L`ATTUAZIONE DEL MANDATO D`ARRESTO EUROPEO NELL

L’ATTUAZIONE DEL MANDATO D’ARRESTO
EUROPEO NELL’ORDINAMENTO ITALIANO:
PRIMI ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI.
di Gaetano De Amicis
Sommario: 1) La decisione quadro sul mandato d’arresto
europeo: genesi e finalita’ del nuovo sistema di consegna tra gli
Stati membri dell’U.E.. – 2) Mandato d’arresto europeo e
principi costituzionali. – 3) L’attuazione del mandato d’arresto
europeo nell’ordinamento italiano: la l. 22 aprile 2005, n. 69. – 4)
Segue: Le disposizioni di principio. – 5) Segue: Il ruolo
dell’autorita’ centrale. – 6) Segue: La procedura passiva di
consegna. – 7) Segue: L’avvio della procedura di consegna
dinanzi alla Corte d’appello. L’applicazione della misura
coercitiva. – 8) Segue: La fase dinanzi alla Corte d’appello. – 9)
Segue: Il consenso alla consegna. – 10) Segue: Il rifiuto della
consegna. – 11) Segue: La procedura attiva di consegna. – 12)
Segue: L’equiparazione tra il mandato d’arresto europeo e la
segnalazione nel S.I.S. – 13) Segue: Il contenuto del mandato
d’arresto. - 14) Segue: La sopravvenuta inefficacia del mandato
d’arresto europeo. – 15) Segue: Natura ed effetti del principio di
specialita’. – 16) Segue: La deducibilita’ del periodo di custodia
cautelare sofferto all’estero. – 17) Segue: Le misure reali. – 18)
Segue: La “ripartizione” delle spese tra lo Stato emittente e lo
Stato di esecuzione del mandato d’arresto europeo. – 19) Segue:
Gli obblighi internazionali. – 20) Segue: Le disposizioni finali e
transitorie. – 21) I punti “critici” della legislazione italiana. – 22)
I primi orientamenti giurisprudenziali. – 23) Segue: Mandato
d’arresto europeo e limiti massimi di custodia cautelare:
l’intervento delle Sezioni unite. – 24) L’attuazione del mandato
d’arresto europeo negli altri Stati membri dell’U.E.: a) i
rapporti di valutazione della Commissione europea; b) le
pronunce delle Corti costituzionali in Germania, in Polonia, in
Cipro e in Belgio; c) il principio di interpretazione conforme
nella giurisprudenza della House of Lords. – 25) Segue:
“Legittimita’ comunitaria” del mandato d’arresto europeo e
principio di legalita’ penale: l’intervento della Corte di Giustizia.
1) La decisione quadro sul mandato d’arresto europeo: genesi e finalita’
del nuovo sistema di consegna tra gli Stati membri dell’U.E. . - La decisione
quadro relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra gli
Stati membri dell’U.E. e’ stata approvata dal Consiglio dell’Unione europea il
13 giugno 2002 ed ha inteso sostituire, nelle relazioni tra i venticinque Paesi
membri dell’Unione, il tradizionale sistema multilaterale dell’estradizione con
un meccanismo “non estradizionale” di arresto e consegna semplificata delle
persone ricercate (perche’ condannate in via definitiva, ovvero perche’ nei loro
confronti e’ stata o deve essere esercitata l’azione penale) nell’ambito del
comune spazio territoriale europeo .
E’ significativo rilevare come l’accordo politico tra gli Stati membri dell’Unione
sia stato raggiunto sin dal dicembre 2001, a pochi mesi di distanza dai tragici
avvenimenti dell’11 settembre 2001, ed a seguito del Consiglio europeo
straordinario del 21 settembre 2001, le cui conclusioni espressamente
affermavano che “l’ordine di arresto sostituira’ l’attuale sistema di
estradizione tra Stati membri. Infatti, le procedure attuali di estradizione non
rispecchiano il livello di integrazione e di fiducia tra gli Stati membri
dell’Unione europea. Pertanto l’ordine di arresto europeo consentira’ la
consegna diretta delle persone da autorita’ giudiziaria ad autorita’ giudiziaria,
garantendo al tempo stesso i diritti e le liberta’ fondamentali” .
Gia’ il Consiglio europeo di Tampere del 15-16 ottobre 1999, del resto, aveva
ravvisato la necessita’ di abolire la procedura formale di estradizione tra gli Stati
membri, per quanto attiene alle sole sentenze di condanna definitive, per
sostituirla con il semplice trasferimento delle persone condannate; aveva inoltre
chiesto di prendere in considerazione procedure di estradizione accelerate per gli
altri casi, ossia quelli relativi alla fase delle indagini e alle decisioni di condanna
non definitive, ponendo a fondamento della cooperazione giudiziaria, sia in
materia civile che in quella penale, il principio del mutuo riconoscimento delle
decisioni giudiziarie, nel piu’ ampio quadro della realizzazione di quello spazio
di liberta’, sicuerzza e giustizia solennemente proclamato quale obiettivo
dell’Unione nell’art. 2 del T.U.E. .
Il Programma globale di misure per l’attuazione del principio del reciproco
riconoscimento delle decisioni penali, adottato dal Consiglio dell’U.E. il 30
novembre 2000 per dare concreta attuazione alle conclusioni del Consiglio di
Tampere, aveva poi chiaramente esplicitato l’obiettivo della realizzazione di un
nuovo regime di consegna “fondato sul riconoscimento e sull’esecuzione
immediata
del
mandato
d’arresto
emesso
dall’autorita’
giudiziaria
richiedente…… in vista della creazione di uno spazio giuridico europeo per
l’estradizione”, cosi’ prefigurando a grandi linee i tratti essenziali della svolta
legata all’adozione del nuovo sistema .
Nella sua tradizionale impostazione strutturale il procedimento di estradizione e’
caratterizzato, come del resto tutte le forme classiche della cooperazione
giudiziaria penale, da un modello ibrido di consegna delle persone accusate o
condannate al fine della loro sottoposizione al processo (estradizione
processuale) o dell’esecuzione della pena (estradizione esecutiva), nel quale
coesistono una fase giurisdizionale ed una fase politico-amministrativa, con la
conseguenza che la consegna della persona ricercata avviene non solo sulla base
di valutazioni tecnico-giuridiche rimesse all’autorita’ giurisdizionale, ma anche
sulla base di valutazioni politiche di pertinenza delle autorita’ di governo, le cd.
autorita’ centrali .
Il diritto convenzionale europeo in materia di estradizione - le cui principali
fonti di riferimento sono la Convenzione europea di estradizione del 13
dicembre 1957 e i due Protocolli addizionali, la Convenzione europea per la
repressione del terrorismo del 27 gennaio 1977, la Convenzione di applicazione
degli Accordi di Shengen del 19 giugno 1990, la Convenzione di Bruxelles del
10 marzo 1995 e la Convenzione di Dublino del 27 settembre 1996 (queste
ultime due, peraltro, non ratificate dall’Italia e non ancora entrate in vigore a
livello europeo) - si fonda, pertanto, su una base procedimentale al tempo
stesso giudiziaria e metagiudiziaria, il cui esito decisorio, ossia la consegna della
persona oggetto della richiesta di estradizione, e’ subordinato all’incrocio di
diverse valutazioni rimesse agli organi del potere esecutivo (il Ministro della
Giustizia, che e’ il titolare del petitum cautelare) e a quelli del potere giudiziario
(la Corte d’appello ed eventualmente, in caso di ricorso, la Corte di cassazione).
L’istituto del mandato d’arresto europeo costituisce, invece, la prima
concretizzazione storica del principio del reciproco riconoscimento delle
decisioni giudiziarie (ex art. 1, par.2, della decisione quadro) e si fonda su una
linea di sviluppo interamente processuale, caratterizzata dai seguenti elementi
identificativi: a) giurisdizionalizzazione del meccanismo di consegna, connotato
da un rapporto diretto tra le autorita’ giudiziarie interessate e dall’esclusione di
ogni intervento da parte del potere esecutivo; b) drastica riduzione dei motivi di
rifiuto dell’esecuzione, con la tassativa indicazione degli stessi e la sostanziale
scomparsa del controllo sul tradizionale requisito della doppia incriminazione
per quanto attiene ad un catalogo di trentadue fattispecie di reato individuate
nell’art.2, par.2, della decisione quadro; c) maggiore snellezza e rapidita’ della
procedura, in virtu’ della predeterminazione e della sensibile restrizione dei
termini di consegna.
Ne discende che i soggetti del rapporto cooperativo finalizzato alla consegna, in
materia processuale o esecutiva, a seconda dei casi, non sono piu’ lo Stato
richiedente e lo Stato richiesto, ma esclusivamente l’autorita’ giudiziaria di
emissione e quella di esecuzione, laddove il ruolo dell’autorita’ centrale viene
depotenziato sino a ridursi ad una mera attivita’ di supporto nella trasmissionericezione delle richieste (ex art. 7, par.2, della decisione quadro).
Al definitivo tramonto del ruolo decisionale dell’esecutivo ed alla sostanziale
dequotazione di ogni momento di discrezionalita’ politica si accompagnano,
contestualmente, il rafforzamento dei diritti e delle garanzie processuali della
persona ricercata e la formalizzazione della procedura sulla base di un mandato
strutturato in modo uniforme e riconosciuto come generalmente valido ed
efficace in tutto lo spazio territoriale dell’Unione europea (in virtu’ della
predisposizione di un unico formulario che appare in allegato alla stessa
decisione quadro).
Il campo di applicazione del mandato d’arresto europeo, secondo il disposto di
cui all’art. 2, par.1, della decisione quadro, riguarda i fatti puniti dalla legge
dello Stato membro emittente con una pena detentiva, ovvero una misura di
sicurezza privativa della liberta’, di durata massima non inferiore al limite di
dodici mesi, oppure, se e’ stata irrogata la condanna o e’ stata inflitta una misura
di sicurezza, le condanne pronunziate per una durata non inferiore ai quattro
mesi.
Un’ importante novita’ rispetto al previgente sistema estradizionale e’
rappresentata
dalla
obbligatoria
dell’esecuzione di un mandato e
motivazione
dell’eventuale
rifiuto
dal carattere di massima urgenza della
procedura, in conseguenza della prefissazione di termini precisi, sia pure di
natura ordinatoria, per la adozione della decisione sulla consegna da parte della
autorita’ giudiziaria dello Stato di esecuzione: a) il termine di dieci giorni a
decorrere dall’eventuale consenso formale alla consegna da parte della persona
ricercata; b) quello di sessanta giorni dal momento dell’arresto del ricercato
nello Stato di esecuzione (sino alla soglia temporale massima di giorni novanta
in presenza di casi particolari, peraltro non bene definiti, secondo il disposto di
cui all’art. 17, par.4, della decisione quadro).
Se, per un verso, il mancato rispetto dei termini per la decisione sulla consegna
non determina l’automatica scarcerazione del ricercato, per altro verso deve
osservarsi come l’eventuale violazione del termine stabilito per la materiale
consegna successivamente alla adozione della decisione comporti, ex art. 23,
par.5, e al di fuori dei particolari casi di forza maggiore o di differimento per
ragioni umanitarie, l’immediato rilascio della persona arrestata .
Sotto altro punto di vista, la decisione quadro non impone necessariamente la
previsione di forme di impugnazione avverso la decisione di consegna,
lasciando al riguardo piena discrezionalita’ alle scelte dei diversi sistemi
nazionali (che qualora decidano di introdurre specifiche procedure di
impugnazione o di ricorso in cassazione avverso la decisione di consegna,
comunque dovranno rispettare la griglia dei termini massimi prefissati dalla
decisione quadro).
Nell’ambito del nuovo sistema di consegna, la natura politica del reato non
costituisce una causa di rifiuto dell’esecuzione, sul presupposto che la creazione
di uno spazio comune di sicurezza, liberta’ e giustizia prevede un grado elevato
di omogeneita’ dei diversi sistemi interni dei Paesi membri dell’U.E., in
relazione alla comune osservanza dei principi e dei diritti fondamentali sanciti
dall’art. 6 T.U.E. e contenuti nel capo VI della Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione europea.
Nel considerando n. 12 del preambolo, peraltro, si stabilisce, opportunamente,
che la decisione quadro non puo’ interpretarsi nel senso di impedire il rifiuto
dell’esecuzione allorquando, sulla base di elementi oggettivi, debba ritenersi che
lo stesso sia stato emesso per motivi discriminatori (in ragione della razza,
religione, opinione politica, origine etnica, tendenze sessuali, ecc.), in tal modo
reintroducendosi il contenuto della classica “clausola di non discriminazione”
tradizionalmente prevista, per una generale finalita’ di garanzia, dalla normativa
convenzionale in materia di estradizione .
Ai sensi dell’art. 2, par.2, della decisione quadro l’assenza della doppia
incriminazione non costituisce piu’ un motivo di rifiuto dell’esecuzione in
relazione ad un ampio catalogo di fattispecie di reato (ben trentadue,
generalmente identificate con quelle piu’ gravi – ad es., terrorismo, omicidio,
violenza sessuale, riciclaggio, corruzione, partecipazione ad un’organizzazione
criminale, ecc. – e suscettibili di eventuale allargamento per effetto di una
decisione unanime degli Stati membri ex art. 2, par. 3). La definitiva scomparsa
del controllo della doppia incriminazione – uno degli elementi tipicamente
caratterizzanti la normativa pattizia in materia estradizionale – presenta dunque
un ambito di applicazione assai ampio, anche se apparentemente circoscritto ad
una lista tassativa di figure di reato .
Ne consegue che, ricorrendo l’ulteriore condizione per cui il reato oggetto del
mandato sia punito, secondo la legge dello Stato emittente, con una pena
detentiva non inferiore al limite edittale dei tre anni, l’autorita’ competente per
l’esecuzione non potra’ rifiutare l’arresto per il motivo che le condotte
criminose non integrano una fattispecie di reato secondo la legislazione del
proprio Stato.
L’eccezione basata sul requisito della doppia incriminazione, peraltro, puo’
rivivere per tutti quei reati non elencati nella lista di cui al par. 2 dell’art. 2, in
relazione ai quali ciascuno Stato membro, in sede di attuazione della decisione
quadro, puo’ decidere di subordinare nel proprio ordinamento la consegna della
persona al rispetto della condizione della previsione bilaterale del fatto come
reato.
Al riguardo si e’ correttamente osservato come, in realta’, sul presupposto di una
valutazione effettuata ex ante, il legislatore comunitario abbia voluto
semplicemente eliminare quella verifica sulla previsione bilaterale del fatto
come reato, ritenendo che le fattispecie inserite nella lista delle trentadue
categorie tassativamente delineate dall’art.2, par.2, costituiscano ipotesi
criminose nelle legislazioni degli ordinamenti interni di tutti i Paesi membri
dell’U.E. .
Cio’ non toglie, paraltro, che l’autorita’ giudiziaria dell’esecuzione dovra’
comunque verificare la esatta riconducibilita’ del caso concreto alle tipologie di
reato generalmente e in astratto indicate nella lista.
Oltre all’estensione delle ipotesi di rifiuto basate sul principio del ne bis in idem
(che diviene motivo obbligatorio di rifiuto se la sentenza definitiva, per lo stesso
fatto e nei confronti della stessa persona, e’ una sentenza di condanna che sia
stata anche eseguita o sia in corso di esecuzione, ovvero non possa piu’ eseguirsi
in forza di una legge dello Stato membro dell’Unione che l’ha emessa), va
altresi’ considerato che lo stato di cittadino, ovvero quello di residente o
dimorante stabile nello Stato richiesto dell’esecuzione, non costituisce in se’ un
motivo di rifiuto dell’esecuzione di un mandato d’arresto europeo, ma puo’
divenire motivo facoltativo di rifiuto se lo Stato di emissione non s’impegna,
ove richiesto da quello di esecuzione, a far scontare la pena o la misura di
sicurezza detentiva nello Stato di esecuzione di cui la persona richiesta in
consegna sia cittadino o residente o stabile dimorante (ex artt. 4, n. 6 e 5 n. 3
della decisione quadro).
La ratio del nuovo istituto e’ stata generalmente ravvisata nella pressante
esigenza di individuare meccanismi di consegna piu’ rapidi, efficaci e garantiti
rispetto alle pesanti e farraginose procedure estradizionali, ritenute ormai del
tutto inadeguate a fronteggiare le nuove necessita’ di una strategia europea di
contrasto della mobilita’, reale e personale, della criminalita’ organizzata
transnazionale, sul presupposto della sostanziale comunanza di tutti i sistemi
giuridici degli Stati membri e della loro generale adesione al quadro dei diritti e
delle liberta’ fondamentali delineato dalla Convenzione europea dei diritti
dell’uomo e dalla Carta dei diritti fondamentali proclamata a Nizza il 7
dicembre 2000 (oggi incorporata nella Parte II del Trattato che istituisce una
Costituzione per l’Europa, firmato a Roma il 29 ottobre 2004) .
In forza degli artt. 31, par.1, e 32 della decisione quadro il sistema europeo di
estradizione ha cessato progressivamente di esistere fra gli Stati membri
dell’U.E. a decorrere dal 1° gennaio 2004.
A partire dalla data del 1° gennaio 2004, dunque, alle nuove richieste di
consegna non si applica piu’ il regime dell’estradizione convenzionale, ma la
nuova procedura semplificata del mandato d’arresto europeo, sulla base delle
normative adottate dagli Stati membri per conformare il proprio diritto interno al
contenuto ed alle finalita’ della legislazione comunitaria.
Nell’ambito del nostro ordinamento (e non solo) ne deriva, per la decisione in
ordine alla consegna delle persone ricercate, la coesistenza di un triplice regime
processuale basato su un principio di necessaria diversificazione delle fonti
interne ed intenazionali e dei correlativi paradigmi normativi di riferimento: 1)
l’ambito dei rapporti con gli Stati membri dell’U.E. (basato sull’applicazione del
nuovo istituto del mandato d’arresto europeo); 2) l’ambito dei rapporti con tutti
quei
Paesi,
anche
europei,
le
cui
relazioni
con
l’Italia
vengono
convenzionalmente regolate, a livello multilaterale o bilaterale, sulla base di
specifici accordi o trattati internazionali (ad es., la Svizzera e tutti gli altri Paesi,
non aderenti all’U.E., ma legati dalla Convenzione europea di estradizione del
1957, ovvero tutti quei Paesi, come, ad es., gli U.S.A., il Canada, il Brasile,
l’Argentina, ecc., con i quali l’Italia e’ vincolata da un trattato bilaterale); 3)
l’ambito dei rapporti con quei Paesi con i quali non vi e’, invece, alcun tipo di
accordo internazionale (ad es., l’Iran), e che vengono pertanto disciplinati sulla
base dell’impianto normativo codicistico.
La definizione del mandato d’arresto europeo quale decisione giudiziaria
emessa da uno Stato membro in vista dell’arresto e della consegna da parte di
un altro Stato membro di una persona ricercata ai fini dell’esercizio di
un’azione penale o dell’esecuzione di una pena detentiva (ex art.1, par.1, della
decisione quadro) consente di individuarne la natura in quella propria di un
distinto atto giudiziario a proiezione specificamente europea - rispetto a quelli
coercitivi tipici della procedura interna - che gli Stati membri sono obbligati ad
eseguire in forza del principio del reciproco riconoscimento e che, pur essendo
causalmente astratto rispetto a questi ultimi, perche’ dotato di una sua autonoma
finalita’, appare comunque agli stessi funzionalmente connesso, dovendone
garantire il determinarsi degli effetti attraverso l’arresto e la consegna in forma
non estradizionale della persona ricercata .
Non e’ dunque il titolo interno a dover circolare ed essere eseguito sul territorio
europeo (tanto che non ne e’ prevista, nella decisione quadro, ne’ l’allegazione
al mandato, ne’, tanto meno, la traduzione), ma proprio il mandato d’arresto in
quanto tale, sulla base dell’obbligatorio schema formale di riferimento costituito
dallo specifico formulario appositamente allegato alla decisione quadro del 13
giugno 2002.
Il nuovo meccanismo di consegna - e proprio in questo tratto caratterizzante
risiede probabilmente il segno epocale della svolta legata all’adozione della
decisione quadro - presuppone, infatti, il riconoscimento “a monte”
del
provvedimento de libertate emesso dalle autorita’ giudiziarie degli altri Stati
membri, consentendo di mettere in esecuzione il mandato d’arresto europeo,
quale decisione tipicamente giudiziaria e come tale generalmente riconosciuta
dalle competenti autorita’ di esecuzione, sulla base della mera indicazione
dell’esistenza del provvedimento a quo (sentenza esecutiva, mandato d’arresto o
qualsiasi altra decisione giudiziaria esecutiva dotata della stessa forza) e di altre
sintetiche informazioni (ad es., natura e qualificazione giuridica del reato,
descrizione delle circostanze della sua commissione, la pena inflitta, ovvero
quella minima e massima stabilita dalla legge dello Stato di emissione, le altre
conseguenze del reato) tassativamente delineate nella disposizione di cui all’art.
8, par. 1, della decisione quadro .
Cio’ che conta nel nuovo sistema di consegna e’ che l’autorita’ giudiziaria
competente ad adottare la decisione relativa all’esecuzione di un mandato
d’arresto europeo abbia la possibilita’ di attivare un controllo sufficiente,
secondo l’esplicita formulazione lessicale dettata nel considerando n. 8 del
preambolo della decisione quadro: ove le informazioni al riguardo comuinicate
dall’autorita’ dello Stato emittente non siano ritenute sufficienti per prendere la
decisione sulla consegna, l’autorita’ giudiziaria dell’esecuzione puo’, ex art. 15,
par. 2, della decisione quadro, richiedere con urgenza la trasmissione delle
informazioni complementari necessarie in relazione agli artt. 3, 4, 5 e 8 della
decisione quadro e puo’ addirittura stabilire un termine per la ricezione delle
stesse (si tratta dei profili inerenti alla previsione dei motivi di rifiuto,
obbligatori e facoltativi, del mandato, alle speciali garanzie che lo Stato
emittente deve essere in grado di fornire ex art. 5 della decisione quadro, ed agli
elementi sostanziali e formali del mandato d’arresto secondo il catalogo delle
indicazioni ex art. 8 dello strumento).
In questa prospettiva, connotata in senso fortemente innovativo dalle
conseguenze oggettivamente ricollegabili all’applicazione del principio del
mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie, e’ evidente che l’esecuzione
del mandato d’arresto europeo dovra’ avvenire sempre attraverso l’avvio e la
conseguente gestione di contatti diretti tra le diverse autorita’ giudiziarie
competenti nell’ambito dei rispettivi sistemi, e specificamente individuate come
tali secondo le regole al riguardo vigenti a livello nazionale.
2) Mandato d’arresto europeo e principi costituzionali. – L’istituto del
mandato d’arresto europeo e’ stato introdotto attraverso lo strumento della
decisione quadro, ossia l’atto normativo di diritto derivato espressamente
previsto dall’art. 34, par. 2, lett.b), del T.U.E., per la realizzazione degli obiettivi
legati all’armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli
Stati membri (laddove l’altro strumento normativo ivi previsto, ossia la
decisione, puo’ essere generalmente utilizzato per il perseguimento di tutti gli
altri obiettivi del III pilastro comunitario).
Si tratta di un atto che, una volta entrato in vigore a livello europeo, determina a
carico degli Stati membri uno specifico obbligo di attuazione in ordine al
risultato da ottenere, ferma restando la piena discrezionalita’ degli stessi in
ordine alla scelta dei mezzi e delle forme da predisporre per il raggiungimento
dell’obiettivo.
L’attuazione della decisione quadro presuppone dunque uno specifico
procedimento di adattamento del diritto interno, da completare, per evidenti
esigenze di sostanziale omogeneita’ e conformita’ allo scopo delle varie
normative nazionali, entro un arco temporale generalmente piuttosto ristretto e
tassativamente prefissato nello stesso atto di diritto derivato.
Di fatto, peraltro, lo strumento della decisione quadro sembra essere connotato
da un certo margine di opportuna flessibilita’, ove si consideri che lo stesso e’
stato talora impiegato dalle istituzioni comunitarie del terzo pilastro per
realizzare,
indifferentemente,
sia
l’obiettivo
dell’armonizzazione
delle
legislazioni degli Stati membri, sia quello del reciproco riconoscimento delle
decisioni giudiziarie, in relazione a settori di fattispecie non ancora armonizzate,
o solo prearmonizzate .
Diversamente dallo strumento, sostanzialmente omologo, delle direttive
comunitarie, in caso di mancata attuazione di una decisione quadro da parte
degli Stati membri non sembra possibile esperire un’azione di infrazione, su
iniziativa della Commissione o di un altro Stato membro, sulla base del modello
generale delineato dall’art. 226 del Trattato istitutivo della Comunita’ europea:
nel settore del terzo pilastro, infatti, la Commissione europea sembra esser priva
della base normativa necessaria per potere promuovere una specifica azione nei
confronti dello Stato membro che non abbia adempiuto ad una decisione quadro
.
Di contro, sembra possibile ritenere, ex art. 35, par. 7, T.U.E., l’attivazione dello
specifico meccanismo contenzioso ivi contemplato, essendo la Corte di
Giustizia competente a statuire su ogni controversia tra Stati membri
concernente l’interpretazione o l’applicazione degli atti adottati a norma dell’art.
34, par. 2, ogni qual volta la controversia non possa esser risolta dal Consiglio
entro sei mesi dalla data nella quale esso e’ stato adito da uno dei suoi membri.
Ne discende, pertanto, che eventuali controversie originate da una mancata o
scorretta applicazione di tale atto di diritto derivato potrebbero essere rimesse, a
domanda di una parte della controversia, all’attenzione della Corte di Giustizia .
Va altresi’ ricordato che nell’attuale sistema della cooperazione giudiziaria
penale l’art. 35, par.1, T.U.E., cosi’ come riformulato a seguito del Trattato di
Amsterdam, attribuisce alla Corte di Giustizia la competenza a pronunziarsi in
via pregiudiziale sulla validita’ o sull’interpretazione delle decisioni quadro:
siffatta apertura al rinvio pregiudiziale ex art. 35, tuttavia, come si e’ osservato,
sembra avere una portata oggettivamente piu’ debole rispetto al modello
comunitario del rinvio pregiudiziale ex art. 234 T.C.E., avendo solo un carattere
facoltativo in quanto subordinato alla formale accettazione dello Stato membro
con un’apposita dichiarazione effettuata all’atto della firma del Trattato di
Amsterdam, ovvero successivamente (allo stato, ad es., vi sono taluni Paesi –
Danimarca, Irlanda e Regno Unito – che non hanno formulato alcuna
dichiarazione di accettazione, mentre altri, come l’Italia, hanno riconosciuto ad
ogni giurisdizione nazionale la facolta’ di adire la Corte di Giustizia,
riservandosi il diritto di prevedere il rinvio obbligatorio per le giurisdizioni di
ultima istanza) .
In considerazione del carattere comunque vincolante della decisione quadro e
della sua sostanziale omogeneita’ con lo strumento della direttiva comunitaria,
pare inoltre possibile ritenere sussistente, in capo al giudice nazionale, un
obbligo di interpretazione conforme del diritto nazionale al contenuto e alle
finalita’ della decisione quadro, sia nelle ipotesi in cui esista una specifica
disposizione di attuazione, sia allorquando, pur in assenza di attuazione, esistano
norme nazionali suscettibili di essere interpretate in modo da non creare un
contrasto con la decisione quadro, ma, anzi, di favorirne l’applicazione nei limiti
del possibile .
Sotto questo profilo, una decisa linea di indirizzo nel senso del rafforzamento
degli attuali strumenti della cooperazione giudiziaria e di polizia sembra
emergere da una recente pronuncia della Corte di Giustizia CE sulla decisione
quadro in materia di tutela delle vittime nell’ambito del procedimento penale ,
in cui si e’ statuito che il giudice nazionale (italiano, nel caso di specie) e’ tenuto
ad interpretare il diritto interno, “per quanto possibile”, in maniera conforme
alla lettera ed allo scopo della decisione quadro al fine di conseguire il risultato
da quest’ultima perseguito (e’ stato anche affermato, nella medesima
prospettiva, che il principio di interpretazione conforme incontra i suoi limiti nei
principi generali del diritto, ed in particolare in quelli di certezza del diritto e di
non retroattivita’). Ne discende, ad avviso della Corte di Giustizia, che il giudice
nazionale e’ tenuto a valutare le norme interne nel loro complesso e ad
interpretarle in relazione al contenuto e alla finalita’ della decisione quadro, il
cui carattere vincolante, ex art. 34, par.2, lett. b), T.U.E., appare non a caso
tratteggiato in termini identici a quelli descritti dall’art. 249, par.3, T.C.E., in
materia di direttive comunitarie .
In nessun caso, peraltro, l’obbligo di interpretazione conforme puo’ condurre a
determinare o ad aggravare, sul fondamento della sola decisione quadro e
indipendentemente dalla legge statale adottata per la sua attuazione, la
responsabilita’ penale di coloro che agiscono in violazione delle sue disposizioni
.
E’ significativo, del resto, che nel solco tracciato dalla Corte di Giustizia si
ponga anche una recente pronuncia della House of Lords in ordine alla legge
britannica di attuazione del mandato d’arresto europeo (cd. Extradition Act
2003), secondo cui la decisione quadro prevale sulla normativa interna quando
quest’ultima introduce condizioni non previste dall’atto europeo (che, pertanto,
devono essere disapplicate dal giudice nazionale) .
La normativa interna, infatti, secondo i giudici inglesi, deve essere interpretata
alla luce dello scopo della decisione quadro del 13 giugno 2002, ovvero di
“facilitare ed accelerare” le procedure di consegna, eliminando le complessita’
ed i ritardi della procedura estradizionale, con la conseguenza che la formalita’
aggiuntiva richiesta dalla legge britannica (ossia, l’allegazione di un certificate
da parte dello Stato richiedente in ordine alla tipologia ed alla sanzione edittale
del reato oggetto del mandato d’arresto) verrebbe ad introdurre un requisito
tecnico che rischierebbe di frustrare la volonta’ dell’U.E. di un unico, comune,
form di ordine di arresto accettato uniformemente da tutti gli Stati membri.
L’acceso dibattito verificatosi in sede dottrinale, e successivamente sviluppatosi
nel corso dei lavori parlamentari, sulle forme e modalita’ del recepimento della
decisione quadro nel nostro ordinamento giuridico ha fatto emergere profili
problematici estremamente rilevanti in ragione delle numerose implicazioni
legate ai possibili contrasti della disciplina comunitaria con i principi
fondamentali della nostra Costituzione .
Si e’ sostenuto, in particolare: a) che il catalogo di fattispecie contenuto
nell’art.2, par. 2, della decisione quadro, configurando i reati in maniera del
tutto generica, disattende i principi di riserva di legge e tassativita’ in materia
penale; b) che lo strumento comunitario svuoterebbe di contenuto, attraverso la
automaticita’ di esecuzione del mandato d’arresto, le garanzie fondamentali
generalmente fissate negli artt. 13 e 111 Cost.; c) che la decisione quadro
introdurrebbe un sistema semplificato di consegna in contrasto con gli artt. 10 e
26 Cost., laddove stabiliscono il divieto di estradizione del cittadino ed il divieto
di estradizione, sia del cittadino che dello straniero, per reati politici .
Al riguardo, tuttavia, si e’ efficacemente replicato che nel mandato d’arresto
europeo la doppia incriminazione, lungi dall’essere eliminata, e’ invece
presupposta sulla base di una valutazione effettuata ex ante, alla luce del rilievo
per cui le fattispecie elencate nella lista di cui all’art.2, par.2, della decisione
quadro costituiscono ipotesi criminose in ciascuno degli Stati membri, perche’
gia’ ricomprese nelle legislazioni interne ovvero disciplinate nell’ambito di
strumenti normativi internazionali, dunque gia’ armonizzate o in via di
armonizzazione. Nella stessa prospettiva, si e’ altresi’ considerato come non sia
affatto sufficiente il mero nomen iuris a far scattare l’obbligo di consegna,
dovendo comunque l’autorita’ giudiziaria di esecuzione procedere ad un
controllo, sia pure ridotto, al fine di verificare la esatta riconducibilita’ del fatto
per il quale si richiede la consegna ad uno dei reati elencati nella lista .
Ne’, del resto, potrebbe tralasciarsi di rilevare che, in concreto, il sistema della
lista ex art.2, par. 2, correlato con quello perdurante della doppia incriminazione
ex art. 2, par.4, sembra costituire comunque un meccanismo combinatorio
idoneo ad escludere – specie a fronte di possibili casi-limite che rivelino scelte
differenziate tra gli ordinamenti degli Stati membri - il pericolo di una consegna
per un fatto non previsto come reato dalla legge dello Stato di esecuzione.
In definitiva, la garanzia del rispetto dei principi di legalita’ e tassativita’ e’
offerta dalla circostanza che tutti i Paesi membri dell’Unione sono vincolati dal
quadro di garanzie delineato nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo e
delle liberta’ fondamentali e sottoposti alla giurisdizione della Corte di
Strasburgo: il principio della doppia incriminazione, tipico dei procedimenti di
estradizione, assolve infatti una funzione di garanzia nei confronti di quegli Stati
di cui in Italia non si conosca fino a qual punto aderiscano ai principali diritti di
liberta’ e democrazia, non certo all’interno dello spazio giuridico europeo,
definito comune proprio perche’ formato da Paesi che si ispirano ai medesimi
valori e dove l’osservanza degli stessi viene garantita a livello internazionale
dalle pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo .
In ordine al preteso contrasto con l’art. 26 Cost., lo strumento della decisione
quadro, quale atto normativo di diritto derivato, pur non potendosi formalmente
configurare come convenzione internazionale, trova comunque la sua origine
nelle disposizioni di cui agli artt. 31 e 34 del T.U.E., con la conseguenza che il
necessario coordinamento con l’ulteriore principio inerente alle limitazioni di
sovranita’ ex art. 11 Cost. consente di escludere in radice i dubbi di
costituzionalita’ per quel che attiene alla consegna di un cittadino italiano allo
Stato membro emittente. Del resto, la stessa decisione quadro, soprattutto
nell’art. 5, par.3, contempla speciali garanzie che devono esser fornite dallo
Stato membro emittente allorquando la persona oggetto del mandato d’arresto
europeo sia cittadino o residente dello Stato membro di esecuzione, potendo la
consegna essere subordinata alla condizione che la persona, dopo esser stata
ascoltata, sia rinviata nello Stato membro di esecuzione per scontarvi la pena
detentiva o la misura di sicurezza privativa della liberta’ eventualmente
pronunciate nei suoi confronti nello Stato membro emittente .
Inoltre, come e’ stato rilevato dalla dottrina, nessuno dei reati elencati nella
decisione quadro puo’ essere considerato oggettivamente politico: il contenuto
della clausola di non discriminazione accolta nel considerando n. 12 della
decisione quadro e’ stato ritenuto ampiamente sufficiente per evitare eventuali
rischi di strumentalizzazione o manipolazione politica del mandato d’arresto
europeo, consentendo di rifiutare la consegna qualora sussistano elementi
oggettivi per ritenere che sia stato emesso al fine di perseguire penalmente o
punire una persona a causa, tra l’altro, delle sue opinioni politiche .
Si e’ infine osservato, in ordine al supposto contrasto con i principi di cui agli
artt. 3 Cost., in relazione all’art. 13 Cost., e 111 Cost., che gia’ oggi, nella
materia estradizionale, considerate le preminenti finalita’ di cooperazione tra
Stati che essa intende soddisfare, si prescinde, ai fini dell’emissione del
provvedimento restrittivo, dai limiti di pena previsti dall’art. 280 c.p.p. (ex art.
714, co.2, c.p.p.) e che, in esecuzione del mandato d’arresto europeo, una
persona viene assoggettata a misura restrittiva della liberta’ personale non
direttamente in forza del provvedimento straniero, ma a seguito di un
provvedimento interno, avverso il quale e’ comunque ammesso il ricorso per
cassazione conformemente al disposto di cui all’art. 111 Cost. .
Tutti i Paesi membri dell’U.E., del resto, sono vincolati al rispetto del principio
di legalita’ nell’adozione delle misure coercitive ex art. 5, co.1, lett. c) , della
Convenzione europea dei diritti dell’uomo .
Nel sistema estradizionale, peraltro, come piu’ avanti meglio si vedra’, non e’
ammessa la verifica, da parte dello Stato richiesto, sull’esistenza dei presupposti
di colpevolezza, in quanto la stessa e’ di esclusiva pertinenza del giudice
nazionale, che e’ il vero giudice del fatto: sarebbe infatti necessaria, al riguardo,
una verifica della congruita’ della motivazione rispetto agli elementi acquisiti
nel corso del procedimento penale straniero, cio’ che e’ in contrasto con il diritto
convenzionale in materia di estradizione in quanto comporterebbe un’invasione
di competenza e non risulterebbe comunque, in concreto, possibile perche’ e’ il
giudice naturale del fatto che ha il fascicolo processuale.
Ne’ potrebbe dirsi irrilevante il dato testuale emergente dalla stessa decisione
quadro, ove si precisa che l’obbligo di rispettare i diritti fondamentali e i
fondamentali principi giuridici sanciti dall’art. 6 del T.U.E. non puo’ essere
modificato per effetto della decisione medesima (ex art. 1, par. 3) e che gli Stati
membri possono comunque applicare le loro norme costituzionali relative al
giusto processo, alla liberta’ di stampa, alla liberta’ di associazione e alla liberta’
di espressione negli altri mezzi di comunicazione (considerando n. 12).
Sotto altro profilo, tuttavia, e’ evidente che il complesso delle obiezioni di
ordine costituzionale puo’ e deve essere congruamente valutato solo alla stregua
delle specifiche tecniche di adattamento di volta in volta utilizzate dal
legislatore ordinario in sede di recepimento della fonte comunitaria.
3) L’attuazione del mandato d’arresto europeo nell’ordinamento italiano:
la legge 22 aprile 2005, n. 69. - Con la entrata in vigore della legge 22 aprile
2005, n. 69, recante “Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione
quadro 2002/584/GAI, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di
consegna tra Stati membri”, lo strumento comunitario risulta ormai
definitivamente attuato in tutti gli Stati dell’Unione europea .
Si e’ in tal modo realizzata la condizione per la definitiva sostituzione della
estradizione con la nuova procedura di consegna, basata sul mandato di arresto
europeo, nelle relazioni tra le autorità giudiziarie di tutti gli Stati membri, con
alcune limitate eccezioni riconducibili, in parte, alle dichiarazioni unilaterali
rese ai sensi dell’art.32 della decisione quadro da tre Stati (Italia, Austria e
Francia) e, in parte, alle specifiche norme di diritto intertemporale previste
nell’ambito di talune leggi di attuazione di altri Stati membri (ad es.,
Lussemburgo, Repubblica Ceca e Slovenia).
Eccezioni di diritto transitorio, infatti, possono essere invocate solo da quegli
Stati membri (Francia, Austria e Italia) che si sono avvalsi, in virtu’
dell’apposita dichiarazione unilaterale prevista dall’art. 32 della decisione
quadro, della facolta’ di continuare ad applicare il sistema dell’estradizione alle
richieste relative ai reati commessi prima di una certa data da essi precisata
(ossia il 1° novembre 1993 per la Francia, ed il 7 agosto 2002, data dell’entrata
in vigore della decisione quadro, per l’Austria e l’Italia).
Nelle legislazioni di taluni Stati membri, tuttavia, si e’ ritenuto di introdurre
specifiche disposizioni di diritto transitorio, nonostante la generale disciplina
dettata dall’art. 32 della decisione quadro e gli effetti delle correlative clausole
di “sbarramento” temporale ivi previste, anche con riguardo alla possibilita’, per
ogni Stato membro, di adottare una dichiarazione unilaterale in qualita’ di Stato
dell’esecuzione (consentita, pero’, solo al momento dell’adozione della
decisione quadro): cosi’, ad es., in Slovenia l’art. 36 della l. 26 marzo 2004 (n.
212-05/04-32/1)
prevede
l’applicabilita’
delle
procedure
estradizionali,
convenzionali o ordinarie, in relazione ai reati commessi prima della data del 7
agosto 2002, mentre in Lussemburgo l’art. 37 della l. 17 marzo 2004, n. 39,
consente l’applicabilita’ delle nuove disposizioni relative alla procedura di
consegna per i fatti commessi successivamente alla data del 7 agosto 2002, e,
addirittura, nella legge di attuazione varata dalla Repubblica Ceca si prevede
l’applicabilita’ della nuova disciplina soltanto per i reati commessi
successivamente alla data del 1° novembre 2004.
La legge italiana è formata da 40 articoli distinti in tre titoli. Il Titolo I,
contenente le disposizioni di principio, comprende gli articoli da 1 a 4. Il Titolo
II, contenente le norme di recepimento interno, é suddiviso in quattro Capi: il
Capo I, intitolato “Procedura passiva di consegna”, comprende ventitre articoli,
dal 5 al 27; il Capo II, intitolato “Procedura attiva di consegna”, comprende sei
articoli (dal 28 al 33); il Capo III, intitolato “Misure reali”, comprende gli
articoli 34, 35 e 36; il Capo IV, intitolato “Spese”, si compone di un unico
articolo (37). Il Titolo III contiene le disposizioni transitorie e finali e
comprende gli articoli 38, 39 e 40. Nel complesso, gli articoli di legge che
regolano la esecuzione in Italia del mandato di arresto europeo emesso in un
altro Stato membro sono ventitre, mentre gli articoli relativi alla emissione del
mandato di arresto europeo da parte della autorità giudiziaria italiana sono sette.
Alle disposizioni di legge, inoltre, deve essere aggiunta la dichiarazione
presentata dall’Italia al momento della entrata in vigore della decisione quadro e
pubblicata sulla Gazzetta ufficiale delle Comunità europee. In base ad essa,
l’Italia continuerà ad applicare le convenzioni in materia di estradizione nella
esecuzione dei mandati di arresto europeo emessi in altri Stati per reati
commessi anteriormente alla entrata in vigore della decisione quadro (ossia, il 7
agosto 2002).
La complessità della normativa italiana appare comunque in linea con quella
delle legislazioni degli altri Stati membri e della stessa decisione quadro.
Quest’ultima è formata da un ampio preambolo (14 consideranda), 35 articoli e
un allegato, contenente il modello della “eurordinanza” denominata “mandato di
arresto europeo”. Si tratta, quindi, di un testo normativo molto più complesso
dei singoli strumenti giuridici in materia di estradizione, che in tal modo si
vengono a sostituire.
Per quanto riguarda le leggi varate dagli altri Stati membri della Unione
europea, soltanto il Regno di Danimarca, che per primo ha dato attuazione alla
decisione quadro, ha adottato un testo relativamente breve (18 articoli). In
Spagna, le leggi organiche n.1 e n.2 del 2003 hanno creato un testo normativo
formato da un preambolo, 29 articoli, 6 disposizioni addizionali, transitorie e
finali, e un allegato. Nel Regno Unito, le disposizioni relative al mandato di
arresto europeo sono comprese nell’Extradiction Act 2003, che si compone di
227 articoli e 4 allegati. In Francia, con la legge del 9 marzo 2004, è stata
introdotta un’ampia novella dell’articolo 695 del codice di procedura penale,
con l’aggiunta di 41 nuovi paragrafi (dal 695-11 al 695-51), e sono stati
modificati gli articoli 568 e 574 dello stesso codice. La legge olandese sul
mandato di arresto europeo è formata da 76 articoli, più due allegati; quella
svedese da 49 articoli; quella belga da 44; quella greca da 43; quella portoghese
da 40; quella del Lussemburgo da 37; quella austriaca da 44 articoli e un
allegato; quella della Repubblica Ceca da 70 articoli.
