione, comprensione,
analisi, ambiente, ragione, e così via, sono stati ampiamente tematizzati in tutta la storia della
filosofia, da Platone in poi. In questo senso l’attuale dibattito filosofico sull’informatica non si
configura come una riflessione dall’esterno, decisamente irritante per gli “addetti ai lavori”, ma
come trascrizione in chiave informatica di argomenti già presenti nella tradizione filosofica. Questo
è particolarmente vero nel caso dell'Intelligenza Artificiale, che vede riproposti argomenti quali
rapporto mente-cervello, modelli di razionalità, procedure di ragionamento, rappresentazione della
conoscenza, inferenza ed analogia: sembra quasi di trovarsi di fronte -mutatis mutandis - ad un
trattato di Metafisica o di Gnoseologia o di Logica di qualche secolo fa.
Certamente l’ingegnere della conoscenza si stupirebbe se venisse tacciato di soggiacere ad
una forma inconsapevole (o “spontanea”, come direbbe il filosofo francese Louis Althusser) di
metafisica; eppure anche egli parla di macchine che giocano agli scacchi, che riconoscono le
immagini, che comprendono un testo, proprio quando pone dei veri problemi tecnici. Questi ultimi,
d’altro canto, possono essere a loro volta superati solo in virtù di nuovi sviluppi sul piano delle
teorie e dei metodi informatici, stimolati o prodotti da altre discipline che abbracciano l’attività
cognitiva dello spirito: paradosso apparente che non è raro incontrare nella storia della scienza e
della tecnologia.
È pur vero che in questi ultimi anni feconde intersezioni e connessioni sono state richieste ed
offerte in particolare alla psicologia cognitiva ed alla neuropsicologia, con la speranza di poter
meglio discernere la realtà molteplice dei rapporti possibili tra intelligenza naturale ed intelligenza
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artificiale. Ma tali domande coinvolgono inevitabilmente il dominio propositivo della linguistica (o
meglio, delle linguistiche), della logica (delle logiche) e della retorica. Il riferimento a quest’ultima
disciplina merita una puntualizzazione ed una domanda di attenzione, nella misura in cui si
prospetti la possibilità di una formalizzazione e di una simbolizzazione del pensiero umano ad opera
dell’informatica teorica e sperimentale.
Sono passati più di sessant’anni da quando il filosofo polacco Caïm Perelmann si faceva
paladino della Nouvelle Rhétorique, ma l’idea secondo la quale la struttura del ragionamento e
dell’argomentazione sfugge alle regole della logica canonica si è via via inserita nel dibattito
epistemologico sulla struttura della scienza, sul valore di verità delle sue teorie, sulla dinamica del
suo cambiamento storico. Si è posta così la questione relativa alla capacità di persuasione delle
teorie
scientifiche
(intesa come cartina
di tornasole della loro pregnanza veritativa) e,
conseguentemente, alle tecniche utilizzate ed utilizzabili per ottenere l’assenso della comunità
scientifica. Si tratta, naturalmente, di procedure “logicamente retoriche” o “retoricamente logiche”,
le quali pongono -non c’è dubbio - sfide tecnicamente ardue per la loro riproducibilità in
informatica: ma già l’informatica medica, con i suoi studi sul ragionamento diagnostico,
concretamente si pone su questa linea di ricerca.
Eppure la Storia della filosofia del Cinque e Seicento presenta innumerevoli opere, in
particolare trattati di filosofia politica, la cui struttura compositiva ed argomentativa, in concreto,
utilizza quelle procedure in maniera esemplificativa ed esemplare: sarebbe quanto meno
interessante saggiarne la possibilità di fornire classi
di ragionamenti simbolicamente
implementabili.
