UNIVERISTÀ DEGLI STUDI DI TORINO Facoltà di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali Tesi di laurea BILANCI ENERGETICI PER PROCESSI TERMONUCLEARI ANNO ACCADEMICO 2010/2011 1 2 Indice 1 - GENERALITÀ SULLE REAZIONI DI FUSIONE....................................................7 1.1 - Definizione di fusione termonucleare...................................................................7 1.2 - Reazioni di fusione termonucleare.....................................................................12 1.3 - Confinamento di plasmi termonucleari..............................................................17 1.4 - Il tokamak ITER.................................................................................................22 2 - SEZIONI D'URTO PER LE REAZIONI DI FUSIONE............................................24 2.1 - Parametrizzazione della sezione d'urto di fusione..............................................26 2.2 - Parametrizzazione di Duane (NRL plasma formulary)......................................32 2.3 - Formula di Peres e parametrizzazione di Bosch e Hale.....................................34 2.4 - Parametrizzazione di Xing..................................................................................37 3 - TASSO DI REAZIONE e PRODUZIONE ENERGETICA DI UN PLASMA TERMONUCLEARE................................................................................................43 3.1 - Modello di reattività maxwelliana......................................................................45 3.2 - Modello di reattività di Thompson.....................................................................49 3.3 - Modelli di reattività basati sulla sezione d'urto di Duane...................................51 3.4 - Modello di reattività di Bosch e Hale.................................................................52 3.5 - Produzione energetica lorda in un plasma termonucleare..................................55 4 - PERDITE ENERGETICHE DI UN PLASMA..........................................................57 4.1 - Processi radiativi e processi collisionali.............................................................57 4.2 - Radiazione emessa da carica in moto accelerato................................................59 4.3 - Radiazione di franamento o bremsstrahlung termico.........................................61 4.4 - Radiazione di ciclotrone o bremsstrahlung magnetico.......................................73 4.5 - Radiazione di ricombinazione............................................................................84 4.6 - Radiazione di righe.............................................................................................87 4.7 - Modello MIST e radiazione da impurità............................................................90 5 – BILANCI ENERGETICI E CRITERIO DI LAWSON.............................................95 5.1 - Energia prodotta ed energia dissipata da plasma termonucleare........................95 5.2 - Il criterio di Lawson...........................................................................................99 5.3 - Condizioni di guadagno energetico per reattori elettronucleari.......................107 5.4 - Progresso verso un efficace reattore a fusione..................................................113 APPENDICE: CENNI DI FISICA DEL PLASMA.......................................................115 A.1 - Definizione di stato di plasma.........................................................................115 A.2 - Lunghezza di Debye........................................................................................115 A.3 - Quasi neutralità dei plasmi..............................................................................118 A.4 - Frequenza di plasma........................................................................................119 A.5 - Parametro di plasma........................................................................................121 A.6 - Moto di una particella in campo magnetico costante e uniforme....................123 A.7 - Trasporto e autoassorbimento della radiazione................................................124 Bibliografia....................................................................................................................130 3 4 Lo studio dei bilanci energetici per un plasma termonucleare necessita preliminarmente dello studio di due elementi distinti: la modellazione dell'energia liberata