4) Segue: Le disposizioni di principio . - Nell’art.1 della l. n. 69/2005, il
mandato di arresto europeo viene definito come una “decisione giudiziaria”
emessa da uno Stato membro (di “emissione”) in vista dell’arresto e della
consegna di una persona da parte di un altro Stato membro (“di esecuzione”). La
norma specifica che l’attuazione della decisione quadro nell’ordinamento
interno avviene nei limiti in cui le relative disposizioni “non sono incompatibili
con i principi supremi dell’ordinamento costituzionale in tema di diritti
fondamentali, nonché in tema di diritti di libertà e del giusto processo”. Risulta,
in questo modo, invertita la gerarchia delle fonti normative, tradizionalmente
incentrata sulla regola di prevalenza del diritto comunitario, seppur nel rispetto
dei “controlimiti” che la Corte costituzionale ha individuato (sin dalla storica
sentenza del 27.12.1965, n.98) nei casi di violazione dei “principi fondamentali
del nostro ordinamento costituzionale” o dei “diritti inalienabili della persona
umana” .
Il comma 3 indica un presupposto generale per la esecuzione in Italia dei
mandati di arresto europei emessi a fini cautelari, richiedendo che il
provvedimento sul quale è basato il mandato deve essere “motivato”
e
“sottoscritto da un giudice”. In questo modo, si pongono a carico dello Stato di
emissione obblighi non contemplati nella decisione quadro e di dubbia
compatibilità con il principio del reciproco riconoscimento delle decisioni
giudiziarie, che sta alla base della cooperazione giudiziaria tra gli Stati membri,
e del quale la decisione quadro rappresenta la prima concretizzazione
(considerando n. 6), oggi “costituzionalizzata” attraverso la definitiva
consacrazione di quel principio nel Trattato europeo sottoscritto a Roma il 29
ottobre 2004 e ratificato dall’Italia con legge approvata il 6 aprile 2005 .
In concreto, le due condizioni richieste dal comma 3 per la esecuzione del
mandato di arresto europeo, ove non interpretate cum granu salis, potrebbero
dar luogo a non indifferenti problemi operativi nei rapporti con lo Stato di
emissione, specialmente in considerazione dell’elevato numero di domande di
consegna per motivi processuali o cautelari. I problemi potranno derivare dai
diversi standards motivazionali seguiti nei vari ordinamenti dei Paesi dell’U.E.:
ad esempio, in Inghilterra, la Magistrates’ Court non é automaticamente tenuta
a rendere decisioni motivate e la giuria, laddove prevista, non pronuncia mai una
decisione motivata. Per quanto riguarda la sottoscrizione da parte del giudice del
provvedimento in base al quale è stato emesso il mandato di arresto europeo,
essa non è prevista nella decisione quadro, il cui art. 8, par. 1, lett. c), fa
riferimento soltanto alla necessaria indicazione, nel mandato di arresto,
dell’esistenza di una sentenza esecutiva, di un mandato di cattura o di
“qualsiasi” altra decisione giudiziaria esecutiva che abbia la stessa forza e rientri
nella “tipologia” di una decisione giudiziaria .
A tale riguardo, comunque, la S.C. ha di recente precisato che la garanzia
richiesta dall’art. 1, comma 3, della l. n. 69/2005, secondo cui il provvedimento
cautelare in base al quale il mandato e’ stato emesso deve essere sottoscritto da
un giudice, non si estende all’atto con cui e’ richiesta all’autorita’ giudiziaria
italiana la consegna .
L’art. 2 della legge indica le garanzie di ordine costituzionale che debbono
essere osservate nell’esecuzione del mandato d’arresto europeo. La norma rinvia
a un insieme di diritti fondamentali, principi e regole in materia di giusto
processo, libertà personale, diritto di difesa, principio di eguaglianza,
responsabilità penale e qualità della sanzione penale, contenuti nella
Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e nella
Costituzione italiana, e la cui concreta verifica può rendere necessaria una
richiesta di “idonee garanzie” allo Stato membro di emissione (comma 2).
La disposizione, che stranamente tralascia di considerare i principi e le regole
del Patto internazionale sui diritti civili e politici adottato a New York il 19
dicembre 1966 e ratificato con l. 25 ottobre 1977, n. 881, appare ridondante nel
quadro di una legislazione nazionale rivolta ad attuare gli obblighi derivanti da
una decisione quadro che richiama espressamente (art. 1, par.3, e consideranda
nn. 12 e 13) i diritti fondamentali e i principi giuridici sanciti dall’art. 6 del
T.U.E. che, com’é noto, fa “filtrare” nell’ordinamento comunitario le
disposizioni della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, come interpretate
dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo.
La formulazione dell’art. 2 appare, inoltre, piuttosto singolare ove raffrontata
con la più scarna ed efficace previsione dell’articolo 705, co.2, c.p.p., in
relazione al procedimento di estradizione cd. extraconvenzionale (ad es., con gli
Stati non aderenti all’U.E. o al Consiglio d’Europa).
La disposizione codicistica, infatti, opportunamente limita il rifiuto della
estradizione per l’estero a tre ipotesi: a) il mancato rispetto dei diritti
fondamentali; b) la contrarietà ai principi fondamentali dell’ordinamento
giuridico dello Stato; c) il rischio di un trattamento persecutorio o
discriminatorio. Per quanto riguarda, invece, il regime della estradizione
convenzionale, va rilevato che i trattati soltanto raramente contengono
disposizioni generali in materia di tutela dei diritti fondamentali. Un esempio, in
tal senso, è fornito dall’accordo tra Italia e Perù, sottoscritto il 24 novembre
1994 e ratificato con l. 3 maggio 2004, n. 135, nel quale è prevista, tra i motivi
di rifiuto dell’estradizione, la mancata garanzia del rispetto dei “diritti minimi di
difesa” nell’ambito del procedimento a carico della persona richiesta. Per il
resto, le convenzioni internazionali si limitano ad enunciare la regola di non
discriminazione e la clausola relativa ai cd. reati politici.
Sembra comunque doversi ritenere, come pur si e’ prospettato in dottrina, che
l’ampio richiamo ai diritti fondamentali garantiti dalla CEDU e dai relativi
Protocolli addizionali non assume rilievo se non per quelle previsioni che
racchiudono diritti inviolabili dell’imputato o del condannato e danno corpo a
valori fondamentali della societa’ democratica, suscettibili di limitare le forme
di cooperazione internazionale, in quanto la loro lesione fa venir meno le
esigenze di giustizia poste alla bese degli strumenti collaborativi .
Sotto altro profilo, se è vero che la decisione quadro richiama il rispetto delle
norme costituzionali degli Stati membri relative al giusto processo
(considerando 12), é anche vero che i diritti fondamentali, possono essere
garantiti in maniera non uniforme nei vari ordinamenti. Proprio per questo
motivo, ad es., la Corte di cassazione non ha ritenuto di ostacolo all’estradizione
il fatto che nei confronti dell’estradando fosse stata pronunciata sentenza di
condanna utilizzando, per l’accertamento della sua responsabilità, prove assunte
fuori dal contradditorio, escludendo che ciò costituisca una violazione del
nucleo essenziale dei diritti di difesa dell’imputato .
La giurisprudenza di legittimita’ ha, di recente, tracciato il perimetro di quella
garanzia, stabilendo che i principi e le regole contenuti nella Costituzione ed
attinenti al “giusto processo”, il cui rispetto e’ condizione imposta dall’art. 2,
comma 1, lett. b), della legge n. 69/2005 per l’esecuzione del mandato d’arresto
europeo, sono quelli definiti dalle Carte sovranazionali ed in particolare dall’art.
6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle
liberta’ fondamentali, al quale si richiama il novellato art. 111 della Costituzione
.
Non rileva, ai fini della decisione sulla consegna, il fatto che l’ordinaento dello
Stato emittente presenti garanzie che possano apparire, in tesi, meno
soddisfacenti di quelle dell’ordinamento italiano quanto alle specifiche norme
che si ispirano ai principi di oralita’ e del contraddittorio: cio’ che conta e’ che
siano rispettati i canoni del “giusto processo”
come definiti dalle Carte
sovranazionali, ed in particolare nel citato art. 6 della Convenzione europea dei
diritti dell’uomo.
E’ allora evidente, come opportunamente si e’ osservato in dottrina, che
nell’ambito di un sistema “multilivello” quale quello che definisce l’attuale
impianto normativo della procedura di consegna tra gli Stati membri dell’U.E. e
del Consiglio d’Europa, occorre fare riferimento all’interpretazione che le Corti
europee danno del dato normativo sovranazionale, senza che la mera adesione
alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo implichi, tuttavia, una
presunzione di conformita’ al contenuto precettivo delle garanzie convenzionali
.
Al riguardo, tuttavia, non puo’ non rilevarsi che se, per un verso, la S.C. tende,
secondo il canone dell’interpretazione conforme, ad allineare la norma interna al
contenuto ed alle finalita’ dello strumento normativo comunitario da attuare
nell’ordinamento italiano (escludendo interpretazioni che, subordinando
l’esecuzione del mandato alla sostanziale coincidenza delle regole sulla
formazione della prova applicate nello Stato di emissione, violerebbero gli
obblighi derivanti dall’art. 34, par. 2, lett. b), T.U.E. e lo stesso principio di
mutuo riconoscimento di cui la decisione quadro e’ espressione ex considerando
n. 6), per altro verso la Commissione europea ha di recente ritenuto la
disposizione di cui all’art. 2, lett. b), della l. n. 69/2005 (nella parte in cui si
richiama ai principi costituzionali sul giusto processo, per la cui verifica la corte
d’appello puo’ richiedere specifiche garanzie allo Stato membro di emissione),
in contrasto sia con l’art. 6, par. 2, T.U.E., sia con il considerando n. 12 della
Decisione quadro, che fa esclusivamente riferimento ai principi costituzionali
comuni agli Stati membri .
Infine, del tutto teorica appare la possibilità, prevista nell’articolo 2, co.3, di
rifiutare la consegna dell’imputato o del condannato in caso di grave e
persistente violazione, da parte dello Stato richiedente, dei diritti fondamentali
garantiti nella CEDU. In questo caso, infatti, il rifiuto presuppone che sia stato
attivato lo speciale procedimento sanzionatorio previsto negli articoli 6 e 7 del
T.U.E., richiamato nel considerando n. 10 della decisione quadro al quale fa
rinvio l’articolo 2, co. 3, della legge. Si tratta di una procedura comunitaria a
carattere essenzialmente politico, che presuppone violazioni sistematiche dei
diritti umani da parte dello Stato e non la specifica violazione, nel caso concreto,
dei diritti dell’accusato o del condannato. Più in linea con la decisione quadro
sarebbe stata una clausola di rifiuto connessa a singole situazioni discriminatorie
o di violazione dei diritti e principi riconosciuti dall’art. 6 del T.U.E., sulla
falsariga di quelle inserite nelle legislazioni di altri ordinamenti europei (ad es.,
l’art. 73 della legge federale tedesca del 21 luglio 2004, o l’art. 2 della legge
belga del 22 dicembre 2003).
Particolarmente opportuna è, invece, la disposizione dell’art. 3, co.1, della
legge, secondo cui l’ampliamento, nella decisione quadro, delle fattispecie di
reato sottratte alla verifica della “doppia incriminazione” deve essere sottoposto
a riserva d’esame parlamentare. Questo istituto, già noto in altri ordinamenti, è
anche disciplinato, in termini generali, dall’art. 4 della legge 4 febbraio 2005, n.
11 (Partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’U.E. e sulle procedure
di esecuzione degli obblighi comunitari), che ha previsto l’apposizione della
riserva da parte del Governo, in sede di Consiglio dei Ministri dell’U.E., sui
progetti di atti comunitari e dell’U.E. e sulle loro modificazioni. In assenza di
coordinamento con l’art. 4 della citata l. 4 febbraio 2005, n. 11, la riserva
parlamentare in relazione alle modifiche dell’art. 2, par. 2, della decisione
quadro seguirà l’iter delineato dall’art. 3 della legge in esame. In concreto, sarà
il Presidente del Consiglio dei ministri a trasmettere al Parlamento il progetto di
modifica, unitamente a una relazione. Alla eventuale pronuncia non favorevole
di uno dei due rami del Parlamento è riconosciuta efficacia vincolante per il
Governo, tanto da non esser consentita in questo caso l’adesione dello Stato
italiano alle modifiche proposte in sede comunitaria .
5) Segue: Il ruolo dell’autorità centrale. - L’art. 4, co.1, della l. n. 69/2005
individua nel Ministro della Giustizia l’autorità centrale preposta all’assistenza
delle autorità giudiziarie competenti, stabilendo che spettano ad esso anche le
attività di trasmissione e ricezione dei mandati d’arresto europei e della
corrispondenza ufficiale ad essi relativa.
Ciò comporta che, nella fase passiva della procedura, il Ministro della giustizia
riceve il mandato di arresto europeo emesso in un altro Stato membro,
unitamente alla documentazione, e lo trasmette senza indugio alla Corte
d'appello territorialmente competente per la decisione. Nella fase attiva, il
Ministro riceve dalle autorità giudiziarie italiane il mandato di arresto europeo e
lo trasmette alla autorità straniera competente per la esecuzione. In entrambi i
casi, il Ministro della giustizia cura le traduzioni necessarie.
Da un punto di vista funzionale, la norma appare compatibile con il ruolo che la
decisione quadro (considerandum n. 9 e articolo 7, parr. 1 e 2) riconosce alle
autorità centrali degli Stati membri, sul presupposto che l’imputazione ad esse di
mere funzioni amministrative (assistenza pratica ecc.) è compatibile con
l’obiettivo generale di giurisdizionalizzare le procedure di consegna tra gli Stati
membri .
Piuttosto, va rilevato che nella decisione quadro la facoltà di designare una o più
autorità centrali è prevista solo se l’organizzazione del sistema giudiziario
interno dello Stato lo rende necessario (art. 7, par. 2). Al riguardo, la disamina
comparata delle legislazioni statali dimostra che solo pochi Stati membri,
caratterizzati da modelli ordinamentali molto diversi da quello italiano, hanno
adottato un meccanismo di interposizione dell’autorità centrale con il monopolio
della trasmissione delle richieste di consegna. E’ il caso della legge della
Repubblica federale di Germania, del 21 luglio 2004, che ha indicato quali
autorità competenti i ministeri della giustizia federale e dei Länder;
dell’Extradition Act 2003 del Regno Unito, che individua le autorità competenti
alla trasmissione e ricezione dei mandati d’arresto nel National Criminal
Intelligence Service, per l’Inghilterra, e nel Crown Office, per la Scozia; della
legge della Danimarca (n.433 del 10 giugno 2003), che attribuisce al Ministro
della giustizia la competenza a decidere tanto la esecuzione del mandato di
arresto europeo emesso in un altro Stato, quanto la emissione del mandato,
nell’ambito di un procedimento interno.
Sotto tale profilo, il coinvolgimento del Ministro della giustizia attraverso il
meccanismo di ricezione-trasmissione del mandato d’arresto delineato nell’art. 4
della legge italiana, potrebbe risultare poco coerente con l’art. 7, par. 2, della
decisione quadro, sebbene la formula adottata dal legislatore (il ministro della
giustizia trasmette senza indugio……) sia finalizzata a garantire la rapidità e
automaticità della comunicazione .
Di certo, i compiti attribuiti dalla legge italiana al Ministro della giustizia
risultano piu’ incisivi risptto a quelli che la decisione quadro ordinariamente
attribuisce all’autorita’ centrale .
Infine, l’ultimo comma dell’art. 4 della legge consente solo in condizioni di
reciprocità, e nei limiti previsti da accordi internazionali, la corrispondenza
diretta tra le autorità giudiziarie con obbligo di immediata informativa al
Ministro della ricezione o dell’emissione del mandato d’arresto europeo.
Non e’ ben chiara la ratio della disposizione normativa, ove si considerino
l’ambito di applicazione della decisione quadro (limitato solo al territorio degli
Stati membri dell’U.E.) ed il fatto che la maggioranza degli Stati membri, pur
con qualche rilevante eccezione (Danimarca, Regno Unito, Germania), prevede
un contatto diretto tra le autorita’ giudiziarie nelle differenti fasi della procedura
di consegna (artt. 9, 15 e 23 della decisione quadro, in relazione alle evenienze
della trasmissione del mandato, in caso di localizzazione del ricercato, della
richiesta di informazioni supplementari utili, in caso di decisione sulla consegna,
e della individuazione concordata della data di consegna).
Ne’, del resto, si e’ introdotta nel testo dell’art. 4 una clausola di coordinamento
con le su citate disposizioni della decisione quadro, al fine di salvaguardare in
quelle specifiche situazioni procedimentali il canale diretto di comunicazione tra
le competenti autorita’ giudiziarie degli S.M. .
La norma, comunque, non risulta di agevole interpretazione, anche alla luce dei
lavori parlamentari: il testo dell’originaria proposta di legge faceva dipendere la
corrispondenza diretta tra le autorita’ giudiziarie dalla sola presenza della
condizione di reciprocita’ con l’altro Stato membro. Il successivo inserimento
dell’ulteriore condizione relativa ai “limiti” ed alle “modalita’ ” previsti da
“accordi internazionali” alla cui stipula il legislatore sembra rinviare la
possibilita’ di applicazione della regola della corrispondenza diretta tra autorita’
giudiziarie rende sostanzialmente inefficace, allo stato, la disposizione di cui al
comma 4 .
Sotto altro profilo, tuttavia, e’ evidente che l’operativita’ del principio del
reciproco riconoscimento si fonda sulla rapida circolazione extraterritoriale delle
decisioni giudiziarie e sulla instaurazione di relazioni dirette tra le autorita’
giudiziarie interessate, tanto da prevedere, in caso di concorso di richieste di
consegna inerenti alla stessa persona, un possibile intervento “regolatore” di
Eurojust (ex art. 16, par. 2, della decisione quadro), quale organo sovranazionale
tipicamente preposto all’agevolazione della cooperazione e del coordinamento
delle indagini.
Ed allora, con ogni probabilita’, fatta salva la competenza ministeriale di cui al
comma 1 dell’art. 23 (che fa riferimento, ai fini della consegna, alle intese
intercorse tra il Ministro della giustizia e lo Stato membro di emissione), il senso
della disposizione potrebbe ricercarsi nell’intenzione del legislatore di garantire
comunque (gia’ all’interno della generale cornice di riferimento attualmente
delineata dall’accordo tra Stati membri alla base della decisione quadro)
l’attivazione della corrispondenza diretta in presenza della condizione di
reciprocita’, ovvero, nei casi dubbi e di non facile soluzione (ad es., per
problemi di conoscenza della normativa straniera), di consentire all’autorita’
giudiziaria di avvalersi dell’utile assistenza amministrativa che al riguardo puo’
fornire la nostra autorita’ centrale per superare eventuali ostacoli o problemi di
ordine pratico .
6) Segue: La procedura passiva di consegna . - Dopo le disposizioni di
principio, la legge disciplina la procedura di esecuzione, in Italia, del mandato di
arresto europeo emesso in un altro Stato membro. Dal punto di vista
procedimentale – vale a dire della successione di atti preordinata alla consegna
della persona ricercata – si può distinguere una fase “passiva” e una fase
“attiva”. Nel nuovo lessico della decisione quadro, queste due fasi sono
rispettivamente definite “di esecuzione” e “di emissione” del mandato di arresto
europeo, cui corrisponde la distinzione tra autorità giudiziaria “dell’esecuzione”
e autorità giudiziaria “emittente”. Nel diritto della estradizione e, in generale,
nelle convenzioni internazionali in materia di cooperazione giudiziaria, si parla
invece di autorità “richiesta” e autorità “richiedente”. Nel codice di procedura
penale, l’estradizione passiva è definita anche estradizione per l’estero (artt. 697
ss.); quella attiva, estradizione dall’estero (artt. 720 ss.).
Per “procedura passiva di consegna” si intende, quindi, la fase procedimentale
in cui una autorità giudiziaria italiana deve adottare la decisione sulla
esecuzione del mandato di arresto europeo e la conseguente consegna della
persona ricercata ovvero rifiutare o sospendere la esecuzione stessa, previa
valutazione della sussistenza dei motivi di rifiuto o rinvio previsti dalla legge.
Nell’introdurre la disciplina dell’esecuzione, l’articolo 5 della legge stabilisce
che la consegna di un imputato o condannato all’estero non può essere concessa
senza la decisione favorevole della corte di appello. La disposizione è del tutto
equivalente a quella contenuta nell’articolo 701, comma 1, codice di procedura
penale, in materia di estradizione, da cui viene mutuata anche la rubrica
(Garanzia giurisdizionale). Analoghi sono i criteri per la determinazione della
corte d'appello territorialmente competente: si tratta, nell’ordine, del luogo di
residenza, dimora o domicilio dell’imputato o condannato, nel momento in cui il
mandato di arresto europeo è ricevuto dall’autorità giudiziaria italiana. Quando
la competenza non può essere determinata in base a tali criteri è competente la
corte di appello di Roma .
Una ulteriore deroga è prevista nei casi, statisticamente frequenti, in cui la
persona ricercata viene arrestata sul territorio italiano per effetto di una richiesta
di arresto introdotta nel sistema informativo Schengen, ai sensi dell’art.95 della
relativa convenzione (CAAS, Convenzione di applicazione dell’accordo di
Schengen, ratificata dall’Italia con legge 30 settembre 1993, n.388); in questi
casi, è competente la corte d’appello nel cui distretto si è verificato l’arresto da
parte della polizia giudiziaria.
In definitiva, la legge ha opportunamente attribuito la decisione sulla esecuzione
del mandato di arresto europeo agli uffici giudiziari già competenti nella fase
giurisdizionale del procedimento di estradizione, per garantire sia i requisiti di
alta specializzazione, che sono propri di questa materia, sia il rispetto dei
brevissimi termini che caratterizzano la nuova procedura di consegna.
L’articolo 6 contiene una serie di disposizioni relative al contenuto del mandato
di arresto europeo, agli atti che debbono esservi allegati, alle richieste di
integrazione, al cd. regime linguistico.
La norma indica, al comma 1, gli elementi del mandato di arresto europeo, che
consistono nell'indicazione dell'identità e cittadinanza del ricercato (lett. a); dei
dati relativi alla autorità giudiziaria emittente (lett. b); dell'esistenza della
sentenza esecutiva, del provvedimento cautelare o di ogni altra decisione
esecutiva adottata da un giudice che abbia la stessa forza e che rientri
nell'ambito applicativo degli articoli 7 e 8 della legge (condotta prevista come
reato anche in Italia ovvero illeciti per cui è prevista la consegna obbligatoria)
(lett. c); della natura del reato e nella sua qualificazione giuridica (lett. d); delle
circostanze della commissione del reato (tempo, luogo e il grado di
partecipazione del ricercato) (lett. e); della pena inflitta, nel caso in cui vi sia già
una sentenza, ovvero, negli altri casi, della pena edittale minima e massima (lett.
f); delle altre conseguenze del reato (lett. g).
Se il mandato di arresto europeo non contiene alcune di queste informazioni –
quelle di cui alle lettere a), c), d), e) ed f) – o se esse non sono ritenute
sufficienti ai fini della decisione, la corte d’appello richiede informazioni
integrative alla autorità di emissione, direttamente o tramite il Ministro della
giustizia (articoli 6, co. 2, e 16). Spetta all’autorita’ giudiziaria richiesta della
consegna stabilire, in presenza di omissioni nelle informazioni prescritte
dall’art. 6 della l. n. 69/2005, se, in considerazione della concreta fattispecie
penale dedotta e di ogni altra informazione trasmessa, la lacuna sia ostativa alla
consegna, ed in particolare, per l’eventuale ipotesi in cui non sia indicata la pena
minima, se ricorra la condizione impeditiva della previsione che il fatto sia
punito dalla legge dello Stato di emissione con una pena detentiva non inferiore
a dodici mesi: in tal caso, l’autorita’ giudiziaria di esecuzione non e’ tenuta ipso
facto a rifiutare la consegna, avendo il potere-dovere di richiedere l’invio delle
informazioni ritenute necessarie .
Queste disposizioni corrispondono a quelle contenute nella decisione quadro
(art. 8, par. 1).
La seconda parte dell’art.6 (commi 3 e 4) prevede che la consegna della persona
è consentita, ove ne ricorrono i presupposti, solo se al mandato di arresto
europeo è allegata copia del provvedimento restrittivo della libertà personale o
della sentenza di condanna a pena detentiva; e che debbono essere, altresì,
allegati il testo delle disposizioni di legge applicabili, con indicazione del tipo e
della durata della pena; i dati segnaletici e ogni altra possibile informazione
idonea a determinare l’identità e la nazionalità della persona della quale è
domandata la consegna; una relazione sui fatti addebitati alla persona, che
contenga tra l’altro l’indicazione delle fonti di prova.
Queste prescrizioni – che corrispondono soltanto in parte alla rubrica
dell’articolo 6 (Contenuto del mandato d’arresto europeo nella procedura
passiva di consegna) – non sono conformi alla decisione quadro, che prevede la
indicazione, e non anche la allegazione, del provvedimento in base al quale è
stato emesso il mandato di arresto europeo (art. 8, par.1, lett. c) e campo b)
dell’allegato) e non menziona, tra gli elementi del mandato di arresto, la
relazione sui fatti addebitati alla persona. Ciò è conforme alla natura giuridica
del mandato di arresto europeo, che è quella di un provvedimento tipico (la cd.
eurordinanza), contenente la richiesta di arresto e consegna della persona
ricercata, nonché la indicazione degli elementi sufficienti a decidere in ordine
alla sua esecuzione (art. 8 par.1 e allegato). Si tratta di un modello che esclude la
vecchia documentazione estradizionale e, in particolare, l’allegazione dei
provvedimenti giudiziari in base ai quali il mandato stesso è stato emesso .
Nella prospettiva seguita dal legislatore italiano, invece, la allegazione della
decisione giudiziaria è considerata necessaria ai fini del controllo circa la
sussistenza della motivazione del provvedimento cautelare, che la corte
d’appello deve compiere nei casi in cui il mandato di arresto europeo è stato
emesso “ai fini dell’esercizio di un’azione penale” e che può dar luogo allo
specifico motivo di rifiuto previsto nell’art.18 lett. t).
Per quanto concerne la relazione sui fatti addebitati alla persona (cd. summary),
va rilevato che essa riguarda soltanto i casi di mandato di arresto europeo
emesso per la esecuzione dei provvedimenti giudiziari non definitivi, atteso che
la espressione “fatti addebitati” é incompatibile con i provvedimenti di
condanna definitivi. Anche così circoscritta, la disposizione appare, però, di
dubbia compatibilità con la decisione quadro, specialmente se si considera che
la mancata trasmissione della “relazione sui fatti” da parte della autorità
straniera dà luogo al rifiuto della esecuzione del mandato di arresto europeo
(art.6, comma 6) .
Infine, l’articolo 6 della legge stabilisce, in conformità al principio generale
dell’art. 8, par.2, della decisione quadro, che il mandato di arresto europeo
debba essere trasmesso alla corte d’appello tradotto in lingua italiana (comma
7). La regola non riguarda, però, gli atti giudiziari che lo Stato di emissione deve
allegare al mandato, la cui traduzione dovrà essere curata dall’autorità centrale
prima di trasmetterli alla Corte d'appello.
7) Segue: L’avvio della procedura di consegna dinanzi alla Corte d’appello.
L’applicazione della misura coercitiva. - Gli articoli 9, 10, 11 e 12 della legge
prevedono due diverse modalità di avvio del procedimento di esecuzione del
mandato di arresto europeo dinanzi alla corte d’appello competente. In entrambi
i casi, il procedimento si articola in due fasi: la prima, dinanzi al presidente della
corte, la seconda dinanzi all’organo collegiale .
Nel primo caso, il Ministro della giustizia riceve il mandato d’arresto europeo
dall’autorità straniera, in qualità di autorità centrale. Questa ipotesi presuppone
che sia nota la localizzazione del ricercato sul territorio italiano e corrisponde a
quanto previsto nell’articolo 9, par.1, della decisione quadro.
Ricevuto il mandato di arresto europeo, il Ministro lo trasmette senza ritardo al
presidente della corte di appello territorialmente competente, che ne dà
immediata comunicazione al procuratore generale. In questa fase, il presidente
della corte può stabilire contatti diretti con l’autorità giudiziaria straniera che ha
emesso il mandato di arresto europeo (ad es., se insorgano difficoltà relative alla
ricezione o alla autenticità dei documenti trasmessi). Se invece risulta
manifestamente competente un’altra corte d’appello, il presidente trasmette a
quest’ultima il mandato d’arresto senza indugio. Infine, il presidente riunisce la
corte che, sentito il procuratore generale, applica con ordinanza motivata la
misura coercitiva, se ritenuta necessaria. A tale riguardo, l’articolo 9 prevede
che la corte debba valutare specificamente il pericolo di fuga del ricercato
(comma 4) e che la misura coercitiva non può essere disposta se vi sono ragioni
per ritenere che sussistono cause ostative alla consegna (comma 6).
Per il resto, la norma contiene un rinvio all’art.719 e al titolo I del libro IV del
codice di procedura penale, in materia di misure cautelari personali, fatta
eccezione per gli articoli 273, commi 1 e 1-bis, 274, comma 1, lettere a) e c), e
280 (comma 5).
L’emissione del provvedimento coercitivo, pertanto, prescinde dall’applicazione
sia dell’art. 280 c.p.p. (atteso che i limiti edittali di pena sono quelli previsti ai
fini dell’ accoglimento della stessa richiesta di consegna), sia dell’art. 273,
commi 1 e 1-bis, c.p.p., con la conseguenza che la corte d’appello, in questa fase
procedimentale, non e’ tenuta ad effettuare alcuna valutazione sulla fondatezza
dell’ipotesi accusatoria, ovvero sulla ricorrenza di eventuali cause di
giustificazione, ma e’ chiamata ad esprimere un giudizio allo stato degli atti,
salva l’esigenza di verifica in ordine all’insussistenza di ragioni ostative alla
consegna della persona ricercata .
L’esplicito riferimento lessicale operato dall’art. 9, comma 4, alle misure
coercitive induce ad escludere la possibilita’ di applicare le misure cautelari di
specie diversa, quali le misure interdittive, non invece le misure coercitive
diverse da quella custodiale, pur dovendosi ritenere comunque idonea
l’emananda misura a preservare la tipica finalita’ del mandato d’arresto europeo,
ossia la successiva consegna della persona ricercata allo Stato membro di
emissione .
Il periculum libertatis deve fondarsi su fatti e circostanze non meramente
congetturali, ma sintomatici di una ragionevole probabilita’ di fuga e da indicare
specificamente nella motivazione dell’ordinanza cautelare .
E’ da rilevare, inoltre, che l’applicazione della misura cautelare da parte della
Corte d’appello avviene in assenza di un vero e proprio petitum cautelare,
laddove nel sistema della estradizione passiva la misura cautelare è applicata,
entro il quarantesimo giorno dall’arresto dell’estradando, su richiesta del
Ministro della giustizia (art. 715, commi 1 e 6, c.p.p.).
L’articolo 10 prevede che, entro cinque giorni dall’esecuzione della misura
coercitiva, il presidente della corte di appello (o un magistrato da lui delegato)
deve sentire la persona sottoposta alla misura cautelare, informandola del
contenuto del mandato d’arresto europeo, della facoltà di acconsentire alla
propria consegna all’autorità giudiziaria richiedente e di rinunciare al beneficio
di specialità (e quindi di poter essere sottoposta ad altro procedimento penale,
condannata o privata della libertà personale per reati anteriori alla consegna e
diversi da quello per il quale questa è stata disposta).
Della data fissata per queste attività è dato avviso al difensore almeno
ventiquattro ore prima.
In considerazione della funzione meramente informativa dell’audizione prevista
dall’art. 10, evidentemente non assimilabile all’interrogatorio di garanzia di cui
all’art. 294 c.p.p., il mancato rispetto del termine di cinque giorni e del relativo
avviso al difensore non determinano la perdita di efficacia della misura
coercitiva, non potendo trovare applicazione il disposto di cui all’art. 302 c.p.p.
.
La partecipazione del difensore, tuttavia, trattandosi di “atto garantito”, e’
necessaria, con la conseguenza che in sua assenza l’audizione e’ viziata da
nullita’ assoluta ex art. 179, comma 1, c.p.p. . Per contro, il mancato rispetto del
termine minimo per l’avviso al difensore impone il rinvio dell’audizione e la
rinnovazione dell’avviso in modo da rimuovere la nullita’, suscettibile di
sanatoria ex art. 183 c.p.p. .
Copia dei provvedimenti emessi dalla corte d’appello e relativi alle misure
cautelari dev’essere comunicata e notificata, dopo la loro esecuzione, al
procuratore generale, alla persona interessata ed al suo difensore, i quali
possono proporre ricorso per cassazione per violazione di legge (ex art. 719
c.p.p., cui fa rinvio il comma 7 dell’art. 9 della legge in esame) .
Nel secondo caso, l’atto di impulso del procedimento è rappresentato non dalla
ricezione del mandato di arresto europeo da parte del Ministro della giustizia,
ma dall’arresto della persona ricercata ad opera della polizia giudiziaria, sulla
base di una richiesta di arresto immessa nel Sistema informativo Schengen ai
sensi dell’art. 95 della relativa Convenzione.
Questa ipotesi, in cui l’arresto del ricercato precede la ricezione del mandato di
arresto europeo da parte della autorità italiana, è prevista nell’art. 11 della legge
e nell’art. 9, par. 3, della decisione quadro. Essa ha grande importanza pratica
ricorrendo nei casi, statisticamente frequenti, in cui l’autorità dello Stato estero
non può trasmettere il mandato d’arresto direttamente allo Stato di rifugio, in
quanto é ignota la localizzazione del ricercato.
Anche nell’estradizione accade che l’arresto sia eseguito prima dell’emissione
di una formale domanda di consegna: questa situazione ricorre quando uno Stato
emette un mandato di cattura internazionale a fini estradizionali, in base alle
convenzioni vigenti (ad es., l’art. 16 della convenzione europea di estradizione
del 1957), ed è espressamente prevista nell’art. 715 c.p.p. .
Nella nuova procedura di consegna, però, l’arresto di iniziativa della polizia
giudiziaria può avvenire soltanto sulla base di una specifica segnalazione nel
sistema informativo Schengen (S.I.S.), quindi limitatamente all’area dei cd.
Paesi Schengen e non anche sulla base delle richieste di cattura internazionale
immesse attraverso il canale Interpol.
Con la Decisione del Consiglio dell’U.E. del 12 giugno 2007 (2007/533/GAI)
relativa all’istituzione, all’esercizio ed all’uso del sistema d’informazione
Shengen di secondo generazione (cd. SIS II) - che fornisce un’aggiornata
configurazione del sistema informativo precedentemente istituito in forza
dell’Accordo di Shengen del 14 giugno 1985 e disciplinato, poi, dalla relativa
Convenzione del 19 giugno 1990 (Titolo IV) - si ribadisce la scelta
dell’equiparazione tra la segnalazione dei dati relativi ad una persona ricercata
per l’arresto in vista della consegna o dell’estradizione ed il mandato d’arresto
europeo emesso a norma della Decisione quadro 2002/584/GAI .
L’art. 31, par. 1, della Decisione 53372007/GAI stabilisce, infatti, che una
segnalazione inserita nel SIS II a norma dell’art. 26 – ossia, su richiesta
dell’autorita’ giudiziaria dello Stato membro della segnalazione – ha lo “stesso
effetto”
di un mandato d’arresto europeo, ove si applichi la pertinente
Decisione quadro. Nell’ipotesi in cui, viceversa, non sia applicabile la Decisione
quadro 2002/584/GAI, l’art. 31, par. 2, prevede opportunamente che una
segnalazione inserita nel SIS II a norma degli artt. 26 e 29 presenta la stessa
“valenza giuridica” di una richiesta di arresto provvisorio a norma dell’art. 16
della Convenzione europea di estradizione del 13 dicembre 1957, ovvero
dell’art. 15 del Trattato di estradizione del 27 giugno 1962, tra il Regno del
Belgio, il Granducato del Lussemburgo ed il Regno dei Paesi Bassi.
Verificatosi l’arresto, la polizia giudiziaria deve darne immediata informazione
al Ministro della giustizia e deve trasmettere il verbale al presidente della corte
d’appello entro ventiquattro ore dall’arresto (artt.11 e 12).
Il primo adempimento è funzionale alla immediata comunicazione dell’avvenuto
arresto allo Stato estero, per la trasmissione del mandato di arresto europeo e
della relativa documentazione, che dovranno pervenire alla corte d’appello nei
dieci giorni successivi alla convalida dell’arresto. Il secondo adempimento è
funzionale alla “messa a disposizione” dell’arrestato e alla convalida dell’arresto
(art.13) .
La giurisprudenza di legittimita’ ha precisato che l’arresto ad opera della p.g.
della persona ricercata attraverso il sistema S.I.S., previsto dall’art. 11 della l. n.
69/2005, si configura come atto “dovuto”, subordinato alla sola verifica che la
relativa segnalazione sia stata effettuata da un’autorita’ “competente” di uno
Stato membro dell’Unione europea e che la stessa sia avvenuta nelle “forme
richieste”. Muovendo, inoltre, dallo stesso dato testuale della normativa di
attuazione (secondo cui la p.g. procede all’arresto) e’ stato escluso che competa
all’autorita’ giudiziaria italiana una valutazione circa l’urgenza dell’arresto,
posto che tale valutazione e’ stata gia’ effettuata “a monte” da parte
dell’autorita’ emittente con l’inserimento del nominativo della persona ricercata
nel sistema S.I.S.: la relativa convalida ad opera del Presidente della Corte
d’appello, pertanto, deve basarsi solo su presupposti formali, ovvero che
l’arresto sia avvenuto in presenza dei citati requisiti e che non vi sia stato un
errore di persona .
Entro quarantotto ore dalla ricezione del verbale di arresto, il presidente della
corte di appello (o un magistrato della corte da lui delegato) deve informare il
procuratore generale e sentire la persona arrestata.
Questa attività è finalizzata ad una prima verifica giurisdizionale della
legittimità dell’arresto, ma anche alla ricezione della eventuale dichiarazione di
consenso alla consegna (art.14, comma 1). In questa fase, se risulta evidente che
l’arresto è stato eseguito per errore di persona o comunque al di fuori dei casi
previsti dalla legge, il presidente della corte di appello dispone, con decreto
motivato, la immediata liberazione della persona; viceversa, convalida l’arresto
con ordinanza.
La ordinanza di convalida perde efficacia se nel termine di dieci giorni non
perviene alla corte d’appello il mandato d’arresto europeo emesso nell’altro
Stato membro (art.13, comma 3) . Nei casi in cui la persona arrestata é ristretta
in località diversa da quella in cui l’arresto è stato eseguito, il presidente della
corte di appello può delegare il presidente del tribunale territorialmente
competente per l’interrogatorio di identificazione, ferma restando la sua
competenza in ordine alla convalida dell’arresto.
La S.C. ha precisato, per quel che attiene al profilo della convalida fuori
termine, che il decorso del termine di quarantotto ore dalla ricezione del verbale
di arresto eseguito dalla polizia giudiziaria, senza che sia intervenuta la
decisione sulla convalida, comporta l’inefficacia del provvedimento di
coercizione e quindi l’immediata scarcerazione dell’arrestato, benche’ il termine
sia formalmente previsto solo ai fini dell’audizione dell’arrestato . Non avrebbe
senso, infatti, secondo la S.C., stabilire un termine stringente per la sola
audizione e rendere indefinito il termine per la convalida.
Questa soluzione, del resto, puo’ ricavarsi anche dall’esame della disciplina
codicistica in tema di arresto in flagranza (art. 390, comma 2, c.p.p. e 391,
comma 7, c.p.p.), da ritenere richiamata, sia pure attraverso un rinvio generale,
dall’art. 39, comma 1, della l n. 69/2005.
La natura del controllo demandato dall’art. 13 della l. n. 69/2005 al presidente
della corte d’appello appare, peraltro, diversa da quella che connota l’evenienza
descritta dall’art. 391 c.p.p. sia con riferimento ai termini per la convalida , sia
con riguardo alle garanzie giurisdizionali, sia, infine, in ordine all’adozione
della misura coercitiva, esaurendosi il controllo del presidente della corte
d’appello in una verifica meramente cartolare che non influisce minimamente
sull’esito del procedimento di consegna e sulla possibilita’ che nel suo ambito
sia adottata una misura cautelare piu’ adeguata alle esigenze del caso concreto e,
in ogni caso, idonea ad assicurare la consegna della persona richiesta allo Stato
di emissione .
Va ancora osservato che, secondo la giurisprudenza di legittimita’, spetta al
presidente della corte d’appello, o al magistrato da lui delegato, e non gia’ alla
corte d’appello, il potere di emettere, in esito alla convalida dell’arresto eseguito
dalla p.g., l’ordinanza applicativa della misura coercitiva, perche’ la decisone
sulla protrazione dello stato di restrizione della liberta’ personale deve essere
assunta dallo stesso organo cui e’ demandata la decisione sulla convalida, in
conformita’ a quanto previsto nella materia estradizionale dall’art. 716, comma
3, c.p.p. .
Questa speciale competenza presidenziale, peraltro, appare in deroga a quella
ordinaria del collegio, ed e’ strettamente legata alla validita’ dell’operato della
p.g., sicche’ essa viene meno qualora la convalida sia negata. Una volta che il
provvedimento di convalida sia stato positivamente emesso, non rilevano
tuttavia eventuali vizi che lo inficino, pur se accertati in sede di ricorso per
cassazione, al fine di mettere in discussione, con un giudizio ex post, la
competenza del presidente della corte d’appello. Quel che conta, infatti, e’ che il
provvedimento coercitivo sia stato adottato sulla base di un arresto ritenuto
legittimo, ed e’ nel momento della convalida che si radica anche la competenza
presidenziale all’applicazione di misure coercitive, in deroga a quella ordinaria
del collegio.
8) Segue: La fase dinanzi alla Corte d’appello. - L’inizio del procedimento
innanzi alla corte d'appello per la decisione relativa alla esecuzione del mandato
di arresto europeo è disciplinato dall’art.10, comma 4, della legge .
Entro venti giorni dalla esecuzione della misura coercitiva il presidente riunisce
la corte d’appello, per la decisione sulla esecuzione del mandato di arresto
europeo. Nello stesso termine, è disposto il deposito del mandato di arresto e
della documentazione allegata. Il decreto di fissazione dell’udienza deve essere
comunicato al procuratore generale e notificato alla persona e al suo difensore
almeno otto giorni prima dell’udienza.
A tale riguardo, la S.C. ha ritenuto che l’omesso avviso all’interessato ed al suo
difensore della data di fissazione dell’udienza camerale per la decisione sulla
richiesta di consegna determina la nullita’ assoluta, per violazione dei diritti di
difesa, della decisione adottata dalla corte .
