VERBALE N° 11 MARTINA D'AGOSTINO 24/11/15 KANT: l'imperativo categorico e il sublime L'imperativo categorico indica la purezza totale, qualcosa di necessario perché ci sia autonomia, la forma del dovere per il dovere. Il dovere morale è fine a se stesso e quando si parla di categoricità si implica la purezza, l'autonomia e l'assolutezza. Se la morale si legasse a condizioni estrinseche (esterne), essa sarebbe eteronoma, cioè legata ad altri fini. L'uomo è fatto di interessi, passioni e impulsi, quindi la morale deve andare aldilà di tutto ciò che è empirico (che in morale significa passionale e legato ad altri fini). Kant definisce la libertà come il postulato della morale, cioè come un assioma, qualcosa che non ha bisogno di spiegazioni. La libertà è quella condizione trascendentale senza la quale non potrebbe esserci nemmeno la morale. L'uomo ha in sé questo postulato che è il vero fondamento della morale. Non è possibile, secondo Kant, arrivare al sommo bene (la perfezione), ma l'uomo ha il dovere di tendere ad esso. L'uomo deve chiedersi se la sua massima morale è conforme ad un eventuale consenso universale, se lo è ci troviamo nel campo della morale. Se invece la propria massima morale è sottoposta a condizionamenti egoistici o legati a secondi fini ci troviamo davanti alla morale eteronoma, quindi non sarebbe una vera morale. Nascendo in Prussia Kant fu educato secondo le idee di una corrente particolare del protestantesimo che dal punto di vista morale imponeva l'essere severi e inflessibili con se stessi e l'agire in maniera corretta vedendo gli altri come fini, come persone da rispettare. Kant elabora una morale perché a quei tempi si stava diffondendo in Europa un'atmosfera materialistica che metteva in evidenza atteggiamenti molto individualistici (morale materialistica). La Prussia con Kant attraversa un momento di forte illuminismo e di forte purezza, con la ricerca della dignità dell'uomo. La purificazione dei costumi era qualcosa di urgente in Europa perché si sentiva una morale negativa che avrebbe portato anche al capitalismo. La morale di oggi è fatta di condizionamenti, la morale kantiana quindi dovrebbe servire a preservare il proprio essere. La morale di Kant è una morale dell'interiorità che però esige uno sforzo, uno streben (sforzo titanico). La morale non sta nell'ottenere un risultato, ma sta nel guadagnarselo. Possiamo infatti definire la morale di Kant come una morale del merito razionale. La legge morale impone che la massima del proprio comportamento sia conforme, cioè che abbia più o meno la stessa forma dell'universalità, che sia conforme ad un ideale universale (se tratto gli altri come fini in quanto esseri razionali e non come mezzi allora sono conforme all'essere realmente morale, avere rispetto per il prossimo è un fine in se stesso e non è sottoposto ad un secondo fine, se guardo il prossimo come un secondo fine non faccio altro che trattarlo come un mezzo). Una delle tre formule dell'imperativo categorico dice: “tratta gli altri come fini e mai come mezzi”, cioè significa trattare l'altro per come è senza aspettative, con il puro disinteresse, rispettandolo nella sua essenza. L'imperativo categorico impone una sorta di obbedienza al “tribunale” della propria volontà. Kant viene visto come un illuminista (per la Critica della Ragion pura) ma anche come un precursore del Romanticismo (dal punto di vista della morale). La conoscenza non è mai metafisica, ma è fisica e fenomenica. Però Kant dice che sul versante morale l'uomo ha il dovere di essere un animale metafisico, cioè che ha il dovere di liberarsi di tutto ciò che è empirico. Senza l'infinito (sommo bene) di cui inizia a parlare Kant non ci sarebbe la morale. La filosofia dell'infinito è il concetto chiave del Romanticismo e l'infinito è il concetto chiave che ha a che fare poi con la libertà. La libertà è un postulato infinito, un dovere che non finisce mai. Il sublime è un altro termine tipico del Romanticismo ed è ciò che ci rende più umani, ciò che amplifica la dignità dell'uomo. Il discorso sulla Critica del Giudizio Estetico di Kant è infatti molto legata alla morale perché parlare del bello e del sublime è un approfondimento della morale. L'uomo si nobilita anche attraverso l'educazione al bello, senza essere educati ad esso si diventa delle bestie. La kalokagathìa dice che la bellezza coincide sempre con la bontà morale. Se una persona è educata alla bellezza si nobilita dal punto di vista morale, e questo si pensava fin dai tempi dell'antica Grecia. Nella Critica del Giudizio Kant dirà che la bellezza non è mai una cosa puramente estrinseca e oggettiva, ma che è un sentimento a priori che viene trasferito alle cose. Kant chiude la critica della ragion pratica in un modo che sembra incompleto, per questo poi sente il bisogno di scrivere la critica del giudizio dove parla del fatto che il senso del bello e il senso del sublime sono come una libertà, sono dentro di noi a priori e ci possono consentire di elevarci come esseri spirituali.