Psicologia-sociale Riassunto-del-libro-Palmonari

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Capitolo 1
LA COGNIZIONE SOCIALE
Interesse per i processi sociocognitivi che sottostanno alla comprensione di ciò che caratterizza
l’ambiente in cui le persone vivono (radici storiche nel kantismo). Ha un approccio cognitivo
ma anche olistico (dalla psicologia della Gestalt), per cui le diverse parti dello stimolo
percettivo sono inglobate in un unico significato.
Ex. Kurt Lewin e teoria del campo psicologico: interpretazione soggettiva che la persona
costruisce sul proprio ambiente sociale con totalità dinamica di fattori personali e situazionali.
Cognizione (come fare in una data situazione)+ Motivazione (motore del comportamento).
Per la SOCIAL COGNITION l’uomo è individuo attivo, elaboratore di informazioni in
grado di orientare adattativamente il proprio comportamento (evoluz. Definizione).
Anni 50- Anni 60: uomo come ricercatore di coerenza ( fattore di per sé motivante)
Anni 70: uomo come scienziato ingenuo (raccoglie i dati e giunge a conclusioni). È un
processo attribuzionale ( però nella vita quotidiana si fa ricorso anche a euristiche)
Anni 80: uomo come economizzatore di risorse cognitive (limitate capacità cognitive).
Ricerca contemporanea: uomo come tattico motivato (molte strategie cognitive e le utilizza a
seconda degli scopi). Si può definire anche come conoscitore motivato.
La cognizione ha lo scopo di orientare l’azione e l’azione è sociale quando il suo significato ed
orientamento prende in considerazione altre persone.
COGNIZIONE DELLA PS. SOCIALE: come la vita mentale delle persone le condiziona quando
stanno assieme agli altri?
PS. SOCIALE DELLA COGNIZIONE: cosa succede alla vita mentale delle persone quando
sono insieme agli altri?
La cognizione sociale si occupa dello studio scientifico dei processi tramite i quali le persone
acquisiscono informazioni sull’ambiente, le interpretano, le immagazzinano in memoria e le
recuperano da essa, per comprendere sia il proprio mondo sociale che loro stesse, ed
organizzare di conseguenza i proprio comportamenti.
Natura scientifica: ogni ipotesi dev’essere verificata e riproducibile, in modo da isolare
processi generali che si ripresentino con sufficiente regolarità.
Natura attiva del processo di acquisizione di informazioni: le persone esplorano il proprio
ambiente e s’interrogano sulle sue caratteristiche, selezionano alcune informazioni e ci
lavorano attribuendovi significati e valori personali. Tutto ciò che proviene dall’ambiente viene
interpretato in base alle conoscenze possedute, alle proprie esperienze passate e al proprio
stato attuale.
I risultati dei processi di raccolta informazioni e di elaborazione vengono depositati in memoria
e arricchiscono il bagaglio di conoscenze ed esperienze che a sua volta guiderà i nuovi processi
di acquisizione ed interpretazione delle nuove informazioni.
Principi generali dei processi di elaborazione delle informazioni sociali:
Bisogno di risparmiare
risorse cognitive
Le persone hanno limitate abilità e capacità di elaborazione
delle informazioni, quindi bisogna selezionare le informazioni
in ingresso sintetizzando la maggior quantità di informazioni
con il minimo sforzo.
Processo di categorizzazione: vari esemplari vengono
inseriti in uno stesso insieme significativo in base ad
elementi di similarità che li accomunano, per arrivare a una
definizione (approssimativa ma rapida) dell’ambiente in cui ci
si muove.
Euristiche: processi di pensiero semplificati utilizzati per
formulare giudizi in base a informazioni limitate, utili a
ridurre il tempo e gli sforzi necessari a raggiungere una
conclusione soddisfacente anche se non necessariamente la
migliore in assoluto.
Processi consapevoli e
inconsapevoli
Processi consapevoli (o controllati):iniziano con un atto di
volontà (intenzionalità), possono essere controllati durante lo
sviluppo (possibilità di controllo), e l’individuo può riportare
verbalmente la gran parte dei passaggi compiuti
(consapevolezza almeno parziale delle fasi intermedie e
dell’esito finale del processo). Condizione necessaria a un
processo consapevole è la disponibilità di sufficienti risorse
cognitive, poiché questi processi mentali sono molto
dispendiosi e impegnano gran parte delle risorse attentive.
I processi consapevoli sono seriali (vanno eseguiti in
successione) e non in parallelo (si ostacolano a vicenda).
Processi inconsapevoli (o automatici): l’azione ormai
padroneggiata fluisce senza un necessario controllo
consapevole; questi processi prevedono un carico attentivo
limitato e permettono l’esecuzione contemporanea di altre
operazioni (in parallelo).
Le persone usano ripetutamente modalità automatiche di
percezione degli altri individui, per esempio per identificarne
le categorie sociali.
Inoltre la capacità introspettiva rispetto ai propri processi
mentali è limitata: contemporaneamente ai processi
consapevoli agiscono sempre anche processi inconsapevoli,
pertanto non esistono processi controllati “puri” ma
semplicemente più o meno automatici.
SCHEMI
struttura cognitiva che contiene informazioni su di un particolare oggetto di conoscenza,
includendo gli attributi che la caratterizzano ed i legami tra di essi.
Si usano nei processi TOP-DOWN (dall’alto verso il basso) per facilitare e rendere più
agevole il lavoro del percepente e più suscettibile ad errori
(BOTTOM-UP o data driven) - dal basso verso l’alto - più dispendioso, lento ma anche più
accurato.
Perché gli schemi? Per motivi diversi: necessità di categorizzare gli stimoli sociali,
identificazione di criteri di classificazione che permettano di percepire le somiglianze tra
membri della stessa categoria e differenze tra categorie sociali diverse, inesistenza di criteri
necessari e sufficienti per classificare gli elementi della realtà sociale (esemplari in posiz.
centrale/periferica).
CATEGORIA SOCIALE: classificazione degli oggetti sociali ≠ SCHEMA SOCIALE: (struttura
cognitiva) sono le conoscenza che ho in memoria in riferimento alla categoria che sto
utilizzando.
Schemi di persona: informazioni che ci aiutano a descrivere le persone in base ai loro tratti di
personalità o caratteristiche altre che le contraddistinguono.
Schemi di sé: il sé è costituisce l’oggetto di conoscenza più prossimo che tutti abbiamo ed è
filtro di conoscenza di molti altri oggetti sociali.
Schemi di ruolo: i ruoli sociali definiscono le aspettative comportamentali in relazione alle
posizioni occupate in una realtà sociale.
Schemi di eventi: informazioni che permettono comprensione delle sequenze temporali, delle
regole, dei comportamenti nelle varie situazioni sociali.
Vi è per l’individuo anche la possibilità di emettere giudizi accurati e ben elaborati, ma anche
grossolani e veloci e non attendibili(per via di scarsa motivazione, stanchezza, mancanza di
tempo, sovraccarico cognitivo,…).
I PROCESSI DI CATEGORIZZAZIONE E GLI SCHEMI NELLA PERCEZIONE SOCIALE.
La categorizzazione: funzioni generali e conseguenze cognitive
La funzione della categorizzazione è di semplificare la complessità dell’ambiente: oggetti
differenti vengono classificati all’interno del medesimo insieme, in modo da poter essere
velocemente definiti e compresi in base a precedenti conoscenze.
Le funzioni primarie dei processi di categorizzazione sono la semplificazione dell’ambiente e
la possibilità di compiere rapide inferenze. Questo significa anche che gli specifici esemplari
racchiusi all’interno di una determinata categoria vengono trattati in modo analogo, cioè
vengono considerati come elementi intercambiabili, privati delle proprie peculiarità individuali.
In sostanza, le caratteristiche che differenziano i vari esemplari vengono messe in secondo
piano e sottovalutate rispetto agli elementi condivisi che li rendono simili.
Effetti di assimilazione intracategoriale: la differenza percepita tra gli stimoli appartenenti
ad una stessa categoria viene ridotta rispetto a quanto non sia nella realtà; si tende a
percepire un grado di omogeneità interna alla categoria superiore a quanto i dati oggettivi
suggeriscano.
Effetti di differenziazione intercategoriale: la differenza esistente tra due categorie viene
estremizzata e percepita come molto superiore di quanto non sia in realtà.
I modelli di categorizzazione
Modello classico (Smith, Medin, Job, Rumiati): i tratti che definiscono una categoria sono
singolarmente necessari e complessivamente sufficienti per poter includere un esemplare nella
categoria.
Quindi un insieme di caratteristiche deve essere obbligatoriamente presente affinché si verifichi
l’inclusione categoriale, e basta che ne manchi una sola per causare l’esclusione.
Questo modello è preciso da un punto di vista formale, ma non coglie le modalità con cui opera
il nostri sistema cognitivo: per esempio, non tiene conto del fatto che alcuni esemplari sono più
rappresentativi della categoria rispetto ad altri, ritenendo che tutti gli esemplari, una volta
inclusi, debbano essere considerati al pari di tutti gli altri.
Modello probabilistico (Rosch): l’appartenenza a una categoria è un fatto di gradazione: le
persone si formano un’immagine astratta di un membro della categoria che ne assomma in sé
le caratteristiche peculiari. Questa rappresentazione, definita prototipo, può essere
considerata il migliore esempio possibile della categoria, e l’appartenenza ad una categoria
viene decisa in base al grado di somiglianza col prototipo di quella categoria o ai gradi di
differenza col prototipo di altre categorie; inoltre, il grado di somiglianza con il prototipo
definisce quanto l’esemplare sia tipico della categoria, o poco rappresentativo.
Modello basato sugli esemplari (Smith, Zarate): quando abbiamo limitate conoscenze circa
le caratteristiche di una categoria utilizziamo come elemento di confronto non un prototipo ma
alcuni membri della categoria facilmente accessibili per mettere ordine e categorizzare le
nuove informazioni provenienti dall’ambiente.
La categorizzazione: processo controllato o automatico?
La categorizzazione può sicuramente essere un processo consapevole, ma i dati di ricerca
sembrano indicare che possa avvenire anche in modo automatico. Studio del “Chi ha detto
cosa”: gli errori di attribuzione avvengono comunque tra elementi della stessa razza.
Nella percezione sociale ci sarebbe quindi un’iniziale categorizzazione automatica e spontanea
delle persone che incontriamo, che si incentra soprattutto sull’appartenenza etnico-razziale,
sull’appartenenza di genere sessuale e sugli indicatori che segnalano la loro età; tutti i fattori
che rendono saliente una determinata categoria aumentano le probabilità di utilizzo della
stessa (v. effetto solo).
Gli schemi: una definizione ed una classificazione
Uno schema può essere definito come un insieme organizzato di credenze e pensieri basato
sulle precedenti esperienze: ad esempio, le teorie implicite di personalità, o gli stereotipi.
Gli schemi sono quindi dei contenuti mentali che guidano l’esplorazione dell’ambiente e
influenzano l’elaborazione, la codifica in memoria e l’interpretazione delle informazioni
raccolte. Principali tipologie di schemi
Schemi di
persona
Schemi di sé
Schemi di ruolo
Schemi di eventi
Si riferiscono all’insieme di caratteristiche (attributi interni, elementi
di abbigliamento, comportamenti, pose eccetera) che riteniamo siano
associate ad alcuni profili tipici di persona secondo la teoria dei
prototipi: ad esempio, l’estroverso, il timido, l’amico ideale eccetera.
Rimandano all’autopercezione, cioè all’immagine che ognuno ha di se
stesso: ciascuno si percepisce come caratterizzato da una serie di
tratti di personalità, alcuni dei quali sono estremamente importanti
per la propria autodefinizione (es.: altruismo, la persona è
schematica lungo la dimensione dell’altruismo), altri decisamente
meno (aschematica lungo quella dimensione).
Racchiudono le aspettative associate al ruolo sociale occupato dalla
persona oggetto di percezione: ogni ruolo sociale è collegato a una
serie di prescrizioni rispetto a come si dovrebbe essere per ricoprirlo.
Questo è particolarmente vero per i ruoli sociali acquisiti (es.:
barman), non per i ruoli ascritti, cioè biologicamente determinati
(razza, sesso, età).
Definiscono le sequenze comportamentali (script) più adeguate in
determinate circostanze: ogni situazione richiede comportamenti
specifici, e con l’esperienza queste sequenze comportamentali
vengono apprese in modo da poter essere eseguite spontaneamente
senza doverci riflettere ogni volta: si strutturano cioè dei repertori
comportamentali che predispongono in maniera pronta ed efficace
all’azione.
Cosa rende attivi gli schemi? Il caso degli stereotipi
Il nostro sistema cognitivo funziona in modo da recuperare automaticamente e senza sforzo
tutte le conoscenze più rilevanti depositate in memoria sulla categoria appena applicata.
I concetto depositati in memoria vengono codificati sotto forma di complessi reticoli: i concetti
vengono definiti nodi, e ci sono dei canali (link) che collegano tra loro concetti semanticamente
legati; quando un nodo viene attivato, l’attivazione si diffonde anche a tutti gli altri nodi
collegati, privilegiando quelli con il più forte legame associativo.
Paradigma del priming semantico: presentazione di due stimoli. Il primo (prime) serve ad
attivare un concetto (i partecipanti non devono fare nulla, lo sperimentatore deve verificare
che sia stato recepito); dopo il secondo (target) i partecipanti devono compiere delle
operazioni o formulare dei giudizi. La facilità con cui si riesce ad elaborare lo stimolo target è
tanto maggiore quanto più esso è semanticamente collegato al prime (es.:mucca-latte). I
risultati mostrano che dalla definizione di una categoria vengono spontaneamente resi
accessibili tutti i tratti stereotipici che si riferiscono ad essa.
Wittenbrink e l’esperimento del prime subliminale Bianchi-Neri.
Cosa succede una volta che le conoscenze stereotipiche vengono attivate?
Risposta: aumenta la probabilità che queste conoscenze vengano utilizzate.
Devine: studio sulle conseguenze derivanti dall’attivazione di una categoria sociale e delle
connesse rappresentazioni stereotipiche.
Presupposto: tutte le persone che vivono nel medesimo ambiente condividono i tratti
stereotipicamente associati a determinati gruppi sociali, a prescindere dalle convinzioni e
credenze personali; poiché durante i processi di socializzazione non è possibile evitare di venire
esposti agli stereotipi, tutti apprendono quale sia l’immagine stereotipica dei più rilevanti
gruppi sociali.
L’ipotesi della Devine (confermata dai dati empirici) è che ogni volta che viene attivata una
categoria la tendenza spontanea è quella di usare le conoscenze ad essa associate, e che si
può sfuggire alla loro influenza solo attraverso un attento controllo consapevole.
Studi recenti mostrano che sono soprattutto individui con elevato pregiudizio ad attivare
automaticamente conoscenze stereotipiche, perché usano più spesso giudizi stereotipici nella
vita quotidiana, rafforzando il legame associativo tra pregiudizio e stereotipo.
Quando invece i giudizi vengono emessi con la consapevolezza che potrebbero essere
influenzati dagli stereotipi, le persone con un basso pregiudizio tendono ad esercitare un
maggior controllo sulle risposte. Questo significa che le persone non sono sempre e
necessariamente vittime di giudizi stereotipici: attraverso un attento controllo è possibile
depurare i propri giudizi e comportamenti.
Gli stereotipi influenzano in vari modi i processi interpretativi anche in persone che si
definiscono democratiche e ugualitarie.
Gli schemi posseduti circa i gruppi sociali inducono a interpretare le situazioni in modo
coerente con tali schemi, quindi si è portati a costruirsi delle rappresentazioni mentali degli
eventi che ben si accordino con i propri schemi.
Es. dello spot sul criminale con la foto dell’afroamericano.
Gli effetti degli schemi sul ricordo
Poiché gli schemi sono di filtri interpretativi della realtà, le informazioni che confermano gli
schemi (quindi anche le nostre aspettative indotte dagli schemi) permettono una rapida
comprensione della situazione, pertanto si è particolarmente sensibili alle informazioni che
sono in accordo con le nostre conoscenze pregresse.
Studio di Bodenhausen e Lichtenstein sul ricordo di elementi a favore o a sfavore della
colpevolezza di un imputato secondo la sua appartenenza etnica, e sull’emissione di giudizi nei
suoi confronti.
In generale, l’utilizzo di schemi di riferimento nella percezione sociale può condurre ad un
miglior ricordo per le informazioni coerenti con tali schemi.
D’altro canto, informazioni altamente discrepanti rispetto ad uno schema, che rompono in
modo brusco le aspettative indotte da uno schema, sono altamente salienti e spiccano rispetto
ad uno sfondo con un carattere di regolarità.
Hastie ha proposto un modello che lega la probabilità di ricordo di un evento al grado di
coerenza/incoerenza rispetto allo schema: il ricordo è altamente probabile quando l’evento è
fortemente inusuale o al contrario altamente tipico; invece le informazioni irrilevanti, che non
si presentano come sistematiche rispetto allo schema o che non contengono elementi
significativi tendono ad essere maggiormente ignorate e peggio ricordate.
Poiché le informazioni incoerenti con uno schema non si accordano con le aspettative, si dedica
loro maggior tempo di elaborazione e una maggiore integrazione con le altre informazioni
disponibili, per cercare di spiegare cosa sta succedendo e ristabilire ordine e prevedibilità negli
eventi, col risultato di una buona codifica in memoria delle informazioni incoerenti.
Questo processo però, abbastanza dispendioso per le risorse cognitive, fa sì che qualora esse
siano scarse e non vi siano particolari motivazioni le informazioni incoerenti vengano ricordate
peggio di quelle coerenti.
Il ruolo della motivazione e delle risorse cognitive nella percezione sociale
La percezione sociale si realizza attraverso due momenti distinti: inizialmente vi è l’automatica
categorizzazione delle persone incontrate, e l’automatica attivazione delle conoscenze
stereotipiche associate. Dopo questa fase, la persona può fermarsi, limitandosi a una
percezione sommaria legata alle più evidenti appartenenze categoriali della persona percepita,
oppure può procedere cercando informazioni più dettagliate sulla persona oggetto di
percezione.
La percezione sociale si colloca lungo un continuum con l’uso esclusivo di informazioni
categoriali ad un estremo, e il pieno utilizzo di tutte le informazioni individuali disponibili
dall’altro; a seconda delle risorse cognitive disponibili e del grado di motivazione dell’individuo
un’opzione avrà il sopravvento sull’altra.
Se la persona che abbiamo di fronte attrae il nostro interesse, per motivi personali o per
aspetti contingenti (ad es. se dobbiamo rendere conto ad altri delle nostre impressioni, o se
dobbiamo svolgere alcuni compiti con il nostro interlocutore), attiveremo il processo di
acquisizione di informazioni necessarie a tratteggiare un profilo unico del nostro interlocutore,
quale individuo specifico e diverso da qualunque altro.
Inoltre è necessario possedere le necessarie risorse cognitive: senza la necessaria energia
mentale difficilmente si riesce a svincolarsi da percezioni unicamente basate sulle
appartenenze categoriali dell’individuo percepito.
Solo dalla combinazione di alti livelli di motivazione e risorse cognitive si creano le premesse
per percepire le persone nella loro interezza e complessità.
Pertanto ogni volta che la stanchezza si accumula, che le richieste ambientali diventano
pressanti o che ci si trova in stati d’umore particolarmente positivi o negativi, i giudizi
stereotipici diventano più probabili.
Studio di Bodenhausen sui giudizi emessi in differenti momenti della giornata da persone con
una personalità mattutina o una personalità serale.
