DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E FINANZA Cattedra di Economia Internazionale LA CRISI FINANZIARIA E IL BILANCIO DELLE FAMIGLIE ITALIANE Relatore: Candidato: Prof. Stefano Manzocchi Luca Ferretti Matr. 138521 Anno Accademico 2010-2011 Indice Pag. Introduzione ……………………………………………………… 3 CAPITOLO I LA CRISI FINANZIARIA INTERNAZIONALE. ORIGINI E SVILUPPI 1.1 La crisi del 1929 e il rischio finanziario e reale di oggi … 4 1.2 Il periodo precedente la crisi ………………………………. 9 1.3 Le ragioni e le fasi della crisi ………………………………. 15 1.3.1 I mutui subprime …………………………………………. 16 1.3.2 Il fallimento della Lehman Brothers ……………………. 20 1.3.3 lo scoppio della crisi: il contagio finanziario e all’economia reale ………………………………………... 24 CAPITOLO II L’ECONOMIA INTERNAZIONALE E IL QUADRO ECONOMICO ITALIANO 2.1 Europa: analisi di una ripresa difficile …………………….. 1 27 2.2 Le prospettive di crescita e il debito pubblico ……………. 2.3 Un quadro di sintesi sulla situazione 30 36 economica italiana ………………………………………… CAPITOLO III L’IMPATTO DELLA TURBOLENZA FINANZIARIA SULLE FAMIGLIE ITALIANE 3.1 La manovra del Governo italiano contro la speculazione finanziaria ………………………………………………………... 41 3.1.1 Le misure che interessano le famiglie ………………………. 45 3.2 Il bilancio delle famiglie italiane…………………………………. 46 3.3 Le decisioni di risparmio delle famiglie ………………………… 49 3.4 Le prospettive di crescita ………………………………………... 58 CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE………………………………….. 60 BIBLIOGRAFIA………………………………………………………… 62 2 INTRODUZIONE L’obiettivo del presente lavoro vorrebbe essere quello di analizzare gli effetti della crisi internazionale sul bilancio delle famiglie italiane, con una attenzione particolare alla dinamica del risparmio in un contesto che vede l’accesso al credito per il settore privato sempre più critico. È strutturato come segue: la prima parte vorrebbe ripercorre le tappe principali della crisi, al fine di evidenziarne cause ed effetti che maggiormente hanno caratterizzato questi ultimi anni. Nella seconda parte si vorrebbe esaminare il quadro economico italiano dal momento che a fronte di una ripresa economica debole, e per certi versi inesistente, gli italiani fanno ancora i conti con l’eredità lasciata dalla crisi più di quanto facciano gli europei. Inoltre le nostre banche, soprattutto quelle grandi, operanti su base internazionale, non hanno infatti potuto evitare i contraccolpi della crisi; le turbolenze dei mercati e la recessione hanno quindi finito per pesare sull’offerta di credito in Italia. Nella terza parte si analizzerà il recente andamento del reddito disponibile delle famiglie italiane indicando i principali rischi che incombono su esso, con particolare riferimento al risparmio e, di conseguenza, al consumo. Infine, si svolgeranno alcune riflessioni conclusive dai dati ed informazioni raccolti. 3 CAPITOLO I LA CRISI FINANZIARIA INTERNAZIONALE. ORIGINI E SVILUPPI 1.1 La crisi del 1929 e il rischio finanziario e reale di oggi Nell’ottobre del 1929 si ebbe il fatidico crollo dell’economia mondiale che coinvolse tutti i paesi industrializzati; la grande depressione ricordata come il “Crollo di Wall Street” ebbe conseguenze devastanti in tutti i paesi industrializzati provocando drastiche riduzioni di reddito e crolli del commercio internazionale, dell’agricoltura e di tutte le produzioni. Moltissime sono state le analisi effettuate per spiegare tale grave crisi economica che, partendo dagli Usa si è estesa in tutto il mondo. John Kenneth Galbraith, un economista canadese fra i più celebri e influenti del suo tempo, spiegò che tra i motivi vi era senza dubbio, oltre ad una errata distribuzione di reddito, anche un eccesso di speculazione finanziaria e una struttura sbagliata del sistema bancario. Dopo il crollo nell’ottobre del 1987, quando la caduta verticale di tutte le borse mondiali fece temere un altro '29, scrisse un saggio, "Breve storia -4- La crisi finanziaria internazionale. Origini e sviluppi dell'euforia finanziaria1”, nel quale, ricorrendo alla psicologia degli speculatori, dei banchieri e del popolo degli investitori più che alla scienza economica, tracciava un quadro impietoso delle ricorrenti crisi. Si possono individuare, secondo l’autore, un insieme di caratteristiche comuni alla maggior parte, se non alla totalità degli episodi di crisi: da quella del XVII secolo scaturita dalla folle speculazione sui bulbi dei tulipani, che travolse l'Olanda nel 1637, fino alla crisi del ‘29 e alle più recenti speculazioni della nuova ingegneria finanziaria, i junk bond (titoli-spazzatura), i leveraged buyout (acquisizioni finanziate con indebitamento) i futures (contratti a termine su indici di borsa), tanto per citarne alcuni. In quest'epoca, tuttavia, sta venendo meno, una certezza che da qualche decennio, almeno dal decollo della globalizzazione, ha sostenuto anche psicologicamente i processi di sviluppo. E, cioè, che per assicurarne il decorso, non fosse necessario un processo di accumulazione, ma bastassero grandi finanziamenti in larga misura derivanti dagli attivi dei tanti strumenti virtuali inventati dall'ingegneria finanziaria. L’allargarsi del mercato degli investimenti di portafoglio e la crescente liberalizzazione dei movimenti di capitale ha consentito ai risparmiatori internazionali delle scelte di investimento molto maggiori di prima, in 1 Galbraith J.K. Breve storia dell'euforia finanziaria. I rischi economici delle grandi speculazioni, Milano, Rizzoli, 1998 -5- La crisi finanziaria internazionale. Origini e sviluppi termini di strumenti e operatori nonché il trasferimento di risparmi verso i paesi emergenti. Tuttavia è stato anche foriero di crisi. L’integrazione mondiale della finanza ha accentuato i fenomeni di propagazione, contagio e interdipendenza delle crisi. Ciò che colpisce è la numerosità di crisi finanziarie negli ultimi venti anni: in America Latina (agli inizi degli anni ottanta), in Scandinavia (agli inizi degli anni novanta), in Messico (nel 1994), in Tailandia, Indonesia e Corea del Sud (nel 1997), in Russia (nel 1998), in Brasile (nel 199899), in Argentina (nel 2001) e la crisi dei mutui subprime che ha avuto origine nell’estate 2007 negli Stati Uniti e che si propaga a tutto il mondo con una gravità che non ha paragoni negli ultimi cento anni, se non con la crisi del 1929. In tutti gli episodi di crisi hanno giocato molti fattori: fattori macroeconomici (nazionali e globali), innovazione tecnologica e finanziaria, conflitti di interesse, eccessive assunzioni di rischio degli investitori internazionali, attività di speculazione finanziaria, limitate informazioni a disposizione delle autorità di vigilanza, difetti istituzionali delle autorità di vigilanza e diffusa formazione culturale propensa a ritenere che il mercato dei capitali abbia grandi capacità di autoregolazione. Ciò rende il quadro dell’integrazione finanziaria molto problematico e complesso, anche in considerazione del fatto che in tutti i casi si è -6- La crisi finanziaria internazionale. Origini e sviluppi assistito ad una sostanziale diminuzione del benessere per centinaia di milioni di persone nei paesi interessati. Nella comunità accademica e politica internazionale c’è sempre stata una corrente di pensiero di economisti keynesiani e di storici economici consapevoli che la storia finanziaria è piena di bolle, manie e crisi2. In particolare Hyman Minsky, propone la sua “ipotesi della instabilità finanziaria”, secondo la quale nel normale ciclo economico i mercati finanziari producono delle bolle endogene di investimenti speculativi. I rischi che queste crisi si manifestino, crescono tanto più quanto più i capitali a livello internazionale sono liberi di muoversi. Negli anni ’90, invece, prevalse la tesi di J. G. Williamson, secondo cui una profonda riforma delle politiche economiche e una liberalizzazione completa e repentina, sia dei mercati delle merci sia dei mercati dei capitali, anche nei paesi emergenti, sarebbe stata foriera di maggiore efficienza economica e di maggiore crescita dell’economia mondiale3. E’ su questo terreno su cui più aspre sono state le critiche alla globalizzazione e alle scelte liberiste degli organismi finanziari internazionali degli ultimi decenni. Molti economisti, tra cui Joseph Stiglitz, famoso critico della globalizzazione, hanno ripetutamente invocato una maggiore cautela in 2 Charles P. Kindleberger, Mania, Panics and Crisis, A History of Financial Crisis, John Wiley & Sons, New York, 1978; trad. Italiana, Euforia e panico, storia delle crisi finanziarie, Laterza, Bari, 1981 3 Per approfondire le tesi degli autori citati si veda Hyman P Minsky, John Maynard Keynes, Columbia University Press, 1975; J. G. Williamson, What should the World Bank Think about the Washington Consensus”, The World Bank Research Observer. -7- La crisi finanziaria internazionale. Origini e sviluppi materia di apertura finanziaria, specie per quei paesi che non hanno istituzioni finanziarie adeguatamente sviluppate4. La liberalizzazione dei mercati finanziari deve essere graduale e accompagnata da un adeguato intervento di supervisione e regolamentazione. Una liberalizzazione troppo rapida, senza che siano state rimosse le distorsioni e che siano state rafforzate le istituzioni creditizie e gli organi di controllo, espone i paesi ad un concreto rischio di crisi. I controlli sulla circolazione internazionale dei capitali dovrebbero essere rimossi solo dopo aver conseguito determinati requisiti: stabilità macroeconomica, completa liberalizzazione del sistema finanziario nazionale, creazione di un solido sistema bancario e di vigilanza, e liberalizzazione del commercio estero. Sono dunque necessari gradualità e giusta sequenzialità nei processi di liberalizzazione da un lato, e il rafforzamento dei sistemi di vigilanza bancaria interna dall’altro. Inoltre, nei momenti di maggior difficoltà, i paesi dovrebbero poter ricorrere a limitazioni dei movimenti di capitali a breve termine in entrata o in uscita. I fatti recenti ci ricordano che l’epicentro di una crisi finanziaria può non trovarsi in un paese emergente. Negli ultimi vent’anni si sono succedute tre crisi che hanno avuto l’epicentro negli Stati Uniti. 