Salvi i casi di procedura consensuale (laddove provvede con ordinanza), la corte
d’appello decide con sentenza sulla esecuzione del mandato di arresto europeo
entro sessanta giorni dalla esecuzione della misura cautelare (art.17, comma 2).
Nel caso in cui il termine non possa essere rispettato, per cause di forza
maggiore, il presidente della corte deve informarne il ministro della giustizia,
che ne dà comunicazione allo Stato di emissione, anche tramite il membro
nazionale di Eurojust. In particolare, la causa di forza maggiore può ricorrere
quando la Corte d'appello non abbia ritenuto sufficienti la documentazione e le
informazioni trasmesse dallo Stato di emissione richiedendo informazioni
integrative o supplementari (art.16, comma 1).
La S.C. ha precisato che il superamento dei termini di cui all’art. 17, comma 2,
della l. n. 69/2005 non implica affatto una conseguenza sulla validita’ della
decisione in merito alla consegna, ma determina soltanto l’effetto della
rimessione in liberta’ del consegnando a norma dell’art. 21 della l. n. 69/2005 .
Ai fini della decisione sulla consegna della persona, la corte d’appello dovrà
valutare preliminarmente se sussistano le condizioni ostative tassativamente
indicate dalla legge. Al di fuori di tale ipotesi, la corte dispone con sentenza la
consegna della persona ricercata: in ogni caso, quando il mandato di arresto
europeo è stato emesso per finalità esecutive, vale a dire in base ad una
decisione giudiziaria definitiva di condanna; soltanto se sussistono sufficienti
indizi di colpevolezza negli altri casi (art.17, comma 4).
I provvedimenti adottati dalla corte d’appello, siano essi di accoglimento o di
rigetto, sono impugnabili con ricorso per cassazione, dotato di effetto
sospensivo solo per l’esecuzione della sentenza (con la conseguente rimessione
in liberta’ in caso di superamento del termine massimo di giorni novanta, senza
che intervenga il provvedimento definitivo) e non anche dell’ordinanza (ex art.
22).
La consegna deve avvenire, a pena di inefficacia della misura custodiale, entro il
termine di giorni dieci dall’emissione dell’ordinanza adottata dalla corte
d’appello a seguito del consenso prestato dall’interessato, ovvero dal momento
dell’irevocabilita’ della sentenza.
L’esecuzione della consegna avviene a cura del Ministro della Giustizia e, salvi
i casi di impossibilita’ previsti dall’art. 23, puo’ essere rinviata o disposta solo in
via temporanea laddove la corte d’appello ritenga necessario che l’interessato
rimanga in territorio italiano, per essere sottoposto ad un procedimento penale
ovvero per scontare una pena per altro reato (ex art. 24).
Al riguardo, la S.C. ha chiarito che, una volta disposta la consegna del soggetto
all’autorita’ dello Stato emittente, perde di interesse il ricorso avente ad oggetto
il rigetto della richiesta di revoca della misura coercitiva.
A differenza della tradizionale procedura estradizionale – nella quale, una volta
esaurito il momento giurisdizionale, e’ rimessa alla valutazione dell’autorita’
politica la decisione sull’estradizione – all’esito della pronuncia definitiva sulla
consegna emessa ai sensi della l. n. 69/2005 si instaura una fase meramente
esecutiva nel cui ambito, entro rigorosi e brevissimi termini, e salve le cause di
forza maggiore di cui all’art. 23, il soggetto deve essere materialmente
consegnato allo Stato estero richiedente, senza che possa venire in questione,
proprio per la natura meramente esecutiva di tale adempimento, la sussistenza di
pericula libertatis .
L’esecuzione della consegna, pertanto, fa sorgere un’esigenza diversa ed
autonoma da quella stricto sensu cautelare, alla quale la misura coercitiva e’
vincolata, prima della decisione sulla richiesta di estradizione (ex art. 714,
comma 2, c.p.p.) o sull’esecuzione del mandato d’arresto europeo (ex art. 9,
comma 4, l. n. 69/2005).
Ne consegue, secondo la S.C., l’effetto della sostanziale irrilevanza dei pericula
libertatis in questa fase della procedura passiva, atteso che il mantenimento
della misura coercitiva non dipende dalla sussistenza del pericolo di fuga, ma e’
funzionale alle necessita’ della operazione di materiale consegna della persona
interessata allo Stato membro di emissione.
Il diverso manifestarsi della medesima esigenza cautelare nell’ambito delle due
procedure di consegna va ricollegata alla natura interamente tecnico-giudiziaria
del mandato d’arresto europeo, che, al pari degli altri strumenti di mutuo
riconoscimento delle decisioni giudiziarie nell’U.E., e’ incompatibile con
l’esercizio dei poteri d’impulso ed interdizione di regola riservati alle autorita’
di governo .
Va ancora osservato che nei casi in cui la consegna allo Stato di emissione sia
rinviata, a norma dell’art. 24 della l. n. 69/2005, l’esecuzione della misura
cautelare applicata alla persona richiesta deve essere sospesa sino a quando,
esauriti i procedimenti in corso ed eseguita l’eventuale pena, la stessa non sia
riattivata. Per la riattivazione della misura cautelare, inoltre, non occorre un
ulteriore provvedimento dispositivo, bensi’ soltanto un atto ricognitivo
dell’autorita’ giudiziaria competente, affinche’ nei termini di cui all’art. 23,
comma 1, della l. n. 69/2005, si possa provvedere alla materiale consegna .
Infine, ben puo’ essere rigettata dalla corte d’appello, ex art. 24 della legge in
esame, la richiesta di rinvio della consegna – ove differita sino all’esito delle
pendenze giudiziarie dell’interessato nel territorio nazionale – sulla base del
rilievo della non imminenza dell’esecuzione della pena inflitta .
9) Segue: Il consenso alla consegna. - Nell’ambito della procedura passiva di
consegna, una significativa variazione procedimentale può essere determinata
dal consenso alla consegna che la persona può prestare a seguito del suo arresto.
Il consenso alla consegna può essere manifestato in tutte le fasi del
procedimento, anche mediante dichiarazione al direttore della casa di reclusione
(che deve immediatamente trasmetterla al presidente della corte di appello,
anche a mezzo telefax) o con dichiarazione resa nel corso dell’udienza davanti
alla corte e fino alla conclusione della discussione .
In questi casi, come per l’estradizione consensuale, ha luogo una procedura
semplificata (art. 13 della decisione quadro).
La semplificazione riguarda sia la forma del provvedimento decisorio, sia i
termini: l’art. 14 della legge prevede che, a seguito del consenso alla consegna,
la corte di appello decide sulla esecuzione del mandato di arresto europeo con
ordinanza emessa senza ritardo e, comunque, non oltre dieci giorni (termine
mutuato dall’art.17, par.2, della decisione quadro), dopo avere sentito il
procuratore generale, il difensore e, se comparsa, la persona richiesta.
L’ordinanza è ricorribile per cassazione, in quanto l’art. 22 della legge ammette
il ricorso contro tutti i provvedimenti che decidono sulla consegna della persona
interessata, ma il ricorso non sospende l’esecuzione della decisione di consegna,
atteso che l’art. 22 fa dipendere l’effetto sospensivo soltanto dalla impugnazione
della sentenza.
Secondo la S.C. avverso la decisione di merito che pronunzia sulla consegna
non possono essere dedotti in sede di ricorso per cassazione motivi di
impugnazione
riguardanti
l’applicazione
della
misura
cautelare
–
autonomamente impugnabile a norma dell’art. 719 c.p.p – ovvero inerenti alla
acquisizione (o alla mancata acquisizione) dell’eventuale consenso alla
consegna nella fase iniziale del procedimento .
La dichiarazione di consenso è espressamente dichiarata irrevocabile dall’art. 14
comma 3 della legge, secondo un principio enunciato in termini generali
nell’articolo 205-bis delle disposizioni di attuazione del codice di procedura
penale.
10) Segue: Il rifiuto della consegna. - La disciplina dei motivi di rifiuto della
esecuzione del mandato di arresto europeo riveste una fondamentale importanza
e dimostra i limiti entro i quali la legislazione italiana ha recepito il principio del
mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie nel quadro della nuova
procedura di consegna.
L’art. 18 della legge elenca venti motivi di rifiuto obbligatorio della consegna.
Ulteriori motivi sono previsti nell’art. 6, co. 6 (quando l’autorità straniera non
dà corso alla trasmissione
degli atti e documenti richiesti); art. 7, co. 1
(mancanza della doppia punibilità); art.8, co. 3 (consegna del cittadino italiano
in relazione a un fatto non previsto come reato dalla legge italiana, quando
ricorre ignoranza incolpevole sulla norma penale dello Stato di emissione) .
Soltanto una parte dei motivi di non esecuzione del mandato di arresto europeo
previsti nella legge corrispondono a quelli elencati negli artt. 3 e 4 della
decisione quadro; altri sono ricavati dal preambolo della decisione; altri, infine,
non trovano alcuna corrispondenza nelle disposizioni della decisione quadro.
In quest’ultima tipologia rientrano sicuramente i motivi di rifiuto previsti
nell’art. 8 co. 3, cit., e nell’art.18, lettera b) (se il diritto è stato leso con il
consenso di chi, secondo la legge italiana, può validamente disporne); lettera c)
(se per la legge italiana il fatto costituisce esercizio di un diritto, adempimento
di un dovere ovvero è stato determinato da caso fortuito o forza maggiore);
lettera d) (se il fatto è manifestazione della libertà di associazione, della libertà
di stampa o di altri mezzi di comunicazione); lettera e) (se la legislazione dello
Stato membro di emissione non prevede i limiti massimi della carcerazione
preventiva ) .
La S.C. ha ritenuto, di recente, manifestamente infondata la questione di
legittimita’ costituzionale dell’art. 705, comma 2, c.p.p., con riferimento ad una
pretesa disparita’ di trattamento riservato alla persona richiesta in consegna che
sia madre di prole di eta’ inferiore a tre anni, rispetto all’art. 18, lett. s), della l.
n. 69/2005, in quanto la diversa disciplina del mandato d’arresto europeo trova
la sua giustificazione nella circostanza che la consegna avviene tra Paesi che
fanno parte dell’Unione europea, e che per questo presentano una forte
omogeneita’ culturale e giuridica.
Si e’ ritenuto, inoltre, applicabile il motivo di rifiuto disciplinato dall’art. 18,
lett. p), che prevede il divieto di consegna laddove il mandato d’arresto riguardi
fattispecie di reato che dalla legge italiana sono considerate commesse in tutto o
in parte nel suo territorio, in relazione ad un’ipotesi di appropriazione indebita
concretatasi nella mancata restituzione da parte del conduttore di un’autovettura,
noleggiata all’estero, dopo averla utilizzata per trasferirsi in Italia .
Nell’ambito dei motivi di rifiuto della esecuzione del mandato di arresto
europeo va inquadrata, in particolare, la disciplina della doppia incriminabilità,
che è uno degli aspetti nevralgici del nuovo sistema di consegna postestradizionale ed è contenuta negli articoli 7, 8 e 40, comma 3, della legge.
Il sistema si basa su una “lista positiva” di reati per i quali, in deroga al criterio
generale enunciato nell’art.7, co.1, la legge prevede la consegna obbligatoria
della persona, anche in carenza di doppia incriminazione, a condizione che si
tratti di reati puniti con pena detentiva non inferiore a tre anni . Il catalogo dei
reati è contenuto nell’art. 8. co.1 (lettere da a) a mm). In concreto, la Corte
d'appello dovrà accertare la definizione dei reati per i quali è stato emesso il
mandato di arresto europeo, secondo la legge penale dello Stato di emissione, e
quindi verificare se essa corrisponda o meno alle condotte elencate nell’art. 8
co.1. Inoltre, con una inedita norma transitoria è stato previsto che le
disposizioni dell’art. 8 relative alla consegna obbligatoria si applicano
unicamente ai fatti commessi dopo la data di entrata in vigore della legge (art.
40, comma 3). In questo modo, l’autorità giudiziaria italiana dovrà rifiutare la
consegna della persona per carenza di doppia incriminazione in tutti i casi,
statisticamente frequenti, nei quali il mandato d’arresto europeo sia stato emesso
per reati commessi prima dell’entrata in vigore della legge italiana.
Ai fini della esecuzione della consegna obbligatoria di cui all’art. 8 della l. n.
69/2005, la S.C. ha fissato, di recente, il principio secondo cui non rientra nei
poteri di cognizione dell’autorita’ giudiziaria italiana stabilire se il fatto per il
quale la consegna e’ richiesta integri effettivamente una fattispecie penale
prevista dalla legislazione dello Stato di emissione. Per le fattispecie di reato
incluse nell’ampio catalogo di cui all’art. 8, comma 1, della legge in esame,
dunque, la consegna avviene “indipendentemente dalla doppia incriminazione”,
sempre che sussista l’ulteriore requisito della pena edittale ivi specificato.
Invece, sotto altro, ma connesso, profilo, per soddisfare la condizione della
doppia punibilita’ previta dall’art. 7, comma 1, della legge su citata, non e’
necessario che lo schema astratto della norma incriminatrice dell’ordinamento
straniero trovi il suo esatto corrispondente in una norma del nostro ordinamento,
ma e’ sufficiente che la concreta fattispecie sia punibile come reato da entrambi
gli ordinamenti, a nulla rilevando l’eventuale diversita’, oltre che del trattamento
sanzionatorio, anche del titolo e di tutti gli elementi richiesti per la
configurazione del reato .
Ne’ rileva, del resto, la perseguibilita’ a querela secondo l’ordinamento italiano,
dovendosi avere riguardo unicamente alla qualificazione del fatto come reato in
entrambi gli ordinamenti .
Ulteriore criterio direttivo individuato dalla S.C. e’ quello per cui il presupposto
della consegna all’estero, in base all’art 7, comma 3, della l. n. 69/2005, e’ che il
reato per il quale essa e’ richiesta sia punibile in astratto dalla legge dello Stato
membro di emissione con una pena o con una misura di sicurezza privativa della
liberta’ personale della durata massima non inferiore a dodici mesi, non
rilevando che la pena detentiva sia stabilita in alternativa ad una pena
pecuniaria, concretamente irrogabile all’esito del giudizio .
L’art. 19 prevede tre casi in cui la corte d’appello deve subordinare l’esecuzione
del mandato di arresto europeo ad alcune condizioni. Si tratta di disposizioni
conformi a quelle contenute nell’articolo 5 della decisione quadro.
Il primo caso è quello in cui il mandato di arresto, emesso per ragioni attinenti
alla esecuzione della pena, si basa su un provvedimento di condanna
pronunciato in absentia, quando l’imputato non è stato personalmente citato a
comparire nè altrimenti informato della data e del luogo dell’udienza. Si tratta di
una condizione che corrisponde a quella del processo contumaciale italiano,
recentemente riformato con decreto legge 21 febbraio 2005, n.17. In questo
caso, la corte d’appello subordina la esecuzione del mandato di arresto europeo
alla condizione che l’autorità giudiziaria di emissione fornisca sufficienti
assicurazioni in ordine alla possibilità di richiedere un nuovo processo .
Il secondo caso è quello in cui il mandato di arresto europeo è stato emesso per
la esecuzione di una pena detentiva a vita, nel quale la corte d’appello subordina
l’esecuzione del mandato di arresto europeo alla circostanza che l’ordinamento
giuridico dello Stato di emissione preveda una revisione della pena comminata,
su richiesta del condannato o comunque entro venti anni, oppure la possibilità di
applicare misure di clemenza.
Il terzo caso è quello in cui il mandato di arresto europeo è stato emesso, per
finalità processuali, nei confronti di un cittadino italiano o di persona residente
nello Stato italiano. In questo caso, la corte d’appello subordina l’esecuzione del
mandato alla condizione che la persona sia trasferita nello Stato per scontare in
Italia la pena detentiva eventualmente comminata.
In particolare, v’e’ da osservare, in ordine al collegamento tra il motivo di
rifiuto di cui all’art. 18, comma 1, lett. r), della l. n. 69/2005 (ossia, l’ipotesi
inerente al mandato d’arresto emesso ai fini dell’esecuzione di una pena o di una
misura di sicurezza privativa della liberta’ personale, qualora il ricercato sia un
cittadino italiano) e la speciale garanzia prevista nella connessa disposizione di
cui all’art. 19, comma 1, lett. c), che la S.C. ha di recente indicato una serie di
criteri direttivi: a) nell’ipotesi in cui il mandato d’arresto europeo sia stato
emesso nei confronti di un cittadino italiano, ai fini dell’esecuzione di una pena
privativa della liberta’ personale, la corte d’appello puo’ (e non deve) rifiutare la
consegna, se ritiene che la pena irrogata dall’autorita’ straniera debba essere
espiata sul territorio nazionale, conformemente al diritto interno (in questo caso,
dunque, il rifiuto della cnsegna dipende dalla valutazione che la corte d’appello,
volta per volta, dovra’ fare in ordine alla concreta possibilita’ di espiazione della
pena in Italia) ; b) nell’ipotesi in cui il mandato d’arresto europeo sia stato
emesso nei confronti del cittadino italiano per ragioni inerenti all’esercizio
dell’azione penale, la consegna puo’ essere subordinata alla condizione –
prevista dall’art. 19, comma 1, lett. c) - che il cittadino, una volta esaurito il
giudizio a suo carico, venga nuovamente trasferito in Italia, per scontare la pena
eventualmente irrogata nei suoi confronti nello Stato membro di emissione ; c)
quando, invece, il mandato d’arresto europeo e’ stato emesso nei confronti del
cittadino italiano, ai fini dell’esecuzione di una pena privativa della liberta’
personale, la consegna non puo’ essere subordinata alla garanzia che lo Stato di
emissione operi il successivo trasferimento della persona in Italia, ai sensi
dell’art. 19, comma 1, lett. c), della legge in esame .
In ordine ai limiti della condizione risolutiva nell’ipotesi di consegna
“condizionata” di cui all’art. 19, comma 1, lett. c), la formula lessicale “dopo
essere stata ascoltata”, ivi dettata con riferimento alla consegna “processuale”
del cittadino o del residente nello Stato italiano, deve essere intesa, ad avviso
della S.C., nel senso che la persona consegnata deve essere restituita una volta
celebrato il processo a suo carico nello Stato di emissione, e non gia’ quando sia
adempiuta la sola attivita’ di audizione, avente finalita’ difensiva .
11. Segue: La procedura attiva di consegna. - La disposizione di cui all’art.
28 della l. n. 69/2005, in conformita’ al generale criterio direttivo enunciato
nell’art. 6, par. 1, della decisione quadro, che attribuisce alle legislazioni interne
dei singoli Stati membri la facolta’ di individuare l’autorita’ giudiziaria
competente ai fini dell’emissione del mandato d’arresto europeo, introduce un
criterio di riparto della competenza “attiva”, stabilendo che il mandato d’arresto
puo’ essere emesso: a) dal giudice che ha applicato la misura cautelare della
custodia in carcere o degli arresti domiciliari (si tratta, in questo caso,
dell’ipotesi di mandato emesso per finalita’ processuali; b) dal p.m. presso il
giudice dell’esecuzione che ha emesso, ex artt. 656 ss., c.p.p., l’ordine di
esecuzione della pena detentiva o della misura di sicurezza a carattere detentivo
ordinata con la sentenza (in questo caso, invece, si tratta dell’ipotesi di mandato
emesso per finalita’ esecutive). Si riafferma, in tal modo, il principio secondo
cui il mandato d’arresto europeo rappresenta solo il profilo esterno di un
provvedimento la cui sostanziale legittimita’ si ritiene di dover subordinare al
necessario rispetto delle regole interne che ne disciplinano l’emissione.
Nel primo caso, le condizioni di emissione del provvedimento, attraverso
l’implicito richiamo ai parametri generali di cui all’art. 280 c.p.p., richiedono
necessariamente la sussistenza di un limite edittale di pena di gran lunga
superiore rispetto a quello minimo fissato dall’art. 2, par.1, della decisione
quadro, mentre nel secondo caso, accanto alla previsione di un limite minimo di
pena piu’ elevato rispetto a quello consentito nella correlativa disposizione della
decisione quadro, l’emissione del mandato e’ possibile sempre che non ricorra
una condizione di sospensione dell’ordine di esecuzione.
La S.C. ha, di recente, precisato che non e’ impugnabile il provvedimento con il
quale il P.M. ha rigettato la richiesta di revoca del mandato d’arresto emesso
dallo stesso ufficio, ai sensi dell’art. 28, lett. b), per l’esecuzione di una pena
detentiva: l’ordinamento processuale, infatti, secondo l’indirizzo seguito dalla
Corte, nella fase attiva di consegna consente di contestare il titolo esecutivo su
cui si fonda il mandato d’arresto europeo, ma non direttamente quest’ultimo .
L’autorita’ giudiziaria, in ambedue le ipotesi sopra descritte, provvede alla
trasmissione del mandato d’arresto europeo al Ministro della giustizia, che, a
sua volta, provvede alla traduzione del testo nella lingua ufficiale dello Stato di
esecuzione ed alla successiva trasmissione all’autorita’ straniera competente. E’
altresi’ prevista l’immediata comunicazione dell’emissione del mandato al
servizio per la cooperazione internazionale di polizia presso il Ministero
dell’interno: l’adempimento, in assenza di un’esplicita previsione normativa al
riguardo, deve ritenersi rimesso alla competenza dell’ufficio II della direzione
generale della giustizia penale presso il Ministero della giustizia, in ragione
delle competenze tradizionalmente affidategli ai fini della diffusione
internazionale delle ricerche a scopo estradizionale .
Particolarmente opportuna, a tale riguardo, deve ritenersi l’esigenza, suggerita in
sede pratica , di coordinamento ed uniforme applicazione della normativa, per
cui, ferma restando la competenza del giudice in ordine all’emissione del
mandato d’arresto europeo, il provvedimento venga inviato al P.M. per
l’esecuzione – ossia, la successiva trasmissione al Ministero della giustizia –
non differenziandosi sostanzialmente tale ipotesi da quella ordinaria in cui il
g.i.p., una volta adottata l’ordinanza applicativa della misura cautelare, la
trasmette al p.m. per l’esecuzione (potrebbe darsi, infatti, che il p.m. intenda
coordinare l’esecuzione di una pluralita’ di provvedimenti in territorio nazionale
ed all’estero, secondo criteri che competono solo all’organo titolare delle
indagini preliminari).
Fortemente ridimensionato risulta, rispetto al previgente quadro normativo della
procedura estradizionale, il ruolo delle procure generali, cui e’ attribuito solo il
compito di informare il ministro della giustizia della perdita di efficacia del
mandato d’arresto, per la conseguente comunicazione allo Stato di esecuzione
(ex art. 31), e di emettere il mandato d’arresto nelle sole ipotesi in cui lo stesso
procuratore generale ha emanato l’ordine di esecuzione della pena detentiva in
relazione ad una sentenza di condanna irrevocabile .
Emerge, altresi’, con evidenza, l’asimmetria nell’articolazione della competenza
giurisdizionale tra la fase attiva e quella passiva della procedura di consegna
attraverso l’introduzione di un significativo elemento di novita’ nell’ambito dei
rapporti giurisdizionali con le autorita’ straniere: per la prima volta, infatti, la
competenza non e’ radicata a livello distrettuale presso le procure generali delle
corti d’appello, ma viene attribuita al giudice titolare del potere cautelare
secondo le regole generali, implicitamente richiamate, di cui agli artt. 279 e 91
disp. att. del codice di procedura penale .
La giurisprudenza di legittimita’ ha di recente stabilito, risolvendo un conflitto
di competenza sollevato dal tribunale del riesame, che la competenza ad
emettere il mandato d’arresto europeo, nel caso in cui il g.i.p. abbia rigettato
l’istanza di applicazione della misura cautelare e la stessa sia stata disposta dal
tribunale del riesame in seguito a gravame proposto dal p.m., spetta al tribunale
del riesame a norma dell’art. 28, comma 1, lett. a), della l. n. 69/2005 .
In conseguenza della piena giurisdizionalizzazione dell’iter procedurale –
connotato dall’assenza di “filtri” o “mediazioni” di natura politica, quale diretta
conseguenza dell’applicazione del principio del reciproco riconoscimento delle
decisioni penali – il mandato d’arresto europeo non puo’ essere sottoposto ad
alcun “giudizio di gradimento” da parte dell’autorita’ politica, che deve limitarsi
a trasmetterlo secondo le modalita’ descritte dalla disposizione in esame .
La richiesta di consegna viene pertanto avanzata dall’autorita’ giudiziaria
italiana ad un’altra autorita’ giudiziaria straniera che dovra’ darvi esecuzione.
Pur scomparendo la tradizionale suddivisione plurifasica – preliminare,
decisoria e d’esecuzione – tipica della previgente procedura estradizionale e
nonostante l’evidente arretramento ad un ruolo chiaramente ancillare rispetto
alle determinazioni assunte dall’autorita’ giudiziaria , l’attivita’ di supporto
amministrativo fornito dall’autorita’ centrale puo’ rivelarsi utile non solo per il
contributo di assistenza tecnico-giuridica nei momenti che accompagnano
l’invio del mandato (ad es., ai fini della corretta individuazione dell’organo
giudiziario competente per l’esecuzione), ma anche per risolvere le eventuali
difficolta’ relative alla trasmissione o all’autenticita’ di un documento
necessario per l’esecuzione del mandato d’arresto .
Si e’, peraltro, osservato che ai sensi dell’art. 4, comma 4, della legge di
attuazione, nell’ipotesi in cui sussistano particolari accordi internazionali, e nei
limiti e con le modalita’ in essi previsti, puo’ esser consentita, in condizioni di
reciprocita’, la corrispondenza diretta tra le autorita’ giudiziarie: in queste
evenienze, la trasmissione del mandato d’arresto verra’ effettuata direttamente
dall’autorita’ giudiziaria, che manterra’ solo un obbligo di immediata
informazione nei confronti del ministero della giustizia dell’avvenuta emissione.
Pur non essendo ben chiara la ratio del disposto normativo, privo al riguardo di
un’opportuna clausola di coordinamento con il testo della decisione quadro, il
significato della norma potrebbe ricercarsi nella finalita’ di incentivare la
realizzazione di accordi bilaterali o multilaterali attraverso i quali rendere ancora
piu’ agevole la consegna del ricercato, e comunque di consentire all’autorita’
giudiziaria di avvalersi, in tutti i casi dubbi e di non facile soluzione (ad
esempio, per problemi di conoscenza della normativa straniera), dell’attivita’ di
assistenza dell’organo amministrativo .
Seri problemi di reciprocita’ nella gestione delle procedure di consegna
potrebbero, tuttavia, verificarsi, anche in fase attiva, nei casi, tutt’altro che
infrequenti nel nostro ordinamento, in cui si richiedesse la consegna di una
persona condannata per effetto di una sentenza pronunziata all’esito di un
giudizio contumaciale, atteso che in tale evenienza le nostre autorita’ giudiziarie
potrebbero dover fornire allo Stato membro di esecuzione, quale precisa
condizione della consegna ai sensi dell’art. 5, n.1, della decisione quadro,
“assicurazioni considerate sufficienti a garantire alle persone oggetto del
mandato d’arresto europeo la possibilita’ di richiedere un nuovo processo nello
Stato membro emittente e di essere presenti al giudizio” . Nell’ordinamento
tedesco, ad esempio, l’art. 83 della legge di attuazione ha previsto quale
condizione della consegna la natura non contumaciale della sentenza (con la
garanzia, se del caso, del diritto ad un nuovo giudizio nel quale venga
“ampiamente esaminata” l’accusa mossa a carico dell’indagato), mentre nel
Regno Unito l’Extradition Act 2003 prevede che se la persona non e’ stata
giudicata in sua presenza occorre compiere una verifica in ordine al fatto che la
stessa si sia volontariamente sottratta al giudizio, poiche’ in caso contrario la
persona viene consegnata solo con la garanzia di un nuovo giudizio, nel quale
dovranno assicurarsi all’imputato il diritto di difesa, quello di esaminare i testi a
carico e ottenere l’assunzione delle prove a discarico nelle stesse condizioni
dell’accusa. Analoghe disposizioni, del resto, sono contemplate nelle
legislazioni di attuazione di altri Paesi come, ad es., il Granducato del
Lussemburgo, o i Regni di Svezia e del Belgio .
Nonostante i passi avanti registrati con la recente l. 22 aprile 2005, n. 60, che ha
convertito con modificazioni il d.l. 21 febbraio 2005, n. 17, recante disposizioni
urgenti in materia d’impugnazione delle sentenze contumaciali e dei decreti di
condanna, non sembra, sotto questo specifico profilo, che la nuova fattispecie di
restituzione in termini per proporre impugnazione avverso la sentenza
contumaciale – ovvero l’opposizione avverso al decreto penale di condanna –
sulla base del doppio criterio normativo della mancata effettiva conoscenza del
procedimento e della mancata volontaria rinuncia a comparire, sia idonea a
garantire appieno l’integrale ripristino della situazione processuale dell’imputato
nelle ipotesi in cui la fattispecie legittimante la restituzione del termine si sia
verificata, ad es., nel corso del giudizio di primo grado, e, soprattutto, ad evitare
possibili rifiuti della consegna qualora non venga soddisfatta la condizione
rappresentata dalla “possibilita’ di richiedere un nuovo processo” secondo
l’esplicita formulazione del disposto di cui all’art. 5 della decisione quadro,
cosi’ come esplicitata, del resto, nello stesso riquadro sub d) del formulario del
mandato d’arresto europeo allegato allo strumento comunitario .
Ne’ sembra che l’effettiva attuazione della decisione quadro, sotto tale profilo,
possa trovare efficace soluzione attraverso un meccanismo che consenta, magari
con un piu’ agevole percorso di accesso al giudizio di impugnazione, di
richiedere l’assunzione di prove in appello ai sensi dell’art. 603 comma 4 c.p.p.,
essendo soggetta l’integrale rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in
appello al verificarsi di una serie di condizioni non piu’ in sintonia con il
novellato art. 175 c.p.p. .
Un’importante apertura ai principi fondamentali enucleati dalla Corte europea
dei diritti dell’uomo in tema di equo processo e giudizio contumaciale e’ stata di
recente operata dalla giurisprudenza di legittimita’, che, muovendo dal
presupposto per cui il legislatore italiano ha accettato incondizionatamente la
forza vincolante delle sentenze della Corte di Strasburgo – come dimostrato, in
particolare, dalla legge 15 dicembre 2005, n. 280, di ratifica senza riserve, da
parte dell’Italia, del Protocollo n. 14 alla Convenzione europea dei diritti
dell’uomo, e dalla legge 9 gennaio 2006, n. 12, recante disposizioni in materia
di esecuzione delle pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo – ha
stabilito che, nel pronunciare sulla richiesta di restituzione nel termine per
appellare proposta da un condannato dopo che il suo ricorso e’ stato accolto da
quella Corte, il giudice e’ tenuto a conformarsi alla decisione con cui si e’
riconosciuto che il processo celebrato in absentia non e’ stato equo, con la
conseguenza che il diritto al nuovo processo non puo’ essere negato escludendo
la violazione dell’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle
liberta’ fndamentali, ne’ invocando l’autorita’ del pregresso giudicato formatosi
in ordine alla ritualita’ del giudizio contumaciale in base alla normativa del
codice di rito .
V’e’ da osservare, infine, che in una recente pronuncia del Tribunale di
Amsterdam si e’ affermato che in tema di richiesta di mandato d’arresto europeo
presentata dal giudice italiano a quello olandese per l’esecuzione in Italia di una
pena detentiva nei confronti della persona richiesta, non sussiste alcuna
violazione dell’art. 12 della legge olandese sulla consegna e nulla osta, pertanto,
all’ammissione della richiesta nel caso in cui, in presenza di una sentenza
contumaciale, il giudizio si sia svolto alla presenza del legale dell’imputato e sia
stato quindi garantito allo stesso un adeguato diritto di difesa .
12. Segue: L’equiparazione tra il mandato d’arresto europeo e la
segnalazione nel S.I.S. - Ai fini dell’emissione del mandato d’arresto europeo
e’ necessario che la “localizzazione” del ricercato nel territorio di uno Stato
membro sia nota alla competente autorita’ giudiziaria, la quale, in caso
contrario, dispone, ex art. 29 comma 2, l’inserimento di una specifica
segnalazione nel S.I.S. (Sistema informativo Schengen), conformemente alle
disposizioni di cui all’art. 95 della Convenzione del 19 giugno 1990 di
applicazione degli accordi di Schengen del 14 giugno 1985, cosi’ come
espressamente richiamati nell’art. 9, par. 3, della decisione quadro .
In tal caso, infatti, secondo l’art. 29 comma 2 della legge in esame, si applica,
conformemente all’analoga previsione della decisione quadro, la regola
dell’equiparazione tra il mandato d’arresto europeo e la segnalazione nel S.I.S.
(un criterio, questo, seguito, del resto, nelle legislazioni di attuazione di tutti gli
altri Paesi europei). L’inserimento della segnalazione, secondo le specifiche
modalita’ previste dall’art. 95 della Convenzione di Schengen, comporta
l’obbligo per la polizia giudiziaria di procedere all’arresto del ricercato
eventualmente localizzato sul territorio del proprio Stato, dando l’avvio, in tal
modo, alla procedura di consegna da parte dell’autorita’ giudiziaria competente
per l’esecuzione, chiamata ad esprimersi sulla convalida degli arresti eseguiti
sulla base di mandati emessi dall’autorita’ giudiziaria italiana . La segnalazione,
pertanto, equivale allo stesso mandato d’arresto europeo a condizione che venga
corredata di tutte le informazioni richieste dall’art. 30, come gia’ specificate
dall’art. 8, par. 1, della decisione quadro. In assenza di quei requisiti informativi
che rendono la segnalazione atto equipollente al mandato d’arresto, si ritiene che
la competente autorita’ dello Stato di rifugio dovra’ in ogni caso provvedere
all’arresto provvisorio della persona ricercata. Tale arresto rappresentera’ il vero
e proprio atto d’impulso della procedura di consegna, in quanto l’autorita’ che
ha eseguito l’arresto provvisorio dovra’ darne comunicazione a quella che ha
provveduto all’inserimento della segnalazione nel S.I.S. affinche’ provveda alla
trasmissione , nelle dovute forme, dell’originale del mandato d’arresto .
Pur non essendo espressamente richiamate nell’ambito della legge di attuazione,
deve ritenersi comunque possibile per l’autorita’ giudiziaria emittente avvalersi
delle facolta’ previste dalle disposizioni di cui ai paragrafi 3 e 5 dell’art. 10 della
decisione quadro, ossia: a) fare ricorso ai servizi dell’Interpol per comunicare il
mandato d’arresto, quando, e i relativi casi saranno tutt’altro che infrequenti,
non e’ possibile ricorrere al S.I.S. (cui non tutti i Paesi membri dell’U.E.
aderiscono); b) avviare contatti diretti con le autorita’ giudiziarie interessate o,
se del caso, con l’intervento delle rispettive autorita’ centrali, per risolvere
qualsiasi difficolta’ relativa alla trasmissione o all’autenticita’ di un documento
necessario per l’esecuzione del mandato d’arresto .
L’art. 29 della legge in esame ha, infatti, profondamente innovato il previgente
sistema, giurisdizionalizzando l’intera procedura, nel senso che l’iniziativa deve
ritenersi
attribuita
esclusivamente
all’autorita’
giudiziaria
procedente.
Nell’ambito del sistema estradizionale, invece, la segnalazione nel S.I.S. era
disposta dal Ministro della Giustizia ex art. 720, comma 5, c.p.p., e
materialmente inserita in quel sistema d’informazione dalla Divisione
S.I.R.E.N.E. del Ministero dell’Interno attraverso appositi formulari. Occorre,
peraltro, considerare che la segnalazione nel S.I.S. opera soltanto nei confronti
di quegli Stati membri che hanno aderito alla Convenzione di Schengen, mentre
per gli altri Stati membri le ricerche finalizzate alla localizzazione ed all’arresto
della persona indagata o condannata dovranno continuare a svolgersi secondo il
precedente regime.
Sul piano operativo, pertanto, come stabilito anche nella Circolare del Ministero
della Giustizia del 24 giugno 2005 (Circolare n. 1-1489/05/U, in BARGIS –
SELVAGGI, Mandato, 639 s.), la diffusione delle ricerche continuera’ ad
effettuarsi – anche nel nuovo sistema di consegna – sia attraverso la Divisione
SI.RE.NE. – per la c.d. area Schengen – sia attraverso il servizio Interpol – per
tutti gli altri Stati – fin quando non sara’ operativo il nuovo sistema S.I.S. II, al
quale aderiranno tutti gli Stati membri dell’U.E. .
Le autorita’ giudiziarie procedenti a norma dell’art. 29, dunque, devono darne
immediata comunicazione al Ministero della Giustizia, che provvedera’ a
trasmettere l’ordine di diffusione delle ricerche alla Direzione Centrale di
Polizia criminale – Servizio Interpol, a norma dell’art. 720, comma 5, c.p.p. . In
ordine alle modalita’ di inserimento della segnalazione nel S.I.S. ex art. 95 della
Convenzione di Schengen, inoltre, l’autorita’ giudiziaria procedente – che
dispone la segnalazione nel S.I.S. a norma dell’art. 29, comma 2, della l. n.
69/2005 - dovra’ inviare alla Divisione SI.RE.NE. nazionale gli appositi
formulari “A” ed “M” – adottati dalle Divisioni SI.RE.NE. di tutti gli Stati
aderenti all’area c.d. Shengen – per il successivo inserimento nella banca dati
del S.I.S. (Circolare del Ministero della Giustizia del 24 giugno 2005, in
BARGIS – SELVAGGI, Mandato, 639 s.). In ordine alla procedura volta alla
successiva, eventuale, cancellazione – a seguito di revoca, annullamento, perdita
di efficacia del provvedimento restrittivo che ha dato origine alla segnalazione –
si ritiene che spetti alla stessa autorita’ giudiziaria, competente ai sensi dell’art.
28, richiedere l’eliminazione della segnalazione dal S.I.S., mentre a nessuna
comunicazione dovrebbe darsi luogo da parte della Procura generale al Ministro,
non essendo necessario seguire le cadenze previste dall’art. 31 .
Il meccanismo di cooperazione attivato dall’emissione del mandato ovvero
dall’inserimento della segnalazione nel S.I.S., generalmente immediata, subisce
di contro un differimento nella sola eventualita’ in cui la persona ricercata
benefici di un’immunita’ o di un privilegio riconosciuti da uno Stato diverso da
quello dell’esecuzione o da un organismo internazionale, rendendosi a tal fine
necessario attendere la revoca del privilegio o l’esclusione dell’immunita’.
Infatti, in linea con la previsione contenuta nel secondo inciso del par. 2 dell’art.
20 della decisione quadro, l’art. 29 comma 3 della legge di attuazione stabilisce
che sia proprio l’autorita’ giudiziaria emittente a dover provvedere all’inoltro
della richiesta di revoca del privilegio o di esclusione dell’immunita’ di cui la
persona ricercata eventualmente benefici, allorquando tali situazioni soggettive
siano riconosciute da uno Stato diverso da quello di esecuzione, ovvero da un
organismo internazionale.
13. Segue: Il contenuto del mandato d’arresto. - Il contenuto del mandato
d’arresto deve necessariamente presentare il complesso delle informazioni
indicate espressamente nella disposizione normativa in esame, che riproduce a
sua volta l’art. 8, par. 1, della decisione quadro, richiamando espressamente il
modello allegato alla decisione quadro. Pur non essendo stato formalmente
adottato il modello tipico di “eurordinanza” allegato alla decisione quadro, nulla
vieta alle nostre autorita’ giudiziarie di farvi ricorso utilizzandolo nella prassi
applicativa, che dovra’ comunque soddisfare evidenti criteri di uniformita’ degli
atti nelle relazioni instaurate con le competenti autorità giudiziarie degli altri
Paesi membri dell’U.E. .
E’ opportuno presentare, al riguardo, una descrizione precisa e dettagliata del
“fatto contestato”, ai sensi delle disposizioni di cui alle lett. d) ed e) dell’art. 30,
comma 1, atteso che proprio la possibilita’ della consegna del ricercato in
assenza della verifica del requisito della doppia incriminazione ex art. 2, par. 2,
della decisione quadro, potrebbe dare luogo a problemi interpretativi nella
prassi, in merito all’apprezzamento delle tipologie di fattispecie incriminatrici
ivi astrattamente enucleate .
In particolare, il contenuto del mandato d’arresto deve presentare, oltre ai dati
segnaletici del ricercato ed agli elementi identificativi dell’autorita’ giudiziaria
emittente, i presupposti giustificativi della misura – ossia, l’esistenza di una
sentenza o di un’altra decisione giudiziaria esecutiva – la descrizione storica del
fatto contestato, la pena per esso inflitta o quella in astratto applicabile – con
l’indicazione dei limiti edittali massimi e minimi – la segnalazione delle altre
conseguenze da esso scaturenti ed, infine, le informazioni attinenti alla natura e
qualificazione giuridica del reato, in modo da dare luogo alla verifica ex art. 2,
par. 2, della decisione quadro, in ordine alla non necessarieta’ del requisito della
doppia incriminazione. Sotto tale profilo, l’accertamento in ordine alla
corrispondenza al modello indicato nella lista dei trentadue reati di cui all’art. 2,
par. 2 , della decisione quadro non si basa sulla mera apparenza del nomen iuris
attribuito dallo Stato richiedente e da quello di esecuzione, ma deve coinvolgere
l’indicazione, contenuta nel mandato d’arresto, degli elementi essenziali della
fattispecie, poiche’, altrimenti, sarebbe del tutto vana la previsione della
descrizione del fatto da inserire nel mandato stesso .
L’uniformita’ di contenuto dell’atto soggetto alla circolazione sul territorio
comunitario supera il requisito della c.d. probable cause o reasonable cause,
che – qualora il destinatario della richiesta fosse stato un Paese anglosassone,
nella vigenza del precedente sistema estradizionale – avrebbe imposto
l’allegazione di un supporto probatorio particolarmente qualificato in ordine alla
sussistenza del reato ed alla colpevolezza dell’imputato. Ne discende che il mero
controllo di regolarita’ formale sugli atti previsti esaurisce, oggi, l’indagine
demandata alla competente autorita’ dello Stato di esecuzione .
La natura custodiale del provvedimento in forza del quale puo’ essere emesso il
mandato d’arresto europeo rende evidente che l’attivazione del procedimento di
emissione sara’ possibile solo con riferimento ai reati che prevedano una pena
superiore nel massimo a tre anni, limitatamente alla misura degli arresti
domiciliari, e non inferiore a quattro anni, in relazione alla custodia cautelare in
carcere (ex art. 280 c.p.p.), ossia ben al di la’ del limite minimo di un anno
fissato dall’art. 2, par. 1, della decisione quadro. Analogamente, in relazione
all’emissione del mandato d’arresto all’esito di un provvedimento irrevocabile
di condanna a pena detentiva, lo sbarramento verso il basso viene elevato ad un
anno, anziche’ a quattro mesi (come previsto nel testo della decisione quadro),
ferme restando le ulteriori considerazioni connesse alla disciplina della
sospensione dell’ordine di esecuzione .