Intesa in questo senso, l’epistemologia informatica si configura innanzitutto come luogo
d’incontro tra le scienze filosofiche e quelle informatiche, secondo una duplice e complementare
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prospettiva. Innanzitutto essa assume la caratteristica dell'atteggiamento epistemologico che va alla
ricerca (per utilizzare una celebre distinzione del filosofo Edmund Husserl) della esattezza
(coerenza) e del rigore (fondamento) delle teorie informatiche, riconducendole ad un ambiente
concettuale - quello filosofico - generalmente non tematizzato nella praxis informatica, ma pur da
questa presupposta e condizionata , come, tra gli altri, riconosce il matematico tedesco, Carl Adam
Petri, famoso per la sua teoria delle reti (che porta il suo nome). Non è indifferente, ad esempio,
utilizzare, nella costruzione di una procedura informatica, una concezione ermeneutica, oppure una
dialettica, o anche una analitica, dei fondamenti logici del ragionamento.
Ma, in secondo luogo, l’epistemologia informatica può delinearsi come atteggiamento
informatico che mette alla prova, con l’ausilio delle sue tecnologie, le teorie filosofiche, fornendo
ad esse, per così dire, la base sperimentale capace di falsificarle, di corroborarle, o, in ogni caso, di
correggerle e modificarle . Si vuol dire, in altri termini, che l’informatica oggi interviene -o può
intervenire - nella determinazione delle stesse strutture categoriali della filosofia, di quella filosofia
che voglia essere attività riflessiva del mondo contemporaneo.
Infine l’epistemologia informatica può essere intesa, in maniera più generale, come l'ambito
problematico in cui si tematizzano le reciproche trasformazioni determinate dall’incontro tra sapere
informatico ed altri saperi. Questo terzo aspetto si è rivelato fecondo in molti campi disciplinari
scientifici, sicché ci si è resi conto che questa interattività costituisce non solo un fattore tecnico, ma
è portatrice di effetti concettuali molto significatici.
Per chiarire, con un esempio specifico, queste modalità d’interazione reciproca, scegliamo
un campo emblematico.
Affrontiamo ora questo problema: in che modo l’etica si trova a dover ridefinire i suoi criteri
di valutazione morale dietro la spinta dei cambiamenti prodotti dall’intelligenza artificiale, dalla
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robotica più recente e dalla vita artificiale sulla nostra esistenza di oggi e su quella che si prospetta
nel nostro più prossimo futuro.
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2 Etica ed informatica: dalla deontologia all’etica
applicata
L’infiltrazione capillare delle tecnologie digitali nella vita quotidiana, cresciuta in modo
esponenziale a partire dagli anni ottanta del Novecento, ha contribuito in maniera decisiva a
modificare le condizioni sociali, economiche e culturali di una parte crescente della popolazione
mondiale. Queste tecnologie offrono enormi possibilità di sviluppo, ma contribuiscono a creare
nuovi problemi etici e sociali e a modificarne di vecchi. Pensate, per esempio, ai classici problemi
legati alla proprietà intellettuale, alla privacy e alla sicurezza; al furto e alla manipolazione illegale
di software; ai fenomeni di hacking; ai virus informatici; alle discriminazioni sociali e culturali,
quali il digital divide (divario digitale); ai problemi legati alla conservazione, alla distribuzione, al
controllo di qualità, all’affidabilità, e al libero circolare delle informazioni; o alla cosiddetta
«tragedia dei beni digitali collettivi».
Certamente questi problemi, e molti altri ancora, sono legati solo in parte all’uso etico degli
strumenti informatici. Già Norbert Wiener, nel saggio Introduzione alla cibernetica. L’uso umano
degli esseri umani, del 1950, individuò per primo alcune delle questioni chiave dell’etica
informatica e ne tentò una prima analisi filosofica. Con l’eccezione di Wiener, per lungo tempo
questi problemi sono stati ignorati dai filosofi ed hanno costituito oggetto di studio solo per un
ristretto gruppo di esperti, preoccupati dall’esigenza di definire regole di comportamento quotidiano
e professionale. Un esempio è costituito dall’informatico americano Donn Parker, fautore di una
“Esade” (sestetto), sei norme elementari di sicurezza delle informazioni, che estendono la triade
tradizionale di riservatezza, integrità e disponibilità con autenticità, controllo ed utilità. Il risultato è
stata la nascita, negli anni Ottanta del secolo scorso, di una serie di tentativi interni di
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autoregolamentazione deontologica, quali il codice etico della Association for Computer
Machinery del 1973 e quello della British Computer Society del 2011.