4 “Se la globalizzazione non è riuscita a ridurre la povertà, non è riuscita neppure ad assicurare la stabilità”. Cfr. STIGLITZ J. E., La globalizzazione e i suoi oppositori, Einaudi, Torino, 2002. -8- La crisi finanziaria internazionale. Origini e sviluppi La crisi da hedge fund del 1998, che fu causata dal tracollo del Long Term Capital Management (che peraltro era una conseguenza della crisi asiatica del 1997 e della crisi russa del 1998); la crisi del 2000, che ha investito il mercato delle telecomunicazioni (crisi dot-com) e che fu inasprita dall’attacco terroristico del 2001 alle torri gemelle a New York; e infine la peggiore crisi finanziaria mondiale dal secondo dopoguerra, la crisi dei sub-prime, che ha avuto inizio con lo scoppio della bolla del mercato immobiliare americano nel 2007, che si è estesa al mercato dei titoli cartolarizzati, da lì alle banche di investimento, alle banche in generale, alle Borse di tutto il mondo e che si è infine estesa nel 2008 all’economia reale sotto forma di recessione dei paesi industrializzati e di caduta della crescita delle economie emergenti. La crisi dunque non è solo finanziaria, ma si è estesa anche all’economia ed ora è in piena fase di sviluppo dalla sua esplosione nell’agosto 2007; ed inoltre non cessa di rendere esplicite le conseguenze nella sua totalità. 1.2 Il periodo precedente la crisi La crisi dei mercati finanziari si è inserita all’interno di un quadro macroeconomico che negli Stati Uniti già cominciava a presentare fattori di incertezza, ma solo dopo una fase di vigorosa crescita. -9- La crisi finanziaria internazionale. Origini e sviluppi Gli anni precedenti la crisi dei mercati finanziari, esplosa nell’estate del 2007, erano stati infatti caratterizzati da una sostenuta espansione delle economie mondiali (tab.1). Dopo il rallentamento del 2001, si assiste ad una elevata crescita dell’economia mondiale nel triennio 2004-06. Questa fase è stata definita di “Great Moderation”, data la modesta entità delle fasi recessive5. Gli Stati Uniti e le economie emergenti, in particolare quelle asiatiche, hanno trainato la crescita mondiale, supportata anche dal consolidarsi dell’espansione economica in Giappone. All’accelerazione dell’economia statunitense, alla conferma delle economie asiatiche emergenti quali motore dello sviluppo mondiale e alla buona performance dell’economia giapponese, si è aggiunta la ritrovata vivacità dell’area dell’euro. L’espansione internazionale risulta pertanto più equilibrata rispetto al recente passato e contraddistinta da una maggiore omogeneità nella distribuzione della crescita6. 5 Cfr. C. BORIO, The Financial Turmoil of 2007-?: a Preliminary Assessment and Some Policy Considerations, BIS Working paper¸ n. 251, marzo 2008. 6 Si veda a tal proposito il DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO – FINANZIARIA PER GLI ANNI 2007-2011 Approvato dal Consiglio dei Ministri il 6 luglio 2006. - 10 - La crisi finanziaria internazionale. Origini e sviluppi Tab. 1 – CRESCITA ECONOMICA DELLE PRINCIPALI ECONOMIE PIL: var. congiunturali annualizzate (%) Anno US JAP CHI EU 2004 3,6 2,7 10,1 1,9 2005 3,1 1,9 10,4 1,7 2006 2,9 2.4 11.1 2,9 2007 2,2 2,1 11,4 2,6 Fonte: ABI – Centro Studi, 2008. In particolare, il triennio 2004-06 si caratterizza per tassi di inflazione estremamente contenuti e bassi tassi di interesse, in presenza di elevati livelli di risparmio nelle economie asiatiche. Il ridotto costo del credito ne alimenta una fortissima espansione. Si assiste a una crescita sostenuta dei prezzi delle attività finanziarie e reali, che determina un aumento del valore delle attività finanziarie e reali delle famiglie. L’incremento dei prezzi delle abitazioni è particolarmente sostenuto in alcuni paesi e, nello specifico, negli Stati Uniti. L’effetto ricchezza dovuto all’incremento di valore degli asset alimenta i consumi, sostenendo la crescita dell’economia. Si determinano allo - 11 - La crisi finanziaria internazionale. Origini e sviluppi stesso tempo la rapida espansione del debito e la contrazione dei risparmi delle famiglie. I livelli contenuti dei rendimenti determinano una ricomposizione dei portafogli verso attività più rischiose. Cresce “l’appetito” per il rischio. L’innovazione finanziaria permette di costruire attività sintetiche caratterizzate da rendimenti elevati. All’espansione del credito si accompagna l’aumento del grado di leva nel settore finanziario: il fattore determinante è la possibilità di cedere rapidamente sul mercato i crediti erogati dal sistema bancario. L’espansione dell’attività delle banche e degli altri intermediari finanziari poggia sul modello “originate-to-distribute” (OTD7), che ha consentito di impacchettare e vendere, spesso attraverso una complessa rete di passaggi, quote crescenti di attività, quali i prestiti, tradizionalmente illiquide. Il nuovo modello, come efficacemente osservato in dottrina8, ha permesso un ampliamento della disponibilità di finanziamento per l’economia, grazie a un più elevato turnover degli attivi bancari. 7 Letteralmente “Frammentazione e Trasferimento dei Rischi di Credito”. E’ un modello secondo cui un’istituzione finanziaria che origina un investimento ne distribuisce il rischio ad altri agenti sul mercato attraverso l’uso di strumenti finanziari come la securitization o cartolarizzazione. 8 In questi termini, M. ONADO, La crisi finanziaria internazionale: le lezioni per i regolatori, in BANCA, IMPRESA E SOCIETA’, 2009. - 12 - La crisi finanziaria internazionale. Origini e sviluppi Ma questo meccanismo si inceppa quando un segmento relativamente piccolo dei mercati finanziari internazionali, quello dei mutui con basso merito di credito (subprime), entra in crisi9. E’ importante sottolineare che le tensioni sul segmento del subprime sono il fattore scatenante del sostanziale riprezzamento dei rischi da parte degli investitori. Finisce la fase di “esuberanza irrazionale”, che aveva determinato una forte caduta dei premi al rischio richiesti dagli investitori e un deterioramento degli standard di erogazione del credito (Fig. 1). FIG. 1 - ALCUNE CARATTERISTICHE ALLA BASE DELLA CRISI FINANZIARIA Aumento della leva nel sistema finanziario Maggiore complessità del modello di intermediazione Forte crescita del credito e minore attenzione alla qualità dei debitori Ciclo di esuberanza nei mercati finanziari che si autoalimenta Forte aumento dei prezzi delle abitazioni in molte economie (es. USA) Sottostima dei rischi di mercato e di liquidità Fonte: riprodotto da UK Financial Services Authority, Financial Risk Outlook, 2009. 9 BIS - BANK FOR INTERNATIONAL SETTLEMENTS, 78th Annual Report, giugno 2008. - 13 - La crisi finanziaria internazionale. Origini e sviluppi In uno dei suoi interventi10, il presidente della Federal Reserve, Ben Bernanke11 ha affermato che la crisi immobiliare negli Stati Uniti e i problemi del segmento dei mutui subprime costituiscono solo un aspetto degli squilibri che si erano andati formando nei mercati bancari e finanziari. Alla base della crisi vi sono state carenze nel processo di selezione del credito e nel controllo della sua qualità da parte degli investitori e delle agenzie di rating, nonché una profonda sottovalutazione dei rischi di prodotti opachi12. I problemi di asimmetria informativa e il conflitto tra principal e agent, noti dalla letteratura sui contratti13, sono all’origine della crisi. A differenza del tradizionale modello “buy-and-hold”, nel quale gli intermediari generano attività che detengono nel proprio portafoglio fino alla scadenza, il modello OTD affievolisce gli incentivi delle banche a controllare adeguatamente la qualità dei crediti. Gli investitori aumentano il peso nei loro portafogli di prodotti opachi, difficili da valutare, per i quali l’ammontare di informazioni sulla qualità delle attività sottostanti è di gran lunga maggiore per le banche che originano 10 B.S. BERNANKE, The Crisis and the Policy Response - Speech at the Stamp Lecture, LONDON SCHOOL OF ECONOMICS, gennaio 2009. 11 Il 25 agosto 2009 il Presidente Barack Obama ha confermato la nomina di Bernanke come Presidente della FED fino al 2014. 12 J. E. STIGLITZ, Interpreting the causes of the great recession of 2008, BANK OF INTERNATIONAL SETTLEMENTS CONFERENCE, Basilea, Svizzera, giugno 2009. 13 Per maggiori approfondimenti sull’argomento si consiglia G. AKERLOF, The market for lemons: quality uncertainty and themarket mechanism. QUARTERLY JOURNAL OF ECONOMICS, 1970. - 14 - La crisi finanziaria internazionale. Origini e sviluppi i crediti. Sono accentuati anche i conflitti di interesse, ad esempio nel caso delle agenzie di rating. L’innovazione finanziaria, come già specificato nel paragrafo precedente, ha dunque avuto un peso rilevante nell’innestare i germi della crisi finanziaria odierna. L’obiettivo dei paragrafi successivi è quello di evidenziare le fasi salienti della crisi finanziaria che il mondo sta vivendo, da cui sarà poi possibile sviluppare l’analisi sugli effetti causati nell’economia reale ed in particolare nella propensione al risparmio delle famiglie, argomento trattato in seguito. 