Il corredo degli elementi informativi che devono concorrere a formare il
contenuto del mandato d’arresto emesso dall’autorita’ giudiziaria italiana
rappresenta un’indicazione tassativa “minima”, che eventualmente puo’ essere
arricchita con le ulteriori informazioni richieste dallo Stato di esecuzione quale
condizione al fine di autorizzare la consegna del ricercato . L’art. 15, par. 2,
della decisione quadro consente infatti all’autorita’ giudiziaria dell’esecuzione –
che non ritenga sufficienti le informazioni contenute nel mandato d’arresto – di
richiedere con urgenza – attraverso comunicazioni dirette con l’autorita’
emittente - delle informazioni complementari per assumere la decisione sulla
consegna (ivi comprese quelle necessarie ad integrare il contenuto dello stesso
mandato). Peraltro, mentre l’emissione del mandato d’arresto, secondo una
scelta legislativa senza dubbio condivisibile nell’ambito di un sistema di
cooperazione che tende ad essere governato dal principio del reciproco
riconoscimento
delle
decisioni
giudiziarie
penali,
non
deve
essere
necessariamente accompagnata dalla trasmissione del provvedimento giudiziario
sul quale il mandato si basa (ex artt. 30, lett. c) e 28 della legge n. 69/2005),
nell’ambito della procedura passiva di consegna il legislatore ha introdotto un
elemento di chiara dissonanza sia rispetto al testo della decisione quadro, sia
rispetto alle stesse condizioni che presidiano la procedura di emissione,
subordinando – ex art. 6, comma 3 - l’esecuzione del mandato da parte
dell’autorita’ italiana alla trasmissione del provvedimento coercitivo che fonda
la richiesta avanzata dall’autorita’ straniera .
14. Segue: La sopravvenuta inefficacia del mandato d’arresto europeo. - La
disposizione di cui all’art. 31 stabilisce il principio della non autonomia del
mandato d’arresto europeo rispetto al provvedimento interno, prevedendo che il
mandato d’arresto, emesso dal giudice che ha applicato l’ordinanza cautelare,
perde efficacia quando il provvedimento restrittivo della liberta’ personale viene
revocato, annullato, o diviene inefficace (sulla base dei principi generali e delle
ordinarie regole processuali fissate dagli artt. 272 ss. c.p.p., in tal modo
implicitamente richiamate nella legge di attuazione). Il venir meno del
presupposto giustificativo della richiesta di consegna – ossia il provvedimento
restrittivo dello status libertatis – non puo’ che travolgere il mandato e gli effetti
dallo stesso scaturiti . Non comporta, peraltro, la perdita di efficacia del
mandato d’arresto europeo emesso dall’autorita’ giudiziaria italiana la decisione
dello Stato membro che, in virtu’ dell’art. 16 della decisione quadro, abbia dato
esecuzione ad altro mandato di arresto europeo o ad una richiesta di estradizione
di un altro Stato . In tal caso, deve darsi immediata comunicazione allo Stato
membro al quale il provvedimento era stato inviato per l’esecuzione. A tal fine,
il Procuratore generale presso la Corte d’appello deve darne immediata
comunicazione al Ministro della Giustizia che, a sua volta, provvede ad
informarne lo Stato membro di esecuzione.
La disposizione in esame, peraltro, non contiene alcuna norma di coordinamento
che preveda la comunicazione da parte dell’autorita’ procedente al Procuratore
generale dell’avvenuta revoca o dell’intervenuta inefficacia del titolo cautelare,
con la conseguenza che il Procuratore generale potrebbe non essere
tempestivamente informato del venire meno dell’ordinanza di custodia cautelare
e della conseguente sopravvenuta inefficacia del mandato d’arresto europeo .
La disposizione e’ apparsa, dunque, mal calibrata sotto il profilo del necessario
raccordo tra le diverse autorita’ giudiziarie coinvolte: all’obbligo di
comunicazione incombente sul procuratore generale, infatti, non e’ correlato
nessun esplicito dovere di avviso dell’eventuale intervenuta revoca del
provvedimento da parte dell’autorita’ giudiziaria emittente .
Al fine di evitare ritardi, e le conseguenti responsabilita’ sul piano
internazionale, la Circolare del Ministero della Giustizia del 24 giugno 2005
(Circolare n. 1-1489/05/U, in BARGIS – SELVAGGI, Mandato, 640) ha
suggerito una norma organizzativa di ordine generale – fermi restando gli
eventuali diversi accorgimenti maturati nella prassi applicativa seguita dagli
uffici giudiziari – invitando gli uffici giudiziari procedenti alla tempestiva
comunicazione all’ufficio del P.M. dell’adozione dei provvedimenti liberatori
conseguenti all’estinzione, per qualsivoglia motivo, della misura cautelare, in
modo da consentire all’ufficio del P.M. di informare il Procuratore generale (che
non e’ a conoscenza dell’emissione del mandato d’arresto europeo)
dell’intervenuta
inefficacia
del
mandato
d’arresto
europeo,
ai
fini
dell’adempimento dell’obbligo derivante dalla disposizione in esame. A tale
riguardo, infatti, v’e’ da osservare che l’opportunita’ di una immediata
comunicazione - da parte del P.M. - sia al Procuratore generale che al Ministero
della Giustizia e’ stata suggerita dalle Circolari della Procura generale presso la
Corte d’appello di Roma del 12 luglio 2005 e della Procura generale presso la
Corte d’appello di Firenze del 15 novembre 2005 (i testi delle circolari sono
pubblicati in BARGIS – SELVAGGI, Mandato, 642 s.).
15. Segue: Natura ed effetti del principio di specialita’. - La disposizione di
cui all’art. 32 stabilisce, anche dal lato attivo della procedura di consegna, la
rilevanza del principio di specialita’ con un rinvio alle stesse eccezioni previste
dall’art. 26 della legge di attuazione relativamente alla procedura passiva di
consegna. La clausola di specialita’, cosi’ come definita dall’art. 26 della legge
di attuazione, ricalca sostanzialmente le previsioni della disposizione di cui
all’art. 27 della decisione quadro, anche in relazione alla tipologia delle
eccezioni derogatorie ivi enunciate nel paragrafo 3 .
Sostanzialmente in linea con il disposto di cui all’art. 14 della Convenzione
europea di estradizione del 1957 - che preclude non solo la privazione della
liberta’ dell’estradato in relazione ad un reato diverso e precedente a quello per
il quale e’ stato consegnato, ma anche la stessa procedibilita’ dell’azione penale
– gli artt. 32 e 26 della legge di attuazione – diversamente dalla soluzione
prevista nell’ambito della procedura estradizionale disciplinata dal codice di rito
(i cui artt. 699 e 721 contemplano, di contro, un divieto che incide sulla mera
restrizione della liberta’ personale) configurano il principio di specialita’ quale
condizione di procedibilita’, precludendo, senza un consenso ad hoc, non solo il
diritto di punire o di privare della liberta’ personale, ma anche quello di
assoggettare l’individuo consegnato al processo .
Ne discende, dal lato attivo della procedura di consegna, che il divieto incide
sull’esercizio dell’azione penale, mentre il soggetto interessato potra’ essere
sottoposto ad indagini, con le forme e nei limiti imposti dall’art. 346 c.p.p., per
quel che riguarda gli atti che possono esser compiuti in mancanza di una
condizione di procedibilita’ .
Si e’ osservato, peraltro, che l’art. 26 della legge non riproduce il contenuto del
comma 3 dell’art. 14, alla stregua del quale “allorquando la qualificazione data
al fatto incriminato venga modificata nel corso del procedimento, la persona
estradata non sara’ perseguita o giudicata che nella misura in cui gli elementi
costitutivi del reato cosi’ nuovamente qualificato consentano l’estradizione” .
Le eccezioni alla regola sono raggruppate dall’art. 26, comma 2, nell’ambito di
tre categorie: il tipo di reato per il quale si intende procedere o eseguire la pena,
il consenso dell’interessato e la permanenza del soggetto nel territorio dello
Stato della consegna successivamente alla propria liberazione .
In ordine alla prima tipologia di eccezioni derogatorie, si prevede che il
principio di specialita’ non operi in via generale quando il nuovo reato per il
quale si intenda eseguire la pena non ponga a rischio la liberta’ personale del
soggetto interessato . Per quel che attiene alla seconda eccezione, il consenso
espresso dall’interessato deve risultare in modo chiaro e specifico, e puo’ essere
preventivo (con dichiarazione resa all’autorita’ giudiziaria procedente nello
Stato di esecuzione) o successivo alla consegna (davanti alla competente
autorita’ dello Stato di emissione). Va dunque negata, in linea di principio, ogni
validita’ a fatti, comportamenti o atti che solo in via indiretta possano essere letti
quali indice di rinuncia alla specialita’ e di consenso al nuovo processo o alla
punizione per un reato diverso da quello oggetto del mandato .
Nelle ipotesi in cui l’Italia sia lo Stato di emissione e il consenso del destinatario
venga espresso a consegna avvenuta, il verbale viene redatto, alla presenza del
difensore, dinanzi al Presidente della Corte d’appello o di un magistrato da lui
delegato; quando invece si tratti di un consenso preventivo, manifestato dinanzi
alle autorita’ competenti nel Paese di esecuzione (alla presenza del difensore e
con forme equipollenti a quelle prescritte nel nostro ordinamento per la
redazione del verbale), e’ da ritenere necessario che lo stesso riguardi
congiuntamente l’esecuzione del mandato e la rinunzia alla specialita’, non
potendo considerarsi valida una dichiarazione che includa soltanto quest’ultimo
aspetto .
L’ultima ipotesi di deroga, infine, costituita dalla permanenza o dal rientro del
soggetto interessato nel territorio dello Stato di emissione, rappresenta la
derivazione storica di una regola consolidata del sistema estradizionale, la c.d.
“purgazione”, ex art. 26, comma 2, lett. a), secondo cui non occorre il consenso
dello Stato di esecuzione qualora la persona, avendone avuta la possibilita’, non
abbia lasciato il territorio dello Stato al quale e’ stata consegnata decorsi
quarantacinque giorni dalla sua liberazione definitiva, ovvero, avendolo lasciato,
vi abbia fatto volontariamente ritorno .
16. Segue:
La deducibilita’ del periodo di custodia cautelare sofferto
all’estero. - La disposizione di cui all’art. 33 della l. n. 69/2005 da’ attuazione
nel nostro ordinamento al principio generale della deducibilita’ del periodo di
custodia cautelare scontato all’estero, contemplato nel par.1 dell’art. 26 della
decisione quadro. Il principio di computabilita’ della custodia cautelare sofferta
all’estero opera non solo ai fini della determinazione della pena detentiva – in
virtu’ dell’espresso richiamo all’art. 657 c.p.p. – ma anche ai fini del computo
dei termini di durata complessiva delle misure cautelari e della possibilita’ della
loro sospensione ex artt. 303, co. 4, e 304 c.p.p., anch’essi richiamati nel testo
normativo . La logica sottesa al dettato normativo della decisione quadro e’ che
il periodo di privazione della liberta’ personale subito dalla persona ricercata
nello Stato di esecuzione, in conseguenza, o comunque in ragione, del mandato
d’arresto europeo, dovra’ trovare puntualmente riscontro e riconoscimento
anche nell’ordinamento dello Stato emittente il mandato, detraendosi il periodo
complessivo di custodia gia’ sofferto dall’ammontare della detenzione che
dovra’ essere scontata nello Stato emittente a seguito della condanna ad una
pena ovvero ad una misura di sicurezza privative della liberta’. La previsione,
del resto, appare in linea con il principio implicitamente desumibile dall’art. 18
della Convenzione europea di estradizione, secondo cui, nel caso di consenso, lo
Stato richiedente sara’ informato della durata della detenzione subita in vista
dell’estradizione, affinche’ quel periodo di restrizione della liberta’ sia sottratto
dal complessivo ammontare della pena o della custodia disposta .
Per effetto di una recente pronuncia della Corte costituzionale
e’ stato
dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione dell’art. 3 Cost., l’art.
722 c.p.p. nella parte in cui non prevede che la custodia cautelare subita
all’estero in conseguenza di una domanda di estradizione presentata dallo Stato
sia computata anche agli effetti della durata dei termini di fase previsti dall’art.
303, commi 1, 2 e 3, c.p.p. . La Corte ha ritenuto violato l’art. 3 Cost. in quanto,
una volta affermata l’equivalenza tra detenzione cautelare all’estero in attesa di
estradizione e custodia cautelare in Italia, evidenti motivi di razionalita’ e
coerenza interna del sistema impongono di applicare alla custodia cautelare
all’estero la medesima disciplina prevista per la durata dei termini di custodia
cautelare in Italia. Sotto questo profilo, in particolare, rientrando anche la
detenzione all’estero tra i motivi di legittimo impedimento a comparire che
determinano la sospensione del decorso dei termini di custodia cautelare previsti
dall’art. 304, co.1, lett. a), c.p.p., non v’e’ alcuna ragione, ad avviso della Corte
costituzionale, che possa giustificare per la detenzione all’estero una disciplina
diversa da quella prevista dagli artt. 303 e 304, co.6, c.p.p., per la durata dei
termini massimi della custodia cautelare in Italia .
Lo stesso impianto normativo della decisione quadro, comunque, sembra
autorizzare, con l’ampia formulazione del disposto di cui all’art. 26, par.1 (che
fa riferimento al periodo complessivo di custodia che risulta dall’esecuzione di
un mandato d’arresto europeo), una lettura estensiva della nozione di
deducibilita’, idonea a ricomprendere anche il computo dei termini di fase,
superando in tal modo le incongruenze del precedente sistema estradizionale che
non sempre garantiva la possibilita’ di dedurre dal totale della pena il periodo
trascorso in stato di custodia dovuta all’estradizione: a tal fine, a cura
dell’autorita’ giudiziaria dell’esecuzione o dell’autorita’ centrale designata a
norma dell’art. 7 della decisione quadro, dovranno trasmettersi allo Stato
emittente, all’atto della consegna, tutte le informazioni inerenti all’esatto
computo della durata del periodo di carcerazione scontato dalla persona
ricercata a titolo di esecuzione del mandato d’arresto europeo, ex art. 26, par. 2,
della decisione quadro . Nella fase passiva, infatti, la corrispondente norma di
cui all’art. 23, comma 6, della legge di attuazione prevede che, all’atto della
consegna, la corte d’appello debba trasmettere all’autorita’ giudiziaria emittente
le informazioni occorrenti al fine di consentire la deduzione del periodo di
custodia sofferto in esecuzione del m.a.e. « dalla durata complessiva della
detenzione » conseguente all’eventuale sentenza di condanna, ovvero per la
determinazione della durata massima della custodia cautelare .
Sulla stregua dell’orientamento ermeneutico di recente seguito dalla Corte
costituzionale e della rilevante ampiezza dell’area semantica coperta dalla
formulazione lessicale impiegata nell’art. 26, par.1, della decisione quadro –
che, come si e’ visto sopra, fa riferimento, significativamente, alla deduzione del
“periodo complessivo di custodia che risulta dall’esecuzione di un mandato
d’arresto europeo dalla durata totale della detenzione” – sembra doversi ritenere
che le ragioni poste a fondamento della chiara base argomentativa delineata
dalla Corte costituzionale con la su citata sentenza n. 253/2004 potrebbero
efficacemente sostenere un’interpretazione “costituzionalmente orientata” del
disposto di cui all’art. 33 della legge di attuazione, in ordine al pieno
riconoscimento, anche per quel che attiene ai termini di fase, della detenzione
subita all’estero in esecuzione di un mandato d’arresto europeo .
17. Segue: Le misure reali . - La disposizione di cui all’art. 34, come del resto
quella successiva, concentrano la relativa competenza, sia in fase attiva che
passiva, su base distrettuale, attribuendola, rispettivamente, al Procuratore
generale presso la Corte d’appello ed alla stessa Corte d’appello.
Si tratta di una scelta normativa che ripropone, sostanzialmente, l’originaria
impostazione codicistica, muovendosi in una direzione inversa rispetto alla
suddivisione delle competenze operata negli artt. 5 e 28, con riguardo alla fase
di esecuzione e di emissione del mandato d’arresto, laddove radica il potere di
richiesta di consegna dei beni oggetto del provvedimento di sequestro o di
confisca, eventualmente emesso dal giudice competente, in capo al Procuratore
generale presso la Corte d’appello, che dovra’ inoltrare la richiesta direttamente
alla autorita’ giudiziaria dello Stato di esecuzione, trasmettendo copia del
provvedimento di sequestro unitamente al mandato d’arresto europeo emesso ai
sensi dell’art. 28 della legge di attuazione.
Vanno distinte, al riguardo, parallelamente alla disciplina della consegna delle
persone, due situazioni: la fase attiva, in cui e’ l’Italia lo Stato richiedente, e
quella passiva, in cui l’Italia e’ lo Stato richiesto .
Non e’ prevista dalla norma alcuna forma di coordinamento che consenta la
comunicazione al Procuratore generale del mandato d’arresto europeo e del
provvedimento di sequestro o di confisca eventualmente emesso dal giudice
competente ai sensi dell’art. 28 .
La richiesta di consegna e’ accessoria e, di regola, contestuale a quella di
esecuzione del mandato, anche se la necessita’ del sequestro potrebbe
manifestarsi anche successivamente all’inoltro della richiesta di esecuzione del
mandato .
Nell’ipotesi regolata dalla disposizione in esame, inoltre, diversamente
dall’opzione seguita dal legislatore negli artt. 28-30 della legge di attuazione, si
determina un singolare “doppio binario” procedurale, prevedendosi soltanto per
il provvedimento reale la trasmissione del relativo atto emesso dall’autorita’
giudiziaria italiana, viceversa esclusa con riguardo al provvedimento destinato a
creare un vincolo alla liberta’ personale del ricercato, essendo in quel caso
trasmesso solo il mandato d’arresto europeo, senza il provvedimento –
presupposto .
Condizione per la formulazione della richiesta di consegna e’ la preventiva
emissione da parte della competente autorita’ giudiziaria nazionale di un
provvedimento di sequestro o di confisca, cio’ che sembra escludere che il
provvedimento di sequestro possa ritenersi implicito nella stessa istanza rivolta
all’autorita’ di esecuzione .
V’e’ da considerare, inoltre, che il procuratore generale presso la Corte
d’appello, se non e’ l’organo che ha ordinato l’esecuzione della sentenza di
condanna a pena detentiva, svolge un ruolo meramente ausiliario rispetto al
giudice de libertate o al magistrato del p.m. presso il giudice dell’esecuzione, un
ruolo di natura amministrativa poiche’ limitato alla richiesta di consegna sulla
base del mandato emesso da una diversa autorita’, ed alla trasmissione di copia
del provvedimento reale o della sentenza di condanna che ordina la confisca dei
beni .
In ordine all’oggetto ed ai limiti della richiesta di consegna, pur non essendo
esattamente specificata la tipologia del provvedimento di sequestro che legittima
la presentazione della successiva richiesta, sembra doversi ritenere, ex art. 29
della decisione quadro (che, a sua volta, richiama esclusivamente i beni
necessari come prova e quelli acquisiti dal ricercato a seguito del reato), che
debba trattarsi del sequestro probatorio o del sequestro preventivo di cose di cui
e’ consentita la confisca .
Il provvedimento di sequestro o di confisca, inoltre, deve essere emesso dal
giudice “competente”, limitandosi l’ambito di applicazione di questa forma
collaborativa ai soli sequestri emessi dal “giudice”, con esclusione, pertanto, di
quelli – ad es., il sequestro probatorio – disposti dal pubblico ministero, ovvero,
d’urgenza, dalla polizia giudiziaria ex art. 354 c.p.p. .
Una scelta normativa, questa, criticabile non solo per la pacifica attribuzione al
p.m. della facolta’ di formulare rogatorie dirette ad autorita’ straniere per
attivita’ di acquisizione probatoria (ex art. 727 c.p.p.), ma anche in ragione del
fatto che la forma del sequestro probatorio, nella fase delle indagini preliminari,
vede solo il p.m. e non il giudice quale autorita’ procedente, fatta salva l’ipotesi
limitata di cui all’art. 368 c.p.p. . E’ apparsa, dunque, maggiormente plausibile
una diversa lettura della norma, nella quale il riferimento al giudice venga
limitato al solo provvedimento di confisca “eventualmente emesso”, posto che
lo stesso art. 34 prevede che la richiesta sia trasmessa esclusivamente corredata
dalla “copia dei provvedimenti di sequestro” .
Risultano, comunque, ricompresi nell’ambito di applicazione della norma tutti i
provvedimenti giurisdizionali di sequestro, da qualsiasi giudice eventualmente
promanino, dunque anche dal giudice del dibattimento .
In ordine alla procedura “passiva” in tema di misure reali, la disposizione di cui
all’art. 35 della legge in esame, relativa alle richieste provenienti da altri Stati
membri dell’Unione europea, si limita a riprodurre sostanzialmente il contenuto
della disciplina di cui all’art. 29 della decisione quadro, salvo dettare con
maggiore precisione la distinzione fondamentale tra beni la cui consegna
necessita ai soli fini della prova e beni suscettibili di apprensione nella forma
della confisca; in tal caso, infatti, il Presidente della Corte d’appello, in analogia
a quanto previsto dalla disposizione di cui all’art. 16 per le “informazioni
integrative”, invita l’autorita’ giudiziaria richiedente a trasmettere tale
precisazione, ove la stessa non risulti contenuta nella richiesta.
Si stabilisce, al riguardo, che la Corte d’appello provvede con decreto motivato,
dopo aver sentito il Procuratore generale, applicando, in quanto compatibili, le
disposizioni di cui agli artt. 253 ss. c.p.p., esplicitamente richiamate dall’art. 35,
comma 3, della legge di attuazione .
La Corte d’appello e’ da identificarsi in quella competente in base all’art. 5 della
legge di attuazione, alla quale, di norma, il Ministro della giustizia trasmette il
mandato d’arresto europeo ricevuto dall’estero. In dottrina si e’ criticamente
osservato, a tale riguardo, il silenzio serbato dal legislatore in merito alla
facolta’ di sequestro d’urgenza da parte della polizia giudiziaria in occasione
dell’arresto della persona ricercata, gia’ prevista dal codice di rito, ex art. 716,
nell’ambito del procedimento estradizionale, atteso che e’ proprio nel corso
dell’arresto ex art. 11 della legge di attuazione che l’autorita’ nazionale viene a
reperire le cose sequestrabili a norma dell’art. 35 .
Ove la consegna sia richiesta a fini probatori, la stessa e’ subordinata alla
condizione che i beni vengano restituiti una volta soddisfatte le esigenze
processuali. Allorquando, invece, la consegna dei beni e’ richiesta ai fini della
confisca, la Corte d’appello ne dispone il sequestro facendo salvi gli eventuali
diritti sugli stessi maturati in capo a terzi o allo Stato italiano, e comunque
subordinando la consegna alla condizione risolutiva che siffatti diritti, acquisiti
ai sensi del comma 9 dell’art. 35, non risultino conosciuti successivamente.
Deve trattarsi, comunque, sebbene la norma nulla preveda espressamente al
riguardo, di terzi in buona fede e di diritti aventi necessariamente natura reale .
E’ necessaria, in ogni caso, una richiesta motivata e “mirata”, in quanto i beni da
sottoporre eventualmente alla misura reale debbono essere pre-individuati, con
la massima precisione possibile in ordine alla loro localizzazione, sia pure
compatibilmente con la natura delle cose da sottoporre a vincolo.
A tale riguardo si e’ osservato in dottrina, ed il rilievo appare senz’altro
condivisibile, che le ragioni della necessita’ del vincolo reale, stante l’assenza di
plena cognitio del procedimento estero, devono essere esplicitate, non potendosi
ritenere sufficienti gli elementi desumibili dalla richiesta di esecuzione del
mandato, ovvero una richiesta genericamente formulata .
In ordine al ricorso per cassazione e’ da rilevare che in entrambi i casi sono
applicabili, in forza dell’espresso richiamo contenuto nel comma 8, le
disposizioni di cui all’art. 719 c.p.p., che consente al Procuratore generale
presso la Corte d’appello, all’interessato ed al suo difensore, l’impugnazione dei
provvedimenti relativi alle misure cautelari con ricorso per cassazione per
violazione di legge.
Ne consegue: a) che il vincolo reale sui beni puo’ essere posto, in entrambe le
evenienze su considerate, soltanto se ricorrono le condizioni specificamente
previste dalla legge italiana; b) che in relazione ad entrambe le tipologie di
consegna considerate dal legislatore, a fini probatori ovvero a fini di confisca, e’
possibile esperire una via di ricorso interna alle condizioni ed entro i limiti
previsti dall’art. 719 c.p.p. .
La limitazione al solo motivo della violazione di legge, peraltro, sembra
comprimere eccessivamente la tutela giurisdizionale nei confronti della misura
prevista dalla norma in esame . anche se nell’unico vizio in tal guisa deducibile
la giurisprudenza fa comunque confluire l’ipotesi della mancanza o della mera
apparenza della motivazione, sul rilievo che in tal caso verrebbe a prospettarsi la
violazione della norma che impone l’obbligo della motivazione nei
provvedimenti giurisdizionali .
Nel procedimento camerale che segue la proposizione del ricorso non e’ prevista
la partecipazione dello Stato richiedente il sequestro. Inoltre, sebbene la norma
nulla disponga in merito all’effetto sospensivo dell’impugnazione, sembra
deporre a favore dell’assenza di ogni effetto sospensivo il richiamo all’art. 719
c.p.p., che stabilisce che la notificazione del provvedimento segue la sua
esecuzione .
In ordine ai poteri della Corte d’appello, la disposizione in esame stabilisce che
tale organo giurisdizionale “possa” disporre il sequestro d’ufficio o su richiesta
dell’autorita’ giudiziaria straniera. La previsione di un’autonomia piena del
giudice italiano nella assunzione della decisione di sequestro – avvalorata anche
dalla mancata previsione della trasmissione del provvedimento emesso
dall’autorita’ straniera – e’ stata criticata dalla dottrina sotto il profilo
dell’incoerenza rispetto alla schema di cooperazione disegnato per la fase attiva
.
Analoghi rilievi critici, inoltre, sono stati formulati dalla dottrina in ordine alla
possibilita’ di disporre “d’ufficio”, oltre che su richiesta dello Stato istante, la
misura cautelare, disancorando in tal modo il provvedimento della Corte
d’appello non solo da un’iniziativa dell’autorita’ dello Stato di emissione, ma
anche da un atto di impulso interno. In questa prospettiva, da un lato, sono stati
posti in evidenza i problemi di applicazione pratica del nuovo regime normativo,
anche in considerazione del fatto che la legge autorizza espressamente
l’autorita’ giudiziaria italiana ad effettuare il sequestro, ma non la ricerca dei
beni da vincolare a favore dello Stato di emissione , dall’altro non si e’ mancato
di ravvisare un vulnus al principio della domanda cautelare, con la conseguente
necessita’ di elaborare un’interpretazione in senso restrittivo, che limiti il
potere-dovere di sequestro d’ufficio al solo caso in cui nel corso dell’esecuzione
del mandato d’arresto ci si imbatta in cose sequestrabili a norma dell’art. 35,
comma 1 .
Si tratta, peraltro, di una disciplina divergente dalle tradizionali regole del
procedimento estradizionale di cui agli artt. 704, 714 e 715 c.p.p., che pongono
espressamente la richiesta del Ministro della giustizia quale presupposto non
vincolante per l’autorita’ giudiziaria, ma indefettibile per la legittimita’ del
provvedimento di sequestro.
Nonostante il rapporto di stretta pregiudizialita’ tra le due decisioni, il
legislatore ha comunque assegnato al provvedimento di sequestro e confisca dei
beni un carattere di piena autonomia rispetto alla decisione sulla consegna della
persona ricercata, prevedendo sia provvedimenti di natura diversa, sia un
differente regime di impugnazione, al fine di assicurare che la consegna del
ricercato segua i tempi previsti dalla decisione quadro, evitando in tal modo
ritardi conseguenti ad eventuali gravami riguardanti il solo provvedimento di
sequestro .
I beni oggetto del provvedimento di sequestro devono trovarsi in ogni caso
“nella disponibilita’ del ricercato”, rendendo in tal modo possibile l’apprensione
dei beni comunque a quest’ultimo ricollegabili, anche mediante fenomeni di
interposizione personale .
V’e’ da osservare, poi, che la fuga o il decesso del ricercato, in linea con la
disposizione di cui all’art. 29 della decisione quadro, non costituiscono un
impedimento alla consegna dei beni sequestrati, allorquando la Corte d’appello
abbia deciso in senso favorevole sulla richiesta di esecuzione del mandato
d’arresto europeo: la misura reale,
in tal caso, diviene eseguibile
indipendentemente dalla consegna del ricercato .
Infine, la consegna delle cose oggetto di sequestro all’autorita’ giudiziaria
richiedente avviene secondo modalita’ ed intese con la stessa intervenute tramite
il Ministro della giustizia, riassegnando in tal modo a quest’ultimo, sia pure con
forme e tempi di adempimento non bene precisati, e nonostante l’integrale
giurisdizionalizzazione della nuova procedura, quel ruolo attivo di intermediario
necessario gia’ previsto dall’art. 23 della legge di attuazione per la consegna
della persona ricercata.
Nella particolare ipotesi in cui i beni richiesti in sequestro siano gia’ oggetto di
un sequestro disposto dall’autorita’ giudiziaria italiana, nell’ambito di un
procedimento penale o civile in corso, la consegna puo’ essere disposta, ex art.
36 della legge in esame, solo per fini probatori – data la confiscabilita’ delle
cose sequestrate in base alla legge italiana - e previo nulla osta da parte
dell’autorita’ procedente. Prevalgono, dunque, le esigenze proprie del
procedimento “interno” rispetto a quelle dello Stato richiedente .
Stante il riferimento esplicito all’ “autorita’ giudiziaria”, si ritiene che tutti i
provvedimenti ipotizzabili possano essere ricompresi nell’ambito della
disciplina in esame, ivi compresi il sequestro probatorio disposto dal pubblico
ministero, ed il provvedimento di sequestro conservativo, essendo al riguardo
irrilevante la titolarita’ a disporre la misura reale.
In questa prospettiva si e’ infatti osservato, in dottrina, che sembrerebbe
irrazionale escludere quest’ultima forma di sequestro, senza assicurare lo stesso
risultato a misure cautelari volte a garantire dei crediti, pur se adottate
all’interno del processo penale, una volta sancita la “prevalenza” di un
procedimento interno extrapenale .
Le esigenze “interne” sono considerate dal legislatore prioritarie anche
nell’ipotesi in cui sia stato disposto dal giudice civile un sequestro giudiziario o
conservativo (ex art. 36, comma 2), con la conseguenza che le esigenze dello
Stato richiedente devono cedere il passo anche a fronte della tutela interna dei
terzi che asseriscono la titolarita’ di diritti di natura obbligatoria o reale. Si
ritiene, peraltro, in dottrina, che la delimitazione ai soli provvedimenti di
sequestro disposto nell’ambito di un procedimento a norma degli artt. 670 e 671
c.p.c. renda impossibile la inclusione di altri istituti pur aventi finalita’ analoghe
.
18. Segue: la “ripartizione” delle spese tra lo Stato emittente e lo Stato di
esecuzione del mandato d’arresto europeo. - La disposizione di cui all’art. 37
della legge in esame, unitamente a quella di cui all’art. 30 della decisione
quadro, nulla innovano rispetto al previgente sistema estradizionale, operando la
medesima ripartizione gia’ in precedenza seguita: spese a carico dello Stato
membro di esecuzione per quanto riguarda il complesso degli oneri sostenuti nel
suo territorio, e tutte le altre spese a carico dello Stato emittente il mandato
d’arresto europeo, o richiedente la misura reale. Eventuali controversie sul punto
possono essere risolte attraverso la stipula di intese o accordi bilaterali .
Nella tipologia degli oneri di spesa a carico dello Stato di esecuzione rientrano,
pertanto, le spese per la detenzione cautelare fino a quando la persona richiesta
non sia consegnata, le spese per il procedimento giudiziale, l’interpretariato,
l’assistenza legale della persona e la traduzione dei documenti effettuata nello
Stato di esecuzione, nonche’ quelle per gli spostamenti coattivi della persona nel
territorio dello Stato di esecuzione.
Per quanto riguarda le spese a carico dello Stato emittente, vi rientrano, in
particolare, le spese per il trasporto coattivo della persona dallo Stato di
esecuzione a quello emittente il mandato d’arresto, quelle per il trasporto
relativo alla consegna temporanea ed alla successiva riconsegna, le spese per il
transito della persona nel territorio di un altro Stato membro, quelle per il
trasferimento temporaneo di cui all’art. 18, nonche’ le spese per la traduzione
del mandato d’arresto europeo nella lingua indicata dallo Stato di esecuzione .
Le spese relative all’attuazione del mandato d’arresto europeo vengono a
sostituire quelle che sarebbero state sostenute se invece della nuova procedura di
consegna avesse avuto luogo l’estradizione tradizionale. La nuova disciplina,
pertanto, dovrebbe comportare una sensibile riduzione degli oneri di spesa,
stante la durata assai inferiore della detenzione cautelare e la riduzione delle
spese di traduzione dei documenti, specie con riferimento alle ipotesi della
procedura attiva .
19. Segue: gli obblighi internazionali . - La disposizione di cui all’art. 38 della
legge in esame regola l’ipotesi in cui la persona della quale venga richiesta la
consegna sia stata in precedenza consegnata in estradizione da altro Paese terzo.
In tal caso, non potendo esser pregiudicati gli obblighi internazionali
precedentemente assunti dall’Italia, ed in particolare quello relativo al principio
di specialita’, si prevede un ruolo attivo in capo al Ministro della Giustizia, il
quale deve richiedere ed ottenere, stante la concorrenza degli strumenti
convenzionali applicabili al caso, l’assenso dello Stato che ha operato
l’estradizione, prima di procedere alla consegna allo Stato membro dell’U.E. .
La norma interna, dunque, mira ad attuare la corrispondente disposizione
dell’art. 21 della decisione quadro, relativa al conflitto di obblighi
internazionali, secondo cui non possono essere pregiudicati gli obblighi dello
Stato membro di esecuzione qualora il ricercato vi sia stato estradato da uno
Stato terzo e sia tutelato dalle norme in materia di specialita’ contenute
nell’accordo in virtu’ del quale ha avuto luogo l’estradizione. Lo Stato membro
di esecuzione, in tal caso, deve prendere “tutte le misure necessarie per chiedere
immediatamente l’assenso dello Stato dal quale il ricercato e’ stato estradato in
modo che questi possa essere consegnato allo Stato membro emittente”.
I termini relativi alla decisione sull’esecuzione del mandato d’arresto europeo
cominciano a decorrere, in tal caso, solo dal giorno in cui le norme in tema di
specialita’ contenute nell’accordo in virtu’ del quale ha avuto luogo
l’estradizione cessano di essere applicate (ex artt. 21 della decisione quadro e
38, comma 2, della legge di attuazione).
In attesa della decisione dello Stato dal quale il ricercato e’ stato estradato, lo
Stato membro di esecuzione dovra’ accertare che siano soddisfatte le condizioni
materiali necessarie per la consegna (ex art. 21 della decisione quadro).
V’e’, inoltre, da osservare, al riguardo, che lo stesso art. 31, par. 1, della
decisione quadro, in linea generale, fa salva l’applicazione dei previgenti
strumenti convenzionali in materia di estradizione “nelle relazioni tra Stati
membri e Paesi terzi”.
Possono enuclearsi, pertanto, due ipotesi di concorso degli obblighi
internazionali: a) se lo Stato estradante e’ uno Stato che nel frattempo e’
divenuto parte dell’Unione europea, occorrera’ coordinare la disposizione in
esame con i principi generali stabiliti dagli artt. 27 e 28 della decisione quadro
in tema di eventuali azioni penali per altri reati e consegna successiva della
persona ricercata; b) se, invece, e’ uno Stato terzo, sara’ necessario ottenere il
suo assenso, in difetto del quale non potra’ procedersi alla consegna della
persona gia’ estradata nel nostro Paese .
20. Segue: le disposizioni finali e transitorie. - L’ art. 39, comma 1, della
legge n. 69/2005 introduce, in relazione a quanto non previsto nella legge di
attuazione, una clausola di rinvio alla disciplina dettata dalle disposizioni del
codice di procedura penale e delle leggi complementari, “in quanto compatibili”,
precisando nel successivo co. 2, data la natura urgente della procedura di
consegna, comunque direttamente incidente su profili attinenti allo “status
libertatis”, che non si applicano le disposizioni relative alla sospensione dei
termini processuali nel periodo feriale.
Si tratta di una disposizione in linea con la ratio delle specifiche ipotesi
derogatorie al regime della sospensione feriale dei termini disciplinate dalla l. 7
ottobre 1969, n. 742 , mentre il riferimento alla clausola di “compatibilita’ “ con
le norme del codice di rito, in relazione ad eventuali lacune del testo normativo,
sembra confermare l’orientamento dottrinale secondo cui il mandato d’arresto
europeo deve essere ricondotto nell’alveo dell’esperienza normativa e pratica
del previgente sistema estradizionale, con la conseguenza che non solo quel
consolidato quadro giuridico ma anche l’elaborazione giurisprudenziale su di
esso formatasi ne costituiscono un rilevante punto di riferimento sul piano delle
possibili opzioni interpretative.
La disciplina transitoria, inoltre, e’ contenuta nella successiva disposizione di
cui all’art. 40, secondo cui il nostro Paese applica il nuovo sistema di consegna
alle richieste di esecuzione dei mandati d’arresto emessi e ricevuti dopo la sua
entrata in vigore, fissata il 14 maggio 2005.
L’esecuzione, in ogni caso, e’ stata limitata ai reati commessi successivamente
alla data del 7 agosto 2002, mentre per gli altri devono applicarsi le disposizioni
relative all’estradizione, sempre che cio’ sia possibile nel rapporto con l’altro
Stato interessato dalla procedura di consegna (ad es., la Danimarca ha abrogato
tutte le norme sull’estradizione tra i Paesi dell’U.E.).
La consegna “obbligatoria”, invece, ossia quella che opera a prescindere dal
requisito della doppia incriminazione, si applica solo con riferimento ai fatti
successivi all’entrata in vigore della legge .
La S.C. ha di recente precisato che nel caso di una procedura di consegna
iniziata prima del termine previsto dalla disposizione in esame resta applicabile,
stante la vigenza dell’istituto dell’estradizione, quest’ultima disciplina, anche se
nel frattempo sia entrata in vigore la legge sul mandato d’arresto europeo: l’art.
40, infatti, prevede che il nuovo sistema si applichi alle richieste di esecuzione
di mandati d’arresto europei emessi e ricevuti dopo l’entrata in vigore della
legge.
Inoltre, non puo’ darsi corso alla richiesta dell’autorita’ giudiziaria straniera di
esecuzione di un mandato d’arresto emesso prima della data di entrata in vigore
della l. n. 69/2005 (ossia, il 14 maggio 2005), ancorche’ per fatti commessi
successivamente alla data del 7 agosto 2002, ai quali e’ tuttavia applicabile la
previgente disciplina in materia di estradizione .
Un’ulteriore precisazione e’ stata, al riguardo, fornita dalla S.C. in relazione ai
reati commessi prima della data del 7 agosto 2002, cui dovra’ farsi esclusiva
applicazione della normativa in materia di estradizione, intendendosi con tale
espressione non solo il diritto estradizionale europeo, ma anche la “normativa
nazionale integratrice della disciplina convenzionale”. Cio’ comporta, ad avviso
della S.C., che lo Stato richiedente, ove si tratti di un reato commesso prima
della data indicata dall’art. 40, comma 2, della l. n. 69/2005, e’ tenuto a
trasmettere al nostro Paese una formale domanda di estradizione, sebbene possa
ritenersi idonea ad avviare la procedura anche la trasmissione di un mandato
d’arresto europeo, a condizione pero’ che esso risulti del tutto equipollente ad
una domanda estradizionale, sia con riferimento ai requisiti ed ai contenuti
formali, che ai profili attinenti alla competenza dell’autorita’ richiedente .
In particolare, l’articolo 40, comma 3, della legge in esame contiene una
disposizione transitoria in base alla quale il nuovo regime della doppia
incriminazione - prefigurato nell’articolo 2, par. 2, della decisione quadro e
introdotto nell’ordinamento italiano con l’articolo 8 della legge - può essere
applicato ai soli fatti commessi dopo la data di entrata in vigore della stessa
legge. Ne discende che nell’ipotesi di richieste di esecuzione di mandati
d’arresto europei emessi e ricevuti dopo l’entrata in vigore della legge di
attuazione, ma relative a reati commessi tra la data del 7 agosto 2002 e quella
del 14 maggio 2005, dovrebbe applicarsi la disciplina introdotta dalla legge n.
69/2005 fatto salvo l’istituto della consegna obbligatoria di cui all’art. 8
(procedendosi, da parte dell’autorita’ giudiziaria, alla verifica della sussistenza
della previsione bilaterale del fatto, ai sensi dell’art. 7 della legge n. 69/2005).
Siffatta previsione, da una parte, è estranea all’articolo 32 della decisione
quadro, e, dall’altra, non è conforme alla dichiarazione unilaterale effettuata
dall’Italia, che esclude l’applicazione della nuova procedura di consegna
soltanto per i reati commessi anteriormente al 7 agosto 2002 .
L’art. 32 della decisione quadro, infatti, stabilisce: a) che le richieste successive
alla data del 1° gennaio 2004 sono soggette al nuovo regime di consegna
introdotto dallo strumento comunitario; b) che ogni Stato membro puo’ fare
comunque una dichiarazione secondo cui, quale Stato dell’esecuzione,
continuera’ a trattare le richieste relative ai reati commessi prima di una data
dallo stesso precisata conformemente al sistema di estradizione applicabile
anteriormente alla data del 1° gennaio 2004; c) che la data in questione non puo’
comunque essere “posteriore al 7 agosto 2002”.
Nella dichiarazione sull’adozione della decisione quadro sul mandato d’arresto
europeo, effettuata dall’Italia conformemente all’art. 32 dello strumento
comunitario, proprio la data del 7 agosto 2002 era stata indicata quale termine di
riferimento a partire dal quale la successiva commissione di un reato avrebbe
determinato l’operativita’ della cd. “eurordinanza” nel nostro ordinamento
interno.
Ne discende un evidente contrasto con il disposto dell’art. 32 della decisione
quadro, laddove si precisa che la data di riferimento per l’applicabilita’ del
nuovo istituto non puo’ essere posteriore al 7 agosto 2002 .
Lo slittamento temporale previsto dal sopra citato art. 32, infatti, non sembra
consentire ulteriori deroghe, con la conseguenza che per tutti i reati commessi
successivamente alla data del 7 agosto 2002 l’unico procedimento di consegna
e’ dato dall’esecuzione del mandato d’arresto europeo alle condizioni fissate
dalla decisione quadro.