all'interno del plasma dalle reazioni di fusione, e la modellazione dell'energia persa dal plasma Il primo punto è argomento dei capitoli 2 e 3. In particolare si dimostrerà che la densità di potenza generata dalle reazioni di fusione è data da P fus =R⋅ε , dove R è il tasso di reazione, e ε è l'energia liberata da una singola reazione di fusione. Il tasso di reazione è a sua volta esprimibile come una funzione integrale coinvolgente la sezione d'urto per la reazione di fusione considerata. Il capitolo 2 sarà quindi dedicato alla creazione di un modello matematico che permetta di rappresentare efficacemente la sezione d'urto di fusione; i risultati ottenuti saranno quindi utilizzati nel capitolo 3 per determinare la densità di potenza prodotta dal plasma termonucleare. Il secondo punto, cioè la modellazione della potenza dissipata dal plasma termonucleare, è invece argomento del capitolo 4. Nel capitolo 5, sfruttando i risultati precedentemente ottenuti, sono infine studiati i bilanci energetici per i processi di fusione termonucleare. L'intero lavoro è preceduto (capitolo 1) da una breve introduzione alle reazioni di fusione e alle macchine che permettono di realizzarla, e promettono in un prossimo futuro di generare sufficiente energia elettrica da risolvere il problema energetico mondiale. 5 6 1 - GENERALITÀ SULLE REAZIONI DI FUSIONE 1.1 - Definizione di fusione termonucleare La fusione nucleare consiste nella fusione di due nuclei leggeri per formare un nucleo più pesante con massa minore della somma delle masse dei nuclei reagenti (min – mfin = Δm > 0), con conseguente rilascio di energia in virtù della relazione di equivalenza massa-energia di Einstein: E= m⋅c 2 dove Δm è il difetto di massa tra prodotti e reagenti, ΔE l'energia rilasciata nel processo, e c la velocità della luce nel vuoto. Tale rilascio di energia indica che nel processo di fusione è insito un passaggio a uno stato di maggior stabilità rispetto allo stato dei reagenti; in altre parole l'energia dei prodotti della fusione è minore dell'energia dei reagenti. Naturalmente, si deve restringere il campo di studio alle sole reazioni esoenergetiche. Per individuare tali reazioni possiamo utilizzare il seguente grafico sperimentale: Tale grafico mostra l'energia di legame B per nucleone di un nucleo, in funzione del numero di massa A del nucleo stesso. Possiamo osservare che la curva ha un andamento a campana, in cui il picco è costituito dal Ferro 56. I dati sperimentali del grafico precedente possono essere correttamente fittati dalla formula di Bethe-Weizsäcker dell'energia di legame del nucleo[1]. 7 Ricercare reazioni esoenergetiche, cioè in cui l'energia dei prodotti sia minore dell'energia dei reagenti con conseguente emissione di energia (per il principio di conservazione dell'energia), significa ricercare le reazioni in cui l'energia di legame del nucleo prodotto sia maggiore dell'energia di legame dei nuclei reagenti; infatti nuclei più legati richiedono più energia per essere scissi. Allora il grafico precedente ci permette di concludere che sono esoenergetiche tutte quelle reazioni che percorrono la curva 'in salita'. Una reazione nucleare che ammette come stato di partenza un nucleo pesante (ad esempio l'Uranio) e come nuclei figli nuclei più leggeri (ad esempio Rubidio e Cesio) è esoenergetica: tale reazione si dice fissione nucleare. In particolare la reazione di fissione nucleare dell'Uranio 235 in Rubidio e Cesio più alcuni neutroni veloci produce 211 MeV (≃ 3,4 · 10-11J ), con una produzione energetica per nucleone pari quindi a 211/235 MeV ≃ 0,898 MeV per nucleone. Una reazione invece che ammette come stato di partenza nuclei leggeri, ad esempio nuclei di Idrogeno, e come stato finale un nucleo più pesante, ad esempio un nucleo di Elio, è ancora esoenergetica e viene detta reazione di fusione nucleare. Se consideriamo ad esempio la fusione di 2 protoni e 2 neutroni per formare un nucleo di 4He secondo la reazione: 2p + 2n → 4He abbiamo che si produce, per la legge del difetto di massa, un'energia pari a: E= m⋅c 2 con m=2m p2m n−m He ≃[2⋅938,272⋅939,56−3728,40] 4 MeV MeV =27,26 2 2 c c Abbiamo quindi che la fusione di 4 nucleoni comporta la produzione di circa 27,26 MeV; la produzione energetica per nucleone è quindi pari a 27,26/4 MeV ≃ 6,82MeV per nucleone, cioè circa 8 volte l'energia irradiata dalla fissione dell'uranio. La fusione contemporanea di 4 nucleoni però è un evento non riproducibile in laboratorio allo