1.3 Le fasi della crisi A partire dall’agosto 2007 la grave crisi finanziaria americana, originata dall’insolvenza dei mutui subprime, ha colpito tutte le economie, e soprattutto quelle avanzate, con riflessi particolarmente negativi nei mercati monetari della zona-Euro. Nelle pagine che seguono si tenterà di ripercorrere le tappe principali della crisi con particolare riferimento all’origine nell’estate del 2007 e agli sviluppi nella seconda parte del 2007 e in apertura del 2008, al fine di evidenziarne cause ed effetti principali. - 15 - La crisi finanziaria internazionale. Origini e sviluppi 1.3.1 I mutui subprime La prima fase della crisi finanziaria ha avuto origine nel segmento dei mutui subprime statunitensi. Negli USA si erano già manifestate dalla primavera del 2007 difficoltà di alcune finanziarie specializzate in mutui per effetto dell’aumento delle insolvenze sui mutui subprime. Questo fenomeno si manifesta, non casualmente, in corrispondenza del crollo del prezzo degli immobili. Il crollo dei prezzi è stato interpretato come l’effetto dello scoppio di una bolla dovuto all’aumento graduale dei tassi di interesse deciso dalla Fed a partire dal 2004. La sequenza all’origine delle difficoltà degli intermediari specializzati in mutui può essere sinteticamente visualizzata come segue: i mutuatari non rimborsano i prestiti; gli intermediari acquisiscono gli immobili, ma il valore degli immobili risulta inferiore al debito da rimborsare a causa del crollo del prezzo delle case; gli intermediari registrano perdite. La crisi si trasmette ai mercati finanziari internazionali attraverso la cartolarizzazione del credito. Le banche “originano” il credito erogando mutui alle famiglie ma non lo tengono in bilancio. Attraverso complesse operazioni di finanza strutturata gli intermediari che originano questi prestiti ad alto rischio li hanno successivamente - 16 - La crisi finanziaria internazionale. Origini e sviluppi trasferiti o ceduti agli Special Purpose Vehicle (SPV) che impacchettano i mutui in titoli “garantiti” collegati ai mutui subprime (MORTGAGE BACKED SECURITIES) e li rivendono agli investitori istituzionali, prevalentemente hedge funds. Questi titoli sono spesso caratterizzati dalla doppia o tripla A delle agenzie di rating. Si tratta di titoli generalmente considerati “sicuri” anche se non sempre liquidi. Attraverso la cartolarizzazione del credito, pertanto, le banche trasferiscono il rischio di credito su una platea ampia di investitori: l’innovazione finanziaria consente alle banche il risk sharing (condivisione del rischio) e permette ad una frangia di individui prima esclusi di accedere al mercato del credito. Nonostante questo, è importante sottolineare che molti degli strumenti utilizzati come veicolo della cartolarizzazione riducono sensibilmente l’incentivo delle banche al monitoring e ad un accurato screening dei debitori. Dalla primavera del 2007 la brusca caduta delle quotazioni dei prodotti legati al mercato dei mutui statunitensi ha prosciugato la liquidità di questi strumenti. La crisi dei prodotti legati ai mutui subprime contagia rapidamente altri prodotti finanziari e numerosi segmenti del sistema finanziario. Dall’estate del 2007 la fase di turbolenze si trasmette dagli Stati Uniti all’Europa, dove numerosi intermediari detenevano in portafoglio titoli relativi al mercato subprime. - 17 - La crisi finanziaria internazionale. Origini e sviluppi Il crollo di Borsa dell’agosto del 2007 si spiega con l’improvvisa “presa di coscienza” da parte degli operatori del rischio implicito nei titoli in circolazione. La sequenza all’origine del crollo di Borsa dell’agosto 2007 può essere riassunta come segue: I. l’insolvenza sui mutui subprime genera perdite sui titoli cartolarizzati, II. gli investitori istituzionali che hanno investito in tali titoli, a cominciare dai fondi di investimento, subiscono perdite in conto capitale; III. ne deriva un’ondata di richieste di riscatto; IV. i fondi, a corto di liquidità, cercano di vendere i titoli in portafoglio ma non trovano compratori; V. ne deriva il crollo dei prezzi delle azioni e la crisi di Borsa; VI. i fondi sospendono i riscatti (come nel caso dei fondi riconducibili a BNP - Paribas in agosto) creando panico tra gli investitori; VII. flight to quality14 (letteralmente “fuga verso la qualità”) dai fondi di investimento ai titoli di Stato, il cui rendimento tende a flettere, e sui beni rifugio, il cui prezzo sale. 14 Per un’analisi dettagliata del fenomeno si veda B.S. BERNANKE, M. GERTLER e S. GILCHRIST, The Financial Accelerator and the Flight to Quality, THE REVIEW OF ECONOMICS AND STATISTICS, Vol. 78, No. 1., Febbraio 1996, pp. 1-15. Per approfondimenti sulla relazione Banca-Impresa dopo il fallimento della Lehman Brothers si veda U. ALBERTAZZI e D.J. MARCHETTI, Credit Supply, Flight to Quality and Evergreening: An Analysis of Bank-Firm Relationships after Lehman, Temi di discussione, BANCA D’ITALIA, n. 756, aprile 2010. - 18 - La crisi finanziaria internazionale. Origini e sviluppi La conseguenza più evidente e pericolosa della crisi è la mancanza di liquidità e la conseguente stretta creditizia (cosiddetto CREDIT CRUNCH): i titoli diventano illiquidi, nel senso che non sono facilmente vendibili per assenza di compratori; inoltre non si trova più liquidità perché le banche non sono più disposte a farsi prestiti tra loro. Le banche diventano caute o restrittive nel concedere credito, non solo a livello interbancario, ma anche sul mercato dei prestiti, ovvero nei confronti di prenditori non finanziari, famiglie e imprese. In alcuni casi i depositanti corrono a ritirare i depositi: si verifica cioè un fenomeno di “panico bancario”. Nella prima fase della turbolenza, un momento particolarmente critico viene raggiunto alla metà di marzo 2008, con la crisi della banca d’affari BEAR STERNS: nel primo trimestre del 2008 i premi sui credit default swap - CDS (prezzo pagato da un investitore per coprirsi dal rischio di fallimento dell’emittente) delle principali banche internazionali aumentano sensibilmente. Fino al fallimento della banca di investimento LEHMAN BROTHERS, le istituzioni finanziarie che si ritenevano più esposte alla crisi erano quelle che si caratterizzavano per il modello di intermediazione OTD che faceva largo uso di strumenti finanziari per il trasferimento del rischio di credito; queste istituzioni accusavano pesanti svalutazioni. In alcuni paesi si procedeva al salvataggio degli intermediari più coinvolti, - 19 - La crisi finanziaria internazionale. Origini e sviluppi utilizzando risorse pubbliche. Per le altre banche l’effetto era di tipo indiretto e rifletteva soprattutto l’aumento del costo della raccolta. Le banche centrali statunitense ed europea, nonché la banca centrale canadese e quella giapponese, sono intervenute massicciamente nei giorni della crisi fornendo alle banche tutta la liquidità di cui avevano bisogno e che non riuscivano ad ottenere sul mercato interbancario. Ad esempio, la Fed ha tagliato in agosto di mezzo punto percentuale il tasso ufficiale di sconto, ossia il tasso sui prestiti diretti alle banche commerciali, e nei mesi successivi, sempre di mezzo punto, il tasso sui Fed funds, invertendo il segno della politica monetaria seguita finora: restrittiva dal 2004. La politica espansiva è continuata e si è accentuata con gli interventi di taglio ripetuto dei tassi nei primi mesi del 2008. 1.3.2 Il fallimento della Lehman Brothers La banca d’affari LEHMAN BROTHERS il 15 settembre 2008 ha dichiarato, innanzi ad un passivo record di 613 miliardi di dollari, di non essere più in grado di adempiere regolarmente alle proprie obbligazioni e di dover pertanto ricorrere al Chapter 11 del Bankrupcty Code, la nota procedura concorsuale statunitense finalizzata alla risoluzione della crisi d’impresa attraverso un piano di riorganizzazione societario. Questo dissesto, considerato sotto il profilo dimensionale, il più - 20 - La crisi finanziaria internazionale. Origini e sviluppi imponente del mondo finanziario mai verificatosi, produce il tragico epilogo di una società sorta nel 1850 in Alabama per volere dei fratelli Henry, Emanuel e Mayer Lehman al fine di finanziare, inizialmente, la produzione e distribuzione del cotone. Nel tempo, l’impresa dei fratelli Lehman si specializza in private equity, private banking ed investment management sino a divenire la quarta banca di investimento statunitense per capitalizzazione. La LEHMAN BROTHERS riesce a superare indenne sia la grande depressione del 1929, sia il collasso della finanza internazionale derivante dai noti eventi terroristici dell’11 settembre 2001, ma non la crisi dei mutui subprime. La crisi di liquidità innescata da questi ultimi ha generato tensioni sul mercato interbancario prima, producendo poi una vera e propria onda d’urto propagatasi velocemente nell’ambito di un più ampio contesto di fragilità del sistema economico internazionale, assumendo infine la forma di una tempesta finanziaria15. Essendo fra le banche più esposte, assieme alla Bear Stearns, ai mutui residenziali, si è rivelato del tutto inutile il tentativo attuato da LEHMAN BROTHERS di arginare le perdite mediante la realizzazione di 15 Sul tema cfr. G. ROSSI, Per uscire dalla crisi ascoltiamo il diritto, in La Repubblica del 26 settembre 2009, ove si afferma testualmente: «il sistema dei derivati e dei vari strumenti di cartolarizzazione dei rischi di credito, che il leverage degli operatori ha moltiplicato a dismisura, ha creato una massa informe e incontrollata di titoli, non solo opachi, ma sovente nel loro contorto sviluppo incomprensibili, trattati in mercati non regolamentati e quindi al di fuori di ogni conoscenza e vigilanza»; - 21 - La crisi finanziaria internazionale. Origini e sviluppi operazioni straordinarie che hanno comportato la chiusura della propria divisione mutui ed un numero elevatissimo di licenziamenti. L’elevata esposizione debitoria e la mancanza di adeguate garanzie di ristrutturazione finanziaria e di risanamento societario hanno, come già accennato, indotto le autorità governative statunitensi a non attuare un intervento di salvataggio a favore del colosso bancario16. Inevitabile quindi il ricorso al Chapter 11 del Bankrupcty Code. Il fallimento di Lehman Brothers ha generato fortissime tensioni, dando avvio ad una seconda fase della crisi: il dissesto della banca d’affari ha segnato un punto di svolta, rendendo la crisi sistemica17. È cresciuta la sfiducia tra le istituzioni finanziarie; gli investitori hanno percepito che il livello del patrimonio delle grandi banche internazionali era inadeguato a fronteggiare la situazione. Il ricorso al capitale privato da parte degli intermediari è diventato più difficile, per alcuni impossibile. La situazione si faceva complessa per i principali gruppi bancari internazionali che continuavano a registrare ingenti perdite. Il parziale blocco dei mercati della liquidità rendeva infatti difficile il reperimento di risorse e spingeva le banche centrali dei principali paesi 16 Differentemente per Fannie Mae, Freddie Mac, AIG e Northern Rock la cui crisi è stata evitata mediante un salvataggio statale. Sul punto, cfr. F. VELLA, Fannie, Freddie e i Fratelli Lehman, in www.lavoce.info. Sul fronte italiano, cfr. G. NAPOLITANO, Il nuovo Stato salvatore: strumenti di intervento e assetti istituzionali, in Giornale di diritto amministrativo, 2008. 