Si fa strada, conseguentemente, l’idea che i problemi avanzati dalle nuove tecnologie digitali
debbano essere affrontati e risolti in termini di etica applicata. Si diffonde un approccio basato
sull’analisi di casi individuali da cui ricavare regole generali di comportamento, linee guida per lo
sviluppo di apposite norme giuridiche, programmi educativi ad hoc e codici professionali, quali
quelle proposte dall’informatico americano Walter Maner nel 1996.
Bisogna però riconoscere che simili tentativi sono in realtà legati ad una visione dell’etica e
dei suoi fondamenti di tipo “pre-informatico”, giacché le tecnologie digitali pervadono a tal punto la
società (compreso il mondo della cultura e delle scienze) da rendere obsoleti i classici modelli di
rappresentazione ed interpretazione della stessa. Sfugge, infatti, sia all’approccio deontologico sia a
quello applicativo dell’etica, la complessità e la profondità fondativa della rivoluzione informatica,
come ha messo in luce la stessa epistemologia informatica.
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3 L’etica dell’informazione
E’ abbastanza facile notare il fatto che le tecnologie informatiche sono uno strumento
potente di condizionamento degli stili di esistenza del soggetto morale (nell’informatichese è
chiamato Agente morale). Naturalmente le scelte morali dell’agente sono rapportate alle
informazioni di cui è in possesso, alla loro qualità ed alla loro completezza. Sulla base di queste
risorse informative, egli può generare altri prodotti informativi ed in tal modo raggiungere
l’obiettivo informativo di condizionare il proprio ambiente intenzionale. Il fondamento concettuale
di tale attività sta nell’approccio ambientalista all’etica del computer, la quale , pertanto, può
considerare l’informazione sia come risorsa, sia come prodotto, sia come obiettivo.
A. L’etica dell’informazione come risorsa. Consideriamo in primo luogo il ruolo fondamentale
che l’informazione come risorsa gioca per le valutazioni e le azioni morali dell’ Agente. Tali
valutazioni ed azioni hanno una componente epistemica, dal momento che è lecito attendersi
che l’Agente proceda in base alle “migliori” informazioni, al fine di raggiungere le migliori
conclusioni al riguardo di quanto deve in determinate circostanze. Già Socrate sosteneva che
l’Agente morale fosse naturalmente interessato a ottenere tante informazioni rilevanti quante
ne richiedono le circostanze, di modo che l'agente bene informato ha maggiori probabilità di
fare la cosa giusta.
L’”intellettualismo etico” che ne deriva concepisce il male ed i
comportamenti moralmente sbagliati come l’esito della mancanza di informazioni. Al
contrario, la responsabilità morale tende ad essere direttamente proporzionale al livello di
informazione dell’Agente: ogni diminuzione di tale livello corrisponde, di regola, ad una
delimitazione della prima. In questo senso è possibile dire che l'informazione opera alla
stregua di una prova in un processo.
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È anche il senso in cui si parla di decisione informata, consenso informato, partecipazione
informata di A. Nell’etica cristiana, ad esempio, persino il più grave dei peccati può essere
perdonato se il peccatore non era in possesso di sufficienti informazioni, dal momento che è
possibile fornire una valutazione controfattuale: se l’Agente fosse stato adeguatamente informato
avrebbe agito diversamente e dunque non avrebbe peccato.