Lo stretto legame tra disponibilità limitata di risorse cognitive e ricorso a stereotipi ha
evidenziato che gli stereotipi funzionano come delle euristiche di giudizio.
Paradigma del doppio compito: potersi basare sui propri schemi stereotipici agevolava la
formazione di impressioni e liberava risorse cognitive che potevano essere usate per il secondo
compito richiesto.
La categorizzazione come processo flessibile
Gli obiettivi e gli stati interni dell’individuo contribuiscono fortemente a determinare quali
saranno le dimensioni categoriali utilizzate nel percepire una determinata persona: ovviamente
ogni persona appartiene contemporaneamente a varie categorie, ma solo alcune di essere
saranno rilevanti nella percezione dell’interlocutore. Pertanto la valutazione finale sarà
profondamente differente a seconda delle appartenenze categoriali predominanti.
Gli stati motivazionali dell’individuo influenzano quali categorie sociali vanno a dominare la
percezione sociale, pertanto, nella percezione delle persone che ci circondano vengono
selettivamente usare le loro appartenenze categoriali che consentono di massimizzare la
positività della propria autorappresentazione.
Sinclair e Kunda, esperimento del medico bianco/medico nero, critica/elogio. Quando i pazienti
venivano elogiati attivavano la categoria medico, quando venivano criticati la categoria nero.
I dati di ricerca dimostrano che i processi di categorizzazione si realizzano il più delle volte in
modo automatico, ma anche che le motivazioni del soggetto possono influenzare questi
processi, facendo prevalere (a seconda dei contesti e degli obiettivi) alcune appartenenze
categoriali piuttosto di altre.
Gli effetti automatici delle conoscenze sociali sui comportamenti
All’attivazione di una rappresentazione categoriale anche alcune specifiche tendenze
comportamentali possono essere attivate, in modo che proprio quei comportamenti saranno
più probabili in quel contesto: gli schemi hanno anche la funzione di indirizzare in modo rapido
ed efficace verso comportamenti presumibilmente più appropriati in ogni data situazione. Una
volta che uno schema motorio viene attivato, aumenta anche la probabilità che vinca la
competizione con altri schemi motori alternativi per il controllo del comportamento.
Ovviamente l’attivazione di uno schema motorio non conduce sempre ed inevitabilmente alla
sua esecuzione, ma le tendenze preattivate, a parità di condizioni, sono privilegiate nel guidare
la condotta dell’individuo.
La soppressione degli stereotipi
Diventa cruciale comprendere in quali condizioni e attraverso quali processi è possibile tenere
sotto controllo le reazioni impulsive e spontanee basate sugli stereotipi. Un’elevata attenzione
consapevole sulle proprie risposte è una soluzione utile? Dal punto di vista soggettivo, si tratta di
verificare continuamente se nei propri pensieri, parole e azioni abbiano fatto la loro comparsa
elementi stereotipici indesiderati. Processo di monitoraggio
Serve a controllare che i propri contenuti di pensiero corrispondano con lo stato desiderato;
la scansione continua in modo ricorsivo finché non vengono rilevate anomalie, cioè finche
non si verifica la presenza di elementi indesiderati.
Questo processo verifica anche l’efficacia del processo operativo confrontando lo stato attuale
del sistema con lo stato desiderato.
E’ un processo automatico che comporta un minimo dispendio di energie cognitive.
Si basa sulla preliminare attivazione dei contenuti indesiderati: ossia per trovare nei propri
contenuti di pensiero quello che non si desidera bisogna avere ben chiaro cosa si vuole
evitare.
Capitolo 2
IL GIUDIZIO SOCIALE
EURISTICHE
strategie semplificate di pensiero. Buchi e fallacie del ragionamento.
Euristica della rappresentatività: si emettono giudizi circa la probabilità che un certo
evento si verifichi (l’esemplare X appartiene alla categoria Y?)
Euristica della disponibilità: si giudica la realtà sociale in base alla frequenza o probabilità
con cui un certo evento si verifica (facilità e rapidità nella memoria)
Euristica della simulazione: si utilizza nella costruzione di scenari ipotetici alternativi
rispetto a come si sono evoluti o evolvono certi eventi nella realtà fattuale
Euristica dell’ancoraggio e dell’accomodamento: emettere giudizi sulla base di
informazioni incerte o ambigue. Ancoraggio come utilizzo del nostro punto di vista;
accomodamento come modellamento di un giudizio da rendere in base a informazioni
ATTRIBUZIONE CAUSALE
Bisogno da parte dell’individuo di spiegare gli eventi sociali al fine di controllare e prevedere il
modo in cui si verificano per poter attuare azioni ad essi congruenti. È automatica con
spiegazioni poco dispendiose ed accurata con spiegazioni dispendiose.
Fritz Heider: origine in fattori personali o situazionali – locus della causalità.
Jones e Davis: scopo dell’attribuzione causale è compiere inferenze corrispondenti, cioè
giungere alla conclusione che il comportamento o l’intenzione corrisponda a qualità stabili, cioè
disposizioni. Come capirlo
 Effetti non comuni (scelta di un’ opzione piuttosto che un’altra),
 desiderabilità sociale (meno è e più probabile è che il comportamento sia dovuto a
disposizione interna)
 volontarietà - libera scelta (nessuna coercizione),
 aspettative comportamentali legate ai ruoli, …
Kelley - covariazione: prima di giungere al giudizio causale su un effetto, l’individuo compie
una serie di osservazioni, cioè rileva la covariazione (modello della covariazione appunto) sulla
base di più cause potenziali.
 distintività (effetto si produce solo in quella particolare situazione?),
 coerenza tempo e modi (effetto si manifesta allo stesso modo tutte le volte che è
presente la discriminante?)
 consenso (effetto viene percepito solo da me o da altre persone?)
Weiner
interno-esterno
controllabile-incontrollabile
stabile-instabile
Esperimento: test autostima, compito difficile, dice che compito è facile o difficile = fallimento;
secondo test: bassa autostima non riescono, alta autostima non significative differenze
DISTORSIONI
ERRORE FONDAMENTALE DI ATTRIBUZIONE → (Ross) tendenza generale nelle spiegazioni
causali a sovrastimare il peso dei fattori disposizionali ed a sottostimare il peso dei fattori
situazionali.
Gilbert: dapprima cause disposizionali, poi se evidenza contrasta aggiungiamo situazionale
EFFETTO ATTORE-OSSERVATORE → tendenza ad attribuire cause del proprio
comportamento a fattori situazionali perchè per lui è saliente il contesto, e ad attribuire cause
del comportamento altrui a fattori disposizionali perchè sono salienti gli attori.
DISTORSIONI nelle attribuzioni causali → SELF SERVING BIAS, tendenza ad attribuire le
cause
dei propri successi a fattori interni ed imputare a fattori esterni le cause dei propri insuccessi.
Due motivi: più memoria di successi, autoaccrescimento
FORMAZIONE DELLE IMPRESSIONI
Le impressioni ci fanno muovere efficacemente nel mondo sociale e capire la realtà.
Modello configurazionale: Solomon Asch
di primo acchito formazione di un’impressione globale entro la quale poi si fanno rientrare le
ulteriori informazioni a disposizione (TOP- DOWN). Dal generale al particolare
Primi tratti presenti in una lista formano l’effetto primacy, influenzano i tratti che seguiranno
Modello algebrico: Anderson
effetto primacy non per fare una configurazione globale, ma per un calo dell’attenzione nella
lettura della lista dei tratti. L’impressione è frutto dell’ integrazione algebrica delle connotazioni
(BOTTOM-UP, data driven). I tratti non si influenzano reciprocamente.
Friske e Neuberg: i modelli di Asch e Anderson non si escludono a vicenda, ma sono su un
continuum con ai due estremi appartenenza categoriale del target ed informazioni ndividuali
del target.
Da impressioni in forma automatica a tratti personali se ci sono motivazione e risorse
cognitive.
TEORIE IMPLICITE DI PERSONALITA':
individuo quando dispone di informazioni circa alcuni tratti ne inferisce immediatamente degli
altri. Perché? Per permettere all’organismo di procedere in modo economico ed elastico nel
contesto della miriade di informazioni ambientali (anche se scorrette).
Kruglanski: concettualizzazione in termini unimodali che prevede variabili diverse
L’ATTRIBUZIONE CAUSALE
I comportamenti, verbali e non, presentano molti elementi di ambiguità. Non è facile risalire in
modo univoco a cosa si celi dietro un comportamento e lo abbia determinato: ci sono
spiegazioni di un certo comportamento che rimandano a caratteristiche personali delle persone
coinvolte, ritenendole quindi responsabili dell’accaduto; altre che rimandano alle caratteristiche
della situazione, diminuendo la responsabilità delle persone implicate. Ciò che risulta
importante per l’attribuzione causale è in che misura i comportamenti vengono spiegati
facendo riferimento a caratteristiche interne dell’attore (cause disposizionali) o a
caratteristiche esterne che rimandano alla situazione in cui il comportamento si realizza
(cause situazionali).
La teoria dell’inferenza corrispondente di Jones e Davis
Questa teoria cerca di comprendere quando un comportamento verrà spiegato facendo
riferimento ad attribuzioni disposizionali o situazionali: secondo gli autori, gli elementi
analizzati per definire se un comportamento è dovuto a cause disposizionali sono la
volontarietà dell’azione (un’azione involontaria non può dipendere da caratteristiche interne
dell’attore per definizione), gli effetti non comuni (le differenze tra due opzioni, non le
somiglianze, permettono di capire le motivazioni di una scelta), la desiderabilità sociale
(fare qualcosa a dispetto della disapprovazione altrui, violando le norme e i principi di
desiderabilità sociale, segnala una forte motivazione interna) e le aspettative (le attribuzioni
interne sono più probabili per i comportamenti che contrastano con le nostre aspettative).
Il modello della covariazione di Kelley
Gli individui valutano ogni comportamento secondo tre diverse dimensioni per definire le cause
che lo hanno prodotto: la distintività (è un comportamento comune, o straordinario?), la
coerenza (quante altre volte si è manifestato quel comportamento?) ed il consenso (quanti
altri comportamenti simili possiamo trovare?), ognuna delle quali può avere valori alti o bassi;
da ogni possibile combinazione tra alti e bassi livelli di queste tre dimensioni nascono
attribuzioni differenti, che possono coinvolgere principalmente le caratteristiche interne della
persona o la situazione. L’uomo come un essere razionale, una specie di scienziato ingenuo
che esamina le covariazioni tra le dimensioni e ne trae le inferenze più appropriate.
Esempio dell’amico che elogia una trattoria per averci mangiato bene.
Il limite di questa teoria è che non sempre le persone dispongono di tutte le informazioni su
consenso, coerenza e distintività, soprattutto quasi mai si hanno informazioni dettagliate ed
affidabili su cosa pensano le altre persone; inoltre l’esame simultaneo di tutte le dimensioni
richiede l’utilizzo di elevate quantità di risorse cognitive, per cui magari si ricorre a questo
sistema quando si è particolarmente motivati ma non nelle spontanee attribuzioni della vita
quotidiana.
Il modello di Weiner
Questo modello valuta le conseguenze a cui può portare il compiere determinate inferenze;
particolarmente, valuta le spiegazioni che le persone forniscono in casi di successo e di
fallimento, osservando che variando tre specifiche dimensioni varino anche le conseguenze per
la persona che ha avuto successo o ha fallito. Le tre dimensioni critiche sono il locus
dell’attribuzione, interno o esterno, la stabilità dei fattori coinvolti, permanenti nel tempo
o transitori, e la controllabilità o meno di questi fattori da parte della persona coinvolta.
Un’applicazione di questo modello riguarda le strategie di mantenimento dell’autostima: le
persone con una bassa autostima spiegano i propri successi in termini di cause esterne non
controllabili, e i propri insuccessi in termini di cause interne permanenti come capacità limitate
che non permettono il raggiungimento di nessun successo.
Esempio di spiegazione di un risultato positivo a un esame.
Queste strategie attribuzionali diventano un meccanismo attraverso cui gli esiti negativi
vengono usati per confermare l’immagine negativa di sé, e gli esiti positivi non riescono a
scalfirla perché vengono spiegati in base a elementi esterni che non hanno a che fare con le
doti personali.
Facendo in modo che persone con una bassa autostima inizino a considerare anche le cause
esterne che possono aver condotto agli insuccessi, ci si attendono miglioramenti nel modo di
affrontare gli impegni della vita.
Esperimento di Brockner e Guare del “compito impossibile”.
Se il meccanismo delle attribuzioni di successi a cause esterne e degli insuccessi a cause
interne viene spezzato, forzando il ricorso ad attribuzioni di tipo esterno, si riscontra un
miglioramento delle prestazioni: non sono le capacità in assoluto a determinare la qualità delle
prestazioni, ma anche il modo di percepirsi in relazione ad esse e le modalità con cui
interpretiamo i successi o gli insuccessi del nostro passato.
L’errore fondamentale di attribuzione
I dati delle ricerche sperimentali dimostrano che non si ricorre nella stessa misura ad
attribuzioni disposizionali e situazionali, ma la tendenza sistematica è di sottostimare la
misura in cui i comportamenti derivano da cause situazionali e di sovrastimare la misura in
cui tali comportamenti sono il riflesso di caratteristiche interne dell’attore (errore fondamentale
di attribuzione o errore di corrispondenza). Ross: con la simulazione di un gioco a quiz, ha
dimostrato che vengono effettuate inferenze disposizionali ignorando la rilevanza che la
specifica strutturazione della situazione può aver avuto.
Jones e Harris, lettura di un brano e inferenze sulle reali opinioni dell’autore.
Gilbert ha proposto un modello a due fasi per spiegare i processi attribuzionali:
1^ fase: Osservazione dei comportamenti ed inferenza spontanea di caratteristiche
disposizionali, queste inferenze automatiche conducono sistematicamente all’errore
fondamentale di attribuzione.
2^ fase: Processo aggiuntivo di correzione o aggiustamento, che integra anche le informazioni
relative alle influenze situazionali.
La seconda fase non sempre avviene, e non necessariamente riesce a prendere in
considerazione adeguatamente tutte le effettive influenze situazionali, quindi non sempre si
raggiunge un ottimale accomodamento.
La costante ricerca dei presunti elementi disposizionali probabilmente svolge una funzione
adattiva: spiegare i comportamenti passati di una persona (perché ha agito in un certo modo)
può essere utile per prevederne i comportamenti futuri. perciò le attribuzioni disposizionali
racchiudono la maggior capacità informativa: serve capire come una persona si comporterà
sempre, non come si comporterà solo al verificarsi di determinate circostanze.
Le attribuzioni disposizionali consentono di generalizzare le conclusioni a cui si è giunti a
partire dall’osservazione di un singolo comportamento, e benché non sempre si rivelino
corrette, costituiscono delle ipotesi di lavoro, delle aspettative sui probabili comportamenti da
attendersi che permettono di affrontare le interazioni con sufficiente senso di controllo.
La tendenza ad inferire caratteristiche disposizionali dai comportamenti è estremamente forte
nelle culture occidentali (individualiste) mentre si attenua in quelle orientali (collettiviste).
La differenza attore-osservatore nei processi attribuzionali
La tendenza ad inferire attribuzioni interne all’attore piuttosto che esterne non si verifica
quando si tratta di spiegare i propri personali comportamenti. Esperimento Si-No-Dipende dalla
situazione.
Le differenze attore-osservatore possono essere descritte come la tendenza sistematica a
spiegare il comportamento altrui in termini di fattori disposizionali, e il proprio in termini di
influenze situazionali.
Una spiegazione di queste asimmetrie è che l’osservatore indirizza la sua attenzione verso chi
esegue il comportamento, cioè l’attore, che catalizzerà i processi esplicativi dell’osservatore;
contrariamente, l’attenzione dell’attore è ricolta verso l’esterno perché egli non può vedersi
mentre realizza un comportamento, mentre è massimamente attento alle caratteristiche della
situazione e ai feedback ambientali.
Studi di Storms, Taylor e Friske: percezione su un attore prevalente, o possibilità per l’attore
di rivedersi.
Gli elementi che dominano il campo percettivo risultano altamente salienti, pertanto possono
dominare anche il campo psicologico, determinando il modo in cui la realtà viene
soggettivamente interpretata.
Un altro motivo sottostante alle asimmetrie tra attore e osservatore riguarda le conoscenze
pregresse possedute dalle due figure. L’attore nel compiere le proprie attribuzioni può basarsi
su uno spettro di informazioni più ampio, e sapere che certe inferenze disposizionali non
risultano valide e applicabili, perché al variare delle situazioni variano anche i suoi
comportamenti; cosa che l’osservatore, che vede l’attore solo in una certa situazione, non può
sapere.
Quanto sono accurate le attribuzioni formulate e le impressioni che ne derivano?
Il modo in cui una persona percepisce se stessa differisce da come gli altri la percepiscono; la
prima impressione cattura alcuni elementi ma il grado di imprecisione è elevato; ciò
nonostante le persone ne sovrastimano l’accuratezza. La qualità delle impressioni si perfeziona
con l’aumentare della conoscenza diretta: gli amici intimi hanno rappresentazioni più articolate
e precise, ma comunque la autopercezione e la percezione degli amici rimane differente.
Infine, ci sono anche ragioni motivazionali per cui si riscontrano differenze sostanziali tra le
attribuzioni degli attori e degli osservatori. Queste ragioni si evidenziano quando i
comportamenti sono marcatamente positivi o negativi: se sono positivi anche l’attore tende a
ricondurli a stabili caratteristiche interne (attribuzioni a proprio favore), perché questo
consente di raggiungere o mantenere una positiva immagine di sé. Esempio degli alunni e degli
insegnanti: se gli alunni sono bravi è merito degli insegnanti, altrimenti è colpa degli alunni.
Comprendere gli altri attraverso il comportamento non verbale
Il comportamento non verbale è un segnale attraverso cui possiamo inferire le qualità
personali dell’interlocutore e cosa pensa di noi, secondo i codici particolari previsti da ogni
diversa cultura (ad esempio, il contatto fisico in alcune culture è gradito, in altre per nulla) e a
seconda dei contesti in cui si realizza e delle modalità specifiche con cui viene eseguito.
Attraverso il comportamento non verbale si possono inviare messaggi, ma bisogna prestare la
massima attenzione nell’eseguire tale comportamento per trasmettere il messaggio desiderato
e non il suo opposto (es. contatto oculare). Il comportamento non verbale inoltre è un
importante segnale del ruolo sociale degli attori coinvolti per le maggiori libertà consentite a
chi ha lo status sociale maggiore.
Le donne sembrano più abili nel decodificare i comportamenti non verbali, nel cogliere le
sfumature e nel comprendere i segnali non verbali: secondo alcuni questa asimmetria ha una
causa evoluzionistica (accudimento della prole), secondo altri (Eagly, teoria del ruolo sociale)
dipende dal fatto che le donne hanno rispetto agli uomini più ruoli di servizio agli altri
(casalinga, commessa, infermiera) e la lettura rapida e precisa dei segnali non verbali aiuta a
svolgerli con efficacia; inoltre le persone con uno status sociale più basso devono sviluppare
una maggiore sensibilità nel comprendere gli stati interni, gli umori e i desideri di coloro che si
collocano più in alto nella scala sociale, e le donne sono state a lungo in una posizione
subordinata rispetto agli uomini .
I messaggi non verbali sono prevalentemente non consapevoli e spontanei, ma talvolta si
cerca di controllarli per gestire in maniera strategica il rapporto con gli altri (fare buona
impressione, o mentire).
