Bilanci energetici per processi termonucleari

UNIVERISTÀ DEGLI STUDI DI TORINO
Facoltà di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali
Tesi di laurea
BILANCI ENERGETICI PER PROCESSI
TERMONUCLEARI
ANNO ACCADEMICO 2010/2011
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Indice
1 - GENERALITÀ SULLE REAZIONI DI FUSIONE....................................................7
1.1 - Definizione di fusione termonucleare...................................................................7
1.2 - Reazioni di fusione termonucleare.....................................................................12
1.3 - Confinamento di plasmi termonucleari..............................................................17
1.4 - Il tokamak ITER.................................................................................................22
2 - SEZIONI D'URTO PER LE REAZIONI DI FUSIONE............................................24
2.1 - Parametrizzazione della sezione d'urto di fusione..............................................26
2.2 - Parametrizzazione di Duane (NRL plasma formulary)......................................32
2.3 - Formula di Peres e parametrizzazione di Bosch e Hale.....................................34
2.4 - Parametrizzazione di Xing..................................................................................37
3 - TASSO DI REAZIONE e PRODUZIONE ENERGETICA DI UN PLASMA
TERMONUCLEARE................................................................................................43
3.1 - Modello di reattività maxwelliana......................................................................45
3.2 - Modello di reattività di Thompson.....................................................................49
3.3 - Modelli di reattività basati sulla sezione d'urto di Duane...................................51
3.4 - Modello di reattività di Bosch e Hale.................................................................52
3.5 - Produzione energetica lorda in un plasma termonucleare..................................55
4 - PERDITE ENERGETICHE DI UN PLASMA..........................................................57
4.1 - Processi radiativi e processi collisionali.............................................................57
4.2 - Radiazione emessa da carica in moto accelerato................................................59
4.3 - Radiazione di franamento o bremsstrahlung termico.........................................61
4.4 - Radiazione di ciclotrone o bremsstrahlung magnetico.......................................73
4.5 - Radiazione di ricombinazione............................................................................84
4.6 - Radiazione di righe.............................................................................................87
4.7 - Modello MIST e radiazione da impurità............................................................90
5 – BILANCI ENERGETICI E CRITERIO DI LAWSON.............................................95
5.1 - Energia prodotta ed energia dissipata da plasma termonucleare........................95
5.2 - Il criterio di Lawson...........................................................................................99
5.3 - Condizioni di guadagno energetico per reattori elettronucleari.......................107
5.4 - Progresso verso un efficace reattore a fusione..................................................113
APPENDICE: CENNI DI FISICA DEL PLASMA.......................................................115
A.1 - Definizione di stato di plasma.........................................................................115
A.2 - Lunghezza di Debye........................................................................................115
A.3 - Quasi neutralità dei plasmi..............................................................................118
A.4 - Frequenza di plasma........................................................................................119
A.5 - Parametro di plasma........................................................................................121
A.6 - Moto di una particella in campo magnetico costante e uniforme....................123
A.7 - Trasporto e autoassorbimento della radiazione................................................124
Bibliografia....................................................................................................................130
3
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Lo studio dei bilanci energetici per un plasma termonucleare necessita preliminarmente
dello studio di due elementi distinti: la modellazione dell'energia liberata all'interno del
plasma dalle reazioni di fusione, e la modellazione dell'energia persa dal plasma
Il primo punto è argomento dei capitoli 2 e 3. In particolare si dimostrerà che la
densità di potenza generata dalle reazioni di fusione è data da P fus =R⋅ε , dove R è il
tasso di reazione, e ε è l'energia liberata da una singola reazione di fusione. Il tasso di
reazione è a sua volta esprimibile come una funzione integrale coinvolgente la sezione
d'urto per la reazione di fusione considerata. Il capitolo 2 sarà quindi dedicato alla
creazione di un modello matematico che permetta di rappresentare efficacemente la
sezione d'urto di fusione; i risultati ottenuti saranno quindi utilizzati nel capitolo 3 per
determinare la densità di potenza prodotta dal plasma termonucleare.
Il secondo punto, cioè la modellazione della potenza dissipata dal plasma
termonucleare, è invece argomento del capitolo 4.
Nel capitolo 5, sfruttando i risultati precedentemente ottenuti, sono infine studiati i
bilanci energetici per i processi di fusione termonucleare.
L'intero lavoro è preceduto (capitolo 1) da una breve introduzione alle reazioni di
fusione e alle macchine che permettono di realizzarla, e promettono in un prossimo
futuro di generare sufficiente energia elettrica da risolvere il problema energetico
mondiale.
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1 - GENERALITÀ SULLE REAZIONI DI FUSIONE
1.1 - Definizione di fusione termonucleare
La fusione nucleare consiste nella fusione di due nuclei leggeri per formare un nucleo
più pesante con massa minore della somma delle masse dei nuclei reagenti (min – mfin =
Δm > 0), con conseguente rilascio di energia in virtù della relazione di equivalenza
massa-energia di Einstein:
 E= m⋅c 2
dove Δm è il difetto di massa tra prodotti e reagenti, ΔE l'energia rilasciata nel processo,
e c la velocità della luce nel vuoto. Tale rilascio di energia indica che nel processo di
fusione è insito un passaggio a uno stato di maggior stabilità rispetto allo stato dei
reagenti; in altre parole l'energia dei prodotti della fusione è minore dell'energia dei
reagenti.
Naturalmente, si deve restringere il campo di studio alle sole reazioni esoenergetiche.
Per individuare tali reazioni possiamo utilizzare il seguente grafico sperimentale:
Tale grafico mostra l'energia di legame B per nucleone di un nucleo, in funzione del
numero di massa A del nucleo stesso. Possiamo osservare che la curva ha un andamento
a campana, in cui il picco è costituito dal Ferro 56. I dati sperimentali del grafico
precedente possono essere correttamente fittati dalla formula di Bethe-Weizsäcker
dell'energia di legame del nucleo[1].
7
Ricercare reazioni esoenergetiche, cioè in cui l'energia dei prodotti sia minore
dell'energia dei reagenti con conseguente emissione di energia (per il principio di
conservazione dell'energia), significa ricercare le reazioni in cui l'energia di legame del
nucleo prodotto sia maggiore dell'energia di legame dei nuclei reagenti; infatti nuclei
più legati richiedono più energia per essere scissi. Allora il grafico precedente ci
permette di concludere che sono esoenergetiche tutte quelle reazioni che percorrono la
curva 'in salita'. Una reazione nucleare che ammette come stato di partenza un nucleo
pesante (ad esempio l'Uranio) e come nuclei figli nuclei più leggeri (ad esempio
Rubidio e Cesio) è esoenergetica: tale reazione si dice fissione nucleare. In particolare la
reazione di fissione nucleare dell'Uranio 235 in Rubidio e Cesio più alcuni neutroni
veloci produce 211 MeV (≃ 3,4 · 10-11J ), con una produzione energetica per nucleone
pari quindi a 211/235 MeV ≃ 0,898 MeV per nucleone.
Una reazione invece che ammette come stato di partenza nuclei leggeri, ad esempio
nuclei di Idrogeno, e come stato finale un nucleo più pesante, ad esempio un nucleo di
Elio, è ancora esoenergetica e viene detta reazione di fusione nucleare. Se consideriamo
ad esempio la fusione di 2 protoni e 2 neutroni per formare un nucleo di 4He secondo la
reazione:
2p + 2n → 4He
abbiamo che si produce, per la legge del difetto di massa, un'energia pari a:
 E= m⋅c
2
con  m=2m p2m n−m He ≃[2⋅938,272⋅939,56−3728,40]
4
MeV
MeV
=27,26 2
2
c
c
Abbiamo quindi che la fusione di 4 nucleoni comporta la produzione di circa 27,26
MeV; la produzione energetica per nucleone è quindi pari a 27,26/4 MeV ≃ 6,82MeV per
nucleone, cioè circa 8 volte l'energia irradiata dalla fissione dell'uranio.
La fusione contemporanea di 4 nucleoni però è un evento non riproducibile in
laboratorio allo stato attuale delle tecnologie di fusione; la reazione più nota con stato di
arrivo 4He è la reazione Deuterio Trizio:
D + T → 4He + n
8
In questo caso:
 m=mD mT −m He −m n≃[1876,122809,43−3728,40−939,56]
4
MeV
MeV
=17,59 2
2
c
c
Si ha dunque che la reazione di fusione tra Deuterio e Trizio in Elio 4 (con il rilascio
aggiuntivo di un neutrone) genera 17,59 MeV di energia, con una produzione energetica
per nucleone pari a 4,40 MeV per nucleone, cioè circa 5 volte l'energia irradiata dalla
fissione dell'uranio.
Possiamo quindi dividere il grafico
precedente dell'energia di legame per
nucleone in due zone: la prima, a sinistra
della linea arancione, in cui sono
vantaggiose le reazioni di fusione, e la
seconda, a destra della linea, in cui sono
vantaggiose le reazioni di fissione.
Inoltre la reazione sarà tanto più energetica quanto maggiore sarà la differenza tra
l'energia di legame dei reagenti e dei prodotti, perché in questo modo si massimizza il
gap energetico tra lo stato di arrivo e lo stato di partenza della reazione. Allora, visto il
picco dell'Elio nel grafico, è evidente come le reazioni di fusione che ammettono come
prodotto proprio questo elemento sono le più interessanti da un punto di vista
energetico. A rigore, una reazione di fusione che ammetta come stato iniziale atomi di
Idrogeno e come stato finale atomi di Ossigeno, per esempio, sarebbe ancora più
energetica, ma, come già sottolineato, la fusione contemporanea di più di due atomi non
si verifica in natura e, allo stato attuale della tecnologia, non è riproducibile.
Per queste ragioni la reazione di fusione di 2 atomi di Idrogeno per formare un atomo di
Elio, è la reazione su cui si concentrano la maggior parte delle ricerche per ottenere
energia da reazioni di fusione nucleare controllate.
I semplici calcoli qua riprodotti mostrano l'applicazione del principio del difetto di
massa, e dimostrano come le reazioni di fusione nucleare siano energeticamente più
9
convenienti delle reazioni di fissione nucleare. In particolare, in termini di produzione
energetica per nucleone, la reazione di fusione nucleare è seconda solo alla reazione di
annichilamento materia-antimateria. Per avere delle stime numeriche a conferma del
potenziale energetico delle reazione di fusione nucleare, si consideri che la combustione
di un grammo di carbone genera 2,93 · 104 J/g, la fissione di un grammo di Uranio 235
genera 8,21 · 1010 J/g, mentre la fusione nucleare di un grammo di Deuterio e Trizio
genera 6,23 · 1011 J/g, cioè l'energia che si avrebbe con la combustione di circa 11
tonnellate di carbone, o la combustione di circa 10 tonnellate di petrolio, o ancora la
fissione di circa 8 grammi di Uranio.
Da un punto di vista microscopico si ha fusione nucleare quando i nuclei dei reagenti,
venendosi a trovare a distanze così ridotte da coinvolgere l'interazione nucleare forte, si
fondono in un nucleo unico finale. Tuttavia poiché
questo
avvenga,
visto
il
corto
range
dell'interazione forte (~10-15 m), i nuclei devono
essere avvicinati moltissimo in opposizione alla
forza repulsiva elettrostatica. L'andamento delle
energie potenziali in gioco è schematizzato nella
figura
a
lato:
considerando
il
sistema
di
riferimento in cui uno dei nuclei reagenti (ad
esempio Trizio) è a riposo, l'altro nucleo (il Deuterio nel nostro esempio) avvicinandosi
al bersaglio (regione A) avvertirà il potenziale repulsivo elettrostatico dovuto alla carica
concorde di bersaglio e proiettile (regione B); se il proiettile è sufficientemente
energetico da superare la barriera di potenziale elettrostatica, può accedere alla regione
C, dove l'interazione forte attrattiva domina sulla forza elettrostatica e permette la
fusione dei nuclei. La necessità di superare la barriera coulombiana costituisce la
maggior difficoltà tecnologica nel riprodurre reazioni di fusione nucleare, e
conseguentemente deve essere minimizzata: per questo motivo il combustibile preferito
per le reazioni di fusione, allo stato attuale delle tecnologie disponibili, è l'Idrogeno.
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Una semplice accelerazione di un fascio di nuclei usati come proiettile e a energie
sufficientemente alte su un nucleo bersaglio può generare reazioni di fusione nucleare.
Tuttavia, volendo estrarre energia dal processo di reazione di fusione nucleare è
indispensabile poter ottenere un gran numero di reazioni nell'unità di tempo, e quindi il
meccanismo dell'accelerazione di particelle non è energeticamente proficuo.
Nella fusione termonucleare l'energia per superare la barriera coulombiana è fornita dal
calore; il combustibile viene quindi portato a temperature sufficientemente alte perché
la conseguente agitazione termica conferisca ai nuclei l'energia cinetica sufficiente a
superare la barriera coulombiana. Nel caso della fusione di due isotopi dell'Idrogeno
(minimizzando così l'entità della barriera) si ha una barriera coulombiana data da V 0
≃
400 keV, che, supponendo una distribuzione maxwelliana per l'energia termica dei
reagenti, corrisponde a una temperatura media di circa 4,5 miliardi di gradi Kelvin.
Di fatto non sono necessarie energie così elevate, in quanto nel superamento della
barriera potenziale entra in gioco l'effetto tunnel quantistico [2]: svolgendo i calcoli si
ricava che la sezione d'urto di fusione Deuterio-Trizio mostra un chiaro picco ad
un'energia di circa 100 keV (circa 1 miliardo di gradi Kelvin). La temperatura a cui deve
essere portato il combustibile perché si inneschi la fusione sperimentalmente è
comunque ancora minore: infatti se si considera una distribuzione maxwelliana centrata
ad una temperatura più bassa di 100 keV, la coda superiore di tale distribuzione potrà
ancora contribuire alla reazione di fusione con una sezione d'urto soddisfacente. Nelle
moderne macchine sperimentali per la produzione energetica per via termonucleare la
temperatura di esercizio è nell'ordine dei 10 keV (circa 100 milioni di gradi Kelvin).
Nonostante ci siamo ridotti ad energie pari a 1/40 della barriera di potenziale, si tratta
comunque di temperature estremamente elevate, e ben al di sopra della temperature di
liquefazione dei materiali costituenti un'ipotetica camera di combustione (la temperatura
di liquefazione dei più sofisticati scudi termici è di circa 4000 gradi Kelvin). Esiste
quindi un importante problema tecnologico per la riproduzione della fusione
termonucleare in laboratorio.
11
Alle temperature considerate per la fusione di nuclei di Idrogeno, nell'ordine dei 10 keV,
il combustibile si presenta nello stato fisico di plasma. É proprio tale condizione a
permettere sperimentalmente la fusione alle citate temperature 25000 volte maggiori
della temperatura di liquefazione del miglior scudo termico oggi disponibile. Infatti
nello stato di plasma gli atomi sono completamente ionizzati, e la materia si presenta
sotto forma di nuclei atomici ed elettroni separati, e quindi particelle cariche: dunque il
plasma può essere efficacemente contenuto per mezzo di intensi campi magnetici.
Allo stato attuale delle ricerche, nonostante teoricamente esistano reazioni
energeticamente più convenienti di quelle che utilizzano come combustibile l'Idrogeno,
l'utilizzo di combustibili con Z > 1 è da escludere per la presenza di limiti tecnologici
sulle temperature che possono essere raggiunte. Infatti, utilizzare combustibile diverso
da Idrogeno, con numero atomico maggiore, comporta barriere di potenziale più
importanti, e quindi temperature di innesco più alte.
1.2 - Reazioni di fusione termonucleare
Sono circa 21 le reazioni di fusione termonucleare che rivestono un particolare interesse
nelle ricerche per la produzione energetica, per via della loro alta sezione d'urto per
energie minori di 1 MeV. Molte di queste però richiedono come combustibile particelle
subatomiche o elementi non direttamente disponibili in natura, e quindi, per quanto
sperimentalmente interessanti, non sono particolarmente adatte agli scopi prefissi di
produzione energetica per via termonucleare dalla fusione.
Nel valutare queste possibili reazioni di fusione nucleare abbiamo già valutato due
importanti condizioni:
•
il combustibile deve essere costituito da nuclei atomici con Z = 1 per ridurre al
minimo l'entità della barriera coulombiana tra i reagenti
•
lo stato di arrivo deve contenere preferibilmente l'Elio, poiché in questo modo si
massimizza la resa energetica della reazione
12
Il
successivo
importante
elemento
da
considerare è la sezione d'urto di fusione,
che è un parametro caratteristico per ogni
reazione. Infatti una maggior sezione d'urto
implica una maggior probabilità di tunnel
attraverso la barriera elettrostatica, e quindi,
in ultima analisi, una maggior produzione
energetica.
Nella figura a lato sono riportate le sezioni
d'urto sperimentali per alcune possibili
reazioni di fusione: si può chiaramente notare come la sezione d'urto per la reazione
Deuterio Trizio sia dominante alle basse energie (fino a 100 keV) per non meno di 2
ordini di grandezza. Inoltre, visti i problemi tecnologici connessi con le alte temperature
in gioco, è anche importante notare come il picco della reazione D-T, cioè la
temperatura di massima efficienza per tale reazione, sia a temperature inferiori rispetto
ai picchi delle altre reazioni: questo vuol dire che la reazione Deuterio-Trizio, rispetto
ad altre reazioni, è la più efficiente a basse temperature.
Analizziamo quindi più nel dettaglio le reazioni di fusione termonucleare più
promettenti per la produzione energetica.
➢ REAZIONE DEUTERIO-TRIZIO
La reazione avviene secondo il seguente schema e con il seguente output energetico Q:
D + T → 5He → 4He + n
(Q ≃ 17,59 MeV)
dove l'Elio 5, essendo un isotopo instabile, decade immediatamente nello stato finale.
Deuterio e Trizio sono due isotopi dell'Idrogeno. Il primo si può ottenere facilmente per
elettrolisi dell'acqua; da un metro cubo d'acqua si possono estrarre in questo modo circa
30 grammi di Deuterio, e pertanto è un combustibile praticamente inesauribile ed
equamente distribuito sulla superficie del pianeta. Il secondo è un elemento radioattivo
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con tempo di dimezzamento pari a 12,4 anni, e pertanto non è presente in natura e va
appositamente prodotto per essere utilizzato come combustibile. Questo problema può
essere risolto considerando la reazione:
n + 6Li → 4He + T
(Q ≃ 4,78 MeV)
Così, foderando la parete interna della camera di combustione con il Litio 6, di cui
esistono abbondanti scorte naturali più o meno equamente distribuite sul pianeta, si può
produrre in loco il Trizio necessario per la reazione.
Trascurando le energie iniziali dei reagenti (~ keV) rispetto al Q value della reazione (~
MeV), abbiamo che l'output energetico sarà dovuto interamente all'energia cinetica dei
prodotti:
1
1
mHe υ 2He  mn υ2n≃Q
2
2
Trascurando ancora il moto dei reagenti, nello stato finale, per conservazione
dell'impulso, gli impulsi saranno circa uguali ed opposti:
m He υ He≃mn υ n
Combinando queste due equazioni si ottiene quindi che:
1
m He υ 2He
m
2
≃ n ≃0,25
1
m He
m υ2
2 n n
Abbiamo quindi che l'Elio 4 assorbe il 20% dell'energia totale prodotta, mentre il
neutrone assorbe l'80%; pertanto l'energia prodotta è cosi divisa:
D + T → 4He (3,52 MeV) + n (14,07 MeV)
Volendo confinare il combustibile che si trova nello stato di plasma per via magnetica,
possiamo osservare che con questa reazione si può contenere nel reattore solo il 20%
dell'energia totale prodotta (3,52 MeV), mentre il resto dell'energia abbandona la
camera di combustione e potrà essere recuperata solamente in parte attraverso processi
di urto in moderatori con conseguente conversione dell'energia cinetica in calore.
14
Mantenere il più possibile l'energia all'interno della camera di combustione è una
condizione fondamentale, come vedremo, per mantenere il plasma a temperature
termonucleari senza dover ricorrere ad un sistema di riscaldamento, il ché va a beneficio
dei bilanci energetici.
Inoltre esiste un secondo elemento da considerare: la pioggia di neutroni sulle strutture
del reattore, a lungo andare, provocherà una leggera radioattivazione delle strutture
stesse; si tratta comunque di una radioattività debole e che si può considerare totalmente
esaurita in un tempo nell'ordine dei 50 anni (diversamente dagli scarti della fissione
termonucleare).
➢ REAZIONE DEUTERIO-DEUTERIO
La reazione Deuterio-Deuterio può avvenire in tre diversi modi:
1 - D + D → 4He + γ
(Q ≃ 23,85 MeV)
2 - D + D → 3He + n
(Q ≃ 3,27 MeV)
3-D+D→T+p
(Q ≃ 4,03 MeV)
La prima reazione ha un sezione d'urto bassissima e trascurabile rispetto alle sezioni
d'urto tipiche della reazione Deuterio-Trizio (~ barn); inoltre la maggior parte
dell'energia della reazione è portata via in energia cinetica dal raggio γ, energia che sarà
trasformabile in energia termica in modo ancor meno efficiente rispetto al caso del
neutrone della reazione D-T, essendo tale tipo di radiazione altamente penetrante.
La reazione 2 e 3 invece avvengono con probabilità circa uguali, e la somma delle loro
sezioni d'urto è riportata nel grafico di pagina 13: si vede chiaramente coma tale sezione
d'urto, a basse energie, sia decisamente inferiore alla sezione d'urto della reazione
Deuterio-Trizio. La divisione dell'energia dei prodotti delle reazioni 2 e 3 è riportata qua
di seguito, ed è stata ricavata in modo analogo a quanto fatto per la reazione D-T:
2 - D + D → 3He (0,66 MeV) + n (2,61 MeV)
3 - D + D → T (1,00 MeV) + p (3,03 MeV)
E allora si può osservare chiaramente come la reazione 2 presenta le stesse
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problematiche della reazione D-T (salvo l'approvvigionamento di Trizio), ma è meno
energetica e ha sezione d'urto minore.
La reazione 3 invece ha il vantaggio di produrre solo prodotti carichi, che quindi
possono essere tutti contenuti magneticamente all'interno della camera di combustione,
senza perdite energetiche da questo punto di vista. Vista comunque la sua bassa sezione
d'urto, la reazione D-D è molto meno studiata della reazione D-T; eventualmente potrà
essere una valida sostituta della reazione D-T se e quando si sarà in grado di mantenere
stabilmente plasmi a temperature superiori, dove le sezioni d'urto delle due reazioni
diventano paragonabili. Tuttavia allo stato attuale delle ricerche e delle tecnologie
disponibili, la reazione con il Trizio è maggiormente energetica.
➢ REAZIONE DEUTERIO-ELIO 3
La reazione tra Deuterio e l'Elio 3 avviene secondo il seguente schema:
D + 3He → 4He + p
(Q ≃ 18,35 MeV)
e seconda la seguente suddivisione energetica dei reagenti:
D + 3He → 4He (3,67 MeV) + p (14,68 MeV)
Allora si può osservare che la reazione Deuterio-Elio 3 è molto vantaggiosa: non c'è
produzione di neutroni, e quindi non c'è attivazione delle strutture del reattore; inoltre
tutti i prodotti sono carichi e quindi possono essere confinati magneticamente all'interno
della camera di combustione, con grande beneficio per i bilanci energetici di fusione. In
particolare l'energia disponibile in prodotti carichi in questa reazione è circa 5 volte
superiore a quella Deuterio-Trizio. Tuttavia la fusione dei nuclei di Deuterio e di Elio
presenta una grande barriera coulombiana, e conseguentemente per innescare la fusione
sono necessarie temperature circa 6 volte maggiori rispetto alle temperature della
reazione Deuterio-Trizio.
Se e quando si sarà in grado di produrre e confinare plasmi a tali temperature, allora la
reazione Deuterio-Elio 3 potrà essere un'ottima sostituta della reazione Deuterio-Trizio,
garantendo una resa energetica molto superiore; tuttavia allo stato attuale delle ricerche
e delle tecnologie disponibili tale reazione non è conveniente. Inoltre l'3He è
16
estremamente raro sulla terra, mentre è presente in una certa quantità nel suolo Lunare.
1.3 - Confinamento di plasmi termonucleari
Si è dimostrato come la reazione di fusione termonucleare Deuterio-Trizio
D + T → 4He + n
sia quella che fornisca la maggior resa energetica nelle condizioni fisiche che la
tecnologia oggi disponibile ci permette; si è anche visto che perché in una miscela di
Deuterio e Trizio si inneschino reazioni di fusione nucleare sono necessarie energie
nell'ordine dei 10 keV, e quindi temperature nell'ordine dei 100 milioni di gradi K. Ad
una tale temperatura la materia si presenta nello stato fisico di plasma.
Il principale problema tecnologico nella realizzazione della fusione termonucleare è
come scaldare, mantenere stabile, e confinare un plasma a queste elevate temperature.
Sono noti tre modi per confinare plasmi termonucleari:
•
confinamento gravitazionale
È il meccanismo di confinamento che si verifica nelle stelle: gli enormi campi
gravitazionali provocati dalle immense masse in questione, mantengono il plasma
confinato; le forze sono di tale intensità da permettere che all'interno della stella si
raggiungano pressioni e temperature così elevate che si innescano reazioni di fusione
termonucleare. Ovviamente tale tipo di confinamento non è riproducibile in laboratorio
visto il modesto campo gravitazionale terrestre se paragonato a quello delle stelle.
•
confinamento inerziale
Il confinamento inerziale si basa sul principio della compressione di un piccolo volume
di combustibile nucleare. Nella pratica, un piccolo involucro contenente una goccia di
alcuni millimetri di diametro composta da una miscela di Deuterio e Trizio, viene
bombardata contemporaneamente da molteplici direzioni da fasci laser di grande
intensità (~ MJ) per brevissimi tempi (~ 10 ns). In questo modo si genera l'ablazione
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dello strato superficiale della microsfera di combustibile, che quindi implode. Durante
l'implosione si raggiungono densità e temperature così elevate che si innesca la fusione
nucleare, con grande liberazione di energia sotto forma di calore. La fusione dura per il
tempo in cui l'inerzia dei nuclei stessi li tiene uniti, e cioè pochi istanti (~ ns). Quando la
microsfera di combustibile torna ad espandersi per le pressioni interne, raffredda, e
quindi cessa la fusione. La macchina a fusione per confinamento inerziale è quindi una
macchina a funzionamento pulsato, e per la produzione energetica dovrebbe ripetere
questo ciclo alcune volte al secondo. Esistono al mondo alcuni esperimenti basati su
questa tecnologia, ma le modeste energie sprigionate dalle reazioni di fusione che
durano per tempi così brevi, non compensano nemmeno lontanamente l'energia
necessaria per produrre fasci laser di tale energia.
•
confinamento magnetico
Il confinamento magnetico è stata la prima tecnologia ad essere studiata (a partire dalla
seconda metà degli anni '50) per il contenimento dei plasmi termonucleari, e tali studi
rientravano nel più ampio quadro delle ricerche nel campo della fusione termonucleare
per scopi civili; ricerche sulla fusione erano già state condotte negli Stati Uniti e
nell'Unione Sovietica durante i primi anni '50, e culminarono nei test atomici Ivy Mike
(USA) nel 1952 e di RDS-37 (URSS) nel 1955.
Lo scopo delle ricerche era quello di mettere a punto un sistema di confinamento basato
sull'utilizzo di campi magnetici e in grado di confinare efficacemente plasmi a
temperature e densità termonucleari per tempi sufficientemente lunghi. Un
confinamento di tipo convenzionale meccanico infatti non è possibile: le pareti della
camera di combustione dovrebbero essere a temperature notevolmente più basse della
temperatura del plasma, e quindi un contatto
provocherebbe una fuga di energia dal plasma e
contemporaneamente vasti e gravi danni alla struttura
di contenimento stesso. Il confinamento magnetico
permette di contenere il plasma in regioni limitate
senza bisogno di un contenimento meccanico,
18
sfruttando il principio per cui le particelle cariche componenti il plasma si muovono in
traiettorie elicoidali intorno alle linee di campo, e non nel modo caotico tipico
dell'agitazione termica, impedendo quindi il contatto tra il plasma e le superfici limitanti
la camera di combustione. Per chiudere il sistema, dopo aver studiato strutture più
semplici, ma non soddisfacenti, si optò per chiudere le linee di campo su se stesse in una
forma toroidale.
Il risultato finale è quello di ottenere una struttura a toro in cui il campo principale
toroidale è prodotto da una serie di bobine in cui vengono fatte circolare forti correnti,
come schematizzato nella figura sottostante.
Un campo magnetico di questo tipo presenta due disuniformità: una in modulo dovuta al
fatto che per il teorema di ampere il campo generato dalle spire seguirà un andamento
1/r, e una in direzione dovuta alla curvature delle linee di campo. Si può dimostrare che
tali disuniformità nel campo magnetico generano dei moti di deriva nelle traiettorie
delle particelle[3], derive che possono essere controllate con l'introduzione di un campo
magnetico giacente sulla superficie della sezione poloidale del toro, come mostrato in
figura.
Tale campo viene prodotto facendo circolare all'interno di una bobina lungo l'asse
principale del toro una corrente variabile monotonamente. In tal modo la bobina funge
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da circuito primario e il plasma da circuito secondario, e quindi al suo interno è indotta
una corrente toroidale (freccia rossa), la quale a sua volta genera il campo poloidale. Il
campo magnetico risultante sarà generato dalla combinazione di questi due campi, e
quindi sarà costituito da eliche che si avvolgono sulla superficie toroidali, e le particelle
seguiranno traiettorie elicoidali intorno a tali linee di campo. Il campo magnetico
risultante è mostrato nella figura sottostante;
Un campo così costituito non è ancora in grado di confinare in modo stabile il plasma [3]:
infatti il campo poloidale presenta delle disuniformità in modulo tra la regione più
interna e la regione più esterna, e il plasma necessita quindi di un confinamento
verticale, prodotto con bobine che avvolgono la macchina a confinamento in modo
coassiale all'asse principale del toro. L'insieme di tutti gli elementi che forniscono il
confinamento magnetico è presentato nell'immagine seguente:
20
Nella figura sottostante è presentato il risultato finale della superficie generata dalle
linee di campo.
Una macchina di questo tipo prende il nome di Tokamak, acronimo in russo per camera
toroidale con bobine magnetiche (TOroidal'naya KAmera MAgnitnymi Katushkami), e
il primo prototipo fu elaborato in Unione Sovietica nel 1957 da Sakharov e Tamm.
Poiché la variazione di corrente nella bobina centrale deve essere monotona, tale
variazione può durare per un tempo finito, e quindi il campo poloidale esisterà per un
tempo finito: il Tokamak è quindi una macchina a funzionamento impulsato.
Parallelamente, negli stessi anni, negli Stati Uniti fu elaborata da Spitzer una macchina
analoga, che producendo un campo magnetico toroidale e poloidale con la stessa
bobina, poteva avere un funzionamento continuo. Tale macchina è detta Stellarator, e lo
schema delle sue bobine è presentato qua di seguito in due possibili configurazioni:
Si può notare chiaramente come la struttura Tokamak risulti molto più semplice e
modulare, e quindi più economica. Inoltre le macchine Stellarator, proprio in ragione
della loro complessità, non permettono il controllo del plasma ad elevate pressioni
magnetiche in modo altrettanto efficace ai Tokamak. Per questi motivi i maggiori sforzi
di ricerca si concentrano su macchine di tipo Tokamak; nel mondo sono comunque
presenti esperimenti su macchine di tipo Stellarator (W7-X, NCS).
21
1.4 - Il Tokamak ITER
Il progetto ITER (International Thermonuclear Experimental Reactor) si colloca nel più
ampio disegno del programma di ricerca sulla fusione nucleare dell'Unione Europea. Il
progetto precedente, JET (Joint European Torus), costruito per studiare il plasma in
condizioni termonucleari, ha dimostrato la fattibilità tecnica e scientifica della reazione
di fusione nucleare, generando e controllando per la prima volta una reazione di fusione
termonucleare tra Deuterio e Trizio nel 1991; inoltre JET ha permesso di verificare e
collaudare tecniche e materiali che verranno ampiamente utilizzati in ITER. Il Tokamak
JET, tra gli altri record raggiunti, ha quasi raggiunto il paraggio energetico tra potenza
in ingresso e potenza in uscita, mantenendo per tempi maggiori di 30s Q
≃
0,5 e
raggiungendo Q ≃ 0,94[4].
Il progetto ITER, partendo da questi presupposti, dovrà dimostrare di poter generare e
mantenere, per tempi di circa 20 minuti, una reazione di fusione nucleare che generi più
energia di quanta ne venga consumata per mantenere il plasma nelle condizioni
necessarie perché la fusione avvenga, validando e se possibile incrementando le attuali
conoscenze sulla fisica del plasma. I lavori di costruzione dell'impianto, iniziati nel
2006, saranno completati nel 2012, e secondo la tabella di marcia, il primo plasma sarà
prodotto nel 2019 (secondo il calendario pubblicato dalla IAEA[5]).
Le caratteristiche principali del reattore ITER
saranno le seguenti:
• Altezza edificio: 24 m
• Larghezza edificio: 30 m
• Raggio esterno Tokamak: 6,2 m
• Raggio interno Tokamak: 2 m
• Temperatura del plasma: ≃ 2 · 108 K (20 keV)
• Potenza in uscita: ~ 500 - 700 MW
• Volume di plasma: 837 m³
• Campo magnetico sull'asse toroidale: 5,3 T
• Durata dell'impulso di fusione: > 600 s
• Rendimento: Q > 10
22
La road map delle ricerche sulla fusione dell'EU prevede, se ITER dovesse dare i
risultati attesi, la costruzione di DEMO (DEMOnstration power plant), impianto pilota
della prima centrale elettrica a fusione nucleare, che avrà lo scopo di dimostrare la
possibilità di produrre energia elettrica nelle condizioni tipiche di un reattore
commerciale, in particolare raggiungendo rendimenti nettamente superiori a quelli di
ITER. Inoltre sonderà la capacità delle strutture del reattore di resistere ai carichi
energetici provocati dal plasma termonucleare per lungi periodi (almeno 10 anni).
DEMO, secondo le stime attuali, genererà circa 2 GW di potenza elettrica, cioè come
una grossa centrale a fissione nucleare, e sarà operativo a partire dal 2033[5].
Sull'impianto pilota DEMO sarà successivamente costruita la prima vera e propria
centrale elettrica commerciale PROTO, che avrà lo scopo di dimostrare la possibilità di
generare energia elettrica in quantità
compatibili
con
le
aspettative,
e
soprattutto dimostrare che il costo di tale
energia sarà concorrenziale con quello
dell'energia
prodotta
in
modo
convenzionale. La messa in funzione di
tale impianto è prevista per non prima
del 2060[5].
23
2 - SEZIONI D'URTO PER LE REAZIONI DI FUSIONE
Lo studio sperimentale delle sezioni d'urto di fusione tra nuclei, fin dai primi anni di
ricerca sulla fusione termonucleare (anni '40), ha rivestito un'importanza fondamentale.
In particolare ha permesso di determinare quale fosse la reazione più vantaggiosa ai fini
della produzione energetica, e in quale range di energie. Tale studio sperimentale è
continuato negli anni con la raccolta di dati sempre più completi e precisi; In particolare
si farà qua riferimento al database aggiornato a febbraio 2011 Evaluated Nuclear Data
File (ENDF), libreria B VII.0, del National Nuclear Data Center [6]. Si tratta di un
database non puramente sperimentale: i valori riportati sono matematicamente ricavati
per mezzo di opportune medie sui numerosi
dati sperimentali disponibili, e dalle relative
interpolazioni. Le sezioni d'urto derivate da
tale database per le principali reazioni di
fusione sono riportata nel grafico a lato.
Tale
grafico
è
costruito
in
funzione
dell'energia della particella proiettile (a),
che urta su una particella bersaglio a riposo
(b). In qualunque momento è possibile
passare alle energie del centro di massa
della reazione mediante la relazione:
ECM =
mb
E
m am b proiettile
Dal grafico è inoltre evidente come la sezione d'urto presenta una forte dipendenza
dall'energia relativa delle particelle interagenti. La caratteristica forma di questa curve si
spiega osservando che perché possa avvenire la fusione, le particelle si devono
avvicinare fino a una distanza sufficiente a far attivare le forze nucleari a corto range,
superando quindi la barriera di potenziale a lungo range dovuta alla repulsione
elettrostatica; a tal fine, per effetto tunnel, non è necessario che le particelle abbiano
effettivamente un'energia superiore al picco della barriera coulombiana. Allora,
maggiore sarà l'energia relativa e maggiore sarà la possibilità di effetto tunnel e quindi
24
di fusione; per contro, quando l'energia aumenta troppo la sezione d'urto diminuisce
poiché diminuisce il tempo di interazione tra le particelle. Da qui la tipica forma a
campana delle sezioni d'urto.
Dall'osservazione dell'andamento delle
σ
[Barns]
1,00E+01
sezioni d'urto possiamo affermare che la
D-T
D-D
1,00E+00
reazione tra Deuterio e Trizio è la
1,00E-01
reazione con sezione d'urto maggiore a
piccole energie tra quelle considerate;
1,00E-02
questo implica che a tale reazione è
1,00E-03
associata una considerevole produzione
1,00E-04
0
50
100
150
200
250
300
energetica già a basse temperature.
Energia proiettile
[Kev]
Come già accennato nel paragrafo 1.2, sono proprio queste considerazioni sulla minore
temperatura di innesco della reazione Deuterio-Trizio ha renderla la reazione
maggiormente utilizzata nei moderni impianti di ricerca sulla fusione nucleare.
La conoscenza della sezione d'urto per le reazioni di fusione nei moderni impianti dove
si svolgono esperimenti di fusione nucleare è indispensabile anche per un altro motivo:
la diagnostica del plasma passa attraverso misure del tasso di reazione, a sua volta
funzione della sezione d'urto. Per poter quindi controllare efficacemente il plasma, è
necessario conoscere la sezione d'urto per la fusione dei combustibili utilizzati.
Convenzionalmente, si fissa in 5% il limite superiore alla discrepanza accettata tra il
modello matematico descrivente l'andamento della sezione d'urto e i dati sperimentali.
25
2.1 - Parametrizzazione della sezione d'urto di fusione
Generalmente, quando si deve parlare di sezioni d'urto non sono tanto i dati sperimentali
ad essere usati, ma piuttosto le parametrizzazioni semi-empiriche basate sui dati
sperimentali raccolti. L'utilizzo di una parametrizzazione comporta numerosi vantaggi,
tra i quali disporre di un modello matematico utilizzabile in eventuali calcoli analitici.
L'approccio teorico alla modellazione della sezione
d'urto passa attraverso lo studio quanto-meccanico
dell'interazione di due nuclei con numero atomico Z 1
e Z2 (nel nostro caso un nucleo di Deuterio che
collide con un nucleo di Trizio a riposo nel sistema di
riferimento del laboratorio), che, ostacolati dalla
presenza della forza repulsiva coulombiana, devono
avvicinarsi fino a una distanza nell'ordine dei 10 -15m,
distanza di interazione della forza nucleare.
Il problema può essere studiato come combinazione di due problemi distinti: una prima
parte di avvicinamento dei due nuclei ostacolato dalla forza elettrostatica repulsiva, e
una secondo fase in cui avviene effettivamente la reazione nucleare di fusione. Il calcolo
rigoroso della sezione d'urto prevede la soluzione del problema quantistico mediante la
risoluzione dell'equazione di Schrödinger: una parziale soluzione analitica è fornita dai
calcoli di Flügge e Pruett[7], ma le difficoltà matematiche non permettono di pervenire
ad una soluzione analitica completa.
Si può ottenere una soluzione approssimata per energia cinetica relativa dei nuclei
coinvolti minore della barriera di potenziale (circa 400 keV per la reazione DeuterioTrizio): in questo caso, infatti, la fase di reazione nucleare di fusione non contribuisce
sostanzialmente alla sezione d'urto totale, che viene quindi a essere determinata solo
dalla presenza della barriera di potenziale coulombiana; in altre parole, qualunque
coppia di nuclei che si avvicina a distanza di interazione della forza nucleare forte, si
fonde. La sezione d'urto del problema è quindi, nell'approssimazione di energie minori
della barriera di potenziale, la sezione d'urto di penetrazione della barriera di potenziale
26
dovuta all'effetto tunnel quantistico.
Assumendo un potenziale coulombiano molto
semplificato
come
quello
riportato
nello
schema, si vuole determinare la probabilità per
cui una particella sopraggiungente da +∞
(regione A) attraversi la barriera di potenziale
(regione B) e penetri nella regione C; L è lo
spessore della barriera di potenziale.
Procediamo quindi con la risoluzione dell'equazione stazionaria unidimensionale di
Schrödinger
−
ℏ2 d 2 ψ r
V r  ψ r =Eψ r 
2μ dr 2
associata a questo potenziale per il caso particolare E < V0, poiché vogliamo considerare
una particella con energia minore della barriera di potenziale. Dobbiamo quindi
risolvere il sistema
2
d ψ r 
2μ
=− 2 Eψ r 
2
dr
ℏ
nelle regioni A e C
d 2 ψ r 
2μ
=− 2  E−V 0 ψ r 
2
dr
ℏ
nella regione B
dove μ è la massa ridotta del sistema.
La soluzione analitica del problema ci permette di definire il coefficiente di trasmissione
T che esprime quanta parte dell'onda materiale passa attraverso la barriera di potenziale,
cioè la probabilità di effetto tunnel , secondo l'equazione
−1
V 02
2
T =[1
sinh  βL] ,
4 E V 0−E 
dove
β=

