DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E FINANZA LA CRISI FINANZIARIA

DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E FINANZA
Cattedra di Economia Internazionale
LA CRISI FINANZIARIA E IL BILANCIO DELLE
FAMIGLIE ITALIANE
Relatore:
Candidato:
Prof. Stefano Manzocchi
Luca Ferretti
Matr. 138521
Anno Accademico 2010-2011
Indice
Pag.
Introduzione ………………………………………………………
3
CAPITOLO I
LA CRISI FINANZIARIA INTERNAZIONALE.
ORIGINI E SVILUPPI
1.1 La crisi del 1929 e il rischio finanziario e reale di oggi …
4
1.2 Il periodo precedente la crisi ……………………………….
9
1.3 Le ragioni e le fasi della crisi ……………………………….
15
1.3.1 I mutui subprime ………………………………………….
16
1.3.2 Il fallimento della Lehman Brothers …………………….
20
1.3.3 lo scoppio della crisi: il contagio finanziario e
all’economia reale ………………………………………...
24
CAPITOLO II
L’ECONOMIA INTERNAZIONALE E IL QUADRO
ECONOMICO ITALIANO
2.1 Europa: analisi di una ripresa difficile ……………………..
1 27
2.2 Le prospettive di crescita e il debito pubblico …………….
2.3 Un quadro di sintesi sulla situazione
30
36
economica italiana …………………………………………
CAPITOLO III
L’IMPATTO DELLA TURBOLENZA FINANZIARIA SULLE
FAMIGLIE ITALIANE
3.1 La manovra del Governo italiano contro la speculazione
finanziaria ………………………………………………………...
41
3.1.1 Le misure che interessano le famiglie ……………………….
45
3.2 Il bilancio delle famiglie italiane………………………………….
46
3.3 Le decisioni di risparmio delle famiglie …………………………
49
3.4 Le prospettive di crescita ………………………………………...
58
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE………………………………….. 60
BIBLIOGRAFIA………………………………………………………… 62
2 INTRODUZIONE
L’obiettivo del presente lavoro vorrebbe essere quello di
analizzare gli effetti della crisi internazionale sul bilancio delle famiglie
italiane, con una attenzione particolare alla dinamica del risparmio in
un contesto che vede l’accesso al credito per il settore privato sempre
più critico. È strutturato come segue: la prima parte vorrebbe
ripercorre le tappe principali della crisi, al fine di evidenziarne cause
ed effetti che maggiormente hanno caratterizzato questi ultimi anni.
Nella seconda parte si vorrebbe esaminare il quadro economico
italiano dal momento che a fronte di una ripresa economica debole, e
per certi versi inesistente, gli italiani fanno ancora i conti con l’eredità
lasciata dalla crisi più di quanto facciano gli europei. Inoltre le nostre
banche, soprattutto quelle grandi, operanti su base internazionale, non
hanno infatti potuto evitare i contraccolpi della crisi; le turbolenze dei
mercati e la recessione hanno quindi finito per pesare sull’offerta di
credito in Italia. Nella terza parte si analizzerà il recente andamento
del reddito disponibile delle famiglie italiane indicando i principali rischi
che incombono su esso, con particolare riferimento al risparmio e, di
conseguenza, al consumo. Infine, si svolgeranno alcune riflessioni
conclusive dai dati ed informazioni raccolti.
3
CAPITOLO I
LA CRISI FINANZIARIA INTERNAZIONALE.
ORIGINI E SVILUPPI
1.1 La crisi del 1929 e il rischio finanziario e reale di oggi
Nell’ottobre del 1929 si ebbe il fatidico crollo dell’economia mondiale
che coinvolse tutti i paesi industrializzati; la grande depressione
ricordata come il “Crollo di Wall Street” ebbe conseguenze devastanti in
tutti i paesi industrializzati provocando drastiche riduzioni di reddito e
crolli del commercio internazionale, dell’agricoltura e di tutte le
produzioni. Moltissime sono state le analisi effettuate per spiegare tale
grave crisi economica che, partendo dagli Usa si è estesa in tutto il
mondo.
John Kenneth Galbraith, un economista canadese fra i più celebri e
influenti del suo tempo, spiegò che tra i motivi vi era senza dubbio, oltre
ad una errata distribuzione di reddito, anche un eccesso di
speculazione finanziaria e una struttura sbagliata del sistema bancario.
Dopo il crollo nell’ottobre del 1987, quando la caduta verticale di tutte le
borse mondiali fece temere un altro '29, scrisse un saggio, "Breve storia
-4-
La crisi finanziaria internazionale. Origini e sviluppi
dell'euforia finanziaria1”, nel quale, ricorrendo alla psicologia degli
speculatori, dei banchieri e del popolo degli investitori più che alla
scienza economica, tracciava un quadro impietoso delle ricorrenti crisi.
Si possono individuare, secondo l’autore, un insieme di caratteristiche
comuni alla maggior parte, se non alla totalità degli episodi di crisi: da
quella del XVII secolo scaturita dalla folle speculazione sui bulbi dei
tulipani, che travolse l'Olanda nel 1637, fino alla crisi del ‘29 e alle più
recenti speculazioni della nuova ingegneria finanziaria, i junk bond
(titoli-spazzatura), i leveraged buyout (acquisizioni finanziate con
indebitamento) i futures (contratti a termine su indici di borsa), tanto per
citarne alcuni.
In quest'epoca, tuttavia, sta venendo meno, una certezza che da
qualche decennio, almeno dal decollo della globalizzazione, ha
sostenuto anche psicologicamente i processi di sviluppo. E, cioè, che
per assicurarne il decorso, non fosse necessario un processo di
accumulazione, ma bastassero grandi finanziamenti in larga misura
derivanti dagli attivi dei tanti strumenti virtuali inventati dall'ingegneria
finanziaria.
L’allargarsi del mercato degli investimenti di portafoglio e la crescente
liberalizzazione dei movimenti di capitale ha consentito ai risparmiatori
internazionali delle scelte di investimento molto maggiori di prima, in
1
Galbraith J.K. Breve storia dell'euforia finanziaria. I rischi economici delle grandi
speculazioni, Milano, Rizzoli, 1998
-5-
La crisi finanziaria internazionale. Origini e sviluppi
termini di strumenti e operatori nonché il trasferimento di risparmi verso
i paesi emergenti. Tuttavia è stato anche foriero di crisi.
L’integrazione mondiale della finanza ha accentuato i fenomeni di
propagazione, contagio e interdipendenza delle crisi.
Ciò che colpisce è la numerosità di crisi finanziarie negli ultimi venti
anni: in America Latina (agli inizi degli anni ottanta), in Scandinavia (agli
inizi degli anni novanta), in Messico (nel 1994), in Tailandia, Indonesia
e Corea del Sud (nel 1997), in Russia (nel 1998), in Brasile (nel 199899), in Argentina (nel 2001) e la crisi dei mutui subprime che ha avuto
origine nell’estate 2007 negli Stati Uniti e che si propaga a tutto il
mondo con una gravità che non ha paragoni negli ultimi cento anni, se
non con la crisi del 1929.
In tutti gli episodi di crisi hanno giocato molti fattori: fattori
macroeconomici (nazionali e globali), innovazione tecnologica e
finanziaria, conflitti di interesse, eccessive assunzioni di rischio degli
investitori internazionali, attività di speculazione finanziaria, limitate
informazioni a disposizione delle autorità di vigilanza, difetti istituzionali
delle autorità di vigilanza e diffusa formazione culturale propensa a
ritenere che il mercato dei capitali abbia grandi capacità di
autoregolazione.
Ciò rende il quadro dell’integrazione finanziaria molto problematico e
complesso, anche in considerazione del fatto che in tutti i casi si è
-6-
La crisi finanziaria internazionale. Origini e sviluppi
assistito ad una sostanziale diminuzione del benessere per centinaia di
milioni di persone nei paesi interessati.
Nella comunità accademica e politica internazionale c’è sempre stata
una corrente di pensiero di economisti keynesiani e di storici economici
consapevoli che la storia finanziaria è piena di bolle, manie e crisi2.
In particolare Hyman Minsky, propone la sua “ipotesi della instabilità
finanziaria”, secondo la quale nel normale ciclo economico i mercati
finanziari producono delle bolle endogene di investimenti speculativi. I
rischi che queste crisi si manifestino, crescono tanto più quanto più i
capitali a livello internazionale sono liberi di muoversi.
Negli anni ’90, invece, prevalse la tesi di J. G. Williamson, secondo cui
una profonda riforma delle politiche economiche e una liberalizzazione
completa e repentina, sia dei mercati delle merci sia dei mercati dei
capitali, anche nei paesi emergenti, sarebbe stata foriera di maggiore
efficienza economica e di maggiore crescita dell’economia mondiale3.
E’ su questo terreno su cui più aspre sono state le critiche alla
globalizzazione e alle scelte liberiste degli organismi finanziari
internazionali degli ultimi decenni.
Molti economisti, tra cui Joseph Stiglitz, famoso critico della
globalizzazione, hanno ripetutamente invocato una maggiore cautela in
2
Charles P. Kindleberger, Mania, Panics and Crisis, A History of Financial Crisis,
John Wiley & Sons, New York, 1978; trad. Italiana, Euforia e panico, storia delle crisi
finanziarie, Laterza, Bari, 1981
3
Per approfondire le tesi degli autori citati si veda Hyman P Minsky, John Maynard
Keynes, Columbia University Press, 1975; J. G. Williamson, What should the World
Bank Think about the Washington Consensus”, The World Bank Research Observer.
-7-
La crisi finanziaria internazionale. Origini e sviluppi
materia di apertura finanziaria, specie per quei paesi che non hanno
istituzioni finanziarie adeguatamente sviluppate4.
La liberalizzazione dei mercati finanziari deve essere graduale e
accompagnata
da
un
adeguato
intervento
di
supervisione
e
regolamentazione. Una liberalizzazione troppo rapida, senza che siano
state rimosse le distorsioni e che siano state rafforzate le istituzioni
creditizie e gli organi di controllo, espone i paesi ad un concreto rischio
di crisi. I controlli sulla circolazione internazionale dei capitali
dovrebbero essere rimossi solo dopo aver conseguito determinati
requisiti: stabilità macroeconomica, completa liberalizzazione del
sistema finanziario nazionale, creazione di un solido sistema bancario e
di vigilanza, e liberalizzazione del commercio estero.
Sono dunque necessari gradualità e giusta sequenzialità nei processi di
liberalizzazione da un lato, e il rafforzamento dei sistemi di vigilanza
bancaria interna dall’altro. Inoltre, nei momenti di maggior difficoltà, i
paesi dovrebbero poter ricorrere a limitazioni dei movimenti di capitali a
breve termine in entrata o in uscita.