Controllare tutti i comportamenti non verbali risulta praticamente impossibile, tant’è che i
comportamenti non verbali sono degli ottimi indicatori per individuare chi sta mentendo:
mentire richiede un grande dispendio di energie cognitive per controllare consapevolmente il
proprio comportamento verbale (evitare di contraddirsi o di fornire informazioni rivelatrici della
verità), il che si traduce in una diminuzione del controllo del comportamento verbale, che
diventa quindi massimamente rivelatore.
La formazione di impressioni: due modelli a confronto
Il formarsi di un’impressione è un modello sequenziale dato dall’acquisizione e dall’accumulo
progressivo di informazioni.
Modello algebrico
(Anderson)
Modello
configurazionale
(Asch), nato
all’interno della
Psicologia della
Gestalt.
I dati in ingresso hanno la priorità assoluta.
Se una persona è considerata intelligente e fredda, si recupera la
valenza di ognuno dei singoli tratti e si calcola la media algebrica
dei singoli valori; il risultato finale costituisce il valore globale della
persona.
In questa prospettiva, la valutazione del tratto “intelligente” è la
stessa a prescindere da quali altri attributi costituiscono la
persona.
Le operazioni mentali eseguite sui dati in ingresso hanno la
priorità assoluta; ogni singolo tratto non va interpretato solo per il
suo significato, ma in relazione alle altre informazioni presenti.
Così il tratto “intelligente” se associato al tratto “freddo” produce
l’impressione di una persona calcolatrice, se associato al tratto
“caldo” quella di una persona saggia.
Inoltre alcuni tratti centrali, più generali e vaghi (es.:
freddo/caldo), hanno una particolare influenza nel modificare il
significato degli altri attributi che si accompagnano ad essi.
Effetti dell’ordine con cui le informazioni vengono acquisite.
Effetto di priorità: le prime informazioni che riceviamo hanno il
massimo impatto sulle impressioni che ci formiamo, perché creano
lo sfondo interpretativo in base al quale si attribuisce significato
alle successive informazioni, quindi hanno maggio peso
nell’interpretazione finale; inoltre le prime informazioni vengono
ricordate meglio. Gli effetti di priorità si realizzano non solo nella
percezione di caratteristiche di personalità, ma rispetto alle
competenze percepite.
Il modello algebrico difficilmente riesce a rendere conto degli effetti d’ordine e degli effetti di
priorità se non introducendo complessi corollari; pertanto attualmente il modello
configurazionale gode di maggior credito anche se l’adozione congiunta di entrambi i modelli
può aumentare le capacità di prevedere l’impressione finale del soggetto percepente.
Le prime impressioni sono dure a morire: l’effetto persistenza
I passaggi iniziali nel processo di formazione delle impressioni sono fondamentali per dare una
fisionomia precisa all’impressione che si va formando: gli effetti di priorità rispecchiano la
resistenza al cambiamento del sistema cognitivo.
Studio di Ross, Lepper e Hubbard: ai partecipanti venivano fatte eseguire una serie di prove
cui seguivano dei feedback positivi o negativi attribuiti in maniera casuale. Dopo aver rivelato
che i feedback non fornivano informazioni sulla reale prestazione nel corso della prova veniva
loro chiesto di autovalutarsi: pur sapendo che i feedback erano completamente falsi i
partecipanti che durante la prova si erano formati l’impressione di essere scarsamente capaci
continuarono a ritenere di essere poco abili.
Modificare le proprie impressioni è un processo assai difficile, e anche di fronte ad elementi che
ne indichino chiaramente l’infondatezza si è comunque alquanto restii ad abbandonarle.
Le teorie implicite di personalità e l’aspetto fisico
Le impressioni sugli altri vengono arricchite aggiungendo anche elementi di cui non siamo
venuti direttamente a conoscenza, ma che si presume ben si accordino con i dati disponibili
(sincero, quindi anche generoso e gioviale).
Le teorie implicite di personalità sono teorie ingenue costruite nel corso dell’esperienza che
racchiudono le credenze su quali tratti di personalità si accordino tra loro e quali invece si
combinino male: costituiscono delle mappe di riferimento che arricchiscono le nostre
impressioni rendendole più articolate con un minimo sforzo, risparmiando le limitate risorse
cognitive che sarebbero necessarie per cercare ulteriori informazioni nell’ambiente, anche se
ovviamente le inferenze così prodotte non sempre si rivelano accurate.
Similmente, anche l’aspetto fisico viene utilizzato come un indicatore delle caratteristiche di
personalità, attraverso teorie ingenue su quali tratti di personalità si accordino a quali
caratteristiche fisiche (bello, quindi anche simpatico e socievole; occhi grandi e mento piccolo,
quindi onesto, ingenuo, incerto).
Quindi a partire da informazioni limitate si colmano i vuoti di conoscenza ricorrendo alle proprie
teorie ingenue, che prevedono co-occorrenze sistematiche tra diversi tratti di personalità o tra
tratti di personalità e aspetto fisico.
Alla ricerca di informazioni: il desiderio di confermare le proprie ipotesi
Nel formarsi un’impressione, si ricercano attivamente le informazioni che potrebbero essere
utili per i nostri obiettivi. Si può procedere sia cercando conferme alle nostre ipotesi iniziali sia
cercando evidenze empiriche che le smentiscano.
Snyder e Swann: esperimento di indagine su introversione/estroversione.
Hanno dimostrato che la ricerca di informazioni veniva svolta cercando conferma delle
proprie ipotesi iniziali, contrariamente ai principi della ricerca scientifica secondo cui
occorrerebbe procedere secondo strategie di disconferma piuttosto che di conferma.
Si va alla ricerca in modo selettivo di ciò che può confermare le nostre credenze e aspettative,
anche quando non ci sono motivi ragionevoli di ritenere che tali credenze e aspettative siano
valide.
Le profezie che si autoavverano
Le persone interagiscono a livello sociale con un bagaglio di ipotesi e aspettative
sull’interlocutore e con strategie di scoperta mirate a confermare le proprie ipotesi.
Ma le ipotesi di partenza possono avere effetti ancora più sottili, andando a modificare la realtà
percepita.
Rosenthal e Jacobson: vollero verificare come le aspettative degli insegnanti incidano
concretamente sullo sviluppo delle capacità degli studenti.
Somministrarono dei test d’intelligenza e segnalarono agli insegnanti alcuni studenti come
particolarmente brillanti, mentre in realtà erano stati selezionati a caso e non avevano alcuna
dote in più rispetto ai compagni. Durante l’anno gli studiosi monitorarono le interazioni interne
alla classe, e a fine anno somministrarono nuovamente dei test d’intelligenza: gli studenti
etichettati inizialmente come particolarmente dotati, alla fine dell’anno ebbero effettivamente i
punteggi più elevati; la profezia iniziale si era tradotta in una modifica delle prestazioni degli
studenti.
Gli insegnanti riferirono di non aver avvantaggiato quegli studenti, ma l’analisi dei dati
evidenziò che dedicavano loro maggiore attenzione, li incoraggiavano creando un clima
emotivo favorevole, davano loro i compiti più stimolanti, fornendo feedback più articolati
rispetto agli altri.
In sostanza, a causa delle aspettative indotte dagli sperimentatori gli insegnanti adottarono
comportamenti selettivamente più favorevoli verso gli studenti sui quali nutrivano aspettative
positive, incrementando così le capacità e le prestazioni di quei privilegiati.
Un’aspettativa di simpatia sollecita nell’interlocutore un comportamento cordiale e amichevole,
un’aspettativa di antipatia innesca un iniziale comportamento diffidente e di distanza che
induce l’interlocutore a porsi sulla stessa linea di condotta.
E’ un processo dinamico: le aspettative di un individuo predispongono comportamenti coerenti
con le aspettative stesse, e gli specifici comportamenti eseguiti producono risposte appropriate
nell’interlocutore, che a loro volta confermano l’ipotesi di partenza con cui l’interazione aveva
avuto inizio.
Una lettiga non diventa una macchina sportiva se penso che lo sia, ma una persona può
diventare amichevole e socievole semplicemente perché io sono convinto che sia così e mi
comporto come se lo fosse.
In molte occasioni è inappropriato credere che una persona possegga una certa serie di stabili
caratteristiche di personalità o di abilità, perché siamo almeno in parte artefici del modo in cui
si comporta in nostra presenza.
Il ruolo della similarità percepita nella formazione di impressioni e nel giudizio
sociale
Un elemento fondamentale per la qualità delle impressioni è la similarità percepita con la
persona su cui ci stiamo formando un’impressione: tutti gli indicatori che segnalano elementi
comuni e condivisi predispongono in modo positivo nei confronti di quella persona.
Byrne e Nelson hanno dimostrato che all’aumentare del numero di atteggiamenti condivisi, i
giudizi di piacevolezza e il gradi di attrazione reciproca crescono in modo lineare: sembra
esserci una relazione di proporzionalità diretta tra similarità percepita e giudizi di piacevolezza.
Nello sviluppo dei legami di amicizia appare molto importante non solo avere valori e
atteggiamenti simili, ma anche trovarsi d’accordo nel giudicare le altre persone: la similarità di
vedute nel modo di valutare gli altri è un potente collante nei rapporti di amicizia ed è forse un
elemento indispensabile per la loro nascita e continuità nel tempo; anche nelle relazioni di
coppia, la similarità influisce sulla probabilità di formazione della relazione intima e sulla
stabilità del rapporto.
La similarità percepita non si basa solo sugli atteggiamenti verbali o sulle caratteristiche sociodemografiche, ma anche su indicatori più sottili come i comportamenti non verbali.
Effetto camaleonte: le persone tendono in modo spontaneo e non intenzionale ad imitare i
comportamenti non verbali degli interlocutori (postura, gesti, inflessioni del linguaggio), il che
può costituire un’efficace strategia per rendere più fluide e gradevoli le interazioni, con
soddisfazione reciproca di tutte le persone coinvolte. Talvolta l’effetto camaleonte può essere
usato intenzionalmente per suscitare una buona impressione nell’interlocutore.
La previsione degli atteggiamenti e dei comportamenti altrui:
l’effetto del falso consenso
Effetto del falso consenso: la tendenza a sovrastimare la misura in cui i propri
comportamenti, credenze ed atteggiamenti sono diffusi nella popolazione e condivisi dalle altre
persone. E’ un’euristica di giudizio in cui in situazioni d’incertezza si utilizzano le proprie
opinioni personali per prevedere quelle altrui.
Ross e collaboratori hanno dimostrato questo effetto chiedendo ad una serie di persone di
formulare dei giudizi, e di seguito chiedendo di indicare quale potrebbe essere la risposta
fornita da altre persone (esempio dell’uomo sandwich).
In situazioni di incertezza, le persone utilizzano le proprie opinioni personali proiettandole negli
altri, ma la spiegazione di questo fenomeno è ancora controversa.
Da un lato, condividiamo il nostro tempo e le nostre esperienze con persone simili a noi, con
un’immagine del mondo simile alla nostra (esposizione selettiva) e questo può condurre a
sovrastimare la diffusione dei nostri atteggiamenti e visione del mondo.
Dall’altro, ritenere che molti la pensino come noi può rivelarsi rassicurante e confermarci la
bontà e l’accuratezza delle nostre idee.
Infine, il pensiero è egocentrico e i propri comportamenti e credenze possono essere
soggettivamente ritenuti più veri e corretti semplicemente per il fatto stesso di appartenerci:
pertanto si è indotti a ritener che le altre persone non possano far altro che condividerli e
accettarli.
Crearsi illusioni circa i gruppi: la correlazione illusoria
Correlazione illusoria: la tendenza a ritenere che due eventi siano tra loro associati anche
quando nella realtà una simile associazione non è presente.
Hamilton e Gifford: dati due gruppi e una serie di comportamenti positivi o negativi compiuti
dai membri del gruppo, con lo stesso rapporto di comportamenti positivi e negativi all’interno
del gruppo(es. 2/3 – 1/3), il gruppo con il minor numero di membri veniva percepito come
maggiormente correlato a comportamenti negativi, anche se il rapporto tra comportamenti
positivi e negativi era lo stesso.
Il principio sottostante alla correlazione illusoria prevede che quando si verificano
simultaneamente due eventi infrequenti, questa co-occorrenza viene subito notata e rimane
ben impressa: quindi gli episodi con la combinazione di due elementi infrequenti risultano
meglio codificati e sono in seguito maggiormente accessibili.
I gruppi minoritari (es. immigrati) tendono in virtù della correlazione illusoria ad essere
associati a comportamenti negativi (infrequenti, e pertanto salienti) più di quanto
consentirebbero i dati.
FORMAZIONE DELLA REPUTAZIONE
Emler: reputazione = giudizio formulato da una comunità su un individuo che generalmente
appartiene alla comunità stessa. Reputazione su qualità umane difficilmente osservabili e su
caratteristiche relativamente rare. Lo scopo della reputazione è quello di assicurare scambi
cooperativi e aspettative comportamentali altrui.
Il mostrare una reputazione personale positiva dà credito morale e promuove
autocontrollo.
Teorici dell’etichettamento
Becker se reputazione è negativa diventa una forma di etichettamento morale dalla comunità
che ne fa un circolo vizioso ≠
Emler e Reicher: reputazione come presentazione del sé e considerano maggiormente
possibilità di intervenire consapevolmente nella propria reputazione.
LE EURISTICHE NEL GIUDIZIO SOCIALE
Euristiche: scorciatoie di pensiero attraverso le quali si cerca di formulare giudizi a partire da
informazioni limitate.
L’euristica della disponibilità
Si basa sul recupero dalla memoria di specifici esempi in assenza di informazioni definite su
un argomento: poiché dipende dall’accessibilità delle informazioni in memoria, tutti gli esempi
vividi e salienti sono più facili da recuperare, e di conseguenza i relativi giudizi di probabilità
possono risultare distorti.
Es: studenti lavoratori, politico che stima i voti ottenibili dalle presenze ai comizi, cause di
morte violenta o per malattia, lavori domestici per lui e per lei. L’euristica della disponibilità
può essere usata anche come strumento per il cambiamento personale: chiedere alle persone
di immaginarsi in situazioni future può facilitare la percezione che una simile situazione futura
sia realizzabile, e aumentare quindi l’impegno in quella direzione.
L’euristica della rappresentatività
L’emissione di un giudizio probabilistico in situazioni di incertezza, cioè senza informazioni
esaustive e altamente diagnostiche, privilegia la somiglianza con un caso tipico piuttosto
che la probabilità di base, cioè il fatto che nell’insieme generale alcuni eventi sono più probabili
di altri.
Es. descrizione di personalità/bibliotecario/impiegato.
C’è una sistematica non considerazione delle probabilità di base, e l’elemento chiave che attrae
l’attenzione e guida i giudizi è semplicemente la somiglianza con il caso tipico, senza
considerare quanto sia effettivamente diffuso.
Errore di congiunzione: la congiunzione di due eventi non può essere più probabile di ciascuno
dei due preso singolarmente.
L’euristica dell’ancoraggio e dell’accomodamento
Nasce dalla scarsa capacità delle persone di liberarsi delle ancore di giudizio che vengono
fornite loro: dato un punto di riferimento predefinito rispetto al quale valutare la propria
posizione, e poi con successivi aggiustamenti (accomodamenti) raggiungere una decisione
finale, è dimostrato che il punto di riferimento iniziale influenza notevolmente le caratteristiche
del giudizio finale che viene prodotto.
Gli effetti di ancoraggio sono stati riscontrati in svariati ambiti di giudizi, e il fenomeno è
difficilmente eliminabile, anche in presenza di ricompense economiche.
Esempi: la percentuali di paesi africani delle nazioni unite, i verdetti emessi dalle giurie a
seconda che subito prima si sia preso come riferimento il massimo o il minimo della pena.
L’euristica della simulazione: il pensiero controfattuale
Pensiero controfattuale: l’insieme delle riflessioni su come la vita avrebbe potuto essere se
certi eventi non si fossero verificati, se certe decisioni non fossero state prese, eccetera;
attraverso l’immaginazione il passato viene “smontato” e il futuro ricostruito in un modo che si
sarebbe potuto realizzare, ma non è stato.
Queste operazioni di simulazione mentale possono influenzare in maniera sostanziale il modo
di interpretare gli eventi e le nostre risposte emozionali ad essi, e la facilità con cui degli esiti
alternativi sono immaginabili da parte dell’individuo rende più estreme le reazioni affettive
provate.
Questi fenomeni non si realizzano solo ripensando al passato ma anche immaginando il futuro,
in cui ci si immagina come ci si sentirà qualora prendessimo una decisione e gli eventi
successivi ci dessero torto.
Esempi: aereo perso per pochi minuti, secondi classificati alle olimpiadi, rivendere la schedina.
ATTEGGIAMENTI
Le rappresentazioni del mondo sociale da parte degli uomini constano anche di un aspetto
valutativo, non solo conoscitivo. I primi due che parlarono di atteggiamenti furono Thomas e
Znaniecki, due sociologi. A partire dagli anni Venti del secolo scorso si profilò l’idea di
scorgere negli atteggiamenti degli antecedenti del comportamento.
Allport: stato mentale e neurologico di prontezza organizzata attraverso l’esperienza che
esercita un’influenza direttiva e dinamica sulla risposta dell’individuo.
Rosenberg e Hovland: modello tripartito, perché l’atteggiamento è un costrutto psicologico
costituito da tre componenti: cognitiva, affettiva e comportamentale.
Social cognition: atteggiamento come struttura cognitiva costituita dall’associazione in
memoria fra rappresentazione dell’oggetto e la sua valutazione (accessibilità).
Sono tre le modalità di formazione degli atteggiamenti: esperienza diretta, osservazione
esperienza altrui e comunicazione(ricordo di un’ opinione già sentita).
EFFETTO DI MERA ESPOSIZIONE: all’aumentare della frequenza di esposizione ad uno
stimolo nuovo corrisponde la formazione di un atteggiamento positivo nei confronti dello
stimolo.
Come si misurano gli atteggiamenti?
Misure dirette:
- Prime scale (Thurstone, Chave e Guttman) con item da includere nella composizione
finale della scala
- Scala di Likert /differenziale semantico: scelta di un punteggio classificatorio
Likert: item che ricoprono l’area semantica dell’oggetto e si va da un massimo di accordo ad
un massimo di disaccordo ≠ Differenziale semantico: insieme di coppie di aggettivi
bipolari separati da alcuni spazi che stanno per le graduazioni.
Queste scale servono per una misurazione diretta degli atteggiamenti, ma esistono anche
Modalità indirette:
misurazione elettrogalvanica della pelle, reazioni fisiologiche di altro tipo, misurazione dei
tempi di reazione,…).
Non sempre l’atteggiamento è indicatore e predittivo del comportamento.
Teoria dell’azione ragionata: non solo l’atteggiamento, ma anche fattori situazionali e
contingenti portano al comportamento (Fishbein e Ajzen).
Però questa teoria si è rivelata molto suscettibile a critiche, perché non si può parlare di
controllabilità
Fazio: se l’associazione tra rappresentazione dell’oggetto e sua valutazione è
particolarmente forte, l’attivazione automatica guida il modo in cui l’individuo definisce la
situazione in cui egli si trova. Se l’associazione è molto debole o nulla l’ individuo si impegnerà
nel processo dell’azione ragionata. La forza dell'atteggiamento è data dalla coerenza intraattitudinale (affettiva-cognitiva-comportamentale) e inter-attitudinale (coerenza tra
atteggiamenti collegati)
CONSERVATORISMO COGNITIVO: tendenza a porre maggiore attenzione alle informazioni
coerenti con le sue credenze e valutazioni piuttosto con le incoerenti.