Se la presenza (quantitativa e qualitativa) o l'assenza (totale) di informazione come risorsa è
in questione, è perfettamente ragionevole che l’etica dell’informazione possa concepirsi come lo
studio delle questioni morali che emergono sulla base di una triplice condizione: disponibilità,
accessibilità e accuratezza delle risorse informazionali, indipendentemente dal loro formato, genere
e supporto fisico. Esempi di temi propri dell'etica dell'informazione come risorsa sono il cosiddetto
digital divide (divario digitale), il problema dell’eccesso di informazioni e l'analisi dell'affidabilità e
attendibilità delle fonti informative.
B. L’etica dell’informazione come prodotto. L’informazione gioca un ruolo significativo, in un
senso ulteriore ma strettamente connesso, in quanto prodotto delle valutazioni e delle azioni
morali dell’Agente. Questi non è soltanto consumatore di informazioni, ma ne è anche
produttore e, come tale, può essere soggetto a restrizioni, così come può trarre vantaggio
dalle opportunità . Sia le prime che le seconde richiedono un’analisi etica. Perciò l'etica
dell'informazione come prodotto può trattare questioni morali che sorgono, ad esempio, nel
contesto della responsabilità, dell’imputabilità, della legislazione dei marchi, della
testimonianza, del plagio, della pubblicità, della propaganda, della disinformazione e, più in
generale, delle regole pragmatiche della comunicazione. La disamina della immoralità del
mentire di lmmanuel Kant è uno dei più celebri casi di studio nella letteratura filosofica che
concerne tale genere di etica dell’informazione.
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C. L’etica
dell’informazione
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come
obiettivo.
Indipendentemente
dall’input
(risorse
informazionali) e dall’output (prodotti informazionali) informativi di A, vi è una terza
accezione in cui l’informazione può essere materia di analisi etica, laddove le valutazioni e
le azioni morali dell’Agente influenzano l’ambiente informazionale. Esempi in tal senso
sono offerti dal rispetto o dalla violazione da parte dell’Agente della privacy o della
confidenzialità informativa di un soggetto. L’hackeraggio, inteso come accesso non
autorizzato a un sistema informativo (di regola computerizzato), è un altro buon esempio.
Purtroppo non è inusuale confonderlo erroneamente con un problema da trattare entro il
quadro concettuale di un’etica delle risorse informazionali. Questa inesatta classificazione
consente all’hacker di difendere la propria posizione sostenendo di non aver fatto alcun uso
(lasciando da parte l'abuso) dell’informazione alla quale ha avuto accesso. Al contrario, se
concepito correttamente, l’hackeraggio configura una forma di violazione della privacy. In
gioco non vi è dunque ciò che l’Agente faccia con l’informazione, cui ha avuto accesso
senza autorizzazione, ma che cosa comporti per l’ambiente informazionale l'accesso non
autorizzato dell’Agente. Per questo motivo l’analisi dell’attività di hackeraggio è parte
dell’etica dell'informazione come obiettivo. È possibile annoverare tra le problematiche di
questo genere la sicurezza, il vandalismo (che va dal bruciare biblioteche e libri alla
disseminazione di virus), la privacy, la proprietà intellettuale, l’open source (software
gratuito), la libertà di espressione, la censura, la creazione di filtri ed il controllo dei
contenuti.
Da un punto di vista critico, questi tre aspetti dell’etica dell’informazione, che usano un
approccio definibile come microetico risulta inadeguato per due motivi: sia perché troppo
semplicistico, sia perché non sufficientemente inclusivo: ad esempio, sfugge ad essa sia il problema
del controllo e del monitoraggio di tutte le informazioni che possono riguardare l’Agente, sia quello
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del loro uso legittimo, che riguarda sia gli utenti che i produttori, in quanto essa configura il loro
ambiente informazionale.
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4 L’etica digitale
Il passaggio dalla microetica alla macroetica digitale è compiuto dal filosofo Luciano
Floridi, che ha elaborato la teoria dell’infosfera.