A tale riguardo, non si e’ mancato di rilevare, in dottrina, che fatta salva la
violazione della decisione quadro, suscettibile in quanto tale di innescare
eventuali reazioni negative da parte degli altri Stati membri dell’U.E. e degli
stessi organismi sovranazionali, ove i giudici rilevino l’inosservanza de qua non
potranno applicare direttamente la decisione quadro secondo un meccanismo
similare a quello individuato dall’art. 696, co.1, c.p.p., atteso che la diversita’
degli strumenti normativi ivi considerati, non disgiunta dalla specifica
fisionomia delle decisioni quadro, non ne consente l’applicazione analogica, ne’
potranno avvalersi del “principio di interpretazione conforme”, ostandovi
proprio l’inequivocabile disposto dell’art.. 40, co.3, della legge di attuazione .
E’ opportuno ricordare, peraltro, che non soltanto il nostro Paese, ma anche la
Francia (con termine a quo indicato al 1° novembre 1993) e l’Austria (con
termine a quo indicato invece, come l’Italia, il 7 agosto 2002) si sono avvalse
della facolta’ di dichiarare, ai sensi del su citato art. 32 della decisione quadro,
di non accettare i mandati d’arresto se non per fatti compiuti successivamente ad
una data da loro scelta, purche’ antecedente a quella di entrata in vigore della
stessa decisione quadro (ossia, il 7 agosto 2002).
In ordine a tali profili di diritto intertemporale si e’ sostenuto in dottrina che, per
ovviare ai problemi legati alla non ineccepibile formulazione della disposizione,
basterebbe che l’autorita’ giudiziaria straniera facesse riferimento non al par. 2
dell’art. 2 della decisione quadro (art. 8 della legge italiana), ma al par. 4 della
medesima disposizione (art. 7 della legge italiana), ossia alla previsione relativa
alle ipotesi di reato ancora soggette al controllo della doppia incriminazione.
Parimenti difforme dalle previsioni di cui all’articolo 32 della decisione quadro
appare, inoltre, la disposizione di cui all’articolo 40, comma 1, della legge, che
prevede l’applicabilità della nuova normativa alle richieste di esecuzione dei
mandati d’arresto europei emessi e ricevuti dopo la data della sua entrata in
vigore, laddove il dato testuale della su citata disposizione della decisione
quadro stabilisce espressamente che le richieste ricevute a partire dal primo
gennaio 2004 debbono considerarsi soggette al nuovo regime di consegna, fatta
salva la rilevanza delle dichiarazioni a tale riguardo eventualmente effettuate
dagli Stati membri (che nel caso dell’Italia consentiva di applicare la previgente
disciplina estradizionale alle sole richieste di esecuzione relative a reati
commessi prima della data del 7 agosto 2002).
Ne discende, contrariamente al contenuto e alle finalità della decisione quadro,
che nel caso in cui uno Stato membro abbia richiesto al nostro Paese
l’esecuzione di un mandato d’arresto europeo prima della data di entrata in
vigore della legge per fatti commessi successivamente alla data-limite del 7
agosto 2002, dovranno comunque continuare ad applicarsi le previgenti regole
in materia di estradizione .
Infine, in relazione all’applicabilita’ della procedura attiva di consegna, deve
ritenersi che, non essendo stati previsti termini differenti da quelli ordinari, la
legge di adeguamento sia entrata in vigore il 14 maggio 2005, data a partire
dalla quale le autorita’ giudiziarie italiane individuate come competenti ex art.
28, co. 1, possono emettere un mandato d’arresto europeo senza le limitazioni
temporali dettate per i reati oggetto della fase passiva della procedura, avuto
riguardo al fatto che il contenuto delle dichiarazioni unilaterali effettuate da
alcuni Paesi membri in relazione alla disposizione transitoria di cui all’art. 32
della decisione quadro (come si e’ visto, Italia, Francia ed Austria), ovvero
specifiche, e del tutto anomale, disposizioni di diritto intertemporale introdotte
nelle legislazioni di attuazione di altri Paesi (in particolare, Lussemburgo,
Repubblica Ceca e Slovenia) riguardano unicamente le richieste ricevute in
qualita’ di Stato dell’esecuzione .
Sotto tale profilo e’ opportuno precisare, infatti, che nelle legislazioni adottate
dagli Stati membri ora indicati si e’ ritenuto di introdurre specifiche disposizioni
di diritto transitorio, nonostante le clausole di “sbarramento” temporale e la
correlativa possibilita’ di effettuare, al momento stesso dell’adozione della
decisione quadro, una dichiarazione unilaterale in qualita’ di Stato
dell’esecuzione sulla base dell’espressa formulazione letterale contenuta nel
preciso dettato normativo del disposto di cui all’art. 32 della decisione quadro .
Cosi’, ad es., in Slovenia l’art. 36 della l. 26 marzo 2004 prevede l’applicabilita’
delle procedure estradizionali, convenzionali o ordinarie, in relazione ai reati
commessi prima della data del 7 agosto 2002, mentre in Lussemburgo l’art. 37
della l. 17 marzo 2004 consente l’applicabilita’ delle nuove disposizioni relative
alla procedura di consegna per i fatti commessi successivamente alla data del 7
agosto 2002.
Nella legge di attuazione varata dalla Repubblica Ceca, addirittura, si prevedeva
l’applicabilita’ della nuova procedura di consegna soltanto per i reati commessi
successivamente alla data del 1° novembre 2004. Questo aspetto, peraltro, a
seguito
dei
rilievi
formulati
dalla
Commissione
europea,
e’
stato
significativamente modificato con una legge del 19 aprile 2006, entrata in vigore
dal 1 luglio 2006, secondo cui la Repubblica Ceca accetta e tratta i mandati
d’arresto europei ricevuti a decorrere dal 1 luglio 2006 anche se il reato
contestato e’ stato commesso prima della data del 1 novembre 2004 (fatta
eccezione, tuttavia, per i cittadini cechi, le cui richieste di consegna, relative ad
atti commessi anteriormente alla data del 1 novembre 2004, saranno trattate in
conformita’ del previgente regime di estradizione; analogamente, inoltre, sotto il
profilo attivo, si prevede che la Repubblica Ceca, a prescindere dalla data del
reato contestato, effettui le richieste di consegna ricorrendo allo strumento del
mandato d’arresto europeo a far data dal 1 luglio 2006) .
21) I punti “critici” della legislazione italiana. - Di fronte ad una sia pur sommaria
analisi dell’assetto normativo delineato dalla legislazione italiana emerge abbastanza
chiaramente l’individuazione di alcune soluzioni non sempre in linea e, talora, in palese
contrasto con il contenuto e le finalità della decisione quadro in esame .
In tal senso, ad esempio, la scelta di subordinare la consegna alla sussistenza di gravi indizi
di colpevolezza (art.17.4), condizione non prevista nella decisione quadro, costituisce una
sensibile deviazione dai principi dell’attuale sistema dell’estradizione, regolato dalla
convenzione europea del 1957, rispetto al quale la decisione sul mandato europeo di
arresto intende essere una semplificazione. La convenzione, infatti, non contempla gli
indizi di colpevolezza quale condizione per la consegna. Averla prevista comporta,
dunque, una obiettiva regressione rispetto al vigente sistema estradizionale, prefigurandosi
una tipologia di accertamento che rischia di concretizzare un’invasione nella valutazione
del merito dell’imputazione, riservata invece al giudice del fatto. Ne’, del resto, potrebbe
tralasciarsi di considerare che tale accertamento, in oggettivo contrasto con la decisione
quadro, rischia di rendere praticamente impossibile l’osservanza dei termini assai ristretti
previsti dallo strumento europeo per la decisione sulla consegna (sessanta giorni,
prorogabili per altri trenta giorni).
A tale riguardo e’ sufficiente evidenziare in questa sede, a mero titolo esemplificativo, una
situazione che potrebbe non essere eccezionale e comunque non limitata alla questione
degli indizi di colpevolezza, come si vedrà meglio più avanti: non solo lo Stato emittente,
richiesto di fornire gli elementi per valutare i gravi indizi di colpevolezza, potrebbe
rifiutarsi, non essendo tale adempimento previsto dalla decisione quadro; esso potrebbe
anche, in situazione invertita e in virtù del principio di reciprocità (anche se è dibattuto che
esso costituisca un principio di diritto internazionale generalmente riconosciuto),
pretendere dall’Italia quello stesso adempimento, con la conseguenza che, a seguito di una
richiesta di consegna proveniente dal nostro Paese, esso potrebbe ritenere di svolgere
quegli stessi accertamenti che noi pretendiamo di fare quando siamo Stato di esecuzione.
La previsione della verifica in ordine ai gravi indizi di colpevolezza determinerebbe, poi,
una ricaduta nella procedura (e rappresenterebbe, tra l’altro, una ragione di complicanza
all’interno di un sistema che si voleva invece semplificare), ove si ritenesse che sulla
misura cautelare sarà possibile investire il tribunale per il riesame (l’art.9.5 dispone infatti
che si applica il titolo I del libro IV, con alcune eccezioni tra le quali non è compresa la
disciplina dell’impugnazione). A meno di intendere, come sembra preferibile, che il
richiamo all’art. 719 c.p.p. contenuto nel settimo comma dell’art.9 escluda l’applicabilità
degli artt. 309 ss. c.p.p.; ciò sarebbe ragionevole, posto che per l’emissione della misura
cautelare in carcere in esecuzione del mandato europeo di arresto non è necessaria la
sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza (l’art.9.5 esclude che si applichino i commi 1 e
1bis dell’art.273 c.p.p.). E qui va evidenziata un’ulteriore incongruenza tutta interna alla
legge: la misura cautelare non è condizionata alla sussistenza di quei gravi indizi di
colpevolezza…che la legge tuttavia pone a presupposto della consegna!
La stessa Commissione europea, del resto, in sede di valutazione dello stato dell’attuazione
della decisione quadro sul mandato europeo di arresto nei diversi Stati membri , ha ritenuto
in contrasto con la finalità dello strumento comunitario una norma introdotta nella
legislazione dei Paesi Bassi che consente il rifiuto della consegna qualora l’autorità
giudiziaria olandese accerti in sede di esecuzione l’insufficienza degli elementi di
colpevolezza a carico della persona richiesta. La legge olandese ha precisato che ciò potrà
verificarsi solo nel caso in cui sia emerso con evidenza “cristallina” che la persona
potrebbe non avere commesso il reato. Ciò nondimeno, il contrasto con la decisione quadro
è stato individuato dalla Commissione proprio nel pericolo di una sovrapposizione di
valutazioni da parte delle autorità giudiziarie dei due ordinamenti, ossia nel fatto che si
richiederebbe in tal modo all’autorità giudiziaria dell’esecuzione di entrare nel merito di
una decisione adottata dall’autorità giudiziaria di un altro Stato, in violazione di quel
principio generale di reciproca fiducia tra gli Stati membri - oramai “costituzionalizzato”
nel nuovo Trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa - del quale il nuovo sistema
di consegna vuole costituire la prima “concretizzazione” normativa.
Altre incongruenze, poi sembrano ravvisabili nel fatto che legge prevede il rifiuto della
consegna in presenza di alcune cause di giustificazione (art.18.1, lett. b e c). La
formulazione della norma precisa che la scriminante va valutata alla stregua
dell’ordinamento italiano (“secondo la legge italiana”, “per la legge italiana”). Al riguardo
sembra arduo comprendere la ragione dell’applicazione di una causa di giustificazione
prevista dal nostro codice penale, ossia con riferimento a fatti per i quali lo Stato italiano
ha giurisdizione, a fatti commessi all’estero e di competenza di altra giurisdizione. Né
appare risolutivo il richiamo alla condizione della doppia incriminazione: si pensi alle varie
ricostruzioni in tema di cause di giustificazione, secondo la teoria bipartita oppure tripartita
del reato. In ogni caso si sovrapporrebbe una valutazione nel merito (riservata al giudice
del fatto), con imprevedibili effetti in materia di ne bis in idem (principio consacrato a
livello europeo dall’art. 54 della Convenzione applicativa degli accordi di Schengen).
Rimane anche qui la possibilità di un appello al principio della reciprocità, una volta che
l’Italia dovesse assumere la posizione di Stato emittente.
Analogo discorso potrebbe farsi quanto alla disposizione (estranea al vigente sistema
dell’estradizione) secondo cui, ai fini del calcolo della pena per la esecuzione del mandato
d’arresto, non si tiene conto delle aggravanti (artt. 7 e 8 della legge). Qui è riscontrabile
una impostazione definita “italocentrica”, perché incentrata sulla sola considerazione del
sistema italiano, che prevede un meccanismo di “compensazione” aggravanti/attenuanti
(art.69 c.p.) che si giustifica nella prospettiva del giudizio sul fatto, e che ha sì delle
ricadute quanto all’imposizione delle misure cautelari, ma sempre in vista del giudizio di
merito. Si tratta poi di una non felice formulazione lessicale: ci si è inteso riferire a tutte le
circostanze aggravanti? Anche a quelle che l’art.278 c.p.p. impone, invece, di tenere
presenti (ad es. le circostanze a effetto speciale)? Ed ancora: si tratta delle aggravanti
previste dal nostro ordinamento o di quelle previste dall’ordinamento straniero? Sul punto
vale la pena ricordare che identificare un particolare elemento quale circostanza aggravante
o piuttosto elemento costituivo di una fattispecie autonoma non è esercizio sempre agevole
e in ogni caso dipende da una scelta legislativa sovente occasionale (si veda, ad es., la
nuova disposizione di cui all’art.624-bis c.p.). Quid, ad esempio, se una ipotesi di
sottrazione di denaro pubblico viene dal nostro ordinamento ricondotta alla fattispecie del
peculato, mentre l’ordinamento estero configura un caso aggravato di sottrazione di bene
altrui?
Perplessità emergono, peraltro, anche dalla disamina della previsione (art. 8 ult. comma)
che esclude la consegna del cittadino italiano “se risulta che lo stesso non era a
conoscenza, senza propria colpa, della norma penale dello Stato membro di emissione”. A
prescindere dalla considerazione che tale accertamento potrebbe risultare particolarmente
complesso, se non impossibile, e che comunque la previsione suddetta contrasta con il
principio che la legge penale di uno Stato vincola chiunque si trovi nel suo territorio (e va
comunque ben oltre il disposto dell’art.5 c.p., come emendato dalla Corte costituzionale,
che ha ritenuto irragionevole la non esclusione dall’inescusabilità dell’ignoranza della
legge penale dell’ignoranza inevitabile), risalta la limitazione al solo cittadino (e non
anche, ad esempio, allo straniero residente nel territorio dello Stato); una siffatta garanzia,
per identità di ratio, avrebbe dovuto trovare applicazione anche a favore dello straniero, in
condizioni analoghe.
Al riguardo, non puo’ non rilevarsi che il richiamo operato dal legislatore all’ignoranza
non colpevole del precetto penale potrebbe comunque avere un modesto impatto sul piano
applicativo, atteso che nella valutazione della scusabilità dell’ignoranza, non essendo
sufficiente il solo dato rappresentato dalla diversità tra le rispettive normative poste a
confronto , dovrebbero rilevare soltanto le residuali ipotesi di assoluta liceità del fatto
secondo la legge italiana.
Particolarmente inopportuna, e oggetto di specifiche osservazioni critiche da parte delle
istituzioni comunitarie, appare, inoltre, la scelta del legislatore di reintrodurre
sostanzialmente, nell’art. 8, commi 1 e 2, il principio della doppia incriminabilita’
attraverso un’operazione di unilaterale rielaborazione di quel catalogo di 32 fattispecie
incriminatici che l’art. 2, par.2, della decisione quadro aveva inteso invece sottrarre al
meccanismo di exequatur basato sul controllo della doppia incriminazione . Sotto questo
profilo, l’ampiezza dell’accertamento di competenza delle nostre autorità giudiziarie sulla
sostanziale corrispondenza tra le fattispecie così tipizzate e i modelli definitori dei reati per
i quali è richiesta la consegna secondo la legge dello Stato membro di emissione rischia di
produrre incongruenze applicative, ove si consideri che la “ricostruzione” delle ipotesi
delittuose elencate nel catalogo formato nell’art. 8, co.1, innesta di fatto nel nostro
ordinamento un doppio circuito di valutazioni sullo stesso asse della cooperazione
giudiziaria: quello incentrato sui paradigmi di riferimento previsti dal codice penale, ed
applicabili nei rapporti estradizionali non regolati dal MAE, e quello dettato invece dalla
legge in esame, nel più ristretto ambito di applicabilità territoriale del nuovo sistema di
consegna delineato dalla decisione quadro. Basti considerare, al riguardo, e a titolo
meramente esemplificativo, la definizione della fattispecie di riciclaggio di cui alla lett. i)
dell’art. 8, co.1, della legge, che pur riprendendo i tratti della condotta descritta dall’art.
648-bis c.p. rispetto a quella contenuta nell’art. 6 della convenzione del Consiglio
d’Europa sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato dell’8
novembre 1990, se ne discosta sia perché non include la clausola di esclusione della
responsabilità per chi abbia concorso nel reato presupposto, sia per l’omesso riferimento
alla dolosità del reato presupposto. Nella lettera gg) dell’art. 8, co.1, inoltre, la fattispecie
della violenza sessuale rileva soltanto in relazione all’ipotesi della costrizione,
escludendosi per contro quella, sanzionata con la stessa pena, della induzione a compiere o
subire atti sessuali ai sensi dell’art. 609-bis, co.2, c.p. . Ed ancora, del tutto asimmetrica
appare, rispetto alla definizione contenuta nell’art. 3 della l. 13 ottobre 1975, n. 654
(recante ratifica ed esecuzione della convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte
le forme di discriminazione razziale, aperta alla firma a New York il 7 marzo 1966), così
come sostituito dall’art. 1 del d.l. 26 aprile 1993, n. 122, recante misure urgenti in materia
di discriminazione razziale, convertito con modificazioni nella l. 25 giugno 1993, n. 205, la
fattispecie di razzismo e xenofobia modellata nella lett. s) del co.1 dell’art. 8 (che fa
riferimento alla pubblica incitazione alla violenza come manifestazione di odio razziale,
laddove l’ipotesi di cui all’art. 1 della l. n. 205/1993 ruota attorno alla diffusione in
qualsiasi modo di idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, coprendo
anche le condotte di chi incita a commettere o commette atti di discriminazione per motivi
razziali, etnici, religiosi o nazionali, nonché atti di provocazione alla violenza per quei
motivi). La stessa fattispecie della corruzione, delineata nella lett. g) del co.1 dell’art. 8,
rileva unicamente in relazione al compimento o al mancato compimento di un atto inerente
ad un pubblico ufficio, nonostante le recenti elaborazioni di strumenti normativi del
Consiglio d’Europa e del Consiglio dell’Unione europea sulla disciplina della corruzione
nel settore privato (che, peraltro, il testo della decisione quadro non ha affatto inteso
escludere, stante il generico riferimento all’ipotesi della “corruzione” operato nel par. 2
dell’art. 2). Né minori perplessità suscita la riscrittura delle fattispecie del terrorismo, di cui
alla lett. b), e della tratta di esseri umani, di cui alla lett. c), dell’art. 8: la prima fattispecie,
infatti, appare disancorata dalla più precisa e tassativa definizione dei reati terroristici
contenuta nell’art. 1, par.1, della decisione quadro del Consiglio dell’Unione europea
(2002/475/GAI del 13 giugno 2002) sulla lotta contro il terrorismo (che, tra l’altro, fa
riferimento al fine di “destabilizzare gravemente” le strutture politiche, economiche o
sociali di un Paese, laddove il testo dell’art. 8, lett. b), della nostra legge fa riferimento al
diverso fine di “indebolire” quelle strutture), mentre la seconda fattispecie esclude l’ipotesi
dell’approfittamento di una situazione di inferiorità fisica o psichica o di una situazione di
necessità in cui versa la vittima, parimenti rilevante ove si consideri la tecnica di
tipizzazione appena di recente seguita dal legislatore con la modifica dell’art. 601 c.p., così
come novellato dalla l. 11 agosto 2003, n. 228 (che ha trasposto nel nostro ordinamento la
decisione quadro del Consiglio dell’Unione europea n. 2002/629/GAI del 19 luglio 2002,
sulla lotta alla tratta degli esseri umani, ed il Protocollo addizionale contro la tratta di
persone ed il traffico di migranti adottato assieme alla convenzione ONU contro la
criminalità organizzata transnazionale, sottoscritta a Palermo il 15 dicembre 2000) .
Una tecnica di trasposizione di questo tipo, non prevista dalla decisione quadro – il cui art.
2, par.2, fa riferimento esclusivamente al modello definitorio delle fattispecie seguito dalla
legislazione dello Stato membro emittente – e quanto meno incongrua sul piano della
conformità agli strumenti internazionali di cui il nostro Paese è parte, rischia, sotto altra
prospettiva, di ingessare definitivamente nel nostro ordinamento aspetti di natura
sostanzial-penalistica riconducibili alla decisione quadro, sganciando il nostro sistema dai
contenuti e dalle finalità della complessa opera di progressiva armonizzazione delle
legislazioni penali in via di completamento in sede di Unione europea .
In una prospettiva parimenti difforme dal dato testuale dell’art. 32 della decisione quadro e
dalla stessa dichiarazione unilaterale effettuata dall’Italia all’atto della sottoscrizione dello
strumento comunitario, che escludeva l’applicazione della nuova procedura di consegna
soltanto per i reati commessi anteriormente alla data del 7 agosto 2002, si muove la ratio
sottesa alla norma di diritto transitorio di cui all’art. 40, co.3 della legge, in base alla quale
il nuovo regime della doppia incriminazione – prefigurato nell’art. 2, par.2, della decisione
quadro ed introdotto nel nostro ordinamento con l’art. 8 della legge – può essere applicato
ai soli fatti commessi dopo la data di entrata in vigore della legge di attuazione. Ne
discende che la corte d’appello dovrà rinunziare al controllo della doppia incriminazione –
sempre che sussistano nel caso concreto le condizioni stabilite dall’art. 8 della legge –
soltanto se il reato in base al quale e’ stato emesso il mandato d’arresto europeo e’ stato
commesso dopo la data di entrata in vigore della nostra legge (ossia il 14 maggio 2005).
Vanno, ancora, considerati i gravi problemi che potrebbero sorgere a seguito
dell’applicazione delle disposizioni contenute nell’art. 6, commi 3 e 4, con riferimento alle
diverse allegazioni documentali - relazione sui fatti addebitati, con l’indicazione delle fonti
di prova, il testo delle disposizioni di legge applicabili, copia del provvedimento restrittivo
della libertà personale ovvero della sentenza di condanna che hanno originato la richiesta
di consegna, ecc. - previste quale condizione necessaria per l’esame della richiesta di
esecuzione da parte della corte d’appello, ma di contro non ritenute necessarie dal testo
della decisione quadro: il mancato inoltro, eventualmente sollecitato dal Ministro della
giustizia su richiesta della nostra autorità giudiziaria, e’ sanzionato addirittura con il rigetto
della richiesta di consegna (ex art.6, co.6) nonostante il meccanismo del MAE presupponga
il riconoscimento “a monte” di tutti i provvedimenti emessi dalle autorità giudiziarie degli
Stati membri, con la conseguente loro esecuzione sulla base della mera menzione nel
mandato di arresto .
Ulteriori, seri, problemi potrebbero sorgere, del resto, nelle ipotesi in cui fosse
richiesta, in fase attiva, la consegna di una persona condannata per effetto di una sentenza
pronunciata in contumacia, atteso che in tale evenienza le nostre autorità giudiziarie
potrebbero dover fornire allo Stato membro di esecuzione, quale precisa condizione della
consegna ai sensi dell’art. 5, n.1 della decisione quadro, “assicurazioni considerate
sufficienti a garantire alle persone oggetto del mandato d’arresto europeo la possibilità di
richiedere un nuovo processo nello Stato membro emittente e di essere presenti al
giudizio”. Nell’ordinamento tedesco, ad esempio, l’art. 83 della legge federale
sull’assistenza giudiziaria internazionale ha previsto quale condizione della consegna la
natura non contumaciale della sentenza (con la garanzia, se del caso, del diritto ad un
nuovo giudizio nel quale venga “ampiamente esaminata” l’accusa mossa a carico
dell’indagato), mentre nel Regno Unito la Section 20 dell’Extradition Act 2003 prevede
che se la persona non e’ stata giudicata in sua presenza occorre compiere una verifica in
ordine al fatto che la stessa si sia volontariamente sottratta al giudizio, poiché in caso
contrario la persona viene consegnata solo con la garanzia di un nuovo giudizio, nel quale
dovranno assicurarsi all’imputato il diritto di difesa, quello di esaminare i testi a carico ed
ottenere l’assunzione delle prove a discarico nelle stesse condizioni dell’accusa. Analoghe
disposizioni, inoltre, sono contemplate nelle legislazioni di altri Paesi membri dell’U.E.
come il Granducato del Lussemburgo e i Regni di Svezia e del Belgio .
Sotto tale specifico profilo, infatti, nonostante i passi avanti registrati con
l’adeguamento del nostro sistema alle indicazioni della Corte europea dei diritti dell’uomo
a seguito della novella del 22 aprile 2005, n. 60, in materia di impugnazione delle sentenze
contumaciali e dei decreti di condanna, non sembra che la nuova fattispecie di restituzione
nel termine per proporre impugnazione avverso la sentenza contumaciale, sulla base del
doppio criterio normativo della mancata effettiva conoscenza del procedimento e della
mancata volontaria rinuncia a comparire, sia idonea a soddisfare appieno la garanzia di un
ripristino integrale della situazione processuale dell’imputato nelle ipotesi in cui la
fattispecie legittimante la restituzione del termine si sia verificata, ad esempio, nel corso
del giudizio di primo grado e, soprattutto, ad evitare l’opposizione di possibili rifiuti di
consegna quando non sia soddisfatta la condizione rappresentata dalla “possibilità di
richiedere un nuovo processo” secondo il preciso dettato dell’art. 5 della decisione quadro,
così come richiamato nel riquadro sub d) del formulario del M.A.E. annesso allo strumento
comunitario .
Viceversa, e il dato appare quanto meno singolare sul piano del doveroso rispetto
della condizione di reciprocita’, allorquando sia l’Italia, in fase passiva, a dover eseguire il
mandato d’arresto emesso da un altro Paese europeo, l’art. 19, lett. a), della legge, in
ossequio all’art. 5 della decisione quadro, prevede che possano esser sempre e comunque
richieste allo Stato membro di emissione assicurazioni sufficienti a garantire alle persone
oggetto del mandato d’arresto europeo la possibilita’ di celebrare un nuovo processo in
quello Stato.
E’ opportuno rilevare, tuttavia, che in un caso di recente definito dal Tribunale di
Amsterdam si e’ affermato che in tema di richiesta di mandato d’arresto europeo presentata
dal giudice italiano a quello olandese per l’esecuzione in Italia di una pena detentiva nei
confronti della persona richiesta, non sussiste alcuna violazione dell’art. 12 della legge
olandese sulla consegna e nulla osta all’ammissione della richiesta nel caso in cui, in
presenza di una sentenza contumaciale, il giudizio si e’ svolto alla presenza del legale
dell’imputato ed e’ stato quindi garantito allo stesso un adeguato diritto di difesa .
Un’importante apertura ai principi elaborati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo in
tema di equo processo e giudizio contumaciale e‘ stata, di recente, operata dalla
giurisprudenza di legittimita’, che, nel pronunciare su una richiesta di restituzione nel
termine per appellare proposta da un condannato dopo che il suo ricorso e’ stato accolto
dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, ha stabilito che il giudice e’ tenuto a conformarsi
alla decisione di quella Corte con cui e’ stato riconosciuto che il processo celebrato in
absentia e’ stato non equo, con la conseguenza che il diritto al nuovo processo non puo’
esser negato escludendo la violazione dell’art. 6 della Convenzione europea, ratificata con
la l. 4 agosto 1955, n. 848, ne’ invocando l’autorita’ del pregresso giudicato formatosi in
ordine alla ritualita’ del giudizio contumaciale in base alla normativa del codice di
procedura penale .
22) I primi orientamenti giurisprudenziali . - A soli pochi mesi dall’entrata in vigore
della l. 22 aprile 2005, n. 69, la Suprema Corte ha gia’ iniziato a tracciare le prime linee di
orientamento su alcuni profili centrali dell’applicazione del mandato d’arresto europeo,
fornendo in particolare un’interpretazione logico-sistematica delle disposizioni relative ai
presupposti dei gravi indizi di colpevolezza e della motivazione del provvedimento
cautelare “a monte” del mandato d’arresto .Con la pronuncia n. 33642 del 13-14
settembre 2005 (ric. Hussain Osman) la S.C. ha statuito, sulla base di passaggi
argomentativi del tutto condivisibili e pienamente in linea con la lettera e lo spirito della
decisione quadro, i seguenti principi generali:
1) che la disposizione di cui all’art. 17, co.4, della l. n. 69/2005, nel prevedere che la Corte
d’Appello pronunci sentenza con cui dispone la consegna del ricercato se “sussistono gravi
indizi di colpevolezza”, va interpretata alla luce dell’art. 9 della stessa legge, che esclude
espressamente nella materia in questione l’applicabilita’ delle disposizioni contenute negli
artt. 273, commi 1 e 1-bis, 274, co. 1, lett. a) e c), e 280 c.p.p., con la conseguenza che
l’autorita’ giudiziaria italiana non e’ tenuta ad effettuare una nuova pregnante valutazione
delle esigenze cautelari e delle fonti di prova su cui si basa il mandato, analogamente a
quella spettante nell’ordinamento interno al Tribunale del riesame;
2) che le informazioni integrative che la Corte d’Appello puo’ richiedere allo Stato
emittente, ex artt. 6, co.2, e 16, co.1, l. n. 69/2005, ai fini della decisione sulla consegna,
sono quelle gia’ in possesso di quest’ultimo, dovendosi ritenere incompatibile con il
principio di sovranita’ degli Stati membri, e con gli stessi tempi della procedura di
consegna, una richiesta volta all’acquisizione, nello Stato membro di emissione, di mezzi
di prova non assunti, o non ancora assunti, nell’ambito della relativa procedura (nella
specie, si trattava dell’espletamento di una perizia sulla idoneita’ offensiva di esplosivi in
sequestro);
3) che la clausola di non discriminazione, prevista quale motivo di rifiuto della consegna
nella disposizione di cui all’art. 18, co.1, lett. a), della l. n. 69/2005, deve risultare da
circostanze specifiche ed oggettive, sulla cui base possa ritenersi la presenza di un
pregiudizio effettivo per la posizione della persona ricercata, in relazione ad uno dei motivi
ivi espressamente enunciati.
Nella pronuncia n. 34355 del 23-26 settembre 2005 (ric. Petre), inoltre, la S.C.,
muovendosi sulla stessa linea ermeneutica gia’ indicata, ha opportunamente precisato ed
integrato la sostanza del proprio indirizzo, affermando in particolare i seguenti principi:
a) che la nuova legge italiana di attuazione della decisione quadro sul mandato d’arresto
europeo non puo’ essere interpretata nel senso che abbia inteso prescrivere un controllo da
parte dell’autorita’ richiesta piu’ penetrante rispetto a quello previsto dalla Convenzione
europea di estradizione, se non nei ristretti limiti eventualmente ricavabili da espresse
previsioni della decisione quadro (in particolare, il considerando n. 12, seconda parte, e gli
artt. 3 e 4);
b) che per quanto attiene alla “riconoscibilita’ “ dei gravi indizi di colpevolezza, quale
indefettibile “ragione” sottostante all’emissione di un mandato d’arresto da parte di un
altro Paese dell’Unione europea, l’autorita’ giudiziaria italiana si deve limitare a verificare
che il mandato sia, per il suo contenuto intrinseco o per gli elementi raccolti in sede
investigativa o processuale, fondato su un compendio indiziario che l’autorita’ emittente ha
ritenuto seriamente evocativo di un fatto reato commesso dalla persona di cui si chiede la
consegna;
c) che il presupposto della motivazione del mandato d’arresto, cui e’ subordinato
l’accoglimento della domanda di consegna ex artt. 1, co.3, e 18, co.1, lett. t), l. n. 69/2005,
non puo’ essere parametrato alla nozione ricavabile dalla tradizione giuridica italiana,
dovendosi ritenere necessario che l’autorita’ di emissione dia “ragione” del mandato
d’arresto, cio’ che puo’ realizzarsi anche attraverso la puntuale allegazione delle evidenze
fattuali a carico della persona di cui si chiede la consegna.
Ne discende, secondo l’impostazione seguita dalla S.C., che il “controllo sufficiente” cui
devono essere sottoposte le decisioni relative all’esecuzione di un mandato d’arresto
europeo, secondo l’esplicita indicazione dettata nel considerando n. 8 della decisione
quadro, non puo’ correttamente ravvisarsi in quello tipico di un regime valutativo e
motivazionale assimilabile al modello imposto dall’art. 705 c.p.p. per le ipotesi relative
alle situazioni regolate dalla disciplina relativa alla cd. estradizione extraconvenzionale
(ossia, i casi in cui la domanda di estradizione e’ presentata da uno Stato con il quale
l’Italia non e’ vincolata dal rispetto di specifici accordi).
Nell’ambito delle finalita’ espressamente delineate dalla decisione quadro, e senza creare i
presupposti di quella che altrimenti rischierebbe di apparire un’indebita forma di ingerenza
e/o sovrapposizione sul fondamento probatorio dell’autonoma, e parimenti sovrana,
determinazione posta alla base del provvedimento cautelare straniero sottostante
all’emissione di un mandato d’arresto europeo, la “valutazione” della gravita’ degli indizi
di colpevolezza su cui si basa il provvedimento cautelare non compete all’autorita’
giudiziaria dell’esecuzione, ma pertiene invece direttamente all’autorita’ giudiziaria di
emissione.
La “riconoscibilita’ “ dei gravi indizi di colpevolezza da parte dell’autorita’ giudiziaria
italiana deve incentrarsi, allora, sull’esame del contenuto – originario, ovvero
successivamente integrato con le informazioni richieste ex art. 16, co.1, della legge italiana
di attuazione – del mandato d’arresto europeo, dovendo lo stesso essere fornito di
argomentazioni adeguate e controllabili, dotate di congruita’ logica e di compiutezza, e
seriamente indicative, secondo l’autorita’ emittente, dell’esistenza di un fatto reato
commesso dalla persona richiesta in consegna.
Non e’ soltanto il criterio logico-sistematico “interno”, fondato sul collegamento tra il
disposto letterale di cui all’art. 17, co. 4 e quello di cui all’art. 9, co. 5, della l. n. 69/2005, a
giustificare la correttezza di siffatta interpretazione, ma e’ lo stesso dato testuale “esterno”
ricavabile dalla disamina del contenuto normativo e delle finalita’ della decisione quadro
ad imporla: nessuna disposizione della decisione quadro, che e’ il testo normativo europeo
da applicare fedelmente nel nostro ordinamento secondo la regola generale dettata nell’art.
10 del Trattato CE e quella particolare specificata dall’art. 34, par.2, lett. b), T.U.E.,
richiede all’autorita’ giudiziaria dell’esecuzione di valutare la rilevanza del presupposto dei
gravi indizi di colpevolezza.
La circolazione del mandato d’arresto nel territorio europeo si fonda, infatti, su un
complesso di informazioni che i Paesi membri dell’U.E. hanno ritenuto rilevanti ai fini
della concretizzazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni penali
(ex art. 1, par. 2, e consideranda nn. 5, 6 e 7 della decisione quadro), secondo il
Programma generale compiutamente articolato dal Consiglio dell’U.E. il 30 novembre
2000 e tracciato nelle sue linee guida dal Consiglio europeo di Tampere del 15-16 ottobre
1999: l’art. 8 della decisione quadro, a tal fine, elenca tassativamente quelle informazioni,
ritenendo necessarie, tra l’altro, solo l’indicazione dell’esistenza di un provvedimento
giurisdizionale (sentenza esecutiva, mandato d’arresto o qualsiasi altra decisione
giudiziaria esecutiva dotata della stessa forza), della natura e qualificazione giuridica del
reato (lett.d) ) tenendo conto dell’art.2, nonche’ della “descrizione delle circostanze della
commissione del reato, compreso il momento, il luogo e il grado di partecipazione del
ricercato” (lett. e) ).
Nella stessa prospettiva, inoltre, gli artt. 1, par. 2 e 15 della decisione quadro, relativamente
alle connotazioni strutturali della decisione da adottare sulla consegna della persona
ricercata, non impongono a tale riguardo alcuna regola di giudizio all’autorita’ giudiziaria
dell’esecuzione, evitando di introdurre le forme di un sindacato “invasivo” sul merito del
provvedimento coercitivo sottostante, ed anzi limitandosi unicamente a prevedere la
possibilita’ di disporre, in caso di insufficienza del quadro informativo trasmesso
dall’autorita’ emittente, l’acquisizione delle informazioni complementari necessarie ai fini
della delibazione sulla presenza di eventuali motivi di rifiuto obbligatorio o facoltativo,
sulla completezza e regolarita’ formale del MAE (secondo la presentazione stabilita nel
modello allegato) e sul rispetto delle garanzie “speciali” che lo Stato emittente deve fornire
nelle particolari situazioni individuate dall’art. 5 (ossia, decisione pronunciata in absentia,
ergastolo e cittadinanza o residenza nello Stato membro di esecuzione).
Una diversa interpretazione del “controllo sufficiente” da parte dell’autorita’ giudiziaria
dell’esecuzione, oltre ad essere tecnicamente impedita dalla stessa indisponibilita’ degli
atti del procedimento straniero, costituirebbe, infatti, un passo indietro rispetto alle stesse
caratteristiche della procedura estradizionale comunemente applicata sinora a livello
europeo e basata sul modello convenzionale delineato nel 1957, tradendo al contempo gli
obiettivi, il contenuto e le finalita’ dell’adozione della decisione quadro, che proprio le
difficolta’ ed i ritardi causati dall’applicazione di quel risalente sistema multilaterale ha
inteso superare attraverso la creazione di una nuova procedura di consegna tra gli Stati
membri dell’U.E. .
La stessa giurisprudenza di merito, del resto, si e’ subito attestata su questa linea,
allorquando ha opportunamente precisato
che le esigenze cautelari gia’ valutate dal
giudice richiedente esprimono un tipo di apprezzamento non sindacabile dall’autorita’
italiana in sede di esecuzione, poiche’ una diversa interpretazione condurrebbe ad attribuire
al giudice italiano competenze di merito proprie di una sorta di tribunale del riesame del
provvedimento restrittivo dell’autorita’ giudiziaria straniera, ponendosi in palese contrasto
con la lettera e la ratio della decisione quadro del Consiglio dell’U.E.
La successiva elaborazione giurisprudenziale della S.C., inoltre, ha sostanzialmente
confermato il quadro dei principi inizialmente delineato al riguardo, fatta salva qualche
isolata pronuncia .
Ne’ potrebbe trascurarsi di considerare il rilievo per cui la stessa Commissione europea, di
recente, in sede di valutazione dello stato dell’attuazione della decisione quadro sul
mandato d’arresto europeo nelle legislazioni dei diversi Stati membri, ha ritenuto in
contrasto con la finalita’ dello strumento comunitario una norma introdotta nella
legislazione dei Paesi Bassi che consente il rifiuto della consegna qualora l’autorita’
giudiziaria olandese accerti in sede di esecuzione l’insufficienza degli elementi di
colpevolezza a carico della persona richiesta . La legge olandese ha precisato che cio’
potra’ verificarsi soltanto nel caso in cui sia emerso con evidenza “ cristallina” che la
persona potrebbe non aver commesso il reato. Cio’ nonostante, il contrasto con la
decisione quadro e’ stato dalla Commissione europea individuato proprio nel pericolo di
una sovrapposizione di valutazioni da parte delle autorita’ giudiziarie dei due ordinamenti,
ossia nel fatto che si richiederebbe in tal modo all’autorita’ giudiziaria dell’esecuzione di
entrare nel merito di una decisione adottata dall’autorita’ giudiziaria di un altro Stato, in
violazione di quel principio generale di reciproca fiducia tra gli Stati membri – ormai,
peraltro, definitivamente costituzionalizzato nel Trattato di Roma del 29 ottobre 2004, che
istituisce una Costituzione per l’Europa – del quale il nuovo sistema di consegna vuole
costituire la prima “concretizzazione” normativa.
Proprio le valutazioni espresse dalla Commissione europea, del resto, consentono di
prefigurare i possibili effetti negativi di una interpretazione del disposto dell’art. 17, co. 4,
l. n. 69/2005, divergente da quella seguita dalla Suprema Corte nelle pronunce in
commento: una diversa opzione ermeneutica che risultasse incentrata su un’eccessiva
dilatazione della rilevanza del presupposto dei gravi indizi di colpevolezza, condizionando
la consegna del ricercato al positivo esito di una valutazione puramente “domestica” della
sussistenza di quel requisito normativo, non previsto nella decisione quadro, ne’ all’interno
della convenzione europea del 1957, rispetto alla quale la prima vuole essere appunto una
semplificazione-progressione, comporterebbe una arbitraria deviazione-regressione rispetto
agli stessi consolidati principi dell’attuale sistema estradizionale europeo.
Non solo, infatti, lo Stato emittente, richiesto di fornire gli elementi per valutare i gravi
indizi di colpevolezza, potrebbe rifiutarsi di fornirli, non essendo tale adempimento
previsto nella decisione quadro, ma addirittura esso potrebbe anche, nella situazione
contraria e facendo valere il principio di reciprocita’, pretendere dal nostro Paese il rispetto
di quello stesso adempimento, con la conseguenza che, a fronte di una richiesta di
consegna proveniente dal nostro Paese, esso potrebbe richiedere di svolgere quegli stessi
accertamenti che noi pretendiamo di fare quale Stato di esecuzione.
L’orientamento espresso nelle pronunce in esame si colloca, inoltre, all’interno di un solco
giurisprudenziale che la stessa S.C. ha ormai da tempo percorso per quanto attiene alla
sostanza del controllo giurisdizionale da esercitare ai fini della emissione di un
provvedimento favorevole all’estradizione secondo le regole generali dettate nella norma
codicistica di cui all’art. 705 c.p.p.: siffatta disposizione, pur nelle sue ambiguita’
semantiche e nonostante un, parzialmente, contrario orientamento dottrinale, richiede,
infatti, la sussistenza documentata e la valutazione dei gravi indizi di colpevolezza, a
carico dell’estradando, solo se non esiste convenzione di estradizione tra lo Stato italiano e
quello che ha richiesto l’estradizione, ovvero, qualora vi sia una convenzione, che questa
espressamente condizioni l’estradizione medesima alla sussistenza dei gravi indizi di
colpevolezza; un tale assetto dei rapporti intergiurisdizionali trova la sua ratio nel fatto che
in costanza di regime convenzionale l’esistenza di adeguati indizi di reita’ deriva, per
presunzione incontrovertibile, da determinati documenti che la convenzione espressamente
indica ed ai quali il giudice dello Stato richiesto non puo’ negar fede quando essi gli siano
stati ufficialmente comunicati per il solo esame formale che ne deve compiere .