I fatti recenti ci ricordano che l’epicentro di una crisi finanziaria può non
trovarsi in un paese emergente. Negli ultimi vent’anni si sono succedute
tre crisi che hanno avuto l’epicentro negli Stati Uniti.
4
“Se la globalizzazione non è riuscita a ridurre la povertà, non è riuscita neppure ad
assicurare la stabilità”. Cfr. STIGLITZ J. E., La globalizzazione e i suoi oppositori,
Einaudi, Torino, 2002.
-8-
La crisi finanziaria internazionale. Origini e sviluppi
La crisi da hedge fund del 1998, che fu causata dal tracollo del Long
Term Capital Management (che peraltro era una conseguenza della
crisi asiatica del 1997 e della crisi russa del 1998); la crisi del 2000, che
ha investito il mercato delle telecomunicazioni (crisi dot-com) e che fu
inasprita dall’attacco terroristico del 2001 alle torri gemelle a New York;
e infine la peggiore crisi finanziaria mondiale dal secondo dopoguerra,
la crisi dei sub-prime, che ha avuto inizio con lo scoppio della bolla del
mercato immobiliare americano nel 2007, che si è estesa al mercato dei
titoli cartolarizzati, da lì alle banche di investimento, alle banche in
generale, alle Borse di tutto il mondo e che si è infine estesa nel 2008
all’economia reale sotto forma di recessione dei paesi industrializzati e
di caduta della crescita delle economie emergenti.
La crisi dunque non è solo finanziaria, ma si è estesa anche
all’economia ed ora è in piena fase di sviluppo dalla sua esplosione
nell’agosto 2007; ed inoltre non cessa di rendere esplicite le
conseguenze nella sua totalità.
1.2 Il periodo precedente la crisi
La crisi dei mercati finanziari si è inserita all’interno di un quadro
macroeconomico che negli Stati Uniti già cominciava a presentare
fattori di incertezza, ma solo dopo una fase di vigorosa crescita.
-9-
La crisi finanziaria internazionale. Origini e sviluppi
Gli anni precedenti la crisi dei mercati finanziari, esplosa nell’estate del
2007, erano stati infatti caratterizzati da una sostenuta espansione delle
economie mondiali (tab.1). Dopo il rallentamento del 2001, si assiste ad
una elevata crescita dell’economia mondiale nel triennio 2004-06.
Questa fase è stata definita di “Great Moderation”, data la modesta
entità delle fasi recessive5.
Gli Stati Uniti e le economie emergenti, in particolare quelle asiatiche,
hanno trainato la crescita mondiale, supportata anche dal consolidarsi
dell’espansione economica in Giappone.
All’accelerazione dell’economia statunitense, alla conferma delle
economie asiatiche emergenti quali motore dello sviluppo mondiale e
alla buona performance dell’economia giapponese, si è aggiunta la
ritrovata vivacità dell’area dell’euro. L’espansione internazionale risulta
pertanto più equilibrata rispetto al recente passato e contraddistinta da
una maggiore omogeneità nella distribuzione della crescita6.
5
Cfr. C. BORIO, The Financial Turmoil of 2007-?: a Preliminary Assessment and
Some Policy Considerations, BIS Working paper¸ n. 251, marzo 2008.
6
Si veda a tal proposito il DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO –
FINANZIARIA PER GLI ANNI 2007-2011 Approvato dal Consiglio dei Ministri il 6 luglio
2006.
- 10 -
La crisi finanziaria internazionale. Origini e sviluppi
Tab. 1 – CRESCITA ECONOMICA DELLE PRINCIPALI ECONOMIE
PIL: var. congiunturali annualizzate (%)
Anno
US
JAP
CHI
EU
2004
3,6
2,7
10,1
1,9
2005
3,1
1,9
10,4
1,7
2006
2,9
2.4
11.1
2,9
2007
2,2
2,1
11,4
2,6
Fonte: ABI – Centro Studi, 2008.
In particolare, il triennio 2004-06 si caratterizza per tassi di inflazione
estremamente contenuti e bassi tassi di interesse, in presenza di elevati
livelli di risparmio nelle economie asiatiche.
Il ridotto costo del credito ne alimenta una fortissima espansione. Si
assiste a una crescita sostenuta dei prezzi delle attività finanziarie e
reali, che determina un aumento del valore delle attività finanziarie e
reali delle famiglie. L’incremento dei prezzi delle abitazioni è
particolarmente sostenuto in alcuni paesi e, nello specifico, negli Stati
Uniti.
L’effetto ricchezza dovuto all’incremento di valore degli asset alimenta i
consumi, sostenendo la crescita dell’economia. Si determinano allo
- 11 -
La crisi finanziaria internazionale. Origini e sviluppi
stesso tempo la rapida espansione del debito e la contrazione dei
risparmi delle famiglie.
I livelli contenuti dei rendimenti determinano una ricomposizione dei
portafogli verso attività più rischiose. Cresce “l’appetito” per il rischio.
L’innovazione finanziaria permette di costruire attività sintetiche
caratterizzate da rendimenti elevati.
All’espansione del credito si accompagna l’aumento del grado di leva
nel settore finanziario: il fattore determinante è la possibilità di cedere
rapidamente sul mercato i crediti erogati dal sistema bancario.
L’espansione dell’attività delle banche e degli altri intermediari finanziari
poggia sul modello “originate-to-distribute” (OTD7), che ha consentito di
impacchettare e vendere, spesso attraverso una complessa rete di
passaggi, quote crescenti di attività, quali i prestiti, tradizionalmente
illiquide. Il nuovo modello, come efficacemente osservato in dottrina8,
ha permesso un ampliamento della disponibilità di finanziamento per
l’economia, grazie a un più elevato turnover degli attivi bancari.
7
Letteralmente “Frammentazione e Trasferimento dei Rischi di Credito”. E’ un
modello secondo cui un’istituzione finanziaria che origina un investimento ne
distribuisce il rischio ad altri agenti sul mercato attraverso l’uso di strumenti finanziari
come la securitization o cartolarizzazione.
8
In questi termini, M. ONADO, La crisi finanziaria internazionale: le lezioni per i
regolatori, in BANCA, IMPRESA E SOCIETA’, 2009.
- 12 -
La crisi finanziaria internazionale. Origini e sviluppi
Ma questo meccanismo si inceppa quando un segmento relativamente
piccolo dei mercati finanziari internazionali, quello dei mutui con basso
merito di credito (subprime), entra in crisi9.
E’ importante sottolineare che le tensioni sul segmento del subprime
sono il fattore scatenante del sostanziale riprezzamento dei rischi da
parte degli investitori.
Finisce la fase di “esuberanza irrazionale”, che aveva determinato una
forte caduta dei premi al rischio richiesti dagli investitori e un
deterioramento degli standard di erogazione del credito (Fig. 1).
FIG. 1 - ALCUNE CARATTERISTICHE ALLA BASE DELLA CRISI
FINANZIARIA
Aumento della leva nel
sistema finanziario
Maggiore complessità del
modello di
intermediazione
Forte crescita del
credito e minore
attenzione alla qualità
dei debitori
Ciclo di esuberanza
nei mercati
finanziari che si
autoalimenta
Forte aumento dei
prezzi delle abitazioni
in molte economie (es.
USA)
Sottostima dei rischi di
mercato e di liquidità
Fonte: riprodotto da UK Financial Services Authority, Financial Risk Outlook, 2009.
9
BIS - BANK FOR INTERNATIONAL SETTLEMENTS, 78th Annual Report, giugno
2008.
- 13 -
La crisi finanziaria internazionale. Origini e sviluppi
In uno dei suoi interventi10, il presidente della Federal Reserve, Ben
Bernanke11 ha affermato che la crisi immobiliare negli Stati Uniti e i
problemi del segmento dei mutui subprime costituiscono solo un
aspetto degli squilibri che si erano andati formando nei mercati bancari
e finanziari.
Alla base della crisi vi sono state carenze nel processo di selezione del
credito e nel controllo della sua qualità da parte degli investitori e delle
agenzie di rating, nonché una profonda sottovalutazione dei rischi di
prodotti opachi12.
I problemi di asimmetria informativa e il conflitto tra principal e agent,
noti dalla letteratura sui contratti13, sono all’origine della crisi.
A differenza del tradizionale modello “buy-and-hold”, nel quale gli
intermediari generano attività che detengono nel proprio portafoglio fino
alla scadenza, il modello OTD affievolisce gli incentivi delle banche a
controllare adeguatamente la qualità dei crediti. Gli investitori
aumentano il peso nei loro portafogli di prodotti opachi, difficili da
valutare, per i quali l’ammontare di informazioni sulla qualità delle
attività sottostanti è di gran lunga maggiore per le banche che originano
10
B.S. BERNANKE, The Crisis and the Policy Response - Speech at the Stamp
Lecture, LONDON SCHOOL OF ECONOMICS, gennaio 2009.
11
Il 25 agosto 2009 il Presidente Barack Obama ha confermato la nomina di
Bernanke come Presidente della FED fino al 2014.
12
J. E. STIGLITZ, Interpreting the causes of the great recession of 2008, BANK OF
INTERNATIONAL SETTLEMENTS CONFERENCE, Basilea, Svizzera, giugno 2009.
13
Per maggiori approfondimenti sull’argomento si consiglia G. AKERLOF, The market
for lemons: quality uncertainty and themarket mechanism. QUARTERLY JOURNAL
OF ECONOMICS, 1970.
- 14 -
La crisi finanziaria internazionale. Origini e sviluppi
i crediti. Sono accentuati anche i conflitti di interesse, ad esempio nel
caso delle agenzie di rating.
L’innovazione
finanziaria,
come
già
specificato
nel
paragrafo
precedente, ha dunque avuto un peso rilevante nell’innestare i germi
della crisi finanziaria odierna.
L’obiettivo dei paragrafi successivi è quello di evidenziare le fasi salienti
della crisi finanziaria che il mondo sta vivendo, da cui sarà poi possibile
sviluppare l’analisi sugli effetti causati nell’economia reale ed in
particolare nella propensione al risparmio delle famiglie, argomento
trattato in seguito.
1.3 Le fasi della crisi
A partire dall’agosto 2007 la grave crisi finanziaria americana,
originata dall’insolvenza dei mutui subprime, ha colpito tutte le
economie, e soprattutto quelle avanzate, con riflessi particolarmente
negativi nei mercati monetari della zona-Euro.
Nelle pagine che seguono si tenterà di ripercorrere le tappe principali
della crisi con particolare riferimento all’origine nell’estate del 2007 e
agli sviluppi nella seconda parte del 2007 e in apertura del 2008, al fine
di evidenziarne cause ed effetti principali.
- 15 -
La crisi finanziaria internazionale. Origini e sviluppi
1.3.1 I mutui subprime
La prima fase della crisi finanziaria ha avuto origine nel
segmento dei mutui subprime statunitensi. Negli USA si erano già
manifestate dalla primavera del 2007 difficoltà di alcune finanziarie
specializzate in mutui per effetto dell’aumento delle insolvenze sui
mutui subprime.