Come cambiano gli atteggiamenti nel corso del tempo?
- mera esposizione ripetuta allo stimolo con sorgere di un atteggiamento positivo
- teoria della dissonanza cognitiva (Festinger): ridurre la dissonanza modificando l’ elemento
dissonante meno resistente al cambiamento. (Ex. Festinger e Carlsmith con i soldi,
cambiamento risulta massimo quando la ricompensa esterna è appena sufficiente per ottenere
la condiscendenza all’attuazione del comportamento controattitudinale
- sentimento di libera scelta: (Hovland ) studio dell’esposizione a messaggi persuasivi,
valutando la fonte, il messaggio ed il ricevente. Assumendo un impegno minimo, poi per
eliminare la dissonanza (ho fatto entrare il venditore ma il prodotto non mi interessa) cambio
atteggiamento e compro il prodotto
Due modelli (detti a due percorsi):


Probabilità di elaborazione (Petty e Cacioppo)
Modello euristico -sistematico ( Eagly e Chaiken).
Probabilità di elaborazione:percorso centrale (poggia sulle argomentazioni e sulle
informazioni del messaggio persuasivo, qualità dei contenuti) e percorso periferico ( poggia
sulle modalità utilizzate per la presentazione del messaggio, indici periferici – tutto il pacchetto
informativo no contenuti).
I due processi possono essere presentati come i due estremi di un continuum di elaborazione.
O si usa uno o si usa l'altro (esperimento studenti con un esame in più)
I cambiamenti derivanti dal percorso centrale sono più duraturi ed inattaccabili rispetto a quelli
del processo periferico. Motivazione e abilità x la scelta.
Modello Euristico – Sistematico:
 processo sistematico: elaborazione approfondita di contenuti informativi del
messaggio (come “centrale”)
 processo euristico: raggiungimento di un opinione attraverso l’applicazione di una
euristica (strategia di risparmio cognitivo) (come “periferico”).
Cosa permette la scelta? Motivazione e capacità cognitive.
In questo metodo, a differenza di quello della probabilità di elaborazione, i due processi non si
escludono.
Kruglanski interpreta il cambiamento degli atteggiamenti in termini unimodali (verifica
ipotesi e inferenze a partire da informazioni ritenute rilevanti). Non ha senso per lui parlare di
modelli a due vie, perché la variabile è solo l’estensione del processo stesso.
 Abilità cognitiva come aspetti di software (premessa maggiore del sillogismo)
 Energia cognitiva disponibile come aspetti di hardware; solo questi ultimi influenzano il
processo di elaborazione perché software come accessibilità è sempre necessario.
Capitolo 3
LE RAPPRESENTAZIONI SOCIALI
Il tramonto del paradigma teorico del comportamentismo e crisi del paradigma cognitivo della
ricerca di coerenza portò allo sviluppo in America della social cognition ed in Europa allo studio
delle rappresentazioni sociali.
Tajfel, riprendendo Lewin, Asch e Sherif sosteneva che era doveroso superare la dicotomia
fra analisi centrale dell’individuo ed analisi centrale della società. Come? La ps. sociale deve
studiare di più la produzione di legami sociali →scienza adatta ad occuparsi dei fenomeni della
comunicazione (cognizione) e dell’ideologia (rappresentazioni sociali).
Serge Moscovici dava avvio ad un filone della ps. sociale nuovo, connotato in modo cognitivo
soprattutto. Egli prese il termine “rappresentazione” mutuato dal sociologo Durkheim che
distingueva le rappresentazioni individuali e collettive.
Rappresentazioni collettive di Durkheim: ogni idea, emozione o credenza espressa dalla
comunità. Sono entità statiche. ≠
Rappresentazioni sociali di Moscovici: sono un modo specifico di esprimere la conoscenza
in una società e sono entità dinamiche, perché in una società aperta e pluralista gli universi
simbolici sono molteplici.
RAPPRESENTAZIONI SOCIALI: elaborazione di un oggetto sociale da parte di una comunità che
permette ai suoi membri di comportarsi e comunicare in modo comprensibile. Sistemi cognitivi
con logica e linguaggio proprio.
Moscovici coglieva come la psicoanalisi era entrata nella società francese negli anni Cinquanta
(cioè come viene resa pubblica una teoria e metabolizzata dalla società).
Processi generativi della rappresentazione sociale: ANCORAGGIO (inserimento di un oggetto
sconosciuto in un quadro di riferimento ben noto per poterlo interpretare) ed
OGGETTIVAZIONE ( immagine figurata di una realtà non conosciuta).
Oggettivazione della psicoanalisi:
passaggio dalla teoria alla sua immagine, decontestualizzazione di tali informazioni,
riorganizzazione libera in una elaborazione specifica.
La naturalizzazione in Moscovici è il processo attraverso cui i concetti diventano “categorie
sociali sicure, idonee ad ordinare gli avvenimenti concreti” (dall’astratto al concreto).
La personificazione è l’associazione di teorie scientifiche, idee legate ad un periodo storico di
spicco a una persona particolare (psicoanalisi = Freud; nazismo = Hitler).
La figurazione è il processo attraverso cui il senso comune sostituisce metafore ed
immagini a nozioni complesse.
Le rappresentazioni sociali sono trasformabili, utilizzabili per dare senso comune a fenomeni
della realtà.
Quale significato? Ripresenta la pretesa sempre tentatrice di risolvere con formule chiare e
distinte problemi profondi. Comunicazione di ogni fenomeno sociale si diffonde rapidamente e
raggiunge la popolazione. Che le rappresentazioni sociali servano a rispondere alla
frammentarietà della vita è risaputo, ma perché?
Tre ipotesi sono state avanzate:
ipotesi dell’interesse (conciliare gli obiettivi contrapposti di due gruppi sociali)
ipotesi dell’equilibrio (mezzi per risolvere tensioni psichiche o emotive dovute all’insuccesso
o alla mancanza di integrazione sociale)
ipotesi del controllo (filtri nei confronti delle informazioni che giungono dall’ambiente esterno
per controllare la lealtà di ognuno).
Però queste ipotesi sembrano troppo generali e non spiegano perché tali funzioni debbano
essere assicurate da un modo condiviso di pensare.
Occorre superare la concezione meccanicistica del controllo sociale.
Funzione di tutte le rappresentazioni sociali è rendere familiare quanto è estraneo. È in
grado di trasferire il non familiare dal “fuori” al “dentro”, da distante a prossimo.
Rappr. sociali → è necessario collegare le loro caratteristiche ai rapporti sociali tra individui e
gruppi.
DIFFUSIONE→ atteggiamento della stampa a grande diffusione. Messaggio inalterato rispetto
a come avuto dagli specialisti
PROPAGAZIONE→atteggiamento della stampa cattolica. Adattare il sapere psicoanalitico ai
principi religiosi (posizione consapevolmente interessata e critica); atteggiamenti
PROPAGANDA→atteggiamento della stampa militante comunista. Pseudoscienza importata in
Francia dagli Usa per propagare un’ideologia mistificatrice. Presa di posizione nettamente
contraria, in quanto espressione della scienza borghese. Stereotipi
Proposta: sollecita uno sforzo per costruire una sintesi fra prese di posizione diverse,
conciliabili in una visione sovraordinata delle loro funzioni.
Due prospettive:
conoscenza oggettivata e condivisa ≠ come gli attori fanno la realtà
Scuola di Aix en Provence: rappresentazioni sociali come insiemi organizzati e
gerarchici di giudizi; atteggiamenti ed informazioni che un dato gruppo elabora.
Si occupano della struttura delle rappresentazioni sociali.
È di derivazione moscoviciniana e ha un nucleo centrale che ne dà significato ed
organizzazione.
Il nucleo comprende una
 funzione stabilizzatrice (coerenza e stabilità)
 funzione generatrice (assicura il significato degli elementi)
 funzione organizzatrice (organizza il legame tra gli elementi della rappresentazione)
Elementi del nucleo:
 salienza quantitativa (maggior grado di accordo)
 necessità qualitativa (elementi senza i quali cambia la natura della rappr.).
Il nucleo centrale non è negoziabile, mentre la parte periferica è variabile, garantendo
flessibilità.
Nelle rappr. sociali vi sono
aspetti normativi con valori di riferimento ed
aspetti funzionali sul come si fa.
Come si distingue il nucleo centrale dal periferico?
- METODO DEL RIFIUTO (Flament): immaginare ogg. della rappr. sociale senza una
caratteristica particolare . La presenza/assenza ci dice se è indice centrale.
- METODO DELLO SCENARIO AMBIGUO (Abric e Tafani): si scrivono tutte le opinioni
possibili su un tema, poi si compie una descrizione vaga e se l’oggetto da questa descrizione
ambigua è riconosciuto, allora è elemento centrale.
- METODO DELLA MESSA IN DISCUSSIONE: (Moliner) se si pone una domanda in forma
affermativa, si ottengono risposte salienti e socialmente desiderabili.
Scuola di Ginevra: orientamento di ricerca sulle rappr. sociali in senso sociodinamico,
abbozzato da Mugny e Carugati e ripreso da Doise e Lorenzo-Cioldi
La rappr. sociale sull’intelligenza ha dimostrato come gli adulti la considerino: o una serie di
capacità o teoria del dono con diseguale distribuzione. Come misurarla? Con apprendimento
delle regole sociali, successo scolastico in materie forti,…
Per la scuola di Ginevra le rappr. sociali sono architetture di cognizioni (strutture complesse
di cognizioni dotate di significato e costruite socialmente).
Prospettiva sociodinamica → rapporto tra sistemi e metasistemi nel funzionamento
cognitivo.
Il metasistema è la regolazione sociale della normativa che controlla, verifica e dirige le
operazioni cognitive.
- principi organizzatori delle relazioni simboliche (individuazione delle dimensioni che
costituiscono l’organizzazione cognitiva) → rappr.sociali
- differenze nelle prese di posizione individuali nell’ambito della conoscenza condivisa
- differenze tra prese di posizione individuali siano ancorate all’appartenenza a gruppi ed alle
realtà simboliche che questi elaborano.
Oggettivazione rende più immediatamente comprensibili concetti astratti; ma non è possibile
parlare soltanto di essa (Doise distingue ancoraggi psicologici, sociologici e socio- psicologici).
Capitolo 4
IL SÈ E L’ IDENTITÁ
Attore sociale: protagonista che vive ed opera in momento dato nella realtà fisica, sociale
psicologica, culturale. Individuo in grado di conoscere, ma anche di riflettere su se stesso e di
prendere l'iniziativa in un contesto.
Caratteristiche dell'attore sociale
 Soggettività (Io e Sè)
 Dimensione riflessiva (riflettere su sé stessi)
Nozioni di Io e Sé
Rappresentazione della propria soggettività e delle risposte alle proprie azioni: Io e Sè
William James:
nel 1890 introduce nozione di sé.
Poiché il pensiero é mobile e proiettato sul mondo esterno ma sempre appartenente alla
coscienza di qualcuno, il Sé deve essere considerato il dato immediato della psicologia, anche
più del pensiero stesso.
Sé si divide in due componenti:
Io = componente che continuamente interpreta e organizza il contatto con la realtà
(SOGGETTO)
Me =quanto del sé è conosciuto dall’Io. Aspetto oggettivo ed empirico del Sé (modo in cui mi
vedo). Contiene le qualità reali che definiscono il Sé conosciuto: caratteristiche materiali (Me
materiale), spirituali (Me spirituale) e sociali (Me sociale) (COMPLEMENTO OGGETTO)
Struttura gerarchica del Me (dall'alto al basso): Me spirituale – vari Me materiali
extracorporei e sociali, Me corporeo. E' una struttura rigida, non c'è variazione tra individui.
Io e contatto con la realtà avviene in tre modalità:
1) Continuità (esperienza di continuità dell'Io = sentimento di identità)
2) Distinzione (esperienza di distinzione = sentimento di di individualità)
3) Volizione (esperienza di volizione = sentimento di partecipare attivamente alla propria
esperienza)
Le relazioni sociali hanno un ruolo importantissimo nella definizione del sé
L'Io non può essere osservato o analizzato in quanto fenomeno soggettivo.
Sé rispecchiato (looking glass Self)
Cooley, 1908:
Soltanto attraverso l'interazione sociale l'individuo sviluppa la conoscenza di sè e il sentimento
della propria identità. Esprime tutto ciò attraverso il concetto di Sé rispecchiato:
comprendere ciò che siamo, osservando il modo in cui gli altri ci percepiscono.
Origine della consapevolezza di sé: il riflesso di noi che vediamo negli altri.
(Comunque anche James aveva detto che il Me sociale è percepito dal soggetto in riferimento
alle opinioni delle persone significative)
G.H. Mead, 1934:
Riprende discorso di matrice sociale dello sviluppo del Sé e la a distinzione operata da James
tra Io e Me. Vuole descrivere processo di formazione della capacità di conoscere il Sé.
Per Mead il Sé è NON esiste alla nascita; può emergere solo a due condizioni:
1) capacità di produrre e rispondere a simboli
2) capacità di assumere atteggiamenti degli altri
Il Sé si sviluppa con il linguaggio che permette di dare un nome agli oggetti del proprio
ambiente e quindi anche a Sé, che può essere così definito e differenziato come oggetto fra gli
altri.
Maturazione biologica del SN = si diventa individuo dotato di mente e di sé, attraverso il
linguaggio.
Linguaggio = strumento per partecipare ad atto sociale. Inoltre attraverso l'uso dei pronomi
(io, me, il mio...) è in grado di differenziare il Sé come uno degli oggetti del proprio mondo.
Prima vi è una conversazione gestuale (“conversazione di gesti”), poi il linguaggio simbolico.
La mente è sociale: il bambino inferisce che tipo di oggetto egli è attraverso l'osservazione dei
comportamenti altrui. Cioè il Sé si costruisce nella capacità dell'individuo di assumere ruoli
altrui e prospettive diverse.
Questa costruzione sociale avviene in due stadi successivi:
1) per gioco semplice – play: assumere ruoli delle persone che fanno parte della sua
vita: mamma, maestra, postino...diventa oggetto a se stesso osservandosi dal ruolo
che sta prendendo nel gioco; situazione non ancora interiorizzata, costruzione di sé
parziali, non ancora consapevolezza di un insieme organico
2) per gioco organizzato – game: sa assumere in contemporanea i ruoli degli altri
implicati nell’attività comune.
Differenza tra i due stadi: nel gioco semplice assume i ruoli uno dopo l'altro, nel gioco
organizzato li sa assumere tutti contemporaneamente, e si costituisce l'Altro Generalizzato.
Altro Generalizzato: è la comunità (o il gruppo sociale) che, in quanto percepiti dal soggetto,
gli permettono di costruire l’unità del proprio Sé.
Atto di assunzione di ruoli nella sua universalità = costituzione dell'Altro Generalizzato.
Universalità = oggettività, cioè il mondo ha la stessa apparenza anche per gli altri, l'esperienza
è condivisa con altri.
Gli atteggiamenti degli altri organizzati e trasportati nel sé costituiscono il Me:
Me = riflette la società e le sue aspettative
Io = parte non socialmente determinata che può agire sulla struttura sociale.
Interazione Io + Me = Sé (trasposizione di processi che collegano una persona alle altre).
L’interazione fra l’Io e il Me (riflesso della società) produce il Sé in quanto non potrebbe
esistere un’esperienza di sé semplicemente fornita da se stesso, quindi implica sempre la
presenza di un altro.
Possibile cogliere empiricamente sia Me che Io focalizzandosi sulla comprensione che ogni
individuo ne ha.
Confronto tra impostazioni teoriche:
James e Mead: rapporto dialettico tra Io e Me all'interno del Sè
Asch e le teorie gestaltiste: Sé come Io fenomenico da distinguere dall’Io transfenomenico
L’Io e il Sé nella prospettiva gestaltista
Ash: (impostazione interazionista)
Io = parte dell'organizzazione della persona che rappresenta l'organismo. Sistema unitario
(organismo + mente). Dati che appartengono all'organismo (psico-fisico), distinti dall'ambiente
e necessari per mettere l'organismo in contatto con l'ambiente.
Sé = Io fenomenico, cioè rappresentazione fenomenica (psichica + fisica) dell'Io
= complesso di vissuti e qualità che l'individuo ritiene pertinente a sé stesso (la struttura
viene “segregata” nel campo percettivo individuale, insomma ciò che la persona sente di
essere)
Sé (Io fenomenico) va distinto da
Io reale o Io transfenomenico = Io nella sua completezza oggettiva. Più ampio e
precedente al sé (il sé non comprende tutto l'Io)
Io : Sé = oggetto fisico : mia rappresentazione psichica di esso
Il Sé è allo stesso tempo soggetto e oggetto dell’esperienza: infatti, quando si parla con se
stessi, si elabora un Sé ideale, corrispondente a come l’individuo vorrebbe essere agli occhi
propri e del suo mondo.
Secondo la concezione gestaltista, l’individuo diviene persona e attore sociale solo nel contesto
delle sue relazioni con gli altri e con le realtà fisiche e istituzionali. Il Sé non è una somma di
elementi altrimenti non si potrebbe considerare una categoria psicologica.
(Come Mead) importanza dell'azione sociale, che precede il sé e fornisce materiale per esso: il
bambino dal rapporto con gli altri percepisce di esistere come entità oggettiva quindi diventa
oggettivo anche per è stesso.
Importanza anche del contributo dello stesso individuo alla formazione del proprio Sé
(l'individuo agisce sugli altri come gli altri agiscono su di lui)
Koffka – Gestalt
Sistema permanente dell'Io
Io = sottosistema autonomo in un ambiente; risente dei cambiamenti che avvengono, ma
questi non necessariamente gli portano modifiche profonde: l'Io mantiene un equilibrio
ambiente/caratteristiche proprie (interdipendenza tra stabilità e cambiamento).
Richiama Lewin: Io come entità complessa fatta di molte parti autonome e interdipendenti. La
condotta è funzione ad un tempo della persona e dell’ambiente: C=f (P x A).
Kurt Lewin
La dinamica della persona (LEWIN, 1926)
• Ha elaborato la concezione gestaltista dell’Io come entità complessa.
• L’Io costituisce una entità complessa costituita da sottosistemi interdipendenti ma allo
stesso tempo relativamente autonomi, caratterizzati da confini più o meno fluidi.
• La motivazione al raggiungimento di uno scopo comporta uno stato di tensione psicologica,
che non riguarda l’Io nella sua totalità ma alcuni sottosistemi, e che viene superato quando
l’obiettivo viene raggiunto.
La teoria di Lewin è stata validata da
Bluma Zeigarnick (1928)
Effetto Zeigarmick: le cose lasciate incompiute si ricordano meglio di quelle completate.
Cioè gli stati di tensione dei sottosistemi mentali che non vengono risolti, permangono e quindi
permettono un migliore ricordo (invece se il compito è stato completato la tensione è stata
risolta).
Esperimento:
dare più compiti ai partecipanti, poi interromperli costringendoli a lasciare delle incompiute:
ricordano meglio questi.
FORME DI CONOSCENZA DEL SE'
La scuola gestaltista sostiene, oltre all'organizzazione interna dell'Io, la “segregazione” dell'Io
fra i vari aspetti del campo percettivo. Il Sé o Io fenomenico mostra confini variabili (Lewin):
vestiti, giocattoli, amici = percepiti come prolungamenti del sé
Campo percettivo: di tutte le mie esperienze, solo una piccola porzione si riferisce a me.