17 Cfr. S. MIELI, Crisi finanziaria e azione di vigilanza: gli scenari evolutivi, BANCA D’ITALIA, giugno 2009. - 22 - La crisi finanziaria internazionale. Origini e sviluppi a porre in essere operazioni di ingente ammontare per garantire la funzionalità dell’intermediazione. È forte la necessità di coordinamento a livello internazionale. Le misure tese a evitare l’accentuarsi della crisi nel breve termine si sostanziano nella predisposizione di interventi di ricapitalizzazione e di garanzia delle passività bancarie. Riassumendo i principali fenomeni che hanno caratterizzato l’attuale crisi finanziaria, si può affermare che, essa si è manifestata con l’insolvenza dei mutui subprime e si è diffusa ai titoli rappresentativi di essi. Ciò ha determinato un mutato atteggiamento degli operatori, che, in mercati finanziari poco trasparenti, hanno aumentato la loro avversione al rischio. In particolare, la prevalenza di aspettative pessimistiche delle banche ha contribuito alla scomparsa della liquidità sul mercato interbancario. Ne è conseguita una stretta creditizia, nonostante la politica monetaria espansiva adottata dai principali paesi industrializzati. Comunque, gli interventi pubblici hanno consentito di salvare alcune banche dal fallimento. Ulteriori conseguenze sono state il crollo dei prezzi delle case nei paesi industrializzati e il peggioramento della posizione delle imprese. Infine, la crisi si è estesa all’economia reale, portando alla recessione. - 23 - La crisi finanziaria internazionale. Origini e sviluppi 1.3.3 lo scoppio della crisi: il contagio finanziario e all’economia reale Il mutamento della politica monetaria americana da parte di Ben Bernanke e un iniziale inasprimento dei saggi di interesse per far fronte alla bolla speculativa immobiliare, a un dollaro costantemente in flessione e all’inflazione importata, hanno comportato, come anticipato, la caduta dei prezzi degli immobili, la perdita di valore delle garanzie immobiliari, l’impossibilità dei soggetti che hanno acceso mutui ipotecari, soprattutto i sub-prime, di far fronte agli impegni assunti con le banche. La riduzione dei prezzi delle case diventa consistente nel 2007 (proseguendo anche negli anni successivi). Con la discesa dei prezzi iniziano i pignoramenti e i prezzi degli assets legati all’immobiliare vengono colpiti con particolare gravità. Questo provoca la perdita di valore dei titoli strutturati nella cui “pancia” si trovano (in quantità ignota a banche e ad autorità di controllo) i crediti inesigibili, primi tra questi i sub-prime. La bolla non si limita al mercato immobiliare, ma si estende a quello finanziario, bancario, di Borsa. Siccome i titoli sub-prime sono stati acquistati da banche di tutto il mondo la crisi finanziaria assume una - 24 - La crisi finanziaria internazionale. Origini e sviluppi dimensione globale. Alcuni strumenti si disgregano e diventano “titoli tossici” nei bilanci delle banche. Ha inizio un’attività di riduzione della esposizione bancaria, una riduzione degli investimenti finanziari e una ricerca di posizioni più liquide, è il processo che si chiama di “de-leveraging”. La liquidità nei mercati interbancari, fino ad allora abbondante, scompare a causa delle sfiducia reciproca delle banche e a causa delle scarse informazioni disponibili ad autorità, operatori finanziari e agenzie di rating. La riduzione del potere d’acquisto dei consumatori che deriva dalla perdita dei valori immobiliari, la caduta dei valori di Borsa nelle principali Borse mondiali, la stretta del credito bancario che si ripercuote su consumatori e imprese soprattutto in Europa, le aspettative pessimistiche delle imprese e la conseguente caduta degli investimenti conducono ad una drastica riduzione della domanda aggregata nei paesi industrializzati e quindi delle importazioni dai paesi emergenti. Il risultato lo si rileva con una recessione economica (crescita con segno negativo) nel 2008 nei principali paesi industrializzati, in una caduta dell’occupazione nei paesi industrializzati, in una minor crescita di reddito e occupazione nei paesi emergenti-forti (la Cina) mentre gli emergenti-deboli subiscono lo shock finanziario dato disinvestimento di capitali da parte degli investitori internazionali. - 25 - dal La crisi finanziaria internazionale. Origini e sviluppi Questa spirale recessiva è arrivata fino al 2011 e può durare ancora a lungo (in Giappone un’analoga crisi dura da dieci anni) o aggravarsi ulteriormente. La contrazione di reddito e occupazione può determinare una discesa del livello generale dei prezzi; la riduzione dei saggi di interesse nominali a valori prossimi a zero e la crescita negativa dei prezzi significa che i saggi di interesse reali restano positivi e che quindi la politica monetaria risulta incapace di stimolare l’economia. Inoltre saggi di crescita negativi dei prezzi rendono più difficile la politica, necessaria per paesi come l’Italia, di riduzione del peso del debito pubblico sul Pil, principale preoccupazione della classe politica non solo italiana ma soprattutto europea. - 26 - L’economia internazionale e il quadro economico italiano CAPITOLO II L’ECONOMIA INTERNAZIONALE E IL QUADRO ECONOMICO ITALIANO 2.1 Europa: analisi di una ripresa difficile Tra il settembre 2008 e il marzo 2009 l’economia del mondo si blocca. Si teme il peggio. Si paventa una crisi di fiducia nella solvibilità del sistema creditizio che potrebbe dissolvere il concetto di moneta fiduciaria. La rarefazione del credito, la brusca interruzione dei consumi, il blocco degli investimenti gelano l’economia reale. La crisi, fino a quel momento circoscritta alla sola dimensione finanziaria, tracima nell’economia e nella società. I governi entrano in campo con massicci interventi a carico dei bilanci pubblici, crescono i deficit di bilancio mentre calano i PIL. L’onere del salvataggio delle istituzioni finanziarie si sposta dai bilanci privati a quelli sovrani e il mercato comincia a interrogarsi sulla capacità degli Stati di far fronte ai nuovi squilibri. Il terreno di valutazione di questa capacità sono i titoli del debito pubblico dei paesi. La crisi del debito pubblico greco, acuito 27 L’economia internazionale e il quadro economico italiano dall’emersione di squilibri che erano stati taciuti alla comunità finanziaria internazionale, innesca la seconda ondata della crisi, quella del 2010. I mercati scoprono all’improvviso che la miscela tra bassa crescita economica, perdita di competitività, squilibri nei conti pubblici e invecchiamento della popolazione assottigliano la fiducia sulla facile rimborsabilità dei titoli pubblici emessi dagli Stati. I portafogli degli investitori si riassestano, i mercati valutari ne risentono, appare chiaro che la posta in gioco non è più la solvibilità di qualche istituzione finanziaria ma la stessa solidità della moneta europea e, in ultima analisi, il processo di integrazione europea. Non è, dunque, la Grecia ad essere sotto scacco, ma è l’Europa intera. La percezione del pericolo che corre l’Europa, già nella primavera del 2010, non viene colto nella sua reale dimensione subito da tutti i paesi membri dell’Unione Europea. La Germania stenta ed esita più di qualsiasi altro paese, prima di decidere l’adesione al piano di salvataggio della Grecia e tale incertezza alza ulteriormente il costo del salvataggio stesso. I mercati a loro volta osservano il massiccio piano di emissioni di titoli pubblici programmato nel 2010 e cominciano a fuggire dal debito di peggiore qualità e a scegliere quello di miglior qualità. 28 L’economia internazionale e il quadro economico italiano Non tutti i paesi sono vulnerabili allo stesso modo, poiché chi ha il debito complessivo più elevato sia pubblico che privato, e la crescita economica più bassa, risulta più esposto di altri1. Il differenziale dei tassi d’interesse segnala i paesi più vulnerabili. Quando l’Europa sembra a un passo dalla dèbacle i suoi governanti capiscono che la crisi di fiducia sulla solvibilità si combatte solo inviando segnali forti contro l’accumulo di ulteriore debito pubblico e trovano la forza di reagire in difesa dell’euro, avviando piani ambiziosi di correzione degli squilibri di bilancio. Nel mese di maggio 2010, gettando le linee del nuovo Patto di stabilità e crescita, l’Europa concorda di fatto il primo passo per una politica economica comune. Nei due mesi successivi tutti i paesi membri europei varano lo stesso tipo di manovre correttive, sia di natura fiscale che monetaria, degli squilibri dei conti pubblici, in molti casi con le stesse identiche misure di politica fiscale e di bilancio. Uno degli aspetti più importanti dell’uscita dalla recessione nella seconda metà del 2009 è costituito, infatti, dal forte impulso al ciclo internazionale che è derivato dalle politiche di segno espansivo adottate dai governi (riduzioni delle imposte, aumento della spesa pubblica, incentivi all’acquisto di auto o altri beni durevoli e cosi via). Senza contare che tali misure discrezionali sono state di dimensione rilevante. 1 Cfr. CONSOB, Relazione annuale per l’anno 2009, giugno 2010. 29 L’economia internazionale e il quadro economico italiano Oltre all’ampiezza degli interventi, conta anche il fatto che essi sono stati adottati contemporaneamente nella maggior parte delle economie. Si è trattato in sostanza di una sorta di gioco cooperativo, in cui proprio il fatto che politiche di sostegno della domanda siano state adottate contemporaneamente in molti paesi ne ha amplificato l’efficacia. L’azione della politica di bilancio è risultata importante soprattutto perché è avvenuta in un contesto in cui la crisi del settore creditizio ha limitato l’efficacia della politica monetaria. Difatti, in tutte le maggiori aree si è osservato un deciso rallentamento della crescita del credito, sintesi di un atteggiamento più prudente da parte delle banche rispetto agli anni precedenti, ma anche di una minore domanda di credito da parte di famiglie e imprese, meno propense ad avviare programmi di spesa impegnativi. 2.2 Le prospettive di crescita e il debito pubblico Una prima conclusione che si trae dalla breve analisi sin qui svolta è che la ripresa, partita intorno alla metà del 2009 e arrestatasi già nel corso dei primi mesi del 2010, ha avuto origine in buona misura da fattori di natura estemporanea. 