L’ATTUAZIONE DEL MANDATO D’ARRESTO EUROPEO NELL’ORDINAMENTO ITALIANO: PRIMI ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI. di Gaetano De Amicis Sommario: 1) La decisione quadro sul mandato d’arresto europeo: genesi e finalita’ del nuovo sistema di consegna tra gli Stati membri dell’U.E.. – 2) Mandato d’arresto europeo e principi costituzionali. – 3) L’attuazione del mandato d’arresto europeo nell’ordinamento italiano: la l. 22 aprile 2005, n. 69. – 4) Segue: Le disposizioni di principio. – 5) Segue: Il ruolo dell’autorita’ centrale. – 6) Segue: La procedura passiva di consegna. – 7) Segue: L’avvio della procedura di consegna dinanzi alla Corte d’appello. L’applicazione della misura coercitiva. – 8) Segue: La fase dinanzi alla Corte d’appello. – 9) Segue: Il consenso alla consegna. – 10) Segue: Il rifiuto della consegna. – 11) Segue: La procedura attiva di consegna. – 12) Segue: L’equiparazione tra il mandato d’arresto europeo e la segnalazione nel S.I.S. – 13) Segue: Il contenuto del mandato d’arresto. - 14) Segue: La sopravvenuta inefficacia del mandato d’arresto europeo. – 15) Segue: Natura ed effetti del principio di specialita’. – 16) Segue: La deducibilita’ del periodo di custodia cautelare sofferto all’estero. – 17) Segue: Le misure reali. – 18) Segue: La “ripartizione” delle spese tra lo Stato emittente e lo Stato di esecuzione del mandato d’arresto europeo. – 19) Segue: Gli obblighi internazionali. – 20) Segue: Le disposizioni finali e transitorie. – 21) I punti “critici” della legislazione italiana. – 22) I primi orientamenti giurisprudenziali. – 23) Segue: Mandato d’arresto europeo e limiti massimi di custodia cautelare: l’intervento delle Sezioni unite. – 24) L’attuazione del mandato d’arresto europeo negli altri Stati membri dell’U.E.: a) i rapporti di valutazione della Commissione europea; b) le pronunce delle Corti costituzionali in Germania, in Polonia, in Cipro e in Belgio; c) il principio di interpretazione conforme nella giurisprudenza della House of Lords. – 25) Segue: “Legittimita’ comunitaria” del mandato d’arresto europeo e principio di legalita’ penale: l’intervento della Corte di Giustizia. 1) La decisione quadro sul mandato d’arresto europeo: genesi e finalita’ del nuovo sistema di consegna tra gli Stati membri dell’U.E. . - La decisione quadro relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra gli Stati membri dell’U.E. e’ stata approvata dal Consiglio dell’Unione europea il 13 giugno 2002 ed ha inteso sostituire, nelle relazioni tra i venticinque Paesi membri dell’Unione, il tradizionale sistema multilaterale dell’estradizione con un meccanismo “non estradizionale” di arresto e consegna semplificata delle persone ricercate (perche’ condannate in via definitiva, ovvero perche’ nei loro confronti e’ stata o deve essere esercitata l’azione penale) nell’ambito del comune spazio territoriale europeo . E’ significativo rilevare come l’accordo politico tra gli Stati membri dell’Unione sia stato raggiunto sin dal dicembre 2001, a pochi mesi di distanza dai tragici avvenimenti dell’11 settembre 2001, ed a seguito del Consiglio europeo straordinario del 21 settembre 2001, le cui conclusioni espressamente affermavano che “l’ordine di arresto sostituira’ l’attuale sistema di estradizione tra Stati membri. Infatti, le procedure attuali di estradizione non rispecchiano il livello di integrazione e di fiducia tra gli Stati membri dell’Unione europea. Pertanto l’ordine di arresto europeo consentira’ la consegna diretta delle persone da autorita’ giudiziaria ad autorita’ giudiziaria, garantendo al tempo stesso i diritti e le liberta’ fondamentali” . Gia’ il Consiglio europeo di Tampere del 15-16 ottobre 1999, del resto, aveva ravvisato la necessita’ di abolire la procedura formale di estradizione tra gli Stati membri, per quanto attiene alle sole sentenze di condanna definitive, per sostituirla con il semplice trasferimento delle persone condannate; aveva inoltre chiesto di prendere in considerazione procedure di estradizione accelerate per gli altri casi, ossia quelli relativi alla fase delle indagini e alle decisioni di condanna non definitive, ponendo a fondamento della cooperazione giudiziaria, sia in materia civile che in quella penale, il principio del mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie, nel piu’ ampio quadro della realizzazione di quello spazio di liberta’, sicuerzza e giustizia solennemente proclamato quale obiettivo dell’Unione nell’art. 2 del T.U.E. . Il Programma globale di misure per l’attuazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni penali, adottato dal Consiglio dell’U.E. il 30 novembre 2000 per dare concreta attuazione alle conclusioni del Consiglio di Tampere, aveva poi chiaramente esplicitato l’obiettivo della realizzazione di un nuovo regime di consegna “fondato sul riconoscimento e sull’esecuzione immediata del mandato d’arresto emesso dall’autorita’ giudiziaria richiedente…… in vista della creazione di uno spazio giuridico europeo per l’estradizione”, cosi’ prefigurando a grandi linee i tratti essenziali della svolta legata all’adozione del nuovo sistema . Nella sua tradizionale impostazione strutturale il procedimento di estradizione e’ caratterizzato, come del resto tutte le forme classiche della cooperazione giudiziaria penale, da un modello ibrido di consegna delle persone accusate o condannate al fine della loro sottoposizione al processo (estradizione processuale) o dell’esecuzione della pena (estradizione esecutiva), nel quale coesistono una fase giurisdizionale ed una fase politico-amministrativa, con la conseguenza che la consegna della persona ricercata avviene non solo sulla base di valutazioni tecnico-giuridiche rimesse all’autorita’ giurisdizionale, ma anche sulla base di valutazioni politiche di pertinenza delle autorita’ di governo, le cd. autorita’ centrali . Il diritto convenzionale europeo in materia di estradizione - le cui principali fonti di riferimento sono la Convenzione europea di estradizione del 13 dicembre 1957 e i due Protocolli addizionali, la Convenzione europea per la repressione del terrorismo del 27 gennaio 1977, la Convenzione di applicazione degli Accordi di Shengen del 19 giugno 1990, la Convenzione di Bruxelles del 10 marzo 1995 e la Convenzione di Dublino del 27 settembre 1996 (queste ultime due, peraltro, non ratificate dall’Italia e non ancora entrate in vigore a livello europeo) - si fonda, pertanto, su una base procedimentale al tempo stesso giudiziaria e metagiudiziaria, il cui esito decisorio, ossia la consegna della persona oggetto della richiesta di estradizione, e’ subordinato all’incrocio di diverse valutazioni rimesse agli organi del potere esecutivo (il Ministro della Giustizia, che e’ il titolare del petitum cautelare) e a quelli del potere giudiziario (la Corte d’appello ed eventualmente, in caso di ricorso, la Corte di cassazione). L’istituto del mandato d’arresto europeo costituisce, invece, la prima concretizzazione storica del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie (ex art. 1, par.2, della decisione quadro) e si fonda su una linea di sviluppo interamente processuale, caratterizzata dai seguenti elementi identificativi: a) giurisdizionalizzazione del meccanismo di consegna, connotato da un rapporto diretto tra le autorita’ giudiziarie interessate e dall’esclusione di ogni intervento da parte del potere esecutivo; b) drastica riduzione dei motivi di rifiuto dell’esecuzione, con la tassativa indicazione degli stessi e la sostanziale scomparsa del controllo sul tradizionale requisito della doppia incriminazione per quanto attiene ad un catalogo di trentadue fattispecie di reato individuate nell’art.2, par.2, della decisione quadro; c) maggiore snellezza e rapidita’ della procedura, in virtu’ della predeterminazione e della sensibile restrizione dei termini di consegna. Ne discende che i soggetti del rapporto cooperativo finalizzato alla consegna, in materia processuale o esecutiva, a seconda dei casi, non sono piu’ lo Stato richiedente e lo Stato richiesto, ma esclusivamente l’autorita’ giudiziaria di emissione e quella di esecuzione, laddove il ruolo dell’autorita’ centrale viene depotenziato sino a ridursi ad una mera attivita’ di supporto nella trasmissionericezione delle richieste (ex art. 7, par.2, della decisione quadro). Al definitivo tramonto del ruolo decisionale dell’esecutivo ed alla sostanziale dequotazione di ogni momento di discrezionalita’ politica si accompagnano, contestualmente, il rafforzamento dei diritti e delle garanzie processuali della persona ricercata e la formalizzazione della procedura sulla base di un mandato strutturato in modo uniforme e riconosciuto come generalmente valido ed efficace in tutto lo spazio territoriale dell’Unione europea (in virtu’ della predisposizione di un unico formulario che appare in allegato alla stessa decisione quadro). Il campo di applicazione del mandato d’arresto europeo, secondo il disposto di cui all’art. 2, par.1, della decisione quadro, riguarda i fatti puniti dalla legge dello Stato membro emittente con una pena detentiva, ovvero una misura di sicurezza privativa della liberta’, di durata massima non inferiore al limite di dodici mesi, oppure, se e’ stata irrogata la condanna o e’ stata inflitta una misura di sicurezza, le condanne pronunziate per una durata non inferiore ai quattro mesi. Un’ importante novita’ rispetto al previgente sistema estradizionale e’ rappresentata dalla obbligatoria dell’esecuzione di un mandato e motivazione dell’eventuale rifiuto dal carattere di massima urgenza della procedura, in conseguenza della prefissazione di termini precisi, sia pure di natura ordinatoria, per la adozione della decisione sulla consegna da parte della autorita’ giudiziaria dello Stato di esecuzione: a) il termine di dieci giorni a decorrere dall’eventuale consenso formale alla consegna da parte della persona ricercata; b) quello di sessanta giorni dal momento dell’arresto del ricercato nello Stato di esecuzione (sino alla soglia temporale massima di giorni novanta in presenza di casi particolari, peraltro non bene definiti, secondo il disposto di cui all’art. 17, par.4, della decisione quadro). Se, per un verso, il mancato rispetto dei termini per la decisione sulla consegna non determina l’automatica scarcerazione del ricercato, per altro verso deve osservarsi come l’eventuale violazione del termine stabilito per la materiale consegna successivamente alla adozione della decisione comporti, ex art. 23, par.5, e al di fuori dei particolari casi di forza maggiore o di differimento per ragioni umanitarie, l’immediato rilascio della persona arrestata . Sotto altro punto di vista, la decisione quadro non impone necessariamente la previsione di forme di impugnazione avverso la decisione di consegna, lasciando al riguardo piena discrezionalita’ alle scelte dei diversi sistemi nazionali (che qualora decidano di introdurre specifiche procedure di impugnazione o di ricorso in cassazione avverso la decisione di consegna, comunque dovranno rispettare la griglia dei termini massimi prefissati dalla decisione quadro). Nell’ambito del nuovo sistema di consegna, la natura politica del reato non costituisce una causa di rifiuto dell’esecuzione, sul presupposto che la creazione di uno spazio comune di sicurezza, liberta’ e giustizia prevede un grado elevato di omogeneita’ dei diversi sistemi interni dei Paesi membri dell’U.E., in relazione alla comune osservanza dei principi e dei diritti fondamentali sanciti dall’art. 6 T.U.E. e contenuti nel capo VI della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Nel considerando n. 12 del preambolo, peraltro, si stabilisce, opportunamente, che la decisione quadro non puo’ interpretarsi nel senso di impedire il rifiuto dell’esecuzione allorquando, sulla base di elementi oggettivi, debba ritenersi che lo stesso sia stato emesso per motivi discriminatori (in ragione della razza, religione, opinione politica, origine etnica, tendenze sessuali, ecc.), in tal modo reintroducendosi il contenuto della classica “clausola di non discriminazione” tradizionalmente prevista, per una generale finalita’ di garanzia, dalla normativa convenzionale in materia di estradizione . Ai sensi dell’art. 2, par.2, della decisione quadro l’assenza della doppia incriminazione non costituisce piu’ un motivo di rifiuto dell’esecuzione in relazione ad un ampio catalogo di fattispecie di reato (ben trentadue, generalmente identificate con quelle piu’ gravi – ad es., terrorismo, omicidio, violenza sessuale, riciclaggio, corruzione, partecipazione ad un’organizzazione criminale, ecc. – e suscettibili di eventuale allargamento per effetto di una decisione unanime degli Stati membri ex art. 2, par. 3). La definitiva scomparsa del controllo della doppia incriminazione – uno degli elementi tipicamente caratterizzanti la normativa pattizia in materia estradizionale – presenta dunque un ambito di applicazione assai ampio, anche se apparentemente circoscritto ad una lista tassativa di figure di reato . Ne consegue che, ricorrendo l’ulteriore condizione per cui il reato oggetto del mandato sia punito, secondo la legge dello Stato emittente, con una pena detentiva non inferiore al limite edittale dei tre anni, l’autorita’ competente per l’esecuzione non potra’ rifiutare l’arresto per il motivo che le condotte criminose non integrano una fattispecie di reato secondo la legislazione del proprio Stato. L’eccezione basata sul requisito della doppia incriminazione, peraltro, puo’ rivivere per tutti quei reati non elencati nella lista di cui al par. 2 dell’art. 2, in relazione ai quali ciascuno Stato membro, in sede di attuazione della decisione quadro, puo’ decidere di subordinare nel proprio ordinamento la consegna della persona al rispetto della condizione della previsione bilaterale del fatto come reato. Al riguardo si e’ correttamente osservato come, in realta’, sul presupposto di una valutazione effettuata ex ante, il legislatore comunitario abbia voluto semplicemente eliminare quella verifica sulla previsione bilaterale del fatto come reato, ritenendo che le fattispecie inserite nella lista delle trentadue categorie tassativamente delineate dall’art.2, par.2, costituiscano ipotesi criminose nelle legislazioni degli ordinamenti interni di tutti i Paesi membri dell’U.E. . Cio’ non toglie, paraltro, che l’autorita’ giudiziaria dell’esecuzione dovra’ comunque verificare la esatta riconducibilita’ del caso concreto alle tipologie di reato generalmente e in astratto indicate nella lista. Oltre all’estensione delle ipotesi di rifiuto basate sul principio del ne bis in idem (che diviene motivo obbligatorio di rifiuto se la sentenza definitiva, per lo stesso fatto e nei confronti della stessa persona, e’ una sentenza di condanna che sia stata anche eseguita o sia in corso di esecuzione, ovvero non possa piu’ eseguirsi in forza di una legge dello Stato membro dell’Unione che l’ha emessa), va altresi’ considerato che lo stato di cittadino, ovvero quello di residente o dimorante stabile nello Stato richiesto dell’esecuzione, non costituisce in se’ un motivo di rifiuto dell’esecuzione di un mandato d’arresto europeo, ma puo’ divenire motivo facoltativo di rifiuto se lo Stato di emissione non s’impegna, ove richiesto da quello di esecuzione, a far scontare la pena o la misura di sicurezza detentiva nello Stato di esecuzione di cui la persona richiesta in consegna sia cittadino o residente o stabile dimorante (ex artt. 4, n. 6 e 5 n. 3 della decisione quadro). La ratio del nuovo istituto e’ stata generalmente ravvisata nella pressante esigenza di individuare meccanismi di consegna piu’ rapidi, efficaci e garantiti rispetto alle pesanti e farraginose procedure estradizionali, ritenute ormai del tutto inadeguate a fronteggiare le nuove necessita’ di una strategia europea di contrasto della mobilita’, reale e personale, della criminalita’ organizzata transnazionale, sul presupposto della sostanziale comunanza di tutti i sistemi giuridici degli Stati membri e della loro generale adesione al quadro dei diritti e delle liberta’ fondamentali delineato dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dalla Carta dei diritti fondamentali proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 (oggi incorporata nella Parte II del Trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa, firmato a Roma il 29 ottobre 2004) . In forza degli artt. 31, par.1, e 32 della decisione quadro il sistema europeo di estradizione ha cessato progressivamente di esistere fra gli Stati membri dell’U.E. a decorrere dal 1° gennaio 2004. A partire dalla data del 1° gennaio 2004, dunque, alle nuove richieste di consegna non si applica piu’ il regime dell’estradizione convenzionale, ma la nuova procedura semplificata del mandato d’arresto europeo, sulla base delle normative adottate dagli Stati membri per conformare il proprio diritto interno al contenuto ed alle finalita’ della legislazione comunitaria. Nell’ambito del nostro ordinamento (e non solo) ne deriva, per la decisione in ordine alla consegna delle persone ricercate, la coesistenza di un triplice regime processuale basato su un principio di necessaria diversificazione delle fonti interne ed intenazionali e dei correlativi paradigmi normativi di riferimento: 1) l’ambito dei rapporti con gli Stati membri dell’U.E. (basato sull’applicazione del nuovo istituto del mandato d’arresto europeo); 2) l’ambito dei rapporti con tutti quei Paesi, anche europei, le cui relazioni con l’Italia vengono convenzionalmente regolate, a livello multilaterale o bilaterale, sulla base di specifici accordi o trattati internazionali (ad es., la Svizzera e tutti gli altri Paesi, non aderenti all’U.E., ma legati dalla Convenzione europea di estradizione del 1957, ovvero tutti quei Paesi, come, ad es., gli U.S.A., il Canada, il Brasile, l’Argentina, ecc., con i quali l’Italia e’ vincolata da un trattato bilaterale); 3) l’ambito dei rapporti con quei Paesi con i quali non vi e’, invece, alcun tipo di accordo internazionale (ad es., l’Iran), e che vengono pertanto disciplinati sulla base dell’impianto normativo codicistico. La definizione del mandato d’arresto europeo quale decisione giudiziaria emessa da uno Stato membro in vista dell’arresto e della consegna da parte di un altro Stato membro di una persona ricercata ai fini dell’esercizio di un’azione penale o dell’esecuzione di una pena detentiva (ex art.1, par.1, della decisione quadro) consente di individuarne la natura in quella propria di un distinto atto giudiziario a proiezione specificamente europea - rispetto a quelli coercitivi tipici della procedura interna - che gli Stati membri sono obbligati ad eseguire in forza del principio del reciproco riconoscimento e che, pur essendo causalmente astratto rispetto a questi ultimi, perche’ dotato di una sua autonoma finalita’, appare comunque agli stessi funzionalmente connesso, dovendone garantire il determinarsi degli effetti attraverso l’arresto e la consegna in forma non estradizionale della persona ricercata . Non e’ dunque il titolo interno a dover circolare ed essere eseguito sul territorio europeo (tanto che non ne e’ prevista, nella decisione quadro, ne’ l’allegazione al mandato, ne’, tanto meno, la traduzione), ma proprio il mandato d’arresto in quanto tale, sulla base dell’obbligatorio schema formale di riferimento costituito dallo specifico formulario appositamente allegato alla decisione quadro del 13 giugno 2002. Il nuovo meccanismo di consegna - e proprio in questo tratto caratterizzante risiede probabilmente il segno epocale della svolta legata all’adozione della decisione quadro - presuppone, infatti, il riconoscimento “a monte” del provvedimento de libertate emesso dalle autorita’ giudiziarie degli altri Stati membri, consentendo di mettere in esecuzione il mandato d’arresto europeo, quale decisione tipicamente giudiziaria e come tale generalmente riconosciuta dalle competenti autorita’ di esecuzione, sulla base della mera indicazione dell’esistenza del provvedimento a quo (sentenza esecutiva, mandato d’arresto o qualsiasi altra decisione giudiziaria esecutiva dotata della stessa forza) e di altre sintetiche informazioni (ad es., natura e qualificazione giuridica del reato, descrizione delle circostanze della sua commissione, la pena inflitta, ovvero quella minima e massima stabilita dalla legge dello Stato di emissione, le altre conseguenze del reato) tassativamente delineate nella disposizione di cui all’art. 8, par. 1, della decisione quadro . Cio’ che conta nel nuovo sistema di consegna e’ che l’autorita’ giudiziaria competente ad adottare la decisione relativa all’esecuzione di un mandato d’arresto europeo abbia la possibilita’ di attivare un controllo sufficiente, secondo l’esplicita formulazione lessicale dettata nel considerando n. 8 del preambolo della decisione quadro: ove le informazioni al riguardo comuinicate dall’autorita’ dello Stato emittente non siano ritenute sufficienti per prendere la decisione sulla consegna, l’autorita’ giudiziaria dell’esecuzione puo’, ex art. 15, par. 2, della decisione quadro, richiedere con urgenza la trasmissione delle informazioni complementari necessarie in relazione agli artt. 3, 4, 5 e 8 della decisione quadro e puo’ addirittura stabilire un termine per la ricezione delle stesse (si tratta dei profili inerenti alla previsione dei motivi di rifiuto, obbligatori e facoltativi, del mandato, alle speciali garanzie che lo Stato emittente deve essere in grado di fornire ex art. 5 della decisione quadro, ed agli elementi sostanziali e formali del mandato d’arresto secondo il catalogo delle indicazioni ex art. 8 dello strumento). In questa prospettiva, connotata in senso fortemente innovativo dalle conseguenze oggettivamente ricollegabili all’applicazione del principio del mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie, e’ evidente che l’esecuzione del mandato d’arresto europeo dovra’ avvenire sempre attraverso l’avvio e la conseguente gestione di contatti diretti tra le diverse autorita’ giudiziarie competenti nell’ambito dei rispettivi sistemi, e specificamente individuate come tali secondo le regole al riguardo vigenti a livello nazionale. 2) Mandato d’arresto europeo e principi costituzionali. – L’istituto del mandato d’arresto europeo e’ stato introdotto attraverso lo strumento della decisione quadro, ossia l’atto normativo di diritto derivato espressamente previsto dall’art. 34, par. 2, lett.b), del T.U.E., per la realizzazione degli obiettivi legati all’armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri (laddove l’altro strumento normativo ivi previsto, ossia la decisione, puo’ essere generalmente utilizzato per il perseguimento di tutti gli altri obiettivi del III pilastro comunitario). Si tratta di un atto che, una volta entrato in vigore a livello europeo, determina a carico degli Stati membri uno specifico obbligo di attuazione in ordine al risultato da ottenere, ferma restando la piena discrezionalita’ degli stessi in ordine alla scelta dei mezzi e delle forme da predisporre per il raggiungimento dell’obiettivo. L’attuazione della decisione quadro presuppone dunque uno specifico procedimento di adattamento del diritto interno, da completare, per evidenti esigenze di sostanziale omogeneita’ e conformita’ allo scopo delle varie normative nazionali, entro un arco temporale generalmente piuttosto ristretto e tassativamente prefissato nello stesso atto di diritto derivato. Di fatto, peraltro, lo strumento della decisione quadro sembra essere connotato da un certo margine di opportuna flessibilita’, ove si consideri che lo stesso e’ stato talora impiegato dalle istituzioni comunitarie del terzo pilastro per realizzare, indifferentemente, sia l’obiettivo dell’armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri, sia quello del reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie, in relazione a settori di fattispecie non ancora armonizzate, o solo prearmonizzate . Diversamente dallo strumento, sostanzialmente omologo, delle direttive comunitarie, in caso di mancata attuazione di una decisione quadro da parte degli Stati membri non sembra possibile esperire un’azione di infrazione, su iniziativa della Commissione o di un altro Stato membro, sulla base del modello generale delineato dall’art. 226 del Trattato istitutivo della Comunita’ europea: nel settore del terzo pilastro, infatti, la Commissione europea sembra esser priva della base normativa necessaria per potere promuovere una specifica azione nei confronti dello Stato membro che non abbia adempiuto ad una decisione quadro . Di contro, sembra possibile ritenere, ex art. 35, par. 7, T.U.E., l’attivazione dello specifico meccanismo contenzioso ivi contemplato, essendo la Corte di Giustizia competente a statuire su ogni controversia tra Stati membri concernente l’interpretazione o l’applicazione degli atti adottati a norma dell’art. 34, par. 2, ogni qual volta la controversia non possa esser risolta dal Consiglio entro sei mesi dalla data nella quale esso e’ stato adito da uno dei suoi membri. Ne discende, pertanto, che eventuali controversie originate da una mancata o scorretta applicazione di tale atto di diritto derivato potrebbero essere rimesse, a domanda di una parte della controversia, all’attenzione della Corte di Giustizia . Va altresi’ ricordato che nell’attuale sistema della cooperazione giudiziaria penale l’art. 35, par.1, T.U.E., cosi’ come riformulato a seguito del Trattato di Amsterdam, attribuisce alla Corte di Giustizia la competenza a pronunziarsi in via pregiudiziale sulla validita’ o sull’interpretazione delle decisioni quadro: siffatta apertura al rinvio pregiudiziale ex art. 35, tuttavia, come si e’ osservato, sembra avere una portata oggettivamente piu’ debole rispetto al modello comunitario del rinvio pregiudiziale ex art. 234 T.C.E., avendo solo un carattere facoltativo in quanto subordinato alla formale accettazione dello Stato membro con un’apposita dichiarazione effettuata all’atto della firma del Trattato di Amsterdam, ovvero successivamente (allo stato, ad es., vi sono taluni Paesi – Danimarca, Irlanda e Regno Unito – che non hanno formulato alcuna dichiarazione di accettazione, mentre altri, come l’Italia, hanno riconosciuto ad ogni giurisdizione nazionale la facolta’ di adire la Corte di Giustizia, riservandosi il diritto di prevedere il rinvio obbligatorio per le giurisdizioni di ultima istanza) . In considerazione del carattere comunque vincolante della decisione quadro e della sua sostanziale omogeneita’ con lo strumento della direttiva comunitaria, pare inoltre possibile ritenere sussistente, in capo al giudice nazionale, un obbligo di interpretazione conforme del diritto nazionale al contenuto e alle finalita’ della decisione quadro, sia nelle ipotesi in cui esista una specifica disposizione di attuazione, sia allorquando, pur in assenza di attuazione, esistano norme nazionali suscettibili di essere interpretate in modo da non creare un contrasto con la decisione quadro, ma, anzi, di favorirne l’applicazione nei limiti del possibile . Sotto questo profilo, una decisa linea di indirizzo nel senso del rafforzamento degli attuali strumenti della cooperazione giudiziaria e di polizia sembra emergere da una recente pronuncia della Corte di Giustizia CE sulla decisione quadro in materia di tutela delle vittime nell’ambito del procedimento penale , in cui si e’ statuito che il giudice nazionale (italiano, nel caso di specie) e’ tenuto ad interpretare il diritto interno, “per quanto possibile”, in maniera conforme alla lettera ed allo scopo della decisione quadro al fine di conseguire il risultato da quest’ultima perseguito (e’ stato anche affermato, nella medesima prospettiva, che il principio di interpretazione conforme incontra i suoi limiti nei principi generali del diritto, ed in particolare in quelli di certezza del diritto e di non retroattivita’). Ne discende, ad avviso della Corte di Giustizia, che il giudice nazionale e’ tenuto a valutare le norme interne nel loro complesso e ad interpretarle in relazione al contenuto e alla finalita’ della decisione quadro, il cui carattere vincolante, ex art. 34, par.2, lett. b), T.U.E., appare non a caso tratteggiato in termini identici a quelli descritti dall’art. 249, par.3, T.C.E., in materia di direttive comunitarie . In nessun caso, peraltro, l’obbligo di interpretazione conforme puo’ condurre a determinare o ad aggravare, sul fondamento della sola decisione quadro e indipendentemente dalla legge statale adottata per la sua attuazione, la responsabilita’ penale di coloro che agiscono in violazione delle sue disposizioni . E’ significativo, del resto, che nel solco tracciato dalla Corte di Giustizia si ponga anche una recente pronuncia della House of Lords in ordine alla legge britannica di attuazione del mandato d’arresto europeo (cd. Extradition Act 2003), secondo cui la decisione quadro prevale sulla normativa interna quando quest’ultima introduce condizioni non previste dall’atto europeo (che, pertanto, devono essere disapplicate dal giudice nazionale) . La normativa interna, infatti, secondo i giudici inglesi, deve essere interpretata alla luce dello scopo della decisione quadro del 13 giugno 2002, ovvero di “facilitare ed accelerare” le procedure di consegna, eliminando le complessita’ ed i ritardi della procedura estradizionale, con la conseguenza che la formalita’ aggiuntiva richiesta dalla legge britannica (ossia, l’allegazione di un certificate da parte dello Stato richiedente in ordine alla tipologia ed alla sanzione edittale del reato oggetto del mandato d’arresto) verrebbe ad introdurre un requisito tecnico che rischierebbe di frustrare la volonta’ dell’U.E. di un unico, comune, form di ordine di arresto accettato uniformemente da tutti gli Stati membri. L’acceso dibattito verificatosi in sede dottrinale, e successivamente sviluppatosi nel corso dei lavori parlamentari, sulle forme e modalita’ del recepimento della decisione quadro nel nostro ordinamento giuridico ha fatto emergere profili problematici estremamente rilevanti in ragione delle numerose implicazioni legate ai possibili contrasti della disciplina comunitaria con i principi fondamentali della nostra Costituzione . Si e’ sostenuto, in particolare: a) che il catalogo di fattispecie contenuto nell’art.2, par. 2, della decisione quadro, configurando i reati in maniera del tutto generica, disattende i principi di riserva di legge e tassativita’ in materia penale; b) che lo strumento comunitario svuoterebbe di contenuto, attraverso la automaticita’ di esecuzione del mandato d’arresto, le garanzie fondamentali generalmente fissate negli artt. 13 e 111 Cost.; c) che la decisione quadro introdurrebbe un sistema semplificato di consegna in contrasto con gli artt. 10 e 26 Cost., laddove stabiliscono il divieto di estradizione del cittadino ed il divieto di estradizione, sia del cittadino che dello straniero, per reati politici . Al riguardo, tuttavia, si e’ efficacemente replicato che nel mandato d’arresto europeo la doppia incriminazione, lungi dall’essere eliminata, e’ invece presupposta sulla base di una valutazione effettuata ex ante, alla luce del rilievo per cui le fattispecie elencate nella lista di cui all’art.2, par.2, della decisione quadro costituiscono ipotesi criminose in ciascuno degli Stati membri, perche’ gia’ ricomprese nelle legislazioni interne ovvero disciplinate nell’ambito di strumenti normativi internazionali, dunque gia’ armonizzate o in via di armonizzazione. Nella stessa prospettiva, si e’ altresi’ considerato come non sia affatto sufficiente il mero nomen iuris a far scattare l’obbligo di consegna, dovendo comunque l’autorita’ giudiziaria di esecuzione procedere ad un controllo, sia pure ridotto, al fine di verificare la esatta riconducibilita’ del fatto per il quale si richiede la consegna ad uno dei reati elencati nella lista . Ne’, del resto, potrebbe tralasciarsi di rilevare che, in concreto, il sistema della lista ex art.2, par. 2, correlato con quello perdurante della doppia incriminazione ex art. 2, par.4, sembra costituire comunque un meccanismo combinatorio idoneo ad escludere – specie a fronte di possibili casi-limite che rivelino scelte differenziate tra gli ordinamenti degli Stati membri - il pericolo di una consegna per un fatto non previsto come reato dalla legge dello Stato di esecuzione. In definitiva, la garanzia del rispetto dei principi di legalita’ e tassativita’ e’ offerta dalla circostanza che tutti i Paesi membri dell’Unione sono vincolati dal quadro di garanzie delineato nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali e sottoposti alla giurisdizione della Corte di Strasburgo: il principio della doppia incriminazione, tipico dei procedimenti di estradizione, assolve infatti una funzione di garanzia nei confronti di quegli Stati di cui in Italia non si conosca fino a qual punto aderiscano ai principali diritti di liberta’ e democrazia, non certo all’interno dello spazio giuridico europeo, definito comune proprio perche’ formato da Paesi che si ispirano ai medesimi valori e dove l’osservanza degli stessi viene garantita a livello internazionale dalle pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo . In ordine al preteso contrasto con l’art. 26 Cost., lo strumento della decisione quadro, quale atto normativo di diritto derivato, pur non potendosi formalmente configurare come convenzione internazionale, trova comunque la sua origine nelle disposizioni di cui agli artt. 31 e 34 del T.U.E., con la conseguenza che il necessario coordinamento con l’ulteriore principio inerente alle limitazioni di sovranita’ ex art. 11 Cost. consente di escludere in radice i dubbi di costituzionalita’ per quel che attiene alla consegna di un cittadino italiano allo Stato membro emittente. Del resto, la stessa decisione quadro, soprattutto nell’art. 5, par.3, contempla speciali garanzie che devono esser fornite dallo Stato membro emittente allorquando la persona oggetto del mandato d’arresto europeo sia cittadino o residente dello Stato membro di esecuzione, potendo la consegna essere subordinata alla condizione che la persona, dopo esser stata ascoltata, sia rinviata nello Stato membro di esecuzione per scontarvi la pena detentiva o la misura di sicurezza privativa della liberta’ eventualmente pronunciate nei suoi confronti nello Stato membro emittente . Inoltre, come e’ stato rilevato dalla dottrina, nessuno dei reati elencati nella decisione quadro puo’ essere considerato oggettivamente politico: il contenuto della clausola di non discriminazione accolta nel considerando n. 12 della decisione quadro e’ stato ritenuto ampiamente sufficiente per evitare eventuali rischi di strumentalizzazione o manipolazione politica del mandato d’arresto europeo, consentendo di rifiutare la consegna qualora sussistano elementi oggettivi per ritenere che sia stato emesso al fine di perseguire penalmente o punire una persona a causa, tra l’altro, delle sue opinioni politiche . Si e’ infine osservato, in ordine al supposto contrasto con i principi di cui agli artt. 3 Cost., in relazione all’art. 13 Cost., e 111 Cost., che gia’ oggi, nella materia estradizionale, considerate le preminenti finalita’ di cooperazione tra Stati che essa intende soddisfare, si prescinde, ai fini dell’emissione del provvedimento restrittivo, dai limiti di pena previsti dall’art. 280 c.p.p. (ex art. 714, co.2, c.p.p.) e che, in esecuzione del mandato d’arresto europeo, una persona viene assoggettata a misura restrittiva della liberta’ personale non direttamente in forza del provvedimento straniero, ma a seguito di un provvedimento interno, avverso il quale e’ comunque ammesso il ricorso per cassazione conformemente al disposto di cui all’art. 111 Cost. . Tutti i Paesi membri dell’U.E., del resto, sono vincolati al rispetto del principio di legalita’ nell’adozione delle misure coercitive ex art. 5, co.1, lett. c) , della Convenzione europea dei diritti dell’uomo . Nel sistema estradizionale, peraltro, come piu’ avanti meglio si vedra’, non e’ ammessa la verifica, da parte dello Stato richiesto, sull’esistenza dei presupposti di colpevolezza, in quanto la stessa e’ di esclusiva pertinenza del giudice nazionale, che e’ il vero giudice del fatto: sarebbe infatti necessaria, al riguardo, una verifica della congruita’ della motivazione rispetto agli elementi acquisiti nel corso del procedimento penale straniero, cio’ che e’ in contrasto con il diritto convenzionale in materia di estradizione in quanto comporterebbe un’invasione di competenza e non risulterebbe comunque, in concreto, possibile perche’ e’ il giudice naturale del fatto che ha il fascicolo processuale. Ne’ potrebbe dirsi irrilevante il dato testuale emergente dalla stessa decisione quadro, ove si precisa che l’obbligo di rispettare i diritti fondamentali e i fondamentali principi giuridici sanciti dall’art. 6 del T.U.E. non puo’ essere modificato per effetto della decisione medesima (ex art. 1, par. 3) e che gli Stati membri possono comunque applicare le loro norme costituzionali relative al giusto processo, alla liberta’ di stampa, alla liberta’ di associazione e alla liberta’ di espressione negli altri mezzi di comunicazione (considerando n. 12). Sotto altro profilo, tuttavia, e’ evidente che il complesso delle obiezioni di ordine costituzionale puo’ e deve essere congruamente valutato solo alla stregua delle specifiche tecniche di adattamento di volta in volta utilizzate dal legislatore ordinario in sede di recepimento della fonte comunitaria. 3) L’attuazione del mandato d’arresto europeo nell’ordinamento italiano: la legge 22 aprile 2005, n. 69. - Con la entrata in vigore della legge 22 aprile 2005, n. 69, recante “Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri”, lo strumento comunitario risulta ormai definitivamente attuato in tutti gli Stati dell’Unione europea . Si e’ in tal modo realizzata la condizione per la definitiva sostituzione della estradizione con la nuova procedura di consegna, basata sul mandato di arresto europeo, nelle relazioni tra le autorità giudiziarie di tutti gli Stati membri, con alcune limitate eccezioni riconducibili, in parte, alle dichiarazioni unilaterali rese ai sensi dell’art.32 della decisione quadro da tre Stati (Italia, Austria e Francia) e, in parte, alle specifiche norme di diritto intertemporale previste nell’ambito di talune leggi di attuazione di altri Stati membri (ad es., Lussemburgo, Repubblica Ceca e Slovenia). Eccezioni di diritto transitorio, infatti, possono essere invocate solo da quegli Stati membri (Francia, Austria e Italia) che si sono avvalsi, in virtu’ dell’apposita dichiarazione unilaterale prevista dall’art. 32 della decisione quadro, della facolta’ di continuare ad applicare il sistema dell’estradizione alle richieste relative ai reati commessi prima di una certa data da essi precisata (ossia il 1° novembre 1993 per la Francia, ed il 7 agosto 2002, data dell’entrata in vigore della decisione quadro, per l’Austria e l’Italia). Nelle legislazioni di taluni Stati membri, tuttavia, si e’ ritenuto di introdurre specifiche disposizioni di diritto transitorio, nonostante la generale disciplina dettata dall’art. 32 della decisione quadro e gli effetti delle correlative clausole di “sbarramento” temporale ivi previste, anche con riguardo alla possibilita’, per ogni Stato membro, di adottare una dichiarazione unilaterale in qualita’ di Stato dell’esecuzione (consentita, pero’, solo al momento dell’adozione della decisione quadro): cosi’, ad es., in Slovenia l’art. 36 della l. 26 marzo 2004 (n. 212-05/04-32/1) prevede l’applicabilita’ delle procedure estradizionali, convenzionali o ordinarie, in relazione ai reati commessi prima della data del 7 agosto 2002, mentre in Lussemburgo l’art. 37 della l. 17 marzo 2004, n. 39, consente l’applicabilita’ delle nuove disposizioni relative alla procedura di consegna per i fatti commessi successivamente alla data del 7 agosto 2002, e, addirittura, nella legge di attuazione varata dalla Repubblica Ceca si prevede l’applicabilita’ della nuova disciplina soltanto per i reati commessi successivamente alla data del 1° novembre 2004. La legge italiana è formata da 40 articoli distinti in tre titoli. Il Titolo I, contenente le disposizioni di principio, comprende gli articoli da 1 a 4. Il Titolo II, contenente le norme di recepimento interno, é suddiviso in quattro Capi: il Capo I, intitolato “Procedura passiva di consegna”, comprende ventitre articoli, dal 5 al 27; il Capo II, intitolato “Procedura attiva di consegna”, comprende sei articoli (dal 28 al 33); il Capo III, intitolato “Misure reali”, comprende gli articoli 34, 35 e 36; il Capo IV, intitolato “Spese”, si compone di un unico articolo (37). Il Titolo III contiene le disposizioni transitorie e finali e comprende gli articoli 38, 39 e 40. Nel complesso, gli articoli di legge che regolano la esecuzione in Italia del mandato di arresto europeo emesso in un altro Stato membro sono ventitre, mentre gli articoli relativi alla emissione del mandato di arresto europeo da parte della autorità giudiziaria italiana sono sette. Alle disposizioni di legge, inoltre, deve essere aggiunta la dichiarazione presentata dall’Italia al momento della entrata in vigore della decisione quadro e pubblicata sulla Gazzetta ufficiale delle Comunità europee. In base ad essa, l’Italia continuerà ad applicare le convenzioni in materia di estradizione nella esecuzione dei mandati di arresto europeo emessi in altri Stati per reati commessi anteriormente alla entrata in vigore della decisione quadro (ossia, il 7 agosto 2002). La complessità della normativa italiana appare comunque in linea con quella delle legislazioni degli altri Stati membri e della stessa decisione quadro. Quest’ultima è formata da un ampio preambolo (14 consideranda), 35 articoli e un allegato, contenente il modello della “eurordinanza” denominata “mandato di arresto europeo”. Si tratta, quindi, di un testo normativo molto più complesso dei singoli strumenti giuridici in materia di estradizione, che in tal modo si vengono a sostituire. Per quanto riguarda le leggi varate dagli altri Stati membri della Unione europea, soltanto il Regno di Danimarca, che per primo ha dato attuazione alla decisione quadro, ha adottato un testo relativamente breve (18 articoli). In Spagna, le leggi organiche n.1 e n.2 del 2003 hanno creato un testo normativo formato da un preambolo, 29 articoli, 6 disposizioni addizionali, transitorie e finali, e un allegato. Nel Regno Unito, le disposizioni relative al mandato di arresto europeo sono comprese nell’Extradiction Act 2003, che si compone di 227 articoli e 4 allegati. In Francia, con la legge del 9 marzo 2004, è stata introdotta un’ampia novella dell’articolo 695 del codice di procedura penale, con l’aggiunta di 41 nuovi paragrafi (dal 695-11 al 695-51), e sono stati modificati gli articoli 568 e 574 dello stesso codice. La legge olandese sul mandato di arresto europeo è formata da 76 articoli, più due allegati; quella svedese da 49 articoli; quella belga da 44; quella greca da 43; quella portoghese da 40; quella del Lussemburgo da 37; quella austriaca da 44 articoli e un allegato; quella della Repubblica Ceca da 70 articoli. 