Questo fenomeno si manifesta, non casualmente, in corrispondenza del
crollo del prezzo degli immobili. Il crollo dei prezzi è stato interpretato
come l’effetto dello scoppio di una bolla dovuto all’aumento graduale
dei tassi di interesse deciso dalla Fed a partire dal 2004.
La sequenza all’origine delle difficoltà degli intermediari specializzati in
mutui può essere sinteticamente visualizzata come segue:

i mutuatari non rimborsano i prestiti;

gli intermediari acquisiscono gli immobili,

ma il valore degli immobili risulta inferiore al debito da rimborsare
a causa del crollo del prezzo delle case;

gli intermediari registrano perdite.
La crisi si trasmette ai mercati finanziari internazionali attraverso la
cartolarizzazione del credito. Le banche “originano” il credito erogando
mutui alle famiglie ma non lo tengono in bilancio.
Attraverso complesse operazioni di finanza strutturata gli intermediari
che originano questi prestiti ad alto rischio li hanno successivamente
- 16 -
La crisi finanziaria internazionale. Origini e sviluppi
trasferiti
o
ceduti
agli
Special
Purpose
Vehicle
(SPV)
che
impacchettano i mutui in titoli “garantiti” collegati ai mutui subprime
(MORTGAGE BACKED SECURITIES) e li rivendono agli investitori istituzionali,
prevalentemente hedge funds.
Questi titoli sono spesso caratterizzati dalla doppia o tripla A delle
agenzie di rating. Si tratta di titoli generalmente considerati “sicuri”
anche se non sempre liquidi.
Attraverso la cartolarizzazione del credito, pertanto, le banche
trasferiscono il rischio di credito su una platea ampia di investitori:
l’innovazione
finanziaria
consente
alle
banche
il
risk
sharing
(condivisione del rischio) e permette ad una frangia di individui prima
esclusi di accedere al mercato del credito.
Nonostante questo, è importante sottolineare che molti degli strumenti
utilizzati come veicolo della cartolarizzazione riducono sensibilmente
l’incentivo delle banche al monitoring e ad un accurato screening dei
debitori.
Dalla primavera del 2007 la brusca caduta delle quotazioni dei prodotti
legati al mercato dei mutui statunitensi ha prosciugato la liquidità di
questi strumenti. La crisi dei prodotti legati ai mutui subprime contagia
rapidamente altri prodotti finanziari e numerosi segmenti del sistema
finanziario. Dall’estate del 2007 la fase di turbolenze si trasmette dagli
Stati Uniti all’Europa, dove numerosi intermediari detenevano in
portafoglio titoli relativi al mercato subprime.
- 17 -
La crisi finanziaria internazionale. Origini e sviluppi
Il crollo di Borsa dell’agosto del 2007 si spiega con l’improvvisa “presa
di coscienza” da parte degli operatori del rischio implicito nei titoli in
circolazione.
La sequenza all’origine del crollo di Borsa dell’agosto 2007 può essere
riassunta come segue:
I. l’insolvenza
sui
mutui
subprime
genera
perdite
sui
titoli
cartolarizzati,
II. gli investitori istituzionali che hanno investito in tali titoli, a
cominciare dai fondi di investimento, subiscono perdite in conto
capitale;
III. ne deriva un’ondata di richieste di riscatto;
IV. i fondi, a corto di liquidità, cercano di vendere i titoli in portafoglio
ma non trovano compratori;
V. ne deriva il crollo dei prezzi delle azioni e la crisi di Borsa;
VI. i fondi sospendono i riscatti (come nel caso dei fondi riconducibili a
BNP - Paribas in agosto) creando panico tra gli investitori;
VII. flight to quality14 (letteralmente “fuga verso la qualità”) dai fondi di
investimento ai titoli di Stato, il cui rendimento tende a flettere, e
sui beni rifugio, il cui prezzo sale.
14
Per un’analisi dettagliata del fenomeno si veda B.S. BERNANKE, M. GERTLER e
S. GILCHRIST, The Financial Accelerator and the Flight to Quality, THE REVIEW OF
ECONOMICS AND STATISTICS, Vol. 78, No. 1., Febbraio 1996, pp. 1-15.
Per approfondimenti sulla relazione Banca-Impresa dopo il fallimento della Lehman
Brothers si veda U. ALBERTAZZI e D.J. MARCHETTI, Credit Supply, Flight to Quality
and Evergreening: An Analysis of Bank-Firm Relationships after Lehman, Temi di
discussione, BANCA D’ITALIA, n. 756, aprile 2010.
- 18 -
La crisi finanziaria internazionale. Origini e sviluppi
La conseguenza più evidente e pericolosa della crisi è la mancanza di
liquidità e la conseguente stretta creditizia (cosiddetto CREDIT
CRUNCH): i titoli diventano illiquidi, nel senso che non sono facilmente
vendibili per assenza di compratori; inoltre non si trova più liquidità
perché le banche non sono più disposte a farsi prestiti tra loro.
Le banche diventano caute o restrittive nel concedere credito, non solo
a livello interbancario, ma anche sul mercato dei prestiti, ovvero nei
confronti di prenditori non finanziari, famiglie e imprese. In alcuni casi i
depositanti corrono a ritirare i depositi: si verifica cioè un fenomeno di
“panico bancario”.
Nella prima fase della turbolenza, un momento particolarmente critico
viene raggiunto alla metà di marzo 2008, con la crisi della banca d’affari
BEAR STERNS: nel primo trimestre del 2008 i premi sui credit default
swap - CDS (prezzo pagato da un investitore per coprirsi dal rischio di
fallimento
dell’emittente)
delle
principali
banche
internazionali
aumentano sensibilmente.
Fino al fallimento della banca di investimento LEHMAN BROTHERS, le
istituzioni finanziarie che si ritenevano più esposte alla crisi erano quelle
che si caratterizzavano per il modello di intermediazione OTD che
faceva largo uso di strumenti finanziari per il trasferimento del rischio di
credito; queste istituzioni accusavano pesanti svalutazioni. In alcuni
paesi si procedeva al salvataggio degli intermediari più coinvolti,
- 19 -
La crisi finanziaria internazionale. Origini e sviluppi
utilizzando risorse pubbliche. Per le altre banche l’effetto era di tipo
indiretto e rifletteva soprattutto l’aumento del costo della raccolta.
Le banche centrali statunitense ed europea, nonché la banca centrale
canadese e quella giapponese, sono intervenute massicciamente nei
giorni della crisi fornendo alle banche tutta la liquidità di cui avevano
bisogno e che non riuscivano ad ottenere sul mercato interbancario.
Ad esempio, la Fed ha tagliato in agosto di mezzo punto percentuale il
tasso ufficiale di sconto, ossia il tasso sui prestiti diretti alle banche
commerciali, e nei mesi successivi, sempre di mezzo punto, il tasso sui
Fed funds, invertendo il segno della politica monetaria seguita finora:
restrittiva dal 2004.
La politica espansiva è continuata e si è accentuata con gli interventi di
taglio ripetuto dei tassi nei primi mesi del 2008.
1.3.2 Il fallimento della Lehman Brothers
La banca d’affari LEHMAN BROTHERS il 15 settembre 2008 ha
dichiarato, innanzi ad un passivo record di 613 miliardi di dollari, di non
essere più in grado di adempiere regolarmente alle proprie obbligazioni
e di dover pertanto ricorrere al Chapter 11 del Bankrupcty Code, la nota
procedura concorsuale statunitense finalizzata alla risoluzione della
crisi d’impresa attraverso un piano di riorganizzazione societario.
Questo dissesto, considerato sotto il profilo dimensionale, il più
- 20 -
La crisi finanziaria internazionale. Origini e sviluppi
imponente del mondo finanziario mai verificatosi, produce il tragico
epilogo di una società sorta nel 1850 in Alabama per volere dei fratelli
Henry, Emanuel e Mayer Lehman al fine di finanziare, inizialmente, la
produzione e distribuzione del cotone.
Nel tempo, l’impresa dei fratelli Lehman si specializza in private equity,
private banking ed investment management sino a divenire la quarta
banca di investimento statunitense per capitalizzazione.
La LEHMAN BROTHERS riesce a superare indenne sia la grande
depressione del 1929, sia il collasso della finanza internazionale
derivante dai noti eventi terroristici dell’11 settembre 2001, ma non la
crisi dei mutui subprime.
La crisi di liquidità innescata da questi ultimi ha generato tensioni sul
mercato interbancario prima, producendo poi una vera e propria onda
d’urto propagatasi velocemente nell’ambito di un più ampio contesto di
fragilità del sistema economico internazionale, assumendo infine la
forma di una tempesta finanziaria15.
Essendo fra le banche più esposte, assieme alla Bear Stearns, ai mutui
residenziali, si è rivelato del tutto inutile il tentativo attuato da LEHMAN
BROTHERS di arginare le perdite mediante la realizzazione di
15
Sul tema cfr. G. ROSSI, Per uscire dalla crisi ascoltiamo il diritto, in La Repubblica
del 26 settembre 2009, ove si afferma testualmente: «il sistema dei derivati e dei vari
strumenti di cartolarizzazione dei rischi di credito, che il leverage degli operatori ha
moltiplicato a dismisura, ha creato una massa informe e incontrollata di titoli, non solo
opachi, ma sovente nel loro contorto sviluppo incomprensibili, trattati in mercati non
regolamentati e quindi al di fuori di ogni conoscenza e vigilanza»;
- 21 -
La crisi finanziaria internazionale. Origini e sviluppi
operazioni straordinarie che hanno comportato la chiusura della propria
divisione mutui ed un numero elevatissimo di licenziamenti.
L’elevata esposizione debitoria e la mancanza di adeguate garanzie di
ristrutturazione finanziaria e di risanamento societario hanno, come già
accennato, indotto le autorità governative statunitensi a non attuare un
intervento di salvataggio a favore del colosso bancario16.
Inevitabile quindi il ricorso al Chapter 11 del Bankrupcty Code.
Il fallimento di Lehman Brothers ha generato fortissime tensioni, dando
avvio ad una seconda fase della crisi: il dissesto della banca d’affari ha
segnato un punto di svolta, rendendo la crisi sistemica17.
È cresciuta la sfiducia tra le istituzioni finanziarie; gli investitori hanno
percepito che il livello del patrimonio delle grandi banche internazionali
era inadeguato a fronteggiare la situazione. Il ricorso al capitale privato
da parte degli intermediari è diventato più difficile, per alcuni
impossibile.
La situazione si faceva complessa per i principali gruppi bancari
internazionali che continuavano a registrare ingenti perdite.