30 L’economia internazionale e il quadro economico italiano La natura della ripresa, ovvero il fatto che essa sia dipesa da una fase di politiche di stimolo alla crescita della domanda aggregata mondiale, rende difficile una chiara valutazione delle prospettive. Nulla assicura infatti che, una volta esauritisi il ciclo delle scorte e gli impulsi delle politiche di bilancio, la ripresa internazionale sia divenuta sufficientemente robusta da essere in grado di autosostenersi, con il passaggio del testimone nel ruolo di traino della crescita dalla politica fiscale ai consumi delle famiglie e agli investimenti delle imprese. Molti paesi, tra cui l’Italia come anticipato, hanno raggiunto valori di indebitamento molto elevati, sia per le conseguenze della recessione sull’andamento dei saldi, sia per effetto delle politiche di carattere discrezionale adottate dai Governi. Si può immaginare, per semplicità, che uno Stato sia una persona che riceve uno stipendio e che usi queste entrate per mantenere se stesso e la propria famiglia. Le entrate di uno Stato sono le tasse, il cui ammontare dipende da una molteplicità di fattori legati alla quantità dei beni prodotti e ai redditi realizzati dai cittadini. Per quanto concerne le spese, quelle statali sono di due tipologie principali: le spese correnti, ovvero quelle per mantenere l’apparato burocratico e per l’erogazione dei servizi, e le spese finanziarie, ovvero le uscite che escono in rate ed interessi sul debito. 31 L’economia internazionale e il quadro economico italiano Annualmente molti Stati sono interessati dalla ricapitalizzazione del debito, ovvero quel processo che permette di rifinanziare il disavanzo, la differenza tra le entrate e le uscite, quando queste ultime superano le prime. Il risultato è quello di incrementare il debito complessivo e di accrescere i tassi di interesse e quindi dell’importo delle rate dovute che così diventano difficili da ripagare. A questo punto si crea una spirale pericolosa, visto che l’impossibilità di far fronte alle rate porta ad una nuova ricapitalizzazione del debito e, quindi, ad un nuovo aumento del debito complessivo. Da questo meccanismo scaturisce il defaul del debito sovrano, ovvero l’impossibilità di ripagare il debito contratto. Tale dichiarazione, ovvero l’impossibilità di far fronte al proprio debito, porta dietro di se delle conseguenze importanti: ritiro dei crediti e fuga dei creditori (credit crunch). In questa situazione il debito di bilancio non è più finanziabile e lo Stato si trova nella condizione di dover operare in assenza di credito potendo contare solo sugli introiti rappresentati dalle tasse, dovendo inoltre pagare le rate e gli interessi contratti sul debito. Il tutto senza contare che, per effetto della recessione, cresce la spesa sociale e pubblica, aggravando ulteriormente la situazione delle casse statali. Questo, in estrema sintesi, è quanto accaduto in Grecia e quanto potrebbe verificarsi in Italia, Spagna e Portogallo se non si mettono in 32 L’economia internazionale e il quadro economico italiano atto immediate riforme in grado di scongiurare il crollo della moneta e il progetto dell’Europa Unita. I Paesi membri dell’Unione Europea, nel sottoscrivere il Patto di Stabilità e Crescita2, hanno teso all’obiettivo comune di non generare disavanzi eccessivi, assumendosi l’impegno di realizzare una situazione di bilancio che, nel medio termine, potesse comportare un saldo vicino al pareggio o positivo. In base al PSC, gli Stati membri che, soddisfacendo tutti i cosiddetti parametri di Maastricht, hanno deciso di adottare l'euro, devono continuare a rispettare nel tempo quelli relativi al bilancio dello stato, ossia: - un deficit pubblico non superiore al 3% del PIL; - un debito pubblico al di sotto del 60% del PIL (o, comunque, un debito pubblico tendente al rientro). Non è un mistero che l’Italia, proprio a causa dell’elevato rapporto Debito/PIL, sia da ormai diversi decenni un paese considerato finanziariamente vulnerabile. Con i massicci interventi a sostegno delle economie e del sistema bancario tuttavia, negli ultimi mesi, molti altri paesi sono significativamente peggiorati su questo fondamentale economico. 2 Il Patto di stabilità e crescita, approvato dal Consiglio Europeo di Dublino il 13-14 dicembre 1996, disciplina la politica fiscale che gli Stati appartenenti all’Unione Monetaria Europea dovranno adottare: formula nuovi obiettivi di bilancio pubblico e definisce gli aspetti procedurali della sorveglianza degli organismi comunitari sulla disciplina di bilancio. Per approfondimenti si veda C. BRANDIMARTE, S. LEPROUX, F. SARTORI, Il patto di stabilità e crescita: politiche fiscali e spese per lo sviluppo, in STUDI E NOTE DI ECONOMIA, vol.2, 1998. 33 L’economia internazionale e il quadro economico italiano Appare dunque utile, ai fini dell’analisi fin qui svolta, verificare il valore di questo rapporto nei principali paesi occidentali, dal momento che costituisce un importante indice della solidità finanziaria ed economica di uno Stato. Nella tabella che segue è riportato l’andamento del rapporto Debito/PIL negli ultimi anni. Tab. 2.1 – Rapporto Debito/Pil 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 121 120.2 119.4 116.8 117.3 119.9 117.2 112.5 114.5 122.9 127.3 Giappone 135.4 143.7 152.3 158 165.5 175.3 172.1 167.1 172.1 189.5 199.8 Francia 65.6 64.3 67.3 71.4 73.9 75.7 70.9 69.9 76.1 86.4 94.2 Germania 60.4 59.7 62.1 65.3 68.7 71.1 69.4 65.5 69.0 78.2 84.1 UK 45.1 40.4 40.8 41.2 43.5 45.1 46.0 46.9 57 75.3 89.3 USA 55.2 55.2 57.6 60.9 61.9 62.3 61.7 62.9 71.1 87.4 97.5 Area Euro 75.2 73.8 74.2 75.1 75.9 77 74.6 71.2 73.4 82.5 89.2 Tot OCSE 68.7 68.9 70.8 73 74.7 76.3 75 73.5 78.7 91.6 100.2 Italia Fonte: OECD, Economic Outlook, n. 89, giugno 2011 Come emerge chiaramente dai dati riportati, il rapporto Debito/PIL è decisamente aumentato in tutti i paesi presi in considerazione. Questo indica un generale peggioramento della solidità e sostenibilità 34 L’economia internazionale e il quadro economico italiano finanziaria, che dovrebbe avere come conseguenza un aumento in termini assoluti dei rendimenti dei titoli di stato. Il Governatore della Banca d’Italia uscente, Mario Draghi, nelle considerazioni finali all’Assemblea Generale dei Partecipanti del maggio scorso ammette, senza mezzi termini, che se le regole fissate dal Patto di stabilità e crescita fossero state sempre rispettate, alla vigilia della crisi l’incidenza del debito pubblico sul PIL sarebbe stata inferiore di oltre 10 punti nell’area dell’euro, di 30 in Grecia. Anche considerando inevitabile il peggioramento dei deficit pubblici osservato nella crisi, alla fine dello scorso anno nessun paese dell’area avrebbe avuto un debito superiore al 100 per cento del PIL. La crisi globale ha, infatti, acuito la percezione del rischio da parte degli investitori e ha portato alla luce alcune debolezze nella costruzione dell’Unione Europea. Ma la risposta alla crisi del debito sta innanzitutto nelle politiche nazionali e nella piena attuazione dei piani correttivi concordati a livello di Unione Europea. Ricordiamo l’esperienza italiana all’inizio degli anni Novanta, quando il paese si trovò ad affrontare una gravissima crisi di fiducia nella sostenibilità del suo debito pubblico. L’Italia seppe uscire dalla crisi senza bisogno di aiuti esterni, grazie a un ambizioso piano di consolidamento fiscale, a riforme strutturali importanti e all’attuazione di un programma di privatizzazioni per circa il 10 per cento del PIL. 35 L’economia internazionale e il quadro economico italiano 2.3 Un quadro di sintesi sulla situazione economica italiana Per capire la portata della crisi in Italia occorre concentrare l’analisi sui due settori principali dell’economia quello finanziario e quello reale. Per quanto riguarda il primo, gli analisti economici sono concordi nell’affermare che il sistema finanziario italiano è solido ed ha risentito meno degli effetti negativi provocati dalla crisi bancaria esplosa negli Stati Uniti. La stessa Commissione Europea, nella valutazione del programma di stabilità italiano per il periodo 2008-2011, afferma che il basso indebitamento del settore privato ed un sistema finanziario relativamente solido finora hanno messo al riparo l’Italia dall’impatto diretto della crisi finanziaria. Questo però non vuol dire che il sistema creditizio italiano sia rimasto totalmente immune dalla crisi finanziaria mondiale. Molti gruppi bancari italiani sono stati indeboliti dalla presenza di “asset tossici” comprati durante la fase di speculazione degli anni precedenti. Questo ha obbligato molte banche a forti ricapitalizzazioni per ripianare le perdite, con conseguenti perdite di valore in borsa e restrizioni nella fornitura di credito alle imprese ed alle famiglie. Al momento la situazione non sembra richiedere provvedimenti straordinari come la nazionalizzazione delle banche italiane, invece avvenuta in altri paesi, però ha obbligato il governo ad adottare delle 36 L’economia internazionale e il quadro economico italiano misure di sostegno per garantire la liquidità delle banche ed evitare una possibile stretta creditizia per imprese e famiglie. Per quanto concerne l’economia reale i dati sono notevolmente più preoccupanti3. Il PIL italiano ha chiuso il 2009 con un forte ribasso (-5.1%); il 2010 registra una leggera crescita (+1.3%); mentre nel corso del primo trimestre del 2011 il PIL italiano ha continuato a crescere al ritmo modesto della fine del 2010 (0,1% sul periodo precedente): un dato certamente più incoraggiante ma caratterizzato da notevole incertezza4. Lo sperato superamento della crisi, inevitabilmente lento, non va di pari passo al recupero dei posti di lavoro perduti; questo, anzi, è destinato a protrarsi nel tempo; né è certo che possa manifestarsi con le caratteristiche qualitative e con l’intensità precedenti, stanti le inevitabili trasformazioni avvenute negli aspetti strutturali dei sistemi produttivi. Secondo l’ultimo Rapporto pubblicato dall’Ocse5, dal 2008 la crisi ha bruciato complessivamente tredici milioni di posti di lavoro con un tasso disoccupazione medio nei 34 stati membri che si attesta intorno all’ 8,5%. Ma le differenze tra paesi sono rilevanti: si va dal 3,7% della Norvegia al 20,2% della Spagna. L'Italia si mantiene in media Ocse con il suo 8,5%. 3 I dati utilizzati per descrivere la situazione economica italiana in termini reali provengono dal Rapporto Coop 2011, Consumi e distribuzione, settembre 2011. 