4) Segue: Le disposizioni di principio . - Nell’art.1 della l. n. 69/2005, il mandato di arresto europeo viene definito come una “decisione giudiziaria” emessa da uno Stato membro (di “emissione”) in vista dell’arresto e della consegna di una persona da parte di un altro Stato membro (“di esecuzione”). La norma specifica che l’attuazione della decisione quadro nell’ordinamento interno avviene nei limiti in cui le relative disposizioni “non sono incompatibili con i principi supremi dell’ordinamento costituzionale in tema di diritti fondamentali, nonché in tema di diritti di libertà e del giusto processo”. Risulta, in questo modo, invertita la gerarchia delle fonti normative, tradizionalmente incentrata sulla regola di prevalenza del diritto comunitario, seppur nel rispetto dei “controlimiti” che la Corte costituzionale ha individuato (sin dalla storica sentenza del 27.12.1965, n.98) nei casi di violazione dei “principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale” o dei “diritti inalienabili della persona umana” . Il comma 3 indica un presupposto generale per la esecuzione in Italia dei mandati di arresto europei emessi a fini cautelari, richiedendo che il provvedimento sul quale è basato il mandato deve essere “motivato” e “sottoscritto da un giudice”. In questo modo, si pongono a carico dello Stato di emissione obblighi non contemplati nella decisione quadro e di dubbia compatibilità con il principio del reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie, che sta alla base della cooperazione giudiziaria tra gli Stati membri, e del quale la decisione quadro rappresenta la prima concretizzazione (considerando n. 6), oggi “costituzionalizzata” attraverso la definitiva consacrazione di quel principio nel Trattato europeo sottoscritto a Roma il 29 ottobre 2004 e ratificato dall’Italia con legge approvata il 6 aprile 2005 . In concreto, le due condizioni richieste dal comma 3 per la esecuzione del mandato di arresto europeo, ove non interpretate cum granu salis, potrebbero dar luogo a non indifferenti problemi operativi nei rapporti con lo Stato di emissione, specialmente in considerazione dell’elevato numero di domande di consegna per motivi processuali o cautelari. I problemi potranno derivare dai diversi standards motivazionali seguiti nei vari ordinamenti dei Paesi dell’U.E.: ad esempio, in Inghilterra, la Magistrates’ Court non é automaticamente tenuta a rendere decisioni motivate e la giuria, laddove prevista, non pronuncia mai una decisione motivata. Per quanto riguarda la sottoscrizione da parte del giudice del provvedimento in base al quale è stato emesso il mandato di arresto europeo, essa non è prevista nella decisione quadro, il cui art. 8, par. 1, lett. c), fa riferimento soltanto alla necessaria indicazione, nel mandato di arresto, dell’esistenza di una sentenza esecutiva, di un mandato di cattura o di “qualsiasi” altra decisione giudiziaria esecutiva che abbia la stessa forza e rientri nella “tipologia” di una decisione giudiziaria . A tale riguardo, comunque, la S.C. ha di recente precisato che la garanzia richiesta dall’art. 1, comma 3, della l. n. 69/2005, secondo cui il provvedimento cautelare in base al quale il mandato e’ stato emesso deve essere sottoscritto da un giudice, non si estende all’atto con cui e’ richiesta all’autorita’ giudiziaria italiana la consegna . L’art. 2 della legge indica le garanzie di ordine costituzionale che debbono essere osservate nell’esecuzione del mandato d’arresto europeo. La norma rinvia a un insieme di diritti fondamentali, principi e regole in materia di giusto processo, libertà personale, diritto di difesa, principio di eguaglianza, responsabilità penale e qualità della sanzione penale, contenuti nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e nella Costituzione italiana, e la cui concreta verifica può rendere necessaria una richiesta di “idonee garanzie” allo Stato membro di emissione (comma 2). La disposizione, che stranamente tralascia di considerare i principi e le regole del Patto internazionale sui diritti civili e politici adottato a New York il 19 dicembre 1966 e ratificato con l. 25 ottobre 1977, n. 881, appare ridondante nel quadro di una legislazione nazionale rivolta ad attuare gli obblighi derivanti da una decisione quadro che richiama espressamente (art. 1, par.3, e consideranda nn. 12 e 13) i diritti fondamentali e i principi giuridici sanciti dall’art. 6 del T.U.E. che, com’é noto, fa “filtrare” nell’ordinamento comunitario le disposizioni della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, come interpretate dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo. La formulazione dell’art. 2 appare, inoltre, piuttosto singolare ove raffrontata con la più scarna ed efficace previsione dell’articolo 705, co.2, c.p.p., in relazione al procedimento di estradizione cd. extraconvenzionale (ad es., con gli Stati non aderenti all’U.E. o al Consiglio d’Europa). La disposizione codicistica, infatti, opportunamente limita il rifiuto della estradizione per l’estero a tre ipotesi: a) il mancato rispetto dei diritti fondamentali; b) la contrarietà ai principi fondamentali dell’ordinamento giuridico dello Stato; c) il rischio di un trattamento persecutorio o discriminatorio. Per quanto riguarda, invece, il regime della estradizione convenzionale, va rilevato che i trattati soltanto raramente contengono disposizioni generali in materia di tutela dei diritti fondamentali. Un esempio, in tal senso, è fornito dall’accordo tra Italia e Perù, sottoscritto il 24 novembre 1994 e ratificato con l. 3 maggio 2004, n. 135, nel quale è prevista, tra i motivi di rifiuto dell’estradizione, la mancata garanzia del rispetto dei “diritti minimi di difesa” nell’ambito del procedimento a carico della persona richiesta. Per il resto, le convenzioni internazionali si limitano ad enunciare la regola di non discriminazione e la clausola relativa ai cd. reati politici. Sembra comunque doversi ritenere, come pur si e’ prospettato in dottrina, che l’ampio richiamo ai diritti fondamentali garantiti dalla CEDU e dai relativi Protocolli addizionali non assume rilievo se non per quelle previsioni che racchiudono diritti inviolabili dell’imputato o del condannato e danno corpo a valori fondamentali della societa’ democratica, suscettibili di limitare le forme di cooperazione internazionale, in quanto la loro lesione fa venir meno le esigenze di giustizia poste alla bese degli strumenti collaborativi . Sotto altro profilo, se è vero che la decisione quadro richiama il rispetto delle norme costituzionali degli Stati membri relative al giusto processo (considerando 12), é anche vero che i diritti fondamentali, possono essere garantiti in maniera non uniforme nei vari ordinamenti. Proprio per questo motivo, ad es., la Corte di cassazione non ha ritenuto di ostacolo all’estradizione il fatto che nei confronti dell’estradando fosse stata pronunciata sentenza di condanna utilizzando, per l’accertamento della sua responsabilità, prove assunte fuori dal contradditorio, escludendo che ciò costituisca una violazione del nucleo essenziale dei diritti di difesa dell’imputato . La giurisprudenza di legittimita’ ha, di recente, tracciato il perimetro di quella garanzia, stabilendo che i principi e le regole contenuti nella Costituzione ed attinenti al “giusto processo”, il cui rispetto e’ condizione imposta dall’art. 2, comma 1, lett. b), della legge n. 69/2005 per l’esecuzione del mandato d’arresto europeo, sono quelli definiti dalle Carte sovranazionali ed in particolare dall’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali, al quale si richiama il novellato art. 111 della Costituzione . Non rileva, ai fini della decisione sulla consegna, il fatto che l’ordinaento dello Stato emittente presenti garanzie che possano apparire, in tesi, meno soddisfacenti di quelle dell’ordinamento italiano quanto alle specifiche norme che si ispirano ai principi di oralita’ e del contraddittorio: cio’ che conta e’ che siano rispettati i canoni del “giusto processo” come definiti dalle Carte sovranazionali, ed in particolare nel citato art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. E’ allora evidente, come opportunamente si e’ osservato in dottrina, che nell’ambito di un sistema “multilivello” quale quello che definisce l’attuale impianto normativo della procedura di consegna tra gli Stati membri dell’U.E. e del Consiglio d’Europa, occorre fare riferimento all’interpretazione che le Corti europee danno del dato normativo sovranazionale, senza che la mera adesione alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo implichi, tuttavia, una presunzione di conformita’ al contenuto precettivo delle garanzie convenzionali . Al riguardo, tuttavia, non puo’ non rilevarsi che se, per un verso, la S.C. tende, secondo il canone dell’interpretazione conforme, ad allineare la norma interna al contenuto ed alle finalita’ dello strumento normativo comunitario da attuare nell’ordinamento italiano (escludendo interpretazioni che, subordinando l’esecuzione del mandato alla sostanziale coincidenza delle regole sulla formazione della prova applicate nello Stato di emissione, violerebbero gli obblighi derivanti dall’art. 34, par. 2, lett. b), T.U.E. e lo stesso principio di mutuo riconoscimento di cui la decisione quadro e’ espressione ex considerando n. 6), per altro verso la Commissione europea ha di recente ritenuto la disposizione di cui all’art. 2, lett. b), della l. n. 69/2005 (nella parte in cui si richiama ai principi costituzionali sul giusto processo, per la cui verifica la corte d’appello puo’ richiedere specifiche garanzie allo Stato membro di emissione), in contrasto sia con l’art. 6, par. 2, T.U.E., sia con il considerando n. 12 della Decisione quadro, che fa esclusivamente riferimento ai principi costituzionali comuni agli Stati membri . Infine, del tutto teorica appare la possibilità, prevista nell’articolo 2, co.3, di rifiutare la consegna dell’imputato o del condannato in caso di grave e persistente violazione, da parte dello Stato richiedente, dei diritti fondamentali garantiti nella CEDU. In questo caso, infatti, il rifiuto presuppone che sia stato attivato lo speciale procedimento sanzionatorio previsto negli articoli 6 e 7 del T.U.E., richiamato nel considerando n. 10 della decisione quadro al quale fa rinvio l’articolo 2, co. 3, della legge. Si tratta di una procedura comunitaria a carattere essenzialmente politico, che presuppone violazioni sistematiche dei diritti umani da parte dello Stato e non la specifica violazione, nel caso concreto, dei diritti dell’accusato o del condannato. Più in linea con la decisione quadro sarebbe stata una clausola di rifiuto connessa a singole situazioni discriminatorie o di violazione dei diritti e principi riconosciuti dall’art. 6 del T.U.E., sulla falsariga di quelle inserite nelle legislazioni di altri ordinamenti europei (ad es., l’art. 73 della legge federale tedesca del 21 luglio 2004, o l’art. 2 della legge belga del 22 dicembre 2003). Particolarmente opportuna è, invece, la disposizione dell’art. 3, co.1, della legge, secondo cui l’ampliamento, nella decisione quadro, delle fattispecie di reato sottratte alla verifica della “doppia incriminazione” deve essere sottoposto a riserva d’esame parlamentare. Questo istituto, già noto in altri ordinamenti, è anche disciplinato, in termini generali, dall’art. 4 della legge 4 febbraio 2005, n. 11 (Partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’U.E. e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari), che ha previsto l’apposizione della riserva da parte del Governo, in sede di Consiglio dei Ministri dell’U.E., sui progetti di atti comunitari e dell’U.E. e sulle loro modificazioni. In assenza di coordinamento con l’art. 4 della citata l. 4 febbraio 2005, n. 11, la riserva parlamentare in relazione alle modifiche dell’art. 2, par. 2, della decisione quadro seguirà l’iter delineato dall’art. 3 della legge in esame. In concreto, sarà il Presidente del Consiglio dei ministri a trasmettere al Parlamento il progetto di modifica, unitamente a una relazione. Alla eventuale pronuncia non favorevole di uno dei due rami del Parlamento è riconosciuta efficacia vincolante per il Governo, tanto da non esser consentita in questo caso l’adesione dello Stato italiano alle modifiche proposte in sede comunitaria . 5) Segue: Il ruolo dell’autorità centrale. - L’art. 4, co.1, della l. n. 69/2005 individua nel Ministro della Giustizia l’autorità centrale preposta all’assistenza delle autorità giudiziarie competenti, stabilendo che spettano ad esso anche le attività di trasmissione e ricezione dei mandati d’arresto europei e della corrispondenza ufficiale ad essi relativa. Ciò comporta che, nella fase passiva della procedura, il Ministro della giustizia riceve il mandato di arresto europeo emesso in un altro Stato membro, unitamente alla documentazione, e lo trasmette senza indugio alla Corte d'appello territorialmente competente per la decisione. Nella fase attiva, il Ministro riceve dalle autorità giudiziarie italiane il mandato di arresto europeo e lo trasmette alla autorità straniera competente per la esecuzione. In entrambi i casi, il Ministro della giustizia cura le traduzioni necessarie. Da un punto di vista funzionale, la norma appare compatibile con il ruolo che la decisione quadro (considerandum n. 9 e articolo 7, parr. 1 e 2) riconosce alle autorità centrali degli Stati membri, sul presupposto che l’imputazione ad esse di mere funzioni amministrative (assistenza pratica ecc.) è compatibile con l’obiettivo generale di giurisdizionalizzare le procedure di consegna tra gli Stati membri . Piuttosto, va rilevato che nella decisione quadro la facoltà di designare una o più autorità centrali è prevista solo se l’organizzazione del sistema giudiziario interno dello Stato lo rende necessario (art. 7, par. 2). Al riguardo, la disamina comparata delle legislazioni statali dimostra che solo pochi Stati membri, caratterizzati da modelli ordinamentali molto diversi da quello italiano, hanno adottato un meccanismo di interposizione dell’autorità centrale con il monopolio della trasmissione delle richieste di consegna. E’ il caso della legge della Repubblica federale di Germania, del 21 luglio 2004, che ha indicato quali autorità competenti i ministeri della giustizia federale e dei Länder; dell’Extradition Act 2003 del Regno Unito, che individua le autorità competenti alla trasmissione e ricezione dei mandati d’arresto nel National Criminal Intelligence Service, per l’Inghilterra, e nel Crown Office, per la Scozia; della legge della Danimarca (n.433 del 10 giugno 2003), che attribuisce al Ministro della giustizia la competenza a decidere tanto la esecuzione del mandato di arresto europeo emesso in un altro Stato, quanto la emissione del mandato, nell’ambito di un procedimento interno. Sotto tale profilo, il coinvolgimento del Ministro della giustizia attraverso il meccanismo di ricezione-trasmissione del mandato d’arresto delineato nell’art. 4 della legge italiana, potrebbe risultare poco coerente con l’art. 7, par. 2, della decisione quadro, sebbene la formula adottata dal legislatore (il ministro della giustizia trasmette senza indugio……) sia finalizzata a garantire la rapidità e automaticità della comunicazione . Di certo, i compiti attribuiti dalla legge italiana al Ministro della giustizia risultano piu’ incisivi risptto a quelli che la decisione quadro ordinariamente attribuisce all’autorita’ centrale . Infine, l’ultimo comma dell’art. 4 della legge consente solo in condizioni di reciprocità, e nei limiti previsti da accordi internazionali, la corrispondenza diretta tra le autorità giudiziarie con obbligo di immediata informativa al Ministro della ricezione o dell’emissione del mandato d’arresto europeo. Non e’ ben chiara la ratio della disposizione normativa, ove si considerino l’ambito di applicazione della decisione quadro (limitato solo al territorio degli Stati membri dell’U.E.) ed il fatto che la maggioranza degli Stati membri, pur con qualche rilevante eccezione (Danimarca, Regno Unito, Germania), prevede un contatto diretto tra le autorita’ giudiziarie nelle differenti fasi della procedura di consegna (artt. 9, 15 e 23 della decisione quadro, in relazione alle evenienze della trasmissione del mandato, in caso di localizzazione del ricercato, della richiesta di informazioni supplementari utili, in caso di decisione sulla consegna, e della individuazione concordata della data di consegna). Ne’, del resto, si e’ introdotta nel testo dell’art. 4 una clausola di coordinamento con le su citate disposizioni della decisione quadro, al fine di salvaguardare in quelle specifiche situazioni procedimentali il canale diretto di comunicazione tra le competenti autorita’ giudiziarie degli S.M. . La norma, comunque, non risulta di agevole interpretazione, anche alla luce dei lavori parlamentari: il testo dell’originaria proposta di legge faceva dipendere la corrispondenza diretta tra le autorita’ giudiziarie dalla sola presenza della condizione di reciprocita’ con l’altro Stato membro. Il successivo inserimento dell’ulteriore condizione relativa ai “limiti” ed alle “modalita’ ” previsti da “accordi internazionali” alla cui stipula il legislatore sembra rinviare la possibilita’ di applicazione della regola della corrispondenza diretta tra autorita’ giudiziarie rende sostanzialmente inefficace, allo stato, la disposizione di cui al comma 4 . Sotto altro profilo, tuttavia, e’ evidente che l’operativita’ del principio del reciproco riconoscimento si fonda sulla rapida circolazione extraterritoriale delle decisioni giudiziarie e sulla instaurazione di relazioni dirette tra le autorita’ giudiziarie interessate, tanto da prevedere, in caso di concorso di richieste di consegna inerenti alla stessa persona, un possibile intervento “regolatore” di Eurojust (ex art. 16, par. 2, della decisione quadro), quale organo sovranazionale tipicamente preposto all’agevolazione della cooperazione e del coordinamento delle indagini. Ed allora, con ogni probabilita’, fatta salva la competenza ministeriale di cui al comma 1 dell’art. 23 (che fa riferimento, ai fini della consegna, alle intese intercorse tra il Ministro della giustizia e lo Stato membro di emissione), il senso della disposizione potrebbe ricercarsi nell’intenzione del legislatore di garantire comunque (gia’ all’interno della generale cornice di riferimento attualmente delineata dall’accordo tra Stati membri alla base della decisione quadro) l’attivazione della corrispondenza diretta in presenza della condizione di reciprocita’, ovvero, nei casi dubbi e di non facile soluzione (ad es., per problemi di conoscenza della normativa straniera), di consentire all’autorita’ giudiziaria di avvalersi dell’utile assistenza amministrativa che al riguardo puo’ fornire la nostra autorita’ centrale per superare eventuali ostacoli o problemi di ordine pratico . 6) Segue: La procedura passiva di consegna . - Dopo le disposizioni di principio, la legge disciplina la procedura di esecuzione, in Italia, del mandato di arresto europeo emesso in un altro Stato membro. Dal punto di vista procedimentale – vale a dire della successione di atti preordinata alla consegna della persona ricercata – si può distinguere una fase “passiva” e una fase “attiva”. Nel nuovo lessico della decisione quadro, queste due fasi sono rispettivamente definite “di esecuzione” e “di emissione” del mandato di arresto europeo, cui corrisponde la distinzione tra autorità giudiziaria “dell’esecuzione” e autorità giudiziaria “emittente”. Nel diritto della estradizione e, in generale, nelle convenzioni internazionali in materia di cooperazione giudiziaria, si parla invece di autorità “richiesta” e autorità “richiedente”. Nel codice di procedura penale, l’estradizione passiva è definita anche estradizione per l’estero (artt. 697 ss.); quella attiva, estradizione dall’estero (artt. 720 ss.). Per “procedura passiva di consegna” si intende, quindi, la fase procedimentale in cui una autorità giudiziaria italiana deve adottare la decisione sulla esecuzione del mandato di arresto europeo e la conseguente consegna della persona ricercata ovvero rifiutare o sospendere la esecuzione stessa, previa valutazione della sussistenza dei motivi di rifiuto o rinvio previsti dalla legge. Nell’introdurre la disciplina dell’esecuzione, l’articolo 5 della legge stabilisce che la consegna di un imputato o condannato all’estero non può essere concessa senza la decisione favorevole della corte di appello. La disposizione è del tutto equivalente a quella contenuta nell’articolo 701, comma 1, codice di procedura penale, in materia di estradizione, da cui viene mutuata anche la rubrica (Garanzia giurisdizionale). Analoghi sono i criteri per la determinazione della corte d'appello territorialmente competente: si tratta, nell’ordine, del luogo di residenza, dimora o domicilio dell’imputato o condannato, nel momento in cui il mandato di arresto europeo è ricevuto dall’autorità giudiziaria italiana. Quando la competenza non può essere determinata in base a tali criteri è competente la corte di appello di Roma . Una ulteriore deroga è prevista nei casi, statisticamente frequenti, in cui la persona ricercata viene arrestata sul territorio italiano per effetto di una richiesta di arresto introdotta nel sistema informativo Schengen, ai sensi dell’art.95 della relativa convenzione (CAAS, Convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen, ratificata dall’Italia con legge 30 settembre 1993, n.388); in questi casi, è competente la corte d’appello nel cui distretto si è verificato l’arresto da parte della polizia giudiziaria. In definitiva, la legge ha opportunamente attribuito la decisione sulla esecuzione del mandato di arresto europeo agli uffici giudiziari già competenti nella fase giurisdizionale del procedimento di estradizione, per garantire sia i requisiti di alta specializzazione, che sono propri di questa materia, sia il rispetto dei brevissimi termini che caratterizzano la nuova procedura di consegna. L’articolo 6 contiene una serie di disposizioni relative al contenuto del mandato di arresto europeo, agli atti che debbono esservi allegati, alle richieste di integrazione, al cd. regime linguistico. La norma indica, al comma 1, gli elementi del mandato di arresto europeo, che consistono nell'indicazione dell'identità e cittadinanza del ricercato (lett. a); dei dati relativi alla autorità giudiziaria emittente (lett. b); dell'esistenza della sentenza esecutiva, del provvedimento cautelare o di ogni altra decisione esecutiva adottata da un giudice che abbia la stessa forza e che rientri nell'ambito applicativo degli articoli 7 e 8 della legge (condotta prevista come reato anche in Italia ovvero illeciti per cui è prevista la consegna obbligatoria) (lett. c); della natura del reato e nella sua qualificazione giuridica (lett. d); delle circostanze della commissione del reato (tempo, luogo e il grado di partecipazione del ricercato) (lett. e); della pena inflitta, nel caso in cui vi sia già una sentenza, ovvero, negli altri casi, della pena edittale minima e massima (lett. f); delle altre conseguenze del reato (lett. g). Se il mandato di arresto europeo non contiene alcune di queste informazioni – quelle di cui alle lettere a), c), d), e) ed f) – o se esse non sono ritenute sufficienti ai fini della decisione, la corte d’appello richiede informazioni integrative alla autorità di emissione, direttamente o tramite il Ministro della giustizia (articoli 6, co. 2, e 16). Spetta all’autorita’ giudiziaria richiesta della consegna stabilire, in presenza di omissioni nelle informazioni prescritte dall’art. 6 della l. n. 69/2005, se, in considerazione della concreta fattispecie penale dedotta e di ogni altra informazione trasmessa, la lacuna sia ostativa alla consegna, ed in particolare, per l’eventuale ipotesi in cui non sia indicata la pena minima, se ricorra la condizione impeditiva della previsione che il fatto sia punito dalla legge dello Stato di emissione con una pena detentiva non inferiore a dodici mesi: in tal caso, l’autorita’ giudiziaria di esecuzione non e’ tenuta ipso facto a rifiutare la consegna, avendo il potere-dovere di richiedere l’invio delle informazioni ritenute necessarie . Queste disposizioni corrispondono a quelle contenute nella decisione quadro (art. 8, par. 1). La seconda parte dell’art.6 (commi 3 e 4) prevede che la consegna della persona è consentita, ove ne ricorrono i presupposti, solo se al mandato di arresto europeo è allegata copia del provvedimento restrittivo della libertà personale o della sentenza di condanna a pena detentiva; e che debbono essere, altresì, allegati il testo delle disposizioni di legge applicabili, con indicazione del tipo e della durata della pena; i dati segnaletici e ogni altra possibile informazione idonea a determinare l’identità e la nazionalità della persona della quale è domandata la consegna; una relazione sui fatti addebitati alla persona, che contenga tra l’altro l’indicazione delle fonti di prova. Queste prescrizioni – che corrispondono soltanto in parte alla rubrica dell’articolo 6 (Contenuto del mandato d’arresto europeo nella procedura passiva di consegna) – non sono conformi alla decisione quadro, che prevede la indicazione, e non anche la allegazione, del provvedimento in base al quale è stato emesso il mandato di arresto europeo (art. 8, par.1, lett. c) e campo b) dell’allegato) e non menziona, tra gli elementi del mandato di arresto, la relazione sui fatti addebitati alla persona. Ciò è conforme alla natura giuridica del mandato di arresto europeo, che è quella di un provvedimento tipico (la cd. eurordinanza), contenente la richiesta di arresto e consegna della persona ricercata, nonché la indicazione degli elementi sufficienti a decidere in ordine alla sua esecuzione (art. 8 par.1 e allegato). Si tratta di un modello che esclude la vecchia documentazione estradizionale e, in particolare, l’allegazione dei provvedimenti giudiziari in base ai quali il mandato stesso è stato emesso . Nella prospettiva seguita dal legislatore italiano, invece, la allegazione della decisione giudiziaria è considerata necessaria ai fini del controllo circa la sussistenza della motivazione del provvedimento cautelare, che la corte d’appello deve compiere nei casi in cui il mandato di arresto europeo è stato emesso “ai fini dell’esercizio di un’azione penale” e che può dar luogo allo specifico motivo di rifiuto previsto nell’art.18 lett. t). Per quanto concerne la relazione sui fatti addebitati alla persona (cd. summary), va rilevato che essa riguarda soltanto i casi di mandato di arresto europeo emesso per la esecuzione dei provvedimenti giudiziari non definitivi, atteso che la espressione “fatti addebitati” é incompatibile con i provvedimenti di condanna definitivi. Anche così circoscritta, la disposizione appare, però, di dubbia compatibilità con la decisione quadro, specialmente se si considera che la mancata trasmissione della “relazione sui fatti” da parte della autorità straniera dà luogo al rifiuto della esecuzione del mandato di arresto europeo (art.6, comma 6) . Infine, l’articolo 6 della legge stabilisce, in conformità al principio generale dell’art. 8, par.2, della decisione quadro, che il mandato di arresto europeo debba essere trasmesso alla corte d’appello tradotto in lingua italiana (comma 7). La regola non riguarda, però, gli atti giudiziari che lo Stato di emissione deve allegare al mandato, la cui traduzione dovrà essere curata dall’autorità centrale prima di trasmetterli alla Corte d'appello. 7) Segue: L’avvio della procedura di consegna dinanzi alla Corte d’appello. L’applicazione della misura coercitiva. - Gli articoli 9, 10, 11 e 12 della legge prevedono due diverse modalità di avvio del procedimento di esecuzione del mandato di arresto europeo dinanzi alla corte d’appello competente. In entrambi i casi, il procedimento si articola in due fasi: la prima, dinanzi al presidente della corte, la seconda dinanzi all’organo collegiale . Nel primo caso, il Ministro della giustizia riceve il mandato d’arresto europeo dall’autorità straniera, in qualità di autorità centrale. Questa ipotesi presuppone che sia nota la localizzazione del ricercato sul territorio italiano e corrisponde a quanto previsto nell’articolo 9, par.1, della decisione quadro. Ricevuto il mandato di arresto europeo, il Ministro lo trasmette senza ritardo al presidente della corte di appello territorialmente competente, che ne dà immediata comunicazione al procuratore generale. In questa fase, il presidente della corte può stabilire contatti diretti con l’autorità giudiziaria straniera che ha emesso il mandato di arresto europeo (ad es., se insorgano difficoltà relative alla ricezione o alla autenticità dei documenti trasmessi). Se invece risulta manifestamente competente un’altra corte d’appello, il presidente trasmette a quest’ultima il mandato d’arresto senza indugio. Infine, il presidente riunisce la corte che, sentito il procuratore generale, applica con ordinanza motivata la misura coercitiva, se ritenuta necessaria. A tale riguardo, l’articolo 9 prevede che la corte debba valutare specificamente il pericolo di fuga del ricercato (comma 4) e che la misura coercitiva non può essere disposta se vi sono ragioni per ritenere che sussistono cause ostative alla consegna (comma 6). Per il resto, la norma contiene un rinvio all’art.719 e al titolo I del libro IV del codice di procedura penale, in materia di misure cautelari personali, fatta eccezione per gli articoli 273, commi 1 e 1-bis, 274, comma 1, lettere a) e c), e 280 (comma 5). L’emissione del provvedimento coercitivo, pertanto, prescinde dall’applicazione sia dell’art. 280 c.p.p. (atteso che i limiti edittali di pena sono quelli previsti ai fini dell’ accoglimento della stessa richiesta di consegna), sia dell’art. 273, commi 1 e 1-bis, c.p.p., con la conseguenza che la corte d’appello, in questa fase procedimentale, non e’ tenuta ad effettuare alcuna valutazione sulla fondatezza dell’ipotesi accusatoria, ovvero sulla ricorrenza di eventuali cause di giustificazione, ma e’ chiamata ad esprimere un giudizio allo stato degli atti, salva l’esigenza di verifica in ordine all’insussistenza di ragioni ostative alla consegna della persona ricercata . L’esplicito riferimento lessicale operato dall’art. 9, comma 4, alle misure coercitive induce ad escludere la possibilita’ di applicare le misure cautelari di specie diversa, quali le misure interdittive, non invece le misure coercitive diverse da quella custodiale, pur dovendosi ritenere comunque idonea l’emananda misura a preservare la tipica finalita’ del mandato d’arresto europeo, ossia la successiva consegna della persona ricercata allo Stato membro di emissione . Il periculum libertatis deve fondarsi su fatti e circostanze non meramente congetturali, ma sintomatici di una ragionevole probabilita’ di fuga e da indicare specificamente nella motivazione dell’ordinanza cautelare . E’ da rilevare, inoltre, che l’applicazione della misura cautelare da parte della Corte d’appello avviene in assenza di un vero e proprio petitum cautelare, laddove nel sistema della estradizione passiva la misura cautelare è applicata, entro il quarantesimo giorno dall’arresto dell’estradando, su richiesta del Ministro della giustizia (art. 715, commi 1 e 6, c.p.p.). L’articolo 10 prevede che, entro cinque giorni dall’esecuzione della misura coercitiva, il presidente della corte di appello (o un magistrato da lui delegato) deve sentire la persona sottoposta alla misura cautelare, informandola del contenuto del mandato d’arresto europeo, della facoltà di acconsentire alla propria consegna all’autorità giudiziaria richiedente e di rinunciare al beneficio di specialità (e quindi di poter essere sottoposta ad altro procedimento penale, condannata o privata della libertà personale per reati anteriori alla consegna e diversi da quello per il quale questa è stata disposta). Della data fissata per queste attività è dato avviso al difensore almeno ventiquattro ore prima. In considerazione della funzione meramente informativa dell’audizione prevista dall’art. 10, evidentemente non assimilabile all’interrogatorio di garanzia di cui all’art. 294 c.p.p., il mancato rispetto del termine di cinque giorni e del relativo avviso al difensore non determinano la perdita di efficacia della misura coercitiva, non potendo trovare applicazione il disposto di cui all’art. 302 c.p.p. . La partecipazione del difensore, tuttavia, trattandosi di “atto garantito”, e’ necessaria, con la conseguenza che in sua assenza l’audizione e’ viziata da nullita’ assoluta ex art. 179, comma 1, c.p.p. . Per contro, il mancato rispetto del termine minimo per l’avviso al difensore impone il rinvio dell’audizione e la rinnovazione dell’avviso in modo da rimuovere la nullita’, suscettibile di sanatoria ex art. 183 c.p.p. . Copia dei provvedimenti emessi dalla corte d’appello e relativi alle misure cautelari dev’essere comunicata e notificata, dopo la loro esecuzione, al procuratore generale, alla persona interessata ed al suo difensore, i quali possono proporre ricorso per cassazione per violazione di legge (ex art. 719 c.p.p., cui fa rinvio il comma 7 dell’art. 9 della legge in esame) . Nel secondo caso, l’atto di impulso del procedimento è rappresentato non dalla ricezione del mandato di arresto europeo da parte del Ministro della giustizia, ma dall’arresto della persona ricercata ad opera della polizia giudiziaria, sulla base di una richiesta di arresto immessa nel Sistema informativo Schengen ai sensi dell’art. 95 della relativa Convenzione. Questa ipotesi, in cui l’arresto del ricercato precede la ricezione del mandato di arresto europeo da parte della autorità italiana, è prevista nell’art. 11 della legge e nell’art. 9, par. 3, della decisione quadro. Essa ha grande importanza pratica ricorrendo nei casi, statisticamente frequenti, in cui l’autorità dello Stato estero non può trasmettere il mandato d’arresto direttamente allo Stato di rifugio, in quanto é ignota la localizzazione del ricercato. Anche nell’estradizione accade che l’arresto sia eseguito prima dell’emissione di una formale domanda di consegna: questa situazione ricorre quando uno Stato emette un mandato di cattura internazionale a fini estradizionali, in base alle convenzioni vigenti (ad es., l’art. 16 della convenzione europea di estradizione del 1957), ed è espressamente prevista nell’art. 715 c.p.p. . Nella nuova procedura di consegna, però, l’arresto di iniziativa della polizia giudiziaria può avvenire soltanto sulla base di una specifica segnalazione nel sistema informativo Schengen (S.I.S.), quindi limitatamente all’area dei cd. Paesi Schengen e non anche sulla base delle richieste di cattura internazionale immesse attraverso il canale Interpol. Con la Decisione del Consiglio dell’U.E. del 12 giugno 2007 (2007/533/GAI) relativa all’istituzione, all’esercizio ed all’uso del sistema d’informazione Shengen di secondo generazione (cd. SIS II) - che fornisce un’aggiornata configurazione del sistema informativo precedentemente istituito in forza dell’Accordo di Shengen del 14 giugno 1985 e disciplinato, poi, dalla relativa Convenzione del 19 giugno 1990 (Titolo IV) - si ribadisce la scelta dell’equiparazione tra la segnalazione dei dati relativi ad una persona ricercata per l’arresto in vista della consegna o dell’estradizione ed il mandato d’arresto europeo emesso a norma della Decisione quadro 2002/584/GAI . L’art. 31, par. 1, della Decisione 53372007/GAI stabilisce, infatti, che una segnalazione inserita nel SIS II a norma dell’art. 26 – ossia, su richiesta dell’autorita’ giudiziaria dello Stato membro della segnalazione – ha lo “stesso effetto” di un mandato d’arresto europeo, ove si applichi la pertinente Decisione quadro. Nell’ipotesi in cui, viceversa, non sia applicabile la Decisione quadro 2002/584/GAI, l’art. 31, par. 2, prevede opportunamente che una segnalazione inserita nel SIS II a norma degli artt. 26 e 29 presenta la stessa “valenza giuridica” di una richiesta di arresto provvisorio a norma dell’art. 16 della Convenzione europea di estradizione del 13 dicembre 1957, ovvero dell’art. 15 del Trattato di estradizione del 27 giugno 1962, tra il Regno del Belgio, il Granducato del Lussemburgo ed il Regno dei Paesi Bassi. Verificatosi l’arresto, la polizia giudiziaria deve darne immediata informazione al Ministro della giustizia e deve trasmettere il verbale al presidente della corte d’appello entro ventiquattro ore dall’arresto (artt.11 e 12). Il primo adempimento è funzionale alla immediata comunicazione dell’avvenuto arresto allo Stato estero, per la trasmissione del mandato di arresto europeo e della relativa documentazione, che dovranno pervenire alla corte d’appello nei dieci giorni successivi alla convalida dell’arresto. Il secondo adempimento è funzionale alla “messa a disposizione” dell’arrestato e alla convalida dell’arresto (art.13) . La giurisprudenza di legittimita’ ha precisato che l’arresto ad opera della p.g. della persona ricercata attraverso il sistema S.I.S., previsto dall’art. 11 della l. n. 69/2005, si configura come atto “dovuto”, subordinato alla sola verifica che la relativa segnalazione sia stata effettuata da un’autorita’ “competente” di uno Stato membro dell’Unione europea e che la stessa sia avvenuta nelle “forme richieste”. Muovendo, inoltre, dallo stesso dato testuale della normativa di attuazione (secondo cui la p.g. procede all’arresto) e’ stato escluso che competa all’autorita’ giudiziaria italiana una valutazione circa l’urgenza dell’arresto, posto che tale valutazione e’ stata gia’ effettuata “a monte” da parte dell’autorita’ emittente con l’inserimento del nominativo della persona ricercata nel sistema S.I.S.: la relativa convalida ad opera del Presidente della Corte d’appello, pertanto, deve basarsi solo su presupposti formali, ovvero che l’arresto sia avvenuto in presenza dei citati requisiti e che non vi sia stato un errore di persona . Entro quarantotto ore dalla ricezione del verbale di arresto, il presidente della corte di appello (o un magistrato della corte da lui delegato) deve informare il procuratore generale e sentire la persona arrestata. Questa attività è finalizzata ad una prima verifica giurisdizionale della legittimità dell’arresto, ma anche alla ricezione della eventuale dichiarazione di consenso alla consegna (art.14, comma 1). In questa fase, se risulta evidente che l’arresto è stato eseguito per errore di persona o comunque al di fuori dei casi previsti dalla legge, il presidente della corte di appello dispone, con decreto motivato, la immediata liberazione della persona; viceversa, convalida l’arresto con ordinanza. La ordinanza di convalida perde efficacia se nel termine di dieci giorni non perviene alla corte d’appello il mandato d’arresto europeo emesso nell’altro Stato membro (art.13, comma 3) . Nei casi in cui la persona arrestata é ristretta in località diversa da quella in cui l’arresto è stato eseguito, il presidente della corte di appello può delegare il presidente del tribunale territorialmente competente per l’interrogatorio di identificazione, ferma restando la sua competenza in ordine alla convalida dell’arresto. La S.C. ha precisato, per quel che attiene al profilo della convalida fuori termine, che il decorso del termine di quarantotto ore dalla ricezione del verbale di arresto eseguito dalla polizia giudiziaria, senza che sia intervenuta la decisione sulla convalida, comporta l’inefficacia del provvedimento di coercizione e quindi l’immediata scarcerazione dell’arrestato, benche’ il termine sia formalmente previsto solo ai fini dell’audizione dell’arrestato . Non avrebbe senso, infatti, secondo la S.C., stabilire un termine stringente per la sola audizione e rendere indefinito il termine per la convalida. Questa soluzione, del resto, puo’ ricavarsi anche dall’esame della disciplina codicistica in tema di arresto in flagranza (art. 390, comma 2, c.p.p. e 391, comma 7, c.p.p.), da ritenere richiamata, sia pure attraverso un rinvio generale, dall’art. 39, comma 1, della l n. 69/2005. La natura del controllo demandato dall’art. 13 della l. n. 69/2005 al presidente della corte d’appello appare, peraltro, diversa da quella che connota l’evenienza descritta dall’art. 391 c.p.p. sia con riferimento ai termini per la convalida , sia con riguardo alle garanzie giurisdizionali, sia, infine, in ordine all’adozione della misura coercitiva, esaurendosi il controllo del presidente della corte d’appello in una verifica meramente cartolare che non influisce minimamente sull’esito del procedimento di consegna e sulla possibilita’ che nel suo ambito sia adottata una misura cautelare piu’ adeguata alle esigenze del caso concreto e, in ogni caso, idonea ad assicurare la consegna della persona richiesta allo Stato di emissione . Va ancora osservato che, secondo la giurisprudenza di legittimita’, spetta al presidente della corte d’appello, o al magistrato da lui delegato, e non gia’ alla corte d’appello, il potere di emettere, in esito alla convalida dell’arresto eseguito dalla p.g., l’ordinanza applicativa della misura coercitiva, perche’ la decisone sulla protrazione dello stato di restrizione della liberta’ personale deve essere assunta dallo stesso organo cui e’ demandata la decisione sulla convalida, in conformita’ a quanto previsto nella materia estradizionale dall’art. 716, comma 3, c.p.p. . Questa speciale competenza presidenziale, peraltro, appare in deroga a quella ordinaria del collegio, ed e’ strettamente legata alla validita’ dell’operato della p.g., sicche’ essa viene meno qualora la convalida sia negata. Una volta che il provvedimento di convalida sia stato positivamente emesso, non rilevano tuttavia eventuali vizi che lo inficino, pur se accertati in sede di ricorso per cassazione, al fine di mettere in discussione, con un giudizio ex post, la competenza del presidente della corte d’appello. Quel che conta, infatti, e’ che il provvedimento coercitivo sia stato adottato sulla base di un arresto ritenuto legittimo, ed e’ nel momento della convalida che si radica anche la competenza presidenziale all’applicazione di misure coercitive, in deroga a quella ordinaria del collegio. 