Il parziale blocco dei mercati della liquidità rendeva infatti difficile il
reperimento di risorse e spingeva le banche centrali dei principali paesi
16
Differentemente per Fannie Mae, Freddie Mac, AIG e Northern Rock la cui crisi è
stata evitata mediante un salvataggio statale. Sul punto, cfr. F. VELLA, Fannie,
Freddie e i Fratelli Lehman, in www.lavoce.info. Sul fronte italiano, cfr. G.
NAPOLITANO, Il nuovo Stato salvatore: strumenti di intervento e assetti istituzionali,
in Giornale di diritto amministrativo, 2008.
17
Cfr. S. MIELI, Crisi finanziaria e azione di vigilanza: gli scenari evolutivi, BANCA
D’ITALIA, giugno 2009.
- 22 -
La crisi finanziaria internazionale. Origini e sviluppi
a porre in essere operazioni di ingente ammontare per garantire la
funzionalità dell’intermediazione.
È forte la necessità di coordinamento a livello internazionale. Le misure
tese a evitare l’accentuarsi della crisi nel breve termine si sostanziano
nella predisposizione di interventi di ricapitalizzazione e di garanzia
delle passività bancarie.
Riassumendo i principali fenomeni che hanno caratterizzato l’attuale
crisi finanziaria, si può affermare che, essa si è manifestata con
l’insolvenza dei mutui subprime e si è diffusa ai titoli rappresentativi di
essi. Ciò ha determinato un mutato atteggiamento degli operatori, che,
in mercati finanziari poco trasparenti, hanno aumentato la loro
avversione al rischio. In particolare, la prevalenza di aspettative
pessimistiche delle banche ha contribuito alla scomparsa della liquidità
sul mercato interbancario.
Ne è conseguita una stretta creditizia, nonostante la politica monetaria
espansiva adottata dai principali paesi industrializzati. Comunque, gli
interventi pubblici hanno consentito di salvare alcune banche dal
fallimento. Ulteriori conseguenze sono state il crollo dei prezzi delle
case nei paesi industrializzati e il peggioramento della posizione delle
imprese. Infine, la crisi si è estesa all’economia reale, portando alla
recessione.
- 23 -
La crisi finanziaria internazionale. Origini e sviluppi
1.3.3 lo scoppio della crisi: il contagio finanziario e all’economia
reale
Il mutamento della politica monetaria americana da parte di Ben
Bernanke e un iniziale inasprimento dei saggi di interesse per far fronte
alla bolla speculativa immobiliare, a un dollaro costantemente in
flessione e all’inflazione importata, hanno comportato, come anticipato,
la caduta dei prezzi degli immobili, la perdita di valore delle garanzie
immobiliari, l’impossibilità dei soggetti che hanno acceso mutui
ipotecari, soprattutto i sub-prime, di far fronte agli impegni assunti con
le banche.
La riduzione dei prezzi delle case diventa consistente nel 2007
(proseguendo anche negli anni successivi). Con la discesa dei prezzi
iniziano i pignoramenti e i prezzi degli assets legati all’immobiliare
vengono colpiti con particolare gravità. Questo provoca la perdita di
valore dei titoli strutturati nella cui “pancia” si trovano (in quantità ignota
a banche e ad autorità di controllo) i crediti inesigibili, primi tra questi i
sub-prime.
La bolla non si limita al mercato immobiliare, ma si estende a quello
finanziario, bancario, di Borsa. Siccome i titoli sub-prime sono stati
acquistati da banche di tutto il mondo la crisi finanziaria assume una
- 24 -
La crisi finanziaria internazionale. Origini e sviluppi
dimensione globale. Alcuni strumenti si disgregano e diventano “titoli
tossici” nei bilanci delle banche.
Ha inizio un’attività di riduzione della esposizione bancaria, una
riduzione degli investimenti finanziari e una ricerca di posizioni più
liquide, è il processo che si chiama di “de-leveraging”. La liquidità nei
mercati interbancari, fino ad allora abbondante, scompare a causa delle
sfiducia reciproca delle banche e a causa delle scarse informazioni
disponibili ad autorità, operatori finanziari e agenzie di rating.
La riduzione del potere d’acquisto dei consumatori che deriva dalla
perdita dei valori immobiliari, la caduta dei valori di Borsa nelle principali
Borse mondiali, la stretta del credito bancario che si ripercuote su
consumatori
e
imprese
soprattutto
in
Europa,
le
aspettative
pessimistiche delle imprese e la conseguente caduta degli investimenti
conducono ad una drastica riduzione della domanda aggregata nei
paesi industrializzati e quindi delle importazioni dai paesi emergenti.
Il risultato lo si rileva con una recessione economica (crescita con
segno negativo) nel 2008 nei principali paesi industrializzati, in una
caduta dell’occupazione nei paesi industrializzati, in una minor crescita
di reddito e occupazione nei paesi emergenti-forti (la Cina) mentre gli
emergenti-deboli
subiscono
lo
shock
finanziario
dato
disinvestimento di capitali da parte degli investitori internazionali.
- 25 -
dal
La crisi finanziaria internazionale. Origini e sviluppi
Questa spirale recessiva è arrivata fino al 2011 e può durare ancora a
lungo (in Giappone un’analoga crisi dura da dieci anni) o aggravarsi
ulteriormente.
La contrazione di reddito e occupazione può determinare una discesa
del livello generale dei prezzi; la riduzione dei saggi di interesse
nominali a valori prossimi a zero e la crescita negativa dei prezzi
significa che i saggi di interesse reali restano positivi e che quindi la
politica monetaria risulta incapace di stimolare l’economia. Inoltre saggi
di crescita negativi dei prezzi rendono più difficile la politica, necessaria
per paesi come l’Italia, di riduzione del peso del debito pubblico sul Pil,
principale preoccupazione della classe politica non solo italiana ma
soprattutto europea.
- 26 -
L’economia internazionale e il quadro economico italiano
CAPITOLO II
L’ECONOMIA INTERNAZIONALE E IL QUADRO ECONOMICO
ITALIANO
2.1 Europa: analisi di una ripresa difficile
Tra il settembre 2008 e il marzo 2009 l’economia del mondo si
blocca. Si teme il peggio. Si paventa una crisi di fiducia nella solvibilità
del sistema creditizio che potrebbe dissolvere il concetto di moneta
fiduciaria.
La rarefazione del credito, la brusca interruzione dei consumi, il blocco
degli investimenti gelano l’economia reale. La crisi, fino a quel momento
circoscritta alla sola dimensione finanziaria, tracima nell’economia e
nella società. I governi entrano in campo con massicci interventi a
carico dei bilanci pubblici, crescono i deficit di bilancio mentre calano i
PIL.
L’onere del salvataggio delle istituzioni finanziarie si sposta dai bilanci
privati a quelli sovrani e il mercato comincia a interrogarsi sulla capacità
degli Stati di far fronte ai nuovi squilibri.
Il terreno di valutazione di questa capacità sono i titoli del debito
pubblico dei paesi. La crisi del debito pubblico greco, acuito
27
L’economia internazionale e il quadro economico italiano
dall’emersione di squilibri che erano stati taciuti alla comunità
finanziaria internazionale, innesca la seconda ondata della crisi, quella
del 2010. I mercati scoprono all’improvviso che la miscela tra bassa
crescita economica, perdita di competitività, squilibri nei conti pubblici e
invecchiamento della popolazione assottigliano la fiducia sulla facile
rimborsabilità dei titoli pubblici emessi dagli Stati. I portafogli degli
investitori si riassestano, i mercati valutari ne risentono, appare chiaro
che la posta in gioco non è più la solvibilità di qualche istituzione
finanziaria ma la stessa solidità della moneta europea e, in ultima
analisi, il processo di integrazione europea.
Non è, dunque, la Grecia ad essere sotto scacco, ma è l’Europa intera.
La percezione del pericolo che corre l’Europa, già nella primavera del
2010, non viene colto nella sua reale dimensione subito da tutti i paesi
membri dell’Unione Europea.
La Germania stenta ed esita più di qualsiasi altro paese, prima di
decidere l’adesione al piano di salvataggio della Grecia e tale
incertezza alza ulteriormente il costo del salvataggio stesso.
I mercati a loro volta osservano il massiccio piano di emissioni di titoli
pubblici programmato nel 2010 e cominciano a fuggire dal debito di
peggiore qualità e a scegliere quello di miglior qualità.
28
L’economia internazionale e il quadro economico italiano
Non tutti i paesi sono vulnerabili allo stesso modo, poiché chi ha il
debito complessivo più elevato sia pubblico che privato, e la crescita
economica più bassa, risulta più esposto di altri1.
Il differenziale dei tassi d’interesse segnala i paesi più vulnerabili.
Quando l’Europa sembra a un passo dalla dèbacle i suoi governanti
capiscono che la crisi di fiducia sulla solvibilità si combatte solo
inviando segnali forti contro l’accumulo di ulteriore debito pubblico e
trovano la forza di reagire in difesa dell’euro, avviando piani ambiziosi di
correzione degli squilibri di bilancio.
Nel mese di maggio 2010, gettando le linee del nuovo Patto di stabilità
e crescita, l’Europa concorda di fatto il primo passo per una politica
economica comune.
Nei due mesi successivi tutti i paesi membri europei varano lo stesso
tipo di manovre correttive, sia di natura fiscale che monetaria, degli
squilibri dei conti pubblici, in molti casi con le stesse identiche misure di
politica fiscale e di bilancio.
Uno degli aspetti più importanti dell’uscita dalla recessione nella
seconda metà del 2009 è costituito, infatti, dal forte impulso al ciclo
internazionale che è derivato dalle politiche di segno espansivo adottate
dai governi (riduzioni delle imposte, aumento della spesa pubblica,
incentivi all’acquisto di auto o altri beni durevoli e cosi via). Senza
contare che tali misure discrezionali sono state di dimensione rilevante.
1
Cfr. CONSOB, Relazione annuale per l’anno 2009, giugno 2010.
29
L’economia internazionale e il quadro economico italiano
Oltre all’ampiezza degli interventi, conta anche il fatto che essi sono
stati adottati contemporaneamente nella maggior parte delle economie.
Si è trattato in sostanza di una sorta di gioco cooperativo, in cui proprio
il fatto che politiche di sostegno della domanda siano state adottate
contemporaneamente in molti paesi ne ha amplificato l’efficacia.
L’azione della politica di bilancio è risultata importante soprattutto
perché è avvenuta in un contesto in cui la crisi del settore creditizio ha
limitato l’efficacia della politica monetaria. Difatti, in tutte le maggiori
aree si è osservato un deciso rallentamento della crescita del credito,
sintesi di un atteggiamento più prudente da parte delle banche rispetto
agli anni precedenti, ma anche di una minore domanda di credito da
parte di famiglie e imprese, meno propense ad avviare programmi di
spesa impegnativi.