L’infosfera è l’ecosistema semantico, proprio della società dell’informazione, costituito
dalla totalità dei documenti, degli agenti e delle loro operazioni. Per documenti si intende ogni
genere di dati, informazioni e conoscenze, codificati ed implementati in qualsiasi formato
semiotico, senza alcun limite di dimensione, tipologia e struttura sintattica (dagli oggetti digitali alle
narrazioni orali, dai testi a stampa ai filmati televisivi). Per agenti si intende qualsiasi sistema in
grado di interagire con un documento (per esempio, una persona o un software). Per operazioni si
intendono tutte le interrelazioni dinamiche tra agenti e documenti.
Come nel gioco degli scacchi, dove i pezzi sulla scacchiera sono insiemi di regole,
indipendenti dalla specifica implementazione fisica, l’infosfera è uno spazio i cui oggetti e le cui
dimensioni sono costituiti da proprietà e relazioni. La progressiva virtualizzazione del mondo degli
oggetti materiali e la altrettanto progressiva reificazione del mondo degli oggetti immateriali sono
tra le principali cause della continua crescita dell’infosfera e della sua importanza nel corso della
storia.
Nelle etiche standard, come nell’etica della virtù o in quella dell’utilitarismo, la valutazione
morale è basata sull’agente (la fonte dell’azione) o sull’azione stessa (carattere fortemente sociale,
intersoggettivo).L’etica digitale, al contrario, pone al centro dell’analisi etica il paziente (l’entità
che subisce l’azione), seguendo il modello di altre etiche non-standard, quali l’etica medica, l’etica
ambientalista e la bioetica. L’etica digitale è minimalista e considera come potenziale paziente una
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qualunque entità informazionale, cioè uno tra gli elementi costitutivi dell’infosfera (agenti,
documenti, operazioni).
Strettamente legata alla nozione di infosfera è quello di entropia, intesa, però, non
nell’accezione termodinamica(che abbiamo incontrato in una precedente lezione), bensì come la
distruzione o l’inquinamento (corruzione o impoverimento) di entità informazionali o di parti
dell’infosfera. In effetti i problemi che coinvolgono l’infosfera sono tanto importanti ed urgenti
quanto quelli che affliggono la biosfera. Intendere l’infosfera come un ecosistema, pertanto,
permette il riconoscimento e la precisa definizione, in termini ecologici, dei problemi inediti tipici
della società dell’informazione.
L’analisi dell’infosfera e dei suoi problemi etici si basa sul metodo dei livelli di astrazione.
Un livello di astrazione è un insieme finito, ma non vuoto, di dati “osservabili” di un sistema. Un
osservabile, a sua volta, è costituito da una variabile tipizzata e da un’esplicita enunciazione della
caratteristica che si intende analizzare nel sistema in esame. Una variabile tipizzata è un
«contenitore» in cui sono riposti tutti e solo i valori di uno specifico insieme di riferimento.
Il metodo di astrazione consente di estendere la classe degli agenti morali, in modo che
comprenda non solo quelli umani ed animali ma anche quelli artificiali: esso è a fondamento della
proposta centrale dell’etica digitale e quindi della definizione stessa di agente. Per questo motivo è
possibile affermare che un agente è un entità che, ad un dato livello di astrazione, dimostra: a)
interattività (cambiamento di stato in risposta a uno stimolo), b) autonomia (capacità di cambiare
stato anche in assenza di stimoli), c) adattabilità (capacità di cambiare la regola di transizione
tramite cui cambia stato). Un’azione è moralmente qualificabile se e solo se produce bene o male
(in senso etico); un agente è un agente morale, se e solo se è in grado di compiere azioni
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qualificabili moralmente. In questo modo il concetto di agente morale viene separato da quelli di
responsabilità, sentimenti, stati mentali e libero arbitrio.