8) Segue: La fase dinanzi alla Corte d’appello. - L’inizio del procedimento innanzi alla corte d'appello per la decisione relativa alla esecuzione del mandato di arresto europeo è disciplinato dall’art.10, comma 4, della legge . Entro venti giorni dalla esecuzione della misura coercitiva il presidente riunisce la corte d’appello, per la decisione sulla esecuzione del mandato di arresto europeo. Nello stesso termine, è disposto il deposito del mandato di arresto e della documentazione allegata. Il decreto di fissazione dell’udienza deve essere comunicato al procuratore generale e notificato alla persona e al suo difensore almeno otto giorni prima dell’udienza. A tale riguardo, la S.C. ha ritenuto che l’omesso avviso all’interessato ed al suo difensore della data di fissazione dell’udienza camerale per la decisione sulla richiesta di consegna determina la nullita’ assoluta, per violazione dei diritti di difesa, della decisione adottata dalla corte . Salvi i casi di procedura consensuale (laddove provvede con ordinanza), la corte d’appello decide con sentenza sulla esecuzione del mandato di arresto europeo entro sessanta giorni dalla esecuzione della misura cautelare (art.17, comma 2). Nel caso in cui il termine non possa essere rispettato, per cause di forza maggiore, il presidente della corte deve informarne il ministro della giustizia, che ne dà comunicazione allo Stato di emissione, anche tramite il membro nazionale di Eurojust. In particolare, la causa di forza maggiore può ricorrere quando la Corte d'appello non abbia ritenuto sufficienti la documentazione e le informazioni trasmesse dallo Stato di emissione richiedendo informazioni integrative o supplementari (art.16, comma 1). La S.C. ha precisato che il superamento dei termini di cui all’art. 17, comma 2, della l. n. 69/2005 non implica affatto una conseguenza sulla validita’ della decisione in merito alla consegna, ma determina soltanto l’effetto della rimessione in liberta’ del consegnando a norma dell’art. 21 della l. n. 69/2005 . Ai fini della decisione sulla consegna della persona, la corte d’appello dovrà valutare preliminarmente se sussistano le condizioni ostative tassativamente indicate dalla legge. Al di fuori di tale ipotesi, la corte dispone con sentenza la consegna della persona ricercata: in ogni caso, quando il mandato di arresto europeo è stato emesso per finalità esecutive, vale a dire in base ad una decisione giudiziaria definitiva di condanna; soltanto se sussistono sufficienti indizi di colpevolezza negli altri casi (art.17, comma 4). I provvedimenti adottati dalla corte d’appello, siano essi di accoglimento o di rigetto, sono impugnabili con ricorso per cassazione, dotato di effetto sospensivo solo per l’esecuzione della sentenza (con la conseguente rimessione in liberta’ in caso di superamento del termine massimo di giorni novanta, senza che intervenga il provvedimento definitivo) e non anche dell’ordinanza (ex art. 22). La consegna deve avvenire, a pena di inefficacia della misura custodiale, entro il termine di giorni dieci dall’emissione dell’ordinanza adottata dalla corte d’appello a seguito del consenso prestato dall’interessato, ovvero dal momento dell’irevocabilita’ della sentenza. L’esecuzione della consegna avviene a cura del Ministro della Giustizia e, salvi i casi di impossibilita’ previsti dall’art. 23, puo’ essere rinviata o disposta solo in via temporanea laddove la corte d’appello ritenga necessario che l’interessato rimanga in territorio italiano, per essere sottoposto ad un procedimento penale ovvero per scontare una pena per altro reato (ex art. 24). Al riguardo, la S.C. ha chiarito che, una volta disposta la consegna del soggetto all’autorita’ dello Stato emittente, perde di interesse il ricorso avente ad oggetto il rigetto della richiesta di revoca della misura coercitiva. A differenza della tradizionale procedura estradizionale – nella quale, una volta esaurito il momento giurisdizionale, e’ rimessa alla valutazione dell’autorita’ politica la decisione sull’estradizione – all’esito della pronuncia definitiva sulla consegna emessa ai sensi della l. n. 69/2005 si instaura una fase meramente esecutiva nel cui ambito, entro rigorosi e brevissimi termini, e salve le cause di forza maggiore di cui all’art. 23, il soggetto deve essere materialmente consegnato allo Stato estero richiedente, senza che possa venire in questione, proprio per la natura meramente esecutiva di tale adempimento, la sussistenza di pericula libertatis . L’esecuzione della consegna, pertanto, fa sorgere un’esigenza diversa ed autonoma da quella stricto sensu cautelare, alla quale la misura coercitiva e’ vincolata, prima della decisione sulla richiesta di estradizione (ex art. 714, comma 2, c.p.p.) o sull’esecuzione del mandato d’arresto europeo (ex art. 9, comma 4, l. n. 69/2005). Ne consegue, secondo la S.C., l’effetto della sostanziale irrilevanza dei pericula libertatis in questa fase della procedura passiva, atteso che il mantenimento della misura coercitiva non dipende dalla sussistenza del pericolo di fuga, ma e’ funzionale alle necessita’ della operazione di materiale consegna della persona interessata allo Stato membro di emissione. Il diverso manifestarsi della medesima esigenza cautelare nell’ambito delle due procedure di consegna va ricollegata alla natura interamente tecnico-giudiziaria del mandato d’arresto europeo, che, al pari degli altri strumenti di mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie nell’U.E., e’ incompatibile con l’esercizio dei poteri d’impulso ed interdizione di regola riservati alle autorita’ di governo . Va ancora osservato che nei casi in cui la consegna allo Stato di emissione sia rinviata, a norma dell’art. 24 della l. n. 69/2005, l’esecuzione della misura cautelare applicata alla persona richiesta deve essere sospesa sino a quando, esauriti i procedimenti in corso ed eseguita l’eventuale pena, la stessa non sia riattivata. Per la riattivazione della misura cautelare, inoltre, non occorre un ulteriore provvedimento dispositivo, bensi’ soltanto un atto ricognitivo dell’autorita’ giudiziaria competente, affinche’ nei termini di cui all’art. 23, comma 1, della l. n. 69/2005, si possa provvedere alla materiale consegna . Infine, ben puo’ essere rigettata dalla corte d’appello, ex art. 24 della legge in esame, la richiesta di rinvio della consegna – ove differita sino all’esito delle pendenze giudiziarie dell’interessato nel territorio nazionale – sulla base del rilievo della non imminenza dell’esecuzione della pena inflitta . 9) Segue: Il consenso alla consegna. - Nell’ambito della procedura passiva di consegna, una significativa variazione procedimentale può essere determinata dal consenso alla consegna che la persona può prestare a seguito del suo arresto. Il consenso alla consegna può essere manifestato in tutte le fasi del procedimento, anche mediante dichiarazione al direttore della casa di reclusione (che deve immediatamente trasmetterla al presidente della corte di appello, anche a mezzo telefax) o con dichiarazione resa nel corso dell’udienza davanti alla corte e fino alla conclusione della discussione . In questi casi, come per l’estradizione consensuale, ha luogo una procedura semplificata (art. 13 della decisione quadro). La semplificazione riguarda sia la forma del provvedimento decisorio, sia i termini: l’art. 14 della legge prevede che, a seguito del consenso alla consegna, la corte di appello decide sulla esecuzione del mandato di arresto europeo con ordinanza emessa senza ritardo e, comunque, non oltre dieci giorni (termine mutuato dall’art.17, par.2, della decisione quadro), dopo avere sentito il procuratore generale, il difensore e, se comparsa, la persona richiesta. L’ordinanza è ricorribile per cassazione, in quanto l’art. 22 della legge ammette il ricorso contro tutti i provvedimenti che decidono sulla consegna della persona interessata, ma il ricorso non sospende l’esecuzione della decisione di consegna, atteso che l’art. 22 fa dipendere l’effetto sospensivo soltanto dalla impugnazione della sentenza. Secondo la S.C. avverso la decisione di merito che pronunzia sulla consegna non possono essere dedotti in sede di ricorso per cassazione motivi di impugnazione riguardanti l’applicazione della misura cautelare – autonomamente impugnabile a norma dell’art. 719 c.p.p – ovvero inerenti alla acquisizione (o alla mancata acquisizione) dell’eventuale consenso alla consegna nella fase iniziale del procedimento . La dichiarazione di consenso è espressamente dichiarata irrevocabile dall’art. 14 comma 3 della legge, secondo un principio enunciato in termini generali nell’articolo 205-bis delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale. 10) Segue: Il rifiuto della consegna. - La disciplina dei motivi di rifiuto della esecuzione del mandato di arresto europeo riveste una fondamentale importanza e dimostra i limiti entro i quali la legislazione italiana ha recepito il principio del mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie nel quadro della nuova procedura di consegna. L’art. 18 della legge elenca venti motivi di rifiuto obbligatorio della consegna. Ulteriori motivi sono previsti nell’art. 6, co. 6 (quando l’autorità straniera non dà corso alla trasmissione degli atti e documenti richiesti); art. 7, co. 1 (mancanza della doppia punibilità); art.8, co. 3 (consegna del cittadino italiano in relazione a un fatto non previsto come reato dalla legge italiana, quando ricorre ignoranza incolpevole sulla norma penale dello Stato di emissione) . Soltanto una parte dei motivi di non esecuzione del mandato di arresto europeo previsti nella legge corrispondono a quelli elencati negli artt. 3 e 4 della decisione quadro; altri sono ricavati dal preambolo della decisione; altri, infine, non trovano alcuna corrispondenza nelle disposizioni della decisione quadro. In quest’ultima tipologia rientrano sicuramente i motivi di rifiuto previsti nell’art. 8 co. 3, cit., e nell’art.18, lettera b) (se il diritto è stato leso con il consenso di chi, secondo la legge italiana, può validamente disporne); lettera c) (se per la legge italiana il fatto costituisce esercizio di un diritto, adempimento di un dovere ovvero è stato determinato da caso fortuito o forza maggiore); lettera d) (se il fatto è manifestazione della libertà di associazione, della libertà di stampa o di altri mezzi di comunicazione); lettera e) (se la legislazione dello Stato membro di emissione non prevede i limiti massimi della carcerazione preventiva ) . La S.C. ha ritenuto, di recente, manifestamente infondata la questione di legittimita’ costituzionale dell’art. 705, comma 2, c.p.p., con riferimento ad una pretesa disparita’ di trattamento riservato alla persona richiesta in consegna che sia madre di prole di eta’ inferiore a tre anni, rispetto all’art. 18, lett. s), della l. n. 69/2005, in quanto la diversa disciplina del mandato d’arresto europeo trova la sua giustificazione nella circostanza che la consegna avviene tra Paesi che fanno parte dell’Unione europea, e che per questo presentano una forte omogeneita’ culturale e giuridica. Si e’ ritenuto, inoltre, applicabile il motivo di rifiuto disciplinato dall’art. 18, lett. p), che prevede il divieto di consegna laddove il mandato d’arresto riguardi fattispecie di reato che dalla legge italiana sono considerate commesse in tutto o in parte nel suo territorio, in relazione ad un’ipotesi di appropriazione indebita concretatasi nella mancata restituzione da parte del conduttore di un’autovettura, noleggiata all’estero, dopo averla utilizzata per trasferirsi in Italia . Nell’ambito dei motivi di rifiuto della esecuzione del mandato di arresto europeo va inquadrata, in particolare, la disciplina della doppia incriminabilità, che è uno degli aspetti nevralgici del nuovo sistema di consegna postestradizionale ed è contenuta negli articoli 7, 8 e 40, comma 3, della legge. Il sistema si basa su una “lista positiva” di reati per i quali, in deroga al criterio generale enunciato nell’art.7, co.1, la legge prevede la consegna obbligatoria della persona, anche in carenza di doppia incriminazione, a condizione che si tratti di reati puniti con pena detentiva non inferiore a tre anni . Il catalogo dei reati è contenuto nell’art. 8. co.1 (lettere da a) a mm). In concreto, la Corte d'appello dovrà accertare la definizione dei reati per i quali è stato emesso il mandato di arresto europeo, secondo la legge penale dello Stato di emissione, e quindi verificare se essa corrisponda o meno alle condotte elencate nell’art. 8 co.1. Inoltre, con una inedita norma transitoria è stato previsto che le disposizioni dell’art. 8 relative alla consegna obbligatoria si applicano unicamente ai fatti commessi dopo la data di entrata in vigore della legge (art. 40, comma 3). In questo modo, l’autorità giudiziaria italiana dovrà rifiutare la consegna della persona per carenza di doppia incriminazione in tutti i casi, statisticamente frequenti, nei quali il mandato d’arresto europeo sia stato emesso per reati commessi prima dell’entrata in vigore della legge italiana. Ai fini della esecuzione della consegna obbligatoria di cui all’art. 8 della l. n. 69/2005, la S.C. ha fissato, di recente, il principio secondo cui non rientra nei poteri di cognizione dell’autorita’ giudiziaria italiana stabilire se il fatto per il quale la consegna e’ richiesta integri effettivamente una fattispecie penale prevista dalla legislazione dello Stato di emissione. Per le fattispecie di reato incluse nell’ampio catalogo di cui all’art. 8, comma 1, della legge in esame, dunque, la consegna avviene “indipendentemente dalla doppia incriminazione”, sempre che sussista l’ulteriore requisito della pena edittale ivi specificato. Invece, sotto altro, ma connesso, profilo, per soddisfare la condizione della doppia punibilita’ previta dall’art. 7, comma 1, della legge su citata, non e’ necessario che lo schema astratto della norma incriminatrice dell’ordinamento straniero trovi il suo esatto corrispondente in una norma del nostro ordinamento, ma e’ sufficiente che la concreta fattispecie sia punibile come reato da entrambi gli ordinamenti, a nulla rilevando l’eventuale diversita’, oltre che del trattamento sanzionatorio, anche del titolo e di tutti gli elementi richiesti per la configurazione del reato . Ne’ rileva, del resto, la perseguibilita’ a querela secondo l’ordinamento italiano, dovendosi avere riguardo unicamente alla qualificazione del fatto come reato in entrambi gli ordinamenti . Ulteriore criterio direttivo individuato dalla S.C. e’ quello per cui il presupposto della consegna all’estero, in base all’art 7, comma 3, della l. n. 69/2005, e’ che il reato per il quale essa e’ richiesta sia punibile in astratto dalla legge dello Stato membro di emissione con una pena o con una misura di sicurezza privativa della liberta’ personale della durata massima non inferiore a dodici mesi, non rilevando che la pena detentiva sia stabilita in alternativa ad una pena pecuniaria, concretamente irrogabile all’esito del giudizio . L’art. 19 prevede tre casi in cui la corte d’appello deve subordinare l’esecuzione del mandato di arresto europeo ad alcune condizioni. Si tratta di disposizioni conformi a quelle contenute nell’articolo 5 della decisione quadro. Il primo caso è quello in cui il mandato di arresto, emesso per ragioni attinenti alla esecuzione della pena, si basa su un provvedimento di condanna pronunciato in absentia, quando l’imputato non è stato personalmente citato a comparire nè altrimenti informato della data e del luogo dell’udienza. Si tratta di una condizione che corrisponde a quella del processo contumaciale italiano, recentemente riformato con decreto legge 21 febbraio 2005, n.17. In questo caso, la corte d’appello subordina la esecuzione del mandato di arresto europeo alla condizione che l’autorità giudiziaria di emissione fornisca sufficienti assicurazioni in ordine alla possibilità di richiedere un nuovo processo . Il secondo caso è quello in cui il mandato di arresto europeo è stato emesso per la esecuzione di una pena detentiva a vita, nel quale la corte d’appello subordina l’esecuzione del mandato di arresto europeo alla circostanza che l’ordinamento giuridico dello Stato di emissione preveda una revisione della pena comminata, su richiesta del condannato o comunque entro venti anni, oppure la possibilità di applicare misure di clemenza. Il terzo caso è quello in cui il mandato di arresto europeo è stato emesso, per finalità processuali, nei confronti di un cittadino italiano o di persona residente nello Stato italiano. In questo caso, la corte d’appello subordina l’esecuzione del mandato alla condizione che la persona sia trasferita nello Stato per scontare in Italia la pena detentiva eventualmente comminata. In particolare, v’e’ da osservare, in ordine al collegamento tra il motivo di rifiuto di cui all’art. 18, comma 1, lett. r), della l. n. 69/2005 (ossia, l’ipotesi inerente al mandato d’arresto emesso ai fini dell’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privativa della liberta’ personale, qualora il ricercato sia un cittadino italiano) e la speciale garanzia prevista nella connessa disposizione di cui all’art. 19, comma 1, lett. c), che la S.C. ha di recente indicato una serie di criteri direttivi: a) nell’ipotesi in cui il mandato d’arresto europeo sia stato emesso nei confronti di un cittadino italiano, ai fini dell’esecuzione di una pena privativa della liberta’ personale, la corte d’appello puo’ (e non deve) rifiutare la consegna, se ritiene che la pena irrogata dall’autorita’ straniera debba essere espiata sul territorio nazionale, conformemente al diritto interno (in questo caso, dunque, il rifiuto della cnsegna dipende dalla valutazione che la corte d’appello, volta per volta, dovra’ fare in ordine alla concreta possibilita’ di espiazione della pena in Italia) ; b) nell’ipotesi in cui il mandato d’arresto europeo sia stato emesso nei confronti del cittadino italiano per ragioni inerenti all’esercizio dell’azione penale, la consegna puo’ essere subordinata alla condizione – prevista dall’art. 19, comma 1, lett. c) - che il cittadino, una volta esaurito il giudizio a suo carico, venga nuovamente trasferito in Italia, per scontare la pena eventualmente irrogata nei suoi confronti nello Stato membro di emissione ; c) quando, invece, il mandato d’arresto europeo e’ stato emesso nei confronti del cittadino italiano, ai fini dell’esecuzione di una pena privativa della liberta’ personale, la consegna non puo’ essere subordinata alla garanzia che lo Stato di emissione operi il successivo trasferimento della persona in Italia, ai sensi dell’art. 19, comma 1, lett. c), della legge in esame . In ordine ai limiti della condizione risolutiva nell’ipotesi di consegna “condizionata” di cui all’art. 19, comma 1, lett. c), la formula lessicale “dopo essere stata ascoltata”, ivi dettata con riferimento alla consegna “processuale” del cittadino o del residente nello Stato italiano, deve essere intesa, ad avviso della S.C., nel senso che la persona consegnata deve essere restituita una volta celebrato il processo a suo carico nello Stato di emissione, e non gia’ quando sia adempiuta la sola attivita’ di audizione, avente finalita’ difensiva . 11. Segue: La procedura attiva di consegna. - La disposizione di cui all’art. 28 della l. n. 69/2005, in conformita’ al generale criterio direttivo enunciato nell’art. 6, par. 1, della decisione quadro, che attribuisce alle legislazioni interne dei singoli Stati membri la facolta’ di individuare l’autorita’ giudiziaria competente ai fini dell’emissione del mandato d’arresto europeo, introduce un criterio di riparto della competenza “attiva”, stabilendo che il mandato d’arresto puo’ essere emesso: a) dal giudice che ha applicato la misura cautelare della custodia in carcere o degli arresti domiciliari (si tratta, in questo caso, dell’ipotesi di mandato emesso per finalita’ processuali; b) dal p.m. presso il giudice dell’esecuzione che ha emesso, ex artt. 656 ss., c.p.p., l’ordine di esecuzione della pena detentiva o della misura di sicurezza a carattere detentivo ordinata con la sentenza (in questo caso, invece, si tratta dell’ipotesi di mandato emesso per finalita’ esecutive). Si riafferma, in tal modo, il principio secondo cui il mandato d’arresto europeo rappresenta solo il profilo esterno di un provvedimento la cui sostanziale legittimita’ si ritiene di dover subordinare al necessario rispetto delle regole interne che ne disciplinano l’emissione. Nel primo caso, le condizioni di emissione del provvedimento, attraverso l’implicito richiamo ai parametri generali di cui all’art. 280 c.p.p., richiedono necessariamente la sussistenza di un limite edittale di pena di gran lunga superiore rispetto a quello minimo fissato dall’art. 2, par.1, della decisione quadro, mentre nel secondo caso, accanto alla previsione di un limite minimo di pena piu’ elevato rispetto a quello consentito nella correlativa disposizione della decisione quadro, l’emissione del mandato e’ possibile sempre che non ricorra una condizione di sospensione dell’ordine di esecuzione. La S.C. ha, di recente, precisato che non e’ impugnabile il provvedimento con il quale il P.M. ha rigettato la richiesta di revoca del mandato d’arresto emesso dallo stesso ufficio, ai sensi dell’art. 28, lett. b), per l’esecuzione di una pena detentiva: l’ordinamento processuale, infatti, secondo l’indirizzo seguito dalla Corte, nella fase attiva di consegna consente di contestare il titolo esecutivo su cui si fonda il mandato d’arresto europeo, ma non direttamente quest’ultimo . L’autorita’ giudiziaria, in ambedue le ipotesi sopra descritte, provvede alla trasmissione del mandato d’arresto europeo al Ministro della giustizia, che, a sua volta, provvede alla traduzione del testo nella lingua ufficiale dello Stato di esecuzione ed alla successiva trasmissione all’autorita’ straniera competente. E’ altresi’ prevista l’immediata comunicazione dell’emissione del mandato al servizio per la cooperazione internazionale di polizia presso il Ministero dell’interno: l’adempimento, in assenza di un’esplicita previsione normativa al riguardo, deve ritenersi rimesso alla competenza dell’ufficio II della direzione generale della giustizia penale presso il Ministero della giustizia, in ragione delle competenze tradizionalmente affidategli ai fini della diffusione internazionale delle ricerche a scopo estradizionale . Particolarmente opportuna, a tale riguardo, deve ritenersi l’esigenza, suggerita in sede pratica , di coordinamento ed uniforme applicazione della normativa, per cui, ferma restando la competenza del giudice in ordine all’emissione del mandato d’arresto europeo, il provvedimento venga inviato al P.M. per l’esecuzione – ossia, la successiva trasmissione al Ministero della giustizia – non differenziandosi sostanzialmente tale ipotesi da quella ordinaria in cui il g.i.p., una volta adottata l’ordinanza applicativa della misura cautelare, la trasmette al p.m. per l’esecuzione (potrebbe darsi, infatti, che il p.m. intenda coordinare l’esecuzione di una pluralita’ di provvedimenti in territorio nazionale ed all’estero, secondo criteri che competono solo all’organo titolare delle indagini preliminari). Fortemente ridimensionato risulta, rispetto al previgente quadro normativo della procedura estradizionale, il ruolo delle procure generali, cui e’ attribuito solo il compito di informare il ministro della giustizia della perdita di efficacia del mandato d’arresto, per la conseguente comunicazione allo Stato di esecuzione (ex art. 31), e di emettere il mandato d’arresto nelle sole ipotesi in cui lo stesso procuratore generale ha emanato l’ordine di esecuzione della pena detentiva in relazione ad una sentenza di condanna irrevocabile . Emerge, altresi’, con evidenza, l’asimmetria nell’articolazione della competenza giurisdizionale tra la fase attiva e quella passiva della procedura di consegna attraverso l’introduzione di un significativo elemento di novita’ nell’ambito dei rapporti giurisdizionali con le autorita’ straniere: per la prima volta, infatti, la competenza non e’ radicata a livello distrettuale presso le procure generali delle corti d’appello, ma viene attribuita al giudice titolare del potere cautelare secondo le regole generali, implicitamente richiamate, di cui agli artt. 279 e 91 disp. att. del codice di procedura penale . La giurisprudenza di legittimita’ ha di recente stabilito, risolvendo un conflitto di competenza sollevato dal tribunale del riesame, che la competenza ad emettere il mandato d’arresto europeo, nel caso in cui il g.i.p. abbia rigettato l’istanza di applicazione della misura cautelare e la stessa sia stata disposta dal tribunale del riesame in seguito a gravame proposto dal p.m., spetta al tribunale del riesame a norma dell’art. 28, comma 1, lett. a), della l. n. 69/2005 . In conseguenza della piena giurisdizionalizzazione dell’iter procedurale – connotato dall’assenza di “filtri” o “mediazioni” di natura politica, quale diretta conseguenza dell’applicazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni penali – il mandato d’arresto europeo non puo’ essere sottoposto ad alcun “giudizio di gradimento” da parte dell’autorita’ politica, che deve limitarsi a trasmetterlo secondo le modalita’ descritte dalla disposizione in esame . La richiesta di consegna viene pertanto avanzata dall’autorita’ giudiziaria italiana ad un’altra autorita’ giudiziaria straniera che dovra’ darvi esecuzione. Pur scomparendo la tradizionale suddivisione plurifasica – preliminare, decisoria e d’esecuzione – tipica della previgente procedura estradizionale e nonostante l’evidente arretramento ad un ruolo chiaramente ancillare rispetto alle determinazioni assunte dall’autorita’ giudiziaria , l’attivita’ di supporto amministrativo fornito dall’autorita’ centrale puo’ rivelarsi utile non solo per il contributo di assistenza tecnico-giuridica nei momenti che accompagnano l’invio del mandato (ad es., ai fini della corretta individuazione dell’organo giudiziario competente per l’esecuzione), ma anche per risolvere le eventuali difficolta’ relative alla trasmissione o all’autenticita’ di un documento necessario per l’esecuzione del mandato d’arresto . Si e’, peraltro, osservato che ai sensi dell’art. 4, comma 4, della legge di attuazione, nell’ipotesi in cui sussistano particolari accordi internazionali, e nei limiti e con le modalita’ in essi previsti, puo’ esser consentita, in condizioni di reciprocita’, la corrispondenza diretta tra le autorita’ giudiziarie: in queste evenienze, la trasmissione del mandato d’arresto verra’ effettuata direttamente dall’autorita’ giudiziaria, che manterra’ solo un obbligo di immediata informazione nei confronti del ministero della giustizia dell’avvenuta emissione. Pur non essendo ben chiara la ratio del disposto normativo, privo al riguardo di un’opportuna clausola di coordinamento con il testo della decisione quadro, il significato della norma potrebbe ricercarsi nella finalita’ di incentivare la realizzazione di accordi bilaterali o multilaterali attraverso i quali rendere ancora piu’ agevole la consegna del ricercato, e comunque di consentire all’autorita’ giudiziaria di avvalersi, in tutti i casi dubbi e di non facile soluzione (ad esempio, per problemi di conoscenza della normativa straniera), dell’attivita’ di assistenza dell’organo amministrativo . Seri problemi di reciprocita’ nella gestione delle procedure di consegna potrebbero, tuttavia, verificarsi, anche in fase attiva, nei casi, tutt’altro che infrequenti nel nostro ordinamento, in cui si richiedesse la consegna di una persona condannata per effetto di una sentenza pronunziata all’esito di un giudizio contumaciale, atteso che in tale evenienza le nostre autorita’ giudiziarie potrebbero dover fornire allo Stato membro di esecuzione, quale precisa condizione della consegna ai sensi dell’art. 5, n.1, della decisione quadro, “assicurazioni considerate sufficienti a garantire alle persone oggetto del mandato d’arresto europeo la possibilita’ di richiedere un nuovo processo nello Stato membro emittente e di essere presenti al giudizio” . Nell’ordinamento tedesco, ad esempio, l’art. 83 della legge di attuazione ha previsto quale condizione della consegna la natura non contumaciale della sentenza (con la garanzia, se del caso, del diritto ad un nuovo giudizio nel quale venga “ampiamente esaminata” l’accusa mossa a carico dell’indagato), mentre nel Regno Unito l’Extradition Act 2003 prevede che se la persona non e’ stata giudicata in sua presenza occorre compiere una verifica in ordine al fatto che la stessa si sia volontariamente sottratta al giudizio, poiche’ in caso contrario la persona viene consegnata solo con la garanzia di un nuovo giudizio, nel quale dovranno assicurarsi all’imputato il diritto di difesa, quello di esaminare i testi a carico e ottenere l’assunzione delle prove a discarico nelle stesse condizioni dell’accusa. Analoghe disposizioni, del resto, sono contemplate nelle legislazioni di attuazione di altri Paesi come, ad es., il Granducato del Lussemburgo, o i Regni di Svezia e del Belgio . Nonostante i passi avanti registrati con la recente l. 22 aprile 2005, n. 60, che ha convertito con modificazioni il d.l. 21 febbraio 2005, n. 17, recante disposizioni urgenti in materia d’impugnazione delle sentenze contumaciali e dei decreti di condanna, non sembra, sotto questo specifico profilo, che la nuova fattispecie di restituzione in termini per proporre impugnazione avverso la sentenza contumaciale – ovvero l’opposizione avverso al decreto penale di condanna – sulla base del doppio criterio normativo della mancata effettiva conoscenza del procedimento e della mancata volontaria rinuncia a comparire, sia idonea a garantire appieno l’integrale ripristino della situazione processuale dell’imputato nelle ipotesi in cui la fattispecie legittimante la restituzione del termine si sia verificata, ad es., nel corso del giudizio di primo grado, e, soprattutto, ad evitare possibili rifiuti della consegna qualora non venga soddisfatta la condizione rappresentata dalla “possibilita’ di richiedere un nuovo processo” secondo l’esplicita formulazione del disposto di cui all’art. 5 della decisione quadro, cosi’ come esplicitata, del resto, nello stesso riquadro sub d) del formulario del mandato d’arresto europeo allegato allo strumento comunitario . Ne’ sembra che l’effettiva attuazione della decisione quadro, sotto tale profilo, possa trovare efficace soluzione attraverso un meccanismo che consenta, magari con un piu’ agevole percorso di accesso al giudizio di impugnazione, di richiedere l’assunzione di prove in appello ai sensi dell’art. 603 comma 4 c.p.p., essendo soggetta l’integrale rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in appello al verificarsi di una serie di condizioni non piu’ in sintonia con il novellato art. 175 c.p.p. . Un’importante apertura ai principi fondamentali enucleati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo in tema di equo processo e giudizio contumaciale e’ stata di recente operata dalla giurisprudenza di legittimita’, che, muovendo dal presupposto per cui il legislatore italiano ha accettato incondizionatamente la forza vincolante delle sentenze della Corte di Strasburgo – come dimostrato, in particolare, dalla legge 15 dicembre 2005, n. 280, di ratifica senza riserve, da parte dell’Italia, del Protocollo n. 14 alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, e dalla legge 9 gennaio 2006, n. 12, recante disposizioni in materia di esecuzione delle pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo – ha stabilito che, nel pronunciare sulla richiesta di restituzione nel termine per appellare proposta da un condannato dopo che il suo ricorso e’ stato accolto da quella Corte, il giudice e’ tenuto a conformarsi alla decisione con cui si e’ riconosciuto che il processo celebrato in absentia non e’ stato equo, con la conseguenza che il diritto al nuovo processo non puo’ essere negato escludendo la violazione dell’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fndamentali, ne’ invocando l’autorita’ del pregresso giudicato formatosi in ordine alla ritualita’ del giudizio contumaciale in base alla normativa del codice di rito . V’e’ da osservare, infine, che in una recente pronuncia del Tribunale di Amsterdam si e’ affermato che in tema di richiesta di mandato d’arresto europeo presentata dal giudice italiano a quello olandese per l’esecuzione in Italia di una pena detentiva nei confronti della persona richiesta, non sussiste alcuna violazione dell’art. 12 della legge olandese sulla consegna e nulla osta, pertanto, all’ammissione della richiesta nel caso in cui, in presenza di una sentenza contumaciale, il giudizio si sia svolto alla presenza del legale dell’imputato e sia stato quindi garantito allo stesso un adeguato diritto di difesa . 12. Segue: L’equiparazione tra il mandato d’arresto europeo e la segnalazione nel S.I.S. - Ai fini dell’emissione del mandato d’arresto europeo e’ necessario che la “localizzazione” del ricercato nel territorio di uno Stato membro sia nota alla competente autorita’ giudiziaria, la quale, in caso contrario, dispone, ex art. 29 comma 2, l’inserimento di una specifica segnalazione nel S.I.S. (Sistema informativo Schengen), conformemente alle disposizioni di cui all’art. 95 della Convenzione del 19 giugno 1990 di applicazione degli accordi di Schengen del 14 giugno 1985, cosi’ come espressamente richiamati nell’art. 9, par. 3, della decisione quadro . In tal caso, infatti, secondo l’art. 29 comma 2 della legge in esame, si applica, conformemente all’analoga previsione della decisione quadro, la regola dell’equiparazione tra il mandato d’arresto europeo e la segnalazione nel S.I.S. (un criterio, questo, seguito, del resto, nelle legislazioni di attuazione di tutti gli altri Paesi europei). L’inserimento della segnalazione, secondo le specifiche modalita’ previste dall’art. 95 della Convenzione di Schengen, comporta l’obbligo per la polizia giudiziaria di procedere all’arresto del ricercato eventualmente localizzato sul territorio del proprio Stato, dando l’avvio, in tal modo, alla procedura di consegna da parte dell’autorita’ giudiziaria competente per l’esecuzione, chiamata ad esprimersi sulla convalida degli arresti eseguiti sulla base di mandati emessi dall’autorita’ giudiziaria italiana . La segnalazione, pertanto, equivale allo stesso mandato d’arresto europeo a condizione che venga corredata di tutte le informazioni richieste dall’art. 30, come gia’ specificate dall’art. 8, par. 1, della decisione quadro. In assenza di quei requisiti informativi che rendono la segnalazione atto equipollente al mandato d’arresto, si ritiene che la competente autorita’ dello Stato di rifugio dovra’ in ogni caso provvedere all’arresto provvisorio della persona ricercata. Tale arresto rappresentera’ il vero e proprio atto d’impulso della procedura di consegna, in quanto l’autorita’ che ha eseguito l’arresto provvisorio dovra’ darne comunicazione a quella che ha provveduto all’inserimento della segnalazione nel S.I.S. affinche’ provveda alla trasmissione , nelle dovute forme, dell’originale del mandato d’arresto . Pur non essendo espressamente richiamate nell’ambito della legge di attuazione, deve ritenersi comunque possibile per l’autorita’ giudiziaria emittente avvalersi delle facolta’ previste dalle disposizioni di cui ai paragrafi 3 e 5 dell’art. 10 della decisione quadro, ossia: a) fare ricorso ai servizi dell’Interpol per comunicare il mandato d’arresto, quando, e i relativi casi saranno tutt’altro che infrequenti, non e’ possibile ricorrere al S.I.S. (cui non tutti i Paesi membri dell’U.E. aderiscono); b) avviare contatti diretti con le autorita’ giudiziarie interessate o, se del caso, con l’intervento delle rispettive autorita’ centrali, per risolvere qualsiasi difficolta’ relativa alla trasmissione o all’autenticita’ di un documento necessario per l’esecuzione del mandato d’arresto . L’art. 29 della legge in esame ha, infatti, profondamente innovato il previgente sistema, giurisdizionalizzando l’intera procedura, nel senso che l’iniziativa deve ritenersi attribuita esclusivamente all’autorita’ giudiziaria procedente. Nell’ambito del sistema estradizionale, invece, la segnalazione nel S.I.S. era disposta dal Ministro della Giustizia ex art. 720, comma 5, c.p.p., e materialmente inserita in quel sistema d’informazione dalla Divisione S.I.R.E.N.E. del Ministero dell’Interno attraverso appositi formulari. Occorre, peraltro, considerare che la segnalazione nel S.I.S. opera soltanto nei confronti di quegli Stati membri che hanno aderito alla Convenzione di Schengen, mentre per gli altri Stati membri le ricerche finalizzate alla localizzazione ed all’arresto della persona indagata o condannata dovranno continuare a svolgersi secondo il precedente regime. Sul piano operativo, pertanto, come stabilito anche nella Circolare del Ministero della Giustizia del 24 giugno 2005 (Circolare n. 1-1489/05/U, in BARGIS – SELVAGGI, Mandato, 639 s.), la diffusione delle ricerche continuera’ ad effettuarsi – anche nel nuovo sistema di consegna – sia attraverso la Divisione SI.RE.NE. – per la c.d. area Schengen – sia attraverso il servizio Interpol – per tutti gli altri Stati – fin quando non sara’ operativo il nuovo sistema S.I.S. II, al quale aderiranno tutti gli Stati membri dell’U.E. . Le autorita’ giudiziarie procedenti a norma dell’art. 29, dunque, devono darne immediata comunicazione al Ministero della Giustizia, che provvedera’ a trasmettere l’ordine di diffusione delle ricerche alla Direzione Centrale di Polizia criminale – Servizio Interpol, a norma dell’art. 720, comma 5, c.p.p. . In ordine alle modalita’ di inserimento della segnalazione nel S.I.S. ex art. 95 della Convenzione di Schengen, inoltre, l’autorita’ giudiziaria procedente – che dispone la segnalazione nel S.I.S. a norma dell’art. 29, comma 2, della l. n. 69/2005 - dovra’ inviare alla Divisione SI.RE.NE. nazionale gli appositi formulari “A” ed “M” – adottati dalle Divisioni SI.RE.NE. di tutti gli Stati aderenti all’area c.d. Shengen – per il successivo inserimento nella banca dati del S.I.S. (Circolare del Ministero della Giustizia del 24 giugno 2005, in BARGIS – SELVAGGI, Mandato, 639 s.). In ordine alla procedura volta alla successiva, eventuale, cancellazione – a seguito di revoca, annullamento, perdita di efficacia del provvedimento restrittivo che ha dato origine alla segnalazione – si ritiene che spetti alla stessa autorita’ giudiziaria, competente ai sensi dell’art. 28, richiedere l’eliminazione della segnalazione dal S.I.S., mentre a nessuna comunicazione dovrebbe darsi luogo da parte della Procura generale al Ministro, non essendo necessario seguire le cadenze previste dall’art. 31 . Il meccanismo di cooperazione attivato dall’emissione del mandato ovvero dall’inserimento della segnalazione nel S.I.S., generalmente immediata, subisce di contro un differimento nella sola eventualita’ in cui la persona ricercata benefici di un’immunita’ o di un privilegio riconosciuti da uno Stato diverso da quello dell’esecuzione o da un organismo internazionale, rendendosi a tal fine necessario attendere la revoca del privilegio o l’esclusione dell’immunita’. Infatti, in linea con la previsione contenuta nel secondo inciso del par. 2 dell’art. 20 della decisione quadro, l’art. 29 comma 3 della legge di attuazione stabilisce che sia proprio l’autorita’ giudiziaria emittente a dover provvedere all’inoltro della richiesta di revoca del privilegio o di esclusione dell’immunita’ di cui la persona ricercata eventualmente benefici, allorquando tali situazioni soggettive siano riconosciute da uno Stato diverso da quello di esecuzione, ovvero da un organismo internazionale. 13. Segue: Il contenuto del mandato d’arresto. - Il contenuto del mandato d’arresto deve necessariamente presentare il complesso delle informazioni indicate espressamente nella disposizione normativa in esame, che riproduce a sua volta l’art. 8, par. 1, della decisione quadro, richiamando espressamente il modello allegato alla decisione quadro. Pur non essendo stato formalmente adottato il modello tipico di “eurordinanza” allegato alla decisione quadro, nulla vieta alle nostre autorita’ giudiziarie di farvi ricorso utilizzandolo nella prassi applicativa, che dovra’ comunque soddisfare evidenti criteri di uniformita’ degli atti nelle relazioni instaurate con le competenti autorità giudiziarie degli altri Paesi membri dell’U.E. . E’ opportuno presentare, al riguardo, una descrizione precisa e dettagliata del “fatto contestato”, ai sensi delle disposizioni di cui alle lett. d) ed e) dell’art. 30, comma 1, atteso che proprio la possibilita’ della consegna del ricercato in assenza della verifica del requisito della doppia incriminazione ex art. 2, par. 2, della decisione quadro, potrebbe dare luogo a problemi interpretativi nella prassi, in merito all’apprezzamento delle tipologie di fattispecie incriminatrici ivi astrattamente enucleate . In particolare, il contenuto del mandato d’arresto deve presentare, oltre ai dati segnaletici del ricercato ed agli elementi identificativi dell’autorita’ giudiziaria emittente, i presupposti giustificativi della misura – ossia, l’esistenza di una sentenza o di un’altra decisione giudiziaria esecutiva – la descrizione storica del fatto contestato, la pena per esso inflitta o quella in astratto applicabile – con l’indicazione dei limiti edittali massimi e minimi – la segnalazione delle altre conseguenze da esso scaturenti ed, infine, le informazioni attinenti alla natura e qualificazione giuridica del reato, in modo da dare luogo alla verifica ex art. 2, par. 2, della decisione quadro, in ordine alla non necessarieta’ del requisito della doppia incriminazione. Sotto tale profilo, l’accertamento in ordine alla corrispondenza al modello indicato nella lista dei trentadue reati di cui all’art. 2, par. 2 , della decisione quadro non si basa sulla mera apparenza del nomen iuris attribuito dallo Stato richiedente e da quello di esecuzione, ma deve coinvolgere l’indicazione, contenuta nel mandato d’arresto, degli elementi essenziali della fattispecie, poiche’, altrimenti, sarebbe del tutto vana la previsione della descrizione del fatto da inserire nel mandato stesso . L’uniformita’ di contenuto dell’atto soggetto alla circolazione sul territorio comunitario supera il requisito della c.d. probable cause o reasonable cause, che – qualora il destinatario della richiesta fosse stato un Paese anglosassone, nella vigenza del precedente sistema estradizionale – avrebbe imposto l’allegazione di un supporto probatorio particolarmente qualificato in ordine alla sussistenza del reato ed alla colpevolezza dell’imputato. Ne discende che il mero controllo di regolarita’ formale sugli atti previsti esaurisce, oggi, l’indagine demandata alla competente autorita’ dello Stato di esecuzione . La natura custodiale del provvedimento in forza del quale puo’ essere emesso il mandato d’arresto europeo rende evidente che l’attivazione del procedimento di emissione sara’ possibile solo con riferimento ai reati che prevedano una pena superiore nel massimo a tre anni, limitatamente alla misura degli arresti domiciliari, e non inferiore a quattro anni, in relazione alla custodia cautelare in carcere (ex art. 280 c.p.p.), ossia ben al di la’ del limite minimo di un anno fissato dall’art. 2, par. 1, della decisione quadro. Analogamente, in relazione all’emissione del mandato d’arresto all’esito di un provvedimento irrevocabile di condanna a pena detentiva, lo sbarramento verso il basso viene elevato ad un anno, anziche’ a quattro mesi (come previsto nel testo della decisione quadro), ferme restando le ulteriori considerazioni connesse alla disciplina della sospensione dell’ordine di esecuzione . Il corredo degli elementi informativi che devono concorrere a formare il contenuto del mandato d’arresto emesso dall’autorita’ giudiziaria italiana rappresenta un’indicazione tassativa “minima”, che eventualmente puo’ essere arricchita con le ulteriori informazioni richieste dallo Stato di esecuzione quale condizione al fine di autorizzare la consegna del ricercato . L’art. 15, par. 2, della decisione quadro consente infatti all’autorita’ giudiziaria dell’esecuzione – che non ritenga sufficienti le informazioni contenute nel mandato d’arresto – di richiedere con urgenza – attraverso comunicazioni dirette con l’autorita’ emittente - delle informazioni complementari per assumere la decisione sulla consegna (ivi comprese quelle necessarie ad integrare il contenuto dello stesso mandato). Peraltro, mentre l’emissione del mandato d’arresto, secondo una scelta legislativa senza dubbio condivisibile nell’ambito di un sistema di cooperazione che tende ad essere governato dal principio del reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie penali, non deve essere necessariamente accompagnata dalla trasmissione del provvedimento giudiziario sul quale il mandato si basa (ex artt. 30, lett. c) e 28 della legge n. 69/2005), nell’ambito della procedura passiva di consegna il legislatore ha introdotto un elemento di chiara dissonanza sia rispetto al testo della decisione quadro, sia rispetto alle stesse condizioni che presidiano la procedura di emissione, subordinando – ex art. 6, comma 3 - l’esecuzione del mandato da parte dell’autorita’ italiana alla trasmissione del provvedimento coercitivo che fonda la richiesta avanzata dall’autorita’ straniera . 