4 BANCA D’ITALIA, Bollettino Economico n°65/2011, luglio. 5 Cfr. OCSE, Education at a Glance 2011, September. 37 L’economia internazionale e il quadro economico italiano Il dato preoccupante per il nostro paese riguarda soprattutto la disoccupazione giovanile (15-24 anni): la percentuale italiana è infatti del 27,9, lontanissima dalla media Ocse (16,7%) e dalla virtuosa Svizzera (7,2%). Il (poco) lavoro è poi accompagnato da stipendi bassi. Almeno nel nostro paese. In media i lavoratori italiani portano a casa circa 26.600 euro. Cifra molto al di sotto della media Ocse di circa 35mila euro. Il tema assume particolare importanza per l’Italia dato che, prima del profilarsi del grave e comune rallentamento della crescita fino a divenire vera e propria recessione, presentava rilevanti differenziazioni, se non dei veri e propri handicap, in confronto alle economie più avanzate operanti sulla scena internazionale. Non a caso, in Italia si stava assistendo ad un andamento molto debole dell’economia già prima della crisi, che solo ha avuto il “demerito” di aggravare un problema relativo al nostro tasso di crescita potenziale che era evidente ben prima del 2008; il nostro apparato industriale si è rivelato ancora una volta particolarmente fragile rispetto alle avversità della congiuntura internazionale; l’elevato livello dello stock di debito pubblico che abbiamo accumulato6 ha influenzato, in maniera più o meno diretta, il percorso dell’economia italiana durante la crisi, se non altro condizionando le scelte di politica economica attuate dal Governo e dalla Banca d’Italia. 6 Si veda il paragrafo precedente. 38 L’economia internazionale e il quadro economico italiano E’ in particolare nei settori industriali che, in Italia come in altri paesi europei, sembra emergere una stabilizzazione dei livelli produttivi in prossimità dei minimi toccati durante la crisi. Tuttavia, dopo l’indebolimento registrato tra la fine del 2010 e l’inizio del 2011, l’attività industriale ha mostrato timidi segnali di miglioramento nel secondo trimestre del 2011 (+1,5%). Dall’avvio della fase espansiva il ritmo di crescita dell’attività industriale è in linea con quello della Francia, ma meno sostenuto rispetto alla Germania. Nonostante i segnali positivi, in prospettiva l’intensità della ripresa resta incerta per tutti i paesi Europei se si considerano anche i modesti consumi da parte delle famiglie, sui quali continua a incidere la debolezza del reddito disponibile7. Il Governo italiano si trova oggi impegnato nella affannosa ricerca di un nuovo equilibrio dei conti pubblici che consenta di raggiungere presto il pareggio di bilancio e impedisca la speculazione sui titoli di debito pubblico italiani. Ma i segnali che i detentori del debito pubblico italiano si attendono sono di due tipi. Da un lato, la certezza che il paese tornerà a spendere secondo le proprie possibilità e dall’altro, soprattutto, la progressiva riduzione del debito pregresso. In entrambi i casi, riduzione del deficit e del debito in rapporto al Pil, l’obiettivo non può essere raggiunto solo 7 Il tema sarà affrontato nel prossimo capitolo. 39 L’economia internazionale e il quadro economico italiano aumentando la pressione fiscale o riducendo la spesa ma è fondamentale per l’economica nazionale tornare a crescere. Spingere solo sulle entrate fiscali (come il recente innalzamento dell’aliquota Iva al 21%), potrebbe deprimere ulteriormente la domanda interna, alimentando un spirale perversa in cui i maggiori introiti fiscali si rivelano insufficienti a compensare il deterioramento delle prospettive di crescita. 40 L’impatto della turbolenza finanziaria sulle famiglie italiane CAPITOLO III L’IMPATTO DELLA TURBOLENZA FINANZIARIA SULLE FAMIGLIE ITALIANE 3.1 La manovra del Governo Italiano contro la speculazione finanziaria Le tendenze dell’economia italiana non potevano che risentire delle condizioni sfavorevoli in cui versa il quadro economico internazionale, descritte nel capitolo precedente. Ciò nonostante, pure tenendo conto delle tendenze dello scenario globale, gli esiti dell’economia italiana nel corso degli ultimi tre anni sono stati particolarmente deludenti. L’Italia è difatti uno dei paesi che hanno registrato nel corso della crisi la maggiore contrazione del Pil ed è poi risultata fra quelle economie che meno di altre hanno beneficiato della successiva ripresa: nel primo trimestre del 2011 il livello del Pil italiano era ancora del 5% inferiore ai valori precedenti la crisi: l’andamento peggiore tra le principali economie dell’area euro. La crisi ha colpito duramente tutti i settori industriali del paese che sono quasi tutti ancora molto lontani dai livelli produttivi del 2007 e tale 41 L’impatto della turbolenza finanziaria sulle famiglie italiane circostanza purtroppo fa temere che si tratti di perdite di prodotto di carattere permanenti. Le difficoltà della ripresa si riflettono sull’andamento dei conti pubblici, poiché anche le entrate dello Stato, rispecchiando l’andamento delle rispettive basi imponibili, si espandono con velocità simili a quelle dell’attività economica. Le difficoltà della finanza pubblica hanno quindi richiesto un nuovo, pesante, intervento di correzione dei conti che ancora una volta è destinato ad avere effetti depressivi sulla domanda delle famiglie. A luglio scorso il Governo aveva varato una manovra1 con la quale si intendeva ridurre il deficit pubblico da un valore pari al 4,5% del Pil nel 2010, sino al pareggio entro il 2014. Si trattava quindi di realizzare una riduzione dei deficit pari ad oltre l’1% del Pil ogni anno. Tale obiettivo sarebbe stato conseguito cumulando una correzione significativa per gli anni 2013 e 2014 all’intervento sul 2011 e il 2012 già varato lo scorso anno. La manovra varata nel 20102 comportava, infatti, una correzione del bilancio quantificata dal Governo in 25 miliardi nel biennio 2011-2012. L’intervento di luglio prevedeva, invece, una leggera correzione aggiuntiva nel 2011-2012 e una più ampia nei due anni successivi, sino a cumulare un aggiustamento del deficit di 48 miliardi sino al 2014. 1 Decreto Legge 6 luglio 2011, n. 98 coordinato con la Legge di conversione 15 luglio 2011, n. 111 pubblicata in Gazzetta Ufficiale 16 luglio 2011, n. 164. 2 D.L. n° 78 del 31 maggio 2010 recante "Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria e la competitività economica". 42 L’impatto della turbolenza finanziaria sulle famiglie italiane Sommando le due manovre, si giungeva quindi ad una stretta fiscale di dimensioni eccezionali nell’intero quadriennio. Pur tenendo presente che parte delle quantificazioni del Governo pareva sovrastimare l’efficacia effettiva degli interventi, la dimensione della correzione di bilancio risultava significativa e tale, comunque, da garantire la tenuta dei conti pubblici italiani. L’approvazione di una correzione così ampia e l’adozione di target ambiziosi, come il pareggio di bilancio, si spiegavano evidentemente in funzione delle tensioni sui mercati finanziari e delle pressioni esercitate dall’aumento dei tassi d’interesse sui nostri titoli di Stato. Nonostante l’ampiezza della manovra di luglio, però, nel corso del mese di agosto le tensioni sui mercati si sono intensificate. Gli spread sui rendimenti dei titoli di Stato italiani si sono allargati, stabilizzandosi solamente quando la Bce è intervenuta verso metà mese con acquisti massicci di titoli di Stato italiani e spagnoli. La ragione per cui l’Italia subisce una pressione così rilevante dai mercati risiede nel fatto che il vero problema per il nostro paese non è in realtà la conduzione della politica fiscale, risultata fra le più prudenti su scala internazionale. Contano piuttosto altri due fattori: innanzitutto l’elevato stock di debito ereditato dal passato, e in secondo luogo i problemi di crescita che gravano sul nostro paese. L’elevata pressione subita dai mercati finanziari, ha spinto il Governo a cercare di rafforzare la manovra al fine di migliorare il clima delle 43 L’impatto della turbolenza finanziaria sulle famiglie italiane aspettative sui mercati. In particolare, la dimensione della manovra è stata aumentata: 55 miliardi rispetto ai 48 della manovra di luglio3. Ma, soprattutto, è mutata la tempistica della correzione, che adesso ambisce a conseguire il pareggio di bilancio già nel 2013. Questo fa sì che sia aumentata l’entità della riduzione del deficit da conseguire nel 2012 e nel 2013. La stretta fiscale sarebbe particolarmente accentuata nel 2012, quando il deficit, secondo le stime del Governo, si porterebbe all’1,4% del Pil dal 3,9% del 2011. Tale riduzione deriverebbe dal fatto che si sovrapporrebbero il prossimo anno gli effetti della manovra varata nel 2010 (che determinava nel 2012 una correzione di 13 miliardi di euro) e quelli della manovra di agosto (18 miliardi sul 2012). Anche considerando che l’efficacia di parte delle misure possa essere inferiore al valore facciale dell’intervento annunciato dal Governo, è comunque chiaro che gli effetti della politica di bilancio penalizzeranno il prossimo anno l’andamento della domanda interna in Italia. Il timore è che lo scenario congiunturale relativamente debole renda complicato il rispetto degli obiettivi di riduzione del deficit, imponendo ulteriori manovre che a loro volta penalizzerebbero ancor di più le prospettive di sviluppo per i prossimi anni. 3 Decreto legge 13 agosto 2011 n. 138, recante “Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo“. 