2.2 Le prospettive di crescita e il debito pubblico
Una prima conclusione che si trae dalla breve analisi sin qui
svolta è che la ripresa, partita intorno alla metà del 2009 e arrestatasi
già nel corso dei primi mesi del 2010, ha avuto origine in buona misura
da fattori di natura estemporanea.
30
L’economia internazionale e il quadro economico italiano
La natura della ripresa, ovvero il fatto che essa sia dipesa da una fase
di politiche di stimolo alla crescita della domanda aggregata mondiale,
rende difficile una chiara valutazione delle prospettive.
Nulla assicura infatti che, una volta esauritisi il ciclo delle scorte e gli
impulsi delle politiche di bilancio, la ripresa internazionale sia divenuta
sufficientemente robusta da essere in grado di autosostenersi, con il
passaggio del testimone nel ruolo di traino della crescita dalla politica
fiscale ai consumi delle famiglie e agli investimenti delle imprese.
Molti paesi, tra cui l’Italia come anticipato, hanno raggiunto valori di
indebitamento molto elevati, sia per le conseguenze della recessione
sull’andamento dei saldi, sia per effetto delle politiche di carattere
discrezionale adottate dai Governi.
Si può immaginare, per semplicità, che uno Stato sia una persona che
riceve uno stipendio e che usi queste entrate per mantenere se stesso
e la propria famiglia.
Le entrate di uno Stato sono le tasse, il cui ammontare dipende da una
molteplicità di fattori legati alla quantità dei beni prodotti e ai redditi
realizzati dai cittadini. Per quanto concerne le spese, quelle statali sono
di due tipologie principali: le spese correnti, ovvero quelle per
mantenere l’apparato burocratico e per l’erogazione dei servizi, e le
spese finanziarie, ovvero le uscite che escono in rate ed interessi sul
debito.
31
L’economia internazionale e il quadro economico italiano
Annualmente molti Stati sono interessati dalla ricapitalizzazione del
debito, ovvero quel processo che permette di rifinanziare il disavanzo,
la differenza tra le entrate e le uscite, quando queste ultime superano le
prime. Il risultato è quello di incrementare il debito complessivo e di
accrescere i tassi di interesse e quindi dell’importo delle rate dovute che
così diventano difficili da ripagare.
A questo punto si crea una spirale pericolosa, visto che l’impossibilità di
far fronte alle rate porta ad una nuova ricapitalizzazione del debito e,
quindi, ad un nuovo aumento del debito complessivo. Da questo
meccanismo
scaturisce
il
defaul
del
debito
sovrano,
ovvero
l’impossibilità di ripagare il debito contratto. Tale dichiarazione, ovvero
l’impossibilità di far fronte al proprio debito, porta dietro di se delle
conseguenze importanti: ritiro dei crediti e fuga dei creditori (credit
crunch).
In questa situazione il debito di bilancio non è più finanziabile e lo Stato
si trova nella condizione di dover operare in assenza di credito potendo
contare solo sugli introiti rappresentati dalle tasse, dovendo inoltre
pagare le rate e gli interessi contratti sul debito. Il tutto senza contare
che, per effetto della recessione, cresce la spesa sociale e pubblica,
aggravando ulteriormente la situazione delle casse statali.
Questo, in estrema sintesi, è quanto accaduto in Grecia e quanto
potrebbe verificarsi in Italia, Spagna e Portogallo se non si mettono in
32
L’economia internazionale e il quadro economico italiano
atto immediate riforme in grado di scongiurare il crollo della moneta e il
progetto dell’Europa Unita.
I Paesi membri dell’Unione Europea, nel sottoscrivere il Patto di
Stabilità e Crescita2, hanno teso all’obiettivo comune di non generare
disavanzi
eccessivi,
assumendosi
l’impegno
di
realizzare
una
situazione di bilancio che, nel medio termine, potesse comportare un
saldo vicino al pareggio o positivo. In base al PSC, gli Stati membri che,
soddisfacendo tutti i cosiddetti parametri di Maastricht, hanno deciso di
adottare l'euro, devono continuare a rispettare nel tempo quelli relativi
al bilancio dello stato, ossia:
-
un deficit pubblico non superiore al 3% del PIL;
-
un debito pubblico al di sotto del 60% del PIL (o, comunque, un
debito pubblico tendente al rientro).
Non è un mistero che l’Italia, proprio a causa dell’elevato rapporto
Debito/PIL, sia da ormai diversi decenni un paese considerato
finanziariamente vulnerabile. Con i massicci interventi a sostegno delle
economie e del sistema bancario tuttavia, negli ultimi mesi, molti altri
paesi sono significativamente peggiorati su questo fondamentale
economico.
2
Il Patto di stabilità e crescita, approvato dal Consiglio Europeo di Dublino il 13-14
dicembre 1996, disciplina la politica fiscale che gli Stati appartenenti all’Unione
Monetaria Europea dovranno adottare: formula nuovi obiettivi di bilancio pubblico e
definisce gli aspetti procedurali della sorveglianza degli organismi comunitari sulla
disciplina di bilancio. Per approfondimenti si veda C. BRANDIMARTE, S. LEPROUX,
F. SARTORI, Il patto di stabilità e crescita: politiche fiscali e spese per lo sviluppo, in
STUDI E NOTE DI ECONOMIA, vol.2, 1998.
33
L’economia internazionale e il quadro economico italiano
Appare dunque utile, ai fini dell’analisi fin qui svolta, verificare il valore
di questo rapporto nei principali paesi occidentali, dal momento che
costituisce un importante indice della solidità finanziaria ed economica
di uno Stato.
Nella tabella che segue è riportato l’andamento del rapporto Debito/PIL
negli ultimi anni.
Tab. 2.1 – Rapporto Debito/Pil
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
2010
121
120.2
119.4
116.8
117.3
119.9
117.2
112.5
114.5
122.9
127.3
Giappone
135.4
143.7
152.3
158
165.5
175.3
172.1
167.1
172.1
189.5
199.8
Francia
65.6
64.3
67.3
71.4
73.9
75.7
70.9
69.9
76.1
86.4
94.2
Germania
60.4
59.7
62.1
65.3
68.7
71.1
69.4
65.5
69.0
78.2
84.1
UK
45.1
40.4
40.8
41.2
43.5
45.1
46.0
46.9
57
75.3
89.3
USA
55.2
55.2
57.6
60.9
61.9
62.3
61.7
62.9
71.1
87.4
97.5
Area Euro
75.2
73.8
74.2
75.1
75.9
77
74.6
71.2
73.4
82.5
89.2
Tot OCSE
68.7
68.9
70.8
73
74.7
76.3
75
73.5
78.7
91.6
100.2
Italia
Fonte: OECD, Economic Outlook, n. 89, giugno 2011
Come emerge chiaramente dai dati riportati, il rapporto Debito/PIL è
decisamente aumentato in tutti i paesi presi in considerazione.
Questo indica un generale peggioramento della solidità e sostenibilità
34
L’economia internazionale e il quadro economico italiano
finanziaria, che dovrebbe avere come conseguenza un aumento in
termini assoluti dei rendimenti dei titoli di stato.
Il Governatore della Banca d’Italia uscente, Mario Draghi, nelle
considerazioni finali all’Assemblea Generale dei Partecipanti del
maggio scorso ammette, senza mezzi termini, che se le regole fissate
dal Patto di stabilità e crescita fossero state sempre rispettate, alla
vigilia della crisi l’incidenza del debito pubblico sul PIL sarebbe stata
inferiore di oltre 10 punti nell’area dell’euro, di 30 in Grecia.
Anche considerando inevitabile il peggioramento dei deficit pubblici
osservato nella crisi, alla fine dello scorso anno nessun paese dell’area
avrebbe avuto un debito superiore al 100 per cento del PIL.
La crisi globale ha, infatti, acuito la percezione del rischio da parte degli
investitori e ha portato alla luce alcune debolezze nella costruzione
dell’Unione Europea. Ma la risposta alla crisi del debito sta innanzitutto
nelle politiche nazionali e nella piena attuazione dei piani correttivi
concordati a livello di Unione Europea.
Ricordiamo l’esperienza italiana all’inizio degli anni Novanta, quando il
paese si trovò ad affrontare una gravissima crisi di fiducia nella
sostenibilità del suo debito pubblico.
L’Italia seppe uscire dalla crisi senza bisogno di aiuti esterni, grazie a
un ambizioso piano di consolidamento fiscale, a riforme strutturali
importanti e all’attuazione di un programma di privatizzazioni per circa il
10 per cento del PIL.
35
L’economia internazionale e il quadro economico italiano
2.3 Un quadro di sintesi sulla situazione economica italiana
Per capire la portata della crisi in Italia occorre concentrare
l’analisi sui due settori principali dell’economia quello finanziario e
quello reale. Per quanto riguarda il primo, gli analisti economici sono
concordi nell’affermare che il sistema finanziario italiano è solido ed ha
risentito meno degli effetti negativi provocati dalla crisi bancaria esplosa
negli Stati Uniti.
La stessa Commissione Europea, nella valutazione del programma di
stabilità italiano per il periodo 2008-2011, afferma che il basso
indebitamento
del
settore
privato
ed
un
sistema
finanziario
relativamente solido finora hanno messo al riparo l’Italia dall’impatto
diretto della crisi finanziaria. Questo però non vuol dire che il sistema
creditizio italiano sia rimasto totalmente immune dalla crisi finanziaria
mondiale.
Molti gruppi bancari italiani sono stati indeboliti dalla presenza di “asset
tossici” comprati durante la fase di speculazione degli anni precedenti.
Questo ha obbligato molte banche a forti ricapitalizzazioni per ripianare
le perdite, con conseguenti perdite di valore in borsa e restrizioni nella
fornitura di credito alle imprese ed alle famiglie.
Al momento la situazione non sembra richiedere provvedimenti
straordinari come la nazionalizzazione delle banche italiane, invece
avvenuta in altri paesi, però ha obbligato il governo ad adottare delle
36
L’economia internazionale e il quadro economico italiano
misure di sostegno per garantire la liquidità delle banche ed evitare una
possibile stretta creditizia per imprese e famiglie.
Per quanto concerne l’economia reale i dati sono notevolmente più
preoccupanti3.
Il PIL italiano ha chiuso il 2009 con un forte ribasso (-5.1%); il 2010
registra una leggera crescita (+1.3%); mentre nel corso del primo
trimestre del 2011 il PIL italiano ha continuato a crescere al ritmo
modesto della fine del 2010 (0,1% sul periodo precedente): un dato
certamente più incoraggiante ma caratterizzato da notevole incertezza4.
Lo sperato superamento della crisi, inevitabilmente lento, non va di pari
passo al recupero dei posti di lavoro perduti; questo, anzi, è destinato a
protrarsi nel tempo; né è certo che possa manifestarsi con le
caratteristiche qualitative e con l’intensità precedenti, stanti le inevitabili
trasformazioni avvenute negli aspetti strutturali dei sistemi produttivi.