stato attuale delle tecnologie di fusione; la reazione più nota con stato di arrivo 4He è la reazione Deuterio Trizio: D + T → 4He + n 8 In questo caso: m=mD mT −m He −m n≃[1876,122809,43−3728,40−939,56] 4 MeV MeV =17,59 2 2 c c Si ha dunque che la reazione di fusione tra Deuterio e Trizio in Elio 4 (con il rilascio aggiuntivo di un neutrone) genera 17,59 MeV di energia, con una produzione energetica per nucleone pari a 4,40 MeV per nucleone, cioè circa 5 volte l'energia irradiata dalla fissione dell'uranio. Possiamo quindi dividere il grafico precedente dell'energia di legame per nucleone in due zone: la prima, a sinistra della linea arancione, in cui sono vantaggiose le reazioni di fusione, e la seconda, a destra della linea, in cui sono vantaggiose le reazioni di fissione. Inoltre la reazione sarà tanto più energetica quanto maggiore sarà la differenza tra l'energia di legame dei reagenti e dei prodotti, perché in questo modo si massimizza il gap energetico tra lo stato di arrivo e lo stato di partenza della reazione. Allora, visto il picco dell'Elio nel grafico, è evidente come le reazioni di fusione che ammettono come prodotto proprio questo elemento sono le più interessanti da un punto di vista energetico. A rigore, una reazione di fusione che ammetta come stato iniziale atomi di Idrogeno e come stato finale atomi di Ossigeno, per esempio, sarebbe ancora più energetica, ma, come già sottolineato, la fusione contemporanea di più di due atomi non si verifica in natura e, allo stato attuale della tecnologia, non è riproducibile. Per queste ragioni la reazione di fusione di 2 atomi di Idrogeno per formare un atomo di Elio, è la reazione su cui si concentrano la maggior parte delle ricerche per ottenere energia da reazioni di fusione nucleare controllate. I semplici calcoli qua riprodotti mostrano l'applicazione del principio del difetto di massa, e dimostrano come le reazioni di fusione nucleare siano energeticamente più 9 convenienti delle reazioni di fissione nucleare. In particolare, in termini di produzione energetica per nucleone, la reazione di fusione nucleare è seconda solo alla reazione di annichilamento materia-antimateria. Per avere delle stime numeriche a conferma del potenziale energetico delle reazione di fusione nucleare, si consideri che la combustione di un grammo di carbone genera 2,93 · 104 J/g, la fissione di un grammo di Uranio 235 genera 8,21 · 1010 J/g, mentre la fusione nucleare di un grammo di Deuterio e Trizio genera 6,23 · 1011 J/g, cioè l'energia che si avrebbe con la combustione di circa 11 tonnellate di carbone, o la combustione di circa 10 tonnellate di petrolio, o ancora la fissione di circa 8 grammi di Uranio. Da un punto di vista microscopico si ha fusione nucleare quando i nuclei dei reagenti, venendosi a trovare a distanze così ridotte da coinvolgere l'interazione nucleare forte, si fondono in un nucleo unico finale. Tuttavia poiché questo avvenga, visto il corto range dell'interazione forte (~10-15 m), i nuclei devono essere avvicinati moltissimo in opposizione alla forza repulsiva elettrostatica. L'andamento delle energie potenziali in gioco è schematizzato nella figura a lato: considerando il sistema di riferimento in cui uno dei nuclei reagenti (ad esempio Trizio) è a riposo, l'altro nucleo (il Deuterio nel nostro esempio) avvicinandosi al bersaglio (regione A) avvertirà il potenziale repulsivo elettrostatico dovuto alla carica concorde di bersaglio e proiettile (regione B); se il proiettile è sufficientemente energetico da superare la barriera di potenziale elettrostatica, può accedere alla regione C, dove l'interazione forte attrattiva domina sulla forza elettrostatica e permette la fusione dei nuclei. La necessità di superare la barriera coulombiana costituisce la maggior difficoltà tecnologica nel riprodurre reazioni di fusione nucleare, e conseguentemente deve essere minimizzata: per questo motivo il combustibile preferito per le reazioni di fusione, allo stato attuale delle tecnologie disponibili, è l'Idrogeno. 