L'orientamento interazionista (James e Mead) invece ha concezione del Sé come elaborazione
mentale da parte del soggetto che avviene nel rapporto con gli altri.
L'impostazione cognitivista rilancia studi su processi e forme di conoscenza dl sé rifacendosi
alle riflessioni sia pragmatiste (James e Mead) sia gestaltiste.
Ulrich Neisser, 1988
La conoscenza di sé
Ha individuato 5 tipi di conoscenza del Sé:
 Sé ecologico: come il Sé è percepito in rapporto all’ambiente fisico;
 Sé interpersonale: è il Sé coinvolto in un’interazione immediata con un’altra persona;
 Sé esteso: si definisce in rapporto a esperienze significative del passato e a aspettative
per il futuro;
 Sé privato: riguarda la consapevolezza che alcune esperienze non sono condivise con
altri;
 Sé concettuale: è costituito da un insieme di assunzioni o subteorie che riguardano i
ruoli sociali (ad es., essere padre), il corpo, la mente, nonché tratti che l’individuo si
attribuisce (ad es., essere intelligente).
Sé ecologico: come il sé è percepito in rapporto all’ambiente fisico.
Compare dal terzo mese di vita.
E' in genere cosciente, ma non nel senso che è oggetto di pensiero, proprio nel senso che è
direttamente percepito (con i sensi).
Aspetti principali del sé ecologico:
1. esistenza di un corpo articolato e controllabile
2. esistenza di un'entità che percepisce: percezione visiva (ma anche tatto e udito)
Ha origine dalla percezione che ogni individuo ha delle parti che può vedere del proprio
organismo (compreso tutto ciò che si muove col corpo, il quale viene percepito come parte del
Sé: scarpe, vestiti, macchina).
Ha un'esistenza oggettiva
Sé interpersonale: è il sé coinvolto in una interazione immediata e non riflessa con
un’ altra persona.
il Sé interpersonale, di cui ci si rende conto fin dalla prima infanzia, viene individuato in quanto
coinvolto in un’interazione con un’altra persona; la sua caratteristica fondamentale è
l’intersoggettività, quindi l’interattività; la consapevolezza del Sé interpersonale quasi sempre
si accompagna a quella del Sé ecologico (tranne quando il contatto interpersonale si fa intenso
ed intimo, come fra amanti).
Come il Sé ecologico l'informazione che lo riguarda è essenzialmente cinetica, però si evidenzia
nelle interazioni personali.
“Intersoggettività” : i partecipanti dell’atto comunicativo percepiscono la mutualità della loro
condotta. Risposte dell'altro interpretate come interattive. Queste risposte + la propria azione
percepita specificano il Sé interpersonale. L'intersoggettività è fondata non su un'operazione
cognitiva, ma sulla percezione diretta.
Sé ecologico e interpersonale sono difficilmente esperiti come distinti.
Sé esteso: è il sé come era nel passato e come ci aspettiamo sia nel futuro.
È basato su quello che ricordiamo e che anticipiamo. Non tutti i ricordi riguardano il Sé esteso,
ad esempio la memoria procedurale non ha niente a che vedere. Infatti posso non ricordare
quando ho imparato a fare una cosa, ma saperla comunque fare.
Amnesia = patologia per eccellenza che coinvolge il Sé esteso.
Dato che i ricordi sono molto influenzati dalla ricostruzione che facciamo della realtà e dalle
credenze che abbiamo in quel momento, il Sé esteso è collegato al Sé concettuale (le nostre
teorie su noi stessi incidono su quello che ricordiamo e come lo ricordiamo)
Sé concettuale: trae significato dalle implicazioni teoriche che ne stanno a monte.
il Sé concettuale o concetto di sé (è una teoria su se stessi), che ognuno ha come persona
particolare in un mondo familiare; ogni concetto di sé si forma nella vita sociale perciò in ogni
società e cultura ci sono concetti di sé diversi; il concetto di sé si basa prima di tutto su quanto
è stato detto dagli altri e questo, a sua volta, tende guidare ciò che ciascuno rivela di se
stesso; il concetto di sé si compone di varie parti che riguardano il ruolo all’interno della
società, il corpo (bello o brutto) e la mente (intelligente o stupido); queste dimensioni sono
assai importanti poiché ad esempio, la credenza di un bambino sulla propria intelligenza può
influenzare il suo rendimento scolastico; i quattro tipi di conoscenza di Sé sono tutti
rappresentati nel Sé concettuale. Per Neisser questo sé è il legante che tiene assieme gli altri.
Sé privato: consapevolezza che certe esperienze sono private
si manifesta quando il bambino si accorge che alcune sue esperienze (sentimenti come la gioia,
il dolore, la paura) non sono condivise con gli altri; è verso i 4 anni e mezzo che il bambino si
rende conto che la sua vita mentale è esclusivamente sua; inoltre, le esperienze private,
potendo essere ricordate, vanno ad arricchire il Sé esteso;
UNICITA' VS MOLTEPLICITA' DEL SE'
Nonostante la presenza delle sue varie dimensioni, non si può parlare di molteplicità del Sé,
bensì di unità poiché ci sentiamo considerati dalla società come uno (e non più di uno), e
questo costituisce un fattore essenziale del nostro sentimento di identità.
L’origine dei vari Sé è dovuta proprio all’interazione con l’ambiente; inoltre, tutti i Sé sono
caricati di valore.
È in rapporto a questa centralità cognitiva e di valore che il Sé ha per ogni individuo, il quale
cerca di mantenere unite le varie componenti di se stesso, che il Sé diviene il punto di
riferimento a cui ogni esperienza viene ricondotta.
Neisser assegna al Sé concettuale la funzione di mettere in relazione il mondo interno
dell’individuo e il mondo esterno.
LA PROSPETTIVA DELLA SOCIAL COGNITION
L’affermarsi della corrente della social cognition a partire dalla fine degli anni ’60 dà il via ad
una serie di studi sul Sé concepito come struttura cognitiva che organizza in memoria
tutte le informazioni che compongono la rappresentazione mentale che la persona ha dei propri
attributi, dei propri ruoli, dell’esperienza passata e delle prospettive future.
Contesto/Concezioni di Sé
Come Neisser, anche la social cognition riconosce l’esistenza di molteplici componenti del
concetto di sé, si tratta di concezioni parziali, attivate a seconda dei vari contesti in cui l’attore
sociale è di volta in volta inserito. Esiste quindi un rapporto fra contesto e concezioni di sé.
Secondo Markus, il concetto di Sé è costituito da un insieme si schemi di Sé, il fine è di
recuperare rapidamente le informazioni dalla memoria grazie alle quali identificare ciò che è e
ciò che non è, nonché prevedere ed orientare il proprio comportamento.
Gli schemi di sé variano profondamente da persona a persona, possono essere sia positivi che
negativi e non sono facilmente modificabili poiché collegati al sentimento d’identità.
Gli schemi di sé permettono di elaborare anche altre informazioni, in particolare quelle riferite
ad altre persone: infatti, il riferimento a sé ne migliora il ricordo.
Differenze fra conoscenza di sé e conoscenza degli altri:
1) gli schemi di sé sono più immediatamente accessibili in memoria (poiché utilizzati più
spesso), più ricchi e complessi di quelli degli altri (l’effetto però si attenua nel caso di
persone e noi familiari);
2) la conoscenza di sé è memorizzata in forma verbale mentre quella degli altri
prevalentemente in forma visuale (perché l’esperienza che abbiamo degli altri è prima di
tutto visiva, mentre la stessa cosa non è possibile per noi stessi);
3) la conoscenza di sé è più intensa dal punto di vista emotivo;
4) le informazioni su di sé vengono utilizzate per interpretare quelle sugli altri.
Il concetto di Sé operativo
I teorici della social cognition si sono occupati anche delle funzioni regolatrici del Sé, cioè il
modo in cui i soggetti assumono il proprio Sé come riferimento principale per controllare e
dirigere le proprie azioni.
Non tutta la conoscenza di sé è sempre accessibile: quello che è accessibile è uno specifico
sottoinsieme che deriva dalle caratteristiche della situazione contingente e costituisce il Sé
operativo.
Si tratta in sintesi di quella parte del concetto di sé che è attivata in una situazione precisa:
per questo, il Sé operativo è sempre attivo e si modifica in base alla situazione.
Altri elementi della funzione regolatrice del Sé
Altre componenti del Sé che assumono una funzione regolatrice sono:
5) il sentimento di efficacia del Sé, che riguarda l’aspettativa che ciascuno di noi ha di essere
in grado di affrontare e superare certi compiti; infatti, l’attore sociale si impegna soltanto
se pensa di poterlo fare con successo; quanto più si sentirà efficace in un ambito
problematico, tanto più si sforzerà di farcela; in caso contrario abbandonerà ben presto
l’impegno considerando inutile ogni sforzo;
6) la presentazione di sé e la gestione dell’impressione che si fa sugli altri; ciascuno di noi,
infatti cerca di fare buona impressione assumendo il comportamento appropriato alla
situazione; per evitare di fare una cattiva impressione sugli altri si può giungere persino a
crearsi degli handicap: è la tattica del self-handicapping, attraverso la quale ci si crea un
alibi per l’insuccesso; inoltre, il comportamento in pubblico è orientato a fare una buona
impressione anche su di sé, nel senso che il soggetto, attraverso le interazioni sociali
desidera confermare il sentimento positivo che ha di se stesso.
Sé possibili e discrepanze del Sé
Nel concetto di sé sono presenti anche concezioni ipotetiche di sé che il soggetto percepisce
come realizzabili in futuro.
Alcune di queste immagini possono riguardare scopi e ruoli a cui il soggetto aspira o Sé
potenziali che il soggetto vuole evitare, perché ciascuno ha le proprie ansie, paure, angosce,
ma anche attese, aspirazioni ed entusiasmi per il proprio futuro.
I Sé possibili rappresentano quindi le idee degli individui circa quello che possono o che
vorrebbero o che temono di diventare, e costituiscono delle guide e degli incentivi per l’azione.
In genere il contenuto dei Sé attesi è positivo, si parla quindi di un ottimismo irrealistico, cioè
una distorsione sistematica di giudizio che implica la tendenza di ogni persona a pensare che
certi eventi negativi non accadranno proprio a lei: è dovuta al bisogno di ridurre l’ansia del
rischio e mantenere un buon livello di autostima grazie all’illusione di poter controllare gli
eventi.
Ovviamente, aver avuto in passato esperienze negative diminuisce il grado di ottimismo
irrealistico.
Quest’ultimo è funzionale all’individuo, al quale permette di non rimanere paralizzato dalla
paura del rischio, ma può anche essere dannoso in quanto non ne permette una valutazione
obiettiva.
Higgins individua le discrepanze del Sé dovute al fatto che ogni individuo ha una
rappresentazione:
 di come è (Sé reale)
 di come gli piacerebbe essere (Sé ideale)
 di come dovrebbe essere (Sé normativo).
Discrepanza fra Sé reale e Sé ideale: senso di insoddisfazione, tristezza, delusione
Discrepanza fra Sé reale e Sé normativo: ne (paura, irrequietezza, ansia) o addirittura di
depressione (senso di scoraggiamento e di incapacità).
IL SÉ NELLE CULTURE
La risposta alla domanda “chi sono io?” non viene formulata su base esclusivamente
individuale in quanto lo sviluppo del senso di sé è un processo non solo interpersonale, ma
anche strettamente connesso alle idee condivise nei gruppi e nelle culture circa cosa significhi
essere una persona come si deve, appropriata e morale.
Le rappresentazioni sociali del Sé sono quindi quell’insieme di caratteristiche che in una data
cultura sono ritenute appropriate, positive e morali, e che forniscono una struttura primaria per
il Sé di coloro che vivono in un determinato contesto.
Si differenziano a seconda che si tratti di culture individualiste (prevalentemente occidentali) o
collettiviste (per lo più quelle orientali).
Nelle culture individualiste il Sé è l’unità di base della società, che è vista come un insieme di
individui autonomi e indipendenti. Il principale compito di sviluppo individuale è la
realizzazione personale, e in quest’ottica l’identità si costruisce attraverso l’elaborazione della
propria differenza e unicità. Inoltre, si tende ad attribuire le cause degli eventi all’attore
piuttosto che alle circostanze.
Al contrario, le culture collettiviste pongono il gruppo come unità di base della società, che è
vista come un insieme di gruppi sociali. Il compito di sviluppo dell’individuo è quindi quello di
raggiungere l’armonia con gli altri appartenenti al gruppo, oltre a rispettare le norme e i doveri
per il raggiungimento degli obiettivi comuni e del successo collettivo.
Perciò, a seconda del tipo di cultura, i giudizi su di sé e sugli altri sono formulati in riferimento
a diversi standard:
7) per le culture individualiste è il raggiungimento del successo personale, quindi esse
tendono a valorizzare caratteristiche come l’intelligenza e la competenza personale; le
culture individualiste sono per lo più centrate sull’idea dell’indipendenza e dell’autonomia
(la timidezza viene vista come un handicap);
8) per le culture collettiviste è l’appartenenza ad un determinato gruppo (o famiglia) e il posto
che questo occupa nel tessuto sociale, cosicché queste valorizzano maggiormente la
costanza, la persistenza nel compito, lo sforzo; le culture collettiviste sono più protese
verso interdipendenza (è la solitudine ad essere vissuta come un handicap).
Perciò, nella società occidentale, una persona che raggiunge un obiettivo facilmente viene
giudicata meglio di una che raggiunge lo stesso con impegno e fatica; il contrario accade
invece nelle società collettiviste, nelle quali la distinzione più importante è quella fra ingroups e
outgroups (nelle società individualiste è quella fra Sé e non Sé), che si accompagna ad un
atteggiamento di sospetto ed ostilità a priori nei confronti dei secondi.
Nel passaggio da una cultura ad un’altra si incontrano molte difficoltà in quanto c’è l’esigenza
di riconcettualizzare il senso di sé in relazione a nuove domande.
L’IDENTITÀ COME QUALITÀ RELAZIONALE E TEMPORALE DEL SÉ
L’identità è fatta di componenti individuali e collettive, cioè da quanto è personale e quanto
deriva da una cultura condivisa.
La diffusione del Sé è l’incapacità dell’individuo di impegnarsi in un ruolo preciso.
Infatti, Marcia sostiene che gli stati dell’identità sono 4:
 acquisizione dell’identità (assunzione di un impegno in base ad un ruolo sociale dopo
l’esplorazione delle possibili alternative);
 blocco dell’identità (i ruoli e i valori sono stati adottati evitando la fase di incertezza
esplorativa e assumendo quelli ispirati dalle figure di identificazione infantile: è ciò che
accade spesso ai figli di professionisti);
 moratoria dell’identità (sforzo di esplorazione che però non conduce all’assunzione di un
impegno preciso verso la realtà);
 diffusione dell’identità (evitare lo sforzo di esplorazione e vagare da un’identificazione
momentanea all’altra senza sviluppare alcun vero interesse).
Sentimento di identità e identità tipizzate
Il sentimento di identità è l’esperienza che l’attore sociale vive circa la continuità nel tempo e
nello spazio del proprio Sé, nonché la propria possibilità di intervenire sull’ambiente e sugli
avvenimenti.
Il sentimento di identità, quindi non equivale all’identità tipizzata, cioè quella che corrisponde
alla sua immagine pubblica ed è il prodotto di una specifica struttura sociale: infatti, un
americano ha un’identità diversa da quella di un francese, ecc.
I tipi di identità, quindi, delineano degli stereotipi che semplificano e facilitano la conoscenza e
la spiegazione degli eventi sociali e sono dovuti; inoltre, l’attore conosce quasi sempre come è
definito socialmente e utilizza tale informazione come uno dei componenti del proprio
sentimento di identità.
L’identità sociale è quindi quella data dall’interdipendenza con gli altri membri del suo gruppo,
mentre l’identità personale è caratterizzata dall’esigenza di autonomia, di fedeltà a se stesso,
di indipendenza dal contesto.
Capitolo 5
LE RELAZIONI SOCIALI
Kelley: relazione è significativa quando si basa su una forte interdipendenza tra i partner
(influenza reciproca). Molte categorizzazioni sono state tentate per Eredità di Kurt Lewin: le
relazioni vanno studiate non a partire dagli individui, ma dall’interazione fra le proprietà dei
partner e della situazione. Le interazioni sociali sono strutture di relazione che si caratterizzano
per diversa rilevanza e stabilità.
Due prospettive teoriche: teoria dell’interdipendenza (Kelley e Thibaut) → influenza che
ciascun partner esercita sull’altro ed approccio cognitivo alle relazioni (Fletcher e Fincham) →
tre componenti che fanno lo schema di relazione.
Teoria dell’interdipendenza: in ottica lewiniana quello che bisogna considerare è
l’osservazione delle caratteristiche degli individui, ambiente sociale e amb. fisico ≠
Approccio cognitivo alle relazioni: ha tre componenti (rappr. del sé in relazione, credenze
che riguardano il partner e script interpersonale- sequenza attese delle inter.)
inquadrare una relazione significativa e sembra che su tutto spicchino i sentimenti e le affinità
percepite dai singoli individui.
Nessuna teoria è tuttavia riuscita a spiegare e prevedere le condizioni entro le quali i fenomeni
si osservano. Ci si è limitati a mettere a punto scale che cerchino di quantificare i sentimenti
(Rubin con la liking scale, cioè il grado di piacevolezza del partner o la love scale che prendeva
in considerazione l’attaccamento, il prendersi cura e l’intimità). Rubin ha effettuato un
confronto tra le risposte date con tema il proprio partner e risposte con tema un amico del
cuore per evidenziare differenze.
Sternberg e Barnes hanno individuato tre componenti dell’amore: emotiva, cognitiva,
motivazionale ed escono dalla dicotomia amore romantico / amicizia.
Hazan e Shaker hanno ipotizzato che il tipo di legame di attaccamento con gli adulti che gli
individui formano nell’infanzia influenzano stili relazionali dell’età adulta.
Fattori che permettono la nascita ed il diffondersi delle relazioni all’intero del contesto sociale:
prossimità tra le persone, aumento della familiarità dei potenziali partner, percezione di
somiglianza fra i partner. Per Rosenbaum non è la percezione di somiglianza il fattore
principale, bensì la legge della repulsione (non ci piacciono le persone che hanno opinioni
troppo diverse dalle nostre). Contrariamente all’ opinione comune la complementarietà fra le
persone non è un fattore che favorisce il nascere delle relazioni significative.
Bellezza fisica: i più attraenti sono meno soli → effetto della profezia autoavverantesi
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9
Cosa rende una relazione interpersonale soddisfacente e stabile?-Modello economico del
comportamento: individuo rimane con il partner finché c’è il massimo dei benefici con il
minimo dei costi. – Teoria dello scambio (Homans): applicabile a qualsiasi tipo di relazione
sociale ed entrano in ballo tre fattori (profitti, alternative, investimenti). Vi sono state critiche
alla teoria dello scambio che banalizzerebbe troppo i sentimenti. –Teoria dell’equità (Walster e
Berscheid): un ruolo viene affidato al principio della giustizia distributiva nel processo di
valutazione della relazione, perché ogni membro non riceve o non offre molto più di quanto
non offra o non riceva. Scala per valutare il livello di equità percepito → differenze nel modo di
far fronte alle iniquità (donne si sentono a disagio se sono le partner più avvantaggiate,
mentre gli uomini provano maggior disagio nel ruolo opposto).
Nessuno dei due approcci presentati è riuscito a dare risultati sulla stabilità coppie.