Secondo l’ultimo Rapporto pubblicato dall’Ocse5, dal 2008 la crisi ha
bruciato complessivamente tredici milioni di posti di lavoro con un tasso
disoccupazione medio nei 34 stati membri che si attesta intorno all’
8,5%. Ma le differenze tra paesi sono rilevanti: si va dal 3,7% della
Norvegia al 20,2% della Spagna.
L'Italia si mantiene in media Ocse con il suo 8,5%.
3
I dati utilizzati per descrivere la situazione economica italiana in termini reali
provengono dal Rapporto Coop 2011, Consumi e distribuzione, settembre 2011.
4
BANCA D’ITALIA, Bollettino Economico n°65/2011, luglio.
5
Cfr. OCSE, Education at a Glance 2011, September.
37
L’economia internazionale e il quadro economico italiano
Il dato preoccupante per il nostro paese riguarda soprattutto la
disoccupazione giovanile (15-24 anni): la percentuale italiana è infatti
del 27,9, lontanissima dalla media Ocse (16,7%) e dalla virtuosa
Svizzera (7,2%).
Il (poco) lavoro è poi accompagnato da stipendi bassi. Almeno nel
nostro paese. In media i lavoratori italiani portano a casa circa 26.600
euro. Cifra molto al di sotto della media Ocse di circa 35mila euro.
Il tema assume particolare importanza per l’Italia dato che, prima del
profilarsi del grave e comune rallentamento della crescita fino a divenire
vera e propria recessione, presentava rilevanti differenziazioni, se non
dei veri e propri handicap, in confronto alle economie più avanzate
operanti sulla scena internazionale.
Non a caso, in Italia si stava assistendo ad un andamento molto debole
dell’economia già prima della crisi, che solo ha avuto il “demerito” di
aggravare un problema relativo al nostro tasso di crescita potenziale
che era evidente ben prima del 2008; il nostro apparato industriale si è
rivelato ancora una volta particolarmente fragile rispetto alle avversità
della congiuntura internazionale; l’elevato livello dello stock di debito
pubblico che abbiamo accumulato6 ha influenzato, in maniera più o
meno diretta, il percorso dell’economia italiana durante la crisi, se non
altro condizionando le scelte di politica economica attuate dal Governo
e dalla Banca d’Italia.
6
Si veda il paragrafo precedente.
38
L’economia internazionale e il quadro economico italiano
E’ in particolare nei settori industriali che, in Italia come in altri paesi
europei, sembra emergere una stabilizzazione dei livelli produttivi in
prossimità dei minimi toccati durante la crisi.
Tuttavia, dopo l’indebolimento registrato tra la fine del 2010 e l’inizio del
2011, l’attività industriale ha mostrato timidi segnali di miglioramento nel
secondo trimestre del 2011 (+1,5%). Dall’avvio della fase espansiva il
ritmo di crescita dell’attività industriale è in linea con quello della
Francia, ma meno sostenuto rispetto alla Germania.
Nonostante i segnali positivi, in prospettiva l’intensità della ripresa resta
incerta per tutti i paesi Europei se si considerano anche i modesti
consumi da parte delle famiglie, sui quali continua a incidere la
debolezza del reddito disponibile7.
Il Governo italiano si trova oggi impegnato nella affannosa ricerca di un
nuovo equilibrio dei conti pubblici che consenta di raggiungere presto il
pareggio di bilancio e impedisca la speculazione sui titoli di debito
pubblico italiani.
Ma i segnali che i detentori del debito pubblico italiano si attendono
sono di due tipi. Da un lato, la certezza che il paese tornerà a spendere
secondo le proprie possibilità e dall’altro, soprattutto, la progressiva
riduzione del debito pregresso. In entrambi i casi, riduzione del deficit e
del debito in rapporto al Pil, l’obiettivo non può essere raggiunto solo
7
Il tema sarà affrontato nel prossimo capitolo.
39
L’economia internazionale e il quadro economico italiano
aumentando la pressione fiscale o riducendo la spesa ma è
fondamentale per l’economica nazionale tornare a crescere.
Spingere solo sulle entrate fiscali (come il recente innalzamento
dell’aliquota Iva al 21%), potrebbe deprimere ulteriormente la domanda
interna, alimentando un spirale perversa in cui i maggiori introiti fiscali si
rivelano insufficienti a compensare il deterioramento delle prospettive di
crescita.
40
L’impatto della turbolenza finanziaria sulle famiglie italiane
CAPITOLO III
L’IMPATTO DELLA TURBOLENZA FINANZIARIA
SULLE FAMIGLIE ITALIANE
3.1 La manovra del Governo Italiano contro la speculazione
finanziaria
Le tendenze dell’economia italiana non potevano che risentire
delle condizioni sfavorevoli in cui versa il quadro economico
internazionale, descritte nel capitolo precedente. Ciò nonostante, pure
tenendo conto delle tendenze dello scenario globale, gli esiti
dell’economia italiana nel corso degli ultimi tre anni sono stati
particolarmente deludenti.
L’Italia è difatti uno dei paesi che hanno registrato nel corso della crisi la
maggiore contrazione del Pil ed è poi risultata fra quelle economie che
meno di altre hanno beneficiato della successiva ripresa: nel primo
trimestre del 2011 il livello del Pil italiano era ancora del 5% inferiore ai
valori precedenti la crisi: l’andamento peggiore tra le principali
economie dell’area euro.
La crisi ha colpito duramente tutti i settori industriali del paese che sono
quasi tutti ancora molto lontani dai livelli produttivi del 2007 e tale
41
L’impatto della turbolenza finanziaria sulle famiglie italiane
circostanza purtroppo fa temere che si tratti di perdite di prodotto di
carattere permanenti.
Le difficoltà della ripresa si riflettono sull’andamento dei conti pubblici,
poiché anche le entrate dello Stato, rispecchiando l’andamento delle
rispettive basi imponibili, si espandono con velocità simili a quelle
dell’attività economica.
Le difficoltà della finanza pubblica hanno quindi richiesto un nuovo,
pesante, intervento di correzione dei conti che ancora una volta è
destinato ad avere effetti depressivi sulla domanda delle famiglie.
A luglio scorso il Governo aveva varato una manovra1 con la quale si
intendeva ridurre il deficit pubblico da un valore pari al 4,5% del Pil nel
2010, sino al pareggio entro il 2014. Si trattava quindi di realizzare una
riduzione dei deficit pari ad oltre l’1% del Pil ogni anno.
Tale obiettivo sarebbe stato conseguito cumulando una correzione
significativa per gli anni 2013 e 2014 all’intervento sul 2011 e il 2012 già
varato lo scorso anno. La manovra varata nel 20102 comportava, infatti,
una correzione del bilancio quantificata dal Governo in 25 miliardi nel
biennio 2011-2012.
L’intervento di luglio prevedeva, invece, una leggera correzione
aggiuntiva nel 2011-2012 e una più ampia nei due anni successivi, sino
a cumulare un aggiustamento del deficit di 48 miliardi sino al 2014.
1
Decreto Legge 6 luglio 2011, n. 98 coordinato con la Legge di conversione 15 luglio
2011, n. 111 pubblicata in Gazzetta Ufficiale 16 luglio 2011, n. 164.
2
D.L. n° 78 del 31 maggio 2010 recante "Disposizioni urgenti per la stabilizzazione
finanziaria e la competitività economica".
42
L’impatto della turbolenza finanziaria sulle famiglie italiane
Sommando le due manovre, si giungeva quindi ad una stretta fiscale di
dimensioni eccezionali nell’intero quadriennio.
Pur tenendo presente che parte delle quantificazioni del Governo
pareva sovrastimare l’efficacia effettiva degli interventi, la dimensione
della correzione di bilancio risultava significativa e tale, comunque, da
garantire la tenuta dei conti pubblici italiani.
L’approvazione di una correzione così ampia e l’adozione di target
ambiziosi, come il pareggio di bilancio, si spiegavano evidentemente in
funzione delle tensioni sui mercati finanziari e delle pressioni esercitate
dall’aumento dei tassi d’interesse sui nostri titoli di Stato.
Nonostante l’ampiezza della manovra di luglio, però, nel corso del mese
di agosto le tensioni sui mercati si sono intensificate. Gli spread sui
rendimenti dei titoli di Stato italiani si sono allargati, stabilizzandosi
solamente quando la Bce è intervenuta verso metà mese con acquisti
massicci di titoli di Stato italiani e spagnoli.
La ragione per cui l’Italia subisce una pressione così rilevante dai
mercati risiede nel fatto che il vero problema per il nostro paese non è
in realtà la conduzione della politica fiscale, risultata fra le più prudenti
su scala internazionale. Contano piuttosto altri due fattori: innanzitutto
l’elevato stock di debito ereditato dal passato, e in secondo luogo i
problemi di crescita che gravano sul nostro paese.
L’elevata pressione subita dai mercati finanziari, ha spinto il Governo a
cercare di rafforzare la manovra al fine di migliorare il clima delle
43
L’impatto della turbolenza finanziaria sulle famiglie italiane
aspettative sui mercati. In particolare, la dimensione della manovra è
stata aumentata: 55 miliardi rispetto ai 48 della manovra di luglio3.
Ma, soprattutto, è mutata la tempistica della correzione, che adesso
ambisce a conseguire il pareggio di bilancio già nel 2013. Questo fa sì
che sia aumentata l’entità della riduzione del deficit da conseguire nel
2012 e nel 2013.
La stretta fiscale sarebbe particolarmente accentuata nel 2012, quando
il deficit, secondo le stime del Governo, si porterebbe all’1,4% del Pil
dal 3,9% del 2011. Tale riduzione deriverebbe dal fatto che si
sovrapporrebbero il prossimo anno gli effetti della manovra varata nel
2010 (che determinava nel 2012 una correzione di 13 miliardi di euro) e
quelli della manovra di agosto (18 miliardi sul 2012).
Anche considerando che l’efficacia di parte delle misure possa essere
inferiore al valore facciale dell’intervento annunciato dal Governo, è
comunque chiaro che gli effetti della politica di bilancio penalizzeranno il
prossimo anno l’andamento della domanda interna in Italia.
Il timore è che lo scenario congiunturale relativamente debole renda
complicato il rispetto degli obiettivi di riduzione del deficit, imponendo
ulteriori manovre che a loro volta penalizzerebbero ancor di più le
prospettive di sviluppo per i prossimi anni.
3
Decreto legge 13 agosto 2011 n. 138, recante “Ulteriori misure urgenti per la
stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo“.
44
L’impatto della turbolenza finanziaria sulle famiglie italiane
3.1.1 Le misure che interessano le famiglie
Il quadro della finanza pubblica appare dunque piuttosto
deludente, suggerendo una possibile diminuzione dei redditi familiari
nei prossimi anni a causa o per effetto dei numerosi interventi che,
direttamente o indirettamente, ne influenzeranno il potere d’acquisto.