10 Una semplice accelerazione di un fascio di nuclei usati come proiettile e a energie sufficientemente alte su un nucleo bersaglio può generare reazioni di fusione nucleare. Tuttavia, volendo estrarre energia dal processo di reazione di fusione nucleare è indispensabile poter ottenere un gran numero di reazioni nell'unità di tempo, e quindi il meccanismo dell'accelerazione di particelle non è energeticamente proficuo. Nella fusione termonucleare l'energia per superare la barriera coulombiana è fornita dal calore; il combustibile viene quindi portato a temperature sufficientemente alte perché la conseguente agitazione termica conferisca ai nuclei l'energia cinetica sufficiente a superare la barriera coulombiana. Nel caso della fusione di due isotopi dell'Idrogeno (minimizzando così l'entità della barriera) si ha una barriera coulombiana data da V 0 ≃ 400 keV, che, supponendo una distribuzione maxwelliana per l'energia termica dei reagenti, corrisponde a una temperatura media di circa 4,5 miliardi di gradi Kelvin. Di fatto non sono necessarie energie così elevate, in quanto nel superamento della barriera potenziale entra in gioco l'effetto tunnel quantistico [2]: svolgendo i calcoli si ricava che la sezione d'urto di fusione Deuterio-Trizio mostra un chiaro picco ad un'energia di circa 100 keV (circa 1 miliardo di gradi Kelvin). La temperatura a cui deve essere portato il combustibile perché si inneschi la fusione sperimentalmente è comunque ancora minore: infatti se si considera una distribuzione maxwelliana centrata ad una temperatura più bassa di 100 keV, la coda superiore di tale distribuzione potrà ancora contribuire alla reazione di fusione con una sezione d'urto soddisfacente. Nelle moderne macchine sperimentali per la produzione energetica per via termonucleare la temperatura di esercizio è nell'ordine dei 10 keV (circa 100 milioni di gradi Kelvin). Nonostante ci siamo ridotti ad energie pari a 1/40 della barriera di potenziale, si tratta comunque di temperature estremamente elevate, e ben al di sopra della temperature di liquefazione dei materiali costituenti un'ipotetica camera di combustione (la temperatura di liquefazione dei più sofisticati scudi termici è di circa 4000 gradi Kelvin). Esiste quindi un importante problema tecnologico per la riproduzione della fusione termonucleare in laboratorio. 11 Alle temperature considerate per la fusione di nuclei di Idrogeno, nell'ordine dei 10 keV, il combustibile si presenta nello stato fisico di plasma. É proprio tale condizione a permettere sperimentalmente la fusione alle citate temperature 25000 volte maggiori della temperatura di liquefazione del miglior scudo termico oggi disponibile. Infatti nello stato di plasma gli atomi sono completamente ionizzati, e la materia si presenta sotto forma di nuclei atomici ed elettroni separati, e quindi particelle cariche: dunque il plasma può essere efficacemente contenuto per mezzo di intensi campi magnetici. Allo stato attuale delle ricerche, nonostante teoricamente esistano reazioni energeticamente più convenienti di quelle che utilizzano come combustibile l'Idrogeno, l'utilizzo di combustibili con Z > 1 è da escludere per la presenza di limiti tecnologici sulle temperature che possono essere raggiunte. Infatti, utilizzare combustibile diverso da Idrogeno, con numero atomico maggiore, comporta barriere di potenziale più importanti, e quindi temperature di innesco più alte. 1.2 - Reazioni di fusione termonucleare Sono circa 21 le reazioni di fusione termonucleare che rivestono un particolare interesse nelle ricerche per la produzione energetica, per via della loro alta sezione d'urto per energie minori di 1 MeV. Molte di queste però richiedono come combustibile particelle subatomiche o elementi non direttamente disponibili in natura, e quindi, per quanto sperimentalmente interessanti, non sono particolarmente adatte agli scopi prefissi di produzione energetica per via termonucleare dalla fusione. Nel valutare queste possibili reazioni di fusione nucleare abbiamo già valutato due importanti condizioni: • il combustibile deve essere costituito da nuclei atomici con Z = 1 per ridurre al minimo l'entità della barriera coulombiana tra i reagenti • lo stato di arrivo deve contenere preferibilmente l'Elio, poiché in questo modo si massimizza la resa energetica della reazione 12 Il successivo importante elemento da considerare è la sezione d'urto di fusione, che è un parametro caratteristico per ogni reazione. Infatti una maggior sezione d'urto implica una maggior probabilità di tunnel attraverso la barriera elettrostatica, e quindi, in ultima analisi, una maggior produzione energetica. Nella figura a lato sono riportate le sezioni d'urto sperimentali per alcune possibili reazioni di fusione: si può chiaramente notare come la sezione d'urto per la reazione Deuterio Trizio sia dominante alle basse energie (fino a 100 keV) per non meno di 2 ordini di