14. Segue: La sopravvenuta inefficacia del mandato d’arresto europeo. - La disposizione di cui all’art. 31 stabilisce il principio della non autonomia del mandato d’arresto europeo rispetto al provvedimento interno, prevedendo che il mandato d’arresto, emesso dal giudice che ha applicato l’ordinanza cautelare, perde efficacia quando il provvedimento restrittivo della liberta’ personale viene revocato, annullato, o diviene inefficace (sulla base dei principi generali e delle ordinarie regole processuali fissate dagli artt. 272 ss. c.p.p., in tal modo implicitamente richiamate nella legge di attuazione). Il venir meno del presupposto giustificativo della richiesta di consegna – ossia il provvedimento restrittivo dello status libertatis – non puo’ che travolgere il mandato e gli effetti dallo stesso scaturiti . Non comporta, peraltro, la perdita di efficacia del mandato d’arresto europeo emesso dall’autorita’ giudiziaria italiana la decisione dello Stato membro che, in virtu’ dell’art. 16 della decisione quadro, abbia dato esecuzione ad altro mandato di arresto europeo o ad una richiesta di estradizione di un altro Stato . In tal caso, deve darsi immediata comunicazione allo Stato membro al quale il provvedimento era stato inviato per l’esecuzione. A tal fine, il Procuratore generale presso la Corte d’appello deve darne immediata comunicazione al Ministro della Giustizia che, a sua volta, provvede ad informarne lo Stato membro di esecuzione. La disposizione in esame, peraltro, non contiene alcuna norma di coordinamento che preveda la comunicazione da parte dell’autorita’ procedente al Procuratore generale dell’avvenuta revoca o dell’intervenuta inefficacia del titolo cautelare, con la conseguenza che il Procuratore generale potrebbe non essere tempestivamente informato del venire meno dell’ordinanza di custodia cautelare e della conseguente sopravvenuta inefficacia del mandato d’arresto europeo . La disposizione e’ apparsa, dunque, mal calibrata sotto il profilo del necessario raccordo tra le diverse autorita’ giudiziarie coinvolte: all’obbligo di comunicazione incombente sul procuratore generale, infatti, non e’ correlato nessun esplicito dovere di avviso dell’eventuale intervenuta revoca del provvedimento da parte dell’autorita’ giudiziaria emittente . Al fine di evitare ritardi, e le conseguenti responsabilita’ sul piano internazionale, la Circolare del Ministero della Giustizia del 24 giugno 2005 (Circolare n. 1-1489/05/U, in BARGIS – SELVAGGI, Mandato, 640) ha suggerito una norma organizzativa di ordine generale – fermi restando gli eventuali diversi accorgimenti maturati nella prassi applicativa seguita dagli uffici giudiziari – invitando gli uffici giudiziari procedenti alla tempestiva comunicazione all’ufficio del P.M. dell’adozione dei provvedimenti liberatori conseguenti all’estinzione, per qualsivoglia motivo, della misura cautelare, in modo da consentire all’ufficio del P.M. di informare il Procuratore generale (che non e’ a conoscenza dell’emissione del mandato d’arresto europeo) dell’intervenuta inefficacia del mandato d’arresto europeo, ai fini dell’adempimento dell’obbligo derivante dalla disposizione in esame. A tale riguardo, infatti, v’e’ da osservare che l’opportunita’ di una immediata comunicazione - da parte del P.M. - sia al Procuratore generale che al Ministero della Giustizia e’ stata suggerita dalle Circolari della Procura generale presso la Corte d’appello di Roma del 12 luglio 2005 e della Procura generale presso la Corte d’appello di Firenze del 15 novembre 2005 (i testi delle circolari sono pubblicati in BARGIS – SELVAGGI, Mandato, 642 s.). 15. Segue: Natura ed effetti del principio di specialita’. - La disposizione di cui all’art. 32 stabilisce, anche dal lato attivo della procedura di consegna, la rilevanza del principio di specialita’ con un rinvio alle stesse eccezioni previste dall’art. 26 della legge di attuazione relativamente alla procedura passiva di consegna. La clausola di specialita’, cosi’ come definita dall’art. 26 della legge di attuazione, ricalca sostanzialmente le previsioni della disposizione di cui all’art. 27 della decisione quadro, anche in relazione alla tipologia delle eccezioni derogatorie ivi enunciate nel paragrafo 3 . Sostanzialmente in linea con il disposto di cui all’art. 14 della Convenzione europea di estradizione del 1957 - che preclude non solo la privazione della liberta’ dell’estradato in relazione ad un reato diverso e precedente a quello per il quale e’ stato consegnato, ma anche la stessa procedibilita’ dell’azione penale – gli artt. 32 e 26 della legge di attuazione – diversamente dalla soluzione prevista nell’ambito della procedura estradizionale disciplinata dal codice di rito (i cui artt. 699 e 721 contemplano, di contro, un divieto che incide sulla mera restrizione della liberta’ personale) configurano il principio di specialita’ quale condizione di procedibilita’, precludendo, senza un consenso ad hoc, non solo il diritto di punire o di privare della liberta’ personale, ma anche quello di assoggettare l’individuo consegnato al processo . Ne discende, dal lato attivo della procedura di consegna, che il divieto incide sull’esercizio dell’azione penale, mentre il soggetto interessato potra’ essere sottoposto ad indagini, con le forme e nei limiti imposti dall’art. 346 c.p.p., per quel che riguarda gli atti che possono esser compiuti in mancanza di una condizione di procedibilita’ . Si e’ osservato, peraltro, che l’art. 26 della legge non riproduce il contenuto del comma 3 dell’art. 14, alla stregua del quale “allorquando la qualificazione data al fatto incriminato venga modificata nel corso del procedimento, la persona estradata non sara’ perseguita o giudicata che nella misura in cui gli elementi costitutivi del reato cosi’ nuovamente qualificato consentano l’estradizione” . Le eccezioni alla regola sono raggruppate dall’art. 26, comma 2, nell’ambito di tre categorie: il tipo di reato per il quale si intende procedere o eseguire la pena, il consenso dell’interessato e la permanenza del soggetto nel territorio dello Stato della consegna successivamente alla propria liberazione . In ordine alla prima tipologia di eccezioni derogatorie, si prevede che il principio di specialita’ non operi in via generale quando il nuovo reato per il quale si intenda eseguire la pena non ponga a rischio la liberta’ personale del soggetto interessato . Per quel che attiene alla seconda eccezione, il consenso espresso dall’interessato deve risultare in modo chiaro e specifico, e puo’ essere preventivo (con dichiarazione resa all’autorita’ giudiziaria procedente nello Stato di esecuzione) o successivo alla consegna (davanti alla competente autorita’ dello Stato di emissione). Va dunque negata, in linea di principio, ogni validita’ a fatti, comportamenti o atti che solo in via indiretta possano essere letti quali indice di rinuncia alla specialita’ e di consenso al nuovo processo o alla punizione per un reato diverso da quello oggetto del mandato . Nelle ipotesi in cui l’Italia sia lo Stato di emissione e il consenso del destinatario venga espresso a consegna avvenuta, il verbale viene redatto, alla presenza del difensore, dinanzi al Presidente della Corte d’appello o di un magistrato da lui delegato; quando invece si tratti di un consenso preventivo, manifestato dinanzi alle autorita’ competenti nel Paese di esecuzione (alla presenza del difensore e con forme equipollenti a quelle prescritte nel nostro ordinamento per la redazione del verbale), e’ da ritenere necessario che lo stesso riguardi congiuntamente l’esecuzione del mandato e la rinunzia alla specialita’, non potendo considerarsi valida una dichiarazione che includa soltanto quest’ultimo aspetto . L’ultima ipotesi di deroga, infine, costituita dalla permanenza o dal rientro del soggetto interessato nel territorio dello Stato di emissione, rappresenta la derivazione storica di una regola consolidata del sistema estradizionale, la c.d. “purgazione”, ex art. 26, comma 2, lett. a), secondo cui non occorre il consenso dello Stato di esecuzione qualora la persona, avendone avuta la possibilita’, non abbia lasciato il territorio dello Stato al quale e’ stata consegnata decorsi quarantacinque giorni dalla sua liberazione definitiva, ovvero, avendolo lasciato, vi abbia fatto volontariamente ritorno . 16. Segue: La deducibilita’ del periodo di custodia cautelare sofferto all’estero. - La disposizione di cui all’art. 33 della l. n. 69/2005 da’ attuazione nel nostro ordinamento al principio generale della deducibilita’ del periodo di custodia cautelare scontato all’estero, contemplato nel par.1 dell’art. 26 della decisione quadro. Il principio di computabilita’ della custodia cautelare sofferta all’estero opera non solo ai fini della determinazione della pena detentiva – in virtu’ dell’espresso richiamo all’art. 657 c.p.p. – ma anche ai fini del computo dei termini di durata complessiva delle misure cautelari e della possibilita’ della loro sospensione ex artt. 303, co. 4, e 304 c.p.p., anch’essi richiamati nel testo normativo . La logica sottesa al dettato normativo della decisione quadro e’ che il periodo di privazione della liberta’ personale subito dalla persona ricercata nello Stato di esecuzione, in conseguenza, o comunque in ragione, del mandato d’arresto europeo, dovra’ trovare puntualmente riscontro e riconoscimento anche nell’ordinamento dello Stato emittente il mandato, detraendosi il periodo complessivo di custodia gia’ sofferto dall’ammontare della detenzione che dovra’ essere scontata nello Stato emittente a seguito della condanna ad una pena ovvero ad una misura di sicurezza privative della liberta’. La previsione, del resto, appare in linea con il principio implicitamente desumibile dall’art. 18 della Convenzione europea di estradizione, secondo cui, nel caso di consenso, lo Stato richiedente sara’ informato della durata della detenzione subita in vista dell’estradizione, affinche’ quel periodo di restrizione della liberta’ sia sottratto dal complessivo ammontare della pena o della custodia disposta . Per effetto di una recente pronuncia della Corte costituzionale e’ stato dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione dell’art. 3 Cost., l’art. 722 c.p.p. nella parte in cui non prevede che la custodia cautelare subita all’estero in conseguenza di una domanda di estradizione presentata dallo Stato sia computata anche agli effetti della durata dei termini di fase previsti dall’art. 303, commi 1, 2 e 3, c.p.p. . La Corte ha ritenuto violato l’art. 3 Cost. in quanto, una volta affermata l’equivalenza tra detenzione cautelare all’estero in attesa di estradizione e custodia cautelare in Italia, evidenti motivi di razionalita’ e coerenza interna del sistema impongono di applicare alla custodia cautelare all’estero la medesima disciplina prevista per la durata dei termini di custodia cautelare in Italia. Sotto questo profilo, in particolare, rientrando anche la detenzione all’estero tra i motivi di legittimo impedimento a comparire che determinano la sospensione del decorso dei termini di custodia cautelare previsti dall’art. 304, co.1, lett. a), c.p.p., non v’e’ alcuna ragione, ad avviso della Corte costituzionale, che possa giustificare per la detenzione all’estero una disciplina diversa da quella prevista dagli artt. 303 e 304, co.6, c.p.p., per la durata dei termini massimi della custodia cautelare in Italia . Lo stesso impianto normativo della decisione quadro, comunque, sembra autorizzare, con l’ampia formulazione del disposto di cui all’art. 26, par.1 (che fa riferimento al periodo complessivo di custodia che risulta dall’esecuzione di un mandato d’arresto europeo), una lettura estensiva della nozione di deducibilita’, idonea a ricomprendere anche il computo dei termini di fase, superando in tal modo le incongruenze del precedente sistema estradizionale che non sempre garantiva la possibilita’ di dedurre dal totale della pena il periodo trascorso in stato di custodia dovuta all’estradizione: a tal fine, a cura dell’autorita’ giudiziaria dell’esecuzione o dell’autorita’ centrale designata a norma dell’art. 7 della decisione quadro, dovranno trasmettersi allo Stato emittente, all’atto della consegna, tutte le informazioni inerenti all’esatto computo della durata del periodo di carcerazione scontato dalla persona ricercata a titolo di esecuzione del mandato d’arresto europeo, ex art. 26, par. 2, della decisione quadro . Nella fase passiva, infatti, la corrispondente norma di cui all’art. 23, comma 6, della legge di attuazione prevede che, all’atto della consegna, la corte d’appello debba trasmettere all’autorita’ giudiziaria emittente le informazioni occorrenti al fine di consentire la deduzione del periodo di custodia sofferto in esecuzione del m.a.e. « dalla durata complessiva della detenzione » conseguente all’eventuale sentenza di condanna, ovvero per la determinazione della durata massima della custodia cautelare . Sulla stregua dell’orientamento ermeneutico di recente seguito dalla Corte costituzionale e della rilevante ampiezza dell’area semantica coperta dalla formulazione lessicale impiegata nell’art. 26, par.1, della decisione quadro – che, come si e’ visto sopra, fa riferimento, significativamente, alla deduzione del “periodo complessivo di custodia che risulta dall’esecuzione di un mandato d’arresto europeo dalla durata totale della detenzione” – sembra doversi ritenere che le ragioni poste a fondamento della chiara base argomentativa delineata dalla Corte costituzionale con la su citata sentenza n. 253/2004 potrebbero efficacemente sostenere un’interpretazione “costituzionalmente orientata” del disposto di cui all’art. 33 della legge di attuazione, in ordine al pieno riconoscimento, anche per quel che attiene ai termini di fase, della detenzione subita all’estero in esecuzione di un mandato d’arresto europeo . 17. Segue: Le misure reali . - La disposizione di cui all’art. 34, come del resto quella successiva, concentrano la relativa competenza, sia in fase attiva che passiva, su base distrettuale, attribuendola, rispettivamente, al Procuratore generale presso la Corte d’appello ed alla stessa Corte d’appello. Si tratta di una scelta normativa che ripropone, sostanzialmente, l’originaria impostazione codicistica, muovendosi in una direzione inversa rispetto alla suddivisione delle competenze operata negli artt. 5 e 28, con riguardo alla fase di esecuzione e di emissione del mandato d’arresto, laddove radica il potere di richiesta di consegna dei beni oggetto del provvedimento di sequestro o di confisca, eventualmente emesso dal giudice competente, in capo al Procuratore generale presso la Corte d’appello, che dovra’ inoltrare la richiesta direttamente alla autorita’ giudiziaria dello Stato di esecuzione, trasmettendo copia del provvedimento di sequestro unitamente al mandato d’arresto europeo emesso ai sensi dell’art. 28 della legge di attuazione. Vanno distinte, al riguardo, parallelamente alla disciplina della consegna delle persone, due situazioni: la fase attiva, in cui e’ l’Italia lo Stato richiedente, e quella passiva, in cui l’Italia e’ lo Stato richiesto . Non e’ prevista dalla norma alcuna forma di coordinamento che consenta la comunicazione al Procuratore generale del mandato d’arresto europeo e del provvedimento di sequestro o di confisca eventualmente emesso dal giudice competente ai sensi dell’art. 28 . La richiesta di consegna e’ accessoria e, di regola, contestuale a quella di esecuzione del mandato, anche se la necessita’ del sequestro potrebbe manifestarsi anche successivamente all’inoltro della richiesta di esecuzione del mandato . Nell’ipotesi regolata dalla disposizione in esame, inoltre, diversamente dall’opzione seguita dal legislatore negli artt. 28-30 della legge di attuazione, si determina un singolare “doppio binario” procedurale, prevedendosi soltanto per il provvedimento reale la trasmissione del relativo atto emesso dall’autorita’ giudiziaria italiana, viceversa esclusa con riguardo al provvedimento destinato a creare un vincolo alla liberta’ personale del ricercato, essendo in quel caso trasmesso solo il mandato d’arresto europeo, senza il provvedimento – presupposto . Condizione per la formulazione della richiesta di consegna e’ la preventiva emissione da parte della competente autorita’ giudiziaria nazionale di un provvedimento di sequestro o di confisca, cio’ che sembra escludere che il provvedimento di sequestro possa ritenersi implicito nella stessa istanza rivolta all’autorita’ di esecuzione . V’e’ da considerare, inoltre, che il procuratore generale presso la Corte d’appello, se non e’ l’organo che ha ordinato l’esecuzione della sentenza di condanna a pena detentiva, svolge un ruolo meramente ausiliario rispetto al giudice de libertate o al magistrato del p.m. presso il giudice dell’esecuzione, un ruolo di natura amministrativa poiche’ limitato alla richiesta di consegna sulla base del mandato emesso da una diversa autorita’, ed alla trasmissione di copia del provvedimento reale o della sentenza di condanna che ordina la confisca dei beni . In ordine all’oggetto ed ai limiti della richiesta di consegna, pur non essendo esattamente specificata la tipologia del provvedimento di sequestro che legittima la presentazione della successiva richiesta, sembra doversi ritenere, ex art. 29 della decisione quadro (che, a sua volta, richiama esclusivamente i beni necessari come prova e quelli acquisiti dal ricercato a seguito del reato), che debba trattarsi del sequestro probatorio o del sequestro preventivo di cose di cui e’ consentita la confisca . Il provvedimento di sequestro o di confisca, inoltre, deve essere emesso dal giudice “competente”, limitandosi l’ambito di applicazione di questa forma collaborativa ai soli sequestri emessi dal “giudice”, con esclusione, pertanto, di quelli – ad es., il sequestro probatorio – disposti dal pubblico ministero, ovvero, d’urgenza, dalla polizia giudiziaria ex art. 354 c.p.p. . Una scelta normativa, questa, criticabile non solo per la pacifica attribuzione al p.m. della facolta’ di formulare rogatorie dirette ad autorita’ straniere per attivita’ di acquisizione probatoria (ex art. 727 c.p.p.), ma anche in ragione del fatto che la forma del sequestro probatorio, nella fase delle indagini preliminari, vede solo il p.m. e non il giudice quale autorita’ procedente, fatta salva l’ipotesi limitata di cui all’art. 368 c.p.p. . E’ apparsa, dunque, maggiormente plausibile una diversa lettura della norma, nella quale il riferimento al giudice venga limitato al solo provvedimento di confisca “eventualmente emesso”, posto che lo stesso art. 34 prevede che la richiesta sia trasmessa esclusivamente corredata dalla “copia dei provvedimenti di sequestro” . Risultano, comunque, ricompresi nell’ambito di applicazione della norma tutti i provvedimenti giurisdizionali di sequestro, da qualsiasi giudice eventualmente promanino, dunque anche dal giudice del dibattimento . In ordine alla procedura “passiva” in tema di misure reali, la disposizione di cui all’art. 35 della legge in esame, relativa alle richieste provenienti da altri Stati membri dell’Unione europea, si limita a riprodurre sostanzialmente il contenuto della disciplina di cui all’art. 29 della decisione quadro, salvo dettare con maggiore precisione la distinzione fondamentale tra beni la cui consegna necessita ai soli fini della prova e beni suscettibili di apprensione nella forma della confisca; in tal caso, infatti, il Presidente della Corte d’appello, in analogia a quanto previsto dalla disposizione di cui all’art. 16 per le “informazioni integrative”, invita l’autorita’ giudiziaria richiedente a trasmettere tale precisazione, ove la stessa non risulti contenuta nella richiesta. Si stabilisce, al riguardo, che la Corte d’appello provvede con decreto motivato, dopo aver sentito il Procuratore generale, applicando, in quanto compatibili, le disposizioni di cui agli artt. 253 ss. c.p.p., esplicitamente richiamate dall’art. 35, comma 3, della legge di attuazione . La Corte d’appello e’ da identificarsi in quella competente in base all’art. 5 della legge di attuazione, alla quale, di norma, il Ministro della giustizia trasmette il mandato d’arresto europeo ricevuto dall’estero. In dottrina si e’ criticamente osservato, a tale riguardo, il silenzio serbato dal legislatore in merito alla facolta’ di sequestro d’urgenza da parte della polizia giudiziaria in occasione dell’arresto della persona ricercata, gia’ prevista dal codice di rito, ex art. 716, nell’ambito del procedimento estradizionale, atteso che e’ proprio nel corso dell’arresto ex art. 11 della legge di attuazione che l’autorita’ nazionale viene a reperire le cose sequestrabili a norma dell’art. 35 . Ove la consegna sia richiesta a fini probatori, la stessa e’ subordinata alla condizione che i beni vengano restituiti una volta soddisfatte le esigenze processuali. Allorquando, invece, la consegna dei beni e’ richiesta ai fini della confisca, la Corte d’appello ne dispone il sequestro facendo salvi gli eventuali diritti sugli stessi maturati in capo a terzi o allo Stato italiano, e comunque subordinando la consegna alla condizione risolutiva che siffatti diritti, acquisiti ai sensi del comma 9 dell’art. 35, non risultino conosciuti successivamente. Deve trattarsi, comunque, sebbene la norma nulla preveda espressamente al riguardo, di terzi in buona fede e di diritti aventi necessariamente natura reale . E’ necessaria, in ogni caso, una richiesta motivata e “mirata”, in quanto i beni da sottoporre eventualmente alla misura reale debbono essere pre-individuati, con la massima precisione possibile in ordine alla loro localizzazione, sia pure compatibilmente con la natura delle cose da sottoporre a vincolo. A tale riguardo si e’ osservato in dottrina, ed il rilievo appare senz’altro condivisibile, che le ragioni della necessita’ del vincolo reale, stante l’assenza di plena cognitio del procedimento estero, devono essere esplicitate, non potendosi ritenere sufficienti gli elementi desumibili dalla richiesta di esecuzione del mandato, ovvero una richiesta genericamente formulata . In ordine al ricorso per cassazione e’ da rilevare che in entrambi i casi sono applicabili, in forza dell’espresso richiamo contenuto nel comma 8, le disposizioni di cui all’art. 719 c.p.p., che consente al Procuratore generale presso la Corte d’appello, all’interessato ed al suo difensore, l’impugnazione dei provvedimenti relativi alle misure cautelari con ricorso per cassazione per violazione di legge. Ne consegue: a) che il vincolo reale sui beni puo’ essere posto, in entrambe le evenienze su considerate, soltanto se ricorrono le condizioni specificamente previste dalla legge italiana; b) che in relazione ad entrambe le tipologie di consegna considerate dal legislatore, a fini probatori ovvero a fini di confisca, e’ possibile esperire una via di ricorso interna alle condizioni ed entro i limiti previsti dall’art. 719 c.p.p. . La limitazione al solo motivo della violazione di legge, peraltro, sembra comprimere eccessivamente la tutela giurisdizionale nei confronti della misura prevista dalla norma in esame . anche se nell’unico vizio in tal guisa deducibile la giurisprudenza fa comunque confluire l’ipotesi della mancanza o della mera apparenza della motivazione, sul rilievo che in tal caso verrebbe a prospettarsi la violazione della norma che impone l’obbligo della motivazione nei provvedimenti giurisdizionali . Nel procedimento camerale che segue la proposizione del ricorso non e’ prevista la partecipazione dello Stato richiedente il sequestro. Inoltre, sebbene la norma nulla disponga in merito all’effetto sospensivo dell’impugnazione, sembra deporre a favore dell’assenza di ogni effetto sospensivo il richiamo all’art. 719 c.p.p., che stabilisce che la notificazione del provvedimento segue la sua esecuzione . In ordine ai poteri della Corte d’appello, la disposizione in esame stabilisce che tale organo giurisdizionale “possa” disporre il sequestro d’ufficio o su richiesta dell’autorita’ giudiziaria straniera. La previsione di un’autonomia piena del giudice italiano nella assunzione della decisione di sequestro – avvalorata anche dalla mancata previsione della trasmissione del provvedimento emesso dall’autorita’ straniera – e’ stata criticata dalla dottrina sotto il profilo dell’incoerenza rispetto alla schema di cooperazione disegnato per la fase attiva . Analoghi rilievi critici, inoltre, sono stati formulati dalla dottrina in ordine alla possibilita’ di disporre “d’ufficio”, oltre che su richiesta dello Stato istante, la misura cautelare, disancorando in tal modo il provvedimento della Corte d’appello non solo da un’iniziativa dell’autorita’ dello Stato di emissione, ma anche da un atto di impulso interno. In questa prospettiva, da un lato, sono stati posti in evidenza i problemi di applicazione pratica del nuovo regime normativo, anche in considerazione del fatto che la legge autorizza espressamente l’autorita’ giudiziaria italiana ad effettuare il sequestro, ma non la ricerca dei beni da vincolare a favore dello Stato di emissione , dall’altro non si e’ mancato di ravvisare un vulnus al principio della domanda cautelare, con la conseguente necessita’ di elaborare un’interpretazione in senso restrittivo, che limiti il potere-dovere di sequestro d’ufficio al solo caso in cui nel corso dell’esecuzione del mandato d’arresto ci si imbatta in cose sequestrabili a norma dell’art. 35, comma 1 . Si tratta, peraltro, di una disciplina divergente dalle tradizionali regole del procedimento estradizionale di cui agli artt. 704, 714 e 715 c.p.p., che pongono espressamente la richiesta del Ministro della giustizia quale presupposto non vincolante per l’autorita’ giudiziaria, ma indefettibile per la legittimita’ del provvedimento di sequestro. Nonostante il rapporto di stretta pregiudizialita’ tra le due decisioni, il legislatore ha comunque assegnato al provvedimento di sequestro e confisca dei beni un carattere di piena autonomia rispetto alla decisione sulla consegna della persona ricercata, prevedendo sia provvedimenti di natura diversa, sia un differente regime di impugnazione, al fine di assicurare che la consegna del ricercato segua i tempi previsti dalla decisione quadro, evitando in tal modo ritardi conseguenti ad eventuali gravami riguardanti il solo provvedimento di sequestro . I beni oggetto del provvedimento di sequestro devono trovarsi in ogni caso “nella disponibilita’ del ricercato”, rendendo in tal modo possibile l’apprensione dei beni comunque a quest’ultimo ricollegabili, anche mediante fenomeni di interposizione personale . V’e’ da osservare, poi, che la fuga o il decesso del ricercato, in linea con la disposizione di cui all’art. 29 della decisione quadro, non costituiscono un impedimento alla consegna dei beni sequestrati, allorquando la Corte d’appello abbia deciso in senso favorevole sulla richiesta di esecuzione del mandato d’arresto europeo: la misura reale, in tal caso, diviene eseguibile indipendentemente dalla consegna del ricercato . Infine, la consegna delle cose oggetto di sequestro all’autorita’ giudiziaria richiedente avviene secondo modalita’ ed intese con la stessa intervenute tramite il Ministro della giustizia, riassegnando in tal modo a quest’ultimo, sia pure con forme e tempi di adempimento non bene precisati, e nonostante l’integrale giurisdizionalizzazione della nuova procedura, quel ruolo attivo di intermediario necessario gia’ previsto dall’art. 23 della legge di attuazione per la consegna della persona ricercata. Nella particolare ipotesi in cui i beni richiesti in sequestro siano gia’ oggetto di un sequestro disposto dall’autorita’ giudiziaria italiana, nell’ambito di un procedimento penale o civile in corso, la consegna puo’ essere disposta, ex art. 36 della legge in esame, solo per fini probatori – data la confiscabilita’ delle cose sequestrate in base alla legge italiana - e previo nulla osta da parte dell’autorita’ procedente. Prevalgono, dunque, le esigenze proprie del procedimento “interno” rispetto a quelle dello Stato richiedente . Stante il riferimento esplicito all’ “autorita’ giudiziaria”, si ritiene che tutti i provvedimenti ipotizzabili possano essere ricompresi nell’ambito della disciplina in esame, ivi compresi il sequestro probatorio disposto dal pubblico ministero, ed il provvedimento di sequestro conservativo, essendo al riguardo irrilevante la titolarita’ a disporre la misura reale. In questa prospettiva si e’ infatti osservato, in dottrina, che sembrerebbe irrazionale escludere quest’ultima forma di sequestro, senza assicurare lo stesso risultato a misure cautelari volte a garantire dei crediti, pur se adottate all’interno del processo penale, una volta sancita la “prevalenza” di un procedimento interno extrapenale . Le esigenze “interne” sono considerate dal legislatore prioritarie anche nell’ipotesi in cui sia stato disposto dal giudice civile un sequestro giudiziario o conservativo (ex art. 36, comma 2), con la conseguenza che le esigenze dello Stato richiedente devono cedere il passo anche a fronte della tutela interna dei terzi che asseriscono la titolarita’ di diritti di natura obbligatoria o reale. Si ritiene, peraltro, in dottrina, che la delimitazione ai soli provvedimenti di sequestro disposto nell’ambito di un procedimento a norma degli artt. 670 e 671 c.p.c. renda impossibile la inclusione di altri istituti pur aventi finalita’ analoghe . 18. Segue: la “ripartizione” delle spese tra lo Stato emittente e lo Stato di esecuzione del mandato d’arresto europeo. - La disposizione di cui all’art. 37 della legge in esame, unitamente a quella di cui all’art. 30 della decisione quadro, nulla innovano rispetto al previgente sistema estradizionale, operando la medesima ripartizione gia’ in precedenza seguita: spese a carico dello Stato membro di esecuzione per quanto riguarda il complesso degli oneri sostenuti nel suo territorio, e tutte le altre spese a carico dello Stato emittente il mandato d’arresto europeo, o richiedente la misura reale. Eventuali controversie sul punto possono essere risolte attraverso la stipula di intese o accordi bilaterali . Nella tipologia degli oneri di spesa a carico dello Stato di esecuzione rientrano, pertanto, le spese per la detenzione cautelare fino a quando la persona richiesta non sia consegnata, le spese per il procedimento giudiziale, l’interpretariato, l’assistenza legale della persona e la traduzione dei documenti effettuata nello Stato di esecuzione, nonche’ quelle per gli spostamenti coattivi della persona nel territorio dello Stato di esecuzione. Per quanto riguarda le spese a carico dello Stato emittente, vi rientrano, in particolare, le spese per il trasporto coattivo della persona dallo Stato di esecuzione a quello emittente il mandato d’arresto, quelle per il trasporto relativo alla consegna temporanea ed alla successiva riconsegna, le spese per il transito della persona nel territorio di un altro Stato membro, quelle per il trasferimento temporaneo di cui all’art. 18, nonche’ le spese per la traduzione del mandato d’arresto europeo nella lingua indicata dallo Stato di esecuzione . Le spese relative all’attuazione del mandato d’arresto europeo vengono a sostituire quelle che sarebbero state sostenute se invece della nuova procedura di consegna avesse avuto luogo l’estradizione tradizionale. La nuova disciplina, pertanto, dovrebbe comportare una sensibile riduzione degli oneri di spesa, stante la durata assai inferiore della detenzione cautelare e la riduzione delle spese di traduzione dei documenti, specie con riferimento alle ipotesi della procedura attiva . 19. Segue: gli obblighi internazionali . - La disposizione di cui all’art. 38 della legge in esame regola l’ipotesi in cui la persona della quale venga richiesta la consegna sia stata in precedenza consegnata in estradizione da altro Paese terzo. In tal caso, non potendo esser pregiudicati gli obblighi internazionali precedentemente assunti dall’Italia, ed in particolare quello relativo al principio di specialita’, si prevede un ruolo attivo in capo al Ministro della Giustizia, il quale deve richiedere ed ottenere, stante la concorrenza degli strumenti convenzionali applicabili al caso, l’assenso dello Stato che ha operato l’estradizione, prima di procedere alla consegna allo Stato membro dell’U.E. . La norma interna, dunque, mira ad attuare la corrispondente disposizione dell’art. 21 della decisione quadro, relativa al conflitto di obblighi internazionali, secondo cui non possono essere pregiudicati gli obblighi dello Stato membro di esecuzione qualora il ricercato vi sia stato estradato da uno Stato terzo e sia tutelato dalle norme in materia di specialita’ contenute nell’accordo in virtu’ del quale ha avuto luogo l’estradizione. Lo Stato membro di esecuzione, in tal caso, deve prendere “tutte le misure necessarie per chiedere immediatamente l’assenso dello Stato dal quale il ricercato e’ stato estradato in modo che questi possa essere consegnato allo Stato membro emittente”. I termini relativi alla decisione sull’esecuzione del mandato d’arresto europeo cominciano a decorrere, in tal caso, solo dal giorno in cui le norme in tema di specialita’ contenute nell’accordo in virtu’ del quale ha avuto luogo l’estradizione cessano di essere applicate (ex artt. 21 della decisione quadro e 38, comma 2, della legge di attuazione). In attesa della decisione dello Stato dal quale il ricercato e’ stato estradato, lo Stato membro di esecuzione dovra’ accertare che siano soddisfatte le condizioni materiali necessarie per la consegna (ex art. 21 della decisione quadro). V’e’, inoltre, da osservare, al riguardo, che lo stesso art. 31, par. 1, della decisione quadro, in linea generale, fa salva l’applicazione dei previgenti strumenti convenzionali in materia di estradizione “nelle relazioni tra Stati membri e Paesi terzi”. Possono enuclearsi, pertanto, due ipotesi di concorso degli obblighi internazionali: a) se lo Stato estradante e’ uno Stato che nel frattempo e’ divenuto parte dell’Unione europea, occorrera’ coordinare la disposizione in esame con i principi generali stabiliti dagli artt. 27 e 28 della decisione quadro in tema di eventuali azioni penali per altri reati e consegna successiva della persona ricercata; b) se, invece, e’ uno Stato terzo, sara’ necessario ottenere il suo assenso, in difetto del quale non potra’ procedersi alla consegna della persona gia’ estradata nel nostro Paese . 20. Segue: le disposizioni finali e transitorie. - L’ art. 39, comma 1, della legge n. 69/2005 introduce, in relazione a quanto non previsto nella legge di attuazione, una clausola di rinvio alla disciplina dettata dalle disposizioni del codice di procedura penale e delle leggi complementari, “in quanto compatibili”, precisando nel successivo co. 2, data la natura urgente della procedura di consegna, comunque direttamente incidente su profili attinenti allo “status libertatis”, che non si applicano le disposizioni relative alla sospensione dei termini processuali nel periodo feriale. Si tratta di una disposizione in linea con la ratio delle specifiche ipotesi derogatorie al regime della sospensione feriale dei termini disciplinate dalla l. 7 ottobre 1969, n. 742 , mentre il riferimento alla clausola di “compatibilita’ “ con le norme del codice di rito, in relazione ad eventuali lacune del testo normativo, sembra confermare l’orientamento dottrinale secondo cui il mandato d’arresto europeo deve essere ricondotto nell’alveo dell’esperienza normativa e pratica del previgente sistema estradizionale, con la conseguenza che non solo quel consolidato quadro giuridico ma anche l’elaborazione giurisprudenziale su di esso formatasi ne costituiscono un rilevante punto di riferimento sul piano delle possibili opzioni interpretative. La disciplina transitoria, inoltre, e’ contenuta nella successiva disposizione di cui all’art. 40, secondo cui il nostro Paese applica il nuovo sistema di consegna alle richieste di esecuzione dei mandati d’arresto emessi e ricevuti dopo la sua entrata in vigore, fissata il 14 maggio 2005. L’esecuzione, in ogni caso, e’ stata limitata ai reati commessi successivamente alla data del 7 agosto 2002, mentre per gli altri devono applicarsi le disposizioni relative all’estradizione, sempre che cio’ sia possibile nel rapporto con l’altro Stato interessato dalla procedura di consegna (ad es., la Danimarca ha abrogato tutte le norme sull’estradizione tra i Paesi dell’U.E.). La consegna “obbligatoria”, invece, ossia quella che opera a prescindere dal requisito della doppia incriminazione, si applica solo con riferimento ai fatti successivi all’entrata in vigore della legge . La S.C. ha di recente precisato che nel caso di una procedura di consegna iniziata prima del termine previsto dalla disposizione in esame resta applicabile, stante la vigenza dell’istituto dell’estradizione, quest’ultima disciplina, anche se nel frattempo sia entrata in vigore la legge sul mandato d’arresto europeo: l’art. 40, infatti, prevede che il nuovo sistema si applichi alle richieste di esecuzione di mandati d’arresto europei emessi e ricevuti dopo l’entrata in vigore della legge. Inoltre, non puo’ darsi corso alla richiesta dell’autorita’ giudiziaria straniera di esecuzione di un mandato d’arresto emesso prima della data di entrata in vigore della l. n. 69/2005 (ossia, il 14 maggio 2005), ancorche’ per fatti commessi successivamente alla data del 7 agosto 2002, ai quali e’ tuttavia applicabile la previgente disciplina in materia di estradizione . Un’ulteriore precisazione e’ stata, al riguardo, fornita dalla S.C. in relazione ai reati commessi prima della data del 7 agosto 2002, cui dovra’ farsi esclusiva applicazione della normativa in materia di estradizione, intendendosi con tale espressione non solo il diritto estradizionale europeo, ma anche la “normativa nazionale integratrice della disciplina convenzionale”. Cio’ comporta, ad avviso della S.C., che lo Stato richiedente, ove si tratti di un reato commesso prima della data indicata dall’art. 40, comma 2, della l. n. 69/2005, e’ tenuto a trasmettere al nostro Paese una formale domanda di estradizione, sebbene possa ritenersi idonea ad avviare la procedura anche la trasmissione di un mandato d’arresto europeo, a condizione pero’ che esso risulti del tutto equipollente ad una domanda estradizionale, sia con riferimento ai requisiti ed ai contenuti formali, che ai profili attinenti alla competenza dell’autorita’ richiedente . In particolare, l’articolo 40, comma 3, della legge in esame contiene una disposizione transitoria in base alla quale il nuovo regime della doppia incriminazione - prefigurato nell’articolo 2, par. 2, della decisione quadro e introdotto nell’ordinamento italiano con l’articolo 8 della legge - può essere applicato ai soli fatti commessi dopo la data di entrata in vigore della stessa legge. Ne discende che nell’ipotesi di richieste di esecuzione di mandati d’arresto europei emessi e ricevuti dopo l’entrata in vigore della legge di attuazione, ma relative a reati commessi tra la data del 7 agosto 2002 e quella del 14 maggio 2005, dovrebbe applicarsi la disciplina introdotta dalla legge n. 69/2005 fatto salvo l’istituto della consegna obbligatoria di cui all’art. 8 (procedendosi, da parte dell’autorita’ giudiziaria, alla verifica della sussistenza della previsione bilaterale del fatto, ai sensi dell’art. 7 della legge n. 69/2005). Siffatta previsione, da una parte, è estranea all’articolo 32 della decisione quadro, e, dall’altra, non è conforme alla dichiarazione unilaterale effettuata dall’Italia, che esclude l’applicazione della nuova procedura di consegna soltanto per i reati commessi anteriormente al 7 agosto 2002 . L’art. 32 della decisione quadro, infatti, stabilisce: a) che le richieste successive alla data del 1° gennaio 2004 sono soggette al nuovo regime di consegna introdotto dallo strumento comunitario; b) che ogni Stato membro puo’ fare comunque una dichiarazione secondo cui, quale Stato dell’esecuzione, continuera’ a trattare le richieste relative ai reati commessi prima di una data dallo stesso precisata conformemente al sistema di estradizione applicabile anteriormente alla data del 1° gennaio 2004; c) che la data in questione non puo’ comunque essere “posteriore al 7 agosto 2002”. Nella dichiarazione sull’adozione della decisione quadro sul mandato d’arresto europeo, effettuata dall’Italia conformemente all’art. 32 dello strumento comunitario, proprio la data del 7 agosto 2002 era stata indicata quale termine di riferimento a partire dal quale la successiva commissione di un reato avrebbe determinato l’operativita’ della cd. “eurordinanza” nel nostro ordinamento interno. Ne discende un evidente contrasto con il disposto dell’art. 32 della decisione quadro, laddove si precisa che la data di riferimento per l’applicabilita’ del nuovo istituto non puo’ essere posteriore al 7 agosto 2002 . Lo slittamento temporale previsto dal sopra citato art. 32, infatti, non sembra consentire ulteriori deroghe, con la conseguenza che per tutti i reati commessi successivamente alla data del 7 agosto 2002 l’unico procedimento di consegna e’ dato dall’esecuzione del mandato d’arresto europeo alle condizioni fissate dalla decisione quadro. A tale riguardo, non si e’ mancato di rilevare, in dottrina, che fatta salva la violazione della decisione quadro, suscettibile in quanto tale di innescare eventuali reazioni negative da parte degli altri Stati membri dell’U.E. e degli stessi organismi sovranazionali, ove i giudici rilevino l’inosservanza de qua non potranno applicare direttamente la decisione quadro secondo un meccanismo similare a quello individuato dall’art. 696, co.1, c.p.p., atteso che la diversita’ degli strumenti normativi ivi considerati, non disgiunta dalla specifica fisionomia delle decisioni quadro, non ne consente l’applicazione analogica, ne’ potranno avvalersi del “principio di interpretazione conforme”, ostandovi proprio l’inequivocabile disposto dell’art.. 40, co.3, della legge di attuazione . E’ opportuno ricordare, peraltro, che non soltanto il nostro Paese, ma anche la Francia (con termine a quo indicato al 1° novembre 1993) e l’Austria (con termine a quo indicato invece, come l’Italia, il 7 agosto 2002) si sono avvalse della facolta’ di dichiarare, ai sensi del su citato art. 32 della decisione quadro, di non accettare i mandati d’arresto se non per fatti compiuti successivamente ad una data da loro scelta, purche’ antecedente a quella di entrata in vigore della stessa decisione quadro (ossia, il 7 agosto 2002). In ordine a tali profili di diritto intertemporale si e’ sostenuto in dottrina che, per ovviare ai problemi legati alla non ineccepibile formulazione della disposizione, basterebbe che l’autorita’ giudiziaria straniera facesse riferimento non al par. 2 dell’art. 2 della decisione quadro (art. 8 della legge italiana), ma al par. 4 della medesima disposizione (art. 7 della legge italiana), ossia alla previsione relativa alle ipotesi di reato ancora soggette al controllo della doppia incriminazione. Parimenti difforme dalle previsioni di cui all’articolo 32 della decisione quadro appare, inoltre, la disposizione di cui all’articolo 40, comma 1, della legge, che prevede l’applicabilità della nuova normativa alle richieste di esecuzione dei mandati d’arresto europei emessi e ricevuti dopo la data della sua entrata in vigore, laddove il dato testuale della su citata disposizione della decisione quadro stabilisce espressamente che le richieste ricevute a partire dal primo gennaio 2004 debbono considerarsi soggette al nuovo regime di consegna, fatta salva la rilevanza delle dichiarazioni a tale riguardo eventualmente effettuate dagli Stati membri (che nel caso dell’Italia consentiva di applicare la previgente disciplina estradizionale alle sole richieste di esecuzione relative a reati commessi prima della data del 7 agosto 2002). Ne discende, contrariamente al contenuto e alle finalità della decisione quadro, che nel caso in cui uno Stato membro abbia richiesto al nostro Paese l’esecuzione di un mandato d’arresto europeo prima della data di entrata in vigore della legge per fatti commessi successivamente alla data-limite del 7 agosto 2002, dovranno comunque continuare ad applicarsi le previgenti regole in materia di estradizione . Infine, in relazione all’applicabilita’ della procedura attiva di consegna, deve ritenersi che, non essendo stati previsti termini differenti da quelli ordinari, la legge di adeguamento sia entrata in vigore il 14 maggio 2005, data a partire dalla quale le autorita’ giudiziarie italiane individuate come competenti ex art. 28, co. 1, possono emettere un mandato d’arresto europeo senza le limitazioni temporali dettate per i reati oggetto della fase passiva della procedura, avuto riguardo al fatto che il contenuto delle dichiarazioni unilaterali effettuate da alcuni Paesi membri in relazione alla disposizione transitoria di cui all’art. 32 della decisione quadro (come si e’ visto, Italia, Francia ed Austria), ovvero specifiche, e del tutto anomale, disposizioni di diritto intertemporale introdotte nelle legislazioni di attuazione di altri Paesi (in particolare, Lussemburgo, Repubblica Ceca e Slovenia) riguardano unicamente le richieste ricevute in qualita’ di Stato dell’esecuzione . Sotto tale profilo e’ opportuno precisare, infatti, che nelle legislazioni adottate dagli Stati membri ora indicati si e’ ritenuto di introdurre specifiche disposizioni di diritto transitorio, nonostante le clausole di “sbarramento” temporale e la correlativa possibilita’ di effettuare, al momento stesso dell’adozione della decisione quadro, una dichiarazione unilaterale in qualita’ di Stato dell’esecuzione sulla base dell’espressa formulazione letterale contenuta nel preciso dettato normativo del disposto di cui all’art. 32 della decisione quadro . Cosi’, ad es., in Slovenia l’art. 36 della l. 26 marzo 2004 prevede l’applicabilita’ delle procedure estradizionali, convenzionali o ordinarie, in relazione ai reati commessi prima della data del 7 agosto 2002, mentre in Lussemburgo l’art. 37 della l. 17 marzo 2004 consente l’applicabilita’ delle nuove disposizioni relative alla procedura di consegna per i fatti commessi successivamente alla data del 7 agosto 2002. Nella legge di attuazione varata dalla Repubblica Ceca, addirittura, si prevedeva l’applicabilita’ della nuova procedura di consegna soltanto per i reati commessi successivamente alla data del 1° novembre 2004. Questo aspetto, peraltro, a seguito dei rilievi formulati dalla Commissione europea, e’ stato significativamente modificato con una legge del 19 aprile 2006, entrata in vigore dal 1 luglio 2006, secondo cui la Repubblica Ceca accetta e tratta i mandati d’arresto europei ricevuti a decorrere dal 1 luglio 2006 anche se il reato contestato e’ stato commesso prima della data del 1 novembre 2004 (fatta eccezione, tuttavia, per i cittadini cechi, le cui richieste di consegna, relative ad atti commessi anteriormente alla data del 1 novembre 2004, saranno trattate in conformita’ del previgente regime di estradizione; analogamente, inoltre, sotto il profilo attivo, si prevede che la Repubblica Ceca, a prescindere dalla data del reato contestato, effettui le richieste di consegna ricorrendo allo strumento del mandato d’arresto europeo a far data dal 1 luglio 2006) . 