2μV 0−E
ℏ
2
Nel limite di basse energie, cioè con E << V0, il coefficiente di trasmissione prende la
forma:
27
T=
E
,
EbV 20
2
μL
dove b= 2
2ℏ
Questo risultato è una forte approssimazione, poiché l'ipotesi di partenza di barriera
rettangolare è una forte approssimazione del caso fisico reale.
Una trattazione più rigorosa del problema può
essere svolta
utilizzando il potenziale dello
schema a lato, che evidenzia la presenza della
barriera coulombiana descritta da:
2
Z Z e C
per r > r0,
V r = 1 2 =
4πε0 r r
e della buca di potenziale della forza nucleare
V(r) = V*
per r > r0.
Teoricamente bisognerebbe anche considerare che il potenziale elettrostatico generato
da una carica in un plasma non ha il caratteristico andamento coulombiano ~ 1/r, ma si
presenta con un andamento esponenzialmente smorzato, secondo l'equazione:
r
q −λ
V  r = e
r
D
dove λD è la lunghezza di Debye del plasma (cfr. appendice A.2)
Considerare tale tipo di potenziale porta ad una notevole complicazione nei calcoli, ma
non a una sostanziale differenza nel risultato numerico finale; tale trattazione verrà
pertanto tralasciata, considerando sempre un potenziale puramente coulombiano.
Poiché il coefficiente di trasmissione per barriera rettangolare, nell'approssimazione
V0 →∞, può essere scritto come (sviluppando il seno iperbolico):
−2L
T ≈e

2μ
 V 0− E
2
ℏ
dove L è lo spessore della barriera, e poiché la barriera dello schema
può essere considerata come una successione di barriere rettangolari
28
di spessore
infinitesimo, possiamo scrivere il coefficiente di trasmissione come [2]:
−γ
T =e
2
, dove γ =
ℏ
C/E
∫ dr  2μ[V r −E ]
(si ricorda la sostituzione C=Z1Z2e2/4πε0)
r0
Sostituendo in tale formula generale l'espressione esplicita del potenziale considerato
otteniamo:
2
γ=
ℏ
C /E
∫ dr
r0

2μ[
παZ 1 Z 2  2μ
C
−E] , che nel limite per r0 → 0 da γ =
, dove α è la
r
E
costante di struttura fine e2/ħc.
Si ha quindi che:
−
T =e
παZ 1 Z 2  2μ
E
−
=e
BG
E
Tale fattore di trasparenza viene detto fattore di trasparenza Gamow, e BG è detta
costante di Gamow.
Tenendo anche conto della natura quantistica dell'urto nucleare, bisogna aggiungere un
fattore 1/k2 ∽ 1/E, tipico delle sezioni d'urto delle reazioni nucleari di canale S. Ne
consegue che la forma completa della sezione d'urto per un processo di fusione
nucleare, considerando un nucleo a riposo bombardato da un altro nucleo con energia E
minore della barriera di potenziale è data da:
BG
A −
T ∝ σ = ⋅e  E
E
(2.1)
dove A è un opportuno coefficiente di proporzionalità da determinarsi con una
operazione di fitting sui dati sperimentali. Ricordiamo che questa formula è ricavata in
approssimazione E << V0.
Tale parametrizzazione per la sezione d'urto, basandosi su un approccio estremamente
semplicistico del problema, che ad esempio non tiene conto di nessuna interazione
nucleare, ha chiaramente una compatibilità solo qualitativa con i dati sperimentali, come
illustrato nei due grafici seguenti per la reazione Deuterio-Trizio e Deuterio-Deuterio:
29
σ
[barns]
1,00E+02
T(d,n)4He
Sigma
Sperimentale
Thompson
1,00E+01
1,00E+00
1,00E-01
1,00E-02
1,00E-03
1,00E-04
0
200
σ
[barns]
1,00E+02
400
600
800
1000
1200
Energia
[Kev]
D(d,p)T U D(d,n)3He
Sigma sperimentale
Thompson
1,00E+01
1,00E+00
1,00E-01
1,00E-02
1,00E-03
1,00E-04
0
200
400
600
800
1000
1200
Energia
[Kev]
In particolare, risentendo dell'inadeguatezza del fattore di Gamow per la descrizione di
fenomeni ad alte energie, le curve presentano le discrepanze maggiori con i dati
sperimentali proprio nella regione ad energia maggiore.
Anche altri autori hanno ripreso il lavoro svolto per primo da Gamow nel 1928, creando
forme di parametrizzazione sempre basate sul fattore di trasparenza Gamow (Post,
Glasstone, Rose, e Artsimovich[8]), ma nessuno con eccellenti risultati.
Per migliorare la compatibilità del modello matematico per la sezione d'urto con i dati
sperimentali, si è introdotta la funzione S(E) in luogo della costante A, e
conseguentemente la sezione d'urto assume la forma:
30
BG
S  E  −E
σ=
⋅e
E
L'introduzione di questa funzione permette di fattorizzare la sezione d'urto in tre fattori.
La forte dipendenza energetica è racchiusa nei termini 1/E e nel fattore esponenziale
decrescente, mentre S(E) è una funzione lentamente variabile con l'energia. Il fattore
esponenziale è il coefficiente di trasparenza della barriera, il fattore 1/E deriva dalla
natura quantistica dell'urto tra i due nuclei, mentre la funzione S(E), detta fattore
astrofico S, è associata alle forze nucleari specifiche della reazione, e viene determinata
sperimentalmente per ogni reazione come formula inversa della sezione d'urto:
BG
S  E=σ⋅E⋅e  E
Alcuni autori, per cercare di superare i limiti imposti dall'utilizzo del fattore di
trasparenza di Gamow, cioè per cercare di estendere la validità della formula anche a
regioni ad energia maggiore, hanno proposto una parametrizzazione con il più generale
fattore di trasparenza della barriera coulombiana di Mott, il cui limite a basse energie è
la forma di Gamow:
σ=
S E
1
⋅ B
E
e  E −1
G
Per avere una dimostrazione limite della maggior fedeltà della forma di Mott, basti
considerare che per E → ∞ la forma di Gamow restituisce una probabilità tendente a
zero (in palese disaccordo con l'evidenza sperimentale e con le predizioni intuitive)
mentre la forma di Mott tende a 1 (al netto di S(E)).
In ogni caso, è consuetudine utilizzare la parametrizzazione della sezione d'urto
semplicemente come artificio per avere un modello matematico in accordo con i dati
sperimentali, quindi non è tanto importante la forma utilizzata, quanto che
effettivamente fitti i dati sperimentali con buona precisione. Talune parametrizzazioni
infatti continuano ad usare la penetrabilità di Gamow, inserendo i dovuti termini
correttivi nella funzione S(E), che in quest'ottica non assume alcun significato fisico, se
non quello di implementare tutti i fattori non contenuti nel prodotto del fattore
31
geometrico 1/E con il fattore di trasparenza della barriera coulombiana. Il fattore
astrofisico S viene quindi utilizzato come una sorta di fattore di normalizzazione: la
determinazione della funzione S(E) è sempre sperimentale. Infatti, a parte per alcune
particolari reazioni nucleari, la fisica nucleare della reazione non è perfettamente nota e
non esistono modelli per descriverla.
Per dare un'idea della versatilità dell'utilizzo del fattore astrofisico S, si pensi ad
esempio che in presenza di urti altamente energetici, si continua ad usare la forma di
Gamow, inserendo tutti termini di correzione dentro alla funzione S(E), determinata
sperimentalmente. Con questo sistema si è potuto parametrizzare efficacemente sezioni
d'urto per urti fino a 5MeV con buona precisione.
Le varie parametrizzazioni proposte nel corso degli anni sono sempre state nelle due
forme qua evidenziate (Gamow e Mott), e si distinguono solo per il tipo di
parametrizzazione assegnata alla funzione S(E).
2.2 - Parametrizzazione di Duane (NRL plasma formulary)
Duane, nel 1972, ha utilizzato per la sua parametrizzazione[11] il fattore di trasparenza di
Mott, e ha approssimato la funzione S(E) come una somma di una costatante e un
termine di risonanza alla Breit-Wigner:
σ =[
A2
1 A3 E− A4
2
1
 A5 ]⋅
(2.2)
A1
E e
E
−1
dove E è l'energia della particella incidente. I 5 parametri liberi della formula sono
determinati attraverso la tecnica dei minimi quadrati sui dati sperimentali. Tale formula
è la stessa riportata nel famoso handbook “NRL Plasma formulary”[12] edito dal Naval
Research Laboratory.
Questo tipo di parametrizzazione ha un buona compatibilità con i dati sperimentali,
mostrando delle discrepanze solo per basse energie. La sua fedeltà nel riprodurre la
realtà sperimentale, unita alla sua relativa semplicità analitica la rendono una formula
32
ampiamente utilizzata ancora oggi.
Nei grafici seguenti è mostrata la sovrapposizione tra i dati sperimentali e il modello di
Duane per le reazioni Deuterio-Trizio e Deuterio-Deuterio (somma dei due possibili
canali di reazione).
σ
[barns]
1,00E+02
T(d,n)4He
Sigma
Sperimentale
NRL plasma formulary
1,00E+01
1,00E+00
1,00E-01
1,00E-02
1,00E-03
1,00E-04
0
200
σ
[barns]
1,00E+02
400
600
800
1000
1200
Energia
[Kev]
D(d,p)T U D(d,n)3He
Sigma sperimentale
NRL plasma formulary
1,00E+01
1,00E+00
1,00E-01
1,00E-02
1,00E-03
1,00E-04
0
200
400
600
800
1000
1200
Energia
[Kev]
Il limite più importante di questa formula è che basa la parametrizzazione della funzione
S(E) sulla teoria delle risonanze di Breit-Wigner[13], inadatta a trattare la fusione tra
nuclei leggeri, essendo stata creata per studiare la fissione di nuclei pesanti e medi,
negli anni in cui gli studi sui reattori a fissione dominavano questo campo delle
ricerche. In particolare la teoria di Breit-Wigner prevede che il decadimento del nucleo
composto avvenga in totale indipendenza dal canale di formazione dello stesso nucleo,
approssimazione valida solo fin tanto che sono coinvolti nuclei pesanti e urti altamente
energetici, cioè le condizioni opposte a quelle usate per le reazioni di fusione. Infatti la
33
formula di Duane presenta la discrepanze maggiori (nell'ordine del 6%) con i dati
sperimentali principalmente per basse energie (da 20 keV a scendere), dove vengono
meno in modo più pronunciato le ipotesi del modello di Breit-Wigner.
Un secondo problema di questo tipo di parametrizzazione è che considera il fattore di
Gamow come un parametro libero da determinarsi mediante un'operazione di fitting sui
dati sperimentali, valore che viene così a differire sensibilmente dal suo valore teorico.
Ciò non di meno, abbiamo detto come cerchiamo una formula che interpoli in modo
soddisfacente i dati sperimentali, anche a scapito del fondamento fisico del modello.
Pertanto, garantendo un buon accordo con i dati sperimentali, la parametrizzazione di
Duane è una formula molto utilizzata ancora oggi.
2.3 - Formula di Peres e parametrizzazione di Bosch e Hale
La formula di Peres[14] impiega il fattore di trasparenza di Mott, come la formula di
Duane, ma per determinare la funzione S(E) utilizza un polinomio in espansione di
Padé, con il seguente risultato:
σ=
A1E  A2E  A3E  A4EA5 
⋅
1 E  B1 E  B2 E  B 3EB4 
1
BG
E
E e −1
dove E in questo caso è l'energia disponibile nel centro di massa della reazione.
I 9 parametri liberi di questa formula sono determinati attraverso la tecnica dei minimi
quadrati sui dati sperimentali. Una parametrizzazione di questo tipo non mostra nessuna
significativa deviazione dai dati sperimentali, dimostrando che tale parametrizzazione
per la funzione S(E) è soddisfacente per molte reazioni e per un ampio intervallo
energetico.
Sfruttando l'ottima parametrizzazione per la funzione S(E) utilizzata per la prima volta
da Peres, nel 1992 Bosch e Hale proposero una forma di parametrizzazione [15] della
sezione d'urto del tipo:
34
BG
σ=
A1E  A2E  A3E  A4EA 5  1 −  E
⋅ e
1 E  B1 E  B2 E  B 3EB 4  E
(2.3)
basata quindi sul fattore di trasparenza di Gamow (E continua ad essere l'energia
disponibile nel centro di massa della reazione).
Le ragioni dell'introduzione di questa formula, sostanzialmente simile a quella proposta
da Peres 13 anni prima, risiedono nel fatto che nei primi anni '90 si erano resi
disponibili nuovi e migliori dati sperimentali (dalle misurazioni effettuate nei laboratori
di Los Alamos
[16]
), non sempre in accordo (entro i limiti della precisione richiesta) con
quelli precedentemente disponibili; inoltre a partire dagli anni '70 la tecnica di
valutazione dei parametri liberi basata sull'approccio di Wigner e Eisenbud alla RMatrix Theory[17], era diventata sempre più precisa e affidabile, permettendo una nuova
e più accurata determinazione dei 9 parametri liberi per la funzione S(E).
L'analisi attraverso la R-Matrix Theory dell'enorme mole di dati sperimentali
disponibili, ha permesso quindi una parametrizzazione della funzione S(E), che,
applicata nel modello, ha creato una delle più efficaci parametrizzazioni mai proposte.
Il confronto tra i dati sperimentali e il modello di Bosch e Hale è riportato nei due
grafici qua di seguito per la reazione Deuterio-Trizio e Deuterio-Deuterio:
σ
[barns]
1,00E+02
T(d,n)4He
Sigma
Sperimentale
R-matrix Theory
1,00E+01
1,00E+00
1,00E-01
1,00E-02
1,00E-03
1,00E-04
0
100
200
300
35
400
500
600
700
Energia
[Kev]
σ
[barns]
1,00E+02
D(d,p)T U D(d,n)3He
Sigma sperimentale
R-matrix Theory
1,00E+01
1,00E+00
1,00E-01
1,00E-02
1,00E-03
1,00E-04
0
100
200
300
400
500
600
Energia
[Kev]
La R-Matrix Theory fornisce risultati assolutamente compatibili con i dati sperimentali
all'interno del range energetico di nostro interesse: in particolari, in tale range, si
registrano deviazioni da dati sperimentali che vanno dal 1,9% per la reazione D-T al
2,5% per la reazione D-D, dentro quindi i limiti prefissati del 5%.
I grafici seguenti riportano, per le reazioni D-T e D-D, l'andamento del rapporto tra le
sezioni d'urto dei modelli fin ora ricavati e l'interpolazione dei dati sperimentali
costruita con la R-Matrix Theory.
36
Si può immediatamente notare come la
serie di dati etichettata “this paper” e
corrispondente al modello di Bosch e
Hale sia pressoché costante sul valore
1, mentre le altre parametrizzazioni
oscillano notevolmente. In particolare
si noti il limite per le basse energie
della sezione d'urto di Duane (limite
derivante dai limiti del modello della
formula di Breit-Wigner )
Nonostante tutti i limiti del modello di Duane qua evidenziati, ancora oggi l'utilizzo di
questa parametrizzazione (comunque soddisfacente poiché genera discrepanze con i dati
sperimentali nell'ordine del 6%) è spesso preferito, per la sua maggior semplicità
analitica e il minor numero di parametri utilizzati, alla parametrizzazione di Bosch e
Hale (seppur abbiamo visto essere quasi perfetta); in particolar modo l'utilizzo della
parametrizzazione di Bosh in calcoli analitici diventa matematicamente complesso, e
spesso ingestibile.
É ancora da sottolineare che, mentre la parametrizzazione per il fattore astrofisico S di
Duane si basa su 5 parametri liberi da utilizzare in un modello fisico, le formule di Peres
e di Bosch si basano su 9 parametri liberi da inserirsi in un modello senza nessuna basa
fisica. Infatti, l'approssimante di Padè, è uno strumento matematico appositamente
creato per approssimare funzioni analitiche con funzioni razionali.
2.4 - Parametrizzazione di Xing
Lo sviluppo di un ulteriore modello matematico non risponde alla necessità di
migliorare l'affidabilità del modello della R-Matrix Theory che è ottima, ma ha come
scopo quello di creare un formula con una solida base fisica.
37
Nel 2008 Xing, Qing, e Liu[18] hanno proposto una forma di parametrizzazione, una
delle ultime elaborate, che cerchi di superare i limiti dell'utilizzo del modello di BreitWigner. Tale modello matematico garantisce un buon accordo con i dati sperimentali
alle basse energie, e contemporaneamente è sviluppato su una solida basa di studio
quanto-meccanico della reazione, senza importanti approssimazioni.
Xing, Qing e Liu hanno considerato un potenziale come nello schema a lato, costituito
però da una componente reale e una componente
immaginaria. Tale espediente ha come fine ultimo
quello di considerare nel processo di fusione una
particella proiettile che mantiene una “memoria”
della fase della sua funzione d'onda precedente
all'urto, condizionando la formazione dei prodotti
della reazione. Tale effetto è espressamente
trascurata dal modello di Breit-Wigner (che risulta
valido solo ad alte energie). In questo modo il
processo di tunneling e di fusione non possono
più essere considerati indipendenti.
Secondo la parametrizzazione di Xing (che considera solo l'onda incidente S,
compiendo quindi un'approssimazione per basse energie) la sezione d'urto per la fusione
tra nuclei leggeri si può esprimere come
σ  E=
π 1
S  E
2 2
k θ
con E energia della particella incidente,
e dove il fattore θ2 rappresenta la penetrabilità della barriera Coulombiana di Mott
2π
θ2=