Clark e Mills sostengono che la teoria dello scambio sia buona per regolare i rapporti di lavoro
tra estranei, mentre la teoria dell’ equità serva per le relazioni intime, di condivisione. Studi
transculturali hanno dimostrato che la teoria dell’ equità è tipica delle società individualiste, ma
poco usata in quelle collettiviste.
Culture individualiste (forte importanza all’indipendenza ed alla realizzazione) ≠ Culture
collettiviste (forte importanza sulla interdipendenza e gruppo prima dell’uno)
I fenomeni sociali si originano nel corso delle interazioni comunicative fra le persone
Comunicazione come processo dinamico e circolare che richiede la condivisione di codici
astratti (significati da attribuire a segni non verbali). Chi sostiene che la comunicazione è
intenzionale, allora ha una concezione strumentale (per indurre una risposta); chi ritiene sia
non intenzionale è un comportamento.
Modello pragmatico della comunicazione: non si può non comunicare e anche l’
astenersi da essa è un atto comunicativo. Per Burgoon e Daws due variabili: intenzionalità
degli interlocutori e percezione di tale intenzionalità.
Shannon e Weaver: rappresentazione semplificata e circolare di comunicazione con concetto di
“rumore”. Il linguaggio si compone di fonemi che uniti formano morfemi
Sintassi: regole grammaticali che permettono ai periodi di legarsi correttamente Semantica:
fa riferimento alla relazione tra parole, frasi e periodi con significati
Semin e Fiedler: modello delle categorie linguistiche con linguaggio mediatore tra cognizione e
realtà sociale → verbi descrittivi di azione, verbi interpretativi di azione, verbi di stato ed
aggettivi. I verbi di stato si riferiscono a stati mentali ed emozionali, i verbi descrittivi ed
interpretativi ( descrizione ben osservabile). Si sappia che con verbi interpretativi la fonte
causale è nel soggetto e con verbi di stato la fonte causale è nell’oggetto. Il modello delle
categorie linguistiche per studiare fenomeni sociali.
Frasi formulate con verbi di stato fanno maggiormente riferimento al soggetto di cui si parla, le
frasi formulate con gli interpretativi fanno rifer. al contesto e situazione.
Linguaggio come scambio asimmetrico e interdipendente (la persona che domanda struttura la
situazione sui propri scopi; il ricevente non può che adattarsi).
COMUNICAZIONE NON VERBALE: segnali paralinguistici (pronunciati con la voce nel dire
le parole), espressioni del volto, comportamento spaziale. Hall parla di culture di
contatto (stile di comunicazione tattile ed olfattiva) e culture di non contatto (stili comunicativi
più centrati su aspetti visivi). Riconosce inoltre 4 zone di distanza (intima, personale, sociale e
pubblica).
Scopi della comunicazione non verbale: superare le ambiguità del linguaggio verbale, fornire
indicazioni sullo stato d’animo, definire il tipo di relazione che intercorre fra i parlanti, regolare
l’avvicendarsi dei turni di parola,… Scambi comunicativi: nel partecipare ad una conversazione
occorre un’azione cooperativa in cui gli attori sociali riconoscono almeno uno scopo comune.
Grice: quattro massime ( quantità, dare le informazioni richieste – qualità, presunzione di
verità – di relazione, informazioni rilevanti e pertinenti – di modo, essere brevi e ordinati nella
formulazione del messaggio).
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10
Rodolphe Ghiglione: Psico- socio- pragmatica della comunicazione → modello del contratto di
comunicazione per cui ogni interazione comunicativa può essere pensata come contratto
fondato su un numero preciso di regole e contratto portatore di posta in gioco e co –
costruzione della realtà. Per comunicare ci vuole competenza comunicativa, cioè
partecipazione efficace ed appropriata. Regole di tale contratto sono: pertinenza (competenza
necessaria), coerenza nelle regole, reciprocità (ad ognuno viene riconosciuto il diritto di
intervenire) ed influenza.
Capitolo 6
L’AGGRESSIVITÀ E L’ALTRUISMO
Hobbes: persone inclini all’aggressività verso i propri simili, quindi le istituzioni devono
reprimere queste tendenze aggressive.
Rousseau: natura dell’ uomo è fondamentalmente buona, ma viene corrotta proprio dalle
esigenze della civiltà.
Freud: primo approccio psicologico alla spiegazione dei comportamenti aggressivi
(tensione tra autoconservazione e autodistruzione)→ ne “Il disagio della civiltà” pone dei limiti
alla manifestazione delle pulsioni aggressive attraverso le norme, ottenendo di prevenire i
peggiori eccessi dell’aggressività umana.
Approccio etologico: “naturalità dell’aggressività umana”, per Konrad Lorenz inevitabilità
dei comportamenti aggressivi, perché in un ambiente pieno di insidie e risorse limitate
l’individuo deve assicurarsi la sopravvivenza e la possibilità di riproduzione.
Modello freudiano e approccio etologico: “naturalità dell'aggressività umana; logica del
“modello idraulico”→ energia istintuale deve essere indirizzata e manifestata altrimenti si
accumula (vedi pentola a pressione).
La società dovrebbe avvantaggiarsi di forme di scaricamento dell’energia socialmente
accettabili (es competizioni sportive). Metafora inadeguata.
Osservazione di comportamenti violenti: non ha effetti catartici, anzi li può provocare.
SPIEGAZIONI COMPORTAMENTI ANTISOCIALI
FRUSTRAZIONE:
Dollard e Miller: frustrazione/aggressività.
Aggressività indotta da una pulsione che deriva da una frustrazione (ostacoli che si
frappongono tra l’individuo ed il raggiungimento dei suoi fini).
I criminali sono persone sottoposte a serie di frustrazioni.
Alla frustrazione segue aggressività, l'aggressività è sempre causata dalla frustrazione
(relazione biunivoca).
L'aggressività può non essere rivolta alla causa della frustrazione.
Critiche: punto più debole è la relazione biunivoca. Infatti non necessariamente frustrazione =
aggressività. Può anche dare fuga, pianto, apatia.
Berkowitz rielabora l’ipotesi originaria di Dollard + tiene conto dei progressi ottenuti dalla
teoria dell’apprendimento sociale: ogni sentimento negativo può indurre aggressività, ma
diventa la risposta dominante quando si verificano determinate situazioni, cioè presenza di
stimolo a cui è stato associato stato d’animo negativo: stato d'animo negativo + stimolo con
associazione a connotazione aggressiva nel corso di esperienze precedenti = risposta
aggressiva.
Esperimento: scosse elettriche in soggetti sottoposti a frustrazione (scrivania con fucile o
racchetta). Operazionalizzazione di comportamento aggressivo in relazione a stato d'animo ma
anche in relazione a stimoli più o meno associati a comportamento aggressivo.
IMITAZIONE:
Psicologia delle folle (inizio 900): idea che l’espressione dell’aggressività prende il via
dall’imitazione.
Avvento della società di massa nell’epoca industriale, nuovi interrogativi.
Tarde: 1904,
imitazione come principio che governa il comportamento sociale in gruppi di vaste dimensioni.
Le Bon: 1895
suggestione, ovvero una sorta di ipnosi collettiva.
Per questi due autori l’individuo di per sé è capace di razionalità, ma nella folla però perde tale
potere di controllo ed attraverso l’imitazione e la suggestione adotta comportamenti immediati
in risposta a stimoli sociali. Inibizione delle capacità critiche individuai, facile manipolazione da
parte di personaggi carismatici.
Molti anni più tardi (anni '60) l'idea dell'imitazione viene formalizzata in teoria:
Bandura:
teoria dell’apprendimento sociale → aggressività = un comportamento sociale acquisito e
mantenuto a determinate condizioni:
1) associare il comportamento ai suoi esiti in termini di conseguenze positive
o negative; associazione avviene per esperienza diretta ed osservazione di qualcuno che attua
un comportamento in una data situazione e relative conseguenze (rinforzi).
Esperimento: adulto che maltratta pupazzo e ci prova gusto. Bambini che hanno assistito
replicano il comportamento.
Effetti dei programmi a contenuto violento:
Non si capisce la direzione causale di aggressività in programmi violenti: sono le persone
aggressive che preferiscono i programmi violenti oppure i programmi violenti causano
comportamenti imitativi?
Riprendendo Berkowitz, i programmi provocano attivazione emozionale. Risposta aggressiva
probabilmente in persone che hanno già ottenuto effetti positivi da comportamenti aggressivi.
Inoltre tale associazione emozione/risposta comportamentale risulta più forte se:
1) c'è identificazione con il personaggio violento
2) conseguenze del comportamento appaiono trascurabili
3) la violenza osservata è realistica
NORME SOCIALI:
Stanley Milgram:
genesi dei comportamenti aggressivi. Obbedienza all’autorità: persone con nessuna
motivazione possono rendersi complici di un processo di distruzione?
Esperimento:
Partecipante ha ruolo di maestro che punisce con scariche elettriche complice che sbaglia
(finge di soffrire per le scosse ricevute).
Studenti universitari di psicologia stimavano attorno all’ 1% l’ obbedienza del soggetto
sperimentale a somministrazioni di scosse di anche 450 volt. In realtà i partecipanti che
arrivarono a somministrare scossa più intensa furono il 65% !!
Due i fattori che facevano variare l’obbedienza all’autorità:
1) distanza fra il soggetto sperimentale e la sua vittima
2) distanza fra il soggetto sperimentale e lo sperimentatore che impone gli ordini.
La situazione creata (conflitto tra norma dell’obbedienza e responsabilità sociale) ha generato
uno stato eteronomico: nella percezione del soggetto prevale la norma dell’obbedienza
ad una autorità che si suppone si assuma la responsabilità del comportamento disumano
del soggetto nel momento in cui gli impartisce l’ordine.
Altre condizioni che concorrono nella situazione sperimentale:
 percezione di legittimità dell'autorità
 adesione al sistema di autorità
 pressioni sociali
Pressioni situazionali e contesto possono spiegare comportamenti non spiegabili in termini di
disposizione di personalità.
Prescrizioni contraddittorie:
In ogni cultura sono presenti diverse norme sociali che hanno lo scopo di definire qual è il
comportamento appropriato in determinate situazioni e di regolare i comportamenti aggressivi.
Vi sono norme sociali che prevedono la necessità di una reazione aggressiva come autodifesa,
ripristino diritti individuali (es. porto d'armi negli USA); ve ne sono altre contrastanti orientate
alla limitazione dei comportamenti aggressivi (cortesia e tolleranza). Vi sono norme pertinenti
al contesto che la persona percepisce e di conseguenza mette in atto tipi diversi di
comportamenti.
Le donne tendono ad essere meno aggressive degli uomini perché le aspettative di ruolo nei
confronti delle donne richiamano maggiormente le norme della tolleranza e della
sopportazione.
Quindi si dà origine a comportamenti normativamente appropriati per essere accettati dal
gruppo e, dall’altra parte, a comportamenti di ribellione contro l’autorità formale (gruppi
devianti). Il comportamento normativamente appropriato è necessario per essere accettato dal
gruppo.
LA DINAMICA DEL COMPORTAMENTO AGGRESSIVO
Come avviene il processo che porta l’individuo nella situazione alla concreta manifestazione di
comportamenti violenti?
9) Interpretazione che l’attore dà della situazione in cui si trova e dell’evento
10) Attribuzione di intenzionalità di ciò che sta avvenendo
11) Percezione delle conseguenze
12) Livello di attivazione emotiva negativa
13) Norme che sembrano pertinenti.
Da tutto ciò deriva
 motivazione ad adottare una risposta aggressiva o neutra
 la percezione della necessità di una risposta.
SPIEGAZIONE DEI COMPORTAMENTI PROSOCIALI
Studio altruismo: molto recente
Nell’opinione pubblica molti sposano la tesi che vedrebbe l’essere umano egoista e distruttivo
per ragioni di salvaguardia del proprio sé e viene spesso sottovalutato il ruolo dei fattori sociali
e situazionali.
Moscovici:
l’altruismo diventa un problema riguardante anche le scienze sociali in quelle società in cui
l’egoismo è norma. Norme individualistiche: altruismo diventa fenomeno altamente
costoso, dunque improbabile.
Studio su altruismo: tutto nasce da aggressione a New York, durata circa mezz'ora, molti
testimoni alle finestre, nessuno interviene.
Latané e Darley:
ipotesi che i comportamenti altruistici siano governati da fattori relativi alla situazione e
non soltanto da quelli socialmente patologici (mancanza di valori) o da fattori individuali.
Esperimento diffusione di responsabilità: : parlare della propria esperienza di vita in grande
città. Per finti motivi di privacy, partecipanti chiusi in cunicolo, pensano che ci siano anche altre
persone a partecipare. In realtà sono registrazioni. Una registrazione diceva che il partecipante
trovava difficile la vita in grande città soprattutto per le sue crisi epilettiche. Nella registrazione
successiva viene simulata crisi epilettica.
Se partecipante pensa di essere solo con epilettico interviene nell'85% dei casi, altrimenti la %
scende man mano che si percepisce non da solo nella situazione (qualcun altro avrà già
provveduto): diffusione di responsabilità: l’intervento di aiuto è più probabile qualora
sappia di essere l’unico ad assistere alla scena.
Comportamenti prosociali per la conservazione della specie
Alcuni etologi: comportamenti prosociali non sono finalizzati alla sopravvivenza individuale,
quanto al potenziamento della trasmissione dei geni (spiega solo quando è a favore di individui
della stessa famiglia).
Altruismo è dimensione di personalità?
Personalità altruista: associata ad una costellazione di altri tratti di personalità:
 alta stima di sé
 alta competenza morale
 tendenza ad attribuire le cause degli eventi di cui l’individuo è protagonista a fattori

interni (locus of control)
forte senso di responsabilità sociale
Penner e colleghi 1995
strumenti in grado di cogliere tale orientamento → scala con 56 item raggruppati in due fattori:
 empatia verso gli altri
 propensione all’aiuto
Altre ricerche:
a parità di personalità, fattore più predittivo: percezione della propria efficacia
Latané e Darley: non bastano tuttavia fattori di personalità per spiegare comportamenti
altruistici perchè in alcune situazioni nessuno interviene, in altre quasi tutti: servono
spiegazioni più psicosociali.
EMPATIA:
Alcuni studiosi hanno cercato spiegazioni che vanno al di là dell’appello alla natura umana.
Hoffman 1975:
empatia come elemento che precede l’attuazione di una risposta di aiuto.
L’empatia (processo cognitivo) fa riferimento ad una attivazione emotiva fatta di compassione,
tenerezza,…
Percezione di somiglianza: favorisce l'empatia, le persone sono più disposte ad aiutare
qualcuno che percepiscono come simile a loro.
Osservare la sofferenza altrui può attivare 2 tipi di emozioni:
1) disagio personale
2) reale preoccupazione
Entrambi gli stati d'animo (negativi) necessitano un'azione: intervento o fuga (evitamento). Se
l'evitamento non è possibile, resta il comportamento d'aiuto non in quanto altruistico ma in
quanto necessario per rimuovere il disagio personale (angoscia).
Cialdini e coll.:
Se possibile ci sarebbe anche la fuga come risposta funzionale alla riduzione del disagio
personale.ipotesi del sollievo dallo stato negativo (risposte altruistiche per per migliorare il
proprio stato, l’umore) e quindi i comportamenti altruistici deriverebbero da una motivazione
fondamentalmente egoistica).
Esperimento: causare piccolo incidente (fittizio) nell'ufficio dello sperimentatore, i partecipanti
coinvolti si sentivano meglio (ripristino dello stato positivo) aiutando poi un secondo
sperimentatore oppure pagando una somma, rispetto a quelli che non erano stati coinvolti
nell'incidente.
Batson e coll.:
hanno mostrato attraverso l’uso di alcuni esperimenti che anche in situazioni in cui la fuga
risulti un comportamento possibile e funzionale all’osservatore, ci sono individui che scelgono
di prestare il proprio aiuto. E' il prodotto della capacità empatica.
Modello dell’empatia – altruismo: la preoccupazione per le sofferenze altrui è una
motivazione sufficiente per spiegare comportamenti altruistici che non rispondono a ferree
regole di bilancio costi – benefici. La percezione di somiglianza aumenta l'empatia.
Esperimento:
Ragazza sottoposta a scosse elettriche fittizie, i partecipanti osservano da specchio
unidirezionale. Quelli a cui precedentemente era stato detto che la ragazza aveva molte cose in
comune con loro (= induzione empatia) accettavano di scambiarsi di posto con lei.
Dimostrano che la fuga è la strategia adottata in caso di mancata empatia.
Cialdini e colleghi, 1997:
il fattore motivante non è l’empatia, ma il senso di unità interpersonale →deriva sempre
dalla percezione di somiglianza: questa dà sì maggior empatia, ma anche maggior senso di
sovrapposizione tra sé e l’altro. C'è poca distinzione tra il sé e l'altro e questa confusione fa
sì che non riescano più a separare le motivazioni altruistiche da quelle egoistiche.
NORME SOCIALI:
Norma di reciprocità
la convivenza civile impone il rispetto di norme sociali per aiuto e solidarietà. Uno dei principi
più importanti è la reciprocità: restituire aiuto a chi l'ha dato. In tutte le civiltà del mondo.
Buunk e Schaufeli, 1999:
Partono dalla teoria dell’altruismo reciproco di Dawkins, 1976: individui
incondizionatamente altruisti sono destinati a soccombere a favore di individui
incondizionatamente egoisti; tuttavia anche questi non possono sopravvivere una volta rimasti
senza i primi.
Strategia evolutivamente vincente quindi è la reciprocità: mostrarsi coooperativi con coloro che
in futuro potranno fare lo stesso.
Secondo Buunk e Schaufeli quindi : altruismo puro = esito di processo evolutivo che ha
permesso di trarre benefici dall'altruismo reciproco.
Norma di responsabilità sociale
Ci sentiamo in obbligo di agire in favore di chi dipende da noi. Famiglia, membri deboli della
società.
Norma di protezione della privacy
Altra norma contraddittoria, prescrive di non intervenire. Vedi privacy familiare, magari si può
pensare a una lite tra coniugi che possono non voler gente che si impiccia.
Condizioni di una norma sociale che influenzano il comportamento:
1) deve essere stata appresa e interiorizzata
2) deve essere percepita come pertinente alla situazione
Moscovici: tre forme di altruismo
1) altruismo partecipativo (più puro es volontariato)
2) altruismo fiduciario (norma reciprocità - per impegno alla riconoscenza)
3) altruismo normativo (classificazione sociale di aiuti, di persone riconosciute in stato di
bisogno); comportamenti basati sul principio della responsabilità e della solidarietà
DINAMICA DEL COMPORTAMENTO ALTRUISTICO
Fasi del processo decisionale che porta al comportamento:
1) definizione dell'evento (ambiguità)
attribuzioni di causa: aiutiamo più volentieri se la causa della situazione è attribuita a
fattori non controllabili dalla vittima (malore piuttosto che ubriachezza) = errore
fondamentale di attribuzione (Ross): tendiamo a dare la colpa a dar più credito a
ubriachezza che a malore;
credenza in un mondo giusto (Lerner): gli eventi negativi succedono agli altri perchè
se li sono meritati (necessità di percepire mondo ordinato e razionale). Risultato: se la
vittima è responsabile, è meno probabile un comportamento di aiuto. Le informazioni
per definire l'evento vengono oltre che dall'osservazione della presunta vittima anche
dal comportamento delle altre persone presenti.
Latané e Darley, esperimento fumo bianco sotto la porta in sala d'aspetto.