21) I punti “critici” della legislazione italiana. - Di fronte ad una sia pur sommaria analisi dell’assetto normativo delineato dalla legislazione italiana emerge abbastanza chiaramente l’individuazione di alcune soluzioni non sempre in linea e, talora, in palese contrasto con il contenuto e le finalità della decisione quadro in esame . In tal senso, ad esempio, la scelta di subordinare la consegna alla sussistenza di gravi indizi di colpevolezza (art.17.4), condizione non prevista nella decisione quadro, costituisce una sensibile deviazione dai principi dell’attuale sistema dell’estradizione, regolato dalla convenzione europea del 1957, rispetto al quale la decisione sul mandato europeo di arresto intende essere una semplificazione. La convenzione, infatti, non contempla gli indizi di colpevolezza quale condizione per la consegna. Averla prevista comporta, dunque, una obiettiva regressione rispetto al vigente sistema estradizionale, prefigurandosi una tipologia di accertamento che rischia di concretizzare un’invasione nella valutazione del merito dell’imputazione, riservata invece al giudice del fatto. Ne’, del resto, potrebbe tralasciarsi di considerare che tale accertamento, in oggettivo contrasto con la decisione quadro, rischia di rendere praticamente impossibile l’osservanza dei termini assai ristretti previsti dallo strumento europeo per la decisione sulla consegna (sessanta giorni, prorogabili per altri trenta giorni). A tale riguardo e’ sufficiente evidenziare in questa sede, a mero titolo esemplificativo, una situazione che potrebbe non essere eccezionale e comunque non limitata alla questione degli indizi di colpevolezza, come si vedrà meglio più avanti: non solo lo Stato emittente, richiesto di fornire gli elementi per valutare i gravi indizi di colpevolezza, potrebbe rifiutarsi, non essendo tale adempimento previsto dalla decisione quadro; esso potrebbe anche, in situazione invertita e in virtù del principio di reciprocità (anche se è dibattuto che esso costituisca un principio di diritto internazionale generalmente riconosciuto), pretendere dall’Italia quello stesso adempimento, con la conseguenza che, a seguito di una richiesta di consegna proveniente dal nostro Paese, esso potrebbe ritenere di svolgere quegli stessi accertamenti che noi pretendiamo di fare quando siamo Stato di esecuzione. La previsione della verifica in ordine ai gravi indizi di colpevolezza determinerebbe, poi, una ricaduta nella procedura (e rappresenterebbe, tra l’altro, una ragione di complicanza all’interno di un sistema che si voleva invece semplificare), ove si ritenesse che sulla misura cautelare sarà possibile investire il tribunale per il riesame (l’art.9.5 dispone infatti che si applica il titolo I del libro IV, con alcune eccezioni tra le quali non è compresa la disciplina dell’impugnazione). A meno di intendere, come sembra preferibile, che il richiamo all’art. 719 c.p.p. contenuto nel settimo comma dell’art.9 escluda l’applicabilità degli artt. 309 ss. c.p.p.; ciò sarebbe ragionevole, posto che per l’emissione della misura cautelare in carcere in esecuzione del mandato europeo di arresto non è necessaria la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza (l’art.9.5 esclude che si applichino i commi 1 e 1bis dell’art.273 c.p.p.). E qui va evidenziata un’ulteriore incongruenza tutta interna alla legge: la misura cautelare non è condizionata alla sussistenza di quei gravi indizi di colpevolezza…che la legge tuttavia pone a presupposto della consegna! La stessa Commissione europea, del resto, in sede di valutazione dello stato dell’attuazione della decisione quadro sul mandato europeo di arresto nei diversi Stati membri , ha ritenuto in contrasto con la finalità dello strumento comunitario una norma introdotta nella legislazione dei Paesi Bassi che consente il rifiuto della consegna qualora l’autorità giudiziaria olandese accerti in sede di esecuzione l’insufficienza degli elementi di colpevolezza a carico della persona richiesta. La legge olandese ha precisato che ciò potrà verificarsi solo nel caso in cui sia emerso con evidenza “cristallina” che la persona potrebbe non avere commesso il reato. Ciò nondimeno, il contrasto con la decisione quadro è stato individuato dalla Commissione proprio nel pericolo di una sovrapposizione di valutazioni da parte delle autorità giudiziarie dei due ordinamenti, ossia nel fatto che si richiederebbe in tal modo all’autorità giudiziaria dell’esecuzione di entrare nel merito di una decisione adottata dall’autorità giudiziaria di un altro Stato, in violazione di quel principio generale di reciproca fiducia tra gli Stati membri - oramai “costituzionalizzato” nel nuovo Trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa - del quale il nuovo sistema di consegna vuole costituire la prima “concretizzazione” normativa. Altre incongruenze, poi sembrano ravvisabili nel fatto che legge prevede il rifiuto della consegna in presenza di alcune cause di giustificazione (art.18.1, lett. b e c). La formulazione della norma precisa che la scriminante va valutata alla stregua dell’ordinamento italiano (“secondo la legge italiana”, “per la legge italiana”). Al riguardo sembra arduo comprendere la ragione dell’applicazione di una causa di giustificazione prevista dal nostro codice penale, ossia con riferimento a fatti per i quali lo Stato italiano ha giurisdizione, a fatti commessi all’estero e di competenza di altra giurisdizione. Né appare risolutivo il richiamo alla condizione della doppia incriminazione: si pensi alle varie ricostruzioni in tema di cause di giustificazione, secondo la teoria bipartita oppure tripartita del reato. In ogni caso si sovrapporrebbe una valutazione nel merito (riservata al giudice del fatto), con imprevedibili effetti in materia di ne bis in idem (principio consacrato a livello europeo dall’art. 54 della Convenzione applicativa degli accordi di Schengen). Rimane anche qui la possibilità di un appello al principio della reciprocità, una volta che l’Italia dovesse assumere la posizione di Stato emittente. Analogo discorso potrebbe farsi quanto alla disposizione (estranea al vigente sistema dell’estradizione) secondo cui, ai fini del calcolo della pena per la esecuzione del mandato d’arresto, non si tiene conto delle aggravanti (artt. 7 e 8 della legge). Qui è riscontrabile una impostazione definita “italocentrica”, perché incentrata sulla sola considerazione del sistema italiano, che prevede un meccanismo di “compensazione” aggravanti/attenuanti (art.69 c.p.) che si giustifica nella prospettiva del giudizio sul fatto, e che ha sì delle ricadute quanto all’imposizione delle misure cautelari, ma sempre in vista del giudizio di merito. Si tratta poi di una non felice formulazione lessicale: ci si è inteso riferire a tutte le circostanze aggravanti? Anche a quelle che l’art.278 c.p.p. impone, invece, di tenere presenti (ad es. le circostanze a effetto speciale)? Ed ancora: si tratta delle aggravanti previste dal nostro ordinamento o di quelle previste dall’ordinamento straniero? Sul punto vale la pena ricordare che identificare un particolare elemento quale circostanza aggravante o piuttosto elemento costituivo di una fattispecie autonoma non è esercizio sempre agevole e in ogni caso dipende da una scelta legislativa sovente occasionale (si veda, ad es., la nuova disposizione di cui all’art.624-bis c.p.). Quid, ad esempio, se una ipotesi di sottrazione di denaro pubblico viene dal nostro ordinamento ricondotta alla fattispecie del peculato, mentre l’ordinamento estero configura un caso aggravato di sottrazione di bene altrui? Perplessità emergono, peraltro, anche dalla disamina della previsione (art. 8 ult. comma) che esclude la consegna del cittadino italiano “se risulta che lo stesso non era a conoscenza, senza propria colpa, della norma penale dello Stato membro di emissione”. A prescindere dalla considerazione che tale accertamento potrebbe risultare particolarmente complesso, se non impossibile, e che comunque la previsione suddetta contrasta con il principio che la legge penale di uno Stato vincola chiunque si trovi nel suo territorio (e va comunque ben oltre il disposto dell’art.5 c.p., come emendato dalla Corte costituzionale, che ha ritenuto irragionevole la non esclusione dall’inescusabilità dell’ignoranza della legge penale dell’ignoranza inevitabile), risalta la limitazione al solo cittadino (e non anche, ad esempio, allo straniero residente nel territorio dello Stato); una siffatta garanzia, per identità di ratio, avrebbe dovuto trovare applicazione anche a favore dello straniero, in condizioni analoghe. Al riguardo, non puo’ non rilevarsi che il richiamo operato dal legislatore all’ignoranza non colpevole del precetto penale potrebbe comunque avere un modesto impatto sul piano applicativo, atteso che nella valutazione della scusabilità dell’ignoranza, non essendo sufficiente il solo dato rappresentato dalla diversità tra le rispettive normative poste a confronto , dovrebbero rilevare soltanto le residuali ipotesi di assoluta liceità del fatto secondo la legge italiana. Particolarmente inopportuna, e oggetto di specifiche osservazioni critiche da parte delle istituzioni comunitarie, appare, inoltre, la scelta del legislatore di reintrodurre sostanzialmente, nell’art. 8, commi 1 e 2, il principio della doppia incriminabilita’ attraverso un’operazione di unilaterale rielaborazione di quel catalogo di 32 fattispecie incriminatici che l’art. 2, par.2, della decisione quadro aveva inteso invece sottrarre al meccanismo di exequatur basato sul controllo della doppia incriminazione . Sotto questo profilo, l’ampiezza dell’accertamento di competenza delle nostre autorità giudiziarie sulla sostanziale corrispondenza tra le fattispecie così tipizzate e i modelli definitori dei reati per i quali è richiesta la consegna secondo la legge dello Stato membro di emissione rischia di produrre incongruenze applicative, ove si consideri che la “ricostruzione” delle ipotesi delittuose elencate nel catalogo formato nell’art. 8, co.1, innesta di fatto nel nostro ordinamento un doppio circuito di valutazioni sullo stesso asse della cooperazione giudiziaria: quello incentrato sui paradigmi di riferimento previsti dal codice penale, ed applicabili nei rapporti estradizionali non regolati dal MAE, e quello dettato invece dalla legge in esame, nel più ristretto ambito di applicabilità territoriale del nuovo sistema di consegna delineato dalla decisione quadro. Basti considerare, al riguardo, e a titolo meramente esemplificativo, la definizione della fattispecie di riciclaggio di cui alla lett. i) dell’art. 8, co.1, della legge, che pur riprendendo i tratti della condotta descritta dall’art. 648-bis c.p. rispetto a quella contenuta nell’art. 6 della convenzione del Consiglio d’Europa sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato dell’8 novembre 1990, se ne discosta sia perché non include la clausola di esclusione della responsabilità per chi abbia concorso nel reato presupposto, sia per l’omesso riferimento alla dolosità del reato presupposto. Nella lettera gg) dell’art. 8, co.1, inoltre, la fattispecie della violenza sessuale rileva soltanto in relazione all’ipotesi della costrizione, escludendosi per contro quella, sanzionata con la stessa pena, della induzione a compiere o subire atti sessuali ai sensi dell’art. 609-bis, co.2, c.p. . Ed ancora, del tutto asimmetrica appare, rispetto alla definizione contenuta nell’art. 3 della l. 13 ottobre 1975, n. 654 (recante ratifica ed esecuzione della convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, aperta alla firma a New York il 7 marzo 1966), così come sostituito dall’art. 1 del d.l. 26 aprile 1993, n. 122, recante misure urgenti in materia di discriminazione razziale, convertito con modificazioni nella l. 25 giugno 1993, n. 205, la fattispecie di razzismo e xenofobia modellata nella lett. s) del co.1 dell’art. 8 (che fa riferimento alla pubblica incitazione alla violenza come manifestazione di odio razziale, laddove l’ipotesi di cui all’art. 1 della l. n. 205/1993 ruota attorno alla diffusione in qualsiasi modo di idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, coprendo anche le condotte di chi incita a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, religiosi o nazionali, nonché atti di provocazione alla violenza per quei motivi). La stessa fattispecie della corruzione, delineata nella lett. g) del co.1 dell’art. 8, rileva unicamente in relazione al compimento o al mancato compimento di un atto inerente ad un pubblico ufficio, nonostante le recenti elaborazioni di strumenti normativi del Consiglio d’Europa e del Consiglio dell’Unione europea sulla disciplina della corruzione nel settore privato (che, peraltro, il testo della decisione quadro non ha affatto inteso escludere, stante il generico riferimento all’ipotesi della “corruzione” operato nel par. 2 dell’art. 2). Né minori perplessità suscita la riscrittura delle fattispecie del terrorismo, di cui alla lett. b), e della tratta di esseri umani, di cui alla lett. c), dell’art. 8: la prima fattispecie, infatti, appare disancorata dalla più precisa e tassativa definizione dei reati terroristici contenuta nell’art. 1, par.1, della decisione quadro del Consiglio dell’Unione europea (2002/475/GAI del 13 giugno 2002) sulla lotta contro il terrorismo (che, tra l’altro, fa riferimento al fine di “destabilizzare gravemente” le strutture politiche, economiche o sociali di un Paese, laddove il testo dell’art. 8, lett. b), della nostra legge fa riferimento al diverso fine di “indebolire” quelle strutture), mentre la seconda fattispecie esclude l’ipotesi dell’approfittamento di una situazione di inferiorità fisica o psichica o di una situazione di necessità in cui versa la vittima, parimenti rilevante ove si consideri la tecnica di tipizzazione appena di recente seguita dal legislatore con la modifica dell’art. 601 c.p., così come novellato dalla l. 11 agosto 2003, n. 228 (che ha trasposto nel nostro ordinamento la decisione quadro del Consiglio dell’Unione europea n. 2002/629/GAI del 19 luglio 2002, sulla lotta alla tratta degli esseri umani, ed il Protocollo addizionale contro la tratta di persone ed il traffico di migranti adottato assieme alla convenzione ONU contro la criminalità organizzata transnazionale, sottoscritta a Palermo il 15 dicembre 2000) . Una tecnica di trasposizione di questo tipo, non prevista dalla decisione quadro – il cui art. 2, par.2, fa riferimento esclusivamente al modello definitorio delle fattispecie seguito dalla legislazione dello Stato membro emittente – e quanto meno incongrua sul piano della conformità agli strumenti internazionali di cui il nostro Paese è parte, rischia, sotto altra prospettiva, di ingessare definitivamente nel nostro ordinamento aspetti di natura sostanzial-penalistica riconducibili alla decisione quadro, sganciando il nostro sistema dai contenuti e dalle finalità della complessa opera di progressiva armonizzazione delle legislazioni penali in via di completamento in sede di Unione europea . In una prospettiva parimenti difforme dal dato testuale dell’art. 32 della decisione quadro e dalla stessa dichiarazione unilaterale effettuata dall’Italia all’atto della sottoscrizione dello strumento comunitario, che escludeva l’applicazione della nuova procedura di consegna soltanto per i reati commessi anteriormente alla data del 7 agosto 2002, si muove la ratio sottesa alla norma di diritto transitorio di cui all’art. 40, co.3 della legge, in base alla quale il nuovo regime della doppia incriminazione – prefigurato nell’art. 2, par.2, della decisione quadro ed introdotto nel nostro ordinamento con l’art. 8 della legge – può essere applicato ai soli fatti commessi dopo la data di entrata in vigore della legge di attuazione. Ne discende che la corte d’appello dovrà rinunziare al controllo della doppia incriminazione – sempre che sussistano nel caso concreto le condizioni stabilite dall’art. 8 della legge – soltanto se il reato in base al quale e’ stato emesso il mandato d’arresto europeo e’ stato commesso dopo la data di entrata in vigore della nostra legge (ossia il 14 maggio 2005). Vanno, ancora, considerati i gravi problemi che potrebbero sorgere a seguito dell’applicazione delle disposizioni contenute nell’art. 6, commi 3 e 4, con riferimento alle diverse allegazioni documentali - relazione sui fatti addebitati, con l’indicazione delle fonti di prova, il testo delle disposizioni di legge applicabili, copia del provvedimento restrittivo della libertà personale ovvero della sentenza di condanna che hanno originato la richiesta di consegna, ecc. - previste quale condizione necessaria per l’esame della richiesta di esecuzione da parte della corte d’appello, ma di contro non ritenute necessarie dal testo della decisione quadro: il mancato inoltro, eventualmente sollecitato dal Ministro della giustizia su richiesta della nostra autorità giudiziaria, e’ sanzionato addirittura con il rigetto della richiesta di consegna (ex art.6, co.6) nonostante il meccanismo del MAE presupponga il riconoscimento “a monte” di tutti i provvedimenti emessi dalle autorità giudiziarie degli Stati membri, con la conseguente loro esecuzione sulla base della mera menzione nel mandato di arresto . Ulteriori, seri, problemi potrebbero sorgere, del resto, nelle ipotesi in cui fosse richiesta, in fase attiva, la consegna di una persona condannata per effetto di una sentenza pronunciata in contumacia, atteso che in tale evenienza le nostre autorità giudiziarie potrebbero dover fornire allo Stato membro di esecuzione, quale precisa condizione della consegna ai sensi dell’art. 5, n.1 della decisione quadro, “assicurazioni considerate sufficienti a garantire alle persone oggetto del mandato d’arresto europeo la possibilità di richiedere un nuovo processo nello Stato membro emittente e di essere presenti al giudizio”. Nell’ordinamento tedesco, ad esempio, l’art. 83 della legge federale sull’assistenza giudiziaria internazionale ha previsto quale condizione della consegna la natura non contumaciale della sentenza (con la garanzia, se del caso, del diritto ad un nuovo giudizio nel quale venga “ampiamente esaminata” l’accusa mossa a carico dell’indagato), mentre nel Regno Unito la Section 20 dell’Extradition Act 2003 prevede che se la persona non e’ stata giudicata in sua presenza occorre compiere una verifica in ordine al fatto che la stessa si sia volontariamente sottratta al giudizio, poiché in caso contrario la persona viene consegnata solo con la garanzia di un nuovo giudizio, nel quale dovranno assicurarsi all’imputato il diritto di difesa, quello di esaminare i testi a carico ed ottenere l’assunzione delle prove a discarico nelle stesse condizioni dell’accusa. Analoghe disposizioni, inoltre, sono contemplate nelle legislazioni di altri Paesi membri dell’U.E. come il Granducato del Lussemburgo e i Regni di Svezia e del Belgio . Sotto tale specifico profilo, infatti, nonostante i passi avanti registrati con l’adeguamento del nostro sistema alle indicazioni della Corte europea dei diritti dell’uomo a seguito della novella del 22 aprile 2005, n. 60, in materia di impugnazione delle sentenze contumaciali e dei decreti di condanna, non sembra che la nuova fattispecie di restituzione nel termine per proporre impugnazione avverso la sentenza contumaciale, sulla base del doppio criterio normativo della mancata effettiva conoscenza del procedimento e della mancata volontaria rinuncia a comparire, sia idonea a soddisfare appieno la garanzia di un ripristino integrale della situazione processuale dell’imputato nelle ipotesi in cui la fattispecie legittimante la restituzione del termine si sia verificata, ad esempio, nel corso del giudizio di primo grado e, soprattutto, ad evitare l’opposizione di possibili rifiuti di consegna quando non sia soddisfatta la condizione rappresentata dalla “possibilità di richiedere un nuovo processo” secondo il preciso dettato dell’art. 5 della decisione quadro, così come richiamato nel riquadro sub d) del formulario del M.A.E. annesso allo strumento comunitario . Viceversa, e il dato appare quanto meno singolare sul piano del doveroso rispetto della condizione di reciprocita’, allorquando sia l’Italia, in fase passiva, a dover eseguire il mandato d’arresto emesso da un altro Paese europeo, l’art. 19, lett. a), della legge, in ossequio all’art. 5 della decisione quadro, prevede che possano esser sempre e comunque richieste allo Stato membro di emissione assicurazioni sufficienti a garantire alle persone oggetto del mandato d’arresto europeo la possibilita’ di celebrare un nuovo processo in quello Stato. E’ opportuno rilevare, tuttavia, che in un caso di recente definito dal Tribunale di Amsterdam si e’ affermato che in tema di richiesta di mandato d’arresto europeo presentata dal giudice italiano a quello olandese per l’esecuzione in Italia di una pena detentiva nei confronti della persona richiesta, non sussiste alcuna violazione dell’art. 12 della legge olandese sulla consegna e nulla osta all’ammissione della richiesta nel caso in cui, in presenza di una sentenza contumaciale, il giudizio si e’ svolto alla presenza del legale dell’imputato ed e’ stato quindi garantito allo stesso un adeguato diritto di difesa . Un’importante apertura ai principi elaborati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo in tema di equo processo e giudizio contumaciale e‘ stata, di recente, operata dalla giurisprudenza di legittimita’, che, nel pronunciare su una richiesta di restituzione nel termine per appellare proposta da un condannato dopo che il suo ricorso e’ stato accolto dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, ha stabilito che il giudice e’ tenuto a conformarsi alla decisione di quella Corte con cui e’ stato riconosciuto che il processo celebrato in absentia e’ stato non equo, con la conseguenza che il diritto al nuovo processo non puo’ esser negato escludendo la violazione dell’art. 6 della Convenzione europea, ratificata con la l. 4 agosto 1955, n. 848, ne’ invocando l’autorita’ del pregresso giudicato formatosi in ordine alla ritualita’ del giudizio contumaciale in base alla normativa del codice di procedura penale . 22) I primi orientamenti giurisprudenziali . - A soli pochi mesi dall’entrata in vigore della l. 22 aprile 2005, n. 69, la Suprema Corte ha gia’ iniziato a tracciare le prime linee di orientamento su alcuni profili centrali dell’applicazione del mandato d’arresto europeo, fornendo in particolare un’interpretazione logico-sistematica delle disposizioni relative ai presupposti dei gravi indizi di colpevolezza e della motivazione del provvedimento cautelare “a monte” del mandato d’arresto .Con la pronuncia n. 33642 del 13-14 settembre 2005 (ric. Hussain Osman) la S.C. ha statuito, sulla base di passaggi argomentativi del tutto condivisibili e pienamente in linea con la lettera e lo spirito della decisione quadro, i seguenti principi generali: 1) che la disposizione di cui all’art. 17, co.4, della l. n. 69/2005, nel prevedere che la Corte d’Appello pronunci sentenza con cui dispone la consegna del ricercato se “sussistono gravi indizi di colpevolezza”, va interpretata alla luce dell’art. 9 della stessa legge, che esclude espressamente nella materia in questione l’applicabilita’ delle disposizioni contenute negli artt. 273, commi 1 e 1-bis, 274, co. 1, lett. a) e c), e 280 c.p.p., con la conseguenza che l’autorita’ giudiziaria italiana non e’ tenuta ad effettuare una nuova pregnante valutazione delle esigenze cautelari e delle fonti di prova su cui si basa il mandato, analogamente a quella spettante nell’ordinamento interno al Tribunale del riesame; 2) che le informazioni integrative che la Corte d’Appello puo’ richiedere allo Stato emittente, ex artt. 6, co.2, e 16, co.1, l. n. 69/2005, ai fini della decisione sulla consegna, sono quelle gia’ in possesso di quest’ultimo, dovendosi ritenere incompatibile con il principio di sovranita’ degli Stati membri, e con gli stessi tempi della procedura di consegna, una richiesta volta all’acquisizione, nello Stato membro di emissione, di mezzi di prova non assunti, o non ancora assunti, nell’ambito della relativa procedura (nella specie, si trattava dell’espletamento di una perizia sulla idoneita’ offensiva di esplosivi in sequestro); 3) che la clausola di non discriminazione, prevista quale motivo di rifiuto della consegna nella disposizione di cui all’art. 18, co.1, lett. a), della l. n. 69/2005, deve risultare da circostanze specifiche ed oggettive, sulla cui base possa ritenersi la presenza di un pregiudizio effettivo per la posizione della persona ricercata, in relazione ad uno dei motivi ivi espressamente enunciati. Nella pronuncia n. 34355 del 23-26 settembre 2005 (ric. Petre), inoltre, la S.C., muovendosi sulla stessa linea ermeneutica gia’ indicata, ha opportunamente precisato ed integrato la sostanza del proprio indirizzo, affermando in particolare i seguenti principi: a) che la nuova legge italiana di attuazione della decisione quadro sul mandato d’arresto europeo non puo’ essere interpretata nel senso che abbia inteso prescrivere un controllo da parte dell’autorita’ richiesta piu’ penetrante rispetto a quello previsto dalla Convenzione europea di estradizione, se non nei ristretti limiti eventualmente ricavabili da espresse previsioni della decisione quadro (in particolare, il considerando n. 12, seconda parte, e gli artt. 3 e 4); b) che per quanto attiene alla “riconoscibilita’ “ dei gravi indizi di colpevolezza, quale indefettibile “ragione” sottostante all’emissione di un mandato d’arresto da parte di un altro Paese dell’Unione europea, l’autorita’ giudiziaria italiana si deve limitare a verificare che il mandato sia, per il suo contenuto intrinseco o per gli elementi raccolti in sede investigativa o processuale, fondato su un compendio indiziario che l’autorita’ emittente ha ritenuto seriamente evocativo di un fatto reato commesso dalla persona di cui si chiede la consegna; c) che il presupposto della motivazione del mandato d’arresto, cui e’ subordinato l’accoglimento della domanda di consegna ex artt. 1, co.3, e 18, co.1, lett. t), l. n. 69/2005, non puo’ essere parametrato alla nozione ricavabile dalla tradizione giuridica italiana, dovendosi ritenere necessario che l’autorita’ di emissione dia “ragione” del mandato d’arresto, cio’ che puo’ realizzarsi anche attraverso la puntuale allegazione delle evidenze fattuali a carico della persona di cui si chiede la consegna. Ne discende, secondo l’impostazione seguita dalla S.C., che il “controllo sufficiente” cui devono essere sottoposte le decisioni relative all’esecuzione di un mandato d’arresto europeo, secondo l’esplicita indicazione dettata nel considerando n. 8 della decisione quadro, non puo’ correttamente ravvisarsi in quello tipico di un regime valutativo e motivazionale assimilabile al modello imposto dall’art. 705 c.p.p. per le ipotesi relative alle situazioni regolate dalla disciplina relativa alla cd. estradizione extraconvenzionale (ossia, i casi in cui la domanda di estradizione e’ presentata da uno Stato con il quale l’Italia non e’ vincolata dal rispetto di specifici accordi). Nell’ambito delle finalita’ espressamente delineate dalla decisione quadro, e senza creare i presupposti di quella che altrimenti rischierebbe di apparire un’indebita forma di ingerenza e/o sovrapposizione sul fondamento probatorio dell’autonoma, e parimenti sovrana, determinazione posta alla base del provvedimento cautelare straniero sottostante all’emissione di un mandato d’arresto europeo, la “valutazione” della gravita’ degli indizi di colpevolezza su cui si basa il provvedimento cautelare non compete all’autorita’ giudiziaria dell’esecuzione, ma pertiene invece direttamente all’autorita’ giudiziaria di emissione. La “riconoscibilita’ “ dei gravi indizi di colpevolezza da parte dell’autorita’ giudiziaria italiana deve incentrarsi, allora, sull’esame del contenuto – originario, ovvero successivamente integrato con le informazioni richieste ex art. 16, co.1, della legge italiana di attuazione – del mandato d’arresto europeo, dovendo lo stesso essere fornito di argomentazioni adeguate e controllabili, dotate di congruita’ logica e di compiutezza, e seriamente indicative, secondo l’autorita’ emittente, dell’esistenza di un fatto reato commesso dalla persona richiesta in consegna. Non e’ soltanto il criterio logico-sistematico “interno”, fondato sul collegamento tra il disposto letterale di cui all’art. 17, co. 4 e quello di cui all’art. 9, co. 5, della l. n. 69/2005, a giustificare la correttezza di siffatta interpretazione, ma e’ lo stesso dato testuale “esterno” ricavabile dalla disamina del contenuto normativo e delle finalita’ della decisione quadro ad imporla: nessuna disposizione della decisione quadro, che e’ il testo normativo europeo da applicare fedelmente nel nostro ordinamento secondo la regola generale dettata nell’art. 10 del Trattato CE e quella particolare specificata dall’art. 34, par.2, lett. b), T.U.E., richiede all’autorita’ giudiziaria dell’esecuzione di valutare la rilevanza del presupposto dei gravi indizi di colpevolezza. La circolazione del mandato d’arresto nel territorio europeo si fonda, infatti, su un complesso di informazioni che i Paesi membri dell’U.E. hanno ritenuto rilevanti ai fini della concretizzazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni penali (ex art. 1, par. 2, e consideranda nn. 5, 6 e 7 della decisione quadro), secondo il Programma generale compiutamente articolato dal Consiglio dell’U.E. il 30 novembre 2000 e tracciato nelle sue linee guida dal Consiglio europeo di Tampere del 15-16 ottobre 1999: l’art. 8 della decisione quadro, a tal fine, elenca tassativamente quelle informazioni, ritenendo necessarie, tra l’altro, solo l’indicazione dell’esistenza di un provvedimento giurisdizionale (sentenza esecutiva, mandato d’arresto o qualsiasi altra decisione giudiziaria esecutiva dotata della stessa forza), della natura e qualificazione giuridica del reato (lett.d) ) tenendo conto dell’art.2, nonche’ della “descrizione delle circostanze della commissione del reato, compreso il momento, il luogo e il grado di partecipazione del ricercato” (lett. e) ). Nella stessa prospettiva, inoltre, gli artt. 1, par. 2 e 15 della decisione quadro, relativamente alle connotazioni strutturali della decisione da adottare sulla consegna della persona ricercata, non impongono a tale riguardo alcuna regola di giudizio all’autorita’ giudiziaria dell’esecuzione, evitando di introdurre le forme di un sindacato “invasivo” sul merito del provvedimento coercitivo sottostante, ed anzi limitandosi unicamente a prevedere la possibilita’ di disporre, in caso di insufficienza del quadro informativo trasmesso dall’autorita’ emittente, l’acquisizione delle informazioni complementari necessarie ai fini della delibazione sulla presenza di eventuali motivi di rifiuto obbligatorio o facoltativo, sulla completezza e regolarita’ formale del MAE (secondo la presentazione stabilita nel modello allegato) e sul rispetto delle garanzie “speciali” che lo Stato emittente deve fornire nelle particolari situazioni individuate dall’art. 5 (ossia, decisione pronunciata in absentia, ergastolo e cittadinanza o residenza nello Stato membro di esecuzione). Una diversa interpretazione del “controllo sufficiente” da parte dell’autorita’ giudiziaria dell’esecuzione, oltre ad essere tecnicamente impedita dalla stessa indisponibilita’ degli atti del procedimento straniero, costituirebbe, infatti, un passo indietro rispetto alle stesse caratteristiche della procedura estradizionale comunemente applicata sinora a livello europeo e basata sul modello convenzionale delineato nel 1957, tradendo al contempo gli obiettivi, il contenuto e le finalita’ dell’adozione della decisione quadro, che proprio le difficolta’ ed i ritardi causati dall’applicazione di quel risalente sistema multilaterale ha inteso superare attraverso la creazione di una nuova procedura di consegna tra gli Stati membri dell’U.E. . La stessa giurisprudenza di merito, del resto, si e’ subito attestata su questa linea, allorquando ha opportunamente precisato che le esigenze cautelari gia’ valutate dal giudice richiedente esprimono un tipo di apprezzamento non sindacabile dall’autorita’ italiana in sede di esecuzione, poiche’ una diversa interpretazione condurrebbe ad attribuire al giudice italiano competenze di merito proprie di una sorta di tribunale del riesame del provvedimento restrittivo dell’autorita’ giudiziaria straniera, ponendosi in palese contrasto con la lettera e la ratio della decisione quadro del Consiglio dell’U.E. La successiva elaborazione giurisprudenziale della S.C., inoltre, ha sostanzialmente confermato il quadro dei principi inizialmente delineato al riguardo, fatta salva qualche isolata pronuncia . Ne’ potrebbe trascurarsi di considerare il rilievo per cui la stessa Commissione europea, di recente, in sede di valutazione dello stato dell’attuazione della decisione quadro sul mandato d’arresto europeo nelle legislazioni dei diversi Stati membri, ha ritenuto in contrasto con la finalita’ dello strumento comunitario una norma introdotta nella legislazione dei Paesi Bassi che consente il rifiuto della consegna qualora l’autorita’ giudiziaria olandese accerti in sede di esecuzione l’insufficienza degli elementi di colpevolezza a carico della persona richiesta . La legge olandese ha precisato che cio’ potra’ verificarsi soltanto nel caso in cui sia emerso con evidenza “ cristallina” che la persona potrebbe non aver commesso il reato. Cio’ nonostante, il contrasto con la decisione quadro e’ stato dalla Commissione europea individuato proprio nel pericolo di una sovrapposizione di valutazioni da parte delle autorita’ giudiziarie dei due ordinamenti, ossia nel fatto che si richiederebbe in tal modo all’autorita’ giudiziaria dell’esecuzione di entrare nel merito di una decisione adottata dall’autorita’ giudiziaria di un altro Stato, in violazione di quel principio generale di reciproca fiducia tra gli Stati membri – ormai, peraltro, definitivamente costituzionalizzato nel Trattato di Roma del 29 ottobre 2004, che istituisce una Costituzione per l’Europa – del quale il nuovo sistema di consegna vuole costituire la prima “concretizzazione” normativa. Proprio le valutazioni espresse dalla Commissione europea, del resto, consentono di prefigurare i possibili effetti negativi di una interpretazione del disposto dell’art. 17, co. 4, l. n. 69/2005, divergente da quella seguita dalla Suprema Corte nelle pronunce in commento: una diversa opzione ermeneutica che risultasse incentrata su un’eccessiva dilatazione della rilevanza del presupposto dei gravi indizi di colpevolezza, condizionando la consegna del ricercato al positivo esito di una valutazione puramente “domestica” della sussistenza di quel requisito normativo, non previsto nella decisione quadro, ne’ all’interno della convenzione europea del 1957, rispetto alla quale la prima vuole essere appunto una semplificazione-progressione, comporterebbe una arbitraria deviazione-regressione rispetto agli stessi consolidati principi dell’attuale sistema estradizionale europeo. Non solo, infatti, lo Stato emittente, richiesto di fornire gli elementi per valutare i gravi indizi di colpevolezza, potrebbe rifiutarsi di fornirli, non essendo tale adempimento previsto nella decisione quadro, ma addirittura esso potrebbe anche, nella situazione contraria e facendo valere il principio di reciprocita’, pretendere dal nostro Paese il rispetto di quello stesso adempimento, con la conseguenza che, a fronte di una richiesta di consegna proveniente dal nostro Paese, esso potrebbe richiedere di svolgere quegli stessi accertamenti che noi pretendiamo di fare quale Stato di esecuzione. L’orientamento espresso nelle pronunce in esame si colloca, inoltre, all’interno di un solco giurisprudenziale che la stessa S.C. ha ormai da tempo percorso per quanto attiene alla sostanza del controllo giurisdizionale da esercitare ai fini della emissione di un provvedimento favorevole all’estradizione secondo le regole generali dettate nella norma codicistica di cui all’art. 705 c.p.p.: siffatta disposizione, pur nelle sue ambiguita’ semantiche e nonostante un, parzialmente, contrario orientamento dottrinale, richiede, infatti, la sussistenza documentata e la valutazione dei gravi indizi di colpevolezza, a carico dell’estradando, solo se non esiste convenzione di estradizione tra lo Stato italiano e quello che ha richiesto l’estradizione, ovvero, qualora vi sia una convenzione, che questa espressamente condizioni l’estradizione medesima alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza; un tale assetto dei rapporti intergiurisdizionali trova la sua ratio nel fatto che in costanza di regime convenzionale l’esistenza di adeguati indizi di reita’ deriva, per presunzione incontrovertibile, da determinati documenti che la convenzione espressamente indica ed ai quali il giudice dello Stato richiesto non puo’ negar fede quando essi gli siano stati ufficialmente comunicati per il solo esame formale che ne deve compiere . Sotto altro, ma connesso profilo, del resto, la giurisprudenza della S.C. e’ costante nel ritenere che la convenzione europea di estradizione, diversamente dalle situazioni regolate nella norma di cui all’art. 705 c.p.p., non richiede che per la pronuncia favorevole all’estradizione debbano sussistere gravi indizi di colpevolezza, ne’ che il mandato di cattura o qualsiasi altro atto avente la stessa efficacia debba essere motivato. In tal senso, l’unica condizione prevista nell’art. 12, par. 2, lett. a), della convenzione europea di estradizione del 1957 e’ che a sostegno della richiesta sia prodotto l’originale o la copia autentica del provvedimento . Del tutto diversa, invece, la