DOMENICA DELLE PALME Anno A Mt 21, 1-11. 26,14-27,66 La lunga narrazione della passione è preceduta, nella liturgia odierna, dalla commemorazione dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme. L’evento è narrato da tutti gli evangelisti: al termine del suo ministero Gesù giunge nella città santa e vi fa il suo ingresso nella cornice della solenne liturgia della festa delle Tende, con la sua processione al tempio e l’agitazione del lulab, il mazzo composto di rami di palme, mirti e salici. La festa, che esprimeva l’attesa messianica del popolo, diventa lo scenario ideale per leggere gli eventi successivi nella prospettiva della storia della salvezza: in Gesù di Nazareth si compiono le attese di Israele; egli è il re della casa di Davide venuto a liberare il suo popolo. Matteo conferisce un’impronta tutta sua al materiale della tradizione sinottica e lo fa attraverso la prospettiva teologica che gli è propria: quella della realizzazione della parola dei profeti1 . nel nostro caso si tratta di una duplice citazione che ha il fine di evidenziare il messianismo umile di Gesù. Esulta grandemente figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d'asina. Farà sparire il carro da guerra da Efraim e il cavallo da Gerusalemme, l'arco di guerra sarà spezzato, annunzierà la pace alle nazioni, il suo dominio sarà da mare a mare e dal fiume ai confini della terra. Zc 9,9-10 Di questa profezia Matteo omette l’invito all’esultanza sostituendolo con un oracolo di Isaia dove viene annunciato il rinnovamento radicale di Sion2; allo stesso modo tralascia gli aggettivi “giusto” e “vittorioso”, legati all’immagine di un re condottiero; mantiene invece il terzo, “umile”, così come la menzione all’asino, cavalcatura reale ma tipica di un re pacifico3 che non si impegna in campagne militari per le quali erano necessari possenti destrieri. Gesù entra in città come il messia atteso; ma si tratta di un messia umile e disarmato. Di fronte al suo giungere la città resta turbata e si interroga sulla sua identità. Anche la personificazione di Gerusalemme è un tratto caratteristico del primo evangelista; l’abbiamo incontrata per la prima volta nel Prologo del vangelo quando, di fronte all’arrivo dei magi che Matteo legge tutta la vita pubblica di Gesù e la sua missione come l’adempiersi delle antiche profezie Verosimilmente l’invito alla gioia era avvertito come stonato nel contesto di passione ormai prossima. L’oracolo di Isaia, al contrario, aiuta a collocare gli eventi nella loro giusta prospettiva teologica: l’ingresso del re-messia è apportatore della novità radicale della vittoria della vita sulla morte e sul peccato. 3 La Bibbia menziona l’asino come l’antica cavalcatura dei principi. Nella sua benedizione Giacobbe la attribuisce al “leone di Giuda” (cfr. Gen 49,11); era la cavalcatura del re Davide e di Salomone che se ne servì quando fu unto re (cfr 1Re 1, 33.38.44), al contrario di Adonia che nella sua ribellione per usurpare il trono cerca i carri e cavalli. Anche tra i giudici di Israele l’asino era utilizzato con lo stesso significato pacifico (cfr. Gdc 10,4; 12,14). 1 2 cercavano il “re dei Giudei”, tutta la città reagisce con il turbamento, interrogandosi sul luogo della sua nascita. Matteo utilizza lo stesso verbo in entrambi i casi per descrivere la risposta di Sion di fronte al Signore che è venuta a visitarla. Non si tratta di gioia (anche per questo Matteo evita il riferimento all’esultanza proprio di Zaccaria) ma di qualcosa che coglie del tutto impreparati e mette in subbuglio. Impreparato è Erode di fronte alla notizia che è nato il re della casa di Davide e con lui, dice il testo, tutta Gerusalemme. È una reazione che ha a che fare più col fastidio e con il timore che non con la gioia4. Gesù non è stato accolto dalla sua gente fin dalla sua nascita, ma perseguitato e messo a morte5. Il turbamento della città è accompagnato dalla domanda “chi è costui?” che riprende l’interrogativo posto da Gesù ai discepoli in 16, 13 nel contesto del primo annuncio della passione. Qui è la folla osannante a rispondere riprendendo in parte le parole dei discepoli su ciò che dice la gente6, ma ponendo l’accento sulla sua provenienza “da Nazareth di Galilea”. In questo modo l’evangelista rafforza l’idea di umiltà associata al Messia7e contemporaneamente riprende la citazione particolarissima che troviamo sempre nel prologo: appena giunto, andò ad abitare in una città chiamata Nazareth, perché si adempisse ciò che era stato detto dai profeti: «Sarà chiamato Nazareno» (2,23)8. Gesù torna nella sua patria, dopo la fuga in Egitto; egli è chiamato a rappresentare e a realizzare in sé l’esodo che condurrà il popolo di Dio alla piena libertà. E questo esodo troverà compimento adesso, in Gerusalemme. A gioire nel racconto del Prologo sono solo i magi “al vedere la luce della stella” che li guida al luogo dove si trova Gesù. Nell’ingresso a Gerusalemme sarà invece caratteristica della “folla”, quella massa eterogenea di persone che salivano verso Gerusalemme in occasione della pasqua ma che non possiede i connotati della “Sion” delle profezie veterotestamentarie. Nella prospettiva di Matteo sono sempre i lontani ad accogliere il Signore che viene. 5 La strage degli innocenti, letta in controluce, rivela i tratti della condanna a morte di Gesù che adesso si compie. 6 “Uno dei profeti”, cfr. 16,13 7 Nazareth non è considerata patria di profeti. Cfr. Gv 1, 45-46 8 Si tratta di una citazione impropria che crea difficoltà in quanto non compare nell’Antico testamento. Matteo utilizza spesso i metodi ermeneutici della sinagoga che non prevedono l’adesione letterale al testo; in questo modo egli evidenzia come la dottrina e la persona di Cristo illumini la Scrittura e contemporaneamente la trascenda nell’ottica del compimento del piano salvifico di Dio. In questo modo “sgancia” le profezie storiche di Israele donando loro un respiro più ampio. 4