Ignoranza pluralistica: ciascuno pensa che gli altri abbiano più informazioni sulla
situazione
2) Fase di valutazione del costo attribuito all'aiuto (esperimento del buon samaritano:
neanche i teologi che avevano appena parlato di questa parabola si fermano a
soccorrere malcapitato se sono in ritardo)
Capitolo 7
L’ INTERAZIONE NEI GRUPPI
Studio sui gruppi intesi come entità psicologiche (diverse dalla somma delle loro componenti).
Lewin ne fu iniziatore e diede avvio alla ricerca sperimentale in psicologia sociale. La sociologia
distingue: - gruppo sociale (individui che interagiscono l’uno con l’altro dando vita ad una
distinta unità), - aggregato (insieme di persone che si trovano nello stesso luogo allo stesso
momento senza condividere necessariamente alcun legame), - categoria sociale ( è un
raggruppamento statistico, per cui gli individui sono classificati nella stessa categoria in base
ad una particolare caratteristica comune, come il medesimo livello di reddito,..). Sempre in
sociologia si usa la distinzione in gruppi primari (interagiscono direttamente) e gruppi
secondari (rapporti più o meno frequenti).
In psicologia Lewin studia il gruppo come totalità dinamica, per cui il gruppo evidenzia
caratteristiche diverse da quelle risultanti dalla somma delle sue componenti. Molto spesso un
gruppo è definito sulla base delle somiglianze tra i suoi membri, trascurando l’interdipendenza
tra di essi (non è il fattore somiglianza e/o diversità che decide se due individui appartengono
allo stesso gruppo o no).
Destino comune: espressione dell’interdipendenza tra individui che creano un gruppo e
rendono chiaro che non è presente alcuna limitazione della numerosità del gruppo.
Dinamica dei gruppi: l’interazione tra i membri fa funzionare i diversi gruppi sociali.
Teoria del campo di Lewin: la struttura del campo psicologico è più importante delle sue
dimensioni. Cartwright e Zander : ricerche sulla dinamica di gruppo da parte della prima
generazione di allievi di Lewin confermano quanto sostenuto dal maestro
STATUS: posizione che una persona occupa in un gruppo sociale e valutazione di tale
posizione in una scala di prestigio. Due indicatori fondamentali (tendenza da parte di chi
occupa uno status alto a promuovere iniziative continuate dal gruppo e valutazione
consensuale del prestigio connesso ad un certo status). Chi ha uno status più elevato ha
postura eretta, contatto visivo a lungo, voce ferma, danno comandi, fanno critiche, più parole,
interagiscono e ricevono un maggior numero di informazioni da parte degli altri membri del
13
gruppo. Le gerarchie di status non sono affatto immutabili. Come si produce un sistema di
status? Aiutando il gruppo nei suoi obiettivi, sacrificandosi per il gruppo, conformarsi alle
norme interne. Barches e Fiskes notarono come il sistema di status si sviluppasse con
sorprendente rapidità anche quando il gruppo si era appena formato (stati di aspettativa:
possibile contributo di ognuno al raggiungimento degli obiettivi di gruppo e corrente etologica:
sostiene che sin dall’inizio i membri valutano la forza di ognuno di loro,…). Differenziazione di
status nei gruppi corrisponde ad un bisogno di prevedibilità e di ordine.
RUOLO: insieme di aspettative condivise circa il modo in cui dovrebbe comportarsi un
individuo che occupa una determinata posizione nel gruppo. Levine e Moreland
sostennero che esistono pochi ruoli all’interno dei gruppi → leader(di cui si hanno immagini
prototipiche), nuovo arrivato (con un bagaglio di aspettative), capro espiatorio (liberarsi da
parte dei membri del gruppo di parti negative della propria immagine di sé). Conflitti di ruolo
nei gruppi: assegnazione di un ruolo ad una persona, incompatibilità di ruolo individuale, gli
altri sottolineano l’incompatibilità tra quella persona ed il ruolo designatole. Esistono nei gruppi
pressioni che spingono ad una certa uniformità di comportamento. I gruppi formali riconoscono
il diritto di esercitare pressione; i gruppi informali indipendentemente dal fatto che i membri ne
siano consapevoli.
NORME: aspettative condivise rispetto a come dovrebbero comportarsi i membri del
gruppo (anche se esiste uno spazio di espressione delle differenze individuali). Norme
consensuali → costruzione di un set limitato di comportamenti e opinioni cui ci si attende che i
membri debbano uniformarsi, la trasgressione delle quali può comportare sanzioni per i
devianti. Schachter : ha dimostrato che il deviante riceve un maggior numero di comunicazioni
dagli altri membri del gruppo nel tentativo di ricondurlo entro le norme → accompagnato però
da un comprensibile minore livello di popolarità. Quelli più vincolanti degli altri per le norme
centrali sono quelli di status più elevato. Cartwright e Zander → la costruzione di norme di
gruppo assolverebbe ad almeno quattro funzioni: avanzamento del gruppo, mantenimento del
gruppo, costruzione della realtà sociale, definizione dei rapporti con l’ambiente sociale.
Flament: tutti i processi di gruppo possono essere studiati a partire dalle comunicazioni che
vengono svolte all’interno del gruppo.
Tre correnti di studio nelle comunicazioni all’interno dei gruppi: 1) struttura
centralizzata ( si contano il numero di comunicazioni che ogni individuo riceve ed emette nei
confronti di ciascun altro membro di gruppo), 2) processi comunicativi in rapporto con
altri fenomeni di gruppo, 3) modelli matematici proposti da Bavelas che possano
descrivere le strutture di gruppo, riprendendo l’intuizione lewiniana della
rappresentazione del campo psicologico attraverso mappe topologiche. Come
descrivere le reti?INDICE DI DISTANZA: numero minimo di legami di comunicazione che un
individuo deve attraversare per comunicare con un altro membro del gruppo. IDEA DI
CENTRALITÁ: quanto le comunicazioni in un gruppo siano centralizzate in una persona o
distribuite più o meno uniformemente tra i membri. Secondo Leavitt più la rete è centralizzata,
meno numerose sono le comunicazioni e più rapido è lo svolgimento del compito anche se il
morale del gruppo diminuisce con la centralità. Shaw prima e Heise e Miller dopo correggono
Leavitt sostenendo che il compito svolto più rapidamente se semplice, altrimenti meglio se a
rete circolare. Le reti possono essere infatti: reti centralizzate o a ruota (+), rete a Y, rete a
catena (I), rete circolare (⌂). L’efficienza di una rete di comunicazione dipende dalla struttura
del compito svolto ( che è una variabile importante). La soddisfazione dei membri del gruppo
nella risoluzione delle attività svolte → morale medio del gruppo è più alto nelle reti
decentralizzate piuttosto che in quelle centralizzate → anche se l’individuo in posizione più
centrale sarà più soddisfatto che quelli in posizioni più periferiche → dipende dall’esperienza
del potere fatto dai diversi membri del gruppo. Rapporto dominanza – sottomissione come uno
degli aspetti strutturali della vita di gruppo. Potere è l’influenza potenziale di un individuo su un
altro. Cinque fonti comuni e importanti di potere definite da French e Raven (potere di
ricompensa, potere coercitivo, potere legittimo, potere d’esempio, potere di competenza).
Minguzzi muove alcune critiche alla tipologia di potere delineata da French e Raven, in quanto
essa non tiene conto né dei rapporti economici né delle motivazioni di chi accetta la fonte di
influenza.
LEADERSHIP: Hollander ritiene esatto definirla come un processo di influenza tra un
leader ed i seguaci in ordine al raggiungimento degli obiettivi di un gruppo, di un’
organizzazione o di una società. Turner → leader esercita maggiore influenza in un gruppo
rispetto alle altre persone ed occupa una posizione più elevata nella gerarchia di status.
Influenza della minoranza consiste nel produrre accettazione soggettiva e persuasione.
Influenza della maggioranza implica coercizione ed acquiescenza pubblica. Come diventare
leader? Reperire caratteristiche e tratti di personalità che distinguono i leader dagli altri.
Hollander → due approcci di studio: comportamento del leader (Bates e Slater) ed approccio
situazionista. Comportamento del leader: due tipologie del leader (l. socioemozionale e l.
centrato sul compito). Stili di leadership: autoritario (centrato sul compito), democratico (
leader socioemozionale), leader con stile laissez faire. L’approccio situazionista sullo stile del
leader dice che il leader deve assolvere diverse funzioni in situazioni che comportano compiti
diversi (climi competitivi o cooperativi, stabilità o instabilità ambientale, grandezza del
gruppo). Secondo Hollander questo approccio ha il difetto di trascurare in modo troppo
marcato le caratteristiche delle persone che occupano ruoli da leader. MODELLO della
CONTINGENZA: Fiedler sostiene che l’efficienza del leader dipende dalla corrispondenza fra lo
stile adottato dal leader ed il controllo che quest’ultimo ha della situazione. Tre sono le variabili
principali: qualità dei legami leader- membri, livello della struttura del compito, livello di potere
del leader.
Modelli transazionali: sono paradigmi sviluppatisi parallelamente e talora anche anteriormente
ai modelli della contingenza che insistono sulla relazione bidirezionale fra leader e membri del
gruppo.
Hollander parla di credito idiosincratico che il leader deve acquistare presso il gruppo (con
iniziale adesione e successiva immissione di nuove idee). Per Hollander, in particolare, il leader
deve comportarsi con il gruppo in questa maniera: conformità iniziale, essere scelto dal gruppo
e non imposto, dare prova di competenza, identificazione con il gruppo).
I processi di presa di decisione nel gruppo furono un ambito di studi rilevante a partire dagli
anni Sessanta. Si pensava che i gruppi non fossero in grado di decidere per paura di non
riuscire a pervenire a decisioni condivise. Effetto di normalizzazione: gruppo si dà una norma
ed i contributi di tutti tendono a concentrarsi attorno alla media dei giudizi individuali. Risultati
di Stoner: le decisioni prese in gruppo sono decisamente più rischiose delle decisioni prese
individualmente dai singoli. Decisione rischiosa: si mette in gioco qualcosa di acquisito in vista
di ottenere qualcosa di molto più rilevante. Discussione di gruppo ha influito sulle opinioni dei
singoli dando luogo a decisioni orientate verso una più elevata assunzione di rischio → la
tennero coerente nel tempo i soggetti.
Ma perché in gruppo si tende a rischiare di più? Diverse interpretazioni: diffusione di
responsabilità, discussione di gruppo incrementa la familiarità dei singoli rispetto a problemi
particolarmente delicati e tale familiarità porta ad un incremento dell’assunzione di rischio,
rischio come valore della società americana ed apprezzamento conseguente per chi osa
rischiare.
Tuttavia fu riproposto il problema per colpa della presenza di un item che manifestava risposte
a cui i soggetti, in gruppo, rispondevano cautamente. In alcuni casi la discussione di gruppo
provocava scelte più rischiose e scelte più caute. Perché ciò? Ogni item del questionario di
Stoner mostrava in modo stabile uno spostamento di intensità e di direzione caratteristica.
Quest’effetto non era imputabile a nessun artefatto statistico: quando si eseguono prove
ripetute può succedere che i punteggi regrediscano verso la media.
Prese di posizione espresse dai soggetti dopo le discussioni di gruppo sono più vicine ad uno
dei poli del ventaglio delle opinioni e dei giudizi da loro individualmente espressi in
precedenza; l’estremizzazione non avviene però indifferentemente verso l’uno o l’altro dei poli
del continuum, ma verso il polo a cui già tendeva la media dei giudizi dati individualmente. →
POLARIZZAZIONE.
Normalizzazione versus polarizzazione per: moralità interna, decisione in tempi brevi e
pressione sociale, autocensura che lo portava ad astenersi dalla critica, contributo senza
rendersene conto all’unanimità.
Pensiero gruppale di Janis: discussione e confronto tra i diversi attori sono di fatto ostacolati e
ridotti al minimo. Ma perché il conflitto tra diversi punti di vista deve essere evitato? Scarso
coinvolgimento dei membri di un gruppo nei confronti di un compito, gruppo formale,
leadership forte e autorità ben determinata.
Capitolo 8 LE RELAZIONI FRA I GRUPPI SOCIALI
Le persone si pongono in modo differenziato di fronte ai membri del proprio gruppo ed a quelli
di altri gruppi. Gli attori sociali mettono in atto comportamenti di discriminazione positiva nei
confronti dei comportamenti del gruppo cui appartengono, a detrimento dei membri di gruppi
diversi dal proprio. È possibile parlare di un comportamento assunto dal singolo ed uno come
membro del gruppo di appartenenza? Tajfel → due tipi di comportamenti immaginati come
posti su un continuum teorico per cui comportamenti genuinamente interpersonali
(caratteristici delle situazioni sociali tra due o più persone in cui ogni interazione viene
determinata dall’incontro diretto fra le persone stesse) ≠ comportamenti genuinamente
intergruppi (caratteristici delle situazioni sociali tra due o più persone in cui ogni interazione
reciproca è determinata dalla loro appartenenza a diversi gruppi. Gli estremi sono però
soltanto teorici, perché è impossibile nella realtà sociale individuare azioni o solo interpersonali
o intergruppi.
Tutte le situazioni sociali si pongono su un punto di questo continuum: tanto più vicino è
all’estremo intergruppi, tanto più tenderà ad essere indipendente dalle differenze individuali;
tanto più vicino all’estremo interpersonale, tanto più saranno messe in risalto le differenze e le
affinità dei protagonisti.
Secondo Tajfel per avere forme estreme di comportamenti intergruppi deve esserci la credenza
secondo cui i gruppi hanno confini rigidi ed immutabili (impossibile passare da un gruppo
all’altro); per avere forme estreme di comportamenti interpersonali tra individui che si
considerano membri di gruppi diversi deve esserci la credenza secondo cui i confini fra i gruppi
sono comunque permeabili e non vi sono ostacoli che impediscano l’eventuale passaggio. Nella
prima situazione si cerca un cambiamento sociale (operare insieme al gruppo per poter
giungere ad un nuovo assetto); nella seconda situazione l’individuo rivendicherà la propria
appartenenza con maggior forza se sarà consapevole di essere membro del gruppo. Ampiezza
delle valutazioni positive e negative associate a questa appartenenza ed Estensione
dell’investimento emozionale associata alla consapevolezza ed alle valutazioni.
L’appartenenza di gruppo è avvertita sia in termini cognitivi, valutativi ed emozionali, che
incrementata da fattori oggettivi (come la definizione di gruppo dovuta a fattori esterni sia
elaborata psicologicamente da chi si accorge di far parte di un gruppo per il semplice fatto che
altri percepiscono l’esistenza di questo?, perché i membri di un gruppo tendono a svalutare i
gruppi diversi dal proprio?).
Merton: atteggiamenti verso l’outgroup non solo negativi ma anche positivi e neutrali. Schmidt
: lo sviluppo della coscienza di gruppo comporta atteggiamenti di rifiuto verso chi non ne è
parte.
Esperimenti di Sherif con i campi estivi → sul piano teorico Sherif prende le distanze da
quegli studiosi della personalità e da quei ricercatori delle scuole “frustrazione-aggressività”
che per lui erano dei riduzionisti.
Prima fase: arrivo al campo; Seconda fase: divisione dei ragazzi dopo una settimana; Terza
fase: gruppi in competizione l’uno contro l’altro (distanza tra di essi era molto grande); Quarta
fase: membri dei due gruppi forzati dalle situazioni a condividere uno scopo sovraordinato
(collaborazione di entrambi i gruppi, diminuzione ostilità).
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Conclusione teorica di Sherif: se due gruppi che sono in rapporto tra loro si pongono degli
scopi competitivi, giungeranno rapidamente ad un conflitto intergruppi; se due gruppi in
rapporto tra loro si pongono scopi sovraordinati giungeranno ad una cooperazione reciproca.
Ma c’è antagonismo anche in situazioni prive di interessi oggettivi ? Rabbie e Horwitz(1969) si
interrogarono se la classificazione delle persone in due gruppi è già un atto discriminatorio, se
premiare un gruppo e/o punirne un altro conduca già a valutazioni discriminatorie, se
l’intervento di un’ autorità esterna produca discriminazione, se l’iniziativa di uno dei due gruppi
possa generare discriminazione. L’esperimento che condussero consisteva in ciò: chi ha
ricevuto la ricompensa, ma anche coloro che non l’hanno ricevuta descrivono i membri del
proprio gruppo in modo più favorevole rispetto ai membri dell’altro gruppo. L’interpretazione →
soggetti a causa dei diversi risultati ottenuti dal proprio gruppo si sarebbero sentiti più a
proprio agio nell’interagire con i membri dell’ingroup piuttosto che con i membri dell’outgroup (
condividere la stessa sorte- effetto del destino comune- interdipendenza lewiniana) sembra
sufficiente a suscitare una discriminazione valutativa a favore del proprio gruppo di
appartenenza.
Bias ingroup – outgroup, nessun bias nella condizione di controllo in cui fra i gruppi
l’interdipendenza tendeva a zero.
Perché la condivisione di un destino comune ha tale effetto? Nuova connotazione dei due
gruppi (uno ritenuto vincente e l’altro perdente) con conseguenti cambiamenti emozionali
percepiti in se stessi e negli altri, oltre che al cambiamento conseguente circa le interazioni
faccia a faccia.
Tajfel → nel frattempo cercava di studiare le condizioni minime che creavano discriminazione
fra due gruppi (l’ostilità intergruppi è più comune e frequente di quanto riteneva Sherif. Forme
apparentemente innocenti di pregiudizi possono facilmente trasformarsi in forme aperte e
crudeli di ostilità (due orientamenti: tradizione scuola di Francoforte, distorsioni quasi
patologiche dello sviluppo personale e tradizione fenomenologia e psicologica della gestalt,
fenomeni di distruzione e crudeltà come manifestazioni assurdedi processi psicologici e sociali).
Tajfel → per chiarire il ruolo giocato dai processi di categorizzazione sociale nei comportamenti
intergruppi. Per lui non occorre spiegare la discriminazione intergruppi in termini di conflitti
oggettivi di interessi o di interdipendenza del destino. È sufficiente la categorizzazione in
gruppi di certi attori del mondo sociale. Ci sono condizioni minime per cui il comportamento
verso il proprio e l’altro gruppo non sono diversificate. Tajfel tentò di eliminare dalle situazioni
sperimentali tutte le variabili che possono portare alla discriminazione outgroup (si evitano
interazione faccia a faccia, anonimato di tutti i membri, evitare che ci fosse un legame
strumentale o razionale fra criteri di categorizzazione e natura delle risposte, argomenti
importanti per i soggetti, evitare che ci fosse legame utilitaristico o strumentale tra risposte e
loro interessi).
Esperimento di Tajfel → compito di percezione visiva e giudizio estetico. Attribuire una somma
di denaro ad un individuo dello stesso gruppo e ad un individuo di un gruppo diverso ( i
soggetti tendevano ad attribuire più denaro ai membri del proprio gruppo). Queste erano le
opzioni: max profitto per entrambi, max profitto a favore dell’ingroup con punteggio basso per
l’outgroup, max differenza a favore del gruppo di appartenenza, punteggi più uguali possibili.
Dai risultati sembrava dapprima che si fosse cercato un compromesso tra la norma
centrata sul primato del proprio gruppo e la norma di equità per offrire a ciascuno di
ognuno lo stesso trattamento. Poi Tajfel capì che le due spiegazioni erano state
insignificanti, in quanto non genuinamente euristiche.