situazione procedimentale allorquando sia la stessa norma internazionale pattizia recepita nel nostro sistema con una legge di ratifica ad imporre una verifica giurisdizionale interna sulla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza: in tal caso, infatti, la stessa S.C. ne richiede l’effettuazione, come, ad es., con riferimento ad un caso inerente all’applicazione del Trattato di estradizione tra l’Italia e gli U.S.A., il cui art. 10, co. 3, lett. b), prevede una relazione sommaria dei fatti, delle prove pertinenti e delle conclusioni raggiunte, che forniscano una base ragionevole per ritenere che la persona richiesta abbia commesso il reato per il quale viene domandata l’estradizione . La stessa Corte di Giustizia CE, con una pronunzia del 16 giugno 2005 sulla decisione quadro del Consiglio dell’U.E. in materia di tutela delle vittime nell’ambito del procedimento penale, e dunque proprio in ordine alla rilevanza da attribuire ad un atto normativo di diritto derivato adottato nell’ambito del cd. Terzo Pilastro dell’U.E., sembra avallare la correttezza dei presupposti argomentativi utilizzati dalla S.C. (nella sentenza n. 34355) in relazione alla regola di cui all’art. 17, co.4, l. n. 69/2005, allorquando ha fatto espresso riferimento, stante la presunzione di conformita’ della legge interna alla normativa europea, all’esigenza di adottare, fra le possibili opzioni ermeneutiche sperimentabili, quella maggiormente conforme al dettato di tale normativa. Nella su citata sentenza, infatti, la Corte di Giustizia ha statuito che il giudice nazionale, italiano nel caso di specie, e’ tenuto ad interpretare il diritto interno, per quanto possibile, in maniera conforme alla lettera ed allo scopo della decisone quadro al fine di conseguire il risultato da quest’ultima perseguito. In ordine al rilievo della clausola di non discriminazione di cui all’art. 18, lett. a), della legge di attuazione, prevista in linea generale nel sistema codicistico dalla disposizione di cui all’art. 698, co.1, c.p.p., la S.C., in linea con il suo costante orientamento ermeneutico, ha opportunamente precisato che per far valere la relativa eccezione non e’ sufficiente la mera allegazione di un allarme sociale provocato dalla gravita’ del reato, dovendo il fumus persecutionis nei confronti della persona ricercata discendere dalla comprovata sussistenza di circostanze obiettive e specifiche, rivelatrici, per una scelta normativa, o di fatto, seguita nello Stato richiedente, della possibilita’ che l’estradando venga sottoposto ad atti persecutori o discriminatori, ovvero a trattamenti crudeli, disumani o degradanti, o comunque ad atti che configurano una violazione di uno dei diritti fondamentali della persona . Peraltro, nel caso prima considerato (ric. Hussain Osman), ad avviso della S.C. la tradizione civile dello Stato di emissione (Gran Bretagna), quale emergente anche dalla promulgazione dell’Human Rights Act del 1998, costituisce in ogni caso un’ampia garanzia dell’esclusione di trattamenti persecutori o discriminatori nei confronti della persona ricercata. Ne’ sotto tale profilo potrebbe rilevare, poi, quale fattore ostativo alla consegna, purche’ siano assicurate le fondamentali esigenze della difesa, la circostanza che l’ordinamento straniero presenti garanzie processuali non corrispondenti alle nostre . Infine, particolarmente opportuna appare la precisazione della S.C. in ordine al rilievo della non necessaria coincidenza tra la base motivazionale del provvedimento cautelare sul cui fondamento il mandato d’arresto europeo e’ stato emesso (ex artt. 1, co. 3 e 18, lett. t) della legge di attuazione) e le complesse regole che governano la struttura ed il contenuto del processo motivazionale dei provvedimenti giurisdizionali nel nostro ordinamento: cio’ che conta e’ che l’autorita’ giudiziaria emittente dia contezza della ragione del mandato d’arresto, consentendo, anche attraverso puntuali allegazioni fattuali, di verificarne la congruita’ da parte dell’autorita’ di esecuzione . Stante la diversita’ degli standards motivazionali richiesti nei vari ordinamenti dei Paesi membri dell’U.E. (ad es., in Inghilterra la Magistrates’ Court non e’ tenuta automaticamente a rendere decisioni motivate e la giuria, laddove prevista, non pronuncia mai una decisione motivata) e l’assenza di una precisa obbligazione dettata in tal senso dallo strumento comunitario, una diversa soluzione ermeneutica apparirebbe del tutto irrazionale e comunque di dubbia compatibilita’ con il principio del reciproco riconoscimento, comportando un’arbitraria forma di ingerenza e sovrapposizione delle regole proprie di un ordinamento su quelle dell’altro (magari derivanti da una tradizione giuridica secolare, da sempre osservata e rispettata, finanche nell’ambito del previgente sistema estradizionale europeo) . Al riguardo, e’ proprio quella confiance mutuelle posta dalle istituzioni europee alla base del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni penali, a giustificare la considerazione e tolleranza delle diversita’ e specificita’ delle tradizioni giuridiche dei vari sistemi nazionali, la cui ricchezza, animata dalla comune adesione degli Stati membri al quadro generalmente condiviso dei principi fondamentali e dei diritti di liberta’ enucleato e nel tempo sedimentato dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, non puo’ che rappresentare un potente fattore di crescita e rafforzamento del processo di integrazione comunitaria. Con successivi interventi la S.C. ha precisato che anche a seguito della l. n. 69/2005 restano intatte le attribuzioni affidate dalla Costituzione all’autorita’ giudiziaria nazionale sulla liberta’ personale del soggetto di cui e’ stata richiesta la consegna, con la conseguenza che ai fini del mantenimento dello stato di detenzione, successivamente alla convalida dell’arresto, e’ necessaria la contestuale emanazione di un’ordinanza coercitiva adeguatamente motivata in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari consistenti nel pericolo di fuga . Il pericolo di fuga, del resto, anche in tema di mandato d’arresto europeo, deve essere “concreto”, non soddisfacendo tale requisito una misura coercitiva motivata sulla sola circostanza che la persona richiesta in consegna non sia radicata in Italia, risiedendo e lavorando all’estero, ove ha un proprio nucleo familiare . Sembra essersi formato, invece, un contrasto giurisprudenziale in ordine alle conseguenze dell’omessa allegazione al mandato d’arresto europeo della relazione sui fatti addebitati alla persona di cui e’ richiesta la consegna, ex art. 6, comma 4, lett. a), della legge n. 69/2005, che in un caso e’ stata ritenuta – nell’assenza di un atto ad essa equipollente – causa ostativa alla decisione di consegna , mentre in altre occasioni e’ stata ritenuta non decisiva ai fini della efficacia della decisione sulla consegna, essendo sufficiente che pervenga, entro il termine di cui all’art. 13, comma 3, della l. n. 69/2005, la segnalazione della persona nel S.I.S. (Sistema Informativo Shengen) contenente le sole indicazioni previste dal primo comma dell’art. 6 della legge ora citata . Sembra, al riguardo, preferibile una valutazione discrezionale da riservare al prudente apprezzamento dell’autorita’ giudiziaria richiesta della consegna, volta cioe’ a stabilire se, in presenza di omissioni nelle informazioni prescritte dall’art. 6 della l. n. 69/2005, la lacuna sia ostativa o meno alla consegna, tenendo conto della concreta fattispecie penale dedotta e di ogni altra informazione trasmessa: l’autorita’ richiesta, infatti, conserva comunque il potere-dovere di richiedere l’invio delle informazioni ritenute necessarie . Proprio questa, in effetti, sembra essere la linea di indirizzo ormai tracciata dalla S.C. nelle piu’ recenti pronunce, ove si chiarisce che la relazione sui fatti addebitati alla persona reclamata, secondo la previsione di cui all’art. 6, comma 4, della legge in esame, condivide la medesima “vocazione funzionale” delle disposizioni di cui al primo ed al terzo comma dell’art. 6, quella, cioe’, di definire le coordinate spazio-temporali entro le quali le modalita’ del fatto storico si collocano e di indicare le relative fonti di prova, si’ da fornire all’autorita’ giudiziaria dello Stato membro di esecuzione tutti gli elementi utili ad esercitare il controllo sufficiente preliminare alla decisione di accoglimento o di rigetto della richiesta. Dalla coincidenza delle finalita’ sottese alle previsioni di cui al comma ,1 da un lato, ed ai commi 3 e 4 dell’art. 6, dall’altro, discende che se lo Stato richiedente comunque offre tutti gli elementi necessari di giudizio, non puo’ ritenersi di ostacolo alla consegna la mancata allegazione della relazione, il cui contenuto sarebbe “superfluamente ripetitivo” di quanto gia’ in altri atti precisato . Pur non essendo necessario, ai fini dell’arresto in esecuzione del m.a.e., acquisire agli atti l’originale del provvedimento de libertate emesso dall’autorita’ giudiziaria richiedente (che puo’ essere trasmesso all’a.g. italiana anche a mezzo fax), si e’ di recente ritenuto che non possa eseguirsi in Italia il mandato d’arresto europeo emesso dall’autorita’ giudiziaria. di un Paese membro nel quale non siano previsti termini massimi della custodia cautelare, ostandovi il disposto dell’art. 18, lett.e), della l. n. 69/2005, che espressamente impone il rifiuto della consegna se la legislazione dello Stato richiedente non prevede “i limiti massimi della carcerazione preventiva”, e non potendo ritenersi equipollente, ad avviso della S.C., la previsione di meccanismi di controllo periodico della durata della detenzione preventiva . In altre pronunce della S.C., tuttavia, nonostante la lettura indubbiamente “restrittiva” offerta con l’arresto giurisprudenziale or ora citato, sono affiorate talune incertezze interpretative in ordine all’ambito di applicazione della condizione ostativa prevista dall’art. 18, lett. e), della l. n. 69/2005, ed in particolare sulla possibilita’ di ritenere comunque soddisfatto quel requisito con la previsione da parte dello Stato richiedente di meccanismi equipollenti, funzionali ad un controllo periodico della durata della detenzione preventiva . Le Sezioni unite hanno, di recente, definito la controversa questione, optando per un modello ermeneutico “flessibile”, incentrato sull’esercizio caso per caso del potere di controllo da parte dell’autorita’ giudiziaria di esecuzione, tenuta a verificare, ai fini della consegna, se nella legislazione dello Stato membro di emissione sia espressamente fissato un termine di durata della custodia cautelare fino alla sentenza di condanna di primo grado, o, in mancanza, se un limite temporale implicito sia comunque desumibile da altri meccanismi processuali che instaurino, obbligatoriamente e con cadenze predeterminate, un controllo giurisdizionale funzionale alla legittima prosecuzione della custodia cautelare o, in alternativa, alla estinzione della stessa. Ne discende che non possono essere considerati in contrasto con lo spirito e la lettera dell’art. 18, lett. e), della l. n. 69/2005, quegli ordinamenti (ad es., la Germania, il Belgio, la Svezia, la Finlandia, ecc.) che, pur non contemplando direttamente un limite massimo di durata della custodia cautelare, prevedano comunque specifici meccanismi processuali tali da comportare un controllo sulla necessita’ della custodia (sempre che, ove il controllo non sia effettuato o conduca ad un risultato negativo, si determini l’automatica liberazione dell’imputato) . Entro tale prospettiva, dunque, deve ritenersi che la possibilita’ di proroga della durata della custodia non e’ incompatibile con il concetto di limite massimo, mentre con essa sembrano incompatibili quei meccanismi processuali dai quali derivi che, alle scadenze temporali, pur in mancanza di un provvedimento del giudice, lo stato custodiale non debba integralmente cessare. Sulla scia dell’indirizzo tracciato dalle Sezioni unite si e’, inoltre, ritenuto che non sussiste la condizione ostativa delineata dall’art. 18, lett. e), della l. n. 69/2005, in relazione ad un mandato d’arresto europeo emesso dall’autorita’ giudiziaria austriaca, poiche’ il codice di rito austriaco prevede limiti massimi per la custodia cautelare nella fase delle indagini preliminari e, una volta iniziato il dibattimento, un sistema di periodica verifica da parte del giudice in ordine alla sussistenza delle ragioni giustificatrici del permanere della custodia . Nella giurisprudenza di merito, infine, oltre quelle sopra indicate, si registrano, in particolare, due pronunce: una della Corte di appello di Bologna, in data 21 giugno 2005, ed un’altra del Tribunale di Bolzano in data 28 luglio 2005. Con la prima pronuncia si e’ affermata la sussistenza delle condizioni per l’accoglimento della richiesta di esecuzione di un m.a.e., su consenso dell’interessato, allorquando dagli atti trasmessi attraverso il sistema di informazione Shengen (S.I.S.), assieme alla documentazione Si.re.ne., risulti l’esistenza di un provvedimento restrittivo della liberta’ personale (nel caso di specie, si trattava del reato di sottrazione di minore) . Al riguardo, tuttavia, si e’ criticamente osservato che la valutazione, sia pure implicitamente effettuata dalla Corte d’appello, di sostanziale equipollenza della documentazione trasmessa attraverso l’ufficio Si.re.ne e del mandato d’arresto europeo agli atti e documenti relativi al procedimento principale – che secondo l’art. 6 della l. n. 69/2005 l’autorita’ giudiziaria di emissione deve comunque trasmettere all’autorita’ giudiziaria italiana – rischia di determinare una vera e propria interpretatio abrogans sia dell’art. 6, co.3, sia del combinato disposto di cui agli artt. 1, co.3, e 18, co.1, lett. t), della legge italiana, nella parte in cui prevedono che, in caso di mandato d’arresto emesso per finalita’ processuali, l’acquisizione del provvedimento cautelare straniero – posto alla base del mandato d’arresto – e’ funzionale al duplice accertamento sulla sottoscrizione da parte di un giudice e sulla sussistenza della motivazione, obbligando la Corte d’appello a rifiutare l’esecuzione ove lo stesso risulti mancante di motivazione. Nella seconda pronuncia, invece, si e’ ritenuto: a) che nel procedimento per l’esecuzione di un m.a.e. l’ordinanza di custodia cautelare emessa dal presidente della corte d’appello, a seguito dell’arresto ad opera della polizia giudiziaria, costituisce un provvedimento emesso da un giudice incompetente (poiche’ monocratico, anziche’ collegiale) e da considerare pertanto tamquam non esset; b) che va affermata la competenza del tribunale del riesame a valutare la legittimita’ della misura cautelare applicata dalla corte d’appello a seguito dell’arresto operato sul territorio italiano in forza di un mandato d’arresto europeo emesso in un altro Stato membro . Si e’, peraltro, obiettato, sotto il primo profilo, che un regime processuale differenziato e’ gia’ previsto dal codice di rito, atteso che l’art. 716 c.p.p. dispone, in ordine all’arresto provvisorio dell’estradando, che sia il presidente della corte d’appello a provvedere tanto alla convalida dell’arresto, quanto all’applicazione della misura coercitiva; in ordine al secondo profilo, inoltre, si e’ rilevato in dottrina, in senso difforme dall’impostazione seguita nella pronunzia giurisprudenziale ora richiamata, che secondo la disposizione contenuta nell’ultimo comma dell’art. 9 della l. n. 69/2005 – che rinviando all’art. 719 c.p.p. prevede, a sua volta, che l’ordinanza cautelare della corte d’appello debba essere impugnata mediante ricorso per cassazione per violazione di legge – il legislatore ha inteso stabilire che i provvedimenti coercitivi emessi nel corso della procedura di consegna per l’estero siano sottoposti allo stesso mezzo di impugnazione, a prescindere dal fatto che si tratti di procedure estradizionali, ovvero di procedure basate sul nuovo istituto del mandato d’arresto europeo . V’e’ da osservare, al riguardo, che la S.C. ha opportunamente precisato che, nel silenzio della legge, competente ad applicare la misura coercitiva in sede di convalida dell’arresto di polizia giudiziaria e’ il Presidente della Corte d’appello, ovvero un magistrato da lui delegato, posto che non puo’ sussistere alcuno iato temporale tra la convalida stessa e la decisione sul protrarsi dello stato di limitazione della liberta’ personale, e dovendosi ritenere che alla decisione sulla protrazione dello stato di restrizione della liberta’ personale sia chiamato lo stesso organo a cui e’ demandata la decisione sulla convalida, in conformita’ a quanto previsto in materia estradizionale dall’art. 716, comma 3, c.p.p. . E’ stato, infine, stabilito, con riguardo alla disciplina applicabile al ricorso per cassazione, che in forza del rinvio recettizio operato all’art. 719 c.p.p., anche il ricorso per cassazione avverso i provvedimenti applicativi di misure cautelari disposte nei confronti di persone colpite da mandato d’arresto europeo – analogamente a quello esperibile per le misure cautelari a fini estradizionali – soggiace alla disciplina stabilita da tale disposizione, che quanto ai termini ed alle modalita’ di presentazione del gravame deve essere rinvenuta, in mancanza di diversa previsione normativa, nell’art. 311 c.p.p. . Anche in tema di mandato d’arresto europeo si applicano, dunque, in forza di quel rinvio recettizio, le disposizioni contenute nell’art. 311, commi 2, 3 e 4, c.p.p., da coordinarsi con quanto dispone l’art. 719 del codice di rito. Ne consegue che il ricorso deve esser proposto, entro dieci giorni dalla comunicazione (al procuratore generale) o dalla notificazione (all’interessato o al difensore) di copia del provvedimento, dopo la sua esecuzione, con atto, contenente l’enunciazione contestuale dei motivi, da depositare nella cancelleria della corte d’appello, salva la facolta’ del ricorrente di enunciare nuovi motivi davanti alla corte di cassazione prima dell’inizio della discussione. E’ da rilevare, peraltro, che nel caso in cui il giudice d’appello abbia omesso le necessarie verifiche circa la sussistenza delle condizioni di rifiuto della consegna, il giudice di legittimita’, pur abilitato a compiere accertamenti anche nel merito, non puo’ integrare l’attivita’ istruttoria, non disponendo dei poteri riconosciuti dalla legge processuale al giudice di appello . 23. Segue: Mandato d’arresto europeo e limiti massimi di custodia cautelare: l’intervento delle Sezioni unite. - Un serio problema interpretativo nelle prime applicazioni giurisprudenziali della legge italiana si e’ posto, in particolare, con riguardo alla delimitazione dell’operativita’ della disposizione di cui all’art. 18, lett. e), della l. n. 69/2005, secondo cui la corte d’appello deve rifiutare la consegna della persona richiesta dallo Stato membro dell’U.E. la cui legislazione non preveda una disciplina dei limiti massimi della carcerazione preventiva. Nonostante il recente intervento risolutivo offerto dalle Sezioni unite il problema, per certi versi, rimane tuttora aperto, specie per le sue implicazioni di rilievo costituzionale. Con l’ordinanza n. 53/2006 del 25 ottobre 2006, infatti, la Corte d’appello di Venezia ha sollevato la questione di legittimita’ costituzionale dell’art. 18, lett. e), della l. n. 69/2005, che recepisce nel nostro ordinamento la Decisione quadro sul mandato d’arresto europeo e le nuove procedure di consegna tra gli Stati membri dell’Unione europea, deducendone il contrasto sia con gli artt. 11 e 117, co.1, Cost., sotto il profilo della sostanziale vanificazione della normativa europea in ordine alla previsione, in forme tassative e stringenti, di un catalogo di motivi di rifiuto dell’esecuzione del mandato d’arresto, sia con l’art. 3 Cost., sotto il profilo della ragionevolezza della norma interna di attuazione, che sembra voler imporre agli altri Stati membri una finalita’ di tutela della liberta’ personale che essi potrebbero aver disciplinato con soluzioni diverse, ma parimenti efficaci, se non piu’ adeguate, rispetto agli orientamenti giurisprudenziali della Corte europea dei diritti dell’uomo . Diversa, invece, la soluzione successivamente adottata nella pronunzia della Corte d’appello di Venezia del 21 dicembre 2006, ove si e’ ritenuta possibile un’interpretazione dell’art. 18, lett. e), nel senso di una “valutazione per equivalente” dei vari sistemi di custodia cautelare in carcere e dei correlativi limiti temporali, nella prospettiva di un giudizio di compatibilita’ di quegli ordinamenti muniti di disposizioni idonee a garantire i soggetti sottoposti a misure custodiali dall’evenienza di uno status detentionis irragionevolmente destinato a prolungarsi nel tempo, in difetto di un quadro di garanzie comparabili a quelle offerte, nel nostro sistema, attraverso la predeterminazione dei limiti massimi di custodia cautelare . Con una scelta “unica” nel panorama europeo delle leggi di attuazione del nuovo sistema di consegna “non estradizionale” introdotto dalla su citata Decisione quadro, la disposizione di cui all’art. 18, lett. e), della l. n. 69/2005 delinea un motivo di rifiuto inerente all’omessa previsione, nella normativa dello Stato emittente, di limiti massimi alla carcerazione preventiva, stabilendo che la Corte d’appello deve rifiutare la consegna di una persona colpita da un’eurordinanza quando il provvedimento giudiziario che ne e’ “a monte” ha natura cautelare e la legislazione dello Stato emittente non preveda limiti massimi di carcerazione preventiva. Ponendosi in una prospettiva esclusivamente “domestica”, il legislatore nazionale non sembra aver ponderato con sufficiente attenzione il rilievo per cui anche gli altri ordinamenti europei prevedono strumenti e meccanismi di verifica volti ad evitare l’indebito protrarsi della privazione della liberta’ personale in corso di procedimento, sulla stregua di soluzioni normative e tecniche di controllo giudiziale diversamente modulate secondo la specificita’ dei vari sistemi, eppure dotate di altrettanta efficacia rispetto alla ratio ed alla finalita’ di tutela del bene supremo della liberta’ personale. Stabilire, infatti, una verifica periodica da parte dell’autorita’ giudiziaria consente, forse anche meglio di un sistema ancorato alla rigida previsione di limiti massimi, di salvaguardare il principio della ragionevole durata della custodia preventiva, bilanciando, con sequenze temporali continue e ravvicinate, il controllo della persistenza e del grado d’intensita’ delle esigenze cautelari con l’attualita’ e l’ampiezza dell’eventuale sacrificio dello status libertatis (ad es., in Germania, Belgio, Svezia, Finlandia, ecc., le cui legislazioni, pur non contemplando direttamente un limite massimo di durata della custodia preventiva, ne consentono un controllo continuativo e periodico attraverso specifici meccanismi processuali). Del tutto estranea a siffatta previsione normativa appare, inoltre, la considerazione della costante elaborazione giurisprudenziale della Corte europea dei diritti dell’uomo, che non richiede la previsione di termini fissi di durata, non potendosi stabilire in astratto se un periodo di detenzione ante iudicium sia ragionevole o meno: anche il rispetto di termini massimi di durata previsti dal diritto interno non e’ determinante, sotto questo profilo, poiche’ solo la loro inosservanza comporterebbe automaticamente una violazione del requisito della legalita’ della misura coercitiva desumibile dall’art. 5, co.1, lett. c), della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Nella prospettiva seguita dalla Corte europea occorre valutare, dunque, caso per caso, se vi siano elementi concreti da cui emerga un’effettiva e prevalente esigenza di interesse pubblico che giustifichi, nonostante la regola generale della presunzione d’innocenza, un’eccezione al principio del rispetto della liberta’ personale . Incombe, inoltre, alle autorita’ nazionali condurre questo tipo di apprezzamento, assicurando che nel caso specifico la custodia preventiva dell’imputato non ecceda un lasso di tempo “ragionevole”, con la conseguenza che il successivo intervento della Corte europea dei diritti dell’uomo non puo’ prescindere da quanto affermato nei provvedimenti con i quali sono state respinte le richieste di scarcerazione. E’ la medesima ratio di tale impostazione giurisprudenziale, del resto, a spingere la Corte europea a riconoscere all’imputato in stato di custodia cautelare, allorquando l’applicazione della misura si prolunghi nel tempo, il diritto di contestarne la legalita’ ad intervalli brevi e regolari . Un ulteriore, significativo, avallo della ragionevolezza e praticita’ di tale linea di indirizzo giurisprudenziale e’ stato, di recente, autorevolmente offerto dalla Raccomandazione (Rec (2006) 13) adottata il 27 settembre 2006 dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, ove, indipendentemente dalla previsione di un limite massimo di detenzione preventiva, si sottolinea l’esigenza di un controllo giudiziario continuo (continuous review), ad intervalli regolari (regular intervals), sulla necessita’ del prolungamento della restrizione dello status libertatis, suggerendo agli Stati membri la previsione di un distacco temporale non superiore, di regola, al limite di un mese nella scansione delle verifiche . Ne’, sotto altro, ma connesso, profilo, attinente piu’ in generale alle peculiari caratteristiche dei rapporti di cooperazione giudiziaria penale, puo’ tralasciarsi di considerare il rilievo, anch’esso piu’ volte ribadito dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, della sostanziale estraneita’ dei termini di durata della detenzione cautelare alla gestione delle procedure estradizionali, nel cui alveo, storicamente, si colloca - con finalita’ di semplificazione e snellimento dei correlativi meccanismi di funzionamento, ed, al contempo, di sensibile innalzamento dei livelli delle garanzie processuali - l’introduzione del nuovo sistema di consegna delle persone ricercate nei rapporti tra gli Stati membri dell’U.E. . Secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo, infatti, il diritto di una persona sottoposta a detenzione preventiva di essere tradotta al piu’ presto dinanzi ad un giudice e di esser giudicata entro un termine ragionevole o liberata durante la procedura non si applica ai casi di detenzione di una persona contro la quale e’ in corso un procedimento estradizionale, pur se, in questi casi, la privazione della liberta’ puo’ considerarsi giustificata soltanto se le competenti autorita’ conducono il procedimento di estradizione con la dovuta diligenza (condizione, questa, ricorrente, ad avviso della Corte europea, allorquando la durata del procedimento, pur oggettivamente lunga, non sia eccessiva in ragione delle circostanze del caso) . L’ampiezza della fondamentale garanzia della liberta’ personale, del resto, puo’ subire forme di limitazione, secondo l’art. 5 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, soltanto nei casi e nei “modi previsti dalla legge”, rinunciando a delineare un modello “unico” di possibili interventi restrittivi della liberta’ personale e rimettendo la scelta, quindi, alla discrezionalita’ delle singole legislazioni nazionali, purche’ le stesse risultino conformi alle disposizioni convenzionali, ed in particolare alle finalita’ della previsione dell’art. 5, che si identifica nella protezione dell’individuo contro l’arbitrio . Cio’ nondimeno, il tenore letterale della disposizione introdotta dall’art. 18, lett. e), della l. n. 69/2005, appare inequivoco nell’ancorare l’opposizione del motivo di rifiuto al mero dato dell’assenza di termini custodiali massimi nella legislazione dello Stato emittente, trasponendo sul piano interno la stessa formulazione letterale utilizzata dall’art. 13 co. 5, Cost. . Come si e’ accennato sopra, le prime applicazioni giurisprudenziali della norma ne hanno subito posto in rilievo una connotazione di forte problematicita’, dando luogo ad interpretazioni pericolosamente divergenti, ove si consideri l’elevata frequenza di mandati d’arresto emessi per finalita’ propriamente cautelari. L’originalita’ della norma interna e, al contempo, la profonda diversita’ dei sistemi nazionali di regolamentazione e controllo della legittimita’ della custodia cautelare, pur nella comune adesione al principio del reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie degli Stati membri dell’U.E. (ex considerando n. 6 della Decisione quadro 2002/584/GAI) ed ai principi generali tracciati dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, non rendono certo agevole la delineazione di un sicuro ed affidabile percorso ermeneutico, in grado di resistere nel tempo alle inevitabili oscillazioni imposte dalla prassi. Secondo un primo orientamento giurisprudenziale, un’esegesi che forzasse il dettato e la ratio della norma cosi’ come formulata non potrebbe rientrare nell’ambito di un’interpretazione conforme allo strumento comunitario, in quanto non potrebbe spingersi sino al punto di abrogare la norma interna, che costituisce la proiezione del principio delineato dall’art. 13, co. 5, Cost, sui rapporti di cooperazione internazionale dello Stato . Entro tale prospettiva ermeneutica, dunque, proprio in ragione delle conseguenze in malam partem che ne discenderebbero, non potrebbe considerarsi legittima un’interpretazione “sistematica e razionalizzatrice” sul modello di quella gia’ adottata dalla S.C. in altre occasioni , in quanto il principio di interpretazione conforme – come riconosciuto dalla stessa Corte di Giustizia CE nel caso c.d. “Pupino” - trova un limite invalicabile nell’impossibilita’ di pervenire ad un’applicazione tale da sfociare in un risultato compatibile con quello perseguito dalla stessa Decisione quadro che si intende recepire nell’ordinamento. Ne conseguirebbe, ancora, l’impossibilita’ non solo di adottare un’interpretazione diversa da quella fatta palese dal significato proprio delle parole secondo la loro connessione e dalla chiarissima intenzione manifestata dal legislatore nazionale (ex art. 12 delle preleggi), ma anche di avanzare alla Corte di Giustizia CE una eventuale domanda di pronuncia pregiudiziale sulla validita’ o sull’interpretazione delle decisioni quadro, e sulla validita’ o l’interpretazione delle relative misure di applicazione, ex art. 35 T.U.E., come pure di avviare una verifica di costituzionalita’ della norma di legge ordinaria, riproducendo la stessa, integralmente, un principio di rango costituzionale. In altre pronunzie, ancora, senza prendere direttamente posizione sulla questione problematica in oggetto, si era precisato che spetterebbe comunque all’interessato, in virtu’ di un onere di allegazione gravante a suo carico, dimostrare la mancanza della disciplina dei limiti massimi nella legislazione dello Stato emittente, non essendo previsto che al mandato d’arresto europeo debbano essere allegate informazioni al riguardo . In altre, invece, iniziava a profilarsi un indirizzo parzialmente difforme, ritenendosi che la condizione ostativa delineata dall’art. 18, lett. e), della legge n. 69/2005 doveva intendersi esclusivamente riferita ai termini massimi di custodia, non invece ai termini di fase, mentre la durata massima poteva essere comunque garantita e modulata con istituti diversi rispetto a quelli previsti dalla legge italiana . Pur prefigurando un (auspicabile) intervento correttivo da parte del legislatore , volto ad introdurre un equilibrato bilanciamento di quella condizione ostativa con i principi stabiliti dagli artt. 10, 11, 13, 26 e 27 Cost., nel senso di ritenere equipollenti alla disposizione italiana i meccanismi di controllo periodico previsti da altri ordinamenti europei al fine di assicurare la ragionevole durata della custodia preventiva, quella soluzione ermeneutica non appariva certo idonea a superare tutti i dubbi e le numerose problematiche applicative derivanti da un’ipotesi di rifiuto assolutamente non prevista dalla decisione quadro, senza alcun riscontro nelle leggi di attuazione adottate da altri Stati membri, ed anzi rappresentativa di un’opzione inedita anche con riferimento alle tradizionali connotazioni del procedimento estradizionale regolato dalla Convenzione di Parigi del 13 dicembre 1957 . Basti solo pensare, sotto tale profilo, alle probabili situazioni di crisi, o, comunque, alle sicure difficolta’ di gestione dei rapporti intergovernativi con gli altri Paesi membri dell’U.E. a causa della prevedibile individuazione dell’Italia come luogo di rifugio privilegiato per gli imputati di gravi crimini transnazionali, al fine di sottrarsi piu’ agevolmente alle ricerche nei loro confronti diramate dalle rispettive autorita’ giudiziarie. Un diverso orientamento giurisprudenziale, successivamente formatosi, ha puntato tuttavia a valorizzare, nell’ambito di una prospettiva “razionalizzatrice” della norma interna, il dato della possibile “equivalenza”, in concreto, degli effetti del controllo giudiziale sui limiti temporali della custodia, ai fini della decisione positiva sulla consegna. Orientate in tal senso appaiono non solo la recente ordinanza di rimessione alle Sezioni unite della questione relativa al potenziale contrasto nella giurisprudenza di legittimita’ sull’interpretazione dell’art. 18, lett. e), della l. n. 69/2005, ma anche una parte della stessa giurisprudenza di merito , laddove ritengono possibile un’interpretazione conforme della norma interna sulla base delle indicazioni provenienti dalla Decisione quadro e delle sue premesse di fondo di carattere politico, istituzionale e culturale. Muovendo dalla considerazione che l’intero meccanismo di funzionamento del mandato d’arresto europeo si fonda sull’elevato “livello di fiducia” esistente tra gli Stati membri e sul presupposto che i relativi sistemi contengano disposizioni potenzialmente dotate di un’equivalente e “comparabile” attitudine a garantire gli imputati da una irragionevole detenzione, siffatto diverso indirizzo interpretativo reputa ammissibile una valutazione “per equivalente” dei diversi sistemi di custodia cautelare e dei loro limiti temporali, imponendosi all’autorita’ giudiziaria il rifiuto della consegna tutte le volte che il sistema di custodia cautelare in vigore nello Stato richiedente non fornisca una garanzia ritenuta equivalente a quella offerta dal nostro ordinamento attraverso il sistema dei limiti massimi di custodia. Entro tale prospettiva, dunque, la norma interna non richiederebbe certo un’irrealistica identita’-omogeneita’ dei sistemi in vigore nei vari Stati membri, ma verrebbe ad imporre un rigoroso parametro di valutazione incentrato sulla verifica in concreto del livello di garanzie offerte dallo Stato richiedente, per saggiarne il grado di assimilabilita’ alle garanzie riconosciute nel nostro ordinamento attraverso il meccanismo della predeterminazione dei limiti massimi di custodia preventiva. Ne’, in tal senso, potrebbe ritenersi preclusivo il rilievo, pur assoluto nel nostro ordinamento, della statuizione costituzionale ricavabile dall’art. 13, co. 5, che non esclude di per se’ la possibilita’ di riconoscere che altri ordinamenti europei contengano previsioni diverse, ma egualmente, se non maggiormente, rispettose del valore fondamentale della tutela della liberta’ personale dell’imputato da irragionevoli prolungamenti dello status detentionis, in ossequio ai principi generali fissati negli artt. 5 e 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, cosi’ come costantemente interpretati dalla Corte di Strasburgo. Delineati in tal modo i termini del contrasto giurisprudenziale sul rilievo da assegnare al motivo di rifiuto disciplinato dall’art. 18, lett. e), le Sezioni unite della S.C. hanno di recente optato per l’orientamento tracciato nell’ordinanza di rimessione, stabilendo il principio secondo cui l’autorita’ giudiziaria italiana deve verificare, ai fini della consegna, se nella legislazione dello Stato membro di emissione sia espressamente fissato un termine di durata della custodia cautelare fino alla sentenza di condanna di primo grado, o, in mancanza, se un limite temporale implicito sia comunque desumibile da altri meccanismi processuali che instaurino, obbligatoriamente e con cadenze predeterminate, un controllo giurisdizionale funzionale alla legittima prosecuzione della custodia cautelare, o, in alternativa, all’estinzione della stessa . Ne discende, ad avviso della S.C., che la possibilita’ di proroga della durata della custodia cautelare non e’ incompatibile con il concetto di limite massimo, mentre con esso sembrano incompatibili quei meccanismi processuali dai quali derivi che, alle scadenze temporali, pur in mancanza di un provvedimento del giudice, lo stato custodiale non debba integralmente cessare. La ratio di garanzia sottesa alla previsione di cui all’art. 18, lett. e), della l. n. 69/2005 puo’ in concreto apprezzarsi, dunque, anche nelle ipotesi in cui il limite massimo di custodia cautelare sia posto dalla legge “non in modo diretto, ma mediato attraverso la previsione di un controllo da instaurarsi entro un tempo inderogabile predeterminato dalla legge”, e sempre che, ove il controllo non sia effettuato, o conduca ad un risultato negativo sulla necessita’ dello status custodiae, si determini la “automatica liberazione” dell’imputato. L’ampio apparato argomentativo che sorregge l’importante pronuncia delle Sezioni unite fa leva, significativamente, sull’obiettivo della decisione quadro di semplificare il tradizionale istituto dell’estradizione, collocando la nuova procedura di consegna nell’ambito di una dimensione esclusivamente intergiurisdizionale, estranea ad ogni forma di “mediazione” o “filtro” di natura governativa e basata sulla comune adesione dei sistemi giuridici degli Stati membri ai principi generali della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali (ex art. 6 T.U.E. e considerandum n. 12 della Decisione quadro sul mandato d’arresto europeo). La Decisione quadro in oggetto ha inteso introdurre, infatti, sostituendo espressamente la tradizionale procedura estradizionale, un regime semplificato di consegna delle persone ricercate a fini di giustizia, in funzione del comune riconoscimento da parte degli Stati membri della efficacia di un provvedimento giudiziario di arresto avente forma e contenuto tipici, fissati dallo stesso strumento comunitario. Il decisivo cambio di prospettiva rispetto all’estradizione, indicato in particolare nelle conclusioni nn. 33, 35 e 37 del Consiglio europeo di Tampere del 15 ottobre 1999, era quello di sostituire ad una cooperazione di tipo intergovernativo, saldamente ancorata al principio di sovranita’ territoriale, “rapporti diretti” tra le autorita’ giudiziarie di Stati diversi, nei quali le possibilita’ di rifiuto della consegna dovessero essere drasticamente ridotte e formulate in modo tassativo . Il rifiuto della consegna per motivi legati alla previsione di termini di durata massima della custodia cautelare non solo non e’ previsto da alcuna convenzione internazionale in tema di estradizione, ma risulta estraneo alla stessa struttura della Decisione quadro sul mandato d’arresto europeo – che, come si e’ visto, delinea in modo tassativo i casi di rifiuto – collocandosi in una posizione di assoluta incompatibilita’ con il suo dichiarato obiettivo generale, poiche’ determina, al contempo, un aggravamento ed un sostanziale effetto regressivo della nuova procedura di consegna rispetto all’archetipo del sistema convenzionale di estradizione. L’interpretazione della condizione ostativa di cui all’art. 18, lett. e), inoltre, va inquadrata nel piu’ ampio contesto, normativo ed ermeneutico, del diritto alla ragionevole durata della custodia cautelare ante iudicium, cosi’ come riconosciuto dall’art. 5 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali – cui non a caso aderiscono tutti i Paesi membri dell’U.E. – e dalla stessa (sopra citata) pluriennale elaborazione giurisprudenziale della Corte europea dei diritti dell’uomo. Un percorso esegetico, quello tracciato dalle Sezioni unite, che sembra trovar conferma, del resto, nello stesso dato semantico ricavabile dal tenore letterale della disposizione di cui all’art. 18, lett. e), laddove, nel richiamare i limiti massimi di carcerazione preventiva, non fa riferimento alla nozione di “termini”, diversamente dalle corrispondenti disposizioni di cui agli artt. 303 – 308 c.p.p., con la conseguenza che il legislatore non avrebbe inteso subordinare la procedura di consegna all’esistenza, nello Stato richiedente, di un meccanismo fondato su termini massimi predeterminati in astratto dalla legge, ma avrebbe piu’ semplicemente prescritto che lo Stato emittente deve contemplare un sistema idoneo ad impedire un irragionevole prolungamento dello stato custodiale. L’interpretazione “adeguatrice” propugnata dalle Sezioni unite - solidamente argomentata nei suoi passaggi motivazionali ed ampiamente condivisibile nella statuizione finale del principio generale ivi delineato - tende in tal modo a valorizzare, sulla scia delle indicazioni ermeneutiche gia’ espresse dalla Corte di Giustizia CE (nel ricordato caso “Pupino”), tutte le possibili vie di esplorazione del sistema per giungere ad una doverosa “interpretazione conforme” del diritto interno al dettato della normativa comunitaria (anche attraverso l’argomento ricavabile ex art. 1, co. 1, della l. n. 69/2005), implicitamente riconoscendone, per un verso, la primazia sulla disposizione di origine nazionale ed evitandone, per altro verso, il possibile vulnus alla suprema garanzia costituzionale fissata dall’art. 13, co. 5, in relazione all’assetto normativo di un settore nevralgico dei rapporti di cooperazione giudiziaria penale tra gli Stati membri dell’U.E. . Ne’, al riguardo, sembrano prospettabili dubbi in merito ad un possibile effetto interpretativo contra legem che la stessa giurisprudenza della Corte di Giustizia CE ha mostrato di individuare – assieme al rispetto dei principi di certezza del diritto e di non retroattivita’ della norma incriminatrice - come limite invalicabile all’attivita’ esegetica del giudice nazionale: mentre la norma costituzionale delineata nell’art. 13, co. 5, e’ proiettata alla garanzia del bene supremo della liberta’ personale nell’ambito dell’esercizio della giurisdizione “interna”, la nuova procedura di consegna di una persona ricercata (come gia’, del resto, l’immediato antecedente storico del modello estradizionale) si colloca, invece, nel piu’ ampio quadro dei rapporti di cooperazione intergiurisdizionale, in una sfera di complementarieta’ di procedimenti, l’uno “servente” all’altro, al fine di assicurare una persona ricercata alla giurisdizione di un altro ordinamento europeo, con la conseguenza che il richiamo normativo al parametro costituzionale ben puo’ intendersi come l’esplicitazione di un rigoroso criterio di interpretazione che il giudice nazionale e’ tenuto di volta in volta a seguire nel valutare il livelllo di garanzia offerto dalla legislazione dello Stato emittente in materia di limiti alla custodia preventiva . Una valutazione, dunque, di tipo comparativo, quella richiesta al giudice italiano, che dovra’ stabilire “in concreto” se il quadro di garanzie ricavabili dall’analisi della legislazione dello Stato richiedente possa dirsi equivalente, o meno, a quello fornito dal nostro ordinamento in tema di predeterminazione dei termini massimi di custodia cautelare, verificando “puntualmente” se le condizioni indicate dalle Sezioni unite siano soddisfatte dalla legislazione di quello Stato . Un’analisi “incrociata” che deve essere condotta alla luce del consolidato orientamento giurisprudenziale elaborato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo e che potrebbe, comunque, rivelarsi assai complessa nella gestione dei profili strettamente procedimentali, non mancando di far emergere anche delle “sorprese” dal raffronto di sistemi che, pur senza dichiararsi, come il nostro, “ipergarantisti”, riescono a configurare modalita’ e sequenze temporali di controllo della legittimita’ della permanenza dello status detentionis parimenti – se non, addirittura, maggiormente – efficaci sul piano della tutela del diritto alla liberta’ personale da ingiustificate forme di compressione. Gia’ in altre occasioni, del resto, la S.C. ha avuto modo di precisare, sia pure con riguardo al procedimento estradizionale, che i diritti fondamentali, tra i quali rientra anche il principio del contraddittorio nella formazione della prova, possono esser garantiti “in maniera non uniforme dai vari ordinamenti”, escludendo che vi fosse stata una violazione del nucleo essenziale dei diritti di difesa dell’imputato in un caso in cui – a fronte di un’estradizione richiesta dallo Stato albanese – era stata pronunciata una sentenza di condanna utilizzando, per l’accertamento della responsabilita’ della persona da estradare, prove assunte fuori dal contraddittorio . Analogamente, e ancor piu’ di recente, la S.C. ha individuato il limite della violazione dei diritti fondamentali nell’ambito delle procedure estradizionali, stabilendo che ai fini dell’art. 705, co. 2, lett. a), c.p.p., secondo cui costituisce condizione ostativa all’estradabilita’ di una persona la circostanza che per il reato oggetto della domanda di estradizione questa e’ stata o sara’ sottoposta ad un procedimento che non assicura il rispetto dei diritti fondamentali, la verifica da parte dell’autorita’ giudiziaria italiana s’impone solo quando sia stata posta in discussione l’esistenza stessa dei principi essenziali ed irrinunciabili dell’ordinamento italiano attinenti ai valori supremi che si riconducono ai diritti fondamentali dell’uomo (e che hanno la loro fonte nella Costituzione e nelle Convenzioni internazionali sui diritti umani), e non quando si tratti di accertare le modalita’ con cui gli stessi vengono attuati . Ne’, peraltro, potrebbero trascurarsi le implicazioni del rilievo – dalle stesse Sezioni unite operato in un’altra occasione – della “concettuale” eterogeneita’ dei termini custodiali stabiliti per il processo rispetto a quelli che regolano la durata delle misure coercitive nell’ambito del procedimento estradizionale, proprio in quanto, al di la’ delle garanzie che li possono accomunare, e che rendono senz’altro applicabili alla materia dell’estradizione i principi sanciti dall’art. 13 della Costituzione, “il fine e la durata del processo ordinario non hanno nulla a che vedere con la estradizione” . In definitiva, l’assolutezza della garanzia costituzionale scolpita nell’art. 13, co. 5, viene correttamente inquadrata dalle Sezioni unite in un piu’ ampio contesto interpretativo “multilivello”, che tiene conto non solo dello “scopo” della norma comunitaria e dell’elaborazione giurisprudenziale della Corte europea dei diritti dell’uomo, ma anche della necessaria esigenza di raccordare il quadro normativo e giurisprudenziale europeo con il nostro sistema processuale ed i principi fondamentali in piu’ occasioni ribaditi dal Giudice delle leggi, in tema di limiti temporali massimi della carcerazione preventiva, “al di la’ dei quali verrebbe compromesso il bene della liberta’ personale, che costituisce una delle basi della convivenza civile” . L’interpretazione “costituzionalmente orientata” che viene in tal modo indicata dalle Sezioni unite sembra mostrare, tuttavia, un possibile punto debole allorquando, nel tentativo di colmare la distanza siderale oggettivamente intercorrente tra la “extra-vagante” norma interna e l’atto di diritto derivato che essa dovrebbe fedelmente recepire nel nostro ordinamento, ritiene di non condividere l’obiezione per cui, in tal modo, verrebbe ad essere aggiunta una condizione non prevista dalla Convenzione europea di estradizione, sul presupposto che l’ipotesi di rifiuto in questione, pur non esplicitamente indicata dalla decisione quadro, si ispirerebbe a garanzie fondamentali del processo dalla stessa comunque richiamate. Pur apparendo senz’altro auspicabile, in una prospettiva de lege ferenda, un’abrogazione, ovvero una netta correzione dell’art. 18, lett. e), da parte del legislatore ordinario, in modo da riformularne con maggior precisione i contorni e limitarne i possibili effetti dirompenti nei rapporti di cooperazione giudiziaria a livello infraeuropeo , ben difficilmente potrebbe negarsi l’attuale discrasia tra la tassativita’ dei precisi motivi di rifiuto contemplati dalla decisione quadro sul mandato d’arresto europeo ed il generale impianto normativo delineato dalla l. n. 69/2005, il cui art. 18, oltre all’ipotesi della lett. e), introduce ulteriori casi di rifiuto della consegna nelle lett. b), c), g), s) e t), parimenti non contemplati dal legislatore europeo, ne’ in alcun modo previsti dai trattati bilaterali in materia di estradizione. Ulteriori motivi di rifiuto della consegna (ad es., il consenso dell’avente diritto secondo la legge italiana, l’esercizio di un diritto, l’adempimento di un dovere, il caso fortuito e la forza maggiore, lo stato di gravidanza della persona richiesta in consegna ovvero la presenza di prole di eta’ inferiore a tre anni, ecc.), la cui eventuale opposizione da parte dell’autorita’ giudiziaria italiana potrebbe creare gravi problemi e ritardi nella gestione dei rapporti con le autorita’ giudiziarie degli altri Paesi europei, costringendo la giurisprudenza di legittimita’ a tentare nuove operazioni di “ortopedia” interpretativa, in assenza di un “calibrato” intervento da parte del legislatore. D’altro canto, pur facendo ricorso al linguaggio prudentemente soft cui le istituzioni comunitarie sogliono fare ricorso negli atti di valutazione della “compatibilita’ comunitaria” degli strumenti normativi adottati a livello nazionale, la Commissione europea ha gia’ espresso, nell’allegato al Rapporto di valutazione del 26 gennaio 2006 (presentato ai sensi dell’art. 34 della Decisione quadro sul mandato d’arresto europeo), un chiaro giudizio di difformita’ dell’art. 18, lett. e), rispetto agli artt. 3 e 4 del dettato comunitario, rilevando come nessun altro Stato membro, nell’adeguare il proprio ordinamento giuridico, abbia introdotto un simile obbligo di rifiuto della consegna . Nello stesso Rapporto, peraltro, la Commissione europea non ha mancato di rilevare, su un piano piu’ generale, che l’introduzione di motivi di rifiuto diversi da quelli indicati negli artt. 3 e 4 della decisione quadro rende comunque necessaria, per ciascuno di essi, una verifica di compatibilita’ rispetto al dato normativo ricavabile dal nuovo sistema di derivazione comunitaria. Una situazione, questa, di mancata “copertura” comunitaria che, specie in caso di reiterati e sistematici rifiuti di consegna da parte delle nostre autorita’ giudiziarie, ben potrebbe legittimare l’apertura di un contenzioso con altri Stati membri dinanzi alla Corte di Giustizia, ex art. 35, par. 7, T.U.E. . Una situazione, inoltre, di non piena “affidabilita’ ” nei rapporti di cooperazione giudiziaria, che esporrebbe il nostro sistema non solo a negative ricadute sul piano dell’immagine internazionale, ma anche a prevedibili censure in ordine alla corretta applicazione della decisione quadro adottata a norma dell’art. 34, par. 2, T.U.E. (secondo il richiamo formalmente operato nello stesso par. 7 dell’art. 35). Ove il nostro Paese avesse deliberato, al riguardo, di apporre una formale riserva nel corso del negoziato che ha preceduto l’adozione della Decisione quadro sul mandato d’arresto europeo, la condizione, verosimilmente, non sarebbe stata accettata dagli altri Paesi europei, in quanto, cosi’ come tradotta nella formulazione normativa, sarebbe stata “inesigibile”, perche’ in sostanziale contrasto con quell’elevato livello di fiducia che rappresenta la base imprescindibile del nuovo sistema di consegna tra gli Stati membri dell’U.E. . Se e’ evidente, da un lato, che il contrasto con la norma comunitaria obiettivamente permane, esso, d’altro canto, ben difficilmente potrebbe essere – sempre e comunque rimosso facendo leva sul modelllo di interpretazione “flessibile”, caso per caso ponderata, che le Sezioni unite hanno suggerito come linea-guida per l’operazione di bilanciamento esegetico che il giudice nazionale e’ chiamato a condurre: l’autorita’ giudiziaria dello Stato di emissione, invero, ben potrebbe rifiutare di dar corso alla trasmissione delle “informazioni integrative” eventualmente richieste dall’autorita’ giudiziaria nazionale utilizzando l’accorgimento formale previsto dall’art. 16, co.1, della l. n. 69/2005 . Solo regole non scritte di cortesia nei rapporti internazionali legittimerebbero, infatti, una risposta da parte dell’autorita’ giudiziaria dello Stato membro di emissione, che sotto nessun profilo potrebbe ritenersi tenuta ad inviare le richieste informazioni integrative entro i termini prefissati (ad es., come nell’ipotesi in oggetto, sulle forme e i termini del controllo de libertate nella legislazione dello Stato di emissione del mandato), a fronte di un’ipotesi di rifiuto non espressamente contemplata nello strumento comunitario, dando cosi’ luogo, indirettamente, alla grave conseguenza (la reiezione della richiesta) prevista nel nostro sistema dall’art. 6, co.6, della l. n. 69/2005. La “puntuale verifica” sull’equivalenza delle garanzie offerte dalla legislazione dello Stato di emissione non sarebbe in alcun modo possibile, in questo caso, determinando una situazione di stallo procedimentale seguita da una probabile decisione di rigetto della richiesta di consegna da parte della Corte d’appello, che ben potrebbe costituire l’occasione per attivare la competenza giurisdizionale della Corte di Giustizia CE ex art. 35, par. 7, T.U.E. . Potrebbero aprirsi, dunque, sotto questo profilo, dei varchi per una possibile valutazione di incostituzionalita’ della norma interna di attuazione, in ragione delle scorrette modalita’ di attuazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie penali, di cui proprio la Decisione quadro sul mandato d’arresto europeo ha rappresentato la prima concretizzazione storica nell’ambito dell’U.E. . Proprio l’evidenza del contrasto della norma interna con gli artt. 3 e 4 della Decisione quadro, infatti, rende estremamente problematica la percorribilita’ di un ipotetico rinvio pregiudiziale della questione di interpretazione del parametro normativo europeo dinanzi alla Corte di Giustizia ex art. 35, par.1, T.U.E. : l’unico spazio ipotizzabile per un intervento del Giudice comunitario potrebbe essere legato alla verifica delle condizioni e dei limiti di conformita’ di motivi di rifiuto che, pur non espressamente previsti dalla Decisione quadro, possano sorreggersi su un fondamento giustificativo in qualche misura ricavabile dagli stessi principi generali enucleati nel preambolo della Decisione quadro (in particolare, nel considerandum n. 12, ove chiaramente si afferma, tra l’altro, che la Decisione quadro rispetta i diritti fondamentali ed osserva i principi sanciti dall’art. 6 T.U.E., e nell’art. 1, par. 3, ove si precisa che la Decisione quadro non puo’ modificare l’obbligo di rispetto di quei diritti e di quei principi giuridici fondamentali). Al riguardo, tuttavia, pare condivisibile la scelta del Giudice rimettente, allorquando precisa che la conformita’ letterale della norma di legge ordinaria all’ultimo comma dell’art. 13 Cost. impone un preliminare apprezzamento della rilevanza della conformita’ della causa di esclusione della consegna alla nostra Costituzione, verificando se si tratti di norma rispondente ad un principio generale idoneo a superare, come tale, eventuali principi e norme comunitarie di diverso contenuto. Ed allora, se, per un verso, appare probabile una declaratoria di inammissibilita’ della questione di legittimita’ costituzionale proposta dalla Corte d’appello rimettente , sul presupposto che l’autorevole indirizzo ermeneutico tracciato dalle Sezioni unite costituisca ormai la manifestazione di un “diritto vivente” rispetto al quale non sono piu’ proponibili decisioni interpretative di segno diverso, e’ pur vero, d’altra parte, che la novita’ della questione ed il rilievo dei parametri di costituzionalita’ invocati dal Giudice rimettente potrebbero sollecitare l’avvio di una riflessione da parte del Giudice delle leggi sui limiti di conformita’ delle norme interne alla legislazione comunitaria e sul grado di apertura dell’ordinamento italiano ai principi e agli istituti elaborati dall’U.E. nel delicato settore del c.d. “terzo pilastro”, relativo alla disciplina della materia della cooperazione giudiziaria penale e di polizia tra gli Stati membri. In relazione al parametro fissato nell’art. 3 Cost., l’esplicitazione a livello nazionale di garanzie fondamentali in qualche misura ricavabili dal testo della Decisione quadro, o, comunque, desumibili dalle generali finalita’ del rispetto dei principi di cui all’art. 6 T.U.E., dovrebbe avvenire secondo criteri di “ragionevolezza”, ossia in modo tale da non compromettere, ovvero porre a rischio, con azzardate scelte lessicali, metodologiche e di contenuto, l’impianto strutturale e la stessa funzionalita’ dei risultati che lo strumento comunitario intende raggiungere (e che l’ordinamento interno ha il dovere di attuare in modo conforme, ex art. 34, par. 2, lett. b), T.U.E.). Inoltre, il necessario rispetto dei c.d. “controlimiti” al primato del diritto comunitario sul diritto interno, derivanti dalla considerazione dei principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale e dei diritti inalienabili della persona – quale ineludibile condizione per l’ingresso nel nostro ordinamento delle norme internazionali generalmente riconosciute o delle norme derivate dall’applicazione dei trattati istitutivi di organizzazioni internazionali aventi gli scopi indicati dall’art. 11 Cost. – dovrebbe essere attentamente bilanciato, anche in questo caso, con la piena osservanza dell’obbligo costituzionale imposto al legislatore ordinario dall’art. 117, co.1, Cost., al fine di garantire la fedele attuazione e la conseguente effettivita’ dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli impegni internazionali assunti dal nostro Paese. Sotto questo profilo, la sostanziale analogia tra le fonti normative rappresentate dalle direttive comunitarie e dalle decisioni quadro varate nell’ambito del Titolo VI del T.U.E. e la riconosciuta uniformita’ – da parte della stessa Corte di Giustizia CE (con la citata sentenza sul caso “Pupino”) - dell’interpretazione a titolo pregiudiziale delle decisioni quadro ex art. 35 T.U.E. rispetto a quella prevista ex art. 234 T.C.E. per le direttive comunitarie, potrebbero costituire ulteriori elementi di valutazione per saggiare la trasponibilita’ nel settore – non ancora “comunitarizzato“ - della cooperazione giudiziaria penale di argomentazioni gia’ utilizzate dalla Corte costituzionale per dichiarare, come e’ avvenuto in altre occasioni, l’illegittimita’ di una legge regionale in contrasto con una direttiva comunitaria in ordine al mancato rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario ex art. 117, co.1, Cost. (laddove le prescrizioni della direttiva imponevano agli Stati membri un’uniformita’ di comportamenti, disattesa invece dalla legge regionale, venendosi in tal modo ad incidere sulla “complessiva efficacia” del procedimento comunitario). 24) L’attuazione del mandato d’arresto europeo negli altri Stati membri dell’U.E.: a) i rapporti di valutazione della Commissione europea; b) le pronunce delle Corti costituzionali in Germania, in Polonia, in Cipro e in Belgio; c) il principio di interpretazione conforme nella giurisprudenza della House of Lords . a) La Commissione europea, con un rapporto del 23 febbraio 2005, ha già proceduto, ex art. 34 par. 3 della decisione quadro, ad una prima valutazione sullo stato dell’attuazione del nuovo strumento normativo nelle diverse legislazioni degli Stati membri . L’esito della valutazione preliminare sull’impatto della nuova procedura di consegna nei diversi sistemi europei si è rivelato sostanzialmente positivo, riservandosi peraltro la Commissione la facoltà di presentare in seguito proposte di modifica della decisione quadro sulla base dell’applicazione pratica della disciplina nei diversi Stati membri . I primi, provvisori, dati statistici esaminati dalla Commissione sono apparsi in effetti piuttosto incoraggianti: fino al mese di settembre 2004, ossia nella prima, limitata, fase di applicazione della procedura di consegna tra gli Stati membri, si sono registrati oltre 2.600 mandati d’arresto emessi, con 653 persone arrestate e 104 consegnate (alla fine del 2004 le richieste sono state 3.698, con 397 consegne), mentre nel corso del 2005 i dati comunicati alle istituzioni comunitarie mettono in luce un significativo incremento, con 6.856 richieste e 824 consegne . Solo il consolidamento delle prassi operative nelle relazioni tra le autorità giudiziarie dei diversi Stati membri permettera’, tuttavia, una verifica completa dell’efficacia del nuovo meccanismo procedurale, anche sotto il profilo, invero decisivo, della rilevanza e del grado di tutela dei diritti della difesa e delle garanzie procedurali. Basti pensare alle conseguenze delle (inevitabilmente) difformi valutazioni delle garanzie speciali che lo Stato emittente deve fornire allo Stato di esecuzione a fronte delle specifiche evenienze procedimentali individuate nell’art. 5 decisione quadro (decisioni rese in absentia, ergastolo e consegna del cittadino o del residente nello Stato membro di esecuzione), ovvero al diverso grado di apprezzamento dell’«obbligo di rispettare i diritti fondamentali e i fondamentali principi giuridici sanciti dall’articolo 6 del trattato sull’Unione europea», così come espressamente richiamato nell’art. 1 par. 3 decisione quadro, o, infine, all’impatto delle prime decisioni che verranno pronunciate dagli organi di giustizia costituzionale dei diversi Paesi membri. Particolarmente interessante, in questa prospettiva, appare, inoltre, la tipologia degli specifici criteri di valutazione seguiti dalla Commissione europea nel suo preliminare esame del valore aggiunto del nuovo meccanismo di consegna nelle legislazioni dei diversi Stati membri: a) la natura giudiziaria del mandato d’arresto europeo (sul presupposto dell’esclusione di ogni interferenza dell’esecutivo e dell’instaurazione di contatti diretti tra le autorità giudiziarie interessate); b) l’efficacia del mandato d’arresto (limitazione dei motivi di rifiuto a quelli di carattere strettamente tecnico-giuridico previsti nella decisione quadro, unitamente al principio dell’esclusione del divieto di consegna dei cittadini e dei residenti); c) la rapidità del mandato d’arresto (previsione di limiti temporali ristretti per l’esecuzione delle decisioni di consegna e semplificazione delle procedure di trasmissione attraverso la predisposizione di un unico formulario allegato alla stessa decisione quadro). Significativo, ancora, appare, quanto meno sotto il profilo delle implicazioni connesse alla sostanziale assimilabilità dello strumento della decisione quadro rispetto a quello della direttiva comunitaria quale atto normativo di diritto derivato, il dato di fatto per cui la Commissione europea ha elaborato ulteriori criteri generali di valutazione oggettiva della corretta attuazione della decisione quadro, traendoli mutatis mutandis proprio dall’analisi dei tratti specificamente caratterizzanti questa determinata tipologia di fonte normativa. Si tratta, segnatamente, dei seguenti ulteriori criteri: a) conformità delle forme e dei metodi di recepimento agli scopi dello strumento; b) rispetto delle esigenze di chiarezza e di certezza giuridica nella trasposizione; c) rispetto dei termini di attuazione fissati dalla fonte comunitaria. In tal senso, la disamina comparata delle diverse legislazioni di attuazione ha consentito di valutare con favore soprattutto gli aspetti relativi alla migliore tipizzazione dei motivi di rifiuto, alla possibilità di consegna del cittadino (anche se con l’attivazione della clausola inerente alla condizione dell’esecuzione della pena sul proprio territorio nazionale) ed alla giurisdizionalizzazione della procedura, sia sotto il profilo della scomparsa delle decisioni di rifiuto incentrate su motivazioni di mera opportunità politica, sia sotto quello della instaurazione di contatti diretti tra le autorità giudiziarie nelle differenti fasi della procedura di consegna. Sotto questo aspetto, se è senz’altro positivo, per un verso, il fatto che l’interposizione di un’autorità centrale con facoltà assorbenti di trasmissione-ricezione del mandato sia stata sostanzialmente limitata in una minoranza di casi, è parimenti indubbia, per altro verso, la forza “frenante” che può esercitare, ai fini della speditezza, della semplificazione e della complessiva armonizzazione delle procedure, l’opponibilità di quei motivi di rifiuto che, in taluni casi, fanno leva su non meglio precisate considerazioni di sicurezza nazionale (ad es., nel Regno Unito), o che comportano, addirittura, forme di controllo indebito da parte dello Stato dell’esecuzione sul “merito” della procedura che ha determinato l’impulso decisorio legato alla richiesta di consegna trasmessa dallo Stato membro emittente (ad es., nei Paesi Bassi). È anche da sottolineare il fatto che numerosi Stati membri, sia pure con la previsione di differenti modalità ed effetti, hanno ritenuto di inserire nei rispettivi sistemi interni talune forme di garanzia ad abundantiam – riconnesse all’eventuale opponibilità della clausola di non discriminazione, ovvero di motivi di rifiuto legati alla violazione dei diritti fondamentali (ad es., il Regno Unito, la Germania, che contempla al riguardo una specifica causa di inammissibilità dell’esecuzione del mandato d’arresto, l’Italia, ecc.) – che, se pur legittime in relazione all’impianto della decisione quadro ed in qualche misura comprensibili a fronte di un “allargamento” territoriale dell’Unione probabilmente non ancora del tutto assimilato, appaiono senz’altro contraddire uno spazio europeo di “fiducia reciproca”, costruito proprio sulla condivisione di quei diritti di libertà e di quelle garanzie fondamentali che costituiscono il nucleo originario della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, dell’art. 6 TUE e della Carta dei diritti fondamentali adottata a Nizza il 7 dicembre 2000, addirittura incorporata e costituzionalizzata nella Parte II del Trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa . In questo senso, nessun motivo di rifiuto è stato espressamente previsto al riguardo dai conditores poiché la stessa ratio essendi dello strumento normativo comunitario poggia sulla condivisione dei principi-cardine dello Stato di diritto: anche in difetto di un’esplicita formulazione, dunque, nulla vieterebbe all’autorità giudiziaria dell’esecuzione, ai sensi dell’art. 1 par. 3 e del considerando n. 12 della decisione quadro, di bloccare la procedura di consegna qualora fosse riscontrata in concreto una violazione dell’art. 6 TUE, poiché si tratterebbe di un’evenienza talmente grave e dirompente da mettere in dubbio la stessa solidità di quel “patto” fondativo che è alla base dell’adozione di un atto normativo derivato dell’UE. Non a caso del tutto insignificante è risultata, nel primo periodo di applicazione della nuova procedura, l’opposizione di motivi di rifiuto legati al rispetto dei diritti umani e delle garanzie procedurali ; solo in casi limitati, del resto, le autorità giudiziarie emittenti hanno ricevuto, sinora, le richieste di garanzie suppletive in relazione alle situazioni particolari specificamente individuate ai sensi dell’art. 5 decisione quadro. Rispetto al previgente sistema estradizionale emergono, poi, ulteriori aspetti positivi sia per quel che attiene alla maggiore rapidità della procedura di consegna (solo in pochi casi, finora, non si è rispettato il termine dei novanta giorni di cui all’art. 17 par. 4, con una sensibile riduzione dei tempi, tra l’altro, in caso di consenso dell’interessato), sia per l’evidente innalzamento del quadro complessivo delle garanzie difensive (basti solo pensare al diritto all’assistenza difensiva, al diritto di veder dedotto dalla condanna il periodo complessivo di custodia derivante dall’esecuzione del mandato d’arresto, o alla precisazione del limite del ne bis in idem quale motivo di rifiuto), la cui effettività – anche se molto resta ancora da fare sul piano della necessaria delineazione di una cornice generale di diritti processuali e garanzie difensive comuni – viene esaltata dalla scomparsa del filtro politico e dalla definitiva giurisdizionalizzazione della procedura. Ancora insufficiente, invece, appare il coinvolgimento di Eurojust nelle situazioni specificamente delineate dagli artt. 16 par. 2, e 17 par. 7 della decisione quadro: nonostante l’evidente valore aggiunto che un organismo giudiziario sovranazionale come Eurojust può apportare sul piano della sollecitazione del rispetto dei termini procedurali, ovvero della definizione del possibile conflitto di giurisdizioni in caso di concorso di richieste, ancora assai limitati risultano – probabilmente, anche in ragione di un’incompleta ed inefficace opera di recepimento – i casi in cui lo stesso è stato finora informato o consultato . Ed ancora, e’ senz’altro significativo, specie per le inevitabili implicazioni ed i riflessi sulle prospettive di modifica della normativa italiana di attuazione del m.a.e., che con un nuovo rapporto valutativo sull’applicazione del mandato d’arresto europeo nei Paesi membri dell’U.E. del 24 gennaio 2006, la Commissione europea, pur esprimendo soddisfazione per gli esiti positivi delle prime applicazioni giurisprudenziali del nuovo istituto, abbia rilevato, in particolare, la notevole eccezione al principio di non applicazione del requisito della c.d. doppia incriminabilita’ rappresentata dalla legislazione italiana (however, there are no major difficulties at this stage with the transposal of the list of 32 categories of offence for which double criminality is abolished, with the notable exception of one country’s legislation, which appears not to recognise the principle [art.2.It] ), richiedendo ad alcuni Stati membri, fra i quali anche l’Italia, di aderire completamente alla decisione quadro . Nell’ultimo rapporto di valutazione dell’11 luglio 2007, infine, la Commissione europea riconosce che, nonostante alcune difficolta’ inziali di recepimento nelle legislazioni dei Paesi membri, il ricorso alla nuova procedura e’ ormai generalizzato, confermando un giudizio di sostanziale efficacia dello strumento sia relativamente ai termini (estremamente ridotti ed a carattere vincolante), sia con riguardo all’incremento delle garanzie in favore delle persone ricercate . Sotto altro profilo, tuttavia, la Commissione non ha mancato di rilevare che nonostante le correzioni e le modifiche sinora intervenute a livello nazionale, e’ ancora piuttosto lungo l’elenco degli Stati membri che dovranno “conformare” pienamente le rispettive legislazioni al contenuto precettivo ed alle finalita’ della decisione quadro. Nel citato rapporto di valutazione, infatti, vengono evidenziate numerose lacune su cui gli Stati membri interessati dovranno continuare ad operare per rendere uniforme l’attuazione dello strumento: dalla modifica delle soglie minime per le pene richieste (Olanda, Austria e Polonia) alla designazione di un organo esecutivo individuato quale giurisdizione competente a tutti gli effetti (Danimarca) o solo parzialmente (Germania, Grecia, Lituania, ecc.), dal rilievo delle prassi disomogenee in materia di “consegna accessoria” (non esplicitamente prevista, peraltro, nella decisione quadro) all’assenza di un termine massimo per la fase decisoria riservata alle giurisdizioni superiori (Repubblica Ceca, Malta, Portogallo, Regno Unito, ecc.), sino alle problematiche applicative legate alle censurate imperfezioni della procedura di consegna dei cittadini nazionali (ad es., per l’introduzione di una limitazione temporale nella Repubblica Ceca e nella Polonia, ovvero per il ripristino del controllo della doppia incriminazione in Olanda ed in Polonia). Con specifico riferimento al sistema italiano, infine, la Commissione ha significativamente rilevato la difformita’ dell’art. 40, comma 1, della legge n. 69/2005 rispetto all’impianto normativo della decisione quadro (prevedendo in via transitoria l’applicabilita’ della nuova disciplina alle richieste di esecuzione dei mandati d’arresto solo se sono stati emessi e pervenuti dopo la sua data di entrata in vigore, vale a dire il 14 maggio 2005) e, soprattutto, il ripristino del controllo della doppia incriminazione con riferimento all’intero elenco delle trentadue categorie di reato di cui all’art. 2, par. 2, della decisione quadro (ex art. 8, commi 1 e 2, della legge di attuazione). Ulteriori nodi problematici, infine, sono stati evidenziati sia con riguardo alla introduzione nel nostro sistema di motivi di rifiuto che travalicano la decisione quadro (ad es., nell’art. 2 della legge n. 69/2005) o che in essa, addirittura, non sono affatto contemplati (art. 18), sia in relazione all’esigenza di condizioni supplementari, ovvero di indicazioni e riscontri documentali non previsti dal modulo allegato al nuovo strumento (ad es., con l’art. 6 della legge di attuazione). Un’attenta disamina della rilevanza delle implicazioni pratiche legate alle disarmonie o, addirittura, ai palesi contrasti con lo strumento normativo comunitario rendera’ probabilmente necessari, non solo nel nostro Paese, ulteriori interventi correttivi o modificativi delle correlative legislazioni di attuazione, per venire incontro alle sollecitazioni ed ai suggerimenti in tal senso formulati dalla Commissione europea. b) Il ruolo delle Corti costituzionali nazionali puo’ assumere un rilievo decisivo per “saggiare” il grado di resistenza della fonte comunitaria ai “controlimiti” derivanti dal necessario rispetto dei diritti fondamentali e della specificita’ delle diverse tradizioni costituzionali. In Germania, ad es., il Tribunale costituzionale federale, con la decisione del 23 novembre 2004 (2 BVR – 2236/04), ha sospeso l’esecuzione di un mandato d’arresto richiesto dalla Spagna nei confronti di una persona, con doppia cittadinanza siriana e tedesca, di cui era stata richiesta la consegna per il reato di associazione terroristica contro Stati esteri, sul presupposto di un periculum in mora e di un fumus boni iuris rispetto alla violazione di principi fondamentali della Costituzione tedesca, ed in primo luogo quello della riserva di legge. La conclusione cui è pervenuto il Tribunale è stata nel senso del contrasto con la Costituzione, in ragione dell’inammissibilita’ dell’estradizione di un cittadino di nazionalita’ tedesca (ex art. 16, par. 2, Cost., secondo cui nessun cittadino tedesco puo’ essere estradato all’estero, fatta salva una eventuale deroga, da stabilirsi con legge, per quanto riguarda l’estradizione verso uno Stato membro dell’U.E. ovvero verso una Corte internazionale, nella misura in cui siano garantiti i principi fondamentali dello stato di diritto) e dell’impossibilita’ di un ricorso giurisdizionale contro la decisione di consegna (ex art. 19, par. 4, Cost., secondo cui qualora una persona subisca una violazione dei propri diritti da parte dei pubblici poteri puo’ adire l’autorita’ giudiziaria ordinaria). Inevitabile, dunque, e’ sembrato, a questo punto, il ritorno alle regole del precedente meccanismo estradizionale, almeno fino a quando il Parlamento tedesco non avrebbe provveduto alla modifica della propria legge interna di attuazione della decisione quadro, riformulando i motivi di inammissibilita’ dell’estradizione di un cittadino tedesco e predeterminando in modo adeguato le decisioni in materia estradizionale. In effetti, nel periodo intercorrente fra il 18 luglio 2005 ed il 2 agosto 2006, data di entrata in vigore della nuova legge tedesca di attuazione, la Germania ha cessato di consegnare o anche di estradare i propri cittadini, mentre per le altre persone ricercate ha accettato di consegnarle solo in applicazione del previgente regime estradizionale. Continuavano ad essere regolarmente emessi, invece, i mandati d’arresto europei destinati agli altri Stati membri. Secondo la pronuncia della Corte costituzionale, in particolare, la possibilita’ di limitare il divieto di estradizione del cittadino tedesco deve comunque mantenere inalterata la tutela del diritto fondamentale, rispettando in pieno il principio di proporzionalita’ ed altri vincoli di natura costituzionale, come la garanzia del ricorso giurisdizionale. L’art. 16 Cost., infatti, ad avviso della Corte, nel prevedere il divieto di estradizione e di privazione della cittadinanza garantisce il particolare collegamento dei cittadini con l’ordinamento giuridico di appartenenza, tutelandone l’affidamento riposto nella sicura permanenza sul territorio di quello Stato, specialmente nell’ipotesi in cui la condotta posta alla base della richiesta di estradizione possieda un considerevole grado di collegamento con il territorio nazionale (perche’ commessa, in tutto o in parte, su territorio tedesco, su navi o aeromobili tedeschi, ovvero in luoghi sottoposti alla sovranita’ tedesca). Ne consegue che mentre in tali ipotesi le imputazioni eventualmente formulate nei confronti di un cittadino tedesco dovrebbero in linea di principio essere oggetto di un processo penale in Germania, diversa dovrebbe essere, per contro, la valutazione qualora il reato oggetto della richiesta estradizionale possieda un rilevante collegamento con il territorio straniero (perche’, ad es., la condotta e’ stata interamente o in parte essenziale compiuta sul territorio di un altro Stato membro dell’U.E. e l’evento si e’ cola’ verificato), ovvero allorquando la condotta sia stata compiuta interamente o in parte in Germania, ma l’evento si sia verificato all’estero: in queste situazioni, infatti, la tutela offerta dal divieto di estradizione potrebbe non operare e, comunque, dovrebbero essere comparati tra loro, da un lato, la gravita’ del reato e le pratiche necessita’ e possibilita’ dell’effettivo esercizio dell’azione penale, dall’altro gli interessi dell’imputato costituzionalmente tutelati, in relazione agli scopi connessi alla creazione dello spazio giuridico europeo. A seguito della decisione di annullamento adottata dalla Corte costituzionale, come si e’ accennato, si e’ determinata una pericolosa situazione di incertezza giuridica, poiche’ due Stati membri (ossia, la Spagna e l’Ungheria) hanno rifiutato durante quel periodo, invocando il principio di reciprocita’, di riconoscere i mandati d’arresto europei che la Germania continuava ad emettere. Quegli Stati membri, infatti, ritenevano che, disapplicando il principio di reciproca fiducia, la Germania non potesse a sua volta attendersi che gli altri Paesi ne accettassero le richieste di consegna per i soggetti ricercati di altra nazionalita’. E’ significativo rilevare, a tale riguardo, come tali problemi siano stati poi definitivamente superati a seguito di una legge di riforma adottata il 20 luglio 2006 ed entrata in vigore il 2 agosto 2006, con cui il Parlamento tedesco si e’ sostanzialmente adeguato alle indicazioni espresse dalla Corte costituzionale, sia per quel che attiene ad una maggiore tutela dei cittadini coinvolti nelle procedure di consegna, sia in merito all’introduzione di vie di ricorso giurisdizionale avverso le decisioni di consegna . In Polonia, inoltre, è stata rimessa all’attenzione del Tribunale costituzionale, con una decisione resa dal Tribunale regionale di Gdansk in data 27 gennaio 2005 (n. IV Kop 23/04), la questione della conformità o meno all’art. 55 par.1 Cost., dell’art. 607 t par. 1 c.p.p. polacco – così come novellato a seguito dell’attuazione della decisione quadro in esame – che permette la consegna di un cittadino polacco ad un altro Stato membro dell’U.E. sulla base della trasmissione di un mandato d’arresto europeo. Anche in questo caso è stata censurata la su indicata norma polacca di attuazione della decisione quadro, entrata in vigore contestualmente all’adesione della Polonia all’U.E., in ragione del contrasto con il chiaro parametro di riferimento rappresentato dall’art. 55, par.1, Cost., che vieta senza eccezioni l’estradizione dei cittadini polacchi. E’ interessante rilevare, sotto questo profilo, che il Tribunale costituzionale ha strutturato la base motivazionale della sua decisione sul presupposto di una radice comune tra l’istituto della consegna in ambito europeo e quello dell’estradizione internazionale (nella cui categoria concettuale ha ritenuto che debba considerarsi ricompreso anche il primo), atteso che le discrepanze, anche significative, tra i due istituti non sono state giudicate sufficienti ad escludere comunque il fatto che, in ogni caso, si tratta del deferimento presso la giurisdizione di un altro Stato di una persona perseguita o condannata, al fine di sottoporla a procedimento penale o di farle ivi scontare la pena detentiva. Avvalendosi, inoltre, della facolta’ prevista dall’art. 190 Cost., il Tribunale costituzionale ha differito nel tempo – fino al termine massimo consentito di diciotto mesi, a decorrere dal 5 maggio 2005, giorno successivo alla data di pubblicazione della sentenza sulla Gazzetta ufficiale – gli effetti della decisione di incostituzionalita’, con la conseguenza che la magistratura polacca ha continuato ad ordinare la consegna di propri cittadini incriminati negli altri Stati dell’area comunitaria fino all’approvazione – nel lasso temporale intercorrente tra la data di pubblicazione del dispositivo della decisione e lo spirare del termine a far data dal quale l’efficacia della decisione di incostituzionalita’ sarebbe stata piena e definitiva - una disposizione legislativa volta ad abrogare la norma di attuazione colpita dal vaglio di incostituzionalita’. Decorso il termine su indicato, la norma censurata (ossia, l’art. 607 c.p.p. ) avrebbe cessato di essere applicata e la Polonia avrebbe dovuto optare tra l’ipotesi di una puntuale revisione costituzionale secondo il dettato offerto dalla decisione quadro, per poi ripristinare ex novo la censurata disposizione, ovvero quella dell’assunzione di responsabilita’ per una evidente inadempienza sul piano comunitario-intergovernativo . La disposizione di legge oggetto della censura d’incostituzionalita’ ex art. 55, § 1, ha continuato ad essere applicata sino alla data del 6 novembre 2006, ossia il termine stabilito dalla Corte costituzionale polacca per dar modo al Governo di conformare la Carta costituzionale agli obblighi assunti in sede europea. Durante tutto questo periodo, peraltro, la Polonia ha continuato ad eseguire la consegna dei propri cittadini, fino a quando, per effetto di una legge di revisione costituzionale del 7 novembre 2006, il codice di procedura penale e’ stato modificato con una legge entrata in vigore il 26 dicembre 2006 (nelle more, il novellato art. 55 della Costituzione ha formato oggetto di un’applicazione diretta nell’ordinamento polacco a far data dal 7 novembre 2006, conformemente alla sentenza emessa dal Tribunale costituzionale) . V’e’, poi, da osservare che anche nell’ordinamento cipriota la Corte suprema, con una decisione del 7 novembre 2005 , ha ritenuto incostituzionale la consegna dei cittadini ciprioti, obbligando il Governo ad impegnarsi in un’opera di revisione costituzionale, successivamente intervenuta con una legge entrata in vigore il 28 luglio 2006. Un approfondito dibattito sull’efficacia e l’ambito di applicazione dello strumento normativo della decisione quadro si e’ avviato, del resto, anche nel Regno del Belgio, ove di recente la Corte costituzionale, con decisione n. 124 del 13 luglio 2005, ha rimesso alla valutazione della Corte di Giustizia delle Comunita’ europee le questioni pregiudiziali inerenti alla compatibilita’ della decisione quadro sul mandato d’arresto europeo con il principio generale dettato dall’art. 34, par. 2, lett. b), TUE (in relazione alla possibile deviazione dalla tipica finalita’ di armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari assegnata a quello strumento di diritto derivato nell’ambito del terzo pilastro comunitario), nonche’ alla compatibilita’ dell’art. 2 par. 2 decisione quadro – nella parte in cui sopprime l’esigenza del controllo della doppia incriminazione - con i principi fondamentali richiamati dall’art. 6, par. 2, TUE (in particolare, il principio di legalita’ in materia penale ed il principio di eguaglianza e non discriminazione) . A tale riguardo, nelle conclusioni presentate il 12 settembre 2006 dall’Avvocato Generale M.Damaso Ruiz-Jarabo Colomer dinanzi alla Corte di Giustizia CE, le questioni prospettate dalla Corte belga in sede di rinvio pregiudiziale sono state ritenute infondate, osservandosi, in particolare, che il principio di legalita’ opera nel diritto penale sostanziale come un imperativo per il legislatore, quando definisce i reati e fissa le pene corrispondenti, e per il giudice, quando esamina i reati ed applica le pene nell’ambito di un procedimento penale: la decisione quadro sul mandato d’arresto europeo, sotto questo profilo, difficilmente potrebbe violarlo, poiche’ non istituisce nessuna pena, ne’ pretende di armonizzare i sistemi penali degli Stati membri, ma si limita a strutturare – assoggettandolo a ben determinate condizioni - un meccanismo di assistenza tra i magistrati di diversi Paesi coinvolti in un procedimento, al fine di sottoporre a giudizio una persona imputata di un reato, ovvero di farle scontare una condanna. Pertanto, l’arresto e la messa a disposizione – quali azioni in cui si traduce l’esecuzione di un m.a.e. – non rivestono propriamente carattere punitivo, mentre la certezza che il principio di legalita’ esige deve essere richiesta al diritto penale sostanziale dello Stato membro di emissione, e, conseguentemente, al legislatore ed al giudice di quest’ultimo, nell’avviare un procedimento penale e nel risolverlo, se del caso, con una condanna. Il giudice competente per l’esecuzione e’ tenuto, infatti, a verificare che sussistano tutti gli elementi necessari al fine di consegnare al giudice emittente la persona richiesta, senza addentrarsi nel merito della questione, ed astenendosi dal valutare le prove e dal pronunziare un qualsiasi giudizio di colpevolezza. Eventuali squilibri applicativi