Fra le diverse misure ve ne sono alcune che più direttamente
interessano le famiglie.
Fra queste, le principali sono il blocco del turnover e il blocco dei salari
nel pubblico impiego. Questa misura si applica ad una massa di spesa
pubblica che conta per circa il 10% del Pil: in quattro anni si ottiene una
decurtazione in termini reali dei salari del pubblici di circa l’8%, che
corrispondono a circa 12 miliardi di euro nel 2014.
Peraltro, tra le misure della manovra varata nel 2010 vanno anche
ricordati i provvedimenti di lotta
all’evasione, al momento di
quantificazione incerta.
Fra le altre misure introdotte con la manovra varata a luglio 2011 vi
sono l’imposta di bollo sui conti titoli (2 miliardi a regime nel 2014) e
l’aumento delle accise sui carburanti (altri 2 miliardi a regime). Vi sono
poi misure a effetto indiretto, come i tagli dei trasferimenti agli enti locali
i quali potranno a loro volta rivalersi eventualmente sui cittadini ad
esempio attraverso misure di aumenti delle tariffe.
A questi effetti, si aggiungeranno quelli derivanti dalla manovra di
agosto, quali ad esempio:
45
L’impatto della turbolenza finanziaria sulle famiglie italiane
- l’aumento del prelievo sui redditi più elevati (il cosiddetto “contributo di
solidarietà”).
- l’aumento dell’Iva di un punto percentuale per i beni non di prima
necessità (dal 20% al 21%). Secondo la relazione tecnica allegata al
maxi emendamento, l’aumento dell’iva produrrà un maggior gettito pari
a circa 700 milioni di euro per quanto riguarda il 2011 e di 4,23 miliardi
di euro per quanto riguarda il 2012. Tali importi saranno interamente
destinati al miglioramento dei conti pubblici.
In generale, quindi, pur non essendo ancora possibile al momento una
corretta quantificazione degli effetti della politica di bilancio sul reddito
delle famiglie, è comunque evidente che nei prossimi anni il potere
d’acquisto dei consumatori subirà conseguenze significative dalla
correzione fiscale.
3.2 Il Bilancio delle famiglie italiane
Il quadro dell’economia italiana fin qui descritto, qualifica le
condizioni di contesto all’interno delle quali si determinano i
comportamenti di consumo.
In generale, la situazione illustrata risulta nel complesso poco
favorevole all’andamento dei redditi delle famiglie, e quindi anche alle
decisioni di spesa. I consumatori sono costretti a fare i conti con la
46
L’impatto della turbolenza finanziaria sulle famiglie italiane
crescita della disoccupazione (specie giovanile) e le conseguenze
legate alle politiche del bilancio pubblico; si può quindi affermare che le
famiglie registrano un lungo periodo di difficoltà dal punto di vista
dell’evoluzione del reddito (Fig. 3.1).
La fotografia scattata dall’ultimo rapporto Istat nel periodo 20062009, pone l’accento su questo aspetto evidenziando una diminuzione
del reddito disponibile pari al 2,7%, con cali più significativi al Nord (4,1% nel Nord-ovest e -3,4% nel Nord-est) dove la morsa della
recessione economica, soprattutto nel 2009 si fa sentire con maggior
forza che al centro e nel Meridione4.
Il forte calo del reddito disponibile nel Nord-ovest nel 2009, spiega
l’Istat, è da imputarsi alla cattiva performance di Piemonte e Lombardia.
In Piemonte, infatti, c’è stata una forte contrazione dell’input di lavoro
dipendente; la Lombardia sconta, invece, la battuta d’arresto degli utili
distribuiti dalle imprese.
Calabria e Sicilia sono le uniche regioni italiane in cui il reddito delle
famiglie ha mostrato tassi di crescita lievemente positivi; in tali regioni,
peraltro, anche la dinamica del Pil è stata migliore che altrove.
Tale risultato, secondo l’Istat, è riconducibile alla minor propensione
delle famiglie meridionali agli investimenti rischiosi, che ha permesso, in
tempo di crisi, una tenuta degli interessi netti ricevuti (ad esempio dai
libretti postali). In più il minore accesso al credito bancario ha permesso
4
Il 2 febbraio scorso l’ISTAT ha pubblicato i dati su “Il reddito disponibile delle famiglie
nelle regioni italiane. Anni 2006-2009”; elaborati secondo il Sistema europeo di conti
nazionali e regionali (SEC 95).
47
L’impatto della turbolenza finanziaria sulle famiglie italiane
di contenere l’impatto negativo dovuto dall’aumento degli spread sugli
interessi passivi. Insomma le peculiarità del rapporto tra famiglie del
Mezzogiorno e gestione del risparmio, che spesso sono state addotte
come dei limiti alla crescita dell’area, si sono invece rilevate come i
punti di forza della tenuta del reddito disponibile durante la crisi.
Dopo un triennio caratterizzato da tre variazioni consecutive di segno
negativo, l’andamento del reddito disponibile risulta in termini reali
ancora a stento positiva nel 2011, e in previsione, anche nel 2012.
Figura 3.1 – Il reddito disponibile e i consumi
Fonte: Banca d’Italia, Bollettino Economico n°66, Ottobre 2011
Secondo i dati diffusi dall’ISTAT relativi al II trimestre 2011, il potere di
acquisto delle famiglie (appunto il reddito disponibile in termini reali) è
48
L’impatto della turbolenza finanziaria sulle famiglie italiane
diminuito dello 0,2% rispetto al I trimestre e dello 0,3% rispetto al
corrispondente trimestre del 2010.
La contrazione del reddito disponibile, che si protrae ormai dal 2008, si
accentuerà ulteriormente nel prossimo biennio (-0,6% nel 2012 e -0,7%
nel 2013), per gli effetti della manovra correttiva di finanza pubblica.
In precedenza, diminuzioni reali del reddito disponibile si erano
verificate solo nel 1993-94 (-4,1%) e nel 1998 (-0,8%).
Nella prospettiva storica degli ultimi cinquant’anni, quello che stiamo
vivendo è dunque il più lungo e intenso periodo di abbassamento dei
redditi reali delle famiglie italiane che, come vedremo più avanti, si
traduce in una contrazione del tasso di risparmio facendo così
definitivamente tramontare l’immagine dell’Italia quale “paese di
risparmiatori”.
3.3 Le decisioni di risparmio delle famiglie
Le decisioni di consumo e di risparmio, che nella realtà sono
prese simultaneamente, dipendono da tanti fattori, di natura economica,
sociale, demografica, culturale. Certamente, il livello del reddito e la sua
dinamica giocano un ruolo di prim’ordine sulle scelte che determinano il
livello del risparmio.
49
L’impatto della turbolenza finanziaria sulle famiglie italiane
Nell’ultimo triennio il reddito disponibile degli italiani è diminuito di sei
punti percentuali, una misura non distante dalla perdita del prodotto
interno lordo. La caduta dei consumi è stata, tuttavia, meno marcata di
quella dei redditi il cui andamento è stato decisamente più stabile, e
caratterizzato, dalla metà del 2009, da una tendenza leggermente
crescente.
Fig. 3.2 – L’andamento dei consumi Fonte: ANCC-COOP, Consumi e distribuzione 2011, Settembre 2011
Questo vuol dire che la caduta del reddito non si è traslata
completamente sui livelli di spesa, e che le famiglie hanno cercato di
limitare il deterioramento del proprio tenore di vita riducendo il tasso di
risparmio.
50
L’impatto della turbolenza finanziaria sulle famiglie italiane
Si tratta di una tendenza in corso oramai dai diversi anni e rilevata
anche dall’Istat5.
Per fronteggiare le recenti difficoltà, l’economia e la società italiana
hanno eroso molte delle riserve disponibili. E’ bene ricordare che una
delle ragioni per cui l’Italia è rimasta relativamente al riparo dalla crisi
dei debiti sovrani che ha travolto finora Grecia e Portogallo, è proprio
l’elevato tasso di risparmio e la ricchezza privata. Se questi scendono,
e sono destinati a farlo ancora in un sistema che non dà certezze e che
propone gli stipendi più bassi dell’Unione europea, il destino dell’Italia
potrebbe assomigliare sempre più a quello della Grecia o del
Portogallo.
Il risparmio delle famiglie italiane è sceso ai livelli minimi dal 1990 (Fig.
3.2.) E’ la prova del nove che di ricchezza, in giro, ce n’è sempre meno,
soprattutto per quel 25% di italiani che, sempre secondo i dati diffusi
dall’Istat, si avvicina alla soglia di povertà.
La figura 3.3 indica (linea rossa) il livello assoluto del risparmio delle
famiglie in Italia, dal 1990 al 2010.
La contrazione del risparmio dipende da due importanti cause: la prima,
ben nota, riguarda la stagnazione del reddito disponibile. Se si dispone
di minori risorse si consumerà meno e si risparmierà meno.
La seconda è dovuta in parte al progressivo invecchiamento della
popolazione. È accentuata non solo dal minor peso delle generazioni
5
ISTAT, Reddito e risparmio delle famiglie e profitti delle società, Settembre 2011.
http://www.istat.it/it/archivio/40542
51
L’impatto della turbolenza finanziaria sulle famiglie italiane
più giovani, ma anche dalle loro diminuite capacità di risparmio. Il
peggioramento delle condizioni retributive all’ingresso nel mercato del
lavoro, non compensato da una più rapida progressione salariale nel
corso della carriera lavorativa, ha contribuito a contrarre la propensione
al risparmio dei nuclei con capofamiglia giovane.
Fig. 3.3 – La recente storia del risparmio delle famiglie italiane
(1990 – 2010)
Fonte: Elaborazioni Ufficio Studi Confcommercio su dati Istat, marzo 2011
Tra i giovani è aumentata la quota di famiglie con risparmio nullo o
negativo; è salita al 32% nel 2008 tra i nuclei con capofamiglia di età
inferiore a 35 anni, dal 26% nel 2000.
52
L’impatto della turbolenza finanziaria sulle famiglie italiane
Anche l’accresciuta instabilità dei redditi condiziona le opportunità e le
scelte di risparmio dei più giovani.
In assenza di una redistribuzione più equa delle risorse fra le diverse
generazioni, rispetto al passato, i giovani dovranno contribuire in misura
maggiore alle finanze pubbliche. Nel 1990, per un trentacinquenne,
l’incidenza sul reddito delle imposte e dei contributi sociali era pari a
meno del 20%; per un trentacinquenne di oggi supera il 25%.
Sull’aumento influisce l’eccessiva lentezza nelle modalità del passaggio
al metodo di calcolo contributivo per le pensioni.