Sotto altro, ma connesso profilo, del resto, la giurisprudenza della S.C. e’ costante nel
ritenere che la convenzione europea di estradizione, diversamente dalle situazioni regolate
nella norma di cui all’art. 705 c.p.p., non richiede che per la pronuncia favorevole
all’estradizione debbano sussistere gravi indizi di colpevolezza, ne’ che il mandato di
cattura o qualsiasi altro atto avente la stessa efficacia debba essere motivato. In tal senso,
l’unica condizione prevista nell’art. 12, par. 2, lett. a), della convenzione europea di
estradizione del 1957 e’ che a sostegno della richiesta sia prodotto l’originale o la copia
autentica del provvedimento .
Del tutto diversa, invece, la situazione procedimentale allorquando sia la stessa norma
internazionale pattizia recepita nel nostro sistema con una legge di ratifica ad imporre una
verifica giurisdizionale interna sulla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza: in tal
caso, infatti, la stessa S.C. ne richiede l’effettuazione, come, ad es., con riferimento ad un
caso inerente all’applicazione del Trattato di estradizione tra l’Italia e gli U.S.A., il cui art.
10, co. 3, lett. b), prevede una relazione sommaria dei fatti, delle prove pertinenti e delle
conclusioni raggiunte, che forniscano una base ragionevole per ritenere che la persona
richiesta abbia commesso il reato per il quale viene domandata l’estradizione .
La stessa Corte di Giustizia CE, con una pronunzia del 16 giugno 2005 sulla decisione
quadro del Consiglio dell’U.E. in materia di tutela delle vittime nell’ambito del
procedimento penale, e dunque proprio in ordine alla rilevanza da attribuire ad un atto
normativo di diritto derivato adottato nell’ambito del cd. Terzo Pilastro dell’U.E., sembra
avallare la correttezza dei presupposti argomentativi utilizzati dalla S.C. (nella sentenza n.
34355) in relazione alla regola di cui all’art. 17, co.4, l. n. 69/2005, allorquando ha fatto
espresso riferimento, stante la presunzione di conformita’ della legge interna alla
normativa europea, all’esigenza di adottare, fra le possibili opzioni ermeneutiche
sperimentabili, quella maggiormente conforme al dettato di tale normativa. Nella su citata
sentenza, infatti, la Corte di Giustizia ha statuito che il giudice nazionale, italiano nel caso
di specie, e’ tenuto ad interpretare il diritto interno, per quanto possibile, in maniera
conforme alla lettera ed allo scopo della decisone quadro al fine di conseguire il risultato
da quest’ultima perseguito.
In ordine al rilievo della clausola di non discriminazione di cui all’art. 18, lett. a), della
legge di attuazione, prevista in linea generale nel sistema codicistico dalla disposizione di
cui all’art. 698, co.1, c.p.p., la S.C., in linea con il suo costante orientamento ermeneutico,
ha opportunamente precisato che per far valere la relativa eccezione non e’ sufficiente la
mera allegazione di un allarme sociale provocato dalla gravita’ del reato, dovendo il fumus
persecutionis nei confronti della persona ricercata discendere dalla comprovata sussistenza
di circostanze obiettive e specifiche, rivelatrici, per una scelta normativa, o di fatto, seguita
nello Stato richiedente, della possibilita’ che l’estradando venga sottoposto ad atti
persecutori o discriminatori, ovvero a trattamenti crudeli, disumani o degradanti, o
comunque ad atti che configurano una violazione di uno dei diritti fondamentali della
persona .
Peraltro, nel caso prima considerato (ric. Hussain Osman), ad avviso della S.C. la
tradizione civile dello Stato di emissione (Gran Bretagna), quale emergente anche dalla
promulgazione dell’Human Rights Act del 1998, costituisce in ogni caso un’ampia garanzia
dell’esclusione di trattamenti persecutori o discriminatori nei confronti della persona
ricercata.
Ne’ sotto tale profilo potrebbe rilevare, poi, quale fattore ostativo alla consegna, purche’
siano assicurate le fondamentali esigenze della difesa, la circostanza che l’ordinamento
straniero presenti garanzie processuali non corrispondenti alle nostre .
Infine, particolarmente opportuna appare la precisazione della S.C. in ordine al rilievo
della non necessaria coincidenza tra la base motivazionale del provvedimento cautelare sul
cui fondamento il mandato d’arresto europeo e’ stato emesso (ex artt. 1, co. 3 e 18, lett. t)
della legge di attuazione) e le complesse regole che governano la struttura ed il contenuto
del processo motivazionale dei provvedimenti giurisdizionali nel nostro ordinamento: cio’
che conta e’ che l’autorita’ giudiziaria emittente dia contezza della ragione del mandato
d’arresto, consentendo, anche attraverso puntuali allegazioni fattuali, di verificarne la
congruita’ da parte dell’autorita’ di esecuzione .
Stante la diversita’ degli standards motivazionali richiesti nei vari ordinamenti dei Paesi
membri dell’U.E. (ad es., in Inghilterra la Magistrates’ Court non e’ tenuta
automaticamente a rendere decisioni motivate e la giuria, laddove prevista, non pronuncia
mai una decisione motivata) e l’assenza di una precisa obbligazione dettata in tal senso
dallo strumento comunitario, una diversa soluzione ermeneutica apparirebbe del tutto
irrazionale e comunque di dubbia compatibilita’ con il principio del reciproco
riconoscimento, comportando un’arbitraria forma di ingerenza e sovrapposizione delle
regole proprie di un ordinamento su quelle dell’altro (magari derivanti da una tradizione
giuridica secolare, da sempre osservata e rispettata, finanche nell’ambito del previgente
sistema estradizionale europeo) .
Al riguardo, e’ proprio quella confiance mutuelle posta dalle istituzioni europee alla base
del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni penali, a giustificare la
considerazione e tolleranza delle diversita’ e specificita’ delle tradizioni giuridiche dei vari
sistemi nazionali, la cui ricchezza, animata dalla comune adesione degli Stati membri al
quadro generalmente condiviso dei principi fondamentali e dei diritti di liberta’ enucleato e
nel tempo sedimentato dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, non
puo’ che rappresentare un potente fattore di crescita e rafforzamento del processo di
integrazione comunitaria.
Con successivi interventi la S.C. ha precisato che anche a seguito della l. n. 69/2005
restano intatte le attribuzioni affidate dalla Costituzione all’autorita’ giudiziaria nazionale
sulla liberta’ personale del soggetto di cui e’ stata richiesta la consegna, con la
conseguenza che ai fini del mantenimento dello stato di detenzione, successivamente alla
convalida dell’arresto, e’ necessaria la contestuale emanazione di un’ordinanza coercitiva
adeguatamente motivata in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari consistenti nel
pericolo di fuga . Il pericolo di fuga, del resto, anche in tema di mandato d’arresto
europeo, deve essere “concreto”, non soddisfacendo tale requisito una misura coercitiva
motivata sulla sola circostanza che la persona richiesta in consegna non sia radicata in
Italia, risiedendo e lavorando all’estero, ove ha un proprio nucleo familiare .
Sembra essersi formato, invece, un contrasto giurisprudenziale in ordine alle conseguenze
dell’omessa allegazione al mandato d’arresto europeo della relazione sui fatti addebitati
alla persona di cui e’ richiesta la consegna, ex art. 6, comma 4, lett. a), della legge n.
69/2005, che in un caso e’ stata ritenuta – nell’assenza di un atto ad essa equipollente –
causa ostativa alla decisione di consegna , mentre in altre occasioni e’ stata ritenuta non
decisiva ai fini della efficacia della decisione sulla consegna, essendo sufficiente che
pervenga, entro il termine di cui all’art. 13, comma 3, della l. n. 69/2005, la segnalazione
della persona nel S.I.S. (Sistema Informativo Shengen) contenente le sole indicazioni
previste dal primo comma dell’art. 6 della legge ora citata .
Sembra, al riguardo, preferibile una valutazione discrezionale da riservare al prudente
apprezzamento dell’autorita’ giudiziaria richiesta della consegna, volta cioe’ a stabilire se,
in presenza di omissioni nelle informazioni prescritte dall’art. 6 della l. n. 69/2005, la
lacuna sia ostativa o meno alla consegna, tenendo conto della concreta fattispecie penale
dedotta e di ogni altra informazione trasmessa: l’autorita’ richiesta, infatti, conserva
comunque il potere-dovere di richiedere l’invio delle informazioni ritenute necessarie .
Proprio questa, in effetti, sembra essere la linea di indirizzo ormai tracciata dalla S.C. nelle
piu’ recenti pronunce, ove si chiarisce che la relazione sui fatti addebitati alla persona
reclamata, secondo la previsione di cui all’art. 6, comma 4, della legge in esame, condivide
la medesima “vocazione funzionale” delle disposizioni di cui al primo ed al terzo comma
dell’art. 6, quella, cioe’, di definire le coordinate spazio-temporali entro le quali le
modalita’ del fatto storico si collocano e di indicare le relative fonti di prova, si’ da fornire
all’autorita’ giudiziaria dello Stato membro di esecuzione tutti gli elementi utili ad
esercitare il controllo sufficiente preliminare alla decisione di accoglimento o di rigetto
della richiesta. Dalla coincidenza delle finalita’ sottese alle previsioni di cui al comma ,1
da un lato, ed ai commi 3 e 4 dell’art. 6, dall’altro, discende che se lo Stato richiedente
comunque offre tutti gli elementi necessari di giudizio, non puo’ ritenersi di ostacolo alla
consegna la mancata allegazione della relazione, il cui contenuto sarebbe “superfluamente
ripetitivo” di quanto gia’ in altri atti precisato .
Pur non essendo necessario, ai fini dell’arresto in esecuzione del m.a.e., acquisire agli atti
l’originale del provvedimento de libertate emesso dall’autorita’ giudiziaria richiedente
(che puo’ essere trasmesso all’a.g. italiana anche a mezzo fax), si e’ di recente ritenuto che
non possa eseguirsi in Italia il mandato d’arresto europeo emesso dall’autorita’ giudiziaria.
di un Paese membro nel quale non siano previsti termini massimi della custodia cautelare,
ostandovi il disposto dell’art. 18, lett.e), della l. n. 69/2005, che espressamente impone il
rifiuto della consegna se la legislazione dello Stato richiedente non prevede “i limiti
massimi della carcerazione preventiva”, e non potendo ritenersi equipollente, ad avviso
della S.C., la previsione di meccanismi di controllo periodico della durata della detenzione
preventiva .
In altre pronunce della S.C., tuttavia, nonostante la lettura indubbiamente “restrittiva”
offerta con l’arresto giurisprudenziale or ora citato, sono affiorate talune incertezze
interpretative in ordine all’ambito di applicazione della condizione ostativa prevista
dall’art. 18, lett. e), della l. n. 69/2005, ed in particolare sulla possibilita’ di ritenere
comunque soddisfatto quel requisito con la previsione da parte dello Stato richiedente di
meccanismi equipollenti, funzionali ad un controllo periodico della durata della detenzione
preventiva .
Le Sezioni unite hanno, di recente, definito la controversa questione, optando per un
modello ermeneutico “flessibile”, incentrato sull’esercizio caso per caso del potere di
controllo da parte dell’autorita’ giudiziaria di esecuzione, tenuta a verificare, ai fini della
consegna, se nella legislazione dello Stato membro di emissione sia espressamente fissato
un termine di durata della custodia cautelare fino alla sentenza di condanna di primo grado,
o, in mancanza, se un limite temporale implicito sia comunque desumibile da altri
meccanismi processuali che instaurino, obbligatoriamente e con cadenze predeterminate,
un controllo giurisdizionale funzionale alla legittima prosecuzione della custodia cautelare
o, in alternativa, alla estinzione della stessa.
Ne discende che non possono essere considerati in contrasto con lo spirito e la lettera
dell’art. 18, lett. e), della l. n. 69/2005, quegli ordinamenti (ad es., la Germania, il Belgio,
la Svezia, la Finlandia, ecc.) che, pur non contemplando direttamente un limite massimo di
durata della custodia cautelare, prevedano comunque specifici meccanismi processuali tali
da comportare un controllo sulla necessita’ della custodia (sempre che, ove il controllo non
sia effettuato o conduca ad un risultato negativo, si determini l’automatica liberazione
dell’imputato) .
Entro tale prospettiva, dunque, deve ritenersi che la possibilita’ di proroga della durata
della custodia non e’ incompatibile con il concetto di limite massimo, mentre con essa
sembrano incompatibili quei meccanismi processuali dai quali derivi che, alle scadenze
temporali, pur in mancanza di un provvedimento del giudice, lo stato custodiale non debba
integralmente cessare.
Sulla scia dell’indirizzo tracciato dalle Sezioni unite si e’, inoltre, ritenuto che non sussiste
la condizione ostativa delineata dall’art. 18, lett. e), della l. n. 69/2005, in relazione ad un
mandato d’arresto europeo emesso dall’autorita’ giudiziaria austriaca, poiche’ il codice di
rito austriaco prevede limiti massimi per la custodia cautelare nella fase delle indagini
preliminari e, una volta iniziato il dibattimento, un sistema di periodica verifica da parte
del giudice in ordine alla sussistenza delle ragioni giustificatrici del permanere della
custodia .
Nella giurisprudenza di merito, infine, oltre quelle sopra indicate, si registrano, in
particolare, due pronunce: una della Corte di appello di Bologna, in data 21 giugno 2005,
ed un’altra del Tribunale di Bolzano in data 28 luglio 2005.
Con la prima pronuncia si e’ affermata la sussistenza delle condizioni per l’accoglimento
della richiesta di esecuzione di un m.a.e., su consenso dell’interessato, allorquando dagli
atti trasmessi attraverso il sistema di informazione Shengen (S.I.S.), assieme alla
documentazione Si.re.ne., risulti l’esistenza di un provvedimento restrittivo della liberta’
personale (nel caso di specie, si trattava del reato di sottrazione di minore) .
Al riguardo, tuttavia, si e’ criticamente osservato che la valutazione, sia pure
implicitamente effettuata dalla Corte d’appello, di sostanziale equipollenza della
documentazione trasmessa attraverso l’ufficio Si.re.ne e del mandato d’arresto europeo agli
atti e documenti relativi al procedimento principale – che secondo l’art. 6 della l. n.
69/2005 l’autorita’ giudiziaria di emissione deve comunque trasmettere all’autorita’
giudiziaria italiana – rischia di determinare una vera e propria interpretatio abrogans sia
dell’art. 6, co.3, sia del combinato disposto di cui agli artt. 1, co.3, e 18, co.1, lett. t), della
legge italiana, nella parte in cui prevedono che, in caso di mandato d’arresto emesso per
finalita’ processuali, l’acquisizione del provvedimento cautelare straniero – posto alla base
del mandato d’arresto – e’ funzionale al duplice accertamento sulla sottoscrizione da parte
di un giudice e sulla sussistenza della motivazione, obbligando la Corte d’appello a
rifiutare l’esecuzione ove lo stesso risulti mancante di motivazione.
Nella seconda pronuncia, invece, si e’ ritenuto: a) che nel procedimento per l’esecuzione di
un m.a.e. l’ordinanza di custodia cautelare emessa dal presidente della corte d’appello, a
seguito dell’arresto ad opera della polizia giudiziaria, costituisce un provvedimento emesso
da un giudice incompetente (poiche’ monocratico, anziche’ collegiale) e da considerare
pertanto tamquam non esset; b) che va affermata la competenza del tribunale del riesame a
valutare la legittimita’ della misura cautelare applicata dalla corte d’appello a seguito
dell’arresto operato sul territorio italiano in forza di un mandato d’arresto europeo emesso
in un altro Stato membro .
Si e’, peraltro, obiettato, sotto il primo profilo, che un regime processuale differenziato e’
gia’ previsto dal codice di rito, atteso che l’art. 716 c.p.p. dispone, in ordine all’arresto
provvisorio dell’estradando, che sia il presidente della corte d’appello a provvedere tanto
alla convalida dell’arresto, quanto all’applicazione della misura coercitiva; in ordine al
secondo profilo, inoltre, si e’ rilevato in dottrina, in senso difforme dall’impostazione
seguita nella pronunzia giurisprudenziale ora richiamata, che secondo la disposizione
contenuta nell’ultimo comma dell’art. 9 della l. n. 69/2005 – che rinviando all’art. 719
c.p.p. prevede, a sua volta, che l’ordinanza cautelare della corte d’appello debba essere
impugnata mediante ricorso per cassazione per violazione di legge – il legislatore ha inteso
stabilire che i provvedimenti coercitivi emessi nel corso della procedura di consegna per
l’estero siano sottoposti allo stesso mezzo di impugnazione, a prescindere dal fatto che si
tratti di procedure estradizionali, ovvero di procedure basate sul nuovo istituto del mandato
d’arresto europeo .
V’e’ da osservare, al riguardo, che la S.C. ha opportunamente precisato che, nel silenzio
della legge, competente ad applicare la misura coercitiva in sede di convalida dell’arresto
di polizia giudiziaria e’ il Presidente della Corte d’appello, ovvero un magistrato da lui
delegato, posto che non puo’ sussistere alcuno iato temporale tra la convalida stessa e la
decisione sul protrarsi dello stato di limitazione della liberta’ personale, e dovendosi
ritenere che alla decisione sulla protrazione dello stato di restrizione della liberta’
personale sia chiamato lo stesso organo a cui e’ demandata la decisione sulla convalida, in
conformita’ a quanto previsto in materia estradizionale dall’art. 716, comma 3, c.p.p. .
E’ stato, infine, stabilito, con riguardo alla disciplina applicabile al ricorso per cassazione,
che in forza del rinvio recettizio operato all’art. 719 c.p.p., anche il ricorso per cassazione
avverso i provvedimenti applicativi di misure cautelari disposte nei confronti di persone
colpite da mandato d’arresto europeo – analogamente a quello esperibile per le misure
cautelari a fini estradizionali – soggiace alla disciplina stabilita da tale disposizione, che
quanto ai termini ed alle modalita’ di presentazione del gravame deve essere rinvenuta, in
mancanza di diversa previsione normativa, nell’art. 311 c.p.p. . Anche in tema di mandato
d’arresto europeo si applicano, dunque, in forza di quel rinvio recettizio, le disposizioni
contenute nell’art. 311, commi 2, 3 e 4, c.p.p., da coordinarsi con quanto dispone l’art. 719
del codice di rito.
Ne consegue che il ricorso deve esser proposto, entro dieci giorni dalla comunicazione (al
procuratore generale) o dalla notificazione (all’interessato o al difensore) di copia del
provvedimento, dopo la sua esecuzione, con atto, contenente l’enunciazione contestuale
dei motivi, da depositare nella cancelleria della corte d’appello, salva la facolta’ del
ricorrente di enunciare nuovi motivi davanti alla corte di cassazione prima dell’inizio della
discussione.
E’ da rilevare, peraltro, che nel caso in cui il giudice d’appello abbia omesso le necessarie
verifiche circa la sussistenza delle condizioni di rifiuto della consegna, il giudice di
legittimita’, pur abilitato a compiere accertamenti anche nel merito, non puo’ integrare
l’attivita’ istruttoria, non disponendo dei poteri riconosciuti dalla legge processuale al
giudice di appello .
23. Segue: Mandato d’arresto europeo e limiti massimi di custodia cautelare:
l’intervento delle Sezioni unite. -
Un serio problema interpretativo nelle prime
applicazioni giurisprudenziali della legge italiana si e’ posto, in particolare, con riguardo
alla delimitazione dell’operativita’ della disposizione di cui all’art. 18, lett. e), della l. n.
69/2005, secondo cui la corte d’appello deve rifiutare la consegna della persona richiesta
dallo Stato membro dell’U.E. la cui legislazione non preveda una disciplina dei limiti
massimi della carcerazione preventiva.
Nonostante il recente intervento risolutivo offerto dalle Sezioni unite il problema, per certi
versi, rimane tuttora aperto, specie per le sue implicazioni di rilievo costituzionale.
Con l’ordinanza n. 53/2006 del 25 ottobre 2006, infatti, la Corte d’appello di Venezia ha
sollevato la questione di legittimita’ costituzionale dell’art. 18, lett. e), della l. n. 69/2005,
che recepisce nel nostro ordinamento la Decisione quadro sul mandato d’arresto europeo e
le nuove procedure di consegna tra gli Stati membri dell’Unione europea, deducendone il
contrasto sia con gli artt. 11 e 117, co.1, Cost., sotto il profilo della sostanziale
vanificazione della normativa europea in ordine alla previsione, in forme tassative e
stringenti, di un catalogo di motivi di rifiuto dell’esecuzione del mandato d’arresto, sia con
l’art. 3 Cost., sotto il profilo della ragionevolezza della norma interna di attuazione, che
sembra voler imporre agli altri Stati membri una finalita’ di tutela della liberta’ personale
che essi potrebbero aver disciplinato con soluzioni diverse, ma parimenti efficaci, se non
piu’ adeguate, rispetto agli orientamenti giurisprudenziali della Corte europea dei diritti
dell’uomo .
Diversa, invece, la soluzione successivamente adottata nella pronunzia della Corte
d’appello di Venezia del 21 dicembre 2006, ove si e’ ritenuta possibile un’interpretazione
dell’art. 18, lett. e), nel senso di una “valutazione per equivalente” dei vari sistemi di
custodia cautelare in carcere e dei correlativi limiti temporali, nella prospettiva di un
giudizio di compatibilita’ di quegli ordinamenti muniti di disposizioni idonee a garantire i
soggetti sottoposti a misure custodiali dall’evenienza di uno status detentionis
irragionevolmente destinato a prolungarsi nel tempo, in difetto di un quadro di garanzie
comparabili a quelle offerte, nel nostro sistema, attraverso la predeterminazione dei limiti
massimi di custodia cautelare .
Con una scelta “unica” nel panorama europeo delle leggi di attuazione del nuovo sistema
di consegna “non estradizionale” introdotto dalla su citata Decisione quadro, la
disposizione di cui all’art. 18, lett. e), della l. n. 69/2005 delinea un motivo di rifiuto
inerente all’omessa previsione, nella normativa dello Stato emittente, di limiti massimi alla
carcerazione preventiva, stabilendo che la Corte d’appello deve rifiutare la consegna di una
persona colpita da un’eurordinanza quando il provvedimento giudiziario che ne e’ “a
monte” ha natura cautelare e la legislazione dello Stato emittente non preveda limiti
massimi di carcerazione preventiva.
Ponendosi in una prospettiva esclusivamente “domestica”, il legislatore nazionale non
sembra aver ponderato con sufficiente attenzione il rilievo per cui anche gli altri
ordinamenti europei prevedono strumenti e meccanismi di verifica volti ad evitare
l’indebito protrarsi della privazione della liberta’ personale in corso di procedimento, sulla
stregua di soluzioni normative e tecniche di controllo giudiziale diversamente modulate
secondo la specificita’ dei vari sistemi, eppure dotate di altrettanta efficacia rispetto alla
ratio ed alla finalita’ di tutela del bene supremo della liberta’ personale.
Stabilire, infatti, una verifica periodica da parte dell’autorita’ giudiziaria consente, forse
anche meglio di un sistema ancorato alla rigida previsione di limiti massimi, di
salvaguardare il principio della ragionevole durata della custodia preventiva, bilanciando,
con sequenze temporali continue e ravvicinate, il controllo della persistenza e del grado
d’intensita’ delle esigenze cautelari con l’attualita’ e l’ampiezza dell’eventuale sacrificio
dello status libertatis (ad es., in Germania, Belgio, Svezia, Finlandia, ecc., le cui
legislazioni, pur non contemplando direttamente un limite massimo di durata della custodia
preventiva, ne consentono un controllo continuativo e periodico attraverso specifici
meccanismi processuali).
Del tutto estranea a siffatta previsione normativa appare, inoltre, la considerazione della
costante elaborazione giurisprudenziale della Corte europea dei diritti dell’uomo, che non
richiede la previsione di termini fissi di durata, non potendosi stabilire in astratto se un
periodo di detenzione ante iudicium sia ragionevole o meno: anche il rispetto di termini
massimi di durata previsti dal diritto interno non e’ determinante, sotto questo profilo,
poiche’ solo la loro inosservanza comporterebbe automaticamente una violazione del
requisito della legalita’ della misura coercitiva desumibile dall’art. 5, co.1, lett. c), della
Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Nella prospettiva seguita dalla Corte europea occorre valutare, dunque, caso per caso, se vi
siano elementi concreti da cui emerga un’effettiva e prevalente esigenza di interesse
pubblico che giustifichi, nonostante la regola generale della presunzione d’innocenza,
un’eccezione al principio del rispetto della liberta’ personale .
Incombe, inoltre, alle autorita’ nazionali condurre questo tipo di apprezzamento,
assicurando che nel caso specifico la custodia preventiva dell’imputato non ecceda un lasso
di tempo “ragionevole”, con la conseguenza che il successivo intervento della Corte
europea dei diritti dell’uomo non puo’ prescindere da quanto affermato nei provvedimenti
con i quali sono state respinte le richieste di scarcerazione.
E’ la medesima ratio di tale impostazione giurisprudenziale, del resto, a spingere la Corte
europea a riconoscere all’imputato in stato di custodia cautelare, allorquando
l’applicazione della misura si prolunghi nel tempo, il diritto di contestarne la legalita’ ad
intervalli brevi e regolari .
Un ulteriore, significativo, avallo della ragionevolezza e praticita’ di tale linea di indirizzo
giurisprudenziale e’ stato, di recente, autorevolmente offerto dalla Raccomandazione (Rec
(2006) 13) adottata il 27 settembre 2006 dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa,
ove, indipendentemente dalla previsione di un limite massimo di detenzione preventiva, si
sottolinea l’esigenza di un controllo giudiziario continuo (continuous review), ad intervalli
regolari (regular intervals), sulla necessita’ del prolungamento della restrizione dello
status libertatis, suggerendo agli Stati membri la previsione di un distacco temporale non
superiore, di regola, al limite di un mese nella scansione delle verifiche .
Ne’, sotto altro, ma connesso, profilo, attinente piu’ in generale alle peculiari
caratteristiche dei rapporti di cooperazione giudiziaria penale, puo’ tralasciarsi di
considerare il rilievo, anch’esso piu’ volte ribadito dalla giurisprudenza della Corte
europea dei diritti dell’uomo, della sostanziale estraneita’ dei termini di durata della
detenzione cautelare alla gestione delle procedure estradizionali, nel cui alveo,
storicamente, si colloca - con finalita’ di semplificazione e snellimento dei correlativi
meccanismi di funzionamento, ed, al contempo, di sensibile innalzamento dei livelli delle
garanzie processuali - l’introduzione del nuovo sistema di consegna delle persone ricercate
nei rapporti tra gli Stati membri dell’U.E. .
Secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo, infatti, il diritto di una persona sottoposta a
detenzione preventiva di essere tradotta al piu’ presto dinanzi ad un giudice e di esser
giudicata entro un termine ragionevole o liberata durante la procedura non si applica ai casi
di detenzione di una persona contro la quale e’ in corso un procedimento estradizionale,
pur se, in questi casi, la privazione della liberta’ puo’ considerarsi giustificata soltanto se le
competenti autorita’ conducono il procedimento di estradizione con la dovuta diligenza
(condizione, questa, ricorrente, ad avviso della Corte europea, allorquando la durata del
procedimento, pur oggettivamente lunga, non sia eccessiva in ragione delle circostanze del
caso) .
L’ampiezza della fondamentale garanzia della liberta’ personale, del resto, puo’ subire
forme di limitazione, secondo l’art. 5 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo,
soltanto nei casi e nei “modi previsti dalla legge”, rinunciando a delineare un modello
“unico” di possibili interventi restrittivi della liberta’ personale e rimettendo la scelta,
quindi, alla discrezionalita’ delle singole legislazioni nazionali, purche’ le stesse risultino
conformi alle disposizioni convenzionali, ed in particolare alle finalita’ della previsione
dell’art. 5, che si identifica nella protezione dell’individuo contro l’arbitrio .
Cio’ nondimeno, il tenore letterale della disposizione introdotta dall’art. 18, lett. e), della l.
n. 69/2005, appare inequivoco nell’ancorare l’opposizione del motivo di rifiuto al mero
dato dell’assenza di termini custodiali massimi nella legislazione dello Stato emittente,
trasponendo sul piano interno la stessa formulazione letterale utilizzata dall’art. 13 co. 5,
Cost. .
Come si e’ accennato sopra, le prime applicazioni giurisprudenziali della norma ne hanno
subito posto in rilievo una connotazione di forte problematicita’, dando luogo ad
interpretazioni pericolosamente divergenti, ove si consideri l’elevata frequenza di mandati
d’arresto emessi per finalita’ propriamente cautelari.
L’originalita’ della norma interna e, al contempo, la profonda diversita’ dei sistemi
nazionali di regolamentazione e controllo della legittimita’ della custodia cautelare, pur
nella comune adesione al principio del reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie
degli Stati membri dell’U.E. (ex considerando n. 6 della Decisione quadro 2002/584/GAI)
ed ai principi generali tracciati dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti
dell’uomo, non rendono certo agevole la delineazione di un sicuro ed affidabile percorso
ermeneutico, in grado di resistere nel tempo alle inevitabili oscillazioni imposte dalla
prassi.
Secondo un primo orientamento giurisprudenziale, un’esegesi che forzasse il dettato e la
ratio della norma cosi’ come formulata non potrebbe rientrare nell’ambito di
un’interpretazione conforme allo strumento comunitario, in quanto non potrebbe spingersi
sino al punto di abrogare la norma interna, che costituisce la proiezione del principio
delineato dall’art. 13, co. 5, Cost, sui rapporti di cooperazione internazionale dello Stato .
Entro tale prospettiva ermeneutica, dunque, proprio in ragione delle conseguenze in malam
partem che ne discenderebbero, non potrebbe considerarsi legittima un’interpretazione
“sistematica e razionalizzatrice” sul modello di quella gia’ adottata dalla S.C. in altre
occasioni , in quanto il principio di interpretazione conforme – come riconosciuto dalla
stessa Corte di Giustizia CE nel caso c.d. “Pupino”
- trova un limite invalicabile
nell’impossibilita’ di pervenire ad un’applicazione tale da sfociare in un risultato
compatibile con quello perseguito dalla stessa Decisione quadro che si intende recepire
nell’ordinamento.
Ne conseguirebbe, ancora, l’impossibilita’ non solo di adottare un’interpretazione diversa
da quella fatta palese dal significato proprio delle parole secondo la loro connessione e
dalla chiarissima intenzione manifestata dal legislatore nazionale (ex art. 12 delle preleggi),
ma anche di avanzare alla Corte di Giustizia CE una eventuale domanda di pronuncia
pregiudiziale sulla validita’ o sull’interpretazione delle decisioni quadro, e sulla validita’ o
l’interpretazione delle relative misure di applicazione, ex art. 35 T.U.E., come pure di
avviare una verifica di costituzionalita’ della norma di legge ordinaria, riproducendo la
stessa, integralmente, un principio di rango costituzionale.
In altre pronunzie, ancora, senza prendere direttamente posizione sulla questione
problematica in oggetto, si era precisato che spetterebbe comunque all’interessato, in virtu’
di un onere di allegazione gravante a suo carico, dimostrare la mancanza della disciplina
dei limiti massimi nella legislazione dello Stato emittente, non essendo previsto che al
mandato d’arresto europeo debbano essere allegate informazioni al riguardo .
In altre, invece, iniziava a profilarsi un indirizzo parzialmente difforme, ritenendosi che la
condizione ostativa delineata dall’art. 18, lett. e), della legge n. 69/2005 doveva intendersi
esclusivamente riferita ai termini massimi di custodia, non invece ai termini di fase, mentre
la durata massima poteva essere comunque garantita e modulata con istituti diversi rispetto
a quelli previsti dalla legge italiana .
Pur prefigurando un (auspicabile) intervento correttivo da parte del legislatore , volto ad
introdurre un equilibrato bilanciamento di quella condizione ostativa con i principi stabiliti
dagli artt. 10, 11, 13, 26 e 27 Cost., nel senso di ritenere equipollenti alla disposizione
italiana i meccanismi di controllo periodico previsti da altri ordinamenti europei al fine di
assicurare la ragionevole durata della custodia preventiva, quella soluzione ermeneutica
non appariva certo idonea a superare tutti i dubbi e le numerose problematiche applicative
derivanti da un’ipotesi di rifiuto assolutamente non prevista dalla decisione quadro, senza
alcun riscontro nelle leggi di attuazione adottate da altri Stati membri, ed anzi
rappresentativa di un’opzione inedita anche con riferimento alle tradizionali connotazioni
del procedimento estradizionale regolato dalla Convenzione di Parigi del 13 dicembre
1957 .
Basti solo pensare, sotto tale profilo, alle probabili situazioni di crisi, o, comunque, alle
sicure difficolta’ di gestione dei rapporti intergovernativi con gli altri Paesi membri
dell’U.E. a causa della prevedibile individuazione dell’Italia come luogo di rifugio
privilegiato per gli imputati di gravi crimini transnazionali, al fine di sottrarsi piu’
agevolmente alle ricerche nei loro confronti diramate dalle rispettive autorita’ giudiziarie.
Un diverso orientamento giurisprudenziale, successivamente formatosi, ha puntato tuttavia
a valorizzare, nell’ambito di una prospettiva “razionalizzatrice” della norma interna, il dato
della possibile “equivalenza”, in concreto, degli effetti del controllo giudiziale sui limiti
temporali della custodia, ai fini della decisione positiva sulla consegna.
Orientate in tal senso appaiono non solo la recente ordinanza di rimessione alle Sezioni
unite della questione relativa al potenziale contrasto nella giurisprudenza di legittimita’
sull’interpretazione dell’art. 18, lett. e), della l. n. 69/2005, ma anche una parte della stessa
giurisprudenza di merito , laddove ritengono possibile un’interpretazione conforme della
norma interna sulla base delle indicazioni provenienti dalla Decisione quadro e delle sue
premesse di fondo di carattere politico, istituzionale e culturale.
Muovendo dalla considerazione che l’intero meccanismo di funzionamento del mandato
d’arresto europeo si fonda sull’elevato “livello di fiducia” esistente tra gli Stati membri e
sul presupposto che i relativi sistemi contengano disposizioni potenzialmente dotate di
un’equivalente e “comparabile” attitudine a garantire gli imputati da una irragionevole
detenzione, siffatto diverso indirizzo interpretativo reputa ammissibile una valutazione
“per equivalente” dei diversi sistemi di custodia cautelare e dei loro limiti temporali,
imponendosi all’autorita’ giudiziaria il rifiuto della consegna tutte le volte che il sistema di
custodia cautelare in vigore nello Stato richiedente non fornisca una garanzia ritenuta
equivalente a quella offerta dal nostro ordinamento attraverso il sistema dei limiti massimi
di custodia.
Entro tale prospettiva, dunque, la norma interna non richiederebbe certo un’irrealistica
identita’-omogeneita’ dei sistemi in vigore nei vari Stati membri, ma verrebbe ad imporre
un rigoroso parametro di valutazione incentrato sulla verifica in concreto del livello di
garanzie offerte dallo Stato richiedente, per saggiarne il grado di assimilabilita’ alle
garanzie
riconosciute
nel
nostro
ordinamento
attraverso
il
meccanismo
della
predeterminazione dei limiti massimi di custodia preventiva.
Ne’, in tal senso, potrebbe ritenersi preclusivo il rilievo, pur assoluto nel nostro
ordinamento, della statuizione costituzionale ricavabile dall’art. 13, co. 5, che non esclude
di per se’ la possibilita’ di riconoscere che altri ordinamenti europei contengano previsioni
diverse, ma egualmente, se non maggiormente, rispettose del valore fondamentale della
tutela della liberta’ personale dell’imputato da irragionevoli prolungamenti dello status
detentionis, in ossequio ai principi generali fissati negli artt. 5 e 6 della Convenzione
europea dei diritti dell’uomo, cosi’ come costantemente interpretati dalla Corte di
Strasburgo.
Delineati in tal modo i termini del contrasto giurisprudenziale sul rilievo da assegnare al
motivo di rifiuto disciplinato dall’art. 18, lett. e), le Sezioni unite della S.C. hanno di
recente optato per l’orientamento tracciato nell’ordinanza di rimessione, stabilendo il
principio secondo cui l’autorita’ giudiziaria italiana deve verificare, ai fini della consegna,
se nella legislazione dello Stato membro di emissione sia espressamente fissato un termine
di durata della custodia cautelare fino alla sentenza di condanna di primo grado, o, in
mancanza, se un limite temporale implicito sia comunque desumibile da altri meccanismi
processuali che instaurino, obbligatoriamente e con cadenze predeterminate, un controllo
giurisdizionale funzionale alla legittima prosecuzione della custodia cautelare, o, in
alternativa, all’estinzione della stessa .
Ne discende, ad avviso della S.C., che la possibilita’ di proroga della durata della custodia
cautelare non e’ incompatibile con il concetto di limite massimo, mentre con esso
sembrano incompatibili quei meccanismi processuali dai quali derivi che, alle scadenze
temporali, pur in mancanza di un provvedimento del giudice, lo stato custodiale non debba
integralmente cessare.
La ratio di garanzia sottesa alla previsione di cui all’art. 18, lett. e), della l. n. 69/2005 puo’
in concreto apprezzarsi, dunque, anche nelle ipotesi in cui il limite massimo di custodia
cautelare sia posto dalla legge “non in modo diretto, ma mediato attraverso la previsione di
un controllo da instaurarsi entro un tempo inderogabile predeterminato dalla legge”, e
sempre che, ove il controllo non sia effettuato, o conduca ad un risultato negativo sulla
necessita’ dello status custodiae, si determini la “automatica liberazione” dell’imputato.
L’ampio apparato argomentativo che sorregge l’importante pronuncia delle Sezioni unite
fa leva, significativamente, sull’obiettivo della decisione quadro di semplificare il
tradizionale istituto dell’estradizione, collocando la nuova procedura di consegna
nell’ambito di una dimensione esclusivamente intergiurisdizionale, estranea ad ogni forma
di “mediazione” o “filtro” di natura governativa e basata sulla comune adesione dei sistemi
giuridici degli Stati membri ai principi generali della Convenzione europea dei diritti
dell’uomo e delle liberta’ fondamentali (ex art. 6 T.U.E. e considerandum n. 12 della
Decisione quadro sul mandato d’arresto europeo).
La Decisione quadro in oggetto ha inteso introdurre, infatti, sostituendo espressamente la
tradizionale procedura estradizionale, un regime semplificato di consegna delle persone
ricercate a fini di giustizia, in funzione del comune riconoscimento da parte degli Stati
membri della efficacia di un provvedimento giudiziario di arresto avente forma e contenuto
tipici, fissati dallo stesso strumento comunitario.
Il decisivo cambio di prospettiva rispetto all’estradizione, indicato in particolare nelle
conclusioni nn. 33, 35 e 37 del Consiglio europeo di Tampere del 15 ottobre 1999, era
quello di sostituire ad una cooperazione di tipo intergovernativo, saldamente ancorata al
principio di sovranita’ territoriale, “rapporti diretti” tra le autorita’ giudiziarie di Stati
diversi, nei quali le possibilita’ di rifiuto della consegna dovessero essere drasticamente
ridotte e formulate in modo tassativo .
Il rifiuto della consegna per motivi legati alla previsione di termini di durata massima della
custodia cautelare non solo non e’ previsto da alcuna convenzione internazionale in tema
di estradizione, ma risulta estraneo alla stessa struttura della Decisione quadro sul mandato
d’arresto europeo
– che, come si e’ visto, delinea in modo tassativo i casi di rifiuto –
collocandosi in una posizione di assoluta incompatibilita’ con il suo dichiarato obiettivo
generale, poiche’ determina, al contempo, un aggravamento ed un sostanziale effetto
regressivo della nuova procedura di consegna rispetto all’archetipo del sistema
convenzionale di estradizione.
L’interpretazione della condizione ostativa di cui all’art. 18, lett. e), inoltre, va inquadrata
nel piu’ ampio contesto, normativo ed ermeneutico, del diritto alla ragionevole durata della
custodia cautelare ante iudicium, cosi’ come riconosciuto dall’art. 5 della Convenzione
europea dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali – cui non a caso aderiscono tutti
i Paesi membri dell’U.E. – e dalla stessa (sopra citata) pluriennale elaborazione
giurisprudenziale della Corte europea dei diritti dell’uomo.
Un percorso esegetico, quello tracciato dalle Sezioni unite, che sembra trovar conferma,
del resto, nello stesso dato semantico ricavabile dal tenore letterale della disposizione di
cui all’art. 18, lett. e), laddove, nel richiamare i limiti massimi di carcerazione preventiva,
non fa riferimento alla nozione di “termini”, diversamente dalle corrispondenti disposizioni
di cui agli artt. 303 – 308 c.p.p., con la conseguenza che il legislatore non avrebbe inteso
subordinare la procedura di consegna all’esistenza, nello Stato richiedente, di un
meccanismo fondato su termini massimi predeterminati in astratto dalla legge, ma avrebbe
piu’ semplicemente prescritto che lo Stato emittente deve contemplare un sistema idoneo
ad impedire un irragionevole prolungamento dello stato custodiale.
L’interpretazione “adeguatrice” propugnata dalle Sezioni unite - solidamente argomentata
nei suoi passaggi motivazionali ed ampiamente condivisibile nella statuizione finale del
principio generale ivi delineato -
tende in tal modo a valorizzare, sulla scia delle
indicazioni ermeneutiche gia’ espresse dalla Corte di Giustizia CE (nel ricordato caso
“Pupino”), tutte le possibili vie di esplorazione del sistema per giungere ad una doverosa
“interpretazione conforme” del diritto interno al dettato della normativa comunitaria (anche
attraverso l’argomento ricavabile ex art. 1, co. 1, della l. n. 69/2005), implicitamente
riconoscendone, per un verso, la primazia sulla disposizione di origine nazionale ed
evitandone, per altro verso, il possibile vulnus alla suprema garanzia costituzionale fissata
dall’art. 13, co. 5, in relazione all’assetto normativo di un settore nevralgico dei rapporti di
cooperazione giudiziaria penale tra gli Stati membri dell’U.E. .
Ne’, al riguardo, sembrano prospettabili dubbi in merito ad un possibile effetto
interpretativo contra legem che la stessa giurisprudenza della Corte di Giustizia CE ha
mostrato di individuare – assieme al rispetto dei principi di certezza del diritto e di non
retroattivita’ della norma incriminatrice - come limite invalicabile all’attivita’ esegetica del
giudice nazionale: mentre la norma costituzionale delineata nell’art. 13, co. 5, e’ proiettata
alla garanzia del bene supremo della liberta’ personale nell’ambito dell’esercizio della
giurisdizione “interna”, la nuova procedura di consegna di una persona ricercata (come
gia’, del resto, l’immediato antecedente storico del modello estradizionale) si colloca,
invece, nel piu’ ampio quadro dei rapporti di cooperazione intergiurisdizionale, in una
sfera di complementarieta’ di procedimenti, l’uno “servente” all’altro, al fine di assicurare
una persona ricercata alla giurisdizione di un altro ordinamento europeo, con la
conseguenza che il richiamo normativo al parametro costituzionale ben puo’ intendersi
come l’esplicitazione di un rigoroso criterio di interpretazione che il giudice nazionale e’
tenuto di volta in volta a seguire nel valutare il livelllo di garanzia offerto dalla legislazione
dello Stato emittente in materia di limiti alla custodia preventiva .