Oltre a permettere un’analisi interessante e concettualmente fruttuosa dell’infosfera tramite
il metodo di astrazione, etica digitale promuove quattro norme generali per la gestione e lo sviluppo
etico dell’ecosistema informativo. Esse riguardano la prevenzione, la riduzione e l’eliminazione
dell’entropia:
1) Non si deve mai generare entropia nell’infosfera;
2) Si deve prevenire l’entropia nell’infosfera;
3) Si deve rimuovere l’entropia nell’infosfera;
4) Si deve promuovere, estendere, migliorare arricchire l’infosfera.
Le quattro norme anti-entropiche hanno un valore regolativo in senso kantiano,
forniscono cioè indicazioni di massima, ma al contempo forti, in merito agli atteggiamenti da tenere
nell’infosfera. Attore principale dello sviluppo e della cura del nuovo ecosistema dell’informazione
è l’homo poieticus che, grazie alla natura intrinsecamente costruzionista delle tecnologie digitali
non solo tende a concentrarsi sui processi di creazione, modifica e manipolazione di nuove realtà
(materiali o concettuali che siano), ma ha anche il pieno controllo e la responsabilità di una corretta
gestione di questi processi.
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5 La roboetica
E’ possibile ammettere l’esistenza di un agente etico artificiale?
Certo, se per soggetto etico s’intende un essere vivente, consapevole di esistere, fornito di
intelletto, ragione, volontà e libertà la risposta immediata è no. Eppure, dubbi cominciano a prender
forma da quando gli sviluppi di tutte le tecnologie informatiche, hardware e software, hanno
prodotto ed immesso sul mercato robot, automi ed avatar ( gli scienziati e l’industria giapponese
sono all’avanguardia, come è noto) che, tra agenti artificiali “incorporati” e “presenza” ed
“immersione” nella realtà virtuale, hanno indotto non già scrittori e romanzieri, ma seri scienziati e
compassati filosofi a prendere in considerazione domande e problemi che sembravano confinati nel
mondo immaginifico della fantascienza.
Sappiamo che gli agenti artificiali “incorporati”, i robot umanoidi in particolare, situati in un
contesto. sono in grado di possedere un certo livello di riconoscimento delle parole e di processare
il linguaggio naturale; che sono socievoli, in modo tale da poter interagire efficacemente con utenti
umani (i loro compagni umani, per così dire); che siano informazionalmente abili, cosicché possono
gestire le esigenze informazionali ordinarie dei loro utenti; che siano capaci di un certo grado di
autonomia, nel senso di compiere azioni indirizzate a un fine, da loro stessi attivate e regolate; e
infine che sono in grado di apprendere, secondo l’accezione di apprendimento proprio di una
macchina. I compagni artificiali non sono certo il risultato finale di qualche imprevista scoperta
d’intelligenza artificiale. Sono, però, qualcosa di più del1’equivalente sociale di Deep Blue, il
computer che ha vinto la partita a scacchi con il campione del mondo Kasparov, di cui abbiamo
parlato in una precedente lezione.
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Non c’è dubbio che le future generazioni interagiranno tranquillamente con artefatti digitali
in un modo che possiamo misurare solo in parte. Per loro, sarà naturale e pacifico essere in contatto
con agenti artificiali e relazionarsi al mondo per il loro tramite. Quanto più il limite tra on line e on
life diviene sottile, tanto più facile sarà accettare compagni artificiali, sintetici e ibridi, ed essere
capaci di socializzare con loro. Le future generazioni degli attuali cittadini non saranno immigranti
ma figli dell'era digitale.
L’evoluzione dei compagni artificiali potrebbe, in tal senso, muoversi in direzione di agenti
computerizzati, specializzati in compiti informazionali specifici. Sembra che la popolazione degli
agenti artificiali sia crescente ed evolverà nel futuro e, come nel caso dei veicoli, è possibile
attendersi forti tendenze alla specializzazione. Oggi, li comprendiamo e pianifichiamo come:
1.
lavoratori sociali, che possano far fronte alla solitudine umana, a bisogni sociali e al
desiderio di legami e interazioni emotive, non differentemente dagli animali di compagnia;
2.
fornitori di servizi, in contesti quali l'educazione, la comunicazione, la salute, la
sicurezza, la formazione ecc.;
3.
conservatori di memoria (come, ad esempio, nel progetto Memories for Life,
consultabile su internet), che si prendono cura dello spazio informazionale costituito da ricordi
umani, sia individuali che socialmente condivisi.