Da questi dati, diffusi dall’ormai ex Governatore della Banca d’Italia
Mario Draghi nell’ambito del suo intervento alla Giornata Mondiale del
Risparmio del 2011, emerge chiaramente una situazione in cui i giovani
di oggi sono più svantaggiati dall’effetto crisi di quanto non lo siano le
generazioni relativamente più anziane, colpite in misura più limitata6.
La linea verde della figura 3.3 indica la propensione al risparmio, cioè
quanti euro sono risparmiati mediamente dalla popolazione italiana per
ogni 100 euro di reddito disponibile (rapporto tra risparmio e reddito
disponibile). La propensione al risparmio è molto diminuita dal 1990 a
oggi, passando dal 23% a meno del 10%.
Da una parte questo dato può essere considerato negativamente.
6
Per maggiori approfondimenti si veda ACRI, Giornata mondiale del risparmio del
2011, ottobre 2011, Roma.
53
L’impatto della turbolenza finanziaria sulle famiglie italiane
Il minore tasso di risparmio necessariamente implica minori investimenti
e la riduzione del processo di accumulazione di capitale riduce le
prospettive di crescita per il futuro.
D’altra parte, è opportuno porre l’accento anche sulle valenze positive
di questo fenomeno. Intanto le famiglie hanno palesato grande vitalità e
forza di reazione nei confronti della prolungata stagnazione economica
tentando di non comprimere, per quanto possibile, i consumi che sono
l’indicatore più prossimo a un ideale parametro di benessere materiale.
La caduta del tasso di risparmio, ha dunque giocato un ruolo positivo
durante la crisi, nella misura in cui è grazie ad essa che la caduta dei
consumi è stata mitigata; tale comportamento però apre altri quesiti, a
proposito della sostenibilità dei livelli di spesa attuali da parte delle
famiglie.
L’andamento dei consumi, difatti, pur essendo stato decisamente
deludente in termini assoluti, non ha pienamente incorporato le
conseguenze dell’abbassamento del reddito disponibile delle famiglie.
In altri termini, i consumatori dovrebbero in teoria calibrare il proprio
standard di consumo tenendo conto dell’andamento del reddito che si
attendono di poter percepire stabilmente in futuro: il cosiddetto “reddito
permanente7.”
7
Teoria economica sviluppata da Milton Friedman per l'analisi delle relazioni tra
redditi individuali e familiari e livello dei consumi. L'economista definì il reddito
permanente semplicemente come quel livello di reddito di lungo periodo il cui valore
attuale è pari alla ricchezza della famiglia e del suo reddito futuro atteso. Tutte le altre
variazioni del reddito si considerano transitorie.
54
L’impatto della turbolenza finanziaria sulle famiglie italiane
Pertanto, i consumi non dovrebbero seguire l’andamento del reddito
quando questo cade durante le recessioni, così come non dovrebbero
trasferire completamente in maggiori consumi gli aumenti di reddito che
si verificano nella fasi di espansione del ciclo economico.
Il fatto che le famiglie abbiano ridotto in misura così consistente il tasso
di risparmio nel corso degli ultimi anni è tuttavia un fatto negativo se
tale contrazione dipende da una interpretazione errata della crisi,
considerando quest’ultima solo un fatto episodico, di carattere
transitorio perché legato ad una congiuntura sfavorevole.
Con il passare dei mesi però, è chiaro che gli effetti della crisi sul
reddito non sono solo transitori, ma di natura permanente. E a maggior
ragione considerando che gli effetti dell’azione di risanamento dei conti
pubblici lasciano pochi spazi di crescita del reddito per gli anni a venire.
In queste condizioni, quanto più a lungo il reddito delle famiglie si
mantiene su valori inferiori a quelli precedenti la crisi, tanto più appare
probabile che si possa anche entrare in una nuova fase in cui le
aspettative delle famiglie acquisiscono consapevolezza del relativo
grado di impoverimento degli anni passati, adeguando quindi anche il
tenore di vita al più basso livello di reddito.
Vi è quindi anche la concreta eventualità che, se il clima generale non
si dovesse rasserenare in tempi brevi, possa anche verificarsi una fase
in cui il tasso di risparmio dei consumatori tenda addirittura ad
55
L’impatto della turbolenza finanziaria sulle famiglie italiane
aumentare, portando la dinamica dei consumi al di sotto di quella già
debole del loro reddito.
Fra gli elementi che possono contribuire a penalizzare l’evoluzione del
tasso di risparmio delle famiglie, vi è anche l’andamento della ricchezza
finanziaria, che stante le difficoltà dei mercati finanziari (perdite della
borsa italiana e flessioni dei prezzi dei titoli di Stato), risulta fortemente
penalizzata
anche
considerando
che
le
famiglie
italiane
si
caratterizzano tradizionalmente per la tendenza ad acquistare attività
finanziarie nazionali rispetto ad attività estere.
Inoltre è importante sottolineare, per completare l’analisi, che buona
parte del risparmio annuale finisce investito in abitazioni.
L’ultima rilevazione dell’indagine Confcommercio8 evidenzia che, tra la
fine del 2010 e la prima parte del 2011, gli orientamenti di risparmio
delle famiglie italiane presentano una divisione piuttosto marcata: o
investimenti immobiliari o liquidità, senza significative alternative.
Questo potrebbe riflettere una condizione di incertezza che sta
rientrando soltanto molto lentamente, come testimoniano le risposte più
frequenti: il 31,7% indirizzerebbe i risparmi in immobili e il 29,5%
preferirebbe la liquidità sul conto corrente.
8
CENSIS – CONFCOMMERCIO, Outlook dei consumi Clima di fiducia e aspettative
delle famiglie italiane, marzo 2011.
56
L’impatto della turbolenza finanziaria sulle famiglie italiane
Fig. 3.3 – Le decisioni di risparmio
Fonte: Ufficio studi Confcommercio, Nota sul risparmio delle famiglie italiane, marzo
2011
Quest’allocazione del risparmio, governata da scopi cautelativi, cioè
difensivi, più che da una strategia attiva di trasferimento temporale di
potere d’acquisto, non è esente da rischi. L’inflazione, in aumento per il
2011, trainata dai rialzi dei corsi delle materie prime energetiche e non,
potrebbe ridurre il valore reale del risparmio accumulato, cioè della
ricchezza detenuta in forma liquida.
Essa, normalmente, frutta modesti rendimenti, che difficilmente coprono
la perdita di potere d’acquisto dovuta all’aumento generalizzato dei
prezzi.
57
L’impatto della turbolenza finanziaria sulle famiglie italiane
Secondo i dati preliminari su base mensile diffusi dall’Istat9, l'inflazione
misurata dall'indice Nic con tabacchi registra un aumento dello 0,6%
rispetto a settembre e del 3,4% nei confronti dello stesso mese
dell'anno precedente. L'Istituto osserva che la dimensione della crescita
congiunturale rispecchia anche gli effetti delle misure previste dalla
recente manovra e, in particolare, dell'aumento dell'aliquota dell'Iva
ordinaria al 21%.
3.4 Le prospettive di crescita
Il quadro dell’economia fin qui descritto ha messo in luce le
sostanziali difficoltà che gravano sulle tendenze del biennio in corso. In
particolare, si può segnalare come l’esito più probabile sia costituito da
una fase di crescita molto lenta, a ritmi ampiamente inferiori all’1% su
base annua.
I fattori di ostacolo al consolidamento della ripresa riguardano
innanzitutto la domanda interna.
L’avvio della fase di restrizione della politica di bilancio frena la crescita
del
reddito
disponibile
delle
famiglie,
ulteriormente
penalizzata
guardando alla dimensione degli incrementi in termini reali, per effetto
del rialzo dell’inflazione rispetto ai tassi molto bassi del 2009-2010.
9
Si consulti il sito http://www.istat.it/it/archivio/43878
58
L’impatto della turbolenza finanziaria sulle famiglie italiane
In conseguenza di ciò la previsione sull’andamento del reddito
disponibile risulta, in termini reali, a stento positiva sia nel 2011 che nel
2012, e dopo un triennio caratterizzato da tre variazioni consecutive di
segno negativo.
Forse, è solo assumendo un’ulteriore flessione del tasso di risparmio
che si potrebbe prevedere solo una ridotta crescita dei consumi.
Le probabilità di entrare nuovamente in recessione non sono quindi più
basse di quelle di una prosecuzione lungo il lentissimo, estenuante,
incerto processo di ritorno alla crescita economica.
I prossimi mesi appaiono cruciali. Il verso che assumerà la dinamica
economica italiana potrebbe essere determinato proprio dai movimenti
della propensione al consumo: un suo blocco o una sua riduzione
farebbero entrare, molto verosimilmente, il Paese in una nuova fase
recessiva.
L’auspicio è di osservare, quanto prima, un’indicazione chiara da parte
delle Autorità di politica economica nella direzione della crescita
produttiva e del rilancio della fiducia di lavoratori, imprese e famiglie, le
vere risorse economiche del Paese.
59
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
Gli anni che vanno dal 2008 al 2011 sono stati caratterizzati
caratterizzato dalla peggiore crisi economica del secondo dopoguerra,
di conseguenza l’andamento dell’economia italiana ed internazionale è
stato complessivamente negativo.
Il 2010 ha descritto una prima inversione di tendenza dopo una
fase cedente dei volumi di spesa. L’incremento dei consumi osservato
lo scorso anno è riconducibile, però, in buona misura, alla
compressione del tasso di risparmio che continua a contrarsi anche nel
2011.
Vi sono però non poche perplessità sul mantenimento di tale
tendenza nel lungo periodo: in altre parole, fino a quando è possibile
garantire la tenuta dei livelli di spesa accentuando la compressione dei
risparmi?
Le prospettive per il reddito disponibile, difatti, non sono
particolarmente rosee risentendo, come descritto nei capitoli, della
sostanziale stagnazione dell’economia italiana nel suo complesso e del
miglioramento molto graduale del mercato del lavoro.
L’accelerazione dell’inflazione, per effetto delle tensioni sui prezzi
delle materie prime, impatta poi in senso ampiamente negativo sulla
dinamica reale dei salari.
60
Infine,
oltre
all’inflazione,
a
influenzare
negativamente
l’andamento del potere d’acquisto delle famiglie vi è naturalmente
soprattutto la politica fiscale.
In questo senso, in un contesto in cui una correzione delle
finanze pubbliche non appare procrastinabile, non possono essere
escluse inversioni nella tendenza della propensione al consumo da
parte delle famiglie: l’elevata incertezza sullo stato dell’economia, gli
effetti ricchezza negativi derivanti dalle tensioni sui rendimenti di titoli di
Stato, l’andamento cedente del mercato azionario e la stagnazione
dell’immobiliare hanno comportato una riduzione della ricchezza delle
famiglie italiane, e la prospettiva di ulteriori correzioni del bilancio
pubblico potrebbe tradursi in un recupero del tasso di risparmio legato
all’interiorizzazione di attese meno favorevoli per i prossimi anni da
parte delle famiglie.
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