nell’esecuzione del m.a.e., del resto, possono essere risolti, secondo la prospettiva seguita dall’Avvocato Generale, attraverso il sistema delle precauzioni appositamente introdotte dallo strumento comunitario, laddove si consente uno scambio di informazioni ed una consultazione diretta tra i magistrati coinvolti, senza dimenticare che, qualora permangano dubbi circa il significato dei concetti elencati dall’art. 2, n. 2, della decisione quadro, la possibilita’ di una pronuncia in via pregiudiziale ex art. 35 T.U.E. fornisce comunque il mezzo appropriato per giungere ad un’interpretazione uniforme di quella disposizione normativa nell’ambito territoriale dell’Unione europea. Non emergono, inoltre, profili di diseguaglianza nell’applicazione della legge allorche’ decisioni discordanti promanino da tribunali diversi che agiscono nel legittimo esercizio della loro competenza a giudicare, non esigendo il principio di eguaglianza che organi giurisdizionali indipendenti diano interpretazioni coincidenti. In definitiva, secondo l’Avvocato Generale, la ragionevolezza e proporzionalita’ della misura appaiono indiscutibili poiche’ il distinto regime normativo introdotto dall’art. 2, n. 2, della decisione quadro non ha altro obiettivo se non quello di assicurare la consegna della persona ricercata o condannata per un reato grave alle autorita’ di un sistema giurisdizionale simile al proprio, che rispetta i principi dello Stato di diritto e garantisce all’interessato l’osservanza dei suoi diritti fondamentali, ivi compresi quelli operanti nel corso di un procedimento penale. Nell’elenco dell’art.2, n. 2, infatti, vengono incluse categorie di reati che colpiscono gravemente beni giuridicamente tutelati e meritevoli di una speciale protezione in Europa, comportamenti rispetto ai quali “la verifica della doppia incriminazione appare superflua, poiche’ vengono ripudiati dalla generalita’ degli Stati membri” (punto n. 93 delle conclusioni). Anche a voler prescindere, poi, dalla specifica garanzia introdotta dall’art. 4, n. 7, della decisione quadro in relazione all’esercizio extraterritoriale dello ius puniendi, il duplice criterio previsto dalla decisione quadro (ossia, la natura della violazione e la consistenza della pena) rende generalmente improbabile che uno Stato membro debba dare esecuzione ad un mandato d’arresto europeo emesso per un fatto non perseguibile nel suo ordinamento interno. Nessuna incidenza significativa, dunque, emerge in relazione al principio di eguaglianza, poiche’ non viene operata alcuna discriminazione nei confronti di un soggetto in particolare, dovendosi eseguire ciascun mandato d’arresto europeo emesso per uno dei reati previsti dall’art. 2, n. 2, della decisione quadro, a prescindere dalle condizioni personali e sociali della persona interessata . Come si vedra’ meglio piu’ avanti, la Corte di Giustizia CE, con una importante pronuncia adottata il 3 maggio 2007, ha sostanzialmente accolto le conclusioni dell’Avvocato Generale, ritenendo conforme l’art. 2, n. 2, della Decisione quadro ai principi di legalita’, di eguaglianza e non discriminazione. c) Una significativa espansione dei poteri interpretativi del giudice penale, unitamente ad una decisa linea di indirizzo nel senso del rafforzamento degli attuali strumenti della cooperazione giudiziaria nell’ambito del Terzo Pilastro, sembrano trarsi dalla motivazione della recente sentenza della Corte di Giustizia sul caso cd. “Pupino”, ove si e’ statuito che il giudice nazionale e’ tenuto ad interpretare il diritto interno, per quanto possibile, in maniera conforme alla lettera ed allo scopo della Decisione quadro – che nel caso di specie, addirittura, non era stata ancora attuata nell’ordinamento interno – al fine di conseguire il risultato da quest’ultima perseguito . La Corte di Giustizia, peraltro, non ha mancato di sottolineare che il principio di interpretazione conforme di quell’atto di diritto derivato - il cui carattere vincolante, ex art. 34, par. 2, lett. b), T.U.E., appare non a caso tratteggiato in termini identici a quelli descritti dall’art. 249, par. 3, TCE, in materia di direttive comunitarie – deve comunque incontrare i suoi limiti nei principi generali del diritto, ed in particolare in quelli di certezza del diritto e di non retroattivita’, riconducendo in tal modo la materia del cd. Terzo pilastro nell’alveo di un’interpretazione logico-sistematica rispondente a canoni uniformi e validi anche per quelle del primo Pilastro, a prescindere dalla specificita’ del settore – la tutela delle vittime nel procedimento penale - nel cui ambito ricadeva il caso portato alla sua attenzione. Il principio in tal modo enunciato appare di grande rilievo poiche’ avvicina sensibilmente lo status delle decisioni quadro – ossia del piu’ significativo degli strumenti del Terz Pilastro – a quello delle direttive, accentuandone il distacco rispetto ai tradizionali strumenti di diritto internazionale, i quali, come e’ noto, non penetrano nel diritto interno degli Stati se non a seguito della loro ratifica e, comunque, di una legge che dia loro piena esecuzione: le decisioni quadro, dunque, per espressa disposizione dell’art. 34 T.U.E., non possono in alcun caso dispiegare effetti diretti nell’ordinamento, a differenza delle direttive, ma il giudice penale, d’ora in poi, dovra’ farvi direttamente riferimento, utilizzandole quale criterio ermeneutico del diritto vigente, anche in assenza di una loro attuazione da parte del legislatore nazionale e, soprattutto, a seguito del loro recepimento nell’ordinamento interno, permanendo quell’obbligo di interpretazione conforme anche in relazione alla verifica del livello di compatibilita’ comunitaria della correlativa legge di attuazione . L’obbligo di interpretazione conforme, del resto, come viene nitidamente ricordato nelle conclusioni dell’Avv. Generale Antonio Tizzano, presentate il 30 giugno 2005 dinanzi alla Corte di Giustizia CE (C-144/04, Mangold c. Rudiger Helm), costituisce uno degli effetti “strutturali” della norma comunitaria che consente, assieme allo strumento piu’ invasivo dell’efficacia diretta, l’adeguamento del diritto interno ai contenuti ed agli obiettivi dell’ordinamento comunitario; proprio in ragione di tale natura, secondo l’orientamento costante della Corte di Giustizia, quell’obbigo s’impone con riguardo a tutte le fonti dell’ordinamento, si traducano esse in norme primarie o di diritto derivato, in atti produttivi di effetti giuridici vincolanti o non, arrivando a “lambire” perfino le raccomandazioni . Sulla scia della pronuncia emessa dalla Corte di Giustizia nel menzionato caso “Pupino” si colloca, inoltre, la pronuncia della House of Lords del 28 febbraio 2007 (Dabas v. High Court of Justice, Madrid) sulla corretta interpretazione della legge britannica che ha attuato la decisione quadro sul mandato d’arresto europeo (cd. Extradition Act 2003) . I giudici inglesi hanno fatto applicazione del criterio ermeneutico dell’interpretazione conforme, combinandone i presupposti logici e le correlative implicazioni pratiche con lo scopo della decisione quadro, ossia quello di rimuovere le complessita’ ed i ritardi propri delle pregresse pratiche estradizionali nell’ambito di un sistema di circolazione delle decisioni giudiziarie fondato sull’innovativo principio del reciproco riconoscimento. Muovendo da tale impostazione, dunque, si e’ ritenuto che l’imposizione da parte di uno Stato membro di formalita’ ulteriori (nel caso di specie, l’allegazione di un certificate da parte dello Stato richiedente in ordine alla tipologia ed alla sanzione edittale del reato oggetto del mandato d’arresto) rispetto a quelle stabilite dalla decisione quadro, avrebbe determinato l’introduzione di un requisito tecnico in grado di frustrare la comune volonta’ di un unico form di ordine di arresto accettato da tutti gli Stati membri dell’U.E. . Le norme rilevanti dell’Extradition Act 2003 sono state, invece, correttamente interpretate sul presupposto che l’intenzione del legislatore interno non poteva essere quella di adottare una legge incompatibile con lo strumento della decisione quadro, ne’ di ostacolare i rapporti di cooperazione tra il Regno Unito e gli altri Stati membri dell’U.E. . Sotto questo profilo e’ risultata evidente, allora, la superfluita’ di un documento attestativo diverso e separato rispetto al mandato d’arresto, mentre la firma dell’autorita’ emittente, seguendo la stessa prospettiva ermeneutica, e’ apparsa senz’altro idonea ad offrire garanzie sufficienti circa l’accuratezza delle informazioni contenute nella richiesta di consegna, soddisfacendo sia le esigenze di verifica previste dalla normativa interna, sia le finalita’ sottostanti allo strumento comunitario che si e’ inteso attuare nell’ordinamento britannico. La regola interpretativa, cosi’ enunciata, riposa, del resto, sul solido fondamento rappresentato dal principio di leale cooperazione cui tutti gli Stati membri sono tenuti ai sensi dell’art. 10 TCE: nonostante la base propriamente ”comunitaria” della disposizione di cui all’art. 10, la natura generale del vincolo ivi stabilito copre anche la dimensione propriamente “intergovernativa” e si estende, pertanto, sia pure indirettamente, anche all’attivita’ giurisdizionale, poiche’, come riconosciuto dalla stessa Corte di Giustizia nel caso “Pupino”, risulterebbe ben difficile per gli Stati membri dell’Unione europea adempiere efficacemente alla loro missione nel contesto del processo di integrazione, se il principio di leale cooperazione non si imponesse anche nelle materie proprie del c.d. Terzo pilastro . Si e’ gia’ avuto modo di osservare, peraltro, che una importante valorizzazione del canone dell’interpretazione conforme emerge dall’ampio iter motivazionale della pronuncia resa dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione in ordine alla delimitazione della portata applicativa del motivo di rifiuto stabilito dall’art. 18, lett. e), della legge n. 69/2005: in quel caso, infatti, la valutazione comparativa che il giudice nazionale e’ chiamato ad effettuare deve svolgersi in “concreto”, all’esito di un’analisi che convolge direttamente il quadro delle garanzie de libertate ricavabili dalla complessiva analisi della legislazione dello Stato richiedente. Tende a verificarsi, in tal modo, un doppio circuito “virtuoso” nel dialogo, ormai sempre piu’ serrato, tra le Corti europee e le giurisdizioni nazionali: da un lato, l’enucleazione di un canone ermeneutico generale, in grado di “conformare” la fase “discendente” dell’adeguamento normativo e l’evoluzione stessa dei rapporti di cooperazione giudiziaria nel senso del rispetto degli obblighi comunitari lato sensu intesi, dall’altro la circolazione tra gli organi giudiziari nazionali di un procedimento interpretativo felicemente imperniato sulla base di criteri direttivi uniformi, idonei in quanto tali ad alimentare il bisogno di “certezza” del dettato normativo comunitario e la stessa efficacia delle relazioni intergiurisdizionali nelle materie del terzo pilastro. 25. Segue: “Legittimita’ comunitaria” del mandato d’arresto europeo e principio di legalita’ penale: l’intervento della Corte di Giustizia. - Con la sentenza del 3 maggio 2007, resa nell’ambito del procedimento C – 305/05 inerente alla domanda di pronuncia pregiudiziale sollevata ex art. 35 T.U.E. dall’Arbitragehof del Regno del Belgio il 13 luglio del 2005, la Corte di Giustizia delle Comunita’ europee ha preso per la prima volta posizione su alcuni aspetti centrali della Decisione quadro del Consiglio dell’Unione europea (2002/584/GAI) del 13 giugno 2002, relativa al nuovo istituto del mandato d’arresto europeo e delle procedure di consegna tra gli Stati membri, entrata in vigore il 7 agosto 2002 . Un rilievo preliminare s’impone riguardo al dato oggettivo dell’uso generalizzato e della sempre piu’ diffusa consapevolezza dell’efficacia della nuova procedura nell’ambito dello spazio territoriale europeo. L’applicazione del nuovo sistema di consegna, che ha sostituito la procedura estradizionale nei rapporti tra gli Stati membri dell’Unione europea, e’ ormai generalizzata, nonostante le iniziali difficolta’ di recepimento nell’ambito di talune legislazioni nazionali : i piu’ recenti dati statistici messi a disposizione dagli Stati membri ne dimostrano l’indubbia efficacia, consentendo alle autorita’ giudiziarie di ottenere agevolmente, ed in tempi vincolanti ed assai piu’ rapidi rispetto alle tradizionali procedure estradizionali, la materiale consegna delle persone ricercate . Basti solo pensare che, secondo l’ultimo rapporto della Commissione europea sull’attuazione della Decisione quadro in oggetto, la durata media di esecuzione di una richiesta e’ passata da circa un anno a circa sei settimane, o, addirittura, ad undici giorni nei casi – abbastanza frequenti – in cui la persona acconsente alla sua consegna . E’ assai raro, inoltre, il ricorso alle garanzie speciali esigibili, ex art. 5 della Decisione quadro, in caso di giudizio in absentia ovvero di condanna a vita, mentre piuttosto frequente si e’ rivelata la consegna di cittadini, o residenti, dello Stato membro di esecuzione (oltre un quinto delle persone consegnate nel 2005 all’interno dell’U.E. erano cittadini dello Stato membro che ha acconsentito a consegnarli, mentre solo nella meta’ dei casi e’ stata richiesta una garanzia ai sensi dell’art. 5, par. 3, della Decisione quadro). Le questioni pregiudiziali sollevate dalla Corte Costituzionale belga riguardavano, come si e’ accennato sopra, l’asserita incompatibilita’ della impugnata Decisione quadro sia rispetto all’art. 34, n. 2, lett. b), T.U.E. (a norma del quale le decisioni quadro possono essere adottate solo per il ravvicinamento delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri), sia rispetto all’art. 6, n. 2, T.U.E. (con riguardo ai principi di legalita’ in materia penale e di eguaglianza e non discriminazione, implicitamente garantiti dalla disposizione del Trattato, ma posti in dubbio dalla soppressione del tradizionale requisito della doppia incriminazione per una serie di reati elencati nell’art. 2, n. 2, della su citata Decisione quadro). In ordine alla prima questione pregiudiziale, la Corte di Giustizia ha osservato che il ravvicinamento delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri puo’ avvenire, attraverso la scelta dello strumento della decisione quadro, anche in relazione a settori diversi da quelli esplicitamente previsti nell’art. 31, n. 1, lett. e), T.U.E. (ossia, la fissazione di norme minime relative agli elementi costitutivi dei reati ed alle sanzioni applicabili in tema di criminalita’ organizzata, terrorismo e traffico illecito di stupefacenti), ed investire dunque anche la materia del mandato d’arresto europeo. La tipologia dello strumento normativo cui le istituzioni comunitarie possono fare ricorso per perseguire le finalita’ di ordine generale indicate dagli artt. 2, par. 1, quarto trattino e 29, par. 1, T.U.E. (ossia, un’azione comune degli Stati membri nei settori della cooperazione giudiziaria in materia penale, al fine di garantire ai cittadini un elevato livello di sicurezza nello spazio comune di liberta’, sicurezza e giustizia) non risulta, ad avviso del giudice comunitario, esplicitamente indicata dall’art. 31, n.1, lett. a) e b), T.U.E., laddove, sotto altro profilo, l’art. 34, n.2, T.U.E. non stabilisce alcun ordine di priorita’ tra le possibili tipologie di atti (convenzione, decisione, decisione quadro) al riguardo utilizzabili, limitandosi a stabilire, in linea generale, che spetta al Consiglio dell’U.E. adottare misure e promuovere la cooperazione finalizzata al conseguimento degli obiettivi dell’Unione, ed autorizzando conseguentemente il Consiglio ad adottare i diversi tipi di atti elencati nel n. 2, lett. a) – d), tra i quali figurano appunto le decisioni quadro e le convenzioni. Seguendo il percorso argomentativo tracciato dal giudice comunitario v’e’ da osservare, inoltre, che un significativo elemento di conforto della validita’ di tale approdo ermeneutico puo’ trarsi anche dal disposto di cui all’art. 31, n. 1, lett. c), T.U.E., il quale stabilisce che l’azione comune e’ altresi’ diretta a conseguire la “garanzia della compatibilita’ delle normative applicabili negli Stati membri, nella misura necessaria per migliorare” la cooperazione giudiziaria nel settore penale, senza operare alcuna distinzione tra i diversi tipi di atti che possono essere utilizzati ai fini del ravvicinamento delle disposizioni degli Stati membri. A tale riguardo, peraltro, non puo’ non rilevarsi come l’intervenuta modifica dell’art. 29, par. 2, T.U.E., per effetto dell’art. 1, par. 7, del Trattato di Nizza, abbia sensibilmente allargato l’ambito delle modalita’ attraverso cui le istituzioni comunitarie possono sviluppare quell’azione comune oggettivamente finalizzata, ex art. 29, par. 1, T.U.E., a garantire ai cittadini dell’Unione l’effettivita’ dell’obiettivo inerente alla creazione di uno spazio di liberta’, sicurezza e giustizia: accanto alla cooperazione tra le forze di polizia ed al ravvicinamento, ove necessario, delle normative degli Stati membri in materia penale, e’ stata espressamente inserita, infatti, a seguito del Consiglio europeo di Tampere del 15 ottobre 1999, l’esigenza di ”una piu’ stretta cooperazione tra le autorita’ giudiziarie e altre autorita’ competenti degli Stati membri, anche tramite l’Unita’ europea di cooperazione giudiziaria (Eurojust), a norma degli articoli 31 e 32” . Il principio del mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie – del quale, come e’ noto, il nuovo istituto del mandato d’arresto europeo e della procedura di consegna tra gli Stati membri ha rappresentato la prima concretizzazione storica – costituisce il fondamento stesso della cooperazione giudiziaria penale ed e’ stato per la prima volta delineato nel § 33 delle conclusioni adottate dal Consiglio europeo di Tampere del 15 ottobre 1999 . Il testo delle conclusioni del Consiglio di Tampere enuclea il principio del mutuo riconoscimento e ne struttura le basi concettuali muovendo essenzialmente dal riferimento al paradigma normativo dell’art. 31, par. 1, lett. a), T.U.E., che espressamente ricomprende nell’ambito dell’azione comune relativa al settore della cooperazione giudiziaria penale proprio i profili della “facilitazione” e dell’ “accelerazione” della “cooperazione tra i ministeri competenti e le autorita’ giudiziarie o autorita’ omologhe degli Stati membri…… ….in relazione ai procedimenti e all’esecuzione delle decisioni”. Si tratta, dunque, di un’area d’intervento nel cui ambito viene oggettivamente a ricadere lo strumento del mandato d’arresto europeo (che l’art. 1 della Decisione quadro in oggetto, adottato alla luce degli artt. 31, n. 1, lett. a) e b) e 34, n. 2, lett. b), T.U.E., significativamente definisce come “una decisione giudiziaria emessa da uno Stato membro in vista dell’arresto e della consegna da parte di un altro Stato membro di una persona ricercata ai fini dell’esercizio di un’azione penale o dell’esecuzione di una pena o una misura di sicurezza privative della liberta’ “) . Il principio – la cui applicazione ormai e’ stata estesa a tutte le tipologie dei provvedimenti giurisdizionali, provvisori e definitivi, cautelari e finali, ad personam ovvero in rem - si fonda, da un lato, sulla fiducia che i vari Stati membri hanno il dovere di riporre nei rispettivi ordinamenti giuridici e nelle relative strutture giudiziarie, ed appare, dall’altro lato, strettamente connesso, nelle sue concrete potenzialita’ applicative, all’incremento degli indici di omogeneita’ delle legislazioni processuali degli Stati membri. Proprio questa sembra essere la prospettiva entro cui si colloca la ratio decidendi che ha ispirato il giudice comunitario nella pronuncia in esame, allorquando, nel delimitare l’oggetto della Decisione quadro, fa chiaramente riferimento (nel punto n. 29 della motivazione) al fatto che il reciproco riconoscimento dei mandati d’arresto emessi dalle autorita’ giudiziarie dei vari Stati membri richiede il ravvicinamento delle normative degli Stati membri in materia di cooperazione giudiziaria penale, ed in particolare delle norme relative alla cornice generale dei meccanismi di funzionamento e delle modalita’ operative del nuovo istituto processuale, ossia quelle inerenti alle condizioni, alle procedure ed agli effetti della consegna tra le autorita’ nazionali. E’ proprio questo, infatti, come correttamente precisa la Corte, l’oggetto della Decisione quadro in esame (ossia, l’individuazione delle categorie di reato sottratte al controllo della doppia incriminazione, i motivi di non esecuzione obbligatoria o facoltativa del mandato, il contenuto e la forma del mandato, le sue modalita’ di trasmissione, le garanzie difensive, i termini della decisione di esecuzione e della consegna, ecc.), il cui perimetro viene individuato collegando la portata innovativa del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie alle prospettive – ad esso non contrapposte, ma strettamente complementari – legate all’attivita’ di armonizzazione delle disposizioni normative “interne” dei vari sistemi nazionali. Del resto, nelle stesse conclusioni dell’Avvocato Generale Ruiz-Jarabo Colomer, presentate il 12 settembre 2006, si poneva chiaramente in risalto questo aspetto, laddove si aveva modo di osservare (in particolare, nei punti n. 49 e n. 50) che vengono armonizzate nella decisione quadro le modalita’ di arresto e di consegna vigenti in ciascuno Stato membro, al fine di favorire la cooperazione tra le autorita’ giudiziarie nazionali: all’interno di un contesto normativo in via di profondo rinnovamento, e retto sostanzialmente sul principio della reciproca fiducia tra gli ordinamenti, il sostegno alla cooperazione giudiziaria non viene offerto, quindi, attraverso il concorso di volonta’ diverse, ma mediante uno strumento normativo comune – ossia, la decisione quadro – in cui vengono delineati i comportamenti che invitano gli Stati membri a cooperare. L’effetto armonizzatore della decisione quadro appare, dunque, funzionale alla creazione dell’indispensabile uniformita’ di base normativa tra i rispettivi sistemi nazionali per attribuire ai mandati d’arresto – istituti tradizionali del diritto processuale penale nazionale – quella nuova capacita’ di “circolazione” con effetti transfrontalieri, che si realizza nelle evenienze e nel rispetto delle condizioni espressamente regolate in quell’atto normativo. Se, da un lato, la prospettiva del ravvicinamento non appare affatto esclusa dalle finalita’ dello strumento normativo prescelto in questo caso dalle istituzioni comunitarie, e se, dall’altro, la connessa prospettiva del reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie penali risulta immanente alla evoluzione stessa delle forme e dei meccanismi dei rapporti della cooperazione giudiziaria, deve ritenersi, allora, connaturale alle competenze degli organi decisionali del III Pilastro un certo margine di discrezionalita’ nella scelta della tipologia di strumento piu’ idonea al conseguimento degli obiettivi dell’Unione, alla stregua del dettato normativo di cui all’art. 34, par. 2, T.U.E. . Le stesse, fallimentari, esperienze legate alla mancata definizione delle procedure di ratifica delle precedenti Convenzioni europee in materia di estradizione (in particolare, la Convenzione relativa alla procedura semplificata di estradizione tra gli Stati membri dell’U.E. del 10 marzo 1995 e la Convenzione relativa all’estradizione tra gli Stati membri dell’Unione europea del 27 settembre 1996, entrambe concluse in forza dell’art. K.3, n. 2, lett. c),T.U.E., che costituiva il diretto antecedente storico del vigente art. 34, n. 2, lett. d), T.U.E.) hanno verosimilmente orientato le istituzioni comunitarie nel senso della scelta di uno strumento giuridico maggiormente flessibile rispetto al tradizionale schema convenzionale, la decisione quadro appunto, in grado di obbligare gli Stati membri a raggiungere i risultati prefissati entro un determinato limite temporale, salva restando la competenza delle autorita’ nazionali in merito alla scelta della forma e dei mezzi (ex art. 34, par. 2, lett. b), T.U.E.). La decisione quadro, infatti, in virtu’ dell’espressa disposizione normativa su richiamata, e’ di per se’ priva di efficacia diretta e non puo’ costituire oggetto di una procedura di infrazione contro lo Stato inadempiente, pur vincolando oggettivamente lo Stato membro alla sua efficace attuazione rispetto allo scopo prefissato, e pur esercitando un indubbio effetto vincolante anche per il giudice nazionale, che e’ tenuto ad interpretare la norma interna in conformita’ alle disposizioni in essa contenute . Sotto altro, ma connesso, profilo, del resto, la centralita’ del passaggio motivazionale inerente al collegamento dal giudice comunitario operato tra le due fondamentali prospettive del mutuo riconoscimento e dell’armonizzazione delle normative puo’ ancor piu’ efficacemente cogliersi ove si consideri l’indubbia rilievanza di talune enunciazioni di principio contenute nell’articolato del Trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa (in particolare, gli artt. I-42, § 1 e III-270, § 1), laddove l’esigenza del ravvicinamento delle legislazioni penali, sostanziali e processuali, viene ad aggiungersi al principio del reciproco riconoscimento, al fine di facilitarne l’applicazione, “laddove necessario”, in relazione a determinate sfere di criminalita’, considerate particolarmente gravi in ragione della loro dimensione transnazionale (ad es., riciclaggio di capitali, corruzione, terrorismo, criminalita’ organizzata, ecc.). Se l’attuale processo di riforma dei trattati comunitari non si discostera’ da questa fondamentale linea di indirizzo, recuperando dunque le positive implicazioni dell’originaria intuizione delle conclusioni n. 33 s. del Consiglio europeo di Tampere, risultera’ ancor piu’ evidente che la funzione delle misure di armonizzazione delle legislazioni penali, all’interno di un’Europa ormai “allargata” al territorio di ventisette Stati membri, e’ quella di sostenere ed accompagnare l’applicazione del principio del mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie, vale a dire di consolidare le condizioni di quella necessaria confiance mutuelle attraverso uno “zoccolo” comune di norme minime senza la cui previsione lo stesso mutuo riconoscimento sarebbe in concreto difficilmente realizzabile . E’, dunque, la fecondita’ delle prospettive legate alla piena attuazione degli strumenti del reciproco riconoscimento (non solo il mandato d’arresto europeo, ma anche l’ordine di congelamento e sequestro dei beni in funzione probatoria e preventiva, l’ordine europeo di confisca, il mandato europeo di ricerca ed acquisizione delle fonti di prova, ecc.) a costituire, in definitiva, il “volano” di una nuova dimensione della cooperazione giudiziaria penale, sempre piu’ incentrata su forme di consegna “non estradizionale” e su meccanismi e modelli di assistenza giudiziaria “non rogatoriale” . In ordine alla seconda questione pregiudiziale, la Corte di Giustizia ha significativamente riconosciuto che l’art. 2, n. 2, della Decisione quadro posta al suo vaglio, nella parte in cui sopprime il tradizionale requisito della doppia incriminazione per le trentadue categorie di reato ivi elencate, non determina alcuna violazione del principio di legalita’ dei reati e delle pene, atteso che la definizione degli stessi e delle sanzioni applicabili continua a rientrare nella competenza dello Stato membro emittente, il quale e’ tenuto a rispettare i diritti fondamentali ed i fondamentali principi giuridici sanciti dall’art. 6 T.U.E., tra i quali e’ indubbiamente ricompreso anche il principio di legalita’ dei reati e delle pene (espressamente previsto, in particolare, dall’art. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali, e ribadito, da ultimo, dall’art. 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, cui la Corte di Giustizia, dunque, mostra di attribuire un’implicita valenza normativa) . Inoltre, ad avviso del giudice comunitario, l’individuazione delle fattispecie di reato elencate nell’art. 2, n. 2, non comporta alcuna violazione dei principi di eguaglianza e di non discriminazione, trattandosi di condotte che, per la loro natura e per l’entita’ della pena comminata, ben possono giustificare l’introduzione di un meccanismo di consegna obbligatoria basato sulla soppressione del requisito della doppia incriminazione. In ordine alla dedotta lesione dei principi di eguaglianza e non discriminazione, in relazione ai reati diversi da quelli oggetto dell’art. 2, n. 2, della Decisione quadro (per i quali la consegna del ricercato puo’ esser subordinata alla condizione che i fatti costituiscano un reato nell’ordinamento dello Stato di esecuzione), si e’ infine osservato, ribadendo una consolidata giurisprudenza comunitaria, che l’applicazione di quegli stessi principi generali impone di non disciplinare in maniera diversa situazioni analoghe e di non trattare allo stesso modo situazioni diverse, a meno che tale trattamento non risulti obiettivamente giustificato. Nel caso di specie, la scelta operata dal legislatore comunitario nel senso dell’eliminazione dell’obbligo di controllo della doppia incriminazione per un ampio catalogo di reati espressamente elencati nella Decisione quadro e’ apparsa oggettivamente giustificata non solo in base alla specifica rilevanza del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie (tenuto conto dell’elevato livello di fiducia e solidarieta’ che caratterizza il rapporto tra gli Stati membri), ma in ragione della loro stessa natura e della rilevante gravita’ del trattamento sanzionatorio applicabile a quelle categorie di reati, ritenuti, pertanto, sicuramente idonei ad arrecare all’ordine ed alla sicurezza pubblici un tale pregiudizio da giustificare la rinuncia all’obbligo di controllo della doppia incriminazione. Per quel che attiene al punto di tensione tra la dedotta soppressione del controllo della doppia incriminazione ed i principi di legalita’, eguaglianza e non discriminazione, il presupposto di fondo da cui muove la sequenza dei, pur scarni, passaggi argomentativi della pronuncia in esame e’ significativamente enunciato dalla Corte di Giustizia nei §§ 52 e 59, laddove chiaramente si esclude che la Decisione quadro sul mandato d’arresto europeo abbia ad oggetto un’attivita’ di armonizzazione sostanziale degli elementi costitutivi dei reati e delle correlative sanzioni applicabili. Pur essendo senz’altro auspicabile, anche sul piano strettamente logico-sistematico, il raggiungimento dell’obiettivo di una sostanziale omogeneita’ dei contenuti e del trattamento sanzionatorio delle fattispecie penali di “interesse” comunitario (quanto meno, di quelle individuate nell’ampio catalogo di cui all’art. 2, n. 2, della Decisione quadro sul mandato d’arresto, la cui elencazione e’ stata poi generalmente replicata anche negli altri strumenti del mutuo riconoscimento ), nessuna disposizione del Titolo VI del T.U.E. condiziona, tuttavia, l’applicazione degli strumenti del mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie alla preventiva definizione delle attivita’ di armonizzazione delle legislazioni penali degli Stati membri. La comune radice da cui derivano gli istituti dell’estradizione e del mandato d’arresto europeo non puo’ comunque “oscurare” il rilievo della loro sostanziale rispondenza a schemi assiologici distinti e solo parzialmente coincidenti, nei loro obiettivi di consegna di una persona accusata o condannata alle autorita’ di un altro Stato membro affinche’ venga processata o sconti la pena che le e’ stata inflitta : all’interno di un contesto normativo interamente “giurisdizionalizzato”, il petitum estradizionale, infatti, viene sostituito da un’eurordinanza circolante nello spazio giudiziario europeo senza exequatur o altre procedure di conversione, prefigurando in tal modo una forma di ultraterritorialita’ delle giurisdizioni statali , di cui costituiscono piena espressione, in particolare, le disposizioni degli artt. 9 e 10 della Decisione quadro (in base alle quali l’autorita’ giudiziaria di uno Stato membro emette, riceve ed esegue direttamente la decisione giudiziaria denominata mandato d’arresto europeo, laddove la funzione delle autorita’ centrali viene sostanzialmente circoscritta ad un ruolo marginale – anche se non certo irrilevante – di supporto pratico ed amministrativo). Se, dunque, ci si muove nella diversa prospettiva di un assetto normativo profondamente rinnovato e basato sui principi del reciproco riconoscimento e della libera circolazione delle decisioni giudiziarie, i tradizionali requisiti della reciprocita’ e della doppia incriminazione si “trasformano”, senza peraltro scomparire dalla scena (v., ad es., l’art. 2, n. 4, della Decisione quadro in oggetto): essi vengono, infatti, “presupposti” quando si tratta di determinate condotte delittuose – quelle, cioe’, direttamente o potenzialmente lesive di beni-interessi ritenuti meritevoli di speciale protezione all’interno dello spazio territoriale europeo – per le quali, proprio in quanto tipizzate e gravemente sanzionate nella generalita’ degli Stati membri (oltre che soggette ad una massiccia opera di armonizzazione sia nella dimensione intergovernativa del III Pilastro, sia in quella piu’ propriamente “comunitaria” ), la verifica della sussistenza del requisito della doppia incriminazione e’ stata ritenuta superflua dal legislatore europeo . Nell’ambito della nuova procedura di consegna, la deroga al requisito della doppia incriminazione opera in senso obbligatorio per le categorie di reato enumerate nella lista di cui all’art. 2, par. 2, della Decisione quadro, mentre e’ azionabile in via facoltativa nelle altre ipotesi . Ad un’analoga revisione, del resto, risulta significativamente sottoposta la connessa materia dei motivi di rifiuto della consegna, che appaiono limitati nel numero e sfrondati di ogni margine discrezionale di tipo politico. E’ allora evidente che se, come appare corretto, si mantengono distinte le – pur tra loro strettamente connesse - prospettive della cooperazione e degli obblighi di armonizzazione delle fattispecie di reato, il rafforzamento della prima attraverso l’innesto di una nuova disciplina processuale – come, appunto, quella del mandato d’arresto europeo – “non implica automaticamente, quale condizione od effetto, l’unificazione del diritto penale dei diversi Stati parte” . La strumentalita’ delle procedure di arresto e consegna delle persone ricercate all’esercizio della giurisdizione ed alla efficace attivazione del potere punitivo da parte dello Stato cui appartiene l’autorita’ giudiziaria emittente il mandato permane anche all’interno del nuovo sistema processuale delineato dal legislatore europeo: alla relazione tra gli Stati si e’ sostituita quella diretta tra le autorita’ giudiziarie coinvolte nel caso, ma la distinzione tra il potere coercitivo di cattura e consegna e quello stricto sensu punitivo – cui il primo appare logicamente connesso nell’adempimento degli obblighi internazionali o comunitari di collaborazione – continua a mantenere ancor oggi tutto il suo significato, esprimendo i termini di un rapporto dialogico che vede interamente riservata alla legislazione penale dello Stato richiedente la descrizione dei contorni e dei contenuti del “fatto” sussumibile all’interno di una determinata figura di reato. Non si pone, dunque, nel nuovo sistema introdotto dalla Decisione quadro, un problema di carenza di tassativita’ o determinatezza delle fattispecie incriminatrici, sia in quanto la finalita’ di armonizzazione sostanziale e’ estranea alla ratio che ha ispirato la messa in opera dell’istituto, sia in quanto, muovendo dalla distinzione da ultimo tratteggiata, l’ambito naturale della “esecuzione” della cattura e del suo “controllo sufficiente” da parte dell’autorita’ giudiziaria dello Stato richiesto rimane quello del processo, che va mantenuto concettualmente e giuridicamente separato “da quello dei suoi presupposti di diritto penale sostanziale, riferibili all’ordinamento dello Stato richiedente” . Rimanendo strettamente ancorata alla logica dei rapporti di cooperazione giudiziaria, la Corte di Giustizia, dunque, fa correttamente rientrare nella sfera di competenza propria dello Stato membro emittente la qualita’ del modello definitorio della fattispecie di reato e la dosimetria del relativo trattamento sanzionatorio, non senza rimarcare, alla luce dell’art. 1, n. 3, della Decisione quadro, l’ineludibile esigenza del rispetto – nella legislazione dello Stato richiedente – dei diritti fondamentali e dei fondamentali principi giuridici stabiliti dall’art. 6 T.U.E., tra cui rientra, come si e’ detto, anche il principio di legalita’ dei reati e delle pene. Non dissimile, del resto, appare, anche sotto tale specifico profilo, la prospettiva seguita dall’Avvocato Generale, secondo cui la certezza che il principio di legalita’ esige deve richiedersi propriamente al diritto penale sostanziale dello Stato di emissione, poiche’ un mandato d’arresto correttamente emesso deve fondarsi su fatti qualificati come reato dalla sua legislazione, mentre l’ordinamento penale dello Stato di esecuzione e’ semplicemente tenuto a prestare la richiesta opera di collaborazione, distinguendo l’evenienza regolata dall’art. 2, n. 2, della Decisione quadro (ipotesi in cui il rispetto del principio di legalita’ e’ comunque assicurato) da quella prevista dall’art. 2, n. 4 (ove, se la normativa di trasposizione dello strumento lo consente, e’ possibile, se del caso, subordinare la consegna del ricercato alla condizione che il fatto per il quale e’ stato emesso il mandato sia previsto e punito anche in base al suo ordinamento) . Occorre, peraltro, considerare che l’opposizione di possibili “controlimiti” all’esercizio di un potere punitivo carente del necessario sostrato garantistico dei principi giuridici e dei diritti fondamentali richiamati dall’art. 6 T.U.E. discende dalle stesse modalita’ di applicazione della Decisione quadro, che proprio sul dichiarato obbligo della loro osservanza da parte degli Stati membri solennemente si fonda (in particolare, ex art. 1, n. 3 e nel considerandum n. 12), delineando altresi’, a tutela dell’interessato, un articolato sistema di motivi di non esecuzione, obbligatoria e facoltativa, e di garanzie speciali che lo Stato emittente deve fornire in determinate situazioni (ex artt. 3, 4, 5 e 15 della Decisione quadro, che consente, se del caso, di richiedere allo Stato emittente le necessarie informazioni complementari prima di adottare una decisione sulla consegna). A tale riguardo, e’ opportuno rilevare come la Corte di Cassazione, ai fini dell’esecuzione del mandato d’arresto europeo, abbia di recente ritenuto decisivo il riferimento, nell’ordinamento dello Stato di emissione, ai canoni del giusto processo quali definiti dalle Carte sovranazionali, ed in particolare dall’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali, al quale si richiama l’art. 111 Cost., e non il fatto che le norme processuali dello Stato estero, relative ai principi di oralita’ e del contraddittorio, appaiano meno soddisfacenti di quelle dell’ordinamento italiano: vanno dunque escluse interpretazioni che, subordinando l’esecuzione del mandato alla sostanziale coincidenza delle regole sulla formazione della prova applicate nello Stato di emissione, contrasterebbero con gli obblighi derivanti dall’art. 34, par. 2, lett. b), T.U.E., e con lo stesso principio del mutuo riconoscimento, di cui la nuova procedura rappresenta la prima, concreta, espressione (ai sensi del considerando n. 6) . Non a caso, del resto, figura nell’iter motivazionale seguito dalla Corte di Giustizia un esplicito, e piu’ volte ribadito, richiamo al principio di legalita’ dei reati e delle pene di cui all’art. 7 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali. Sotto tale profilo, infatti, non si e’ mancato di osservare in dottrina, ed il rilievo appare ampiamente condivisibile, che non solo il principio di legalita’ penale fa parte del diritto europeo primario, in quanto cristallizzato nella norma convenzionale su richiamata e specificato successivamente nelle Costituzioni dei Paesi dell’Unione, si’ da obbligare al suo rispetto gli eventuali atti normativi europei in materia penale ed ogni fonte penale nazionale attuativa del diritto comunitario e/o dell’Unione europea, ma e’ la stessa elaborazione giurisprudenziale della Corte europea dei diritti dell’uomo a riempire di contenuti il superiore principio di garanzia della legalita’ penale, condizionando positivamente, e nel profondo, i sistemi giuridici dei Paesi membri e le relative prassi, nonche’ “valorizzando i profili “astorici” di determinatezza, accessibilita’, prevedibilita’, irretroattivita’ della norma penale e dello stesso diritto penale vivente di fonte giurisprudenziale” . Se e’ vero, inoltre, che la garanzia offerta dall’art. 7 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo – anche in ragione della diversita’ di tradizioni giuridiche dei Paesi aderenti al Consiglio d’Europa, alcuni dei quali, come e’ noto, si fondano su sistemi di common law – non sembra inglobare in se’ la dimensione “formale” della legalita’ penale - che nei sistemi di diritto continentale e’ espressa dal principio della riserva di legge – e’ pur vero che la giurisprudenza della Corte europea ha da sempre individuato il fondamento sostanziale del principio di cui all’art. 7 nell’esigenza di assicurare la ragionevole prevedibilita’ della condanna penale al momento della commissione del fatto, ne’ ha esitato a ritenere sussistente un vulnus al principio in ipotesi di mutamenti giurisprudenziali in malam partem dai quali derivi la condanna dell’imputato per fatti privi di rilievo penale in base al precedente indirizzo giurisprudenziale . Peraltro, la specifica rilevanza del richiamo operato dalla Corte di Giustizia alla disposizione di cui all’art. 7 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali – richiamo cui appare strettamente connessa la necessaria valutazione della congruita’ dei modelli definitori delineati dal diritto dello Stato membro emittente con riguardo alle fattispecie di reato ed al correlativo trattamento sanzionatorio - puo’ meglio apprezzarsi da un’ulteriore angolazione visuale, ove si consideri la tendenza della giurisprudenza della Corte di Strasburgo a “disancorare” le misure estradizionali dal nucleo di garanzie offerto dall’art. 7, sul presupposto che la nozione di “condanna” non ricomprende propriamente la decisione di estradare un individuo . E’ opportuno infine osservare, ad ulteriore riprova della linea di tendenza ormai decisamente impressa al percorso evolutivo della giurisprudenza comunitaria, come anche in altre recenti pronunzie la Corte di Giustizia abbia fatto leva sul fondamentale principioguida della reciproca fiducia degli Stati contraenti nei confronti dei loro rispettivi sistemi di giuistizia penale, per affermare che ciascuno di essi deve accettare l’applicazione del diritto penale vigente negli altri, anche quando il ricorso al proprio diritto nazionale condurrebbe a soluzioni diverse .