Una valutazione, dunque, di tipo comparativo, quella richiesta al giudice italiano, che
dovra’ stabilire “in concreto” se il quadro di garanzie ricavabili dall’analisi della
legislazione dello Stato richiedente possa dirsi equivalente, o meno, a quello fornito dal
nostro ordinamento in tema di predeterminazione dei termini massimi di custodia
cautelare, verificando “puntualmente” se le condizioni indicate dalle Sezioni unite siano
soddisfatte dalla legislazione di quello Stato .
Un’analisi “incrociata” che deve essere condotta alla luce del consolidato orientamento
giurisprudenziale elaborato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo e che potrebbe,
comunque, rivelarsi assai complessa nella gestione dei profili strettamente procedimentali,
non mancando di far emergere anche delle “sorprese” dal raffronto di sistemi che, pur
senza dichiararsi, come il nostro, “ipergarantisti”, riescono a configurare modalita’ e
sequenze temporali di controllo della legittimita’ della permanenza dello status detentionis
parimenti – se non, addirittura, maggiormente – efficaci sul piano della tutela del diritto
alla liberta’ personale da ingiustificate forme di compressione.
Gia’ in altre occasioni, del resto, la S.C. ha avuto modo di precisare, sia pure con riguardo
al procedimento estradizionale, che i diritti fondamentali, tra i quali rientra anche il
principio del contraddittorio nella formazione della prova, possono esser garantiti “in
maniera non uniforme dai vari ordinamenti”, escludendo che vi fosse stata una violazione
del nucleo essenziale dei diritti di difesa dell’imputato in un caso in cui – a fronte di
un’estradizione richiesta dallo Stato albanese – era stata pronunciata una sentenza di
condanna utilizzando, per l’accertamento della responsabilita’ della persona da estradare,
prove assunte fuori dal contraddittorio .
Analogamente, e ancor piu’ di recente, la S.C. ha individuato il limite della violazione dei
diritti fondamentali nell’ambito delle procedure estradizionali, stabilendo che ai fini
dell’art. 705, co. 2, lett. a), c.p.p., secondo cui costituisce condizione ostativa
all’estradabilita’ di una persona la circostanza che per il reato oggetto della domanda di
estradizione questa e’ stata o sara’ sottoposta ad un procedimento che non assicura il
rispetto dei diritti fondamentali, la verifica da parte dell’autorita’ giudiziaria italiana
s’impone solo quando sia stata posta in discussione l’esistenza stessa dei principi essenziali
ed irrinunciabili dell’ordinamento italiano attinenti ai valori supremi che si riconducono ai
diritti fondamentali dell’uomo (e che hanno la loro fonte nella Costituzione e nelle
Convenzioni internazionali sui diritti umani), e non quando si tratti di accertare le
modalita’ con cui gli stessi vengono attuati .
Ne’, peraltro, potrebbero trascurarsi le implicazioni del rilievo – dalle stesse Sezioni unite
operato in un’altra occasione – della “concettuale” eterogeneita’ dei termini custodiali
stabiliti per il processo rispetto a quelli che regolano la durata delle misure coercitive
nell’ambito del procedimento estradizionale, proprio in quanto, al di la’ delle garanzie che
li possono accomunare, e che rendono senz’altro applicabili alla materia dell’estradizione i
principi sanciti dall’art. 13 della Costituzione, “il fine e la durata del processo ordinario
non hanno nulla a che vedere con la estradizione” .
In definitiva, l’assolutezza della garanzia costituzionale scolpita nell’art. 13, co. 5, viene
correttamente inquadrata dalle Sezioni unite in un piu’ ampio contesto interpretativo
“multilivello”, che tiene conto non solo dello “scopo” della norma comunitaria e
dell’elaborazione giurisprudenziale della Corte europea dei diritti dell’uomo, ma anche
della necessaria esigenza di raccordare il quadro normativo e giurisprudenziale europeo
con il nostro sistema processuale ed i principi fondamentali in piu’ occasioni ribaditi dal
Giudice delle leggi, in tema di limiti temporali massimi della carcerazione preventiva, “al
di la’ dei quali verrebbe compromesso il bene della liberta’ personale, che costituisce una
delle basi della convivenza civile” .
L’interpretazione “costituzionalmente orientata” che viene in tal modo indicata dalle
Sezioni unite sembra mostrare, tuttavia, un possibile punto debole allorquando, nel
tentativo di colmare la distanza siderale oggettivamente intercorrente tra la “extra-vagante”
norma interna e l’atto di diritto derivato che essa dovrebbe fedelmente recepire nel nostro
ordinamento, ritiene di non condividere l’obiezione per cui, in tal modo, verrebbe ad essere
aggiunta una condizione non prevista dalla Convenzione europea di estradizione, sul
presupposto che l’ipotesi di rifiuto in questione, pur non esplicitamente indicata dalla
decisione quadro, si ispirerebbe a garanzie fondamentali del processo dalla stessa
comunque richiamate.
Pur apparendo senz’altro auspicabile, in una prospettiva de lege ferenda, un’abrogazione,
ovvero una netta correzione dell’art. 18, lett. e), da parte del legislatore ordinario, in modo
da riformularne con maggior precisione i contorni e limitarne i possibili effetti dirompenti
nei rapporti di cooperazione giudiziaria a livello infraeuropeo , ben difficilmente potrebbe
negarsi l’attuale discrasia tra la tassativita’ dei precisi motivi di rifiuto contemplati dalla
decisione quadro sul mandato d’arresto europeo ed il generale impianto normativo
delineato dalla l. n. 69/2005, il cui art. 18, oltre all’ipotesi della lett. e), introduce ulteriori
casi di rifiuto della consegna nelle lett. b), c), g), s) e t), parimenti non contemplati dal
legislatore europeo, ne’ in alcun modo previsti dai trattati bilaterali in materia di
estradizione.
Ulteriori motivi di rifiuto della consegna (ad es., il consenso dell’avente diritto secondo la
legge italiana, l’esercizio di un diritto, l’adempimento di un dovere, il caso fortuito e la
forza maggiore, lo stato di gravidanza della persona richiesta in consegna ovvero la
presenza di prole di eta’ inferiore a tre anni, ecc.), la cui eventuale opposizione da parte
dell’autorita’ giudiziaria italiana potrebbe creare gravi problemi e ritardi nella gestione dei
rapporti con le autorita’ giudiziarie degli altri Paesi europei, costringendo la giurisprudenza
di legittimita’ a tentare nuove operazioni di “ortopedia” interpretativa, in assenza di un
“calibrato” intervento da parte del legislatore.
D’altro canto, pur facendo ricorso al linguaggio prudentemente soft cui le istituzioni
comunitarie sogliono fare ricorso negli atti di valutazione della “compatibilita’
comunitaria” degli strumenti normativi adottati a livello nazionale, la Commissione
europea ha gia’ espresso, nell’allegato al Rapporto di valutazione del 26 gennaio 2006
(presentato ai sensi dell’art. 34 della Decisione quadro sul mandato d’arresto europeo), un
chiaro giudizio di difformita’ dell’art. 18, lett. e), rispetto agli artt. 3 e 4 del dettato
comunitario, rilevando come nessun altro Stato membro, nell’adeguare il proprio
ordinamento giuridico, abbia introdotto un simile obbligo di rifiuto della consegna .
Nello stesso Rapporto, peraltro, la Commissione europea non ha mancato di rilevare, su un
piano piu’ generale, che l’introduzione di motivi di rifiuto diversi da quelli indicati negli
artt. 3 e 4 della decisione quadro rende comunque necessaria, per ciascuno di essi, una
verifica di compatibilita’ rispetto al dato normativo ricavabile dal nuovo sistema di
derivazione comunitaria.
Una situazione, questa, di mancata “copertura” comunitaria che, specie in caso di reiterati e
sistematici rifiuti di consegna da parte delle nostre autorita’ giudiziarie, ben potrebbe
legittimare l’apertura di un contenzioso con altri Stati membri dinanzi alla Corte di
Giustizia, ex art. 35, par. 7, T.U.E. .
Una situazione, inoltre, di non piena “affidabilita’ ” nei rapporti di cooperazione
giudiziaria, che esporrebbe il nostro sistema non solo a negative ricadute sul piano
dell’immagine internazionale, ma anche a prevedibili censure in ordine alla corretta
applicazione della decisione quadro adottata a norma dell’art. 34, par. 2, T.U.E. (secondo il
richiamo formalmente operato nello stesso par. 7 dell’art. 35).
Ove il nostro Paese avesse deliberato, al riguardo, di apporre una formale riserva nel corso
del negoziato che ha preceduto l’adozione della Decisione quadro sul mandato d’arresto
europeo, la condizione, verosimilmente, non sarebbe stata accettata dagli altri Paesi
europei, in quanto, cosi’ come tradotta nella formulazione normativa, sarebbe stata
“inesigibile”, perche’ in sostanziale contrasto con quell’elevato livello di fiducia che
rappresenta la base imprescindibile del nuovo sistema di consegna tra gli Stati membri
dell’U.E. .
Se e’ evidente, da un lato, che il contrasto con la norma comunitaria obiettivamente
permane, esso, d’altro canto, ben difficilmente potrebbe essere – sempre e comunque rimosso facendo leva sul modelllo di interpretazione “flessibile”, caso per caso ponderata,
che le Sezioni unite hanno suggerito come linea-guida per l’operazione di bilanciamento
esegetico che il giudice nazionale e’ chiamato a condurre: l’autorita’ giudiziaria dello Stato
di emissione, invero, ben potrebbe rifiutare di dar corso alla trasmissione delle
“informazioni integrative” eventualmente richieste dall’autorita’ giudiziaria nazionale
utilizzando l’accorgimento formale previsto dall’art. 16, co.1, della l. n. 69/2005 .
Solo regole non scritte di cortesia nei rapporti internazionali legittimerebbero, infatti, una
risposta da parte dell’autorita’ giudiziaria dello Stato membro di emissione, che sotto
nessun profilo potrebbe ritenersi tenuta ad inviare le richieste informazioni integrative
entro i termini prefissati (ad es., come nell’ipotesi in oggetto, sulle forme e i termini del
controllo de libertate nella legislazione dello Stato di emissione del mandato), a fronte di
un’ipotesi di rifiuto non espressamente contemplata nello strumento comunitario, dando
cosi’ luogo, indirettamente, alla grave conseguenza (la reiezione della richiesta) prevista
nel nostro sistema dall’art. 6, co.6, della l. n. 69/2005.
La “puntuale verifica” sull’equivalenza delle garanzie offerte dalla legislazione dello Stato
di emissione non sarebbe in alcun modo possibile, in questo caso, determinando una
situazione di stallo procedimentale seguita da una probabile decisione di rigetto della
richiesta di consegna da parte della Corte d’appello, che ben potrebbe costituire
l’occasione per attivare la competenza giurisdizionale della Corte di Giustizia CE ex art.
35, par. 7, T.U.E. .
Potrebbero aprirsi, dunque, sotto questo profilo, dei varchi per una possibile valutazione di
incostituzionalita’ della norma interna di attuazione, in ragione delle scorrette modalita’ di
attuazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie penali, di
cui proprio la Decisione quadro sul mandato d’arresto europeo ha rappresentato la prima
concretizzazione storica nell’ambito dell’U.E. .
Proprio l’evidenza del contrasto della norma interna con gli artt. 3 e 4 della Decisione
quadro, infatti, rende estremamente problematica la percorribilita’ di un ipotetico rinvio
pregiudiziale della questione di interpretazione del parametro normativo europeo dinanzi
alla Corte di Giustizia ex art. 35, par.1, T.U.E. : l’unico spazio ipotizzabile per un
intervento del Giudice comunitario potrebbe essere legato alla verifica delle condizioni e
dei limiti di conformita’ di motivi di rifiuto che, pur non espressamente previsti dalla
Decisione quadro, possano sorreggersi su un fondamento giustificativo in qualche misura
ricavabile dagli stessi principi generali enucleati nel preambolo della Decisione quadro (in
particolare, nel considerandum n. 12, ove chiaramente si afferma, tra l’altro, che la
Decisione quadro rispetta i diritti fondamentali ed osserva i principi sanciti dall’art. 6
T.U.E., e nell’art. 1, par. 3, ove si precisa che la Decisione quadro non puo’ modificare
l’obbligo di rispetto di quei diritti e di quei principi giuridici fondamentali).
Al riguardo, tuttavia, pare condivisibile la scelta del Giudice rimettente, allorquando
precisa che la conformita’ letterale della norma di legge ordinaria all’ultimo comma
dell’art. 13 Cost. impone un preliminare apprezzamento della rilevanza della conformita’
della causa di esclusione della consegna alla nostra Costituzione, verificando se si tratti di
norma rispondente ad un principio generale idoneo a superare, come tale, eventuali principi
e norme comunitarie di diverso contenuto.
Ed allora, se, per un verso, appare probabile una declaratoria di inammissibilita’ della
questione di legittimita’ costituzionale proposta dalla Corte d’appello rimettente , sul
presupposto che l’autorevole indirizzo ermeneutico tracciato
dalle Sezioni unite
costituisca ormai la manifestazione di un “diritto vivente” rispetto al quale non sono piu’
proponibili decisioni interpretative di segno diverso, e’ pur vero, d’altra parte, che la
novita’ della questione ed il rilievo dei parametri di costituzionalita’ invocati dal Giudice
rimettente potrebbero sollecitare l’avvio di una riflessione da parte del Giudice delle leggi
sui limiti di conformita’ delle norme interne alla legislazione comunitaria e sul grado di
apertura dell’ordinamento italiano ai principi e agli istituti elaborati dall’U.E. nel delicato
settore del c.d. “terzo pilastro”, relativo alla disciplina della materia della cooperazione
giudiziaria penale e di polizia tra gli Stati membri.
In relazione al parametro fissato nell’art. 3 Cost., l’esplicitazione a livello nazionale di
garanzie fondamentali in qualche misura ricavabili dal testo della Decisione quadro, o,
comunque, desumibili dalle generali finalita’ del rispetto dei principi di cui all’art. 6
T.U.E., dovrebbe avvenire secondo criteri di “ragionevolezza”, ossia in modo tale da non
compromettere, ovvero porre a rischio, con azzardate scelte lessicali, metodologiche e di
contenuto, l’impianto strutturale e la stessa funzionalita’ dei risultati che lo strumento
comunitario intende raggiungere (e che l’ordinamento interno ha il dovere di attuare in
modo conforme, ex art. 34, par. 2, lett. b), T.U.E.).
Inoltre, il necessario rispetto dei c.d. “controlimiti” al primato del diritto comunitario sul
diritto interno, derivanti dalla considerazione dei principi fondamentali dell’ordinamento
costituzionale e dei diritti inalienabili della persona – quale ineludibile condizione per
l’ingresso nel nostro ordinamento delle norme internazionali generalmente riconosciute o
delle norme derivate dall’applicazione dei trattati istitutivi di organizzazioni internazionali
aventi gli scopi indicati dall’art. 11 Cost. – dovrebbe essere attentamente bilanciato, anche
in questo caso, con la piena osservanza dell’obbligo costituzionale imposto al legislatore
ordinario dall’art. 117, co.1, Cost., al fine di garantire la fedele attuazione e la conseguente
effettivita’ dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli impegni
internazionali assunti dal nostro Paese.
Sotto questo profilo, la sostanziale analogia tra le fonti normative rappresentate dalle
direttive comunitarie e dalle decisioni quadro varate nell’ambito del Titolo VI del T.U.E. e
la riconosciuta uniformita’ – da parte della stessa Corte di Giustizia CE (con la citata
sentenza sul caso “Pupino”) - dell’interpretazione a titolo pregiudiziale delle decisioni
quadro ex art. 35 T.U.E. rispetto a quella prevista ex art. 234 T.C.E. per le direttive
comunitarie, potrebbero costituire ulteriori elementi di valutazione per saggiare la
trasponibilita’ nel settore – non ancora “comunitarizzato“ - della cooperazione giudiziaria
penale di argomentazioni gia’ utilizzate dalla Corte costituzionale per dichiarare, come e’
avvenuto in altre occasioni, l’illegittimita’ di una legge regionale in contrasto con una
direttiva comunitaria in ordine al mancato rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento
comunitario ex art. 117, co.1, Cost.
(laddove le prescrizioni della direttiva imponevano
agli Stati membri un’uniformita’ di comportamenti, disattesa invece dalla legge regionale,
venendosi in tal modo ad incidere sulla “complessiva efficacia” del procedimento
comunitario).
24) L’attuazione del mandato d’arresto europeo negli altri Stati membri dell’U.E.: a)
i rapporti di valutazione della Commissione europea; b) le pronunce delle Corti
costituzionali in Germania, in Polonia, in Cipro e in Belgio; c) il principio di
interpretazione conforme nella giurisprudenza della House of Lords .
a) La Commissione europea, con un rapporto del 23 febbraio 2005, ha già
proceduto, ex art. 34 par. 3 della decisione quadro, ad una prima valutazione sullo stato
dell’attuazione del nuovo strumento normativo nelle diverse legislazioni degli Stati
membri .
L’esito della valutazione preliminare sull’impatto della nuova procedura di consegna nei
diversi sistemi europei si è rivelato sostanzialmente positivo, riservandosi peraltro la
Commissione la facoltà di presentare in seguito proposte di modifica della decisione
quadro sulla base dell’applicazione pratica della disciplina nei diversi Stati membri .
I primi, provvisori, dati statistici esaminati dalla Commissione sono apparsi in effetti
piuttosto incoraggianti: fino al mese di settembre 2004, ossia nella prima, limitata, fase di
applicazione della procedura di consegna tra gli Stati membri, si sono registrati oltre 2.600
mandati d’arresto emessi, con 653 persone arrestate e 104 consegnate (alla fine del 2004 le
richieste sono state 3.698, con 397 consegne), mentre nel corso del 2005 i dati comunicati
alle istituzioni comunitarie mettono in luce un significativo incremento, con 6.856 richieste
e 824 consegne .
Solo il consolidamento delle prassi operative nelle relazioni tra le autorità
giudiziarie dei diversi Stati membri permettera’, tuttavia, una verifica completa
dell’efficacia del nuovo meccanismo procedurale, anche sotto il profilo, invero decisivo,
della rilevanza e del grado di tutela dei diritti della difesa e delle garanzie procedurali.
Basti pensare alle conseguenze delle (inevitabilmente) difformi valutazioni delle
garanzie speciali che lo Stato emittente deve fornire allo Stato di esecuzione a fronte delle
specifiche evenienze procedimentali individuate nell’art. 5 decisione quadro (decisioni rese
in absentia, ergastolo e consegna del cittadino o del residente nello Stato membro di
esecuzione), ovvero al diverso grado di apprezzamento dell’«obbligo di rispettare i diritti
fondamentali e i fondamentali principi giuridici sanciti dall’articolo 6 del trattato
sull’Unione europea», così come espressamente richiamato nell’art. 1 par. 3 decisione
quadro, o, infine, all’impatto delle prime decisioni che verranno pronunciate dagli organi
di giustizia costituzionale dei diversi Paesi membri.
Particolarmente interessante, in questa prospettiva, appare, inoltre, la tipologia degli
specifici criteri di valutazione seguiti dalla Commissione europea nel suo preliminare
esame del valore aggiunto del nuovo meccanismo di consegna nelle legislazioni dei diversi
Stati membri: a) la natura giudiziaria del mandato d’arresto europeo (sul presupposto
dell’esclusione di ogni interferenza dell’esecutivo e dell’instaurazione di contatti diretti tra
le autorità giudiziarie interessate); b) l’efficacia del mandato d’arresto (limitazione dei
motivi di rifiuto a quelli di carattere strettamente tecnico-giuridico previsti nella decisione
quadro, unitamente al principio dell’esclusione del divieto di consegna dei cittadini e dei
residenti); c) la rapidità del mandato d’arresto (previsione di limiti temporali ristretti per
l’esecuzione delle decisioni di consegna e semplificazione delle procedure di trasmissione
attraverso la predisposizione di un unico formulario allegato alla stessa decisione quadro).
Significativo, ancora, appare, quanto meno sotto il profilo delle implicazioni
connesse alla sostanziale assimilabilità dello strumento della decisione quadro rispetto a
quello della direttiva comunitaria quale atto normativo di diritto derivato, il dato di fatto
per cui la Commissione europea ha elaborato ulteriori criteri generali di valutazione
oggettiva della corretta attuazione della decisione quadro, traendoli mutatis mutandis
proprio dall’analisi dei tratti specificamente caratterizzanti questa determinata tipologia di
fonte normativa. Si tratta, segnatamente, dei seguenti ulteriori criteri: a) conformità delle
forme e dei metodi di recepimento agli scopi dello strumento; b) rispetto delle esigenze di
chiarezza e di certezza giuridica nella trasposizione; c) rispetto dei termini di attuazione
fissati dalla fonte comunitaria.
In tal senso, la disamina comparata delle diverse legislazioni di attuazione ha consentito di
valutare con favore soprattutto gli aspetti relativi alla migliore tipizzazione dei motivi di
rifiuto, alla possibilità di consegna del cittadino (anche se con l’attivazione della clausola
inerente alla condizione dell’esecuzione della pena sul proprio territorio nazionale) ed alla
giurisdizionalizzazione della procedura, sia sotto il profilo della scomparsa delle decisioni
di rifiuto incentrate su motivazioni di mera opportunità politica, sia sotto quello della
instaurazione di contatti diretti tra le autorità giudiziarie nelle differenti fasi della
procedura di consegna.
Sotto questo aspetto, se è senz’altro positivo, per un verso, il fatto che l’interposizione
di un’autorità centrale con facoltà assorbenti di trasmissione-ricezione del mandato sia
stata sostanzialmente limitata in una minoranza di casi, è parimenti indubbia, per altro
verso, la forza “frenante” che può esercitare, ai fini della speditezza, della semplificazione
e della complessiva armonizzazione delle procedure, l’opponibilità di quei motivi di rifiuto
che, in taluni casi, fanno leva su non meglio precisate considerazioni di sicurezza nazionale
(ad es., nel Regno Unito), o che comportano, addirittura, forme di controllo indebito da
parte dello Stato dell’esecuzione sul “merito” della procedura che ha determinato l’impulso
decisorio legato alla richiesta di consegna trasmessa dallo Stato membro emittente (ad es.,
nei Paesi Bassi).
È anche da sottolineare il fatto che numerosi Stati membri, sia pure con la previsione
di differenti modalità ed effetti, hanno ritenuto di inserire nei rispettivi sistemi interni
talune forme di garanzia ad abundantiam – riconnesse all’eventuale opponibilità della
clausola di non discriminazione, ovvero di motivi di rifiuto legati alla violazione dei diritti
fondamentali (ad es., il Regno Unito, la Germania, che contempla al riguardo una specifica
causa di inammissibilità dell’esecuzione del mandato d’arresto, l’Italia, ecc.) – che, se pur
legittime in relazione all’impianto della decisione quadro ed in qualche misura
comprensibili a fronte di un “allargamento” territoriale dell’Unione probabilmente non
ancora del tutto assimilato, appaiono senz’altro contraddire uno spazio europeo di “fiducia
reciproca”, costruito proprio sulla condivisione di quei diritti di libertà e di quelle garanzie
fondamentali che costituiscono il nucleo originario della Convenzione europea dei diritti
dell’uomo, dell’art. 6 TUE e della Carta dei diritti fondamentali adottata a Nizza il 7
dicembre 2000, addirittura incorporata e costituzionalizzata nella Parte II del Trattato che
istituisce una Costituzione per l’Europa .
In questo senso, nessun motivo di rifiuto è stato espressamente previsto al riguardo dai
conditores poiché la stessa ratio essendi dello strumento normativo comunitario poggia
sulla condivisione dei principi-cardine dello Stato di diritto: anche in difetto di un’esplicita
formulazione, dunque, nulla vieterebbe all’autorità giudiziaria dell’esecuzione, ai sensi
dell’art. 1 par. 3 e del considerando n. 12 della decisione quadro, di bloccare la procedura
di consegna qualora fosse riscontrata in concreto una violazione dell’art. 6 TUE, poiché si
tratterebbe di un’evenienza talmente grave e dirompente da mettere in dubbio la stessa
solidità di quel “patto” fondativo che è alla base dell’adozione di un atto normativo
derivato dell’UE.
Non a caso del tutto insignificante è risultata, nel primo periodo di applicazione della
nuova procedura, l’opposizione di motivi di rifiuto legati al rispetto dei diritti umani e delle
garanzie procedurali ; solo in casi limitati, del resto, le autorità giudiziarie emittenti hanno
ricevuto, sinora, le richieste di garanzie suppletive in relazione alle situazioni particolari
specificamente individuate ai sensi dell’art. 5 decisione quadro.
Rispetto al previgente sistema estradizionale emergono, poi, ulteriori aspetti positivi
sia per quel che attiene alla maggiore rapidità della procedura di consegna (solo in pochi
casi, finora, non si è rispettato il termine dei novanta giorni di cui all’art. 17 par. 4, con una
sensibile riduzione dei tempi, tra l’altro, in caso di consenso dell’interessato), sia per
l’evidente innalzamento del quadro complessivo delle garanzie difensive (basti solo
pensare al diritto all’assistenza difensiva, al diritto di veder dedotto dalla condanna il
periodo complessivo di custodia derivante dall’esecuzione del mandato d’arresto, o alla
precisazione del limite del ne bis in idem quale motivo di rifiuto), la cui effettività – anche
se molto resta ancora da fare sul piano della necessaria delineazione di una cornice
generale di diritti processuali e garanzie difensive comuni – viene esaltata dalla scomparsa
del filtro politico e dalla definitiva giurisdizionalizzazione della procedura.
Ancora insufficiente, invece, appare il coinvolgimento di Eurojust nelle situazioni
specificamente delineate dagli artt. 16 par. 2, e 17 par. 7 della decisione quadro: nonostante
l’evidente valore aggiunto che un organismo giudiziario sovranazionale come Eurojust può
apportare sul piano della sollecitazione del rispetto dei termini procedurali, ovvero della
definizione del possibile conflitto di giurisdizioni in caso di concorso di richieste, ancora
assai limitati risultano – probabilmente, anche in ragione di un’incompleta ed inefficace
opera di recepimento – i casi in cui lo stesso è stato finora informato o consultato .
Ed ancora, e’ senz’altro significativo, specie per le inevitabili implicazioni ed i riflessi
sulle prospettive di modifica della normativa italiana di attuazione del m.a.e., che con un
nuovo rapporto valutativo sull’applicazione del mandato d’arresto europeo nei Paesi
membri dell’U.E. del 24 gennaio 2006, la Commissione europea, pur esprimendo
soddisfazione per gli esiti positivi delle prime applicazioni giurisprudenziali del nuovo
istituto, abbia rilevato, in particolare, la notevole eccezione al principio di non applicazione
del requisito della c.d. doppia incriminabilita’ rappresentata dalla legislazione italiana
(however, there are no major difficulties at this stage with the transposal of the list of 32
categories of offence for which double criminality is abolished, with the notable exception
of one country’s legislation, which appears not to recognise the principle [art.2.It] ),
richiedendo ad alcuni Stati membri, fra i quali anche l’Italia, di aderire completamente alla
decisione quadro .
Nell’ultimo rapporto di valutazione dell’11 luglio 2007, infine, la Commissione europea
riconosce che, nonostante alcune difficolta’ inziali di recepimento nelle legislazioni dei
Paesi membri, il ricorso alla nuova procedura e’ ormai generalizzato, confermando un
giudizio di sostanziale efficacia dello strumento sia relativamente ai termini (estremamente
ridotti ed a carattere vincolante), sia con riguardo all’incremento delle garanzie in favore
delle persone ricercate .
Sotto altro profilo, tuttavia, la Commissione non ha mancato di rilevare che nonostante le
correzioni e le modifiche sinora intervenute a livello nazionale, e’ ancora piuttosto lungo
l’elenco degli Stati membri che dovranno “conformare” pienamente le rispettive
legislazioni al contenuto precettivo ed alle finalita’ della decisione quadro.
Nel citato rapporto di valutazione, infatti, vengono evidenziate numerose lacune su cui gli
Stati membri interessati dovranno continuare ad operare per rendere uniforme l’attuazione
dello strumento: dalla modifica delle soglie minime per le pene richieste (Olanda, Austria e
Polonia) alla designazione di un organo esecutivo individuato quale giurisdizione
competente a tutti gli effetti (Danimarca) o solo parzialmente (Germania, Grecia, Lituania,
ecc.), dal rilievo delle prassi disomogenee in materia di “consegna accessoria” (non
esplicitamente prevista, peraltro, nella decisione quadro) all’assenza di un termine
massimo per la fase decisoria riservata alle giurisdizioni superiori (Repubblica Ceca,
Malta, Portogallo, Regno Unito, ecc.), sino alle problematiche applicative legate alle
censurate imperfezioni della procedura di consegna dei cittadini nazionali (ad es., per
l’introduzione di una limitazione temporale nella Repubblica Ceca e nella Polonia, ovvero
per il ripristino del controllo della doppia incriminazione in Olanda ed in Polonia).
Con specifico riferimento al sistema italiano, infine, la Commissione ha significativamente
rilevato la difformita’ dell’art. 40, comma 1, della legge n. 69/2005 rispetto all’impianto
normativo della decisione quadro (prevedendo in via transitoria l’applicabilita’ della nuova
disciplina alle richieste di esecuzione dei mandati d’arresto solo se sono stati emessi e
pervenuti dopo la sua data di entrata in vigore, vale a dire il 14 maggio 2005) e, soprattutto,
il ripristino del controllo della doppia incriminazione con riferimento all’intero elenco
delle trentadue categorie di reato di cui all’art. 2, par. 2, della decisione quadro (ex art. 8,
commi 1 e 2, della legge di attuazione).
Ulteriori nodi problematici, infine, sono stati evidenziati sia con riguardo alla introduzione
nel nostro sistema di motivi di rifiuto che travalicano la decisione quadro (ad es., nell’art. 2
della legge n. 69/2005) o che in essa, addirittura, non sono affatto contemplati (art. 18), sia
in relazione all’esigenza di condizioni supplementari, ovvero di indicazioni e riscontri
documentali non previsti dal modulo allegato al nuovo strumento (ad es., con l’art. 6 della
legge di attuazione).
Un’attenta disamina della rilevanza delle implicazioni pratiche legate alle disarmonie o,
addirittura, ai palesi contrasti con lo strumento normativo comunitario rendera’
probabilmente necessari, non solo nel nostro Paese, ulteriori interventi correttivi o
modificativi delle correlative legislazioni di attuazione, per venire incontro alle
sollecitazioni ed ai suggerimenti in tal senso formulati dalla Commissione europea.
b) Il ruolo delle Corti costituzionali nazionali puo’ assumere un rilievo decisivo per
“saggiare” il grado di resistenza della fonte comunitaria ai “controlimiti” derivanti dal
necessario rispetto dei diritti fondamentali e della specificita’ delle diverse tradizioni
costituzionali.
In Germania, ad es., il Tribunale costituzionale federale, con la decisione del 23
novembre 2004 (2 BVR – 2236/04), ha sospeso l’esecuzione di un mandato d’arresto
richiesto dalla Spagna nei confronti di una persona, con doppia cittadinanza siriana e
tedesca, di cui era stata richiesta la consegna per il reato di associazione terroristica contro
Stati esteri, sul presupposto di un periculum in mora e di un fumus boni iuris rispetto alla
violazione di principi fondamentali della Costituzione tedesca, ed in primo luogo quello
della riserva di legge.
La conclusione cui è pervenuto il Tribunale è stata nel senso del contrasto con la
Costituzione, in ragione dell’inammissibilita’ dell’estradizione di un cittadino di
nazionalita’ tedesca (ex art. 16, par. 2, Cost., secondo cui nessun cittadino tedesco puo’
essere estradato all’estero, fatta salva una eventuale deroga, da stabilirsi con legge, per
quanto riguarda l’estradizione verso uno Stato membro dell’U.E. ovvero verso una Corte
internazionale, nella misura in cui siano garantiti i principi fondamentali dello stato di
diritto) e dell’impossibilita’ di un ricorso giurisdizionale contro la decisione di consegna
(ex art. 19, par. 4, Cost., secondo cui qualora una persona subisca una violazione dei propri
diritti da parte dei pubblici poteri puo’ adire l’autorita’ giudiziaria ordinaria).
Inevitabile, dunque, e’ sembrato, a questo punto, il ritorno alle regole del
precedente meccanismo estradizionale, almeno fino a quando il Parlamento tedesco non
avrebbe provveduto alla modifica della propria legge interna di attuazione della decisione
quadro, riformulando i motivi di inammissibilita’ dell’estradizione di un cittadino tedesco e
predeterminando in modo adeguato le decisioni in materia estradizionale.
In effetti, nel periodo intercorrente fra il 18 luglio 2005 ed il 2 agosto 2006, data di
entrata in vigore della nuova legge tedesca di attuazione, la Germania ha cessato di
consegnare o anche di estradare i propri cittadini, mentre per le altre persone ricercate ha
accettato di consegnarle solo in applicazione del previgente regime estradizionale.
Continuavano ad essere regolarmente emessi, invece, i mandati d’arresto europei destinati
agli altri Stati membri.
Secondo la pronuncia della Corte costituzionale, in particolare, la possibilita’ di
limitare il divieto di estradizione del cittadino tedesco deve comunque mantenere inalterata
la tutela del diritto fondamentale, rispettando in pieno il principio di proporzionalita’ ed
altri vincoli di natura costituzionale, come la garanzia del ricorso giurisdizionale. L’art. 16
Cost., infatti, ad avviso della Corte, nel prevedere il divieto di estradizione e di privazione
della cittadinanza garantisce il particolare collegamento dei cittadini con l’ordinamento
giuridico di appartenenza, tutelandone l’affidamento riposto nella sicura permanenza sul
territorio di quello Stato, specialmente nell’ipotesi in cui la condotta posta alla base della
richiesta di estradizione possieda un considerevole grado di collegamento con il territorio
nazionale (perche’ commessa, in tutto o in parte, su territorio tedesco, su navi o aeromobili
tedeschi, ovvero in luoghi sottoposti alla sovranita’ tedesca). Ne consegue che mentre in
tali ipotesi le imputazioni eventualmente formulate nei confronti di un cittadino tedesco
dovrebbero in linea di principio essere oggetto di un processo penale in Germania, diversa
dovrebbe essere, per contro, la valutazione qualora il reato oggetto della richiesta
estradizionale possieda un rilevante collegamento con il territorio straniero (perche’, ad es.,
la condotta e’ stata interamente o in parte essenziale compiuta sul territorio di un altro
Stato membro dell’U.E. e l’evento si e’ cola’ verificato), ovvero allorquando la condotta
sia stata compiuta interamente o in parte in Germania, ma l’evento si sia verificato
all’estero: in queste situazioni, infatti, la tutela offerta dal divieto di estradizione potrebbe
non operare e, comunque, dovrebbero essere comparati tra loro, da un lato, la gravita’ del
reato e le pratiche necessita’ e possibilita’ dell’effettivo esercizio dell’azione penale,
dall’altro gli interessi dell’imputato costituzionalmente tutelati, in relazione agli scopi
connessi alla creazione dello spazio giuridico europeo.
A seguito della decisione di annullamento adottata dalla Corte costituzionale, come
si e’ accennato, si e’ determinata una pericolosa situazione di incertezza giuridica, poiche’
due Stati membri (ossia, la Spagna e l’Ungheria) hanno rifiutato durante quel periodo,
invocando il principio di reciprocita’, di riconoscere i mandati d’arresto europei che la
Germania continuava ad emettere.
Quegli Stati membri, infatti, ritenevano che, disapplicando il principio di reciproca
fiducia, la Germania non potesse a sua volta attendersi che gli altri Paesi ne accettassero le
richieste di consegna per i soggetti ricercati di altra nazionalita’.
E’ significativo rilevare, a tale riguardo, come tali problemi siano stati poi
definitivamente superati a seguito di una legge di riforma adottata il 20 luglio 2006 ed
entrata in vigore il 2 agosto 2006, con cui il Parlamento tedesco si e’ sostanzialmente
adeguato alle indicazioni espresse dalla Corte costituzionale, sia per quel che attiene ad una
maggiore tutela dei cittadini coinvolti nelle procedure di consegna, sia in merito
all’introduzione di vie di ricorso giurisdizionale avverso le decisioni di consegna .
In Polonia, inoltre, è stata rimessa all’attenzione del Tribunale costituzionale, con
una decisione resa dal Tribunale regionale di Gdansk in data 27 gennaio 2005 (n. IV Kop
23/04), la questione della conformità o meno all’art. 55 par.1 Cost., dell’art. 607 t par. 1
c.p.p. polacco – così come novellato a seguito dell’attuazione della decisione quadro in
esame – che permette la consegna di un cittadino polacco ad un altro Stato membro
dell’U.E. sulla base della trasmissione di un mandato d’arresto europeo. Anche in questo
caso è stata censurata la su indicata norma polacca di attuazione della decisione quadro,
entrata in vigore contestualmente all’adesione della Polonia all’U.E., in ragione del
contrasto con il chiaro parametro di riferimento rappresentato dall’art. 55, par.1, Cost., che
vieta senza eccezioni l’estradizione dei cittadini polacchi.
E’ interessante rilevare, sotto questo profilo, che il Tribunale costituzionale ha
strutturato la base motivazionale della sua decisione sul presupposto di una radice comune
tra l’istituto della consegna in ambito europeo e quello dell’estradizione internazionale
(nella cui categoria concettuale ha ritenuto che debba considerarsi ricompreso anche il
primo), atteso che le discrepanze, anche significative, tra i due istituti non sono state
giudicate sufficienti ad escludere comunque il fatto che, in ogni caso, si tratta del
deferimento presso la giurisdizione di un altro Stato di una persona perseguita o
condannata, al fine di sottoporla a procedimento penale o di farle ivi scontare la pena
detentiva.
Avvalendosi, inoltre, della facolta’ prevista dall’art. 190 Cost., il Tribunale
costituzionale ha differito nel tempo – fino al termine massimo consentito di diciotto mesi,
a decorrere dal 5 maggio 2005, giorno successivo alla data di pubblicazione della sentenza
sulla Gazzetta ufficiale – gli effetti della decisione di incostituzionalita’, con la
conseguenza che la magistratura polacca ha continuato ad ordinare la consegna di propri
cittadini incriminati negli altri Stati dell’area comunitaria fino all’approvazione – nel lasso
temporale intercorrente tra la data di pubblicazione del dispositivo della decisione e lo
spirare del termine a far data dal quale l’efficacia della decisione di incostituzionalita’
sarebbe stata piena e definitiva - una disposizione legislativa volta ad abrogare la norma di
attuazione colpita dal vaglio di incostituzionalita’. Decorso il termine su indicato, la norma
censurata (ossia, l’art. 607 c.p.p. ) avrebbe cessato di essere applicata e la Polonia avrebbe
dovuto optare tra l’ipotesi di una puntuale revisione costituzionale secondo il dettato
offerto dalla decisione quadro, per poi ripristinare ex novo la censurata disposizione,
ovvero quella dell’assunzione di responsabilita’ per una evidente inadempienza sul piano
comunitario-intergovernativo .
La disposizione di legge oggetto della censura d’incostituzionalita’ ex art. 55, § 1,
ha continuato ad essere applicata sino alla data del 6 novembre 2006, ossia il termine
stabilito dalla Corte costituzionale polacca per dar modo al Governo di conformare la Carta
costituzionale agli obblighi assunti in sede europea.
Durante tutto questo periodo, peraltro, la Polonia ha continuato ad eseguire la
consegna dei propri cittadini, fino a quando, per effetto di una legge di revisione
costituzionale del 7 novembre 2006, il codice di procedura penale e’ stato modificato con
una legge entrata in vigore il 26 dicembre 2006 (nelle more, il novellato art. 55 della
Costituzione ha formato oggetto di un’applicazione diretta nell’ordinamento polacco a far
data dal 7 novembre 2006, conformemente alla sentenza emessa dal Tribunale
costituzionale) .
V’e’, poi, da osservare che anche nell’ordinamento cipriota la Corte suprema, con
una decisione del 7 novembre 2005 , ha ritenuto incostituzionale la consegna dei cittadini
ciprioti, obbligando il Governo ad impegnarsi in un’opera di revisione costituzionale,
successivamente intervenuta con una legge entrata in vigore il 28 luglio 2006.
Un approfondito dibattito sull’efficacia e l’ambito di applicazione dello strumento
normativo della decisione quadro si e’ avviato, del resto, anche nel Regno del Belgio, ove
di recente la Corte costituzionale, con decisione n. 124 del 13 luglio 2005, ha rimesso alla
valutazione della Corte di Giustizia delle Comunita’ europee le questioni pregiudiziali
inerenti alla compatibilita’ della decisione quadro sul mandato d’arresto europeo con il
principio generale dettato dall’art. 34, par. 2, lett. b), TUE (in relazione alla possibile
deviazione dalla tipica finalita’ di armonizzazione delle disposizioni legislative e
regolamentari assegnata a quello strumento di diritto derivato nell’ambito del terzo pilastro
comunitario), nonche’ alla compatibilita’ dell’art. 2 par. 2 decisione quadro – nella parte in
cui sopprime l’esigenza del controllo della doppia incriminazione - con i principi
fondamentali richiamati dall’art. 6, par. 2, TUE (in particolare, il principio di legalita’ in
materia penale ed il principio di eguaglianza e non discriminazione) .
A tale riguardo, nelle conclusioni presentate il 12 settembre 2006 dall’Avvocato
Generale M.Damaso Ruiz-Jarabo Colomer dinanzi alla Corte di Giustizia CE, le questioni
prospettate dalla Corte belga in sede di rinvio pregiudiziale sono state ritenute infondate,
osservandosi, in particolare, che il principio di legalita’ opera nel diritto penale sostanziale
come un imperativo per il legislatore, quando definisce i reati e fissa le pene
corrispondenti, e per il giudice, quando esamina i reati ed applica le pene nell’ambito di un
procedimento penale: la decisione quadro sul mandato d’arresto europeo, sotto questo
profilo, difficilmente potrebbe violarlo, poiche’ non istituisce nessuna pena, ne’ pretende di
armonizzare i sistemi penali degli Stati membri, ma si limita a strutturare –
assoggettandolo a ben determinate condizioni - un meccanismo di assistenza tra i
magistrati di diversi Paesi coinvolti in un procedimento, al fine di sottoporre a giudizio una
persona imputata di un reato, ovvero di farle scontare una condanna. Pertanto, l’arresto e la
messa a disposizione – quali azioni in cui si traduce l’esecuzione di un m.a.e. – non
rivestono propriamente carattere punitivo, mentre la certezza che il principio di legalita’
esige deve essere richiesta al diritto penale sostanziale dello Stato membro di emissione, e,
conseguentemente, al legislatore ed al giudice di quest’ultimo, nell’avviare un
procedimento penale e nel risolverlo, se del caso, con una condanna. Il giudice competente
per l’esecuzione e’ tenuto, infatti, a verificare che sussistano tutti gli elementi necessari al
fine di consegnare al giudice emittente la persona richiesta, senza addentrarsi nel merito
della questione, ed astenendosi dal valutare le prove e dal pronunziare un qualsiasi giudizio
di colpevolezza.