2μE
1 ka
è il numero d'onda per r > r0, con μ massa ridotta del
e −1 , k =
ℏ2
2π
c
38
ℏ2
sistema, e a c =
.
μZ 1 Z 2 e 2
In tale modello il fattore astrofisico S è dato da[19]
S  E=
−4w i
2
r
w wi−1/θ2 2
dove wi e wr sono la parte rispettivamente immaginaria e reale di
Ctg δ 0 
2r 0
 kac 2
w=
=k 1 ac Ctg [k 1 r 0 ]−2 {ln [
]2C
} , con
ac
12
θ2
k 1=

2μ E−V r−iV i 
ℏ2
il numero d'onda della funzione d'onda per r < r0, e C la
costante di Eulero pari a 0,577216... .
δ0 è la differenza di fase della funzione d'onda S che si accumula nel processo di
fusione: riprendendo e apportando un sostanziale contributo al lavoro di Fowler del
1951[20], Xing Qing e Liu assumono che l'interazione della funzione d'onda della
particella proiettile con la buca di potenziale delle forze nucleari a corto range
(interazione comunque nota solo per alcune particolari reazioni) provochi due effetti:
un'accumulazione di una differenza di fase δ0 (dovuta all'attrazione forte delle forze
nucleari), e la trasformazione in un numero complesso di tale differenza di fase (dovuta
all'assorbimento della funzione d'onda incidente)[19]. Tale differenza di fase prende una
forma diversa a seconda del tipo di buca considerata: una buca rettangolare come quella
ipotizzata genera una differenza di fase come quella sopra scritta, che risulta controllata
da 3 parametri liberi: r0, Vr e Vi.
La complessa forma analitica di w si semplifica notevolmente se si considera che, nel
range di energie di nostro interesse, varia debolmente in funzione dell'energia, e quindi
può essere approssimata mediante l'uso di opportuna costanti:
w=C 1C 2 Elab iC 3 , dove con Elab si intende l'energia della particella proiettile, da
distinguersi da E energia disponibile nel centro di massa della reazione.
39
In questo modo, la sezione d'urto per fusione di nuclei leggeri per basse energie,
secondo la parametrizzazione di Xing, diventa:
σ  E=
2
−4C3
πℏ 1
⋅
2
2μE θ C1C2 Elab 2C3 −1/ θ2 2
con le costanti C1, C2 e C3 da determinarsi attraverso il confronto con i dati sperimentali,
mediante la tecnica dei minimi quadrati, e con θ2, si ricorda, fattore di trasparenza di
Mott della barriera coulombiana.
Qua di seguito è mostrato l'accordo del modello di Xing con i dati sperimentali per le
reazioni Deuterio-Trizio e Deuterio-Deuterio:
σ
[barns]
1,00E+02
T(d,n)4He
Sigma
Sperimentale
Xing
1,00E+01
1,00E+00
1,00E-01
1,00E-02
1,00E-03
1,00E-04
0
200
σ
[barns]
1,00E+02
400
600
800
1000
1200
Energia
[Kev]
D(d,p)T U D(d,n)3He
Sigma sperimentale
Xing
1,00E+01
1,00E+00
1,00E-01
1,00E-02
1,00E-03
1,00E-04
0
200
400
600
800
1000
1200
Energia
[Kev]
40
Come si può anche evincere dai grafici, il modello di Xing è estremamente affidabile a
basse energie, dove il modello di Duane presentava le maggiori discrepanze (soprattutto
per la reazione Deuterio-Trizio). A energie più alte invece questo modello
(principalmente sempre per la reazione D-T) devia sensibilmente dai dati sperimentali,
proprio perché tra le sue ipotesi iniziali c'è il considerare urti poco energetici
(considerando la funzione d'onda della particella proiettile una funzione S). poiché il
nostro interesse risiede principalmente nel valutare la sezione d'urto a basse energie,
diciamo non superiori a 300 keV (la temperatura media del plasma prevista a ITER è di
20 keV ma alcune particelle nella coda superiore nelle distribuzione delle velocità
possono raggiungere i 300 keV), possiamo concludere che la parametrizzazione di Xing
in questo caso è più affidabile. Inoltre, ampliando i calcoli per funzione incidente P, e
quindi considerando anche energie della particella proiettile maggiori, l'accordo con i
dati sperimentali migliora notevolmente.
Effettuando un confronto tra le varie formule di parametrizzazione proposte per la
reazione Deuterio-Trizio, nell'intervallo energetico da 0 a 300KeV particolarmente
interessante per i nostri scopi verifichiamo quanto segue:
σ
[barns]
5
T(d,n)4He
Sigma
Sperimentale
R-matrix Theory
NRL plasma formulary
Xing
4
3
2
1
0
0
50
100
150
200
250
300
Energia
[Kev]
41
Possiamo osservare che tutte le parametrizzazioni qua visualizzate concordano con i
dati sperimentali entro i limiti prefissati del 5% (nel caso della parametrizzazione di
Duane questo limite è leggermente superato per energie minori di 20 keV)
Una distinzione tra le formule proposte si può fare considerando la funzione S(E).
Possiamo infatti distinguere tra due tipi di parametrizzazione: la parametrizzazione di
Xing e la parametrizzazione di Duane sono basate su una funzione S(E) costruita
intorno ad una teoria fisica; la parametrizzazione di Peres e di Bosch invece sono basata
su una funzione S(E) costituita da una approssimante di Padè. É quindi del tutto naturale
che la funzione che introduce deviazioni dai dati sperimentali minori è proprio la
parametrizzazione di Bosch e Hale, con coefficienti calcolati mediante la R-Matrix
Theory, ma è anche evidente come il contenuto fisico di tale formula è minimo. Per
contro, l'obbiettivo delle formule di parametrizzazione è espressamente quello di
approssimare al meglio i dati sperimentali, eventualmente a discapito del fondamento
fisico della formula.
Tuttavia, come già evidenziato in precedenza, tra le caratteristiche ricercate nel modello
matematico della sezione d'urto, c'è anche una certa semplicità analitica, che renda la
formula facilmente spendibile in calcoli analitici. Per questo motivo la formula di
Duane, vista anche la sua comunque accettabile precisione (deviazioni non superiori al
6% dai dati sperimentali), è preferita alle altre parametrizzazioni, ed è ancora oggi
ampiamente utilizzata.
42
3 - TASSO DI REAZIONE e PRODUZIONE ENERGETICA
DI UN PLASMA TERMONUCLEARE
Preliminarmente allo studio dei bilanci energetici di un plasma termonucleare, è ancora
necessario determinare il tasso di produzione energetica del plasma, ovvero la potenza
Pfus sviluppata per unità di volume dalle reazioni nucleari all'interno del plasma.
Tale tasso di produzione energetica sarà esprimibile, in generale, come il prodotto
dell'energia ε sviluppata da una singola reazione di fusione e il tasso di reazione R, cioè
il numero di reazioni di fusione che avvengono nel plasma per unità di tempo e per unità
di volume:
P fus =R⋅ε
dove Pfus è espresso in W/m3, ε in J, e il tasso di reazione R, conseguentemente, in 1/(s
m3).
Il tasso di reazione termonucleare, a sua volta, si può esprimere come la probabilità di
reazione tra una coppia qualunque di particelle, e il numero totale delle possibili coppie
esistenti:
R=n1 n 2 ⟨συ ⟩ per particelle diverse
1
R= n2 ⟨ συ⟩ per particelle uguali
4
dove gli n sono le densità delle particelle reagenti espresse in 1/m3, e conseguentemente
<συ>, probabilità di reazione tra una coppia qualunque di particelle, si esprimerà in
m3/s.
Vale quindi il risultato generale
R=
ni n j
1δ ij 2
⟨ συ ⟩
Ci occuperemo solo della reazione Deuterio-Trizio, in quanto si è determinato essere le
più conveniente a basse temperature; pertanto considereremo sempre la forma per
particelle reagenti diverse.
43
Il fattore <συ> viene detto reattività, ed è il fattore incognito da determinarsi per poter
determinare il tasso di reazione R.
L'andamento delle misure sperimentali della
reattività è riportato qua a lato, sulla base dei
dati pubblicati negli archivi US Nuclear
Reaction Data Network (USNRDN); si tratta
di un database di principale interesse
astrofisico e i dati sono ottenuti su una
distribuzione di velocità dei reagenti di tipo
maxwelliano.
Nell'immagine a lato la reattività è graficata
in funzione della temperatura cinetica, ovvero
della temperatura espressa in termini di KBT.
Tale sostituzione è particolarmente utilizzata
e permette di esprimere la temperatura in
unità di misura dell'energia (nel nostro caso keV): esprimendo la costante di Boltzman
come KB = 8,6 · 10-5 eV/K, si ha che vale l'equivalenza
1 eV ≃11600 K
D'ora in avanti, salvo diversa indicazione, ci si riferirà alla temperatura del plasma solo
in termini di energia termica, e pertanto esprimeremo la temperatura in keV.
Da un'osservazione preliminare dei dati sperimentali possiamo osservare come la
reazione che presenta una reattività maggiore a basse temperature è indubbiamente la
reazione Deuterio-Trizio. Inoltre è possibile osservare che la reattività per tale reazione
è piccata nella zona intorno ai 100 keV, e ciò discende dalla risonanza della sezione
d'urto per il processo di fusione proprio in tale zona energetica.
La reazione Deuterio-Trizio, garantendo una maggior reattività, offrirà un tasso di
reazione maggiore a parità di altri fattori (temperatura, pressione e densità), garantendo
quindi una maggior resa energetica. Per questi motivi nel proseguo ci occuperemo solo
di ottenere risultati numerici per la reazione Deuterio-Trizio, tralasciando lo studio delle
44
altre reazioni.
Per le parametrizzazioni della reattività per la reazione Deuterio-Deuterio, e qualunque
altra reazione di fusione nota, si può consultare l'articolo di Angulo et al.[21].
Analogamente a quanto visto per la sezione d'urto, è particolarmente utile disporre di un
modello matematico teorico per la reattività, e quindi per il tasso di reazione. Infatti la
disponibilità di un modello ne permette l'impiego in eventuali calcoli analitici, nonché la
possibilità di ottenere agilmente stime numeriche per il tasso di reazione ad una data
temperatura.
Per questi motivi la reattività è stata matematicamente ricavata attraverso numerosi
modelli, alcuni analitici, altri come semplici modelli di parametrizzazione analogamente
a quanto visto per le sezioni d'urto. I modelli analitici sono quasi tutti costruiti a partire
dall'ipotesi che la distribuzione di velocità all'interno di un plasma sia di tipo
maxwelliano. Tale ipotesi è ovviamente solo un'approssimazione della realtà
sperimentale, che in taluni casi comporta delle discrepanze notevoli tra modello teorico
e dati sperimentali; da qui la necessità di elaborare un modello parametrico non
costruito su particolari distribuzioni di velocità.
3.1 - Modello di reattività maxwelliana[22]
Poiché la velocità delle particelle reagenti non è costante all'interno del plasma, il tasso
di reazione della fusione termonucleare di una coppia di particelle in un plasma (visto
come una miscela uniforme di due gas) può essere espresso in termini della sezione
d'urto e delle velocità relative come segue:
3
3
R=∬ ρ υ1 ρ  υ2∣υ1−υ2∣σ  υ1−υ2 d υ1 d υ 2
cioè come integrale sullo spazio delle velocità delle particelle reagenti della sezione
d'urto, per la velocità relativa delle particelle, per le funzioni distribuzione di velocità ρ.
In condizioni di equilibrio termodinamico a temperatura T, le funzioni distribuzione di
velocità saranno descrivibili in buona approssimazione da distribuzioni di Maxwell per
45
l'equilibrio collisionale (si considera che le collisioni hanno portato all'equilibrio il gas):
mi 32 − m2Tυ
ρ υi =ni 
 e
2πT
i
2
i
dove ricordiamo che la temperatura è espressa in keV, e quindi, più propriamente, si
dovrebbe indicare KBT in luogo di T.
Ovviamente utilizzare la distribuzione di velocità maxwelliana non è che
un'approssimazione della realtà sperimentale: basti pensare che tale teoria assume tra le
sue ipotesi che si stia lavorando con un gas isotropo, ipotesi che chiaramente viene
meno se consideriamo di considerare, per esempio, un plasma termonucleare in una
macchina a confinamento magnetico toroidale.
Sostituendo la distribuzione maxwelliana nella definizione generale otteniamo
l'integrale doppio sullo spazio delle velocità:
R=n1 n 2
 m1 m2 
2πT
3
2
2
−
∬∣υ1−υ2∣σ ∣υ1−υ2∣ e
3
2
m1 υ1 m2 υ2
2T
3
3
d υ1 d υ 2
Attraverso al cambio di variabili
υ = υ1− υ2
m1 υ1m2 υ2
V =
m1m2
si può riscrivere l'integrale come:
R=n1 n 2
3
2
 m1 m2 
3
2πT
−
∫ υ σ  υ e
m1 m2 υ2
m1m2 2T
−
m1m2 2
V
2T
d υ∫
e
d3 V

3
I
L'integrale I è un integrale gaussiano, e quindi è facilmente calcolabile:
−
I =∫ e
m1m 2 2
V
2T
∞
d x=4π ∫ x e
3
2
0
e quindi in definitiva si ha che
46
−
m 1 m 2 2
V
2T
3
dx=
2πT 2

m1m2
m1 m 2 υ 2
T
1
2 2
3 ∞
−
m1 m 2
R=4π n1 n2 [
] 2 ∫ υ3 σ υ e m m
2πT m1m 2  0
¿ dυ
Per confronto diretto con le equazioni di definizione del tasso di reazione
R=n1 n 2 ⟨ συ ⟩ abbiamo che:
m1 m2 υ 2
1
2 2T
3 ∞
−
m1 m 2
⟨συ ⟩=4π [
] 2 ∫ υ 3 σ υ e m m
2πK B T m1m2 0
dυ
Riscrivendo la reattività in funzione dell'energia della particella proiettile
e ponendo
μ=
1
2
E= m1 υ
2
m1 m2
la massa ridotta del sistema, si ottiene:
m1m2
2

8 μ
⟨ συ ⟩=
 
πμ m1

∞
μ E
T
1
−
1
m
⋅
E
σ

E
e
∫
3
T 0
Alternativamente mediante la sostituzione
m
s
dE
3
1
E= μυ 2 , cioè l'energia del centro di
2
massa della reazione si perviene alla più compatta forma:
⟨συ ⟩=

∞
E
−
8 1
⋅ E σ  E e T dE
3 ∫
πμ T 0
m3
s
(3.1)
Su tale formula generale, valida per qualunque reazione con distribuzione di velocità dei
reagenti maxwelliana, devono poi essere applicate le formule per le sezioni d'urto.
Potendo esprimere in generale la sezione d'urto come:
BG
σ=
S  E  −E
⋅e
E
potremo in generale esprimere la reattività maxwelliana con l'integrale:

∞
E
BG
− −
8 1
T E
⟨συ ⟩=
⋅
S

E
e
dE
∫
3
πμ T 0
Poiché il fattore astrofisico S(E) è una funzione debolmente variabile con l'energia
47
rispetto alla funzione esponenziale, si può assumere che l'integrale sia comandato dalla
funzione esponenziale, e considerare il fattore astrofisico una costante. Nonostante
questa importante semplificazione l'integrale è ancora di una complessità analitica
notevole, e la sua soluzione rigorosa[23] coinvolge la funzione G di Meijer:
∞
∫e
0
−E −
1
E
1 1
G 3,0
,1
0,3  ∣0,
4 2
dE=
π
Qualora si andasse anche a considerare la forma esplicita del fattore astrofisico S(E), è
chiaro come la soluzione analitica del problema diventerebbe proibitiva, e in generale
non esiste neanche.
In questi casi però l'integrale sarà sicuramente risolvibile numericamente, ottenendo
quindi un risultato funzione della temperatura T del plasma termonucleare, risultato da
utilizzare in definitiva per determinare il tasso di reazione di fusione nucleare.
Qua valuteremo solo distribuzioni di velocità maxwelliane, ma chiaramente questo è
una condizione ideale che non trova riscontro sperimentale. Si possono elaborare
distribuzioni di velocità che da un punto di vista sperimentale risultino più realistiche [23],
come ad esempio distribuzioni di
velocità maxwelliane con code della
distribuzione
dimostrare
troncate.
come
Si
può
l'integrale
della
reattività con queste distribuzioni è
comunque risolvibile analiticamente in
termini di funzione G di Meijer con
deviazioni dal caso semplificato che
stiamo qui prendendo in considerazione
che
non
superano
l'ordine
di
grandezza[24], come si può notare
dall'immagine a lato. Tale grafico è
costruita con i dati sperimentali raccolti nella macchina a confinamento magnetico JET
48
alimentata da Deuterio e Trizio. Le label <NB>, <IC> e <NB + IC> indicano il metodo
utilizzato per riscaldare il plasma (rispettivamente neutral beam injection, radio
frequency, combinazione dei due); a seconda del metodo utilizzato si generano
distribuzioni di velocità differenti e quindi reattività differenti, che comunque non si
discostano sensibilmente dalla maxwelliana teorica, e anzi convergono su di essa a
partire dai 10 keV. Questo tipo di analisi nella realtà sperimentale viene fatta al
contrario: la misura sperimentale della reattività da informazioni diagnostiche sulla
distribuzione di velocità dei reagenti.
Oltre alle già citate formule per la reattività maxwelliana e formule parametriche,
esistono poi formule di parametrizzazione non basate sulla soluzione analitica o
numerica dell'integrale della reattività, ma basate invece sullo sviluppo in serie del
fattore astrofisico S(E), serie che successivamente vengono integrate. Qualora le
difficoltà matematiche dello sviluppo fossero insormontabili, si ricorre anche a sviluppi
asintotici. Tali soluzioni[25] sono particolarmente utili in campo astrofisico per creare i
modelli di evoluzione stellare, ma non sono particolarmente utili ai nostri scopi, e
quindi non verranno considerate.
3.2 - Modello di reattività di Thompson
Il caso più semplice che analizzeremo è quello analizzato da Thompson[22] nel 1957,
considerando la sezione d'urto di Gamow (equazione (2.1)), e data da:
BG
A −
σ = ⋅e  E
E
Per determinare la reattività della coppia di particelle in questa approssimazione bisogna
quindi risolvere l'integrale:
⟨ συ ⟩=

∞
BG
E
−
−
8 1
A e  E e T dE
3 ∫
πμ T
0
L'integrale ammette soluzione analitica in termini della funzione G di Meijer.
49
1,00E-20
Graficando la soluzione in funzione della
<σv>
[m3/s]
temperatura del plasma si ottiene il
risultato presentato a lato.
1,00E-21
Si può chiaramente notare come il
1,00E-22
modello matematico creato non è in buon
<σv>
Thompson
Dati
sperimentali
1,00E-23
accordo con i dati sperimentali; tale
discrepanza è generata dall'aver utilizzato
una parametrizzazione per la sezione
1,00E-24
d'urto che è una forte approssimazione
della
1,00E-25
comunque
KT
[keV]
1,00E-26
1,00E+000
1,00E+001
1,00E+002
realtà
1,00E+003
sperimentale.
ritenere
Possiamo
qualitativamente
valido il modello per energie minori di
100 keV: in tale range energetico la
discrepanza infatti non è superiore all'ordine di grandezza.
Poiché
la
soluzione
analitica
in termini
della
funzione
G
di
Meijer
è
computazionalmente sconveniente, si può ricercare una soluzione approssimata in
termine di funzioni elementari, considerando l'approssimazione:
∞
∫e
−x−
a
x
0