Attenzione di Tajfel si attivò su due risultati: grande frequenza con cui i soggetti preferivano la
strategia della massima differenziazione a favore dell’ingroup e distribuzione delle ricompense
tra altri due membri dell’ingroup confrontato con la distribuzione verso due componenti
dell’outgroup. Per i membri dell’ingroup si preferiva max profitto comune in modo
significativamente più frequente che per i membri dell’outgroup. Conclusione di Tajfel: i
soggetti tentavano di raggiungere in qualche modo una differenziazione positiva a
favore dell’ingroup anche a costo di non essere imparziali con i membri dell’outgroup
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che erano anonimi. In una situazione in cui si pongono a confronto due gruppi si
attiva il bisogno di affermare la specificità positiva del proprio gruppo a scapito
dell’altro → paradigma del gruppo minimo.
Tajfel: la categorizzazione sociale (percezione di far parte di un gruppo in rapporto con un
altro) è sufficiente per produrre una discriminazione intergruppi in cui è favorito il gruppo di
appartenenza. Secondo Doise occorre anche ampliare il concetto di relazione tra gruppi
(processo di differenziazione categoriale: Doise verifica che vi è un aumento della
differenziazione dell’altro gruppo rispetto al proprio quando venivano preannunciati interazioni
di tipo competitivo. Esperimento di Doise e Weinberg: a confronto studenti maschi e femmine.
Interazioni cooperative o competitive con membri dell’altro sesso.
Ulteriori ricerche mostrarono che l’incrocio delle appartenenze categoriali provoca una
diminuzione della differenziazione categoriale. Prima fase: diminuzione della differenziazione
categoriale quando le due dimensioni sono presentate contemporaneamente anziché in modo
esclusivo; seconda fase: di fronte ad una categorixzzazione semplice si ha una valorizzazione
della propria categoria contro l’altra e nel caso di categorizzazione crociata tale differenza
sparisce senza che compaia una nuova differenziazione.
Tajfel opera una rivisitazione della sua teoria ed introduce una novità importante: confronto fra
proprio e altro gruppo genera specificità positiva del gruppo di appartenenza ( ≠ da quanto
sosteneva Festinger nella sua teoria del confronto sociale). Non omogeneità intragruppo, ma
confronto intergruppi che serve a sottolineare la specificità positiva del gruppo di
appartenenza. Tajfel afferma che i confronti sociali fra i gruppi sono volti a stabilire distinzioni
fra il gruppo proprio ed altri. Per Tajfel l’identità sociale è legata alla conoscenza della sua
appartenenza a certi gruppi sociali ed al significato emozionale e valutativo che risulta da tale
appartenenza. La nozione di identità sociale è diventata essenziale nella concezione di Tajfel
per spiegare i fenomeni di favoritismo ingroup e discriminazione outgroup.
Teoria dell’identità sociale: attori sociali percepiscono il loro ambiente sociale in modo da
permettere la distinzione tra un noi ed un loro. Dunque considerano sé e gli altri alla luce di
queste appartenenze categoriali, cosicché il sé è in qualche modo misura derivata
dall’appartenenza a un gruppo sociale.
Collaborazione Turner e Tajfel con il concetto di competizione sociale (in contrasto con la
competizione realistica di Sherif) → gruppi si impegnano in una reciproca competizione sociale
per difendere o acquisire un certo status. Competizione sociale: categorizzazione sociale
(rappresentazione semplificata dell’ambiente sociale con differenze tra categorie accentuate e
quelle all’interno ridotte), identificazione sociale (gli individui si definiscono e sono percepiti
dagli altri come membri di una certa categoria sociale), confronto sociale ( con altri gruppi e
sarà positiva se ne uscirà in grado di reggere il confronto). Per mantenere un’identità sociale
positiva si attiva una vera lotta. Se un soggetto vuole migliorare lo status del proprio gruppo
deve: o uscire ed inserirsi in un altro gruppo più prestigioso (mobilità sociale) o cercare di
cambiare il proprio gruppo con un cambiamento sociale.
Intorno agli anni Ottanta gli allievi di Tajfel si chiesero quali fossero i processi intragruppo e
come fosse interpretato il “gruppo”. Turner e la teoria della categorizzazione del sé:
categorizzare il sé significa porre l’identità sociale quale base sociocognitiva del
comportamento di gruppo e la categorizzazione considera sia il comportamento individuale che
quello di gruppo come un agire nei termini del sé, ma di un sé che opera a diversi livelli di
astrazione. Processo base: processo cognitivo della categorizzazione che comporta
un’accentuazione delle somiglianze categoriali. I diversi livelli sono: “human identità”(livello
sovraordinato del sé come essere umano), “social identità”( livello intermedio del sé come
membro di un gruppo in confronto con altri), “personal identità”( livello subordinato del sé
come individuo unico). È il contesto ad attivare le diverse categorizzazioni sociali del sé.
Principio del metacontrasto: minimizza differenze intracategoriali e massimizza le differenze
intercategoriali. Limite della categorizzazione del sé: in contesti sociali in cui esistono molteplici
dimensioni di confronto sociale e molte possibili categorizzazioni, diventa difficile prendere di
sé quella che prevarrà sulle altre.
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La scuola di Ginevra, critica sulla categorizzazione del sé, introduce la covariazione → le
dinamiche sociali a livello interindividuale e intergruppi sono simili ed interdipendenti.
Deschamps : ricerca di una distintività personale dipende dalle posizioni che l’attore occupa in
una rete particolare di relazioni intergruppi in cui i dominanti considerano se stessi come il
punto di riferimento in relazione al quale gli altri vengono definiti e non sentono l’esigenza di
definirsi come appartenenti ad un altro gruppo e, d’altra parte, i dominati che si definiscono e
vengono definiti nei termini delle categorizzazioni loro imposte. Doise e Lorenzo – Cioldi hanno
sollevato critiche su queste tesi di Turner, perché dava per scontato che il processo di
differenziazione categoriale offrisse una solida base cognitiva alla sua tesi dell’ antagonismo
funzionale fra i livelli di categorizzazione del sé.
Molte teorie sulle relazioni intergruppi sostengono che la solidarietà intragruppo aumenta
quando sono in corso conflitti intergruppi . Adorno → concetto di personalità autoritaria si basa
su questo assunto. La letteratura testimonia che la competizione fra gruppi non rafforza
sempre la solidità intragruppo. Marques ha descritto che la differenziazione intragruppo non si
manifesta soltanto in gruppi perdenti e frustrati, ma con l’effetto della “pecora nera” ha parlato
di svalutazione di elementi devianti marginali dell’ingroup per dimostrare la superiorità del
gruppo.
Worschel: problemi della costituzione dei gruppi → gruppi appena costituiti hanno la tendenza
a percepire l’ingroup come più omogeneo dell’outgroup.
Rupert Brown, uno degli eredi più noti della tradizione tajfeliana, ha messo in luce alcuni limiti
non secondari delle teorie di Tajfel e Turner (tre le contraddizioni: negli esperimenti riguardanti
i rapporti di status fra gruppi si evidenzia un favoritismo nei confronti dell’outgroup da parte di
gruppi di status inferiore, relazione tra identificazione con l’ingroup e processo di
differenziazione intergruppi, differenti tipi di comparazione intergruppi). Hinkle e Brown: su 14
studi solo in 2 appare robusto il favoritismo ingroup. Le teorie intergruppi sembrano ignorare il
fatto che i gruppi differiscono in modi diversi. Allora i due autori introducono due dimensioni
indipendenti (individualismo vs collettivismo e autonomo vs relazionale).
La dimensione ind. – coll. è un’ipotesi per cui i processi sociopsicologici postulati sono tipici di
gruppi o individui dall’orientamento collettivista ma non ad orientamento individualista. La
dimensione autonomo – relazionale, ortogonale alla prima, si riferisce al tipo di ideologia o di
orientamento adottato da un gruppo. I processi di categorizzazione del sé si verificano solo in
individui o gruppi collettivisti con orientamento relazionale. Nelle verifiche empiriche la
correlazione tra ind. – coll. e orientamento aut. – rel. è risultata bassa o inesistente (dimens.
indip. ortogonali).
Solo nei gruppi collettivisti e relazionali è presente una chiara correlazione tra identificazione
con l’ingroup e il bias a suo favore, ma sarebbe bello riuscire a capire cosa accade negli altri
tre tipi di gruppi previsti dalla tassonomia. Secondo gli autori, i collettivisti autonomi hanno
livelli relativamente alti di identificazione con l’ingroup, anche se non pari ai collettivisti
relazionali; gli individualisti (sia relazionali che autonomi) hanno un’identificazione degli
individui che dovrebbe essere più strumentale, ma facilmente abbandonata se tali scopi non
sono salienti.
Stereotipi: serie di generalizzazioni diventate patrimonio degli individui (in gran
parte derivati dal processo di categorizzazione). Stereotipo SOCIALE: se gli stereotipi
vengono condivisi da grandi masse di persone all’interno di gruppi sociali. È
un’immagine mentale semplificata al massimo condivisa da molti. Perché gli stereotipi?
Per spiegare eventi sociali complessi, a volte anche dolorosi, e per giustificazione di azioni
contro certi outgroup , e per differenziare positivamente l’ingroup in condizioni di difficoltà.
Tutti i processi intergruppi possono dar luogo a stereotipi sociali. Strettamente connessi con gli
stereotipi sono i pregiudizi. Pregiudizio: ha una connotazione unicamente negativa
(perché è giudizio dato prima di conoscere l’oggetto). In realtà potrebbe essere anche
positivo. Il pregiudizio è giudizio negativo se mantenuto a priori a dispetto dei fatti che lo
contraddicono. Atteggiamento negativo ingiustificato verso qualcuno che si fonda unicamente
sull’appartenenza del medesimo individuo a un particolare gruppo.
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Gli stereotipi sociali sono vere e proprie rappresentazioni sociali normative, ma non tutte le
rappresentazioni sociali sono stereotipi sociali. Ma da cosa nasce il passo successivo che dalla
discriminazione porta alla violenza? Barman: esigenza di distinguere il razzismo da forme
diverse di discriminazione intergruppi. Taguieff: razzismo ed eterofobia sono equivalenti e si
manifestano in tre livelli più complessi:
-Razzismo primario (universale per l’autore) → reazione naturale alla presenza di un estraneo,
-Razzismo secondario → l’altro è animato da intenzioni malvagie ed è oggettivamente
pericoloso, Razzismo terziario → caratterizzato dall’uso di argomentazioni che si richiamano
alla biologia. Barman non ha chiara la differenza tra razzismo secondario e terziario e ne
propone una nuova: eterofobia (ansia e disagio al cospetto del tale da non capire), inimicizia
competitiva (antagonismo generato dalla esigenza personale e sociale di costruire una propria
identità che distingue ognuno da un altro. Per Barman il razzismo è la convinzione che una
certa categoria di esseri umani non possa essere incorporata nell’ordine razionale. Si presume
di disporre di prove biologiche circa l’inferiorità e la pericolosità loro.
Capitolo 9 L’ INFLUENZA SOCIALE
In passato si dava per scontato che l’influenza sociale conducesse necessariamente al
conformismo. Studi più recenti hanno mostrato che occorre distinguere tra l’influenza generata
da una maggioranza e quella esercitata da minoranze che adottano stili di comportamento
coerenti. Mentre la prima genera conformismo, la seconda innovazione. Al di là della psicologia
delle folle, studio sul conformismo può essere fatto risalire ad Asch e Sherif. Sherif: interesse a
comprendere la vita sociale → analogia secondo lui tra situazione sociale e situazione
percettiva ambigua in cui manca ogni struttura di riferimento esterna rispetto al campo
percettivo. Esperimento di Sherif (sull’effetto autocinetico): nella situazione individuale il
soggetto elabora un campo di variazione ed una norma. Nella situazione individuale seguita da
una situazione di gruppo il giudizio del soggetto tende a convergere anche se in modo non così
netto. Nella situazione di gruppo seguita da situazione individuale per ognuno, dato che lo
stimolo è instabile, allora campo di variazione e norma del gruppo fanno da ancoraggio.
Quando i soggetti sono soli le norme di ciascuno mostrano un cambiamento nella direzione di
quella di gruppo. Interpretazione dati: il giudizio degli individui e la norma che ne deriva è
diverso dalla norma che il gruppo si dà. Nella situazione di gruppo i soggetti tendono a
strutturare il campo, convergendo nei loro giudizi verso una norma comune (chi diverge è
insicuro e si sente deviante).
Asch: fattori razionali quelli che fanno elaborare convergenza al gruppo. Asch, diversamente
da Sherif, ha preferito studiare una situazione non ambigua, chiara con due sole possibili
opzioni. Asch riteneva di applicare al campo della psicologia sociale il principio fondamentale
della teoria della gestalt, per cui l’esperienza sociale non è arbitraria, ma organizzata in modo
da essere coerente e sensata. Si impegnò a dimostrare che sia i fenomeni di conformismo che
di consenso sociale possono essere spiegati e compresi razionalmente. Per Asch lo studio
dell’influenza sociale diventa così lo studio delle pressioni esercitate sulle persone per farle
agire in modo contrario alle loro convinzioni ed ai loro valori, e delle forze che gli individui
mettono in atto per resistere alla coercizione ed alle minacce. Asch si attendeva che la
conoscenza della realtà trionfasse sulla pressione del gruppo che spinge l’individuo a sbagliare.
L’effetto della maggioranza ha riguardato solamente un terzo dei soggetti sperimentali. Come
interpreta Asch i risultati? Il soggetto critico si trova a dover fronteggiare un conflitto molto
acuto fra le informazioni dategli dalla sua percezione visiva e le informazioni che gli vengono
dalla situazione sociale. Se le condizioni lo consentono il singolo si muove verso il gruppo →
processo di ragionamento (non di suggestione) per determinare una visione oggettiva del
mondo.
Una delle più interessanti variazioni del modello di influenza sociale si deve a Deutsch e Gerard
che hanno collegato il paradigma di Asch e le ricerche sulle dinamiche di gruppo. Vi è un’
influenza sociale di tipo normativo ( la forza che spinge un soggetto, in quanto membro di
un gruppo, a rispondere in modo conforme alle attese positive) e un’ influenza sociale di
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tipo informativo ( la forza che spinge un individuo isolato ad accettare le informazioni
ottenute da altri come prove circa la realtà. La normativa deve essere più rilevante
dell’informativa: dà conformismo (è maggiore quando l’individuo agisce in quanto membro di
un gruppo che non quando non è coinvolto normativamente con gli altri).
Contributo di Moscovici: per lui i molteplici contributi considerati non hanno uno sfondo teorico
omogeneo (lavori di orientamento diversi) → tutti sembrano convergere su alcuni punti
essenziali. Paradigma dipendenza – controllo sociale e paradigma pressione verso il
conformismo. Caratteristiche del modello funzionalista dell’influenza sociale: è distribuita in
modo diseguale e viene esercitata secondo una modalità unilaterale (soltanto chi ha potere
può esercitare influenza; chi non ha potere o si adegua o rimane ai margini), scopo
dell’influenza sociale è di mantenere e rafforzare il controllo sociale (mantenere controllo sul
gruppo sociale mediante uniformità), relazionidi dipendenza determinano la direzione e la
rilevanza dell’influenza sociale esercitata in un gruppo (asimmetria nei fenomeni di influenza),
consenso che l’influenza è tesa a raggiungere è basato sulla norma dell’obiettività (i dati della
realtà fisica sono considerati più sicuri, meno ambigui dei dati della realtà sociale), tutti i
processi d’influenza sono visti nella prospettiva del conformismo ed il conformismo è
considerato sottofondo comune di questi processi (influenza può generare solo conformismo e
nulla d’altro). L’accettazione del modello funzionalista della realtà sociale porta a conseguenze
estreme: afferma Moscovici, perché i sistemi sociali vengono letti come dati di fatto e non
come entità che si costituiscono nell’ interazione sociale. Inoltre chi ha più prestigio ha la
funzione di mantenere il buon funzionamento del gruppo. Critiche alla concezione
funzionalista: negazione di ogni possibilità teorica dell’esistenza di processi di innovazione (che
è innegabile).
Nella teoria di Hollander e Homans c’è una concezione solo elitaria dell’innovazione e non
considera che la devianza propria di un’ elitè. Quindi per questa teoria potere ed influenza sono
sinonimi e l’origine di qualsiasi processo d’influenza risiede nel potere → ma si giunge al
paradosso di sostenere che il potere è causa e conseguenza dell’influenza. Le relazioni di forza
e di potere implicano unicamente cambiamenti superficiali. Esistono anche situazioni in cui non
compaiono distribuzioni diseguali di risorse e potere, ma l’ammirazione di molti sono provocati
da un insieme di qualità possedute (prestigio o carisma gli elementi costitutivi di un’influenza).
Moscovici visti i limiti del modello propone di abbandonarlo e di sostituirlo con un “modello
genetico”. Tutti i membri di un gruppo devono essere considerati portatori e bersagli di
influenza: influenza maggioritaria ( può realizzarsi nel quadro di una almeno apparente
collaborazione fra chi influenza e chi riceve) ≠ influenza minoritaria ( per esercitare influenza
deve definire una vera e propria posizione antagonista ed alternativa alla maggioranza).
Stile di comportamento: prestigio di una minoranza che attrae: consistenza dello stile.
L’influenza sociale minoritaria ha consistenza diacronica e sincronica. Stile di negoziato: rigidità
con minoranza intransigente e blocco delle comunicazioni nei confronti della maggioranza (
spesso le tesi minoritarie ottengono un’influenza rilevante e diretta quando adottano uno stile
flessibile).
Naturalizzazione: il sistema sociale si immunizza contro i devianti, svuotando di significato la
loro credibilità ( biologizzazione, psicologizzazione, sociologizzazione)
Il modello genetico d’influenza è stato utilizzato soprattutto per dar conto dei fenomeni
d’innovazione portati dall’influenza minoritaria. Diversi livelli con diverse risposte (manifeste o
sociali e latenti).
L’influenza maggioritaria provoca un cambiamento rilevante delle risposte a livello manifesto,
ma non fa altrettanto per le risposte latenti. L’influenza minoritaria ottiene a volte un
cambiamento delle risposte manifeste, ma produce soprattutto un cambiamento delle risposte
latenti. Condiscendenza prodotta dall’influenza maggioritaria e conversione prodotta
dall’influenza minoritaria. Esperimento delle diapositive di Moscovici e Personnaz: descrivono i
modi attraverso cui si attivano i processi d’influenza. Maggioranza consistente dà un messaggio
considerato legittimo dalla maggioranza e chi si oppone si sente deviante che può confrontarsi
con la maggioranza o con condiscendenza o con manifesto dissenso. Se il messaggio
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dell’influenza minoritaria è considerato falso ed illegittimo → risposta immediata di rifiuto se
non cede di fronte alle pressioni (porta l’individuo ad assumere il punto di vista sull’oggetto
della disputa per cogliere la risposta deviante (processo di validaz)
Teoria dell’elaborazione del conflitto: i diversi livelli dell’influenza sono l’effetto del modo in cui
il soggetto bersaglio di influenza si rappresenta la situazione.
Attività di validazione: dal punto di vista minoritario consiste in un processo di rielaborazione
psicologica della categorizzazione della fonte che culmina ad un principio organizzatore delle
posizioni minoritarie.
Come si giunge all’influenza indiretta: i soggetti bersaglio prendono posizione a proposito di
temi non toccati esplicitamente dal messaggio minoritario. Influenza indiretta comporta che il
soggetto elabori una doppia attività cognitiva ( una di confronto tra se stesso e la fonte di
influenza e l’altra di validazione delle posizioni minoritarie in quanto tali).
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