Eventuali squilibri applicativi nell’esecuzione del m.a.e., del resto, possono essere
risolti, secondo la prospettiva seguita dall’Avvocato Generale, attraverso il sistema delle
precauzioni appositamente introdotte dallo strumento comunitario, laddove si consente uno
scambio di informazioni ed una consultazione diretta tra i magistrati coinvolti, senza
dimenticare che, qualora permangano dubbi circa il significato dei concetti elencati
dall’art. 2, n. 2, della decisione quadro, la possibilita’ di una pronuncia in via pregiudiziale
ex art. 35 T.U.E. fornisce comunque il mezzo appropriato per giungere ad
un’interpretazione uniforme di quella disposizione normativa nell’ambito territoriale
dell’Unione europea.
Non emergono, inoltre, profili di diseguaglianza nell’applicazione della legge
allorche’ decisioni discordanti promanino da tribunali diversi che agiscono nel legittimo
esercizio della loro competenza a giudicare, non esigendo il principio di eguaglianza che
organi giurisdizionali indipendenti diano interpretazioni coincidenti.
In definitiva, secondo l’Avvocato Generale, la ragionevolezza e proporzionalita’
della misura appaiono indiscutibili poiche’ il distinto regime normativo introdotto dall’art.
2, n. 2, della decisione quadro non ha altro obiettivo se non quello di assicurare la
consegna della persona ricercata o condannata per un reato grave alle autorita’ di un
sistema giurisdizionale simile al proprio, che rispetta i principi dello Stato di diritto e
garantisce all’interessato l’osservanza dei suoi diritti fondamentali, ivi compresi quelli
operanti nel corso di un procedimento penale. Nell’elenco dell’art.2, n. 2, infatti, vengono
incluse categorie di reati che colpiscono gravemente beni giuridicamente tutelati e
meritevoli di una speciale protezione in Europa, comportamenti rispetto ai quali “la
verifica della doppia incriminazione appare superflua, poiche’ vengono ripudiati dalla
generalita’ degli Stati membri” (punto n. 93 delle conclusioni).
Anche a voler prescindere, poi, dalla specifica garanzia introdotta dall’art. 4, n. 7,
della decisione quadro in relazione all’esercizio extraterritoriale dello ius puniendi, il
duplice criterio previsto dalla decisione quadro (ossia, la natura della violazione e la
consistenza della pena) rende generalmente improbabile che uno Stato membro debba dare
esecuzione ad un mandato d’arresto europeo emesso per un fatto non perseguibile nel suo
ordinamento interno.
Nessuna incidenza significativa, dunque, emerge in relazione al principio di
eguaglianza, poiche’ non viene operata alcuna discriminazione nei confronti di un soggetto
in particolare, dovendosi eseguire ciascun mandato d’arresto europeo emesso per uno dei
reati previsti dall’art. 2, n. 2, della decisione quadro, a prescindere dalle condizioni
personali e sociali della persona interessata .
Come si vedra’ meglio piu’ avanti, la Corte di Giustizia CE, con una importante
pronuncia adottata il 3 maggio 2007, ha sostanzialmente accolto le conclusioni
dell’Avvocato Generale, ritenendo conforme l’art. 2, n. 2, della Decisione quadro ai
principi di legalita’, di eguaglianza e non discriminazione.
c) Una significativa espansione dei poteri interpretativi del giudice penale, unitamente ad
una decisa linea di indirizzo nel senso del rafforzamento degli attuali strumenti della
cooperazione giudiziaria nell’ambito del Terzo Pilastro, sembrano trarsi dalla motivazione
della recente sentenza della Corte di Giustizia sul caso cd. “Pupino”, ove si e’ statuito che
il giudice nazionale e’ tenuto ad interpretare il diritto interno, per quanto possibile, in
maniera conforme alla lettera ed allo scopo della Decisione quadro – che nel caso di
specie, addirittura, non era stata ancora attuata nell’ordinamento interno – al fine di
conseguire il risultato da quest’ultima perseguito .
La Corte di Giustizia, peraltro, non ha mancato di sottolineare che il principio di
interpretazione conforme di quell’atto di diritto derivato - il cui carattere vincolante, ex art.
34, par. 2, lett. b), T.U.E., appare non a caso tratteggiato in termini identici a quelli
descritti dall’art. 249, par. 3, TCE, in materia di direttive comunitarie – deve comunque
incontrare i suoi limiti nei principi generali del diritto, ed in particolare in quelli di certezza
del diritto e di non retroattivita’, riconducendo in tal modo la materia del cd. Terzo pilastro
nell’alveo di un’interpretazione logico-sistematica rispondente a canoni uniformi e validi
anche per quelle del primo Pilastro, a prescindere dalla specificita’ del settore – la tutela
delle vittime nel procedimento penale - nel cui ambito ricadeva il caso portato alla sua
attenzione.
Il principio in tal modo enunciato appare di grande rilievo poiche’ avvicina sensibilmente
lo status delle decisioni quadro – ossia del piu’ significativo degli strumenti del Terz
Pilastro – a quello delle direttive, accentuandone il distacco rispetto ai tradizionali
strumenti di diritto internazionale, i quali, come e’ noto, non penetrano nel diritto interno
degli Stati se non a seguito della loro ratifica e, comunque, di una legge che dia loro piena
esecuzione: le decisioni quadro, dunque, per espressa disposizione dell’art. 34 T.U.E., non
possono in alcun caso dispiegare effetti diretti nell’ordinamento, a differenza delle
direttive, ma il giudice penale, d’ora in poi, dovra’ farvi direttamente riferimento,
utilizzandole quale criterio ermeneutico del diritto vigente, anche in assenza di una loro
attuazione da parte del legislatore nazionale e, soprattutto, a seguito del loro recepimento
nell’ordinamento interno, permanendo quell’obbligo di interpretazione conforme anche in
relazione alla verifica del livello di compatibilita’ comunitaria della correlativa legge di
attuazione .
L’obbligo di interpretazione conforme, del resto, come viene nitidamente ricordato nelle
conclusioni dell’Avv. Generale Antonio Tizzano, presentate il 30 giugno 2005 dinanzi alla
Corte di Giustizia CE (C-144/04, Mangold c. Rudiger Helm), costituisce uno degli effetti
“strutturali” della norma comunitaria che consente, assieme allo strumento piu’ invasivo
dell’efficacia diretta, l’adeguamento del diritto interno ai contenuti ed agli obiettivi
dell’ordinamento comunitario; proprio in ragione di tale natura, secondo l’orientamento
costante della Corte di Giustizia, quell’obbigo s’impone con riguardo a tutte le fonti
dell’ordinamento, si traducano esse in norme primarie o di diritto derivato, in atti
produttivi di effetti giuridici vincolanti o non, arrivando a “lambire”
perfino le
raccomandazioni .
Sulla scia della pronuncia emessa dalla Corte di Giustizia nel menzionato caso “Pupino” si
colloca, inoltre, la pronuncia della House of Lords del 28 febbraio 2007 (Dabas v. High
Court of Justice, Madrid) sulla corretta interpretazione della legge britannica che ha attuato
la decisione quadro sul mandato d’arresto europeo (cd. Extradition Act 2003) .
I giudici inglesi hanno fatto applicazione del criterio ermeneutico dell’interpretazione
conforme, combinandone i presupposti logici e le correlative implicazioni pratiche con lo
scopo della decisione quadro, ossia quello di rimuovere le complessita’ ed i ritardi propri
delle pregresse pratiche estradizionali nell’ambito di un sistema di circolazione delle
decisioni giudiziarie fondato sull’innovativo principio del reciproco riconoscimento.
Muovendo da tale impostazione, dunque, si e’ ritenuto che l’imposizione da parte di uno
Stato membro di formalita’ ulteriori (nel caso di specie, l’allegazione di un certificate da
parte dello Stato richiedente in ordine alla tipologia ed alla sanzione edittale del reato
oggetto del mandato d’arresto) rispetto a quelle stabilite dalla decisione quadro, avrebbe
determinato l’introduzione di un requisito tecnico in grado di frustrare la comune volonta’
di un unico form di ordine di arresto accettato da tutti gli Stati membri dell’U.E. .
Le norme rilevanti dell’Extradition Act 2003 sono state, invece, correttamente interpretate
sul presupposto che l’intenzione del legislatore interno non poteva essere quella di adottare
una legge incompatibile con lo strumento della decisione quadro, ne’ di ostacolare i
rapporti di cooperazione tra il Regno Unito e gli altri Stati membri dell’U.E. .
Sotto questo profilo e’ risultata evidente, allora, la superfluita’ di un documento attestativo
diverso e separato rispetto al mandato d’arresto, mentre la firma dell’autorita’ emittente,
seguendo la stessa prospettiva ermeneutica, e’ apparsa senz’altro idonea ad offrire garanzie
sufficienti circa l’accuratezza delle informazioni contenute nella richiesta di consegna,
soddisfacendo sia le esigenze di verifica previste dalla normativa interna, sia le finalita’
sottostanti allo strumento comunitario che si e’ inteso attuare nell’ordinamento britannico.
La regola interpretativa, cosi’ enunciata, riposa, del resto, sul solido fondamento
rappresentato dal principio di leale cooperazione cui tutti gli Stati membri sono tenuti ai
sensi dell’art. 10 TCE: nonostante la base propriamente ”comunitaria” della disposizione di
cui all’art. 10, la natura generale del vincolo ivi stabilito copre anche la dimensione
propriamente “intergovernativa” e si estende, pertanto, sia pure indirettamente, anche
all’attivita’ giurisdizionale, poiche’, come riconosciuto dalla stessa Corte di Giustizia nel
caso “Pupino”, risulterebbe ben difficile per gli Stati membri dell’Unione europea
adempiere efficacemente alla loro missione nel contesto del processo di integrazione, se il
principio di leale cooperazione non si imponesse anche nelle materie proprie del c.d. Terzo
pilastro .
Si e’ gia’ avuto modo di osservare, peraltro, che una importante valorizzazione del canone
dell’interpretazione conforme emerge dall’ampio iter motivazionale della pronuncia resa
dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione in ordine alla delimitazione della portata
applicativa del motivo di rifiuto stabilito dall’art. 18, lett. e), della legge n. 69/2005: in quel
caso, infatti, la valutazione comparativa che il giudice nazionale e’ chiamato ad effettuare
deve svolgersi in “concreto”, all’esito di un’analisi che convolge direttamente il quadro
delle garanzie de libertate ricavabili dalla complessiva analisi della legislazione dello Stato
richiedente.
Tende a verificarsi, in tal modo, un doppio circuito “virtuoso” nel dialogo, ormai sempre
piu’ serrato, tra le Corti europee e le giurisdizioni nazionali: da un lato, l’enucleazione di
un canone ermeneutico generale, in grado di “conformare” la fase “discendente”
dell’adeguamento normativo e l’evoluzione stessa dei rapporti di cooperazione giudiziaria
nel senso del rispetto degli obblighi comunitari lato sensu intesi, dall’altro la circolazione
tra gli organi giudiziari nazionali di un procedimento interpretativo felicemente imperniato
sulla base di criteri direttivi uniformi, idonei in quanto tali ad alimentare il bisogno di
“certezza” del dettato normativo comunitario e la stessa efficacia delle relazioni
intergiurisdizionali nelle materie del terzo pilastro.
25. Segue: “Legittimita’ comunitaria” del mandato d’arresto europeo e principio di
legalita’ penale: l’intervento della Corte di Giustizia. - Con la sentenza del 3 maggio
2007, resa nell’ambito del procedimento C – 305/05 inerente alla domanda di pronuncia
pregiudiziale sollevata ex art. 35 T.U.E. dall’Arbitragehof del Regno del Belgio il 13 luglio
del 2005, la Corte di Giustizia delle Comunita’ europee ha preso per la prima volta
posizione su alcuni aspetti centrali della Decisione quadro del Consiglio dell’Unione
europea (2002/584/GAI) del 13 giugno 2002, relativa al nuovo istituto del mandato
d’arresto europeo e delle procedure di consegna tra gli Stati membri, entrata in vigore il 7
agosto 2002 .
Un rilievo preliminare s’impone riguardo al dato oggettivo dell’uso generalizzato e della
sempre piu’ diffusa consapevolezza dell’efficacia della nuova procedura nell’ambito dello
spazio territoriale europeo.
L’applicazione del nuovo sistema di consegna, che ha sostituito la procedura estradizionale
nei rapporti tra gli Stati membri dell’Unione europea, e’ ormai generalizzata, nonostante le
iniziali difficolta’ di recepimento nell’ambito di talune legislazioni nazionali : i piu’ recenti
dati statistici messi a disposizione dagli Stati membri ne dimostrano l’indubbia efficacia,
consentendo alle autorita’ giudiziarie di ottenere agevolmente, ed in tempi vincolanti ed
assai piu’ rapidi rispetto alle tradizionali procedure estradizionali, la materiale consegna
delle persone ricercate .
Basti solo pensare che, secondo l’ultimo rapporto della Commissione europea
sull’attuazione della Decisione quadro in oggetto, la durata media di esecuzione di una
richiesta e’ passata da circa un anno a circa sei settimane, o, addirittura, ad undici giorni
nei casi – abbastanza frequenti – in cui la persona acconsente alla sua consegna . E’ assai
raro, inoltre, il ricorso alle garanzie speciali esigibili, ex art. 5 della Decisione quadro, in
caso di giudizio in absentia ovvero di condanna a vita, mentre piuttosto frequente si e’
rivelata la consegna di cittadini, o residenti, dello Stato membro di esecuzione (oltre un
quinto delle persone consegnate nel 2005 all’interno dell’U.E. erano cittadini dello Stato
membro che ha acconsentito a consegnarli, mentre solo nella meta’ dei casi e’ stata
richiesta una garanzia ai sensi dell’art. 5, par. 3, della Decisione quadro).
Le questioni pregiudiziali sollevate dalla Corte Costituzionale belga riguardavano, come si
e’ accennato sopra, l’asserita incompatibilita’ della impugnata Decisione quadro sia
rispetto all’art. 34, n. 2, lett. b), T.U.E. (a norma del quale le decisioni quadro possono
essere adottate solo per il ravvicinamento delle disposizioni legislative e regolamentari
degli Stati membri), sia rispetto all’art. 6, n. 2, T.U.E. (con riguardo ai principi di legalita’
in materia penale e di eguaglianza e non discriminazione, implicitamente garantiti dalla
disposizione del Trattato, ma posti in dubbio dalla soppressione del tradizionale requisito
della doppia incriminazione per una serie di reati elencati nell’art. 2, n. 2, della su citata
Decisione quadro).
In ordine alla prima questione pregiudiziale, la Corte di Giustizia ha osservato che il
ravvicinamento delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri puo’
avvenire, attraverso la scelta dello strumento della decisione quadro, anche in relazione a
settori diversi da quelli esplicitamente previsti nell’art. 31, n. 1, lett. e), T.U.E. (ossia, la
fissazione di norme minime relative agli elementi costitutivi dei reati ed alle sanzioni
applicabili in tema di criminalita’ organizzata, terrorismo e traffico illecito di stupefacenti),
ed investire dunque anche la materia del mandato d’arresto europeo.
La tipologia dello strumento normativo cui le istituzioni comunitarie possono fare ricorso
per perseguire le finalita’ di ordine generale indicate dagli artt. 2, par. 1, quarto trattino e
29, par. 1, T.U.E. (ossia, un’azione comune degli Stati membri nei settori della
cooperazione giudiziaria in materia penale, al fine di garantire ai cittadini un elevato livello
di sicurezza nello spazio comune di liberta’, sicurezza e giustizia) non risulta, ad avviso del
giudice comunitario, esplicitamente indicata dall’art. 31, n.1, lett. a) e b), T.U.E., laddove,
sotto altro profilo, l’art. 34, n.2, T.U.E. non stabilisce alcun ordine di priorita’ tra le
possibili tipologie di atti (convenzione, decisione, decisione quadro) al riguardo
utilizzabili, limitandosi a stabilire, in linea generale, che spetta al Consiglio dell’U.E.
adottare misure e promuovere la cooperazione finalizzata al conseguimento degli obiettivi
dell’Unione, ed autorizzando conseguentemente il Consiglio ad adottare i diversi tipi di atti
elencati nel n. 2, lett. a) – d), tra i quali figurano appunto le decisioni quadro e le
convenzioni.
Seguendo il percorso argomentativo tracciato dal giudice comunitario v’e’ da osservare,
inoltre, che un significativo elemento di conforto della validita’ di tale approdo
ermeneutico puo’ trarsi anche dal disposto di cui all’art. 31, n. 1, lett. c), T.U.E., il quale
stabilisce che l’azione comune e’ altresi’ diretta a conseguire la “garanzia della
compatibilita’ delle normative applicabili negli Stati membri, nella misura necessaria per
migliorare” la cooperazione giudiziaria nel settore penale, senza operare alcuna distinzione
tra i diversi tipi di atti che possono essere utilizzati ai fini del ravvicinamento delle
disposizioni degli Stati membri.
A tale riguardo, peraltro, non puo’ non rilevarsi come l’intervenuta modifica dell’art. 29,
par. 2, T.U.E., per effetto dell’art. 1, par. 7, del Trattato di Nizza, abbia sensibilmente
allargato l’ambito delle modalita’ attraverso cui le istituzioni comunitarie possono
sviluppare quell’azione comune oggettivamente finalizzata, ex art. 29, par. 1, T.U.E., a
garantire ai cittadini dell’Unione l’effettivita’ dell’obiettivo inerente alla creazione di uno
spazio di liberta’, sicurezza e giustizia: accanto alla cooperazione tra le forze di polizia ed
al ravvicinamento, ove necessario, delle normative degli Stati membri in materia penale, e’
stata espressamente inserita, infatti, a seguito del Consiglio europeo di Tampere del 15
ottobre 1999, l’esigenza di ”una piu’ stretta cooperazione tra le autorita’ giudiziarie e
altre autorita’ competenti degli Stati membri, anche tramite l’Unita’ europea di
cooperazione giudiziaria (Eurojust), a norma degli articoli 31 e 32” .
Il principio del mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie – del quale, come e’ noto,
il nuovo istituto del mandato d’arresto europeo e della procedura di consegna tra gli Stati
membri ha rappresentato la prima concretizzazione storica – costituisce il fondamento
stesso della cooperazione giudiziaria penale ed e’ stato per la prima volta delineato nel §
33 delle conclusioni adottate dal Consiglio europeo di Tampere del 15 ottobre 1999 .
Il testo delle conclusioni del Consiglio di Tampere enuclea il principio del mutuo
riconoscimento e ne struttura le basi concettuali muovendo essenzialmente dal riferimento
al paradigma normativo dell’art. 31, par. 1, lett. a), T.U.E., che espressamente ricomprende
nell’ambito dell’azione comune relativa al settore della cooperazione giudiziaria penale
proprio i profili della “facilitazione” e dell’ “accelerazione” della “cooperazione tra i
ministeri competenti e le autorita’ giudiziarie o autorita’ omologhe degli Stati membri……
….in relazione ai procedimenti e all’esecuzione delle decisioni”. Si tratta, dunque, di
un’area d’intervento nel cui ambito viene oggettivamente a ricadere lo strumento del
mandato d’arresto europeo (che l’art. 1 della Decisione quadro in oggetto, adottato alla
luce degli artt. 31, n. 1, lett. a) e b) e 34, n. 2, lett. b), T.U.E., significativamente definisce
come “una decisione giudiziaria emessa da uno Stato membro in vista dell’arresto e della
consegna da parte di un altro Stato membro di una persona ricercata ai fini dell’esercizio di
un’azione penale o dell’esecuzione di una pena o una misura di sicurezza privative della
liberta’ “) .
Il principio – la cui applicazione ormai e’ stata estesa a tutte le tipologie dei provvedimenti
giurisdizionali, provvisori e definitivi, cautelari e finali, ad personam ovvero in rem - si
fonda, da un lato, sulla fiducia che i vari Stati membri hanno il dovere di riporre nei
rispettivi ordinamenti giuridici e nelle relative strutture giudiziarie, ed appare, dall’altro
lato, strettamente connesso, nelle sue concrete potenzialita’ applicative, all’incremento
degli indici di omogeneita’ delle legislazioni processuali degli Stati membri.
Proprio questa sembra essere la prospettiva entro cui si colloca la ratio decidendi che ha
ispirato il giudice comunitario nella pronuncia in esame, allorquando, nel delimitare
l’oggetto della Decisione quadro, fa chiaramente riferimento (nel punto n. 29 della
motivazione) al fatto che il reciproco riconoscimento dei mandati d’arresto emessi dalle
autorita’ giudiziarie dei vari Stati membri richiede il ravvicinamento delle normative degli
Stati membri in materia di cooperazione giudiziaria penale, ed in particolare delle norme
relative alla cornice generale dei meccanismi di funzionamento e delle modalita’ operative
del nuovo istituto processuale, ossia quelle inerenti alle condizioni, alle procedure ed agli
effetti della consegna tra le autorita’ nazionali.
E’ proprio questo, infatti, come correttamente precisa la Corte, l’oggetto della Decisione
quadro in esame (ossia, l’individuazione delle categorie di reato sottratte al controllo della
doppia incriminazione, i motivi di non esecuzione obbligatoria o facoltativa del mandato, il
contenuto e la forma del mandato, le sue modalita’ di trasmissione, le garanzie difensive, i
termini della decisione di esecuzione e della consegna, ecc.), il cui perimetro viene
individuato collegando la portata innovativa del principio del reciproco riconoscimento
delle decisioni giudiziarie alle prospettive – ad esso non contrapposte, ma strettamente
complementari – legate all’attivita’ di armonizzazione delle disposizioni normative
“interne” dei vari sistemi nazionali.
Del resto, nelle stesse conclusioni dell’Avvocato Generale Ruiz-Jarabo Colomer,
presentate il 12 settembre 2006, si poneva chiaramente in risalto questo aspetto, laddove si
aveva modo di osservare (in particolare, nei punti n. 49 e n. 50) che vengono armonizzate
nella decisione quadro le modalita’ di arresto e di consegna vigenti in ciascuno Stato
membro, al fine di favorire la cooperazione tra le autorita’ giudiziarie nazionali: all’interno
di un contesto normativo in via di profondo rinnovamento, e retto sostanzialmente sul
principio della reciproca fiducia tra gli ordinamenti, il sostegno alla cooperazione
giudiziaria non viene offerto, quindi, attraverso il concorso di volonta’ diverse, ma
mediante uno strumento normativo comune – ossia, la decisione quadro – in cui vengono
delineati i comportamenti che invitano gli Stati membri a cooperare.
L’effetto armonizzatore della decisione quadro appare, dunque, funzionale alla creazione
dell’indispensabile uniformita’ di base normativa tra i rispettivi sistemi nazionali per
attribuire ai mandati d’arresto – istituti tradizionali del diritto processuale penale nazionale
– quella nuova capacita’ di “circolazione” con effetti transfrontalieri, che si realizza nelle
evenienze e nel rispetto delle condizioni espressamente regolate in quell’atto normativo.
Se, da un lato, la prospettiva del ravvicinamento non appare affatto esclusa dalle finalita’
dello strumento normativo prescelto in questo caso dalle istituzioni comunitarie, e se,
dall’altro, la connessa prospettiva del reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie
penali risulta immanente alla evoluzione stessa delle forme e dei meccanismi dei rapporti
della cooperazione giudiziaria, deve ritenersi, allora, connaturale alle competenze degli
organi decisionali del III Pilastro un certo margine di discrezionalita’ nella scelta della
tipologia di strumento piu’ idonea al conseguimento degli obiettivi dell’Unione, alla
stregua del dettato normativo di cui all’art. 34, par. 2, T.U.E. .
Le stesse, fallimentari, esperienze legate alla mancata definizione delle procedure di
ratifica delle precedenti Convenzioni europee in materia di estradizione (in particolare, la
Convenzione relativa alla procedura semplificata di estradizione tra gli Stati membri
dell’U.E. del 10 marzo 1995 e la Convenzione relativa all’estradizione tra gli Stati membri
dell’Unione europea del 27 settembre 1996, entrambe concluse in forza dell’art. K.3, n. 2,
lett. c),T.U.E., che costituiva il diretto antecedente storico del vigente art. 34, n. 2, lett. d),
T.U.E.) hanno verosimilmente orientato le istituzioni comunitarie nel senso della scelta di
uno strumento giuridico maggiormente flessibile rispetto al tradizionale schema
convenzionale, la decisione quadro appunto, in grado di obbligare gli Stati membri a
raggiungere i risultati prefissati entro un determinato limite temporale, salva restando la
competenza delle autorita’ nazionali in merito alla scelta della forma e dei mezzi (ex art.
34, par. 2, lett. b), T.U.E.).
La decisione quadro, infatti, in virtu’ dell’espressa disposizione normativa su richiamata, e’
di per se’ priva di efficacia diretta e non puo’ costituire oggetto di una procedura di
infrazione contro lo Stato inadempiente, pur vincolando oggettivamente lo Stato membro
alla sua efficace attuazione rispetto allo scopo prefissato, e pur esercitando un indubbio
effetto vincolante anche per il giudice nazionale, che e’ tenuto ad interpretare la norma
interna in conformita’ alle disposizioni in essa contenute .
Sotto altro, ma connesso, profilo, del resto, la centralita’ del passaggio motivazionale
inerente al collegamento dal giudice comunitario operato tra le due fondamentali
prospettive del mutuo riconoscimento e dell’armonizzazione delle normative puo’ ancor
piu’ efficacemente cogliersi ove si consideri l’indubbia rilievanza di talune enunciazioni di
principio contenute nell’articolato del Trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa
(in particolare, gli artt. I-42, § 1 e III-270, § 1), laddove l’esigenza del ravvicinamento
delle legislazioni penali, sostanziali e processuali, viene ad aggiungersi al principio del
reciproco riconoscimento, al fine di facilitarne l’applicazione, “laddove necessario”, in
relazione a determinate sfere di criminalita’, considerate particolarmente gravi in ragione
della loro dimensione transnazionale (ad es., riciclaggio di capitali, corruzione, terrorismo,
criminalita’ organizzata, ecc.).
Se l’attuale processo di riforma dei trattati comunitari non si discostera’ da questa
fondamentale linea di indirizzo, recuperando
dunque le positive implicazioni
dell’originaria intuizione delle conclusioni n. 33 s. del Consiglio europeo di Tampere,
risultera’ ancor piu’ evidente che la funzione delle misure di armonizzazione delle
legislazioni penali, all’interno di un’Europa ormai “allargata” al territorio di ventisette Stati
membri, e’ quella di sostenere ed accompagnare l’applicazione del principio del mutuo
riconoscimento delle decisioni giudiziarie, vale a dire di consolidare le condizioni di quella
necessaria confiance mutuelle attraverso uno “zoccolo” comune di norme minime senza la
cui previsione lo stesso mutuo riconoscimento sarebbe in concreto difficilmente
realizzabile .
E’, dunque, la fecondita’ delle prospettive legate alla piena attuazione degli strumenti del
reciproco riconoscimento (non solo il mandato d’arresto europeo, ma anche l’ordine di
congelamento e sequestro dei beni in funzione probatoria e preventiva, l’ordine europeo di
confisca, il mandato europeo di ricerca ed acquisizione delle fonti di prova, ecc.) a
costituire, in definitiva, il “volano” di una nuova dimensione della cooperazione giudiziaria
penale, sempre piu’ incentrata su forme di consegna “non estradizionale” e su meccanismi
e modelli di assistenza giudiziaria “non rogatoriale” .
In ordine alla seconda questione pregiudiziale, la Corte di Giustizia ha significativamente
riconosciuto che l’art. 2, n. 2, della Decisione quadro posta al suo vaglio, nella parte in cui
sopprime il tradizionale requisito della doppia incriminazione per le trentadue categorie di
reato ivi elencate, non determina alcuna violazione del principio di legalita’ dei reati e
delle pene, atteso che la definizione degli stessi e delle sanzioni applicabili continua a
rientrare nella competenza dello Stato membro emittente, il quale e’ tenuto a rispettare i
diritti fondamentali ed i fondamentali principi giuridici sanciti dall’art. 6 T.U.E., tra i quali
e’ indubbiamente ricompreso anche il principio di legalita’ dei reati e delle pene
(espressamente previsto, in particolare, dall’art. 7 della Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali, e ribadito, da ultimo,
dall’art. 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il
7 dicembre 2000, cui la Corte di Giustizia, dunque, mostra di attribuire un’implicita
valenza normativa) .
Inoltre, ad avviso del giudice comunitario, l’individuazione delle fattispecie di reato
elencate nell’art. 2, n. 2, non comporta alcuna violazione dei principi di eguaglianza e di
non discriminazione, trattandosi di condotte che, per la loro natura e per l’entita’ della pena
comminata, ben possono giustificare l’introduzione di un meccanismo di consegna
obbligatoria basato sulla soppressione del requisito della doppia incriminazione.
In ordine alla dedotta lesione dei principi di eguaglianza e non discriminazione, in
relazione ai reati diversi da quelli oggetto dell’art. 2, n. 2, della Decisione quadro (per i
quali la consegna del ricercato puo’ esser subordinata alla condizione che i fatti
costituiscano un reato nell’ordinamento dello Stato di esecuzione), si e’ infine osservato,
ribadendo una consolidata giurisprudenza comunitaria, che l’applicazione di quegli stessi
principi generali impone di non disciplinare in maniera diversa situazioni analoghe e di
non trattare allo stesso modo situazioni diverse, a meno che tale trattamento non risulti
obiettivamente giustificato.
Nel caso di specie, la scelta operata dal legislatore comunitario nel senso dell’eliminazione
dell’obbligo di controllo della doppia incriminazione per un ampio catalogo di reati
espressamente elencati nella Decisione quadro e’ apparsa oggettivamente giustificata non
solo in base alla specifica rilevanza del principio del reciproco riconoscimento delle
decisioni giudiziarie (tenuto conto dell’elevato livello di fiducia e solidarieta’ che
caratterizza il rapporto tra gli Stati membri), ma in ragione della loro stessa natura e della
rilevante gravita’ del trattamento sanzionatorio applicabile a quelle categorie di reati,
ritenuti, pertanto, sicuramente idonei ad arrecare all’ordine ed alla sicurezza pubblici un
tale pregiudizio da giustificare la rinuncia all’obbligo di controllo della doppia
incriminazione.
Per quel che attiene al punto di tensione tra la dedotta soppressione del controllo della
doppia incriminazione ed i principi di legalita’, eguaglianza e non discriminazione, il
presupposto di fondo da cui muove la sequenza dei, pur scarni, passaggi argomentativi
della pronuncia in esame e’ significativamente enunciato dalla Corte di Giustizia nei §§ 52
e 59, laddove chiaramente si esclude che la Decisione quadro sul mandato d’arresto
europeo abbia ad oggetto un’attivita’ di armonizzazione sostanziale degli elementi
costitutivi dei reati e delle correlative sanzioni applicabili.
Pur essendo senz’altro auspicabile, anche sul piano strettamente logico-sistematico, il
raggiungimento dell’obiettivo di una sostanziale omogeneita’ dei contenuti e del
trattamento sanzionatorio delle fattispecie penali di “interesse” comunitario (quanto meno,
di quelle individuate nell’ampio catalogo di cui all’art. 2, n. 2, della Decisione quadro sul
mandato d’arresto, la cui elencazione e’ stata poi generalmente replicata anche negli altri
strumenti del mutuo riconoscimento ), nessuna disposizione del Titolo VI del T.U.E.
condiziona, tuttavia, l’applicazione degli strumenti del mutuo riconoscimento delle
decisioni giudiziarie alla preventiva definizione delle attivita’ di armonizzazione delle
legislazioni penali degli Stati membri.
La comune radice da cui derivano gli istituti dell’estradizione e del mandato d’arresto
europeo non puo’ comunque “oscurare” il rilievo della loro sostanziale rispondenza a
schemi assiologici distinti e solo parzialmente coincidenti, nei loro obiettivi di consegna di
una persona accusata o condannata alle autorita’ di un altro Stato membro affinche’ venga
processata o sconti la pena che le e’ stata inflitta : all’interno di un contesto normativo
interamente “giurisdizionalizzato”, il petitum estradizionale, infatti, viene sostituito da
un’eurordinanza circolante nello spazio giudiziario europeo senza exequatur o altre
procedure di conversione, prefigurando in tal modo una forma di ultraterritorialita’ delle
giurisdizioni statali , di cui costituiscono piena espressione, in particolare, le disposizioni
degli artt. 9 e 10 della Decisione quadro (in base alle quali l’autorita’ giudiziaria di uno
Stato membro emette, riceve ed esegue direttamente la decisione giudiziaria denominata
mandato d’arresto europeo, laddove la funzione delle autorita’ centrali viene
sostanzialmente circoscritta ad un ruolo marginale – anche se non certo irrilevante – di
supporto pratico ed amministrativo).
Se, dunque, ci si muove nella diversa prospettiva di un assetto normativo profondamente
rinnovato e basato sui principi del reciproco riconoscimento e della libera circolazione
delle decisioni giudiziarie, i tradizionali requisiti della reciprocita’ e della doppia
incriminazione si “trasformano”, senza peraltro scomparire dalla scena (v., ad es., l’art. 2,
n. 4, della Decisione quadro in oggetto): essi vengono, infatti, “presupposti” quando si
tratta di determinate condotte delittuose – quelle, cioe’, direttamente o potenzialmente
lesive di beni-interessi ritenuti meritevoli di speciale protezione all’interno dello spazio
territoriale europeo – per le quali, proprio in quanto tipizzate e gravemente sanzionate nella
generalita’ degli Stati membri (oltre che soggette ad una massiccia opera di
armonizzazione sia nella dimensione intergovernativa del III Pilastro, sia in quella piu’
propriamente “comunitaria” ), la verifica della sussistenza del requisito della doppia
incriminazione e’ stata ritenuta superflua dal legislatore europeo .
Nell’ambito della nuova procedura di consegna, la deroga al requisito della doppia
incriminazione opera in senso obbligatorio per le categorie di reato enumerate nella lista di
cui all’art. 2, par. 2, della Decisione quadro, mentre e’ azionabile in via facoltativa nelle
altre ipotesi .
Ad un’analoga revisione, del resto, risulta significativamente sottoposta la connessa
materia dei motivi di rifiuto della consegna, che appaiono limitati nel numero e sfrondati di
ogni margine discrezionale di tipo politico.
E’ allora evidente che se, come appare corretto, si mantengono distinte le – pur tra loro
strettamente connesse - prospettive della cooperazione e degli obblighi di armonizzazione
delle fattispecie di reato, il rafforzamento della prima attraverso l’innesto di una nuova
disciplina processuale – come, appunto, quella del mandato d’arresto europeo – “non
implica automaticamente, quale condizione od effetto, l’unificazione del diritto penale dei
diversi Stati parte” .
La strumentalita’ delle procedure di arresto e consegna delle persone ricercate all’esercizio
della giurisdizione ed alla efficace attivazione del potere punitivo da parte dello Stato cui
appartiene l’autorita’ giudiziaria emittente il mandato permane anche all’interno del nuovo
sistema processuale delineato dal legislatore europeo: alla relazione tra gli Stati si e’
sostituita quella diretta tra le autorita’ giudiziarie coinvolte nel caso, ma la distinzione tra il
potere coercitivo di cattura e consegna e quello stricto sensu punitivo – cui il primo appare
logicamente connesso nell’adempimento degli obblighi internazionali o comunitari di
collaborazione – continua a mantenere ancor oggi tutto il suo significato, esprimendo i
termini di un rapporto dialogico che vede interamente riservata alla legislazione penale
dello Stato richiedente la descrizione dei contorni e dei contenuti del “fatto” sussumibile
all’interno di una determinata figura di reato.
Non si pone, dunque, nel nuovo sistema introdotto dalla Decisione quadro, un problema di
carenza di tassativita’ o determinatezza delle fattispecie incriminatrici, sia in quanto la
finalita’ di armonizzazione sostanziale e’ estranea alla ratio che ha ispirato la messa in
opera dell’istituto, sia in quanto, muovendo dalla distinzione da ultimo tratteggiata,
l’ambito naturale della “esecuzione” della cattura e del suo “controllo sufficiente” da parte
dell’autorita’ giudiziaria dello Stato richiesto rimane quello del processo, che va mantenuto
concettualmente e giuridicamente separato “da quello dei suoi presupposti di diritto penale
sostanziale, riferibili all’ordinamento dello Stato richiedente” .
Rimanendo strettamente ancorata alla logica dei rapporti di cooperazione giudiziaria, la
Corte di Giustizia, dunque, fa correttamente rientrare nella sfera di competenza propria
dello Stato membro emittente la qualita’ del modello definitorio della fattispecie di reato e
la dosimetria del relativo trattamento sanzionatorio, non senza rimarcare, alla luce dell’art.
1, n. 3, della Decisione quadro, l’ineludibile esigenza del rispetto – nella legislazione dello
Stato richiedente – dei diritti fondamentali e dei fondamentali principi giuridici stabiliti
dall’art. 6 T.U.E., tra cui rientra, come si e’ detto, anche il principio di legalita’ dei reati e
delle pene.
Non dissimile, del resto, appare, anche sotto tale specifico profilo, la prospettiva seguita
dall’Avvocato Generale, secondo cui la certezza che il principio di legalita’ esige deve
richiedersi propriamente al diritto penale sostanziale dello Stato di emissione, poiche’ un
mandato d’arresto correttamente emesso deve fondarsi su fatti qualificati come reato dalla
sua legislazione, mentre l’ordinamento penale dello Stato di esecuzione e’ semplicemente
tenuto a prestare la richiesta opera di collaborazione, distinguendo l’evenienza regolata
dall’art. 2, n. 2, della Decisione quadro (ipotesi in cui il rispetto del principio di legalita’ e’
comunque assicurato) da quella prevista dall’art. 2, n. 4 (ove, se la normativa di
trasposizione dello strumento lo consente, e’ possibile, se del caso, subordinare la
consegna del ricercato alla condizione che il fatto per il quale e’ stato emesso il mandato
sia previsto e punito anche in base al suo ordinamento) .
Occorre, peraltro, considerare che l’opposizione di possibili “controlimiti” all’esercizio di
un potere punitivo carente del necessario sostrato garantistico dei principi giuridici e dei
diritti fondamentali richiamati dall’art. 6 T.U.E. discende dalle stesse modalita’ di
applicazione della Decisione quadro, che proprio sul dichiarato obbligo della loro
osservanza da parte degli Stati membri solennemente si fonda (in particolare, ex art. 1, n. 3
e nel considerandum n. 12), delineando altresi’, a tutela dell’interessato, un articolato
sistema di motivi di non esecuzione, obbligatoria e facoltativa, e di garanzie speciali che lo
Stato emittente deve fornire in determinate situazioni (ex artt. 3, 4, 5 e 15 della Decisione
quadro, che consente, se del caso, di richiedere allo Stato emittente le necessarie
informazioni complementari prima di adottare una decisione sulla consegna).
A tale riguardo, e’ opportuno rilevare come la Corte di Cassazione, ai fini dell’esecuzione
del mandato d’arresto europeo, abbia di recente ritenuto decisivo il riferimento,
nell’ordinamento dello Stato di emissione, ai canoni del giusto processo quali definiti dalle
Carte sovranazionali, ed in particolare dall’art. 6 della Convenzione europea dei diritti
dell’uomo e delle liberta’ fondamentali, al quale si richiama l’art. 111 Cost., e non il fatto
che le norme processuali dello Stato estero, relative ai principi di oralita’ e del
contraddittorio, appaiano meno soddisfacenti di quelle dell’ordinamento italiano: vanno
dunque escluse interpretazioni che, subordinando l’esecuzione del mandato alla sostanziale
coincidenza delle regole sulla formazione della prova applicate nello Stato di emissione,
contrasterebbero con gli obblighi derivanti dall’art. 34, par. 2, lett. b), T.U.E., e con lo
stesso principio del mutuo riconoscimento, di cui la nuova procedura rappresenta la prima,
concreta, espressione (ai sensi del considerando n. 6) .
Non a caso, del resto, figura nell’iter motivazionale seguito dalla Corte di Giustizia un
esplicito, e piu’ volte ribadito, richiamo al principio di legalita’ dei reati e delle pene di cui
all’art. 7 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali.
Sotto tale profilo, infatti, non si e’ mancato di osservare in dottrina, ed il rilievo appare
ampiamente condivisibile, che non solo il principio di legalita’ penale fa parte del diritto
europeo primario, in quanto cristallizzato nella norma convenzionale su richiamata e
specificato successivamente nelle Costituzioni dei Paesi dell’Unione, si’ da obbligare al
suo rispetto gli eventuali atti normativi europei in materia penale ed ogni fonte penale
nazionale attuativa del diritto comunitario e/o dell’Unione europea, ma e’ la stessa
elaborazione giurisprudenziale della Corte europea dei diritti dell’uomo a riempire di
contenuti il superiore principio di garanzia della legalita’ penale, condizionando
positivamente, e nel profondo, i sistemi giuridici dei Paesi membri e le relative prassi,
nonche’ “valorizzando i profili “astorici” di determinatezza, accessibilita’, prevedibilita’,
irretroattivita’ della norma penale e dello stesso diritto penale vivente di fonte
giurisprudenziale” .
Se e’ vero, inoltre, che la garanzia offerta dall’art. 7 della Convenzione europea dei diritti
dell’uomo – anche in ragione della diversita’ di tradizioni giuridiche dei Paesi aderenti al
Consiglio d’Europa, alcuni dei quali, come e’ noto, si fondano su sistemi di common law –
non sembra inglobare in se’ la dimensione “formale” della legalita’ penale - che nei sistemi
di diritto continentale e’ espressa dal principio della riserva di legge – e’ pur vero che la
giurisprudenza della Corte europea ha da sempre individuato il fondamento sostanziale del
principio di cui all’art. 7 nell’esigenza di assicurare la ragionevole prevedibilita’ della
condanna penale al momento della commissione del fatto, ne’ ha esitato a ritenere
sussistente un vulnus al principio in ipotesi di mutamenti giurisprudenziali in malam
partem dai quali derivi la condanna dell’imputato per fatti privi di rilievo penale in base al
precedente indirizzo giurisprudenziale .
Peraltro, la specifica rilevanza del richiamo operato dalla Corte di Giustizia alla
disposizione di cui all’art. 7 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle liberta’
fondamentali – richiamo cui appare strettamente connessa la necessaria valutazione della
congruita’ dei modelli definitori delineati dal diritto dello Stato membro emittente con
riguardo alle fattispecie di reato ed al correlativo trattamento sanzionatorio - puo’ meglio
apprezzarsi da un’ulteriore angolazione visuale, ove si consideri la tendenza della
giurisprudenza della Corte di Strasburgo a “disancorare” le misure estradizionali dal
nucleo di garanzie offerto dall’art. 7, sul presupposto che la nozione di “condanna” non
ricomprende propriamente la decisione di estradare un individuo .
E’ opportuno infine osservare, ad ulteriore riprova della linea di tendenza ormai
decisamente impressa al percorso evolutivo della giurisprudenza comunitaria, come anche
in altre recenti pronunzie la Corte di Giustizia abbia fatto leva sul fondamentale principioguida della reciproca fiducia degli Stati contraenti nei confronti dei loro rispettivi sistemi
di giuistizia penale, per affermare che ciascuno di essi deve accettare l’applicazione del
diritto penale vigente negli altri, anche quando il ricorso al proprio diritto nazionale
condurrebbe a soluzioni diverse .