π 3 a −3
dx=2
e
3 2

3
2
a
4
ottenendo quindi il risultato (dove si sono esplicitati tutti i termini numerici noti per la
reazione Deuterio-Trizio):
−18
⟨συ ⟩=
1,06⋅10 e
3 T 2
19,05
3
T
(3.2)
Tale risultato è compatibile con la soluzione numerica analitica con ottima
approssimazione nel range energetico da 0 a 100 keV e, benché la reattività di
Thompson non sia un modello soddisfacente, è un risultato di immediato utilizzo ed è
particolarmente pratico per calcolare ordini di grandezza qualitativi.
50
3.3 - Modelli di reattività basati sulla sezione d'urto di Duane
Applicando il modello parametrico della sezione d'urto di Duane, espresso
nell'equazione (2.2), nella formula per la reattività (3.1), si perviene all'integrale:
⟨συ ⟩=

∞
E
−
A2
8 1
1
T
⋅
[
A
]⋅
e
dE
∫
5
A
πμ T 3 0 1 A3 E− A4 2
 e  E −1
1
L'integrale non ammette soluzione analitica, ma la sua soluzione numerica è nota e
tabulata in un articolo di Miley[26] del 1974. Sulla base di tale soluzione numerica si
sono costruiti numerosi modelli parametrici per la reattività tra i quali ricordiamo i due
più utilizzati:
modello di Hively[27]:
A1
⟨ συ ⟩=e T
r
 A 2 A3 T A4 T 2 A 5 T 3 A6 T 4
(3.3)
modello di Brunelli[28]:
⟨συ⟩=A1 e
∣
A2 ln
T A

A3
∣
4
(3.4)
dove, in entrambe le formule, i coefficienti sono determinati con la tecnica dei minimi
1,00E-20
<σv>
[m3/s]
<σv> Hively
<σv> Brunelli
Dati
sperimentali
quadrati sui dati sperimentali.
1,00E-21
Il confronto tra i dati sperimentali i
questi due modelli è mostrato nel
1,00E-22
grafico a lato: si può chiaramente
notare come i due
1,00E-23
modelli siano
soddisfacenti per energie minori dei
100
1,00E-24
keV,
ma
come
siano
decisamente incompatibili con i dati
sperimentali per energie maggiori.
1,00E-25
KT
[keV]
1,00E-26
1,00E+000
1,00E+001
1,00E+002
1,00E+003
51
In particolare la formula di Hively del 1977 garantisce un errore massimo nel range di
energie da 1 a 80 keV dell'1,6%; la formula di Brunelli garantisce invece un errore
massimo del 2% nel range da 10 a 100 keV, e del 10% nel range da 2 a 150 keV.
Dal momento in cui sono questi i range energetici a cui siamo sperimentalmente
interessati, possiamo ritenere queste formule di parametrizzazione comunque valide.
3.4 - Modello di reattività di Bosch e Hale[15]
Poiché i modelli precedenti non garantiscono un totale accordo con i dati sperimentali
su tutto il range energetico considerato (da 1 a 300 keV), nel 1992 Bosch e Hale,
contestualmente alla pubblicazione della loro parametrizzazione della sezione d'urto di
fusione basata su un'analisi dei dati sperimentali mediante la R-Matrix Theory,
proposero una soluzione al problema che utilizzava proprio tale sezione d'urto. Il
tentativo di utilizzare tale modello per la sezione d'urto è legittimato dal fatto che è una
delle formule che meglio approssima i dati sperimentali ancora oggi.
Continuando ad assumere la distribuzione di velocità delle particelle reagenti
maxwelliana, si tratta di risolvere l'integrale:

∞
E
−
8
1
K
⟨συ ⟩=
⋅
S

E
e
∫
3
πμ  K B T  0
dove
S  E =
B
T
−
BG
E
dE
A1E  A2 E  A3E  A4 EA5 
1E  B1 E  B 2E  B 3EB4 
con i coefficienti Ai derivanti dalla studio del problema mediante la R-Matrix Theory.
Tale integrale non ammette soluzione analitica, e dunque non è possibile ricavare una
soluzione esatta. L'integrale è però valutabile numericamente, e sulla base dei dati
numerici derivanti da tale tipo di analisi Bosch e Hale (riutilizzando una forma di
parametrizzazione già proposta da Peres[14] nel 1979) hanno proposto il seguente
modello:
52
⟨ συ ⟩=C 1 θ
dove
θ=

ξ
e−3ξ
2 3
mr c T
(3.5)
T
B2
T C 2T C 4TC 6 
, ξ = 3 G , e BG la costante di Gamow.
1−
4θ
1T C 3T C 5 TC 7

1,00E-020
<σv>
[m3/s]
1,00E-021
1,00E-022
<σv> R-Matrix
theory
Dati
sperimentali
1,00E-023
1,00E-024
1,00E-025
1,00E-026
1,00E+000
KT
[keV]
1,00E+001
1,00E+002
1,00E+003
Tale modello, come è lecito aspettarsi, è in perfetto accordo con i dati sperimentali, e
presenta discrepanze inferiori al 5% per energie minori di 500 keV, garantendo quindi
un accordo ottimale con la realtà sperimentale. Per contro non fornisce, come invece
quello di Thompson, una comoda espressione numerica per la reattività;
conseguentemente è un modello estremamente affidabile ma poco pratico.
Nei grafici che seguono è riportato il confronto delle parametrizzazioni qui proposte con
i dati sperimentali: in ascissa sono riportate le temperature espresse in keV fino a 100
keV (energie superiori non sono di nostro interesse sperimentale), mentre in ordinata è
riportato il rapporto <συ>fit/<συ>exp.
53
Possiamo innanzi tutto notare la validità del modello di Bosch e Hale: non mostra
sensibili deviazioni dai dati sperimentali fino a 10 keV, mentre, per energie comprese tra
10 keV e 100 keV, devia per meno del 4%.
Il modello di Thompson invece è chiaramente inadatto a descrivere con precisione
l'andamento sperimentale dei dati (errori oltre il 70%), risentendo della scarsa
affidabilità della forma di parametrizzazione della sezione d'urto utilizzata. I modelli di
Hively e Brunelli invece risentono dell'inadeguatezza della parametrizzazione della
sezione d'urto di Duane per le basse energie: si ha infatti che per energie di circa un keV
mostrano deviazioni di rispettivamente 20% e 35%, mentre entrambi convergono su
errori inferiori al 4% a partire dai 10 keV.
Escludendo quindi dall'analisi il modello di Thompson e restringendoci al range di
energie da 1 a 100 keV si ottiene il risultato presentato nel grafico seguente.
54
Il modello di Bosch continua a essere evidentemente il più affidabile, eccetto che per
energie prossime ai 100 keV dove il modello di Brunelli dà risultati migliori. Inoltre,
rispetto al modello di Hively, il modello di Brunelli risulta più affidabile a partire da
energie di circa 3 keV.
Ricercando una forma di parametrizzazione per la sezione d'urto che sia il più possibile
compatibile con i dati sperimentali, ma che sia anche computazionalmente agevole,
utilizzeremo la forma di parametrizzazione di Brunelli (3.4), che, esplicitando i
parametri liberi per la reazione Deuterio-Trizio, diventa:
−22
⟨συ⟩=9⋅10 ⋅e
∣
−0,476⋅ln 
T 2,25

69
∣
m3
s
(3.6)
3.5 - Produzione energetica lorda in un plasma termonucleare
Ricordando che la produzione energetica in un plasma termonucleare si può scrivere
come P fus =R⋅ε , dove R è il tasso di reazione e ε la produzione energetica per una
singola reazione di fusione, e poiché il tasso di reazione è esprimibile da:
R=n1 n 2 ⟨ συ ⟩ , si ha che la potenza specifica lorda prodotta dal plasma (senza
considerare le possibili perdite energetiche) è data da:
P fus =n1 n 2 ⟨ συ ⟩⋅ε
Utilizzando quindi la parametrizzazione di Brunelli per la reattività di un plasma
Deuterio-Trizio (3.6), si ha che la potenza specifica lorda prodotta da un plasma
termonucleare di Deuterio-Trizio in cui avvengono reazioni di fusione è
−22
∣
−0,476⋅ ln 
P fus =n1 n 2 ⟨ συ ⟩⋅ε =n1 n 2⋅ε⋅9⋅10 ⋅e
T

69
2,25
∣
(3.7)
Ponendo di poter disporre solo dell'energia della particella α (il neutrone, non
confinabile magneticamente, non contribuirà al riscaldamento del plasma), si ha che:
ε = 3,52 MeV ≃ 5,63 ּ10-13 J.
55
Consideriamo poi i parametri di riferimento di ITER per densità e temperatura di
plasma:
ni ≃ 1020 m-3,
T ≃ 20 keV
si ottiene che:
20
−13
P fus ≃5,6⋅10
2,25
−0,476∣ln  ∣
1
m
MW
−22
69
J ⋅10
⋅9⋅10
e
≃1,11 3
6
s
m
m
40
3
Ovvero un plasma termonucleare alla densità di 1020 particelle per m3 e alla temperatura
media di 20 keV (circa 200 ּ 106 K) genera una potenza specifica di 1,11 MW/m3.
Poiché il volume di plasma di ITER, sarà pari a:
V ≃ 837 m3
abbiamo che:
P fus tot ≃1,11
MW
⋅837 m3 ≃934 MW
3
m
Tale valore è chiaramente una forte approssimazione, poiché non tiene conto di molti
fattori: ad esempio le distribuzioni radiali della densità di plasma, il contributo dei
neutroni, e soprattutto le perdite energetiche che si verificano in un plasma. Inoltre si
tenga presente che si è utilizzata per la reattività una formula di parametrizzazione non
perfetta, e basata su una distribuzione di velocità del plasma di tipo maxwelliano.
Ciò nonostante l'ordine di grandezza atteso per ITER è comunque questo: ci si aspetta di
ottenere una potenza in uscita dal plasma di circa 500 – 700 MW.
56
4 - PERDITE ENERGETICHE DI UN PLASMA
Per studiare nel modo più preciso possibile i bilanci energetici di un plasma
termonucleare, oltre allo studio dell'output energetico lordo, è anche necessario valutare
tutte le possibile cause di perdita energetica, e quindi determinarne l'impatto sulla
potenza totale prodotta da tali perdite. In particolare si dimostrerà che l'energia persa da
un plasma sarà una frazione importante dell'energia prodotta dalle reazioni di fusione
termonucleare.
4.1 - Processi radiativi e processi collisionali
I meccanismi di perdita energetica di un plasma sono molteplici, ma, nel modo più
generale possibile, sono riconducibili a due classi di fenomeni:
•
fenomeni di tipo collisionale
•
fenomeni di tipo radiativo
Lo studio dei processi di tipo collisionale consiste nel modellare le perdite energetiche
di una particella che nell'attraversare un mezzo subisce collisioni di tipo coulombiano
non radiative con gli atomi del mezzo, con il risultato di eccitarli ed eventualmente
ionizzarli. Tale studio si completa nella nota equazione relativistica di Bethe - Block Fermi[29], dove la perdita energetica per unità di lunghezza di una particella di massa M,
carica ze, velocità υ attraversante un mezzo con densità elettronica ne è data da:
−
2 4
2γ 2 me υ 2
dE 4πz e n e
υ 2
=
[ln

−
f]
dx
I
c
me υ 2
dove I è il potenziale di ionizzazione degli atomi del mezzo attraversato. Per mezzi
altamente ionizzati, come un plasma termonucleare, la perdita collisionale genera delle
onde di plasma elettroniche, e il termine I va sostituito con l'energia associata a tale
onda: hωe, con ωe ≃ υe/λD frequenza di pulsazione elettronica del plasma (cfr. appendice
A.4).
57
In realtà lo studio di tale tipo di radiazione non interessa il nostro scopo, che è quello di
determinare la potenza persa e non riassorbita dal plasma. Infatti, l'energia persa da una
particella nel muoversi nel plasma, che ubbidisce all'equazione di Bethe - Block Fermi, viene riassorbita dell'atomo su cui la particella ha urtato, e conseguentemente il
bilancio energetico totale per il plasma nel suo complesso rimane invariato.
Sono i fenomeni collisionali a essere responsabili della cessione di energia dai prodotti
della fusione (energie ~ MeV) al plasma (energia ~ keV), provocandone quindi il
riscaldamento.
Sono determinanti, al fine dei bilanci energetici per il plasma, solo i processi radiativi.
In ogni caso, infatti, l'emissione di radiazione da un plasma, se non riassorbita,
comporta una perdita netta di energia. Nell'immagine seguente sono rappresentati i
diversi tipi di processi radiativi esistenti con, nella parte sinistra i processi che
comportano l'assorbimento di un fotone, al centro i processi che comportano
l'assorbimento e la successiva emissione di un fotone, e a destra i processi che
comportano la sola emissione di un fotone; nella figura inoltre sono schematizzati gli
stati legati, come un successione discreta di linee, e gli stati liberi, rappresentati come
un 'continuo di linee' (zona evidenziata in grigio).
Evidentemente noi siamo interessati solo ai processi nella parte destra della figura
(processi d, e, f), poiché sono gli unici che comportano una perdita energetica. Questi
sono classificabili a seconda dello stato di arrivo e lo stato di partenza: così la
radiazione di bremsstrahlung (processo f), essendo un processo che ha come stato
iniziale e finale stati liberi sarà una transizione free-free; allo stesso modo il processo e
sarà una transizione free-bound, e il processo d sarà una transizione bound-bound.
Poiché il nostro interesse particolare risiede nel valutare tali processi nel caso di plasmi
58
termonucleari, in conseguenza alle alte temperature, e quindi la maggior densità di
popolazione negli stati liberi rispetto agli stati legati, possiamo già ipotizzare che
saranno le transizione di tipo free-free a dare il contributo maggioritario alla potenza
totale irradiata dal plasma.
4.2 - Radiazione emessa da carica in moto accelerato
I fenomeni di emissione di radiazione da un plasma devono la loro origine agli urti delle
particelle cariche in moto caotico (dovuto all'agitazione termica) sui campi coulombiani
dei nuclei atomici presenti nel plasma stesso. Infatti tali urti generano deflessioni nella
traiettoria delle particelle incidenti, quindi accelerazioni, e conseguentemente emissione
di onde elettromagnetiche. Si consideri inoltre che per scopi termonucleari, il plasma è
confinato per mezzo di campi magnetici, e in tali campi le particelle cariche assumono
moti elicoidali intorno alle linee di campo, moti che risultano quindi di tipo accelerato,
con conseguente ulteriore emissione di radiazione elettromagnetica. Il primo tipo di
emissione (dovuta agli urti coulombiani) genera quella che viene detta radiazione di
franamento o bremsstrahlung, mentre la radiazione dovuta ai moti elicoidali delle
particelle cariche nei campi magnetici è detta radiazione di ciclotrone, ed entrambe sono
radiazioni di tipo free-free.
In entrambe i casi si tratta comunque di radiazione dovuta al moto accelerato di una
carica, e dunque preliminarmente allo studio di particolari tipi di radiazione è
necessario un cenno generale ai meccanismi di irraggiamento da parte di una carica in
moto accelerato.
Come è noto, una qualunque particella di carica q, in moto con
velocità υ e accelerazione ̇υ emette per unità di angolo
solido la potenza:
dP
q2 2 2
=
υ̇ sin θ
dΩ 4πc3
con θ angolo tra ̇υ e il versore n rispetto al quale si osserva la carica.
59
Integrando quindi sull'angolo solido si ottiene la formula di Larmor:
P=
2 q2 2
υ̇
3 c3
(4.1)
L'energia emessa dalla particella in moto accelerato per unità di angolo solido e di
frequenza, invece, è espressa da (sempre in relazione allo schema soprastante):
2
2
2
∞
iω t −
d W
q ω
= 2 3∣∫ e
dΩdω 4π c −∞
che quindi dipende da
n⋅
r0
 n× n × 
υ
c
2
dt∣
(4.2)
r0 , cioè dalla posizione della carica rispetto al sistema di
riferimento scelto. Integrando poi su tutto l'angolo solido questa dipendenza si
semplifica, come è fisicamente lecito aspettarsi.
La formula di Larmor è una formula non quantistica, e quindi in generale è da ritenersi
solo un'approssimazione del caso generale quantistico, che deve essere ricavato a partire
da una trattazione più rigorosa basata sui potenziali ritardati. Tuttavia i plasmi di nostro
interesse, cioè plasmi destinati alla
produzione di energia per via
termonucleare, sono plasmi non
quantistici (cfr. appendice A.5). In
particolare nel grafico a lato, in
blu, è riportata la linea dei plasmi
quantistici: tutti i plasmi che hanno
temperature e densità tali per cui si
collocano al di sotto di tale linea
sono plasmi in cui gli effetti quantistici sono trascurabili. I plasmi quantistici sono quelli
caratterizzati da densità particolarmente elevate, tipiche dei solidi o delle stelle a
neutroni.
Nella figura sono anche riportate le zone di interesse di alcuni plasmi caratteristici.
Nella figura è inoltre riportata la linea (in rosso) dei plasmi ideali: i plasmi sotto tale
linea sono completamente ionizzati e sono detti plasmi ideali, mentre quelli sopra sono
plasmi non completamente ionizzati.
60
Volendoci occupare nel nostro casi di plasmi destinati alla produzione energetica per via
termonucleare, e in particolare per via contenimento magnetico, potremo quindi
tralasciare la trattazione quantistica del problema dell'irraggiamento della radiazione
elettromagnetica, utilizzando la formula di Larmor (4.1) senza commettere un
significativo errore.
Effetti invece che a priori possono risultare non trascurabili sono quelli di tipo
relativistico, che però diventano importanti solo per energie delle particelle
confrontabili con le energie associate alle loro masse a riposo: anche solo nel caso di un
elettrone, essendo la sua temperatura media nel nostro plasma di riferimento
(temperatura di riferimento per ITER) di circa 20 keV, ed essendo la sua massa a riposo
circa pari a 511 keV/c2, è evidente come gli effetti relativistici si possano trascurare.
4.3 - Radiazione di franamento o bremsstrahlung termico
Si tratta di radiazione free-free emessa in seguito alle accelerazioni delle particelle
componenti il plasma dovute agli urti coulombiani: le particelle cariche in moto caotico
dovuto all'agitazione termica, infatti, urtano i campi coulombiani delle altre particelle
cariche all'interno del plasma, con conseguente scattering, quindi accelerazione, e
quindi emissione di onde elettromagnetiche in accordo con la formula di Larmor.
Essendo l'accelerazione della carica inversamente proporzionale alla sua massa, è
ragionevole supporre che gli elettroni saranno responsabili della maggior parte
dell'emissione. Lavoreremo quindi considerando solo gli urti coulombiani che gli
elettroni subiscono muovendosi all'interno di un plasma caratterizzato da ioni e nuclei
atomici fissi, appunto perché più massivi.
61
In ogni urto elementare di un elettrone con un bersaglio di
carica Ze (ione o nucleo atomico) che avviene, l'impulso
trasferito all'elettrone è dato da:
 ∫
Δp=
F dt e risulta orientato lungo la bisettrice
dell'angolo (π – θ).
Occupandoci solo dei moduli delle grandezze vettoriali, e ponendoci nel sistema di
riferimento dell'elettrone incidente, otteniamo quindi che:
Δp=∫ Fdt=∫ ZeEdt ≃
Ze
Edx , dove E è il campo elettrostatico generato
υ ∫
dall'elettrone incidente, e avendo supposto la velocità dell'elettrone costante.
Se poi ipotizziamo un cilindro coassiale con la direzione dell'elettrone prima
dall'impatto, e di raggio b, abbiamo che:
Φ  E =2πb ∫ Edx=4πe , avendo utilizzato il teorema di Gauss nel sistema di
riferimento di Gauss.
Sostituendo nell'equazione dell'impulso trasferito otteniamo quindi che:
Ze
Ze 4πe Ze 2 2b
Δp≃ ∫ Edx=
=
, e quindi l'impulso trasferito è circa uguale al
υ
υ 2πb b2 υ
prodotto tra la forza elettrostatica di interazione massima (perché è valutata alla distanza
minima) tra proiettile e bersaglio,e un termine detto tempo di interazione (in accordo
 ∫
F dt ).
dimensionale con la definizione generale di impulso trasferito Δp=
Ne segue che l'accelerazione massima subita dall'elettrone proiettile è data da:
Ze 2
a max =
,e tale valore di accelerazione massima è mantenuto solo per un tempo di
me b 2
†
interazione t =
2b
, che rappresenta a tutti gli effetti un tempo di interazione
υ
effettivo, nel senso che si assume che al di fuori di questa finestra temporale
l'interazione tra elettrone e bersaglio sia nulla.
In accordo con la formula di Larmor (4.1), quindi, l'energia Δε irradiata dall'elettrone in
62
un singolo urto coulombiano è data da:
∞
∞
t
†
2 e2
2 e2
4 Z 2 e6
Δε= ∫ P t dt= 3 ∫ a t 2 dt ≃ 3 ∫ a2max dt = 3 2 3
3 c −∞
3c 0
3 c me b υ
−∞
(4.3)
Poiché il numero di urti per unità di tempo con parametro d'impatto compreso tra b e
b+db, detta ni la densità dei bersagli ionici nel plasma, è 2πni υbdb, l'energia irradiata
dall'elettrone per unità di tempo per urti contro tutti gli ioni che l'elettrone incontra è
data da:
bmax
2 6
dε
8π Z e ni
= ∫ Δε2πni υbdb=
dt b
3 c3 m2e
min
bmax
∫
bmin
2 6
db 8π Z e ni 1
1
=

−

2
3 2
3
b
b
b
c me
min
max
il termine bmax può essere fissato ricordando che all'interno di un plasma il raggio
d'azione della forza elettrostatica è circa uguale a λD (cfr. appendice A.2), e quindi oltre
questa distanza non c'è urto coulombiano: dunque bmax = λD.
Il termine bmin invece può essere fissato ricordando che abbiamo imposto fin dall'inizio
di lavorare in un plasma non quantistico, e quindi per eliminare gli effetti quantistici bmin
non può essere inferiore alla lunghezza d'onda di De Broglie: bmin(q) = h/meυ. D'altra
parte, facendo un ragionamento puramente meccanico, la distanza di minimo approccio
dell'elettrone sul nucleo sarà data dalla condizione in cui l'energia cinetica del proiettile
eguaglia l'energia potenziale repulsiva elettrostatica, cioè:
1
Ze 2
me υ 2=  c
2
b min
e conseguentemente bmin(c) = 2Ze2/meυ2. Per soddisfare entrambe le condizioni
sceglieremo il bmin maggiore, studiando il rapporto tra i due:
 q
b min hυ
υ
=
=π
, dove α è la costante di struttura fine pari a circa 1/137. Tale
 c
2
cαZ
b min 2Ze
rapporto
risulta
maggiore
di
1
quindi
2
solo
se
υ
Zc
,
137 π
cioè
se
1
1 Z
me υ 2me c 2 2
≃1,4 Z 2 eV , cioè bmin(q) è maggiore di bmin(c) se la particella
2
2
2π 137
63
incidente ha energie maggiore di 1,4 Z2 eV, ma se supponiamo di essere in un plasma
termonucleare a 20 keV, questa condizione è praticamente sempre soddisfatta, e quindi
bmin = bmin(q). Dunque:
2 6
2 6
2 6
dε 8π Z e n i me υ 1
8π Z e n i m e υ 8π Z e n i υ
=

−
≃
=
dt 3 c3 m2e
h
λD
3 c 3 m2e h
3 c3 me h
Infine, per ottenere il contributo di tutti gli elettroni del plasma, dobbiamo sommare
quest'ultima relazione su tutti gli elettroni, cioè dobbiamo integrarla sulla funzione di
distribuzione di velocità f(υ) degli elettroni:
P loss=
2 6
8π Z e ni
∫ υ f υ d υ
3 c 3 me h
Essendo la distribuzione di velocità una maxwelliana, e supponendo il problema essere
a simmetria sferica:
2
me υ
me 32 ∞ 3 − 2T
2Te 12
∫ υ f  υ  d υ=4πn e  2πT  ∫ υ e dυ=2n e πm 
e
e
0
e
e quindi in definitiva
B
P loss
=