44 L’impatto della turbolenza finanziaria sulle famiglie italiane 3.1.1 Le misure che interessano le famiglie Il quadro della finanza pubblica appare dunque piuttosto deludente, suggerendo una possibile diminuzione dei redditi familiari nei prossimi anni a causa o per effetto dei numerosi interventi che, direttamente o indirettamente, ne influenzeranno il potere d’acquisto. Fra le diverse misure ve ne sono alcune che più direttamente interessano le famiglie. Fra queste, le principali sono il blocco del turnover e il blocco dei salari nel pubblico impiego. Questa misura si applica ad una massa di spesa pubblica che conta per circa il 10% del Pil: in quattro anni si ottiene una decurtazione in termini reali dei salari del pubblici di circa l’8%, che corrispondono a circa 12 miliardi di euro nel 2014. Peraltro, tra le misure della manovra varata nel 2010 vanno anche ricordati i provvedimenti di lotta all’evasione, al momento di quantificazione incerta. Fra le altre misure introdotte con la manovra varata a luglio 2011 vi sono l’imposta di bollo sui conti titoli (2 miliardi a regime nel 2014) e l’aumento delle accise sui carburanti (altri 2 miliardi a regime). Vi sono poi misure a effetto indiretto, come i tagli dei trasferimenti agli enti locali i quali potranno a loro volta rivalersi eventualmente sui cittadini ad esempio attraverso misure di aumenti delle tariffe. A questi effetti, si aggiungeranno quelli derivanti dalla manovra di agosto, quali ad esempio: 45 L’impatto della turbolenza finanziaria sulle famiglie italiane - l’aumento del prelievo sui redditi più elevati (il cosiddetto “contributo di solidarietà”). - l’aumento dell’Iva di un punto percentuale per i beni non di prima necessità (dal 20% al 21%). Secondo la relazione tecnica allegata al maxi emendamento, l’aumento dell’iva produrrà un maggior gettito pari a circa 700 milioni di euro per quanto riguarda il 2011 e di 4,23 miliardi di euro per quanto riguarda il 2012. Tali importi saranno interamente destinati al miglioramento dei conti pubblici. In generale, quindi, pur non essendo ancora possibile al momento una corretta quantificazione degli effetti della politica di bilancio sul reddito delle famiglie, è comunque evidente che nei prossimi anni il potere d’acquisto dei consumatori subirà conseguenze significative dalla correzione fiscale. 3.2 Il Bilancio delle famiglie italiane Il quadro dell’economia italiana fin qui descritto, qualifica le condizioni di contesto all’interno delle quali si determinano i comportamenti di consumo. In generale, la situazione illustrata risulta nel complesso poco favorevole all’andamento dei redditi delle famiglie, e quindi anche alle decisioni di spesa. I consumatori sono costretti a fare i conti con la 46 L’impatto della turbolenza finanziaria sulle famiglie italiane crescita della disoccupazione (specie giovanile) e le conseguenze legate alle politiche del bilancio pubblico; si può quindi affermare che le famiglie registrano un lungo periodo di difficoltà dal punto di vista dell’evoluzione del reddito (Fig. 3.1). La fotografia scattata dall’ultimo rapporto Istat nel periodo 20062009, pone l’accento su questo aspetto evidenziando una diminuzione del reddito disponibile pari al 2,7%, con cali più significativi al Nord (4,1% nel Nord-ovest e -3,4% nel Nord-est) dove la morsa della recessione economica, soprattutto nel 2009 si fa sentire con maggior forza che al centro e nel Meridione4. Il forte calo del reddito disponibile nel Nord-ovest nel 2009, spiega l’Istat, è da imputarsi alla cattiva performance di Piemonte e Lombardia. In Piemonte, infatti, c’è stata una forte contrazione dell’input di lavoro dipendente; la Lombardia sconta, invece, la battuta d’arresto degli utili distribuiti dalle imprese. Calabria e Sicilia sono le uniche regioni italiane in cui il reddito delle famiglie ha mostrato tassi di crescita lievemente positivi; in tali regioni, peraltro, anche la dinamica del Pil è stata migliore che altrove. Tale risultato, secondo l’Istat, è riconducibile alla minor propensione delle famiglie meridionali agli investimenti rischiosi, che ha permesso, in tempo di crisi, una tenuta degli interessi netti ricevuti (ad esempio dai libretti postali). In più il minore accesso al credito bancario ha permesso 4 Il 2 febbraio scorso l’ISTAT ha pubblicato i dati su “Il reddito disponibile delle famiglie nelle regioni italiane. Anni 2006-2009”; elaborati secondo il Sistema europeo di conti nazionali e regionali (SEC 95). 47 L’impatto della turbolenza finanziaria sulle famiglie italiane di contenere l’impatto negativo dovuto dall’aumento degli spread sugli interessi passivi. Insomma le peculiarità del rapporto tra famiglie del Mezzogiorno e gestione del risparmio, che spesso sono state addotte come dei limiti alla crescita dell’area, si sono invece rilevate come i punti di forza della tenuta del reddito disponibile durante la crisi. Dopo un triennio caratterizzato da tre variazioni consecutive di segno negativo, l’andamento del reddito disponibile risulta in termini reali ancora a stento positiva nel 2011, e in previsione, anche nel 2012. Figura 3.1 – Il reddito disponibile e i consumi Fonte: Banca d’Italia, Bollettino Economico n°66, Ottobre 2011 Secondo i dati diffusi dall’ISTAT relativi al II trimestre 2011, il potere di acquisto delle famiglie (appunto il reddito disponibile in termini reali) è 48 L’impatto della turbolenza finanziaria sulle famiglie italiane diminuito dello 0,2% rispetto al I trimestre e dello 0,3% rispetto al corrispondente trimestre del 2010. La contrazione del reddito disponibile, che si protrae ormai dal 2008, si accentuerà ulteriormente nel prossimo biennio (-0,6% nel 2012 e -0,7% nel 2013), per gli effetti della manovra correttiva di finanza pubblica. In precedenza, diminuzioni reali del reddito disponibile si erano verificate solo nel 1993-94 (-4,1%) e nel 1998 (-0,8%). Nella prospettiva storica degli ultimi cinquant’anni, quello che stiamo vivendo è dunque il più lungo e intenso periodo di abbassamento dei redditi reali delle famiglie italiane che, come vedremo più avanti, si traduce in una contrazione del tasso di risparmio facendo così definitivamente tramontare l’immagine dell’Italia quale “paese di risparmiatori”. 3.3 Le decisioni di risparmio delle famiglie Le decisioni di consumo e di risparmio, che nella realtà sono prese simultaneamente, dipendono da tanti fattori, di natura economica, sociale, demografica, culturale. Certamente, il livello del reddito e la sua dinamica giocano un ruolo di prim’ordine sulle scelte che determinano il livello del risparmio. 49 L’impatto della turbolenza finanziaria sulle famiglie italiane Nell’ultimo triennio il reddito disponibile degli italiani è diminuito di sei punti percentuali, una misura non distante dalla perdita del prodotto interno lordo. La caduta dei consumi è stata, tuttavia, meno marcata di quella dei redditi il cui andamento è stato decisamente più stabile, e caratterizzato, dalla metà del 2009, da una tendenza leggermente crescente. Fig. 3.2 – L’andamento dei consumi Fonte: ANCC-COOP, Consumi e distribuzione 2011, Settembre 2011 Questo vuol dire che la caduta del reddito non si è traslata completamente sui livelli di spesa, e che le famiglie hanno cercato di limitare il deterioramento del proprio tenore di vita riducendo il tasso di risparmio. 50 L’impatto della turbolenza finanziaria sulle famiglie italiane Si tratta di una tendenza in corso oramai dai diversi anni e rilevata anche dall’Istat5. Per fronteggiare le recenti difficoltà, l’economia e la società italiana hanno eroso molte delle riserve disponibili. E’ bene ricordare che una delle ragioni per cui l’Italia è rimasta relativamente al riparo dalla crisi dei debiti sovrani che ha travolto finora Grecia e Portogallo, è proprio l’elevato tasso di risparmio e la ricchezza privata. Se questi scendono, e sono destinati a farlo ancora in un sistema che non dà certezze e che propone gli stipendi più bassi dell’Unione europea, il destino dell’Italia potrebbe assomigliare sempre più a quello della Grecia o del Portogallo. Il risparmio delle famiglie italiane è sceso ai livelli minimi dal 1990 (Fig. 3.2.) E’ la prova del nove che di ricchezza, in giro, ce n’è sempre meno, soprattutto per quel 25% di italiani che, sempre secondo i dati diffusi dall’Istat, si avvicina alla soglia di povertà. La figura 3.3 indica (linea rossa) il livello assoluto del risparmio delle famiglie in Italia, dal 1990 al 2010. La contrazione del risparmio dipende da due importanti cause: la prima, ben nota, riguarda la stagnazione del reddito disponibile. Se si dispone di minori risorse si consumerà meno e si risparmierà meno. La seconda è dovuta in parte al progressivo invecchiamento della popolazione. È accentuata non solo dal minor peso delle generazioni 5 ISTAT, Reddito e risparmio delle famiglie e profitti delle società, Settembre 2011. http://www.istat.it/it/archivio/40542 51 L’impatto della turbolenza finanziaria sulle famiglie italiane più giovani, ma anche dalle loro diminuite capacità di risparmio. Il peggioramento delle condizioni retributive all’ingresso nel mercato del lavoro, non compensato da una più rapida progressione salariale nel corso della carriera lavorativa, ha contribuito a contrarre la propensione al risparmio dei nuclei con capofamiglia giovane. Fig. 3.3 – La recente storia del risparmio delle famiglie italiane (1990 – 2010) Fonte: Elaborazioni Ufficio Studi Confcommercio su dati Istat, marzo 2011 Tra i giovani è aumentata la quota di famiglie con risparmio nullo o negativo; è salita al 32% nel 2008 tra i nuclei con capofamiglia di età inferiore a 35 anni, dal 26% nel 2000. 52 L’impatto della turbolenza finanziaria sulle famiglie italiane Anche l’accresciuta instabilità dei redditi condiziona le opportunità e le scelte di risparmio dei più giovani. In assenza di una redistribuzione più equa delle risorse fra le diverse generazioni, rispetto al passato, i giovani dovranno contribuire in misura maggiore alle finanze pubbliche. Nel 1990, per un trentacinquenne, l’incidenza sul reddito delle imposte e dei contributi sociali era pari a meno del 20%; per un trentacinquenne di oggi supera il 25%. Sull’aumento influisce l’eccessiva lentezza nelle modalità del passaggio al metodo di calcolo contributivo per le pensioni. Da questi dati, diffusi dall’ormai ex Governatore della Banca d’Italia Mario Draghi nell’ambito del suo intervento alla Giornata Mondiale del Risparmio del 2011, emerge chiaramente una situazione in cui i giovani di oggi sono più svantaggiati dall’effetto crisi di quanto non lo siano le generazioni relativamente più anziane, colpite in misura più limitata6. La linea verde della figura 3.3 indica la propensione al risparmio, cioè quanti euro sono risparmiati mediamente dalla popolazione italiana per ogni 100 euro di reddito disponibile (rapporto tra risparmio e reddito disponibile). La propensione al risparmio è molto diminuita dal 1990 a oggi, passando dal 23% a meno del 10%. Da una parte questo dato può essere considerato negativamente. 