In ciascuno di questi casi, sorgono differenti questioni che qui sinteticamente proponiamo.
1. Per quanto riguarda i “lavoratori sociali”, è immorale o sconveniente o forse soltanto triste
nel consentire che esseri umani stabiliscano relazioni sociali con agenti artificiali simili ad
animali di compagnia? La domanda getta una luce interessante sulla natura umana e sembra
appartenere a quel genere di quesiti che si pongono in relazione all'utilizzo di droghe
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leggere. Essenzialmente: che cosa vi è di sbagliato? Differenti risposte si basano su diverse
antropologie filosofiche o concezioni antropologiche relative a che cosa significhi essere
autenticamente umano.
2. Per ciò che concerne i “fornitori di servizi” la questione è se essi in realtà incrementino la
discriminazione sociale e il divario digitale? Ad esempio, i soggetti affetti da rilevanti
disabilità dovrebbero avere diritto ad essere aiutati da un agente artificiale? Considerate che
gli agenti artificiali potrebbero facilmente divenire parte di artefatti tecnologici futuri,
costruiti per la mobilità, come gli agenti dotati di memoria sono costruiti per coloro che
soffrono di disfunzioni di memoria. Similmente, nel caso delle nuove generazioni di
studenti, quanto più i ricordi sono esogeni piuttosto che endogeni, tanto più il sistema
educativo deve fornire ai soggetti il genere di abilità richieste per accedere e dare senso alle
informazioni.
3. I “conservatori di memoria”, poi, intesi come diari artificialmente viventi solleverà sfide
interessanti. Non dimentichiamo che, tranne la cosa stessa, una memoria imperitura è la
seconda miglior scelta per raggiungere l'immortalità. Che cosa conservare? Come e chi
salvaguarderà, la disponibilità e accessibilità delle informazioni, la loro longevità, la loro
futura consumazione o “riedizione”? Chi deciderà l’impatto di tutto ciò sulla costruzione di
individui, gruppi, identità sociali e sulle narrative con cui le persone ricompongono il loro
passato e le loro radici?
Tutte queste problematiche richiederanno una gestione molto attenta, non solo dal punto di
vista tecnico, ma anche etico. Ad esempio, chi saranno i nuovi operatori professionali della
memoria? Nel passato, potevano essere definiti come persone celebri quei soggetti (il cui profilo era
ricordato e ricostruito dai professionisti della memoria), che potevano essere artisti (poeti, scultori,
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Università Telematica Pegaso
Epistemologia informatica ed etica digitale
pittori, musicisti, architetti ecc.), cronisti, storici o giornalisti. Oggi, siamo tutti famosi e un po’
meno mortali, nella misura in cui siamo capaci di essere noi stessi conservatori della nostra
memoria. Assisteremo all'emergenza di creatori e amministratori professionali dei ricordi digitali? E
in tono diverso ma collegato, che genere di ricordi sopravvivranno o dovrebbero sopravvivere ai
loro supporti umani? Che cosa faremo, inoltre, con i compagni artificiali che vivranno più a lungo
dei loro partner umani e con le loro memorie? Cancellarle? Selezionarle, tagliarle e copiarle,
modificarle? Assisteremo ad hacker della memoria?
La svolta informazionale può essere descritta come il quarto stadio nel processo di
dislocazione e ridefinizione della natura fondamentale dell’umanità e del suo ruolo nell'universo.
La domanda di fondo, che questa prospettiva fa emergere, è la stessa che ha sancito
nell’antica Grecia la nascita della filosofia come indagine razionale: perché?
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