2 6
16π Z e ni n e 2Te
3 c 3 me h
πm e
è la potenza irradiata per bremsstrahlung per unità di volume. Esplicitando tutti i termini
numerici si ottiene:
B
P loss
=5,4⋅10−37 Z 2 ni n e  T e
W
m3
(4.4)
con la temperatura espressa in keV e le densità ioniche ed elettroniche espresse in m-3.
Da tale espressione si può evincere che, noto il numero atomico della specie costituente
il plasma, e la sua densità, con una misurazione della potenza emessa, si può risalire alla
temperatura del plasma, o analogamente alla sua densità se è nota la temperatura. Tale
possibilità è ampiamente utilizzata all'interno delle macchine sperimentali per la fusione
magnetica per scopi diagnostici sul plasma.
64
Considerazioni di tipo relativistico sui calcoli portano ad ottenere la correzione:
 B
−37
P loss=5,4⋅10
2
−10
Z ni n e  T e 14,4⋅10
T
e quindi, si ha all'aggiunta di un termine assolutamente trascurabile sul termine
dominante classico, per lo meno alle temperature di nostro interesse.
Nel caso in cui il plasma è composto da una sola specie ionica, in virtù del principio di
quasi neutralità del plasma (cfr. appendice A.3), Zni = ne, e quindi la formula generale si
riduce a:
B
P loss
=5,4⋅10−37 Zn 2  T e
Considerando i paramatri di riferimento di ITER, ovvero un plasma di Deuterio e Trizio
(Z = 1), con densità ni = ne ≃ 1020 m-3, e temperatura Te
≃
20
keV,
e
utilizzando
l'equazione (4.4), si ha che la potenza specifica emesse è:
B
P loss
=5,4⋅10−37⋅1040  20≃24,15
kW
3
m
Poiché il volume di plasma di ITER sarà pari a V ≃ 837 m3, abbiamo che
 B
P loss≃24,15
kW
3
⋅837 m ≃20,21 MW
3
m
Contro una produzione energetica precedentemente ricavata, nelle stesse condizioni pari
a 934 MW: è evidente che a questa temperatura il guadagno energetico tra potenza
prodotta e potenza persa è assolutamente favorevole.
Nel grafico seguente è riportato l'andamento della potenza specifica prodotta dalla
fusione termonucleare (in rosso) data dall'equazione (3.7) (considerando i parametri di
riferimento di ITER), confrontato con la perdita energetica per bremsstrahlung (in
verde). Si può notare come la zona di bilancio energetico positiva sia compresa tra circa
3 e 800 keV; poiché la temperatura superiore non è oggi tecnologicamente
raggiungibile, si dovrà solo tenere presente il limite inferiore. Nel grafico inoltre è
evidenziata la temperatura di 20 keV che abbiamo preso come riferimento.
65
➢ EFFETTO DELLE IMPURITÀ
Data la formula generale (4.4) per la perdita energetica dovuta a Bremsstrahlung, si può
osservare chiaramente come tale perdita cresce quadraticamente con il numero atomico
Z. Ciò riveste una certa importanza sperimentale. Infatti se consideriamo un plasma
composto da più di una specie ionica abbiamo che, a meno della costante moltiplicativa:
 B
2
P loss~∑ Z k nk n e  T e
K
Cioè la potenza persa per bremsstrahlung è data dalla sommatoria sulle specie presenti
delle singole potenze perse per ciascuna specie costituente il plasma. In tal caso anche
piccole concentrazioni di elementi pesanti in un plasma prevalentemente composto da
un elemento leggero diventano determinanti.
Così se consideriamo un plasma di Idrogeno contaminato con specie con Z > 1, si ha
che:
B
P loss
~∑ Z 2k nk n e  T e =n H ne  T e ∑ Z 2k ' n k ' ne T e
K
K'
avendo isolato il termine dovuto alla specie dominante di Idrogeno.
In virtù del principio di quasi neutralità dei plasmi porremo nH=ne, e non perdendo di
generalità porremo nk' = k'ne; si ha quindi:
66
 B
2
2
2
2
2
P loss~ne  T e ∑ Z k ' k ' ne  T e = ne  T e 1∑ Z k ' k ' 
K'
K'
dove il primo termine è dovuto al contributo dell'Idrogeno, mentre il secondo termine è
dovuto alle specie ioniche contaminanti.
Se a titolo di esempio consideriamo quindi una macchina a confinamento magnetico
funzionante con una miscela di Deuterio e Trizio, anche modeste concentrazioni di
specie atomiche con Z >> 1 all'interno del plasma danno un contributo sostanziale alla
perdita energetica, raffreddando il plasma, e spegnendo quindi il reattore. La presenza di
tali specie (ad esempio Ferro, Nichel, Tungsteno, Ossigeno e Carbonio sono le più
comuni) non è assolutamente anormale in una macchina a confinamento magnetico:
accade infatti che le elevatissime temperature raggiunte all'interno della camera a vuoto,
e la possibilità che alcune particelle possano sfuggire al contenimento magnetico,
determinino un sensibile deterioramento delle pareti interne del reattore, con il rilascio
all'interno del plasma di specie ioniche pesanti (fenomeni che vengono detti di
interazione plasma parete). Si consideri inoltre che la reazione Deuterio-Trizio produce
come scoria l'Elio, che viene quindi a trovarsi nel plasma, e costituisce a tutti gli effetti
una particella contaminante con Z > 1.
Il modello per descrivere la potenza emessa da un plasma termonucleare di Idrogeno
contaminato può essere riscritto in un modo più agevole delle equazioni precedenti
come segue:
 B
−37
P loss=5,4⋅10
con
∑ nk Z k
Z eff =
k
ne
n H ∑ n m Z m
=
m
ne
2
Z eff ne  T e
(4.5)
dove le sommatoria su k è su tutte le specie
presenti nel plasma (diverse da elettroni), mentre la sommatoria su m è sulle sole specie
contaminanti con Z > 1, (nm è la densità della m-esima specie, e Zm il suo numero
atomico). Zeff in un plasma puro, cioè privo di agenti contaminanti, è unitario, il ché
riconduce alla forma normale per plasmi puri (4.4).
67
Il contenuto di impurezze all'interno del
plasma può giocare un fattore importante
nella
determinazione
dei
bilanci
energetici. Il grafico a lato rappresenta la
concentrazione di impurità necessaria per
produrre
una
radiazione
di
bremsstrahlung pari al 10% della potenza
termonucleare lorda prodotta. Possiamo
chiaramente osservare che per l'Elio
sarebbe richiesta una concentrazione intorno al 50%, ma all'aumentare del numero
atomico (compatibilmente col fatto che la dipendenza con Z è quadratica) le
concentrazioni necessarie diventano molto più scarse: circa 0,2% per il Ferro.
É per questo motivo che è necessario pompare attivamente fuori dalla camera di
combustione, oltre che l'Elio prodotto, anche e soprattutto le impurità derivanti
dell'interazione plasma parete: l'elemento di ITER che svolgerà tale compito è il
divertore, che generando nella zona inferiore della camera di combustione una
opportuna conformazione delle linee di campo, permetterà il deflusso dal plasma degli
elementi più pesanti. Il divertore è stato introdotto nei Tokamak a partire da JET e si è
rivelato un efficace strumento per mantenere il plasma a livelli di concentrazione di
impurità minime. Tale elemento, poiché dovrà resistere a temperature molto alte, è
realizzato in una lega a base di Tungsteno (temperatura di fusione > 4000°C), che ha
però numero atomico Z = 74, e quindi è chiaro come une una sua inevitabile
degradazione comporti notevoli perdite energetiche, e conseguentemente è inevitabile
che tale elemento andrà sostituito frequentemente.
Stime numeriche sulle base del modello matematico computerizzato MIST[30], derivante
dall'esperienza del progetto JET, indicano che per ITER si avrà circa Z eff ≃2,26 , il
che porta a ricalcolare sulla base dell'equazione (4.5) il contributo della potenza
irradiata per bremsstrahlung in:
B
P loss
≃54,58
kW
⋅837 m3 ≃45,68 MW
3
m
68
Il
grafico
lato
paragona
l'andamento
della
potenza
prodotta
rosso)
con
(in
potenza
a
dissipata
la
per
bremsstrahlung da plasma puro
(in verde) e plasma contaminato
con
Z eff ≃2,26 (in giallo): si
può notare come il contributo
delle impurità sia tutt'altro che
trascurabile.
➢ SPETTRO DELLA RADIAZIONE E AUTOASSORBIMENTO
Vogliamo ora determinare lo spettro della radiazione emessa per bremsstrahlung, in
modo da determinare l'entità dell'autoassorbimento per questo tipo di radiazione da un
plasma termonucleare.
Se la durata caratteristica di un urto è rappresentata dal tempo di interazione effettivo
t †=
2b
allora, facendo un'analisi di Fourier nel tempo, abbiamo che l'urto darà
υ
1 υ
contributo alla zona di spettro data da ≃ † =
.
2b
t
Il contributo allo spettro delle frequenze, in particolare, sarà su tutte le frequenza tali per
cui: 
υ
≡ max . Ricordando la definizione che abbiamo dato di bmin, possiamo
2bmin
quindi scrivere:
1
m υ2
2 e
(4.6)

≡ max
h
Si noti che questa relazione è compatibile con il fatto che l'elettrone può irradiare al
1
2
massimo la sua energia cinetica: h  me υ ≡h  max .
2
69
1 υ
υ
υ
⇒∣db∣= 2 ∣d ∣
Dalla condizione ≃ † =
segue che: b=
2b
2
t
2
e quindi la radiazione con frequenza compresa tra ν e ν+dν è emessa in seguito a urti
con parametro di impatto compreso tra b e b+db. Conseguentemente, essendo N il
numero di urti per unità di tempo con parametro d'impatto compreso tra b e b+db (N =
2πniυb|db|), vale l'equazione:
3
πn υ
υ v
N =2πn i υ
∣d ∣= i 3 d 
2
2  2
2
Poiché la potenza irradiata da un elettrone sarà definita dall'energia rilasciata in un
singolo urto per il numero di urti al secondo, secondo:
dε 
=N⋅Δε
dt
ed essendo l'energia per singolo urto data da (equazione (4.3)) Δε=
4 Z 2 e6
, e
3 c 3 m2e b 3 υ
ricordando la definizione di b, si ottiene che:
2 6
dε  16π Z e n i
=
d
dt
3 c 3 m2e υ
Per ottenere la potenza complessiva irradiata non resta che sommare la precedente
relazione su tutti gli elettroni, e quindi dobbiamo integrare sulla funzione di
distribuzione degli elettroni fe(υ), ottenendo quindi che:
P
 B
loss
2 6
16π Z e n i
 d =
d
3 c 3 me2
∞
∫

2h 
me
f e  υ
dυ
υ
Gli estremi di integrazione sono dovuti al fatto che abbiamo appurato come un elettrone
può contribuire allo spettro di frequenze solo per le frequenze date dalla (4.6).
Considerando, come al solito, la funzione di distribuzione degli elettroni una
maxwelliana, si ha che:
70
∞
∫

2h 
me
fe
dυ=
υ
∞
∫

2h 
me
2
meυ
h

−
ne me 32
me − T

 4πυ 2 e 2T =2n e
e
υ 2πTe
2πT e
e
e
e quindi, in definitiva:
B
P loss
 d =
2 6
32π Z e ni ne
3
2
3
c me

h
me − T
e
d
2πT e
e
Osservando lo spettro della potenza emessa
possiamo qualitativamente concludere che il
contributo delle frequenze tali per cui hν >> Te è
ininfluente;
in
particolare
è
definibile
la
frequenza di taglio νcut (secondo hνcut = Te) come
limite superiore delle frequenze che danno un
effettivo contributo. Il risultato è il tipico spettro
della radiazione di bremsstrahlung, mostrato nella figura a lato.
Si noti infine che l'integrazione su tutto lo spettro delle frequenze della precedente
relazione riproduce l'equazione (4.4) precedentemente ricavata per la perdita energetica
per bremsstrahlung. Un calcolo più rigoroso di tipo quantistico introduce nella
trattazione un ulteriore fattore detto fattore di Gaunt che, a prova del fatto che stiamo
considerando plasmi non quantistici, è un fattore lentamente variabile e circa uguale a
uno per i plasmi di interesse termonucleare.
Trasformando la relazione della perdita di potenza dallo spettro delle frequenze allo
spettro delle lunghezze d'onda otteniamo
−
hc
2 6
λT
32π Z e n i ne me e
B
P loss
 λ dλ=
dλ
3
2πT e λ 2
c 3 m2e

e
Sostituendo tutti i valori numerici si ottiene quindi la relazione:
−
12,4
2
λT
 B
−23 Z n i ne e
P loss  λ dλ=6,0⋅10
dλ
T e λ 2
e
71
W
m3 nm
La convenienza di passare allo spettro delle
lunghezze d'onda si evidenzia nel fatto che tale
spettro presenta una forma a campana, e quindi è
immediatamente ricavabile la lunghezza d'onda
che comporta un picco nella potenza emessa:
∂ P  λ
0,62
=0 ⇒ λmax =
∂λ
Te
nm
con Te espressa in keV. Dunque all'aumentare della temperatura il picco di potenza si ha
per lunghezza d'onda minori, o, che è lo stesso, frequenze maggiori.
Per un plasma a 20 keV si ha che λmax ≃ 0,031 nm, ovvero la radiazione è nella zona dei
raggi X. A tale lunghezza d'onda corrisponde una radiazione con fotoni di energia pari a
Emax = hνmax ≃ 40 keV.
L'opacità di un mezzo ad una certa radiazione è determinata dallo spessore ottico τ del
mezzo stesso: per
τ << 1 il mezzo si dice trasparente e la radiazione non viene
assorbita, mentre per τ >> 1 il mezzo
si dice opaco, e la radiazione viene
assorbita dal mezzo con un andamento
del tipo ~ (1-e-τ). L'andamento dello
spessore ottico in funzione della
variabile ausiliaria x=hν/kT è mostrato
nella figura a lato (cfr. appendice A.7).
Il punto di turnover da materiale trasparente ad opaco, nel caso dei plasmi di interesse
termonucleare, è un valore compreso tra 0 e 1, nell'ordine di 10-2.
Nel caso di radiazione di bremsstrahlung da plasma alla temperatura nell'ordine dei 10
keV, abbiamo che x≃ 2 , e quindi τ << 1, cioè il plasma è trasparente alla radiazione di
bremsstrahlung termico.
Questo comporta che la potenza irradiata per bremsstrahlung attraversa il plasma senza
essere riassorbita, e quindi, ai fini del bilancio energetico, è effettivamente potenza
persa.
72
4.4 - Radiazione di ciclotrone o bremsstrahlung magnetico
Il secondo tipo di radiazione di tipo free-free che consideriamo è la radiazione di
ciclotrone, che è la radiazione dovuta al moto di girazione (e quindi accelerato) delle
particelle intorno alle linee di campo magnetico confinanti il plasma (cfr. appendice
A.6). Poiché l'accelerazione delle cariche all'interno delle linee di campo sarà
inversamente proporzionale alla massa della particella, supporremo che siano solo gli
elettroni ad emettere, assumendo quindi di lavorare in un plasma in cui i nuclei atomici
e gli ioni siano fissi, appunto perché più massivi. Inoltre supporremo ancora di lavorare
in approssimazione non relativistica.
Ricorrendo alle equazioni del moto di una particella carica in un campo magnetico,
abbiamo che l'accelerazione subita dalla carica nel suo moto elicoidale è data da:
a=
υ 2┴
=Ω e υ ┴
rL
dove υ⊥ è la velocità della particella (l'elettrone nel nostro caso) perpendicolare alla
direzione delle linee di campo magnetico, rL il raggio di Larmor dell'elettrone, e Ωe la
frequenza di ciclotrone dell'elettrone, data da: Ωe = eB/me. L'accelerazione del moto di
girazione intorno alle linee di campo ha solo la componente perpendicolare alle linee di
campo stesse, e non componente parallela, poiché la forza di Lorentz agisce solo sulla
componente perpendicolare della velocità; perciò il moto parallelo non subisce l'effetto
di alcuna forza, e quindi è di tipo rettilineo uniforme.
Quindi, data l'accelerazione:
a=
eB
υ
me ┴
è immediato ricavare, data la formula di Larmor (4.1), che la potenza totale irradiata da
un elettrone in moto in un campo magnetico è data da:
dε 2 e 2 eB 2 2
=
 υ
dt 3 c3 me ┴
(4.7)
Per ottenere la potenza totale irradiata da tutti gli elettroni del plasma sarà sufficiente
integrare tale potenza persa sulla distribuzione di velocità degli elettroni:
73
2
2 e eB
P loss=
 
3 c 3 me
2
∫ υ2┴
f υ d 
υ
Essendo la distribuzione di velocità una maxwelliana (avendo supposto la distribuzione
degli elettroni isotropa nello spazio delle velocità), e integrando separando le
componenti parallela e perpendicolare delle velocità in coordinate cilindriche, abbiamo
che:
2
me υ║
2
me υ ┴
∞
−
me 32 ∞ − 2T
T
3
2T

υ
f

υ
d
υ
=n


e
dυ
2π
υ
e
dυ ┴=2n e e


∫
∫
e
║∫
┴
2πT e −∞
me
0
2
┴
e
e
Dunque in definitiva:
4 e 2 eB 2 T e

P C
=
n
 
loss
3 e c 3 me me
è la potenza totale irradiata per radiazione di ciclotrone per unità di volume. Da tale
formula si vede che l'andamento della potenza emessa dipende da m-3, e quindi si è
giustificato a posteriori l'aver supposto che l'emissione della radiazione avvenga solo
dagli elettroni, trascurando completamente l'emissione dagli ioni del plasma.
Esplicitando tutti i termini numerici si ottiene:

−18 2
P C
B ne T e
loss=6,2⋅10
W
m3
(4.8)
con la temperatura degli elettroni espressa in keV, il campo magnetico B in Tesla, e la
densità in m-3.
Considerazioni di tipo relativistico portano a correggere il risultato precedente nel modo
seguente:
2
2
4 e eB T e
5 Te

P C
=
n


1

loss
e 3
3 c me me
2 me c 2
Il termine aggiuntivo relativistico dà una correzione che è il rapporto tra l'energia
termica degli elettroni (~10 keV) e l'energia della massa a riposo dell'elettrone (511
keV), e quindi è assolutamente ininfluente; tale termine correttivo può diventare
rilevante solo per applicazioni astrofisiche.
74
Osserviamo inoltre ancora che non è presente nessun contributo derivante da eventuali
agenti contaminanti, e questo è ovvia conseguenza della natura della radiazione di
ciclotrone, che è generata dal moto degli elettroni liberi intorno alle linee di campo
magnetico, senza che i nuclei atomici entrino in alcun modo a che fare con il processo.
Consideriamo ancora quelli che saranno i parametri di riferimento per ITER: un campo
magnetico medio di circa 5,3 T lungo l'asse del toro, una densità elettronica media pari a
1020 e-/m3, e un temperatura media (centro della distribuzione di velocità) di circa 20
keV. Questo vuol dire che approssimativamente ITER dissiperà per radiazione di
ciclotrone circa:

−18
P C
5,32 10 20 20≃348,32
loss=6,2⋅10
kW
m3
cioè una potenza circa 14 volte più grande della potenza dissipata per bremsstrahlung da
plasma puro (≃ 24,15 kW/m3).
L'importanza della radiazione di ciclotrone è confermata nei due seguenti grafici:
Il primo mostra il confronto tra la potenza irraggiata per bremsstrahlung (in verde) e la
potenza irraggiata per radiazione di ciclotrone (in blu): è evidente come per le
temperature in questione (~ 20 keV), anche modesti campi magnetici (relativamente alle
intensità dei campi magnetici nelle macchine a confinamento magnetico, ~5-10 T)
comportino una radiazione di ciclotrone dominante sulla radiazione per bremsstrahlung,
in accordo con il risultato numerico. Il secondo grafico invece mostra il confronto tra la
potenza prodotta dal plasma termonucleare (in rosso) con la perdita energetica per
radiazione di ciclotrone (in blu): è evidente come tale perdita energetica, a parità di
temperatura, al crescere del campo magnetico possa diventare addirittura dominante
75
sulla potenza prodotta.
Lo stesso tipo di considerazioni energetiche svolte sulla reazione Deuterio-Deuterio crea
condizioni che appaiono ancora più sfavorevoli essendo la reattività di tale reazione
inferiore alla reattività della reazione Deuterio-Trizio.
L'introduzione del problema della radiazione di ciclotrone, posto per la prima volta nel
1958 in un articolo di Trubnikov e Kudryavtsev[31], nell'ambito dei lavori di ricerca sulla
fusione nucleare in Unione Sovietica, palesava quindi la possibilità di non poter ottenere
energia per via di fusione nucleare né dalla reazione Deuterio-Trizio, né tanto meno
dalla reazione Deuterio-Deuterio. Gli stessi Trubnikov e Kudryavtsev però, studiando la
radiazione di ciclotrone, individuarono la presenza di fenomeni di autoassorbimento, la
cui esistenza fu sperimentalmente verificata solo nel 1964 nell'esperimento di
Lichtenberg[32].
➢ SPETTRO DELLA RADIAZIONE E AUTOASSORBIMENTO
Per determinare l'entità dell'autoassorbimento della radiazione di ciclotrone è necessario
determinare la frequenza di emissione di tale radiazione, e
quindi è necessario studiare preliminarmente lo spettro della
radiazione di ciclotrone.
A tale scopo partiremo dalla formula di Larmor espressa nella
2
2
2
∞
iω t −
d W
q ω
forma (4.2):
= 2 3∣∫ e
dΩdω 4π c −∞
n⋅
r0
 n× n × υ 
c
2
dt∣
che fornisce l'energia emessa per unità di angolo solido e frequenza da un elettrone con
velocità υ osservato dalla direzione n =sen θ x cosθ  z .
Ottenuta d2W/dΩdω, per ottenere la potenza irradiata basterà osservare che:
∞
T /2
2
2
d2W
∝∣∫ e iξt dt∣ = lim ∣ ∫ e iξt dt∣
dΩdω −∞
T ∞ −T / 2
T /2
e quindi
T /2
d2 P
1
∝ lim  ∫ e iξt dt  ∫ e −iξt dt=2πδξ 
dΩdω T ∞ T −T / 2
−T / 2
76
Il problema quindi si risolverà ottenendo il fattore ξ all'interno dell'espressione per
l'energia, che sarà argomento della delta di Dirac nell'espressione della potenza.
Per determinare l'espressione dell'energia irradiata per unità di angolo solido e
r0 e
frequenza dobbiamo sostituire nell'integrale le espressioni di
υ per il moto
elicoidale di un elettrone nel campo magnetico esterno; tali equazioni del moto sono
date da (cfr. appendice A.6):

r0 =
 

υ┴
υ┴
sin  Ω e t  x −
cos  Ω e t  y  υ║ t  z e
Ωe
Ωe
υ=  υ ┴ cos  Ωe t  x  υ ┴ sen Ωe t  y  υ ║  z
dove Ω e =∣q∣B /m è la frequenza di ciclotrone del moto.
Considerando solo la prima parte del fattore esponenziale dell'energia emessa,
tralasciando il fattore n × n ×υ  , abbiamo quindi che:
iωt−
n⋅r0
ω
=i[1− β ║ cosθ  ωt−
β senθ senΩ e t ]
c
Ωe ┴
dove i termini β║ e β┴ sono dati da, rispettivamente, υ║/c e υ┴/c. Si vede quindi che nella
fase si accumulano uno sfasamento Δω = β║ωcosθ, detto spostamento Doppler, dovuto
alla componente del moto dell'elettrone lungo le linee di campo, e una modulazione
sinusoidale, con frequenza Ωe. La parte fisicamente più interessante di questo spettro è
proprio quella derivante da questa modulazione sinusoidale della fase:
e
i
ω
β senθ senΩe t
Ωe ┴
Per determinare lo spettro delle frequenze che produce questo termine, ne eseguiamo la
trasformata di Fourier, che ci permette appunto di passare dal dominio del tempo al
dominio delle frequenze, con il seguente risultato:
e
i
ω
β senΩe t senθ
Ωe ┴
∞
=
∑
J m ω β ┴ senΩ e t / Ω e e
imΩ e t
m=−∞
dove Jm sono le funzioni di Bessel di prima specie e di ordine m.
77
Recuperando il fattore di fase completo, comprensivo dell'effetto Doppler abbiamo
quindi che lo spettro in frequenza della perdita energetica per radiazione di ciclotrone
contiene un fattore del tipo:
∞
∑
m=−∞
J m ω β ┴ senΩ e t /Ω e  ei [1− β
║
cosθ  ω−mΩe ] t
Abbiamo quindi ottenuto che:
ξ =1− β ║ cosθ ω−mΩ e
Si vede quindi che lo spettro della potenza irradiata dal singolo elettrone, contenendo
una δ(ξ), presenta una serie di righe alle frequenze mΩe, cioè alle frequenze multiple
della frequenza di ciclotrone dell'elettrone, caratterizzate da uno spostamento Doppler
pari a Δω = β║ωcosθ.
Recuperando il fattore
n × n ×v  che abbiamo tralasciato fin dall'inizio, abbiamo
quindi che:
P ω , θ=
∞
cosθ− β ║ 2
eω 2
2
2
J m a β ┴ J m ' a δ 1− β ║ cosθ  ω−mΩ e 
∑
2πc m=−∞
senθ
{
}
con a=ω β ┴ senΩ e t/ Ωe .
Integrando tale espressione sull'angolo solido e sommando su tutte le armoniche si
ottiene, correttamente, l'equazione (4.7) ricavata a partire dalla formula di Larmor.
Nella figura a lato è rappresentato il diagramma polare
dell'emissione per un elettrone che emette radiazione di
ciclotrone per β → 0.
Lo scopo di questa trattazione è però stabilire la frequenza di emissione della radiazione
di ciclotrone per stabilire o meno la presenza del fenomeno di autoassorbimento.
Osservando dunque l'espressione di P(ω,θ) possiamo concludere che la presenza della δ
impone che lo spettro in frequenza sia costituito da una serie di armoniche a frequenza
multiplo della frequenza di ciclotrone, armoniche che sono tutte spostate per effetto
78
dello spostamento Doppler (che si verifica finché è presente una componente parallela
al campo magnetico della velocità dell'elettrone). In formule:
ω m=
mΩ e
1− β ║ cosθ
,
con m = 1, 2, 3, …
sono le righe di frequenza permesse per la radiazione di ciclotrone per un singolo
elettrone in moto nel campo magnetico. Osserviamo ancora che, poiché nel nostro caso
vogliamo considerare elettroni non relativistici, β║ → 0, e quindi gli effetti dello
spostamento Doppler sono trascurabili. Quindi le lunghezze d'onda associate alle righe
di frequenza per la radiazione di ciclotrone da elettroni in approssimazione β║ → 0 sono
date da:
λ m=
c 2πc 1 10,74 mm
≃
≃
per m=1
m Ωe m
B
con B espresso in tesla; per il range di valori di nostro interesse abbiamo quindi che le
lunghezze d'onda sono nell'ordine di 10-3-10-4m, e pertanto si tratta di radiazione
infrarossa.
Integrando la relazione per P(ω,θ) sulla funzione
di distribuzione degli elettroni, ottenendo la
potenza irradiata per unità di volume dal plasma
termonucleare, si ha che linee di emissione si
allargano, come mostrato nella figura a lato per una
temperatura di circa 10 keV e per le prime 10
armoniche (nella figura la potenza è rapportata allo spettro del corpo nero per la stessa
temperatura). Tale effetto di allargamento delle armoniche è dovuto al fatto che la
frequenza di ogni elettrone dell'n-esima armonica si sposta un po' dal suo valore centrale
per effetto della distribuzione statistica delle velocità. Si può notare come all'aumentare
dell'armonica si recuperi il caso di spettro continuo per effetto della sovrapposizione
delle armoniche, fenomeno che diventa più visibile all'aumentare della temperatura
(l'aumento della temperatura comporta l'ulteriore allargamento delle curve, poiché si
allarga la funzione distribuzione delle velocità). L'intensità totale trasportata dalla
79
radiazione di ciclotrone sarà la somma delle singole intensità portate da ciascuna
armonica, e quindi:
∞
I =∑ I n
n=1
Se consideriamo l'intensità trasportata dalla prima armonica rispetto all'intensità totale
abbiamo che vale quanto segue[33]:
I1
I
= ∞ 1 ≃1−1,9 β 21,05 β 4  ...
I
∑ In
n=1
e poiché stiamo considerando il caso in cui β → 0, possiamo affermare che la quasi
totalità della radiazione è trasportata nella prima armonica, cioè quella caratterizzata
dalla frequenza: ω = Ωe.
Come abbiamo già detto, l'opacità di un mezzo ad una certa radiazione è determinata
dallo spessore ottico τ del mezzo stesso: per τ << 1 il mezzo si dice trasparente e la
radiazione non viene assorbita,
mentre per τ >> 1 il mezzo si dice
opaco,
e
assorbita.
la
radiazione
L'andamento
viene
dello
spessore ottico in funzione della
variabile
ausiliaria
x=hν/kT
è
mostrato nel grafico a lato (cfr.
appendice A.7). Il punto di turnover
da materiale trasparente ed opaco, nel caso dei plasmi di interesse termonucleare è un
valore compreso tra 0 e 1 nell'ordine di 10-2.
Nel caso di radiazione di ciclotrone abbiamo quindi che:
−34
−19
hυ h ω
h Ω
h ∣q∣B 10 ⋅10
=
=
=
~
=10−25 ≪1
3
−31
kT kT 2π kT 2π kT 2πm 10 ⋅10
e quindi, conseguentemente, τ >> 1; il mezzo è perciò opaco alla radiazione di
80
ciclotrone, che pur essendo molto elevata, viene in buona parte riassorbita dal plasma.
Inoltre, la radiazione che non viene assorbita, poiché si tratta di radiazione infrarossa,
può essere facilmente riflessa delle pareti interne della camera a vuoto, e quindi essere
anche meccanicamente contenuta.
Quantitativamente circa il 5% della radiazione di ciclotrone prodotta abbandona
effettivamente il plasma costituendo quindi una perdita netta di potenza. In tali
condizioni la perdita energetica per
radiazione di ciclotrone diventa
sensibilmente minore della potenza
persa per bremsstrahlung (vedi
grafico a lato) e soprattutto della
potenza
nucleare
prodotta.
La
potenza dissipata per ciclotrone
continua a costituire un fattore
importante
comunque
ad
alte
temperature, ma non è più il fattore
dominante alle temperature di nostro interesse (T~20keV, B≃5T ).
Con queste condizioni, nel grafico seguente, si confrontano quindi la potenza nucleare
prodotta (in rosso) con le fonti
di perdita energetica finora
individuate:
radiazione
bremsstrahlung
da
di
plasma
puro (in verde) e radiazione di
ciclotrone a campo magnetico
fissato a 5,3 T (in giallo). É
inoltre riportato nella linea
tratteggiata in blu la somma di
questi due meccanismi di perdita energetica. Nel grafico è inoltre evidenziata la nostra
temperatura di riferimento: 20keV
81
Si può notare chiaramente come la radiazione di bremsstrahlung sia dominante a basse
temperature, mentre invece ad alte temperature è la radiazione di ciclotrone ad essere
dominante. Alla temperatura di riferimento la radiazione di ciclotrone fornisce un
contributo alla potenza dissipata non certo trascurabile, ma comunque minoritario.
Ricalcolando il contributo della radiazione di ciclotrone considerando il processo di
autoassorbimento per i valori di riferimento di ITER abbiamo che:

−18
P C
5,32 10 20 20
loss=6,2⋅10
5
kW
≃17,42 3
100
m
che sommato al contributo di bremsstrahlung da plasma puro
 B
P loss≃24,15
kW
m3
fornisce la densità totale di potenza dissipata dal plasma puro. La potenza dissipata dal
volume di plasma di ITER sarà quindi :
BC 
P loss
≃17,4224,15
kW
837m 3≃34,79 MW
3
m
contro una produzione energetica nelle stesse condizioni pari a 934 MW.
➢ SCOPO DIAGNOSTICO RADIAZIONE DI CICLOTRONE
Nei moderni impianti sperimentali la radiazione di ciclotrone assume una fondamentale
importanza per motivi diagnostici, permettendo una misura indiretta del profilo della
temperatura elettronica.
Consideriamo ad esempio la macchina a confinamento magnetico di tipo Tokamak qua
a lato schematizzata. All'interno di una sezione
poloidale, l'andamento del campo magnetico al variare
del raggio minore r, in virtù del teorema di Ampere avrà
un andamento del tipo 1/r.
La variazione di campo magnetico lungo la sezione
poloidale provocherà delle differenti frequenze di
ciclotrone punto per punto all'aumentare di r, e conseguentemente la frequenza della
82
radiazione di ciclotrone sarà caratteristica di ogni “sezione verticale” del plasma.
Rilevando per mezzo di opportune antenne diagnostiche lo spettro dell'emissione di
ciclotrone, si potrà quindi risalire all'intensità della radiazione per ogni sezione
verticale, e quindi alla temperatura per ogni sezione verticale di plasma (dipendendo
l'intensità delle prime armoniche solo dalla temperatura), ottenendo quindi il profilo
della temperatura della sezione poloidale del tokamak.
Abbiamo quindi che una misura dell'intensità della radiazione di ciclotrone (lontano
infrarosso) permette di ottenere informazioni non solo sulla temperatura elettronica, ma
anche sul suo profilo. La diagnostica del plasma per mezzo della radiazione di
ciclotrone permette inoltre importanti misure indirette dei moti e delle turbolenze
magnetoidrodinamiche, ed è un importante campo di ricerca nel quadro degli studi sulla
fusione termonucleare a confinamento magnetico[34].
83
4.5 - Radiazione di ricombinazione
Veniamo adesso a considerare un meccanismo radiativo di tipo free-bound. La
ricombinazione radiativa è infatti il fenomeno fisico di emissione di un fotone
conseguentemente alla caduta di un elettrone libero nella buca di potenziale di uno ione,
e quindi del suo passaggio da elettrone libero a elettrone legato; il processo è
schematizzato nella figura seguente. Poiché il livello superiore della radiazione sono un
continuo di stati, mentre solo il livello inferiore è un discreto di stati, la radiazione avrà
spettro continuo.
L'energia irradiata da un singolo processo di
ricombinazione è data:
2
h =E cc − E n=E cc −
Z
EH
n2
dove Ecc è l'energia iniziale dell'elettrone libero,
En è l'energia dell'n-esimo livello energetico
dello ione con numero atomico Z a cui l'elettrone va a legarsi; En sarà, esprimibile in
funzione di EH, energia dello stato fondamentale dell'atomo di Idrogeno pari a:
E H=
me 4
2
2ℏ
Operativamente, data l'energia di un singolo processo di ricombinazione per un singolo
elettrone, bisogna integrare tale energia su tutte le energie Ecc possibili, e
successivamente sulla distribuzione maxwelliana degli elettroni liberi, moltiplicando per
l'opportuno coefficiente di assorbimento di Einstein, che gioca il ruolo di una sezione
d'urto di assorbimento dell'elettrone. Concettualmente quindi si opera nello stesso modo
visto per la radiazione di bremsstrahlung. Non è quindi strano che la densità di potenza
associata alla radiazione di ricombinazione abbia una forma simile a quella di tale
processo. Si ha infatti che la densità di potenza per il processo radiativo di caduta di un
elettrone in uno stato legato al livello energetico n è data da:
P
ric. 
n

λ 3C
E H 3 /2 −
32
 d = 3/ 2 1 /2 3 E H 
 e
T
3 π
n
84
2
h Z EH
− 2
T
n T
n n Z
i
e
4
d
con
λ C =h/m e c lunghezza d'onda Compton dell'elettrone, e tutti gli altri parametri
continuano ad avere il loro usuale significato.
Per ottenere la radiazione totale emessa per via di radiazione di ricombinazione
bisognerà quindi sommare su tutti gli stati di arrivo n:
 ric.
P ric.

loss =∑ P n
n
La radiazione di bremsstrahlung, espressa in funzione degli stessi parametri, assume
invece la forma:
− 
E
16
 d = 3 /2 1 / 2 λC3 E H  H  e T n i ne Z 2 d 
T
3 π
1/2
P
 B
loss
h
La differenza fisicamente significativa tra le due espressioni risiede solo nell'argomento
dell'esponenziale: per la radiazione di ricombinazione, all'energia del fotone è, per
questioni di conservazione dell'energia, sottratta l'energia dello stato di arrivo dello
processo di ricombinazione.
Per determinare l'importanza reciproca delle due sorgenti di perdita di potenza è
sufficiente confrontarle, ottenendo:
ric.
Ploss
  2Z 2 E H
1
=
e
∑
 B
3
T
P loss 
n n
2
Z EH
2
n T
Si nota come il rapporto è indipendente dalla frequenza, ma dipende solamente dal
rapporto tra l'energia dello stato legato di arrivo e l'energia termica del plasma.
Supponendo un plasma di Idrogeno, abbiamo che tra l'energia di ionizzazione e la
temperatura del plasma (considerata ~10 keV) vige un rapporto di 1/1000, e quindi è
chiaro come la radiazione di ricombinazione sia assolutamente ininfluente se paragonata
alla radiazione di bremsstrahlung.
Questo fatto è anche ovvia conseguenza del fatto che considerando plasmi ad alta
temperatura di un elemento leggero come l'Idrogeno, questo si presenterà praticamente
solo nello stato ionizzato, e la popolazione di stati legati sarà minima. Tale popolazione
85
potrà aumentare, con conseguente aumento dell'emissione della radiazione di
ricombinazione, solo in seguito ad una diminuzione della temperatura del plasma.
Il rapporto tra le due potenze specifiche può però crescere all'aumentare di Z, in
particolare in modo quadratico; in questo modo un plasma contenente impurità con alto
Z, derivanti ad esempio da interazioni plasma parete, può emettere una potenza dovuta a
radiazione di ricombinazione importante.
Tuttavia il rapporto tra le due potenze non può divergere, come succedeva per il
confronto tra radiazione di ciclotrone e bremsstrahlung: infatti per un elemento con alto
Z, la ricombinazione avverrà con un livello energetico n grande (che si presenta alla
terza potenza, e alla seconda nell'esponenziale). Infatti la ricombinazione con un
elemento contaminante pesante non può avvenire a un livello energetico molto
profondo, perché questo sarà già completo, a meno che non si sia in presenze di
temperature molto alte, temperatura però che nel rapporto compare comunque a
denominatore. In ogni modo quindi la potenza quadratica del numero atomico è
controllata da ordini di infinito uguali o superiore a denominatore.
In definitiva quindi il contributo della radiazione di ricombinazione è importante solo
nel caso di presenza di elementi contaminanti con numero atomico elevato e in
concentrazioni considerevoli, ma raramente tale contributo sarà maggiore della potenza
irradiata per bremsstrahlung, e, anzi, in generale sarà molto minore.
Stime numeriche sulla potenza irradiata per radiazione di ricombinazione sono
rimandate alla presentazione della radiazione dovuta a impurità nel modello MIST.
86
4.6 - Radiazione di righe
Con radiazione di righe intendiamo il processo radiativo bound-bound di un elettrone
che, passando da un certo livello energetico a un livello energetico inferiore dell'atomo a
cui è legato, emette per conservazione dell'energia un fotone con energia pari al gap
energetico tra il livello iniziale e il livello finale della transizione.
Nella figura a lato è rappresentato lo schema
delle possibili transizione tra i livelli
energetici, raggruppate per serie a seconda
della posizione della radiazione nello spettro
elettromagnetico;
le
energie
dei
livelli
energetici sono riferite all'atomo di Idrogeno,
e conseguentemente anche la lunghezza
d'onda della radiazione.
Chiaramente si potrà avere radiazione di righe da un plasma termonucleare solo e
soltanto in presenza di stati legati all'interno del plasma stesso; viste le elevate
temperature in gioco, e la conseguente scarsa popolazione di stati legati, è naturale
supporre che la potenza irradiata da tale tipo di radiazione sarà marginale. Infatti, poiché
l'energia necessaria per stappare un elettrone all'n-esimo livello energetico da un atomo
con numero atomico Z è data da:
E=13,6 eV
Z2
2
n
è evidente che se consideriamo un plasma di Idrogeno, l'energia necessaria per strappare
l'elettrone all'atomo è al più (n=1) 13,6 eV, come rappresentato nello schema precedete.
Se consideriamo un plasma con i soliti parametri di riferimento, cioè con energia
termica E≃20 keV, possiamo essere ragionevolmente sicuri che nessun atomo di
Idrogeno si presenterà in uno stato legato, e quindi che non ci sarà nessuna radiazione di
righe da parte dell'Idrogeno.
Risolvendo l'equazione dell'energia dei livelli energetici in funzione di Z, con
87
E = 20 keV, otteniamo che si presenteranno in stati legati solo gli atomi con numero
atomico almeno pari a:
Z ≃38 n
Naturalmente questa trattazione è estremamente semplicistica: una trattazione più
rigorosa dovrebbe tenere conto dei coefficienti di emissione spontanea di Einstein, ma
comunque questa condizione, che è una stima per eccesso, ci mette in condizione di
valutare agilmente un ordine di grandezza valido. Ponendo ad esempio n=1, abbiamo
che a partire da Z=38 (Stronzio), l'energia termica del plasma non è più sufficiente a
strappare gli elettroni dalla schell energetica più interna dell'atomo, e quindi si è in
presenza di stati legati. Possiamo quindi concludere che in un plasma termonucleare la
radiazione di righe è possibile solo dagli elementi contaminanti derivanti dalle
interazioni plasma parete, perché questi saranno gli unici elementi del plasma
sufficientemente pesanti. La figura a lato
rappresenta la percentuale di atomi che nel
plasma mantengono legato almeno un
elettrone in funzione della temperatura,
permettendo quindi che si possa instaurare il
meccanismo della radiazione di righe.
É quindi evidente che, alle temperature di nostro interesse c'è una probabilità di circa
1% di trovare un atomo di Alluminio (Z = 13) con almeno un elettrone legato, mentre la
probabilità è prossima al 100% per il Ferro (Z=26), ed è pari al 100% per ogni elemento
successivo nella tavola periodica; quindi elementi contaminanti come Molibdeno
(Z=42), Nichel (Z=28), Tungsteno (Z=74), tipici dei Tokamak, produrranno di sicuro
radiazione di righe. Invece elementi più leggeri come l'Elio, il Carbonio e l'Ossigeno
non contribuiscono alla radiazione di righe in modo significativo.
Per ricavare in modo rigoroso l'intensità della radiazione di righe, e quindi la potenza
irradiata da questo meccanismo radiativo, bisogna tenere conto, come già accennato, del
coefficiente di emissione spontanea di Einstein, che concorre a determinare l'emissività
della sorgente. La potenza irradiata da un singolo processo andrà quindi integrata su
88
tutti le possibili transizioni tra i livelli energetici atomici, e sulla distribuzione delle
densità dei livelli di partenza e di arrivo della transizione.
Per valutare l'andamento complessivo della densità di potenza emessa per radiazione di
righe da una specie atomica i con numero atomico Z si può usare il seguente modello
dovuto a Vernickel e Bohdansky[35]:
P i=10,3 T ⋅10−25 Z  3,7−0,33 ln T   n i ne
W
3
m
dove la temperatura del plasma T è espressa in keV, e la densità ionica della specie
contaminante ni e la densità elettronica ne sono espresse in m-3. A titolo di esempio è
riportata qua di seguito la potenza specifica emessa per radiazione di righe (in
arancione) da una specie contaminante in concentrazione ni=5 · 1016 m-3, con ne=1020 m-3
(concentrazione
dell'agente
contaminante pari al 0,05% rispetto
alla densità elettronica) in funzione
della
temperature
e
del
numero
atomico; tale concentrazione è quella
stimata per il Ferro (Z=26) in ITER.
Tale densità di potenza è paragonata
con
la
potenza
prodotta
per
bremsstrahlung (in verde) dallo stesso plasma con la stessa contaminazione.
Dal grafico risulta evidente come, fissata la concentrazione delle impurità, e fissata la
temperatura, il contributo della radiazione di righe diventa importante all'aumentare di
Z; in particolare per agenti contaminanti con numero atomico alto questo contributo può
diventare addirittura dominante sulla potenza irradiata per bremsstrahlung. Il contributo
inoltre può aumentare notevolmente considerando densità ni maggiori.
Per ottenere poi la potenza totale irradiata bisognerà naturalmente sommare su tutte le
specie contaminanti presenti nel plasma:
P rig.
loss =∑ P i
i
89
Nella realtà sperimentale la presenza di agenti contaminanti è inevitabile, poiché le
interazioni plasma parete introdurranno una inevitabile disgregazione delle pareti della
camera a vuoto; alcuni di questi agenti contaminanti, come abbiamo visto, potranno
avere alti numeri atomici (addirittura Z=74). Vista la forte dipendenza da Z della
potenza dissipata, l'unico modo di assicurare un buon confinamento dell'energia nel
plasma è quello di mantenere la concertazione dell'agente contaminante il più bassa
possibile.
Anche in questo caso, possiamo notare come un organo che pompi attivamente fuori
dalla camera a vuoto le impurità risulti essere fondamentale per il confinamento
dell'energia all'interno del plasma.
4.7 - Modello MIST e radiazione da impurità
Abbiamo finora determinato due classi di processi radiativi: quelli derivanti da un
plasma puro, e quelli derivanti da un plasma contaminato da impurità. La prima classe è
costituita dalla radiazione di bremsstrahlung e dalla radiazione di ciclotrone da elettroni;
la seconda, oltre che da queste due, anche da bremsstrahlung da impurità, radiazione di
ricombinazione e radiazione di righe. Non si considererà anche la radiazione di
ciclotrone degli ioni derivanti da impurità perché l'abbiamo supposta trascurabile
rispetto a quella dovuta agli elettroni per via della dipendenza m-3.
L'insieme della radiazione di bremsstrahlung da impurità, radiazione di ricombinazione
e radiazione di righe sono analizzate globalmente in un unico modello detto modello
MIST[30] (Multi Ionic Species Transport code). Tale modello, appositamente creato per
ITER, punta a modellare la radiazione dovuta alle impurità nel modo più preciso
possibile, e al variare di alcuni importanti parametri di plasma, come Zeff, i profili di
densità, il profilo della temperatura, il tipo di impurità, le dimensioni fisiche del
reattore.
90
Lo sviluppo di un modello così preciso e appositamente dedicato, che superi i limiti dei
grossolani modelli qui ricavati, è dovuto all'importanza anche tecnologica della
radiazione da impurità. Fin ora, infatti, ci siamo soffermati solo sul problema del
confinamento dell'energia del plasma termonucleare, e quindi abbiamo ricercato delle
condizioni che minimizzassero le perdite radiative; una certa dispersione di energia per
via radiativa è però indispensabile nelle macchine a confinamento magnetico di tipo
Tokamak.
É infatti importante che il plasma nella regione più
esterna della sezione poloidale (nella figura qua a lato
schematizzata) abbia temperature basse; infatti se la
temperatura fosse nell'ordine dei 20 keV anche nelle
regioni di bordo del plasma, le pareti del divertore
andrebbero incontro a rapido deterioramento e rottura
per via dell'eccessivo carico termico, e ciò avverrebbe in
particolar modo per il divertore.
Tale distinzione in regioni per il plasma al variare del raggio minore motiva la
suddivisione della sezione poloidale in zone: esiste una regione centrale detta core
(0 < r/a < 0,3) dove avviene la reazione di fusione, una regione detta edge
(0,9 < r/a < 1,0) che è la zona di margine esterno del plasma, e una regione detta
Scrape-Off Layer (r/a > 1,0) che è la zona tra il
margine esterno del plasma e la parete fisica della
camera a vuoto. Ebbene, è importante che la
temperatura del plasma abbia un profilo del tipo di
quello a lato: la temperatura sarà nell'ordine dei 20
keV nella zona di core dove avvengono le reazioni di
fusione, crollerà nella regione di transizione tra core ed
edge, e sarà minima nell'edge e nel SOL.
Il modo per far dissipare l'energia termica al plasma nelle regioni di bordo, riducendo il
carico termico sulle strutture della camera a vuoto e sul divertore, è quello di provocare
91
una perdita radiativa di energia dal plasma, che però dovrà interessare solo tali regioni e
non il core per i noti motivi di confinamento dell'energia.
Sarà proprio la radiazione da impurità a provocare questo meccanismo di perdita
energetica in una precisa regione del plasma. Infatti, poiché la densità delle impurità è
circa costante lungo la sezione poloidale (si veda lo schema precedente), ma la
temperatura è molto minore nell'edge che nel core, è naturale che la regione di bordo
vedrà un incremento nella densità di stati legati rispetto alla regine centrale;
conseguentemente la regione di edge avrà un'elevata emissione di radiazione di
ricombinazione e radiazione di righe, che abbiamo visto essere dominanti per alti e medi
Z sull'emissione da bremsstrahlung termico dovuta a impurità.
Si vede dunque l'importanza di creare un modello matematico che studi con precisione
la radiazione dovuta alle impurità nella sua totalità, e che ponga le condizioni di
controllarla[36] con opportune iniezioni mirate di agenti contaminanti all'interno del
plasma, e tutto ciò al fine di ridurre il carico termico sulle strutture della camera a vuoto.
Il modello di simulazione MIST applicato su ITER studia quindi l'emissione di
radiazione da un plasma debolmente contaminato da Elio, Carbonio, Ossigeno,
Alluminio, Ferro, Molibdeno e Tungsteno secondo le concentrazioni riportate nella
tabella seguente, che riporta la contaminazione, la sua concentrazione rispetto alla
densità elettronica, e il contributo di tale impurità alla Zeff totale del plasma:
Non sono riportate le impurità che si presentano in concentrazioni trascurabili (ma non
sono trascurabili i loro effetti); la somma dei contributi al numero atomico efficace è
come abbiamo già evidenziato Zeff= 2,26.
Il modello MIST verifica che per mantenere un equilibrio tra la necessità di confinare
l'energia nel plasma e la necessità di dissipare energia per via radiativa deve valere la
condizione Zeff ≃ 2.
92
➢ STIME NUMERICHE DEL MODELLO MIST
Secondo tale modello la potenza totale dissipata per radiazione da impurità, per i
parametri di temperatura, densità e volume tipici di ITER è pari a circa 220 MW, che è
circa 6 volte tanto la radiazione da plasma puro, pari a circa 35 MW. La potenza totale
dissipata sarà quindi di circa 250 MW (0,30 MW/m3), valore comprensivo anche delle
deboli perdite per banale diffusione termica. La potenza dissipata va confrontata con i
circa 930MW (1,11 MW/m3) di produzione energetica lorda stimata. La potenza netta
prodotta sarà quindi di circa 680 MW. Tale valore, ottenuto utilizzando modelli
fortemente semplificati e spesso non fedeli alla realtà sperimentale, fornisce comunque
un valore numerico compatibile con le previsioni teoriche, che sono di 500-700MW di
produzione netta.
I 220 MW circa di potenza persa per via radiativa sono così suddivisi:
- Oltre il 50% della radiazione totale dissipata dal plasma deriva dal processo radiativo
bound-bound di radiazione per righe. Se consideriamo l'unione di radiazione di righe e
radiazione di ricombinazione la percentuale sale a più dell'80%.
- Il grafico seguente mostra la quantità di energia irradiata per radiazione da impurità
divisa per specie contaminante, a parità di ogni altra variabile. É evidente come gli
elementi più pesanti irradino in modo
maggiore. In particolare, oltre l'80% della
potenza
dissipata
per
radiazione
da
impurità deriva dalla presenza di Ferro e
Tungsteno; segue poi il contributo del
carbonio. Questi elementi derivano dalle
interazioni plasma parete, e per permettere
un buon confinamento dell'energia è
quindi evidente come tali interazioni
debbano essere ridotte al minimo, esaltando la radiazione localizzata nelle zone di bordo
per via di iniezione mirata di agenti contaminanti (tipicamente viene usato Argon).
Infine si può notare come la presenza dell'Elio, residuo delle reazioni di fusione, non sia
93
in realtà determinante ai fini della potenza totale dissipata.
- Il grafico seguente mostra, per ogni specie contaminante presente nel plasma, la
frazione di energia irradiata nelle zone di edge
e SOL rispetto alla totalità dell'energia
dissipata dalla stessa specie. In accordo con la
necessità di massimizzare la radiazione nella
zone esterne del plasma, e limitarla nella
regione centrale, possiamo osservare come
complessivamente oltre il 65% della potenza
dissipata viene emanata nelle zone esterne
(edge + SOL). Possiamo inoltre osservare che
per le specie atomiche leggere la tendenza a emettere solo nelle zone periferiche è più
pronunciata rispetto alle specie pesanti: tale situazione è dovuta al fatto che le specie
leggere possono presentarsi nello stato legato (potendo emettere radiazione di righe e di
ricombinazione che insieme costituiscono la maggior parte della radiazione irradiata da
impurità) solo nelle zone periferiche del plasma caratterizzata da minori temperature, e
quindi è solo qui che potranno emettere. Le specie pesanti possono invece presentarsi
nello stato legato anche in zone più profonde, disperdendo energia quindi anche nelle
zone più interne del plasma, dove invece è necessario limitare le perdite per non
raffreddare il plasma. É per questo motivo che le concentrazioni di specie pesanti
devono essere limitate, in favore di opportune iniezioni mirate di impurità più leggere
come l'Argon.
94
5 – BILANCI ENERGETICI E CRITERIO DI LAWSON
5.1 - Energia prodotta ed energia dissipata dal plasma
termonucleare
Volendo quindi riassumere i risultati fin ora ottenuti, considerando un plasma
termonucleare, si è determinato che:
•
in un plasma di Deuterio e Trizio a temperature e pressioni tali per cui al suo
interno si sviluppino reazioni di fusione termonucleare secondo la reazione:
D + T → 4He (3,52 MeV) + n (14,08 MeV)
è prodotta una potenza specifica descritta, con buona approssimazione nel range
di temperature di nostro interesse, dall'equazione (3.7), qua riscritta con i
parametri di riferimento di ITER:
6
∣
−0,476⋅ ln 
P fus =5,04⋅10 ⋅e
T