6 Per maggiori approfondimenti si veda ACRI, Giornata mondiale del risparmio del 2011, ottobre 2011, Roma. 53 L’impatto della turbolenza finanziaria sulle famiglie italiane Il minore tasso di risparmio necessariamente implica minori investimenti e la riduzione del processo di accumulazione di capitale riduce le prospettive di crescita per il futuro. D’altra parte, è opportuno porre l’accento anche sulle valenze positive di questo fenomeno. Intanto le famiglie hanno palesato grande vitalità e forza di reazione nei confronti della prolungata stagnazione economica tentando di non comprimere, per quanto possibile, i consumi che sono l’indicatore più prossimo a un ideale parametro di benessere materiale. La caduta del tasso di risparmio, ha dunque giocato un ruolo positivo durante la crisi, nella misura in cui è grazie ad essa che la caduta dei consumi è stata mitigata; tale comportamento però apre altri quesiti, a proposito della sostenibilità dei livelli di spesa attuali da parte delle famiglie. L’andamento dei consumi, difatti, pur essendo stato decisamente deludente in termini assoluti, non ha pienamente incorporato le conseguenze dell’abbassamento del reddito disponibile delle famiglie. In altri termini, i consumatori dovrebbero in teoria calibrare il proprio standard di consumo tenendo conto dell’andamento del reddito che si attendono di poter percepire stabilmente in futuro: il cosiddetto “reddito permanente7.” 7 Teoria economica sviluppata da Milton Friedman per l'analisi delle relazioni tra redditi individuali e familiari e livello dei consumi. L'economista definì il reddito permanente semplicemente come quel livello di reddito di lungo periodo il cui valore attuale è pari alla ricchezza della famiglia e del suo reddito futuro atteso. Tutte le altre variazioni del reddito si considerano transitorie. 54 L’impatto della turbolenza finanziaria sulle famiglie italiane Pertanto, i consumi non dovrebbero seguire l’andamento del reddito quando questo cade durante le recessioni, così come non dovrebbero trasferire completamente in maggiori consumi gli aumenti di reddito che si verificano nella fasi di espansione del ciclo economico. Il fatto che le famiglie abbiano ridotto in misura così consistente il tasso di risparmio nel corso degli ultimi anni è tuttavia un fatto negativo se tale contrazione dipende da una interpretazione errata della crisi, considerando quest’ultima solo un fatto episodico, di carattere transitorio perché legato ad una congiuntura sfavorevole. Con il passare dei mesi però, è chiaro che gli effetti della crisi sul reddito non sono solo transitori, ma di natura permanente. E a maggior ragione considerando che gli effetti dell’azione di risanamento dei conti pubblici lasciano pochi spazi di crescita del reddito per gli anni a venire. In queste condizioni, quanto più a lungo il reddito delle famiglie si mantiene su valori inferiori a quelli precedenti la crisi, tanto più appare probabile che si possa anche entrare in una nuova fase in cui le aspettative delle famiglie acquisiscono consapevolezza del relativo grado di impoverimento degli anni passati, adeguando quindi anche il tenore di vita al più basso livello di reddito. Vi è quindi anche la concreta eventualità che, se il clima generale non si dovesse rasserenare in tempi brevi, possa anche verificarsi una fase in cui il tasso di risparmio dei consumatori tenda addirittura ad 55 L’impatto della turbolenza finanziaria sulle famiglie italiane aumentare, portando la dinamica dei consumi al di sotto di quella già debole del loro reddito. Fra gli elementi che possono contribuire a penalizzare l’evoluzione del tasso di risparmio delle famiglie, vi è anche l’andamento della ricchezza finanziaria, che stante le difficoltà dei mercati finanziari (perdite della borsa italiana e flessioni dei prezzi dei titoli di Stato), risulta fortemente penalizzata anche considerando che le famiglie italiane si caratterizzano tradizionalmente per la tendenza ad acquistare attività finanziarie nazionali rispetto ad attività estere. Inoltre è importante sottolineare, per completare l’analisi, che buona parte del risparmio annuale finisce investito in abitazioni. L’ultima rilevazione dell’indagine Confcommercio8 evidenzia che, tra la fine del 2010 e la prima parte del 2011, gli orientamenti di risparmio delle famiglie italiane presentano una divisione piuttosto marcata: o investimenti immobiliari o liquidità, senza significative alternative. Questo potrebbe riflettere una condizione di incertezza che sta rientrando soltanto molto lentamente, come testimoniano le risposte più frequenti: il 31,7% indirizzerebbe i risparmi in immobili e il 29,5% preferirebbe la liquidità sul conto corrente. 8 CENSIS – CONFCOMMERCIO, Outlook dei consumi Clima di fiducia e aspettative delle famiglie italiane, marzo 2011. 56 L’impatto della turbolenza finanziaria sulle famiglie italiane Fig. 3.3 – Le decisioni di risparmio Fonte: Ufficio studi Confcommercio, Nota sul risparmio delle famiglie italiane, marzo 2011 Quest’allocazione del risparmio, governata da scopi cautelativi, cioè difensivi, più che da una strategia attiva di trasferimento temporale di potere d’acquisto, non è esente da rischi. L’inflazione, in aumento per il 2011, trainata dai rialzi dei corsi delle materie prime energetiche e non, potrebbe ridurre il valore reale del risparmio accumulato, cioè della ricchezza detenuta in forma liquida. Essa, normalmente, frutta modesti rendimenti, che difficilmente coprono la perdita di potere d’acquisto dovuta all’aumento generalizzato dei prezzi. 57 L’impatto della turbolenza finanziaria sulle famiglie italiane Secondo i dati preliminari su base mensile diffusi dall’Istat9, l'inflazione misurata dall'indice Nic con tabacchi registra un aumento dello 0,6% rispetto a settembre e del 3,4% nei confronti dello stesso mese dell'anno precedente. L'Istituto osserva che la dimensione della crescita congiunturale rispecchia anche gli effetti delle misure previste dalla recente manovra e, in particolare, dell'aumento dell'aliquota dell'Iva ordinaria al 21%. 3.4 Le prospettive di crescita Il quadro dell’economia fin qui descritto ha messo in luce le sostanziali difficoltà che gravano sulle tendenze del biennio in corso. In particolare, si può segnalare come l’esito più probabile sia costituito da una fase di crescita molto lenta, a ritmi ampiamente inferiori all’1% su base annua. I fattori di ostacolo al consolidamento della ripresa riguardano innanzitutto la domanda interna. L’avvio della fase di restrizione della politica di bilancio frena la crescita del reddito disponibile delle famiglie, ulteriormente penalizzata guardando alla dimensione degli incrementi in termini reali, per effetto del rialzo dell’inflazione rispetto ai tassi molto bassi del 2009-2010. 9 Si consulti il sito http://www.istat.it/it/archivio/43878 58 L’impatto della turbolenza finanziaria sulle famiglie italiane In conseguenza di ciò la previsione sull’andamento del reddito disponibile risulta, in termini reali, a stento positiva sia nel 2011 che nel 2012, e dopo un triennio caratterizzato da tre variazioni consecutive di segno negativo. Forse, è solo assumendo un’ulteriore flessione del tasso di risparmio che si potrebbe prevedere solo una ridotta crescita dei consumi. Le probabilità di entrare nuovamente in recessione non sono quindi più basse di quelle di una prosecuzione lungo il lentissimo, estenuante, incerto processo di ritorno alla crescita economica. I prossimi mesi appaiono cruciali. Il verso che assumerà la dinamica economica italiana potrebbe essere determinato proprio dai movimenti della propensione al consumo: un suo blocco o una sua riduzione farebbero entrare, molto verosimilmente, il Paese in una nuova fase recessiva. L’auspicio è di osservare, quanto prima, un’indicazione chiara da parte delle Autorità di politica economica nella direzione della crescita produttiva e del rilancio della fiducia di lavoratori, imprese e famiglie, le vere risorse economiche del Paese. 59 CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE Gli anni che vanno dal 2008 al 2011 sono stati caratterizzati caratterizzato dalla peggiore crisi economica del secondo dopoguerra, di conseguenza l’andamento dell’economia italiana ed internazionale è stato complessivamente negativo. Il 2010 ha descritto una prima inversione di tendenza dopo una fase cedente dei volumi di spesa. L’incremento dei consumi osservato lo scorso anno è riconducibile, però, in buona misura, alla compressione del tasso di risparmio che continua a contrarsi anche nel 2011. Vi sono però non poche perplessità sul mantenimento di tale tendenza nel lungo periodo: in altre parole, fino a quando è possibile garantire la tenuta dei livelli di spesa accentuando la compressione dei risparmi? Le prospettive per il reddito disponibile, difatti, non sono particolarmente rosee risentendo, come descritto nei capitoli, della sostanziale stagnazione dell’economia italiana nel suo complesso e del miglioramento molto graduale del mercato del lavoro. L’accelerazione dell’inflazione, per effetto delle tensioni sui prezzi delle materie prime, impatta poi in senso ampiamente negativo sulla dinamica reale dei salari. 60 Infine, oltre all’inflazione, a influenzare negativamente l’andamento del potere d’acquisto delle famiglie vi è naturalmente soprattutto la politica fiscale. In questo senso, in un contesto in cui una correzione delle finanze pubbliche non appare procrastinabile, non possono essere escluse inversioni nella tendenza della propensione al consumo da parte delle famiglie: l’elevata incertezza sullo stato dell’economia, gli effetti ricchezza negativi derivanti dalle tensioni sui rendimenti di titoli di Stato, l’andamento cedente del mercato azionario e la stagnazione dell’immobiliare hanno comportato una riduzione della ricchezza delle famiglie italiane, e la prospettiva di ulteriori correzioni del bilancio pubblico potrebbe tradursi in un recupero del tasso di risparmio legato all’interiorizzazione di attese meno favorevoli per i prossimi anni da parte delle famiglie. 61 BIBLIOGRAFIA ACRI, Giornata mondiale del risparmio del 2011, Ottobre 2011. AKERLOF G., The market for lemons: quality uncertainty and themarket mechanism, QUARTERLY JOURNAL OF ECONOMICS, 1970. 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