69
2,25
∣
MW
m3
dove T è la temperatura del plasma espressa in KeV. Tale potenza specifica è
quindi la potenza disponibile nel plasma termonucleare, ed è stata determinata
supponendo che solo le particelle α della reazione Deuterio-Trizio trasferiscono
la loro energia al plasma, poiché sono le sole che possono essere contenute
magneticamente all'interno del plasma stesso; i neutroni da 14,08 MeV invece
abbandonano il plasma praticamente non cedendo ad esso energia.
•
lo stesso plasma termonucleare ha delle perdite energetiche intrinseche, dovute
principalmente a meccanismi radiativi, derivanti dal moto accelerato delle
particelle al suo interno. Tali meccanismi radiativi sono la bremsstrahlung e la
radiazione di ciclotrone, e le rispettive densità di potenza emesse sono date dalle
equazioni (4.4) e (4.8), qua riscritte per i parametri di riferimento di ITER:
 B
−3
P loss=5,4⋅10 ⋅ T e

−3
P C
loss=17,42⋅10 ⋅T e
95
MW
m3
MW
m3
dove T è la temperatura espressa in keV.
Il seguente grafico riporta il confronto tra la potenza di fusione prodotta (in rosso) e le
potenze dissipate per bremsstrahlung (in verde) e radiazione di ciclotrone (in giallo).
Inoltre è riportata (in blu) la somma di questi due contributi di perdita energetica.
Si può osservare come si possano individuare due temperature critiche oltre le quali la
potenza specifica persa supera la potenza specifica prodotta: la prima è un limite
inferiore, pari circa a 3 keV (34,8 · 106 K), mentre la seconda è un limite superiore, pari
a circa 500 keV (5,8 · 109 K). Inoltre nel grafico è riportata la temperatura media di
riferimento di ITER pari a circa 20 keV (200 · 106 K).
Questo bilancio energetico è relativo ad un plasma puro, ovvero composto unicamente
da Deuterio e Trizio. Si è però visto come un plasma termonucleare tipico di una
macchina a confinamento magnetico sia necessariamente contaminato in una certa
percentuale da impurità, il che provoca un incremento della potenza persa per via
radiativa. In particolare:
•
nello stesso plasma termonucleare prima considerato, in cui siano presenti
elementi contaminanti ad alto e medio numero atomico, si incrementa la perdita
energetica dovuta a bremsstrahlung di una fattore Z eff proporzionale alla
96
concentrazione delle impurezze, e soprattutto si innescano due nuovi fenomeni
radiativi: la radiazione di righe e la radiazione di ricombinazione. La
combinazione di questi 3 fattori dipende criticamente dal numero atomico delle
impurità e dalla loro densità. Sulla base di simulazioni computerizzate condotte
su modelli virtuali del plasma di ITER, si può qualitativamente determinare che
la potenza persa per via radiativa dal plasma di questa macchina deve essere
moltiplicata per un fattore 6 rispetto al caso di plasma puro.
Il grafico seguente confronta quindi la potenza totale irradiata dal plasma contaminato
di ITER con la potenza di fusione da esso prodotta
Si può chiaramente notare come l'intervallo utile, in cui il plasma produce più energia di
quanta ne disperda, viene a restringersi. In particolare la temperatura critica inferiore
sale a circa 7 keV (81,2 · 106 K), mentre quella superiore scende a circa 225 keV (2,6 ·
109 K). A conferma della validità dell'utilizzo della reazione Deuterio-Trizio in luogo
della reazione Deuterio-Deuterio, si può calcolare che lo stesso bilancio energetico
applicato alla reazione Deuterio-Deuterio, evidenzia una temperatura critica inferiore di
circa 70 keV.
97
Dunque un plasma al cui interno si verificano reazioni di fusione, e alla temperatura
critica di 7 keV, è in una condizione in cui l'energia ceduta per unità di tempo e unità di
volume dalle particelle α al plasma, è pari all'energia per unità di tempo e volume
dispersa dal plasma, con il risultato che la sua temperatura resterà costante. Un plasma
di questo tipo è in grado di autosostenere al suo interno le reazioni di fusione, e viene
detto ignito, e la temperatura critica inferiore di 7 keV viene detta temperatura minima
di ignizione; da tale plasma tuttavia non è possibile estrarre energia utile, ad esempio,
per alimentare una rete elettrica.
Un plasma ad una temperatura compresa tra 7 e 200 keV, invece, ha un bilancio
energetico positivo, e quindi, se lasciato libero di evolvere, tenderà ad incrementare la
sua temperatura; da un tale tipo di plasma è possibile estrarre energia utile.
Un plasma, invece, ad una temperatura inferiore a 7 keV (o superiore a 200 keV) ha un
bilancio energetico negativo, e quindi, se non si attivano meccanismi di rifornimento
energetico che possano supplire alle perdite, tenderà a raffreddarsi, e quindi le reazioni
di fusione al suo interno tenderanno a cessare.
Inoltre, poiché la curva di potenza prodotta non diverge, ma è una campana, possiamo
concludere che un ipotetico impianto elettronucleare basato sulla fusione è
intrinsecamente sicuro: il plasma ignito, se libero da ogni controllo, potrà, nel peggiore
dei casi, aumentare la sua temperatura fino alla temperatura critica superiore. Nella
realtà dei fatti, però, tenderà a spegnersi, poiché per il mantenimento di un plasma ignito
sono necessari controlli di tipo magnetoidrodinamico attivi, che, se vengono meno,
innescano turbolenze che provocano intense perdite energetiche. In nessun caso
comunque il plasma tenderà a far crescere in modo incontrollato la propria temperatura,
come contrariamente accade nel caso delle reazioni di fissione nucleare.
98
5.2 - Il criterio di Lawson
Determinare in modo analiticamente preciso l'andamento della potenza persa dal plasma
è però difficile: modellare le perdite energetiche, soprattutto quelle dovute alla
radiazione di ricombinazione, alla radiazione di righe, e alle perdite per diffusione e
conduzione termica può essere non banale.
Per evitare, nel determinare i bilanci energetici, di dover ricorrere necessariamente
all'utilizzo di un modello matematico completo per le perdite energetiche, si definisce
una grandezza detta tempo di confinamento. Il primo utilizzo di tale espediente risale ad
un articolo di J. D. Lawson[37] del 1957, anno in cui, appunto, non erano ancora ben noti
neanche i fenomeni di perdita energetica più elementari come la bremsstrahlung.
Il tempo di confinamento dell'energia è definito come:
τ E=
E termica
P loss
(5.1)
ovvero come il rapporto tra l'energia termica contenuta nel plasma, e il rateo di perdita
energetica dovuta a tutti i meccanismi esistenti, di qualunque natura essi siano. Ai fini
pratici possiamo pensare al tempo di confinamento come il tempo di fusione effettivo
per il plasma (ricordiamo infatti che le macchine Tokamak hanno un funzionamento
impulsato e quindi il tempo di fusione è un tempo finito).
In un plasma in cui consideriamo una distribuzione maxwelliana di velocità termica
delle particelle, l'energia termica media sarà definita come:
3
⟨ E ⟩= nT e T i 
2
In particolare per un plasma isotermo e all'equilibrio termodinamico, in cui Te = Ti,
possiamo quindi ottenere una forma per Ploss dalla (5.1) che non coinvolga
necessariamente uno studio dettagliato delle potenze di perdita:
P loss=
E termica 3nT
=
τE
τE
99
(5.2)
La densità di potenza prodotta dalle reazioni di fusione, invece, è determinata da, come
visto nel capitolo 3:
1 2
P fus = n ⟨ συ⟩ ε
4
(5.3)
dove n è la densità del plasma, ‹συ› la reattività del plasma data dalla (3.6), e ε l'energia
liberata da una reazione di fusione, pari a 17,6 MeV per la reazione Deuterio-Trizio.
➢ CONDIZIONE DI BREAKEVEN
La condizione di operatività del plasma termonucleare sarà:
P fus
≥1
Ploss
(5.4)
Tale condizione è detta condizione di breakeven, e in realtà non è ancora una condizione
di operatività reale per il plasma di Deuterio e Trizio. Abbiamo infatti visto come circa
l'80% dell'energia prodotta dalla fusione Deuterio-Trizio sia trasportata da un neutrone
non confinabile magneticamente, che quindi non contribuisce come energia in input per
il plasma. Dunque solo circa il 20% dei 17,6 MeV contribuiscono effettivamente al
bilancio energetico. Se invece considerassimo reazioni di fusione che generano solo
prodotti carichi tale condizione sarebbe direttamente una condizione di operatività reale,
cioè una condizione di ignizione.
Sostituendo nell'equazione (5.4) a Ploss e Pfus le relative equazioni (5.2) e (5.3), si ottiene
che:
nτ E ≥
12 T
=F B T 
ε ⟨ συ ⟩
Tale disequazione è nota come criterio di Lawson per la condizione di Breakeven. La
funzione FB(T) è plottata nel seguente grafico, che sull'asse delle ordinate riporta il
prodotto nτE.
100
Il criterio di Lawson per la condizione di breakeven comporta che il prodotto nτE abbia
un valore che si collochi nella zona superiore alla curva, e quindi definisce dei limiti
inferiori per la densità del plasma e per il tempo di fusione dello stesso. Osservando la
curva, possiamo individuare una temperatura ideale che permette di minimizzare densità
e il tempo di confinamento pur mantenendosi in una zona di efficienza energetica: tale
temperatura è di circa 25 keV; non a caso in ITER la temperatura media stimata per il
plasma sarà prossima a questo valore, e pari a circa 20 keV. Nel caso non si fosse in
grado di raggiungere questa temperatura, è inevitabile che per mantenere la condizione
di breakeven si debbano allungare i tempi di confinamento e/o incrementare la densità
di plasma. In realtà l'incremento della densità è un fattore difficile da ottenere: infatti la
densità è controllata dall'intensità dei campi magnetici confinanti il plasma, e poiché
esistono dei limiti tecnologici sull'intensità generabile per un campo magnetico, esiste
anche un limite superiore alla densità raggiungibile per il plasma confinato
magneticamente.
Alla temperatura stimate per il plasma di ITER corrisponde una funzione FB(T) pari a
circa 4 · 1019 s/m3, e quindi deve valere la relazione:
nτ E ≥4⋅1019
s
m3
Utilizzando il parametro di riferimento di ITER per la densità (10 20 m-3) abbiamo quindi
101
che la durata minima dell'impulso di fusione dovrà essere di 0,4 s; se si fosse in grado di
raggiungere densità e tempi di confinamento superiori, è evidente come ci si potrebbe
permettere temperature inferiori.
La condizione di breakeven è una condizione energetica che è stata ampiamente
raggiunta nel Tokamak JET fin dal 1991, e oggi è un risultato consolidato in numerose
macchine a confinamento magnetico[4].
➢ CONDIZIONE DI IGNIZIONE
La condizione di breakeven non corrisponde però a una situazione di effettiva
operatività del plasma: infatti, come si è già evidenziato, solo l'energia relativa alla
particella α è effettivamente energia disponibile in input per il plasma perché è la sola
particella prodotta a poter essere confinata magneticamente dentro al plasma. Avendo
determinato che l'energia totale liberata dalla fusione è suddivisa come segue:
D + T → 4He (3,52 MeV) + n (14,08 MeV)
abbiamo che il criterio di Lawson si modifica come segue:
nτ E ≥
12 T
=F I T 
ε  ⟨ συ ⟩
(5.5)
Poiché in tale condizione l'energia disponibile in input è circa 1/5 dell'energia
disponibile nella condizione di breakeven, avremo che la condizione di ignizione,
descritta nella precedente disequazione, è una condizione più restrittiva della condizione
di breakeven. Il grafico seguente mostra, analogamente a prima, il criterio di Lawson
per l'ignizione (in rosso); tale curva è inoltre confrontata con quella relativa al criterio di
Lawson per il breakeven.
Possiamo osservare come la temperatura di massima efficienza rimanga invariata, e
circa pari a 25 keV. Tuttavia il valore del prodotto nτE risulta essere moltiplicato per un
fattore 5 rispetto al suo valore nella situazione di breakeven (proprio perché l'energia
ora disponibile è ridotta di un fattore 5 rispetto a quella disponibile per il breakeven), e
dunque è pari a circa 1,5 · 1020 s/m3.
102
Questo significa che per raggiungere l'ignizione in un plasma termonucleare alla
temperatura di circa 20 keV (FI(20 keV) ≃ 1,6 ·1020 s/m3) , è necessario un prodotto nτE
dato da:
nτ E ≥1,6⋅10 20
s
3
m
Questo vuol dire che in un plasma di densità 1020 particelle per m3, sono necessari tempi
di confinamento di almeno 1,6 secondi. Per tempi inferiori il bilancio energetico è
negativo, mentre per tempi sempre maggiori il bilancio sarà sempre più favorevole.
In ITER si stimano tempi
di confinamento nell'ordine
di 103 secondi, e quindi
prodotti nτE nell'ordine di
1023 s/m3, che si collocano
in una zona di assoluto
guadagno energetico nel
grafico
Lawson
103
del
per
criterio
di
l'ignizione.
Sono anche riportati qualitativamente i risultati raggiunti dal plasma di JET: n ~ 10191020m-3, T ~ 5–6 keV, τ ~ 20 – 60 s.
Il raggiungimento della condizione di ignizione del plasma termonucleare (condizione
sperimentalmente mai raggiunta), ovvero il raggiungimento di una condizione per cui
l'energia delle particelle α è sufficiente (o superiore) a rimpiazzare l'energia persa dal
plasma, è l'obbiettivo scientifico primario di ITER. Le attuali conoscenze in fatto di
fisica del plasma applicata alla fusione risentono di importanti lacune sperimentali su
plasmi la cui temperatura è sostenuta solo dai prodotti di fusione.
➢ DRIVEN MODE
Una terza possibilità che non abbiamo ancora considerato per i bilanci energetici è la
situazione in cui l'energia depositata nel plasma dalle particelle cariche prodotte dalla
fusione non è sufficiente a compensare completamente le perdite, per cui il plasma non
è in grado di mantenere autonomamente la sua temperatura. Per mantenere il plasma a
temperature termonucleari sarà allora necessario un riscaldamento esterno ausiliario che
supplisca a tale deficit energetico.
Per mantenere un bilancio energetico generale positivo, dovrà quindi valere la seguente
disequazione:
P aux P α ≥ P loss
dove con Paux si intende la potenza ausiliaria in ingresso, con Pα la potenza prodotta
dalle particelle cariche nel plasma, e con Ploss la perdite di potenza del plasma.
Tale condizione può anche essere tipica di un plasma ignito: infatti, benché la potenza
generata dai prodotti carichi sia sufficiente a rimpiazzare le perdite dovute ai
meccanismi di perdita energetica, il plasma, all'interno di una macchina a confinamento
magnetico, necessita comunque di una serie di controlli attivi, che quindi comportano
un certo consumo energetico. Dunque anche un plasma ignito necessita in realtà di una
certa Paux esterna, e quindi funziona in driven mode. In ITER, il plasma raggiungerà
condizioni prossime all'ignizione, ma comunque sarà necessaria una potenza ausiliaria
104
esterna per operazioni di riscaldamento mirato e prevenzione della formazione di
turbolenze nel moto fluido del plasma.
Soffermiamoci proprio su questa condizione, considerando un plasma ignito che
comunque necessiti di una potenza ausiliaria: per mantenere in pareggio il bilancio
energetico del plasma tra l'energia in prodotti carichi generata dalla fusione e tutti i
possibili canali di perdita energetica, supponiamo che serva solo una frazione f
dell'energia dei prodotti carichi. In tal caso, la disequazione per ottenere un bilancio
energetico generale positivo diventa:
P aux  f P α ≥ P loss
(5.6)
Sotto queste ipotesi, l'energia in uscita dal plasma sarà costituita, oltre che dall'energia
persa per via termica ed elettromagnetica e l'energia dei neutroni, anche della frazione
(1-f) dell'energia dei prodotti di fusione carichi.
Il modo migliore per reperire l'energia ausiliaria necessaria per mantenere il controllo
del plasma termonucleare, è proprio quello di recuperare queste energie in uscita.
Queste, una volta raccolte con opportuni strumenti, saranno quindi trasformate con una
certa efficienza η nell'energia ausiliaria in ingresso. Lo schema di questa condizione è
rappresentato qua di seguito (in termini di potenza invece che energia):
Sotto queste ipotesi possiamo quindi scrivere:
P aux =[1− f  P P n Ploss ] ≃ [1− f  P 4P P loss ] = [5− f  P  P loss ]
105
Il bilancio energetico totale espresso nella (5.6) diventa quindi:
[5− f  P  P loss ]  f P ≥P loss
Ricordando la definizione di Ploss e di Pα espressa nelle equazioni (5.2) e (5.3), e
risolvendo la disequazione otteniamo quindi la condizione:
nτ E ≥
1−
12T
1−
=
F T 
f 5− f  ε  ⟨ συ ⟩ 
f  5− f  I
(5.7)

avendo fattorizzato la funzione FI(T) del criterio di Lawson per l'ignizione.
Tale condizione viene detta criterio di Lawson per il driven mode.
Lo studio della funzione γ (plottata
qua a lato) permette quindi di
determinare se il criterio di Lawson
per il driven mode è meno restrittivo
di quello per l'ignizione (γ < 1) o se è
più restrittivo (γ > 1). Possiamo
osservare come, a parità di f, per alte
efficienze, il criterio di Lawson per il
driven mode è meno restrittivo di
quello per l'ignizione; ciò è motivato
dal fatto che se consideriamo η → 1, la somma di fPα con Paux, darà una densità di
potenza maggiore di Pα (energia disponibile nel caso dell'ignizione). Se invece
consideriamo efficienze basse, l'energia disponibile in driven mode diventa minore di
quella disponibile nell'ignizione, e conseguentemente il criterio di Lawson per il driven
mode diventa più restrittivo.
Nella pratica l'efficienza di conversione energetica η non può essere molto grande:
anche solo per ragioni termodinamiche si ha η ≲ 0,3; inoltre, visto il tipo di energie da
convertire, e viste le tecnologie a disposizione per farlo, si può stimare η ≲ 0,1. In tali
condizioni si ha per ogni valore di f che γ > 1, e quindi il criterio di Lawson per il driven
modo è in generale più restrittivo rispetto a quello per l'ignizione.
106
5.3 - Condizioni di guadagno energetico per reattori
elettronucleari
Il criterio di Lawson appena esposto fornisce delle condizioni per cui i bilanci energetici
interni al plasma generano una condizione per cui il plasma termonucleare è in grado di
autosostenere al suo interno le reazioni di fusione nucleare, o autonomamente, o con
l'ausilio di Paux.
Per riassumere, queste condizioni sono una temperatura compresa nell'intervallo 10–200
keV, e un prodotto densità per tempo di confinamento definito dal criterio di Lawson
(per la condizione di ignizione):
nτ E ≥
12 T
ε  ⟨συ ⟩
20
Nella pratica, per una temperatura di circa 20 keV, questo significa nτ E ≥1,6⋅10
s
3
m
Nell'elaborare queste condizioni, però, non si è mai fatto riferimento alla necessità di
estrarre dai processi di fusione nucleare che avvengono nel plasma energia destinata a
scopi differenti dal mantenimento del plasma stesso in condizioni di ignizione.
Lo schema di una ipotetica centrale elettronucleare che sfrutti l'energia termica prodotta
dalle reazioni di fusione può essere il seguente:
In questa caso, della potenza specifica dei prodotti di fusione, Pα, solo la frazione f è
necessaria per mantenere il plasma ignito. La restante energia, unita a quella dei
neutroni, e alla potenza persa per via radiativa e termica, viene recuperata, e trasformata
107
in potenza elettrica con un'efficienza ηe. Di tale potenza elettrica solo la frazione x viene
trasformata nella potenza Paux necessaria per il controllo del plasma, mentre la frazione
(maggioritaria) 1-x è effettivamente disponibile come potenza in uscita dalla centrale
elettronucleare. Dunque:
P out =1−x  Pe
è la potenza elettrica disponibile dall'ipotetica centrale elettronucleare, che sarà immessa
nella rete elettrica.
Volendo elaborare una condizione di guadagno energetico per l'impianto elettrico,
osservando lo schema, abbiamo che:
P e =[1− f  P  P nP loss ] e ≃[1− f  P 4P P loss ] e=[5− f  P P loss ]e
e quindi:
P aux =[5− f  P P loss ] x e aux
Effettuando la sostituzione
x e aux =
possiamo osservare come la condizione di funzionamento del reattore in driven mode
P aux  f P α ≥ P loss
conduca al criterio di Lawson che si era già ricavato nell'equazione (5.7) per la
configurazione in driven mode:
nτ E ≥
1−
12T
1−
=
F T 
f 5− f  ε  ⟨συ ⟩ 
f  5− f  I

Questa volta però la funzione γ è molto maggiore di 1: infatti ora η è il prodotto di due
efficienze, e della frazione x, che, perché l'impianto sia energeticamente conveniente,
deve essere un numero molto minore di 1. Per fare una stima numerica, possiamo
valutare che:
= x e  aux≃
1 1 1
⋅ ⋅ =0,25 %
10 10 4
108
In queste condizioni si ha, indicativamente, γ ~ 10, e quindi il prodotto nτE deve essere
un ordine di grandezza superiore rispetto a quello per l'ignizione. Tale condizione è
mostrata nella figura sottostante (curva arancione), ed è confrontata con il criterio di
Lawson per l'ignizione del plasma termonucleare (γ = 1).
Considerando un plasma ad una temperatura di 20 keV, è necessario un prodotto nτE
dato da:
nτ E ≥1,6⋅10
21
s
m3
Questo vuol dire che in un plasma di densità 1020 particelle per m3, sono necessari tempi
di confinamento di almeno 16 secondi.
Supponiamo ora di poter ottenere, in una macchina a confinamento di tipo Tokamak, un
plasma perfettamente ignito: la presenza della potenza ausiliaria in ingresso servirà
quindi solo e soltanto per il tempo necessario a portare il plasma a temperatura
termonucleare; dopo di ché tale contributo in ingresso potrà essere eliminato, e il plasma
manterrà autonomamente la condizione di ignizione per tutto l'impulso di fusione.
Come già evidenziato questa è una condizione puramente ideale, perché una certa
109
potenza ausiliaria è sempre necessaria per il controllo magnetoidrodinamico del plasma.
Poiché la macchina di confinamento Tokamak ha funzionamento impulsato supponiamo
che l'andamento delle potenze in questione nel tempo possa essere il seguente:
Nello schema si è distinto il tempo minimo τE, cioè l'impulso di fusione necessario per
soddisfare il criterio di Lawson (~1 s per un plasma perfettamente ignito) dal tempo
effettivo di bruciamento per cui si tiene innescato il plasma τB. Inoltre si è riportato il
tempo τaux in cui è attiva la potenza di riscaldamento ausiliaria iniziale.
Stiamo quindi supponendo di innescare il plasma con una potenza ausiliaria attiva per
τaux, tempo dopo il quale il plasma raggiunge la temperatura di ignizione e può
autosostenere al suo interno le reazioni di fusione. Vista la natura della macchina di
confinamento Tokamak, tale situazione può durare per un tempo finito τB.
Per scaldare il plasma, la potenza ausiliaria deve essere applicata per un tempo di
almeno alcuni tempi di confinamento, e quindi supponiamo:
aux ≃3  E
(5.8)
Inoltre tale potenza per poter scaldare il plasma dovrà essere maggiore della potenza
persa dal plasma stesso, e quindi supponiamo anche:
P aux ≃2Ploss
110
(5.9)
Riferendoci sempre allo stesso schema di centrale,
la condizione di guadagno energetico per l'impianto è:
P out ≫ P in
(5.10)
o, passando a lavorare con le energie:
E out ≫ E in
In base alle equazioni (5.8) e (5.9) possiamo quindi scrivere:
aux E in = E aux= P aux  aux≃ 6Ploss  E
⇒
E in ≃
6Ploss  E
 aux
(5.11)
per l'energia in ingresso nel sistema.
Per quanto riguarda l'energia in uscita invece si può, osservando lo schema della
centrale, scrivere che:
E e =P e  B =e [1− f  P  P nP loss ] B≃e [5− f  P P loss ] B
e quindi:
E out = E e −E in ≃e [5− f  P P loss ] B−
6Ploss  E
aux
(5.12)
Risolvendo quindi la disequazione di efficienza energetica (5.10), sostituendo a Ein ed
Eout le rispettive equazioni date dalle (5.11) e (5.12), si ha:
111
 aux e  B
P
[5− f   1]≫1
12 E
P loss
É ragionevole supporre, visto che il reattore deve essere energeticamente conveniente,
che la frazione f di Pα di energia necessaria a mantenere il plasma ignito sia piccola
rispetto a 1 (diciamo f ~ 0,1); pertanto f sarà certamente trascurabile rispetto a 5. Inoltre,
poiché in condizione di ignizione Pα è superiore a Ploss anche di diversi ordini di
grandezza, il primo addendo della parentesi quadra sarà sicuramente dominante su 1. La
precedente espressione la possiamo quindi approssimare in:
 aux e  B P 
5
≫1
12 E
P loss
Dunque in definitiva possiamo ottenere come limite per il tempo di bruciamento:
B ≫
12 P loss  E
5 P  aux e
Condizione che è sicuramente soddisfatta se:
B ≫
E
aux e
Per fare una stima numerica, poiché τE ~ 1s, e ponendo per ipotesi ηauxηe ~ 0,01,
otteniamo τB >> 100s.
Se volessimo ottenere dall'impianto un rendimento R = 10 (Pout = 10Pin), allora la
condizione richiesta sul tempo di bruciamento diventerebbe τB ≳ 1000s.
Abbiamo così dimostrato che in una ipotetica centrale elettronucleare costruita sullo
schema precedente, che sfrutti il calore prodotto dalle reazioni di fusione tra Deuterio e
Trizio, delle dimensioni di ITER, e che presenti un fattore di guadagno R = 10, devono
valere le seguenti condizioni:
•
nτ ≥
1−
12 T
1−
=
F T 
f 5− f  ε  ⟨ συ ⟩ 
f 5− f  I
, con = x e  aux~0,25 %
~10
•
τ ~103 s
112
Ad una temperatura media di plasma T
≃
20 keV, questa condizione corrisponde a
richiedere densità n ~ 1020 particelle per m3.
5.4 - Progresso verso un efficace reattore a fusione
Poiché l'efficacia di un reattore a fusione è valutabile, come si è visto, in base ai
parametri nτ e T, spesso si utilizza il prodotto triplo nτT come indicatore del progresso
fisico e tecnologico verso un reattore a fusione termonucleare energeticamente
conveniente.
In particolare, per poter raggiungere la condizione di ignizione in un plasma
termonucleare, dovrà valere, in base all'equazione (5.5)
nτT ≥F I T T
Usando l'equazione (5.5) si sono implicitamente tralasciate tutte le relazioni ricavate e
derivanti dalla necessità di una potenza ausiliaria, e dalla necessità di estrarre energia
utile del plasma. A una temperatura di 20 keV, questa condizione si traduce in
nτ E T ≥3,2⋅10 21
s keV
m3
L'evoluzione storica del prodotto triplo nτT nei reattori a fusione sperimentali di tipo
Tokamak è mostrata nel grafico seguente:
113
Un secondo fattore spesso utilizzato per esprimere l'efficacia energetica di un reattore, è
il rapporto Q, definito da:
Q=
P fus P  P n
=
P aux
P aux
Si vede così che la condizione di breakeven è definita da Q = 1, mentre la condizione di
ignizione perfetta è definita da Q = ∞. In un reattore reale, che necessità di una certa
potenza ausiliaria anche per plasma ignito, la condizione di guadagno energetico è
definita da Q > 1; in particolare per ITER si stima che si potrà ottenere Q = 10.
L'immagine seguente rappresenta le curve Q = 0,1, Q = 1, e Q = 10 in un grafico nτT –
T, con i risultati sperimentali di una serie di Tokamak sperimentali, per due possibili
miscele di combustibile. Si può osservare come la condizione di breakeven è una realtà
ormai consolidata da diversi esperimenti, e con diverse miscele di combustibile. La
macchina ITER dovrà dimostrare la possibilità di poter raggiungere condizioni prossime
all'ignizione.
114
APPENDICE:
CENNI DI FISICA DEL PLASMA
A.1 - Definizione di stato di plasma
La definizione più intuitiva di stato di plasma si può ricavare direttamente dalla sua
natura: per trasformare un certo campione di materia nello stato di plasma è sufficiente
alzare la sua temperatura fino a quando l'energia termica degli atomi è così alta che si
'spacchettano' in elettroni e nuclei, che proprio in virtù della loro elevata energia termica
non si ricompongono. Abbiamo quindi che per ottenere lo stato di plasma, l'energia
termica che tende a spacchettare la materia deve essere molto maggiore dell'energia
elettrostatica che tende a tenerla unita; in formule:
eΦ
≪1
KBT
Per un plasma di Idrogeno (energia di ionizzazione per l'atomo di Idrogeno allo stato
fondamentale = 13,6 eV) si raggiunge lo stato di plasma per KBT = 13,6 eV, cioè per T ≃
105 gradi K. In realtà poi entrano in gioco anche dei processi di ricombinazione e quindi
la temperatura necessaria per trasformare l'Idrogeno in stato di plasma è nell'ordine dei
keV, cioè nell'ordine di 107 gradi K.
A.2 - Lunghezza di Debye
La lunghezza di Debye è la lunghezza scala fondamentale di un plasma: il
comportamento di un plasma se valutato su lunghezze maggiori della lunghezza di
Debye è profondamente diverso dal comportamento per lunghezze minori. Inoltre la
maggior parte delle relazioni che si possono ricavare per un plasma sono esprimibili
come funzione di tale grandezza. In tal senso possiamo metaforicamente dire che la
lunghezza di Debye per un plasma assume lo stesso significato dell'ħ nella meccanica
quantistica.
115
Il modo più veloce per derivare l'espressione della lunghezza di Debye è valutando il
potenziale generato da una carica puntiforme all'interno di un plasma.
Se una carica q puntiforme posta nel vuoto genera il potenziale:
Φ r ~
q
r
la stessa carica posta in un plasma genera un potenziale sostanzialmente diverso. Infatti
nel risolvere l'equazione di Poisson (espressa nel sistema di riferimento di Gauss):
∇ 2 Φ=−4πρ e
dove ρe è la densità di carica elettrica, dobbiamo tenere conto non solo della carica
puntiforme, ma anche delle cariche dovute al plasma stesso, che ricordiamo, è costituito
da una miscela di ni ioni per m3, ne elettroni per m3 e nn atomi neutri per m3. Dunque
l'equazione di Poisson si trasforma in:
2
∇ Φ=−4πe n i−n e −4πqδr 
dove il primo addendo è appunto il termine dovuto alla carica del plasma, mentre il
secondo è il normale termine della carica puntiforme.
All'equilibrio termodinamico la distribuzione delle particelle cariche è la distribuzione
di Boltzmann, per cui si ha che:
n e =n 0 e
−
eΦ
Te
−
, n =n e
i
0
eΦ
Ti
dove n0 è la densità del plasma imperturbato dalla presenza della carica, e le temperature
sono espresse in eV (cioè sono energie termiche, date dalla relazione KBT con T
temperatura espressa in gradi K, e KB è la costante di Boltzmann).
Dunque, sostituendo, si ha che:
2
−
∇ Φ=4πen 0 e
eΦ
Te
−
−e
eΦ
Ti
−4πqδ r 
Sviluppando la soluzione per r ≠ 0, dove è posizionata la carica puntiforme, e
approssimando con uno sviluppo di Taylor arrestato al primo ordine le funzioni
esponenziali (per definizione di stato di plasma gli argomenti delle funzioni
116
esponenziali sono molto minori di 1), si ha che:
∇ 2 Φ=4πe 2 n 0 
1
1
− Φ
T e Ti
Effettuando quindi la sostituzione
λD=

TeTi
T e T i
4πn 0 e
2
l'equazione si trasforma in:
2
∇ Φ=
Φ
λ2D
che poiché il sistema è a simmetria sferica, e viste le condizioni al contorno fisiche
(Φ → 0 per r → ∞, e Φ → q/r per r → 0), ammette come risultato:
r
q −λ
Φ= e
r
D
che è il potenziale generato da una carica puntiforme all'interno di un plasma. Il
parametro λD è la lunghezza di Debye del plasma, che in approssimazione di
temperatura ionica trascurabile rispetto alla temperatura elettronica (condizione
praticamente sempre verificata per plasmi di laboratorio e interesse termonucleare) può
essere scritto come:
λD=

T
=7,43⋅103
4πn 0 e 2

T
n0
Il valore numerico è riferito al caso in cui la densità sia data in m -3, la temperatura in eV
e λD in m. Per i valori tipici del plasma di ITER (n = 10 20 m-3, T ≃ 13 keV), si ha che
λD
≃
27 · 10-6 m, che è un ordine di grandezza tipico, specialmente per i plasmi
termonucleari.
Abbiamo quindi che la lunghezza di Debye ha un significato molto importante: per
r < λD il potenziale è come quello di una carica puntiforme posta nel vuoto, mentre per
117
r > λD il potenziale tende esponenzialmente a 0. Possiamo quindi dire che per r > λD la
carica elettrica è schermata dal plasma, o più precisamente le particelle cariche del
plasma hanno fatto da schermo elettrostatico, e la carica puntiforme, per r > λD, non è
più percepibile.
A.3 - Quasi neutralità dei plasmi
É possibile determinare un secondo importante significato fisico per la lunghezza di
Debye se consideriamo la proprietà di quasi neutralità del plasma. Possiamo infatti
affermare che sotto opportune condizioni che determineremo, il plasma, nonostante sia
composto da particelle cariche, è “quasi-neutro”.
Supponiamo per assurdo che all'interno di una sfera
di raggio L ci sia una non neutralità del plasma, cioè
che la densità ionica ed elettronica differiscano di un
certo valore
n . Applicando il teorema di Gauss
per il campo elettrico all'interno e all'esterno di tale
sfera otteniamo l'espressione per il campo elettrico:
4
E  L= πe n L≡E max
3
che è il picco massimo del campo.
Confrontiamo quindi la massima densità di campo elettrico con la minima densità di
energia termica:
ε el E 2 /8π
=
ε th
nT
Con semplici passaggi algebrici e sfruttando la definizione di lunghezza di Debye si
ottiene che:
ε el λ D 2
n 2
  =18  
n
ε th L
118
Per definizione di stato di plasma il rapporto tra densità di energia elettrostatica e
energia termica è << 1, e per L >> λD, anche l'ultima termine del secondo membro è
<< 1; ne consegue che:
n≪
 n
cioè che la differenza tra densità elettronica e densità ionica, se esiste, è trascurabile
rispetto alle densità in questione. Tale proprietà si definisce, appunto, quasi-neutralità
del plasma, e vale fin tanto che L >> λD.
Possiamo quindi ora vedere la seconda importante proprietà della lunghezza di Debye: è
la lunghezza scala oltre la quale possiamo affermare che vale la proprietà di quasineutralità del plasma. Per lunghezze L minori o uguali a λD invece la proprietà di quasi
neutralità non è più soddisfatta.
A.4 - Frequenza di plasma
Il principio di quasi neutralità dei plasmi impone come conseguenza che in una certa
colonna di plasma la concentrazione di carica portata dagli elettroni e dagli ioni sia
praticamente uguale.
Supponiamo quindi di considerare una colonna di
plasma, e, per mezzo dell'applicazione di ad esempio un
campo elettrico, di separare gli ioni dagli elettroni, in
aperta violazione del principio di quasi neutralità del
plasma; tale condizione è schematizzata nella parte alta
della figura a lato, dove si è supposto che il blocco degli
elettroni sia spostato di una certa lunghezza d rispetto
agli ioni.
Questa configurazione di carica genera un campo elettrostatico (mostrato nella parte
bassa della figura) a cui è associata la forza elettrostatica:
F e =4πn e e 2 d
che tende a riunire i componenti del plasma ripristinando quindi la quasi-neutralità.
119
Possiamo quindi scrivere che un generico elettrone obbedirà all'equazione del moto:
2
me d̈ =−4πn e e d
cioè l'equazione di un moto armonico semplice.
Ovviamente il moto armonico semplice è solo una approssimazione del caso fisico
reale, che sarà smorzato principalmente da fenomeni d'urto. La pulsazione del moto
armonico considerato è :

4πn e e 2
T 1 υe
ωe=
=
≃
me
me λ D λ D

Per l'ultima uguaglianza si è sfruttato il fatto che l'energia termica T è pari a meυe2/2, con
υe velocità termica degli elettroni.
In modo analogo, gli elettroni eserciteranno una forza sugli ioni, che quindi tenderanno
a muoversi verso gli elettroni con un moto armonico semplice con pulsazione:

4πn i Z 2 e 2
ω i=
mi
Si definisce quindi frequenza di plasma la somma delle frequenze elettroniche e ioniche.
Si noti inoltre che ωi << ωe, poiché la massa ionica è molto maggiore della massa
elettronica. Dunque per la frequenza di plasma vale la seguente relazione:
ω p= ωe ω i≃ωe ≃
υe
λD
che è la pulsazione delle oscillazioni del plasma (o oscillazioni di Langmuir) intorno
alla condizione di quasi neutralità.
Si definisce inoltre il tempo caratteristico di separazione di carica:
t p~
λD
1
≃
ω p υe
che è l'ordine di grandezza del tempo necessario perché all'interno di un plasma si
ristabilisca la quasi neutralità dopo l'intervento della perturbazione che l'ha violata.
120
A.5 - Parametro di plasma
Un'altra importante grandezza caratteristica dei plasmi è il parametro di plasma; la su
definizione discende direttamente dalla definizione di plasma:
eΦ≪T
con T espressa in eV. Poiché la distanza media tra le particelle è data da n^(-1/3),
abbiamo che la precedente relazione diventa:
e
2
n−1 /3
≪T
Elevando il tutto alla 3/2, e applicando la definizione di lunghezza di Debye si ottiene:
nλ 3D ≫1
La quantità a primo membro viene detta parametro di plasma ND e per esso vale dunque
la relazione
3
nλ D =N D ≫1
Poiché tale relazione discende direttamente dalla definizione di plasma, la condizione
ND >> 1 può essa stessa essere vista come una definizione di stato di plasma.
Il parametro di plasma rappresenta approssimativamente il numero di particelle
all'interno di una sfera di raggio λD nel plasma, e, per T in eV e n in m-3, per esso vale la
relazione numerica
N D=4,1⋅1011 T 3/ 2 n−1 / 2
Per i parametri di riferimento di ITER si ha che vale:
11
3/ 2
20 −1/ 2
N D=4,1⋅10 13000 10 
≃6,1⋅10
7
I plasmi che soddisfano la condizione ND >> 1 vengono detti plasmi ideali e sono plasmi
completamente ionizzati; i plasmi che non soddisfano tale condizione sono plasmi non
completamente ionizzati. Nella grafico seguente è riportata la funzione ND = 1 (in
121
rosso), e sono anche riportate le
regioni di alcuni plasmi caratteristici;
essi sono tutti plasmi ideali. Nella
figura è anche riportata la linea (in
blu) che delimita il limite dei plasmi
quantistici: tutti i plasmi sopra la
linea blu sono plasmi quantistici,
cioè sono plasmi per cui vanno
considerate gli effetti quantistici;
viceversa, per i plasmi sotto la linea
blu, gli effetti quantistici sono ininfluenti. Possiamo notare ancora che i plasmi
quantistici sono tutti plasmi non completamente ionizzati.
La linea dei plasmi quantistici è stata ricavata tenendo conto che, perché gli effetti
quantistici siano trascurabili, le dimensioni del pacchetto d'onda di un elettrone, cioè la
lunghezza d'onda di De Broglie, deve essere piccola rispetto alla distanza media tra le
particelle. In questo modo si eliminano le interazione tra le funzioni d'onda delle
particelle, e quindi si eliminano tutti gli effetti di interferenza quantistica. Si
considerano solo delle dimensioni del pacchetto d'onda degli elettrone, e non di tutte le
altre particelle presenti nel plasma, perché si suppone che gli ioni si possano considerare
fissi rispetto agli elettroni, vista la loro massa sensibilmente maggiore.
In formule questo si traduce in:
−
λ≪ n
1
3
1
e quindi
−
h
≪n 3
me υ termica
Essendo l'energia termica degli elettroni data da
1
T = m e υ 2termica si ottiene la
2
2
2
3
relazione, che è la condizione di plasmi non quantistici: T ≫ h n .
2m e
L'equazione precedente con il segno di uguaglianza è quella che origina la linea blu del
grafico precedente.
122
A.6 - Moto di una particella in campo magnetico costante e
uniforme
Lo studio del moto collettivo di un plasma può esser effettuato mediante lo studio del
moto di una singola particella carica all'interno dello stesso campo, e poi supponendo
che tutto il plasma nella sua interezza si muova in modo uguale alla singola particella.
Tale studio prende il nome di teoria delle orbite. Si tratta chiaramente di una forte
approssimazione che non tiene conto di importanti fenomeni come ad esempio le
collisioni tra le particelle, che tendono a creare una distribuzione isotropa di velocità. In
ogni caso tali effetti in alcune situazioni possono essere ritenuti trascurabili, e quando
non lo sono la teoria delle orbite comunque consente di interpretare correttamente alcuni
fenomeni.
Le equazioni del moto di una particella carica all'interno di un campo magnetico si
possono derivare in qualunque condizioni di campi a partire dall'equazione della forza
di Lorentz:
 υ × 
m υ̇ =q  E
B
Dunque la forza di Lorentz agisce solo sulla componente della velocità perpendicolare
al campo magnetico, e con verso dato dalla regola della mano destra.
Per determinare le equazioni del moto, poniamo per ipotesi che il campo sia orientato
lungo l'asse z, e che il campo elettrico sia nullo; la forza di Lorentz si riduce quindi a:
̇υ=
qB
υ ×uz

m
che esplicitando il prodotto vettoriale si traduce nelle equazioni:
υ˙ x =
qB
υ
m y
υ˙y =−
qB
υ
m x
υ˙ z=0
Con una doppia integrazione, e con la sostituzione (frequenza di ciclotrone)
Ω=
∣q∣B
m
si ottengono le equazioni del moto:
123
x= x 0
υ┴
sin Ωt 
Ω
y= y 0
q υ┴
cos Ω t 
∣q∣ Ω
z =z 0υ║ t
dove υ⊥ e υ║ sono rispettivamente le componenti perpendicolare e parallela al campo
magnetico delle velocità iniziali della particella.
Si può notare quindi che sul piano perpendicolare al campo la
particelle segue un'orbita circolare con raggio
r L=
υ┴ υ┴ m
=
Ω ∣q∣B
detto raggio di Larmor, mentre lungo la direzione del campo
magnetico
segue
un
moto
rettilineo
uniforme.
La
composizione di questi due moti genera una traiettoria elicoidale intorno alle linee di
campo come mostrato nella figura a lato. Il segno della carica determina il senso
dell'elica, in accordo con la regola della mano destra.
La presenza di eventuali campi di forze (come un campo elettrostatico) o disuniformità
di campo magnetico generano dei moti di deriva che si vanno a sommare a questo tipo
di moto elicoidale.
A.7 - Trasporto e autoassorbimento della radiazione
Vogliamo studiare il problema dell'assorbimento da parte del plasma della radiazione da
esso stesso emessa; in altre parole vogliamo studiare sotto quali condizioni il plasma è
opaco alla radiazione da esso stesso emessa.
Il principio fisico responsabile dell'autoassorbimento è quello per cui, in nessun caso,
l'intensità di radiazione emessa da una sorgente ad una certa temperatura può superare
quella del corpo nero alla stessa temperatura. Per cui, se abbiamo una qualunque
sorgente che emette radiazione di intensità I(ν)', e se definiamo la temperatura Tcn come
la temperatura del corpo nero che emette la stessa intensità di radiazione, abbiamo che
Tcn è definita a partire dalla formula del corpo nero:
124
3
2h 
I υ = 2
c
'
1
e
h
k B T cn
−1
Per basse frequenze l'esponenziale si può approssimare con uno sviluppo di Taylor al
primo ordine, ottenendo:
I υ' ~
2 2
K B T cn
c2
e si vede chiaramente come, a parità di intensità di radiazione emessa, Tcn cresce al
diminuire di ν; per ν → 0 si ha che Tcn può diventare maggiore della temperatura
effettiva della sorgente; questo però viola il principio per cui l'emissione della sorgente
non può superare quella del corpo nero alla stesa temperatura. Concludendo, quindi, alle
basse frequenze l'intensità della sorgente deve essere limitata da un meccanismo finora
non considerato: il fenomeno dell'autoassorbimento della radiazione.
Una trattazione più rigorosa e completa del problema necessita dell'introduzione delle
equazioni del trasporto radiativo all'interno di un mezzo. Per farlo consideriamo la
situazione fisica schematizzata nella figura seguente: dato un mezzo, nel nostro caso un
plasma, confinante con il vuoto, facciamo incidere
in un punto P della radiazione lungo un certa
direzione
P . Tale radiazione attraverserà il
plasma, per uscire nel punto Q lungo la direzione
Q .
Vogliamo studiare l'evoluzione dell'intensità della
 , r , T) per ogni r della traiettoria della radiazione all'interno
radiazione I(υ, 
del plasma.
All'intensità della radiazione contribuiranno due fattori:
•
l'aumento dell'intensità dovuto all'emissione di radiazione da parte del plasma,
con intensità j(υ, Σ, r, T), dove j è detto coefficiente di emissione o emissività
•
la diminuzione dell'intensità dovuto all'assorbimento della radiazione da parte
125
del plasma, con assorbimento di intensità pari a χI, dove χ(υ, Σ, r, T) è detto
coefficiente di assorbimento.
Allora considerando entrambe questi processi, la variazione di intensità lungo il tratto dl
è dato dall'equazione del trasporto radiativo:
dI
= j− χI
dl
Introducendo la grandezza adimensionale τ =∫ χdl detta spessore ottico, da cui segue
dτ = χdl , e dividendo l'equazione del trasporto radiativo per il coefficiente di
assorbimento χ, si ottiene:
dI j
= − I ≡S −I
dτ χ
La funzione S è detta funzione sorgente. All'equilibrio termodinamico si ha che S è una
funzione universale (detta funzione di Planck, P), per cui vale l'equazione:
P=

j
χ
eq
=
2h 
2
c
3
1
e
h
kB T
−1
Tale relazione è detta legge di Kirchhoff.
Il parametro fondamentale per andare a determinare l'entità dell'autoassorbimento della
radiazione da parte di un plasma è lo spessore ottico τ, che determina l'opacità o la
trasparenza del mezzo. Per τ >>1 il mezzo si dice otticamente spesso e risulta opaco
alla radiazione che lo attraversa, mentre per τ <<1 il mezzo si dice otticamente sottile e
risulta trasparente alla radiazione che lo attraversa.
In generale lo spessore ottico dipende dalla spessore geometrico del materiale, dalla
temperatura, ma soprattutto dalla frequenza della radiazione: in questo modo lo stesso
materiale potrà risultare trasparente ad una certa radiazione, mentre sarà opaco per
un'altra.
L'importanza
dello
spessore
ottico
per
determinare
l'entità
dell'autoassorbimento deriva dal fatto che se consideriamo un plasma all'equilibrio
termodinamico e isotermo (dP/dl = 0), l'equazione del trasporto radiativo può essere
scritta come:
126
d  I −P
=− I −P 
dτ
Integrando tale equazione da P a Q, cioè sullo spessore fisico del plasma, si ottiene:
I Q=I  P e−τ P 1−e−τ 
e, volendo studiare il caso dell'autoassorbimento, cioè il caso in cui l'origine della
radiazione sia interna al plasma, porremo I(P) = 0. In generale quindi si ha che, dato lo
spessore ottico τ di un certo mezzo, l'intensità della radiazione che lo attraversa ha un
andamento del tipo:
I υ= P 1−e−τ  
da cui è evidente come per τ >> 1 l'intensità emessa è quella di corpo nero, cioè
l'assorbimento della radiazione j è importante.
Ricordando la definizione di spessore ottico:
L
τ =∫ χds
0
dove L è lo spessore geometrico del plasma, e supponendo il coefficiente di
assorbimento costante, cioè il mezzo omogeneo, si ha che lo spessore ottico diventa:
τ = χL
Dalla legge di Kirchhoff segue che, per un plasma all'equilibrio termodinamico:
2
χ= j
h
c
K T
e −1
3
2h 
B
Tale relazione vale, come abbiamo detto, solo per un mezzo in equilibrio
termodinamico; in realtà viene ampiamente utilizzata anche in mezzi non in equilibrio
applicandola in forma integrale, quindi su infinitesime porzioni di mezzo che saranno in
equilibrio. L'emissività j, dipende dal tipo di radiazione, dalla natura della sorgente e dal
mezzo, ed è in generale definita da:
j=∫
dI 
dn
dt
127
dove dn rappresenta la densità di un volume infinitesimo di plasma. La sua
determinazione analitica è spesso molto complicata, poiché lo spettro delle intensità
delle radiazioni può avere una forma molto complessa; nel caso di un plasma ideale
(completamente ionizzato e con distribuzione maxwelliana) e per radiazione di
bremsstrahlung assume la forma:
h
2
Z 2 −k T
j∝
n e
G , T 
T
B
dove Z è il numero atomico dei nuclei del plasma, T la temperatura del plasma
(supposto all'equilibrio termodinamico), e n la sua densità. L'ultimo termine è detto
fattore di Gaunt, e per i plasmi di interesse termonucleare è una funzione lentamente
variabile circa uguale a 1, che quindi trascureremo. Tale forma di emissività è valida per
la maggior parte dello spettro elettromagnetico, e presenta sensibili deviazioni
dall'emissività sperimentale solo per basse frequenze; per la nostra trattazione
supporremo comunque questa formula valida su tutto lo spettro, e per ogni tipo di
radiazione.
In tal modo lo spessore ottico del materiale diventa:
2
h
2
−
Z n
K T
τ∝ 3
1−e
L
 T
B
Effettuando la sostituzione
lo spessore ottico diventa:
x=
h
kBT
Z 2 n 2 h3 1−e−x 
τ∝
L
T 7/ 2
x3
A parità di frequenza, cioè a parità di x, si può notare che lo spessore ottico del
materiale cresce all'aumentare della densità e/o al diminuire della temperatura: questo
vuol dire che a parità di ogni altro fattore, un plasma è opaco rispetto allo stesso plasma
a densità maggiore e/o temperatura minore.
Volendo studiare solo l'andamento dello spessore ottico in funzione della frequenza
incidente, fattorizziamo il termine non dipendente dalla frequenza nella costante Y:
128
1−e−x 
τ  x∝ Y
x3
L'andamento di τ in funzione della frequenza è mostrato nella figura a lato. La
qualitativa conclusione importante da
questo studio è il comportamento
profondamente diverso del plasma al
variare di x.
Sull'asse
delle
ascisse
si
può
identificare un punto cospicuo in cui
τ = 1, cioè un punto di turn over tra
mezzo trasparente e opaco.
Tale punto è individuato dalla soluzione dell'equazione:
1−e−x 
x 3t
t
1=CY
dove C è un'opportuna costatante adimensionale che non si è specificata. Per i plasmi di
interesse termonucleare tale valore è un numero compreso tra 0 e 1 e nell'ordine di 10-2.
Per cui possiamo quindi concludere che:
x → 0 implica τ >> 1: per frequenze di radiazione tali per cui i fotoni emessi
hanno energia molto minore dell'energia termica del plasma, e quindi in generale per
basse frequenze, il plasma si presenta come un mezzo opaco
x → ∞ implica τ << 1: per frequenze di radiazione tali per cui i fotoni emessi
hanno energia molto maggiore dell'energia termica del plasma, e quindi in generale per
alte frequenze, il plasma si presenta come un mezzo trasparente.
129
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