grandezza. Inoltre, visti i problemi tecnologici connessi con le alte temperature in gioco, è anche importante notare come il picco della reazione D-T, cioè la temperatura di massima efficienza per tale reazione, sia a temperature inferiori rispetto ai picchi delle altre reazioni: questo vuol dire che la reazione Deuterio-Trizio, rispetto ad altre reazioni, è la più efficiente a basse temperature. Analizziamo quindi più nel dettaglio le reazioni di fusione termonucleare più promettenti per la produzione energetica. ➢ REAZIONE DEUTERIO-TRIZIO La reazione avviene secondo il seguente schema e con il seguente output energetico Q: D + T → 5He → 4He + n (Q ≃ 17,59 MeV) dove l'Elio 5, essendo un isotopo instabile, decade immediatamente nello stato finale. Deuterio e Trizio sono due isotopi dell'Idrogeno. Il primo si può ottenere facilmente per elettrolisi dell'acqua; da un metro cubo d'acqua si possono estrarre in questo modo circa 30 grammi di Deuterio, e pertanto è un combustibile praticamente inesauribile ed equamente distribuito sulla superficie del pianeta. Il secondo è un elemento radioattivo 13 con tempo di dimezzamento pari a 12,4 anni, e pertanto non è presente in natura e va appositamente prodotto per essere utilizzato come combustibile. Questo problema può essere risolto considerando la reazione: n + 6Li → 4He + T (Q ≃ 4,78 MeV) Così, foderando la parete interna della camera di combustione con il Litio 6, di cui esistono abbondanti scorte naturali più o meno equamente distribuite sul pianeta, si può produrre in loco il Trizio necessario per la reazione. Trascurando le energie iniziali dei reagenti (~ keV) rispetto al Q value della reazione (~ MeV), abbiamo che l'output energetico sarà dovuto interamente all'energia cinetica dei prodotti: 1 1 mHe υ 2He mn υ2n≃Q 2 2 Trascurando ancora il moto dei reagenti, nello stato finale, per conservazione dell'impulso, gli impulsi saranno circa uguali ed opposti: m He υ He≃mn υ n Combinando queste due equazioni si ottiene quindi che: 1 m He υ 2He m 2 ≃ n ≃0,25 1 m He m υ2 2 n n Abbiamo quindi che l'Elio 4 assorbe il 20% dell'energia totale prodotta, mentre il neutrone assorbe l'80%; pertanto l'energia prodotta è cosi divisa: D + T → 4He (3,52 MeV) + n (14,07 MeV) Volendo confinare il combustibile che si trova nello stato di plasma per via magnetica, possiamo osservare che con questa reazione si può contenere nel reattore solo il 20% dell'energia totale prodotta (3,52 MeV), mentre il resto dell'energia abbandona la camera di combustione e potrà essere recuperata solamente in parte attraverso processi di urto in moderatori con conseguente conversione dell'energia cinetica in calore. 14 Mantenere il più possibile l'energia all'interno della camera di combustione è una condizione fondamentale, come vedremo, per mantenere il plasma a temperature termonucleari senza dover ricorrere ad un sistema di riscaldamento, il ché va a beneficio dei bilanci energetici. Inoltre esiste un secondo elemento da considerare: la pioggia di neutroni sulle strutture del reattore, a lungo andare, provocherà una leggera radioattivazione delle strutture stesse; si tratta comunque di una radioattività debole e che si può considerare totalmente esaurita in un tempo nell'ordine dei 50 anni (diversamente dagli scarti della fissione termonucleare). ➢ REAZIONE DEUTERIO-DEUTERIO La reazione Deuterio-Deuterio può avvenire in tre diversi modi: 1 - D + D → 4He + γ (Q ≃ 23,85 MeV) 2 - D + D → 3He + n (Q ≃ 3,27 MeV) 3-D+D→T+p (Q ≃ 4,03 MeV) La prima reazione ha un sezione d'urto bassissima e trascurabile rispetto alle sezioni d'urto tipiche della reazione Deuterio-Trizio (~ barn); inoltre la maggior parte dell'energia della reazione è portata via in energia cinetica dal raggio γ, energia che sarà trasformabile in energia termica in modo ancor meno efficiente rispetto al caso del neutrone della reazione D-T, essendo tale tipo di radiazione altamente penetrante. La reazione 2 e 3 invece avvengono con probabilità circa uguali, e la somma delle loro sezioni d'urto è riportata nel grafico di pagina 13: si vede chiaramente coma tale sezione d'urto, a basse energie, sia decisamente inferiore alla sezione d'urto della reazione Deuterio-Trizio. La divisione dell'energia dei prodotti delle reazioni 2 e 3 è riportata qua di seguito, ed è stata ricavata in modo analogo a quanto fatto per la reazione D-T: 2 - D + D → 3He (0,66 MeV) + n (2,61 MeV) 3 - D + D → T (1,00 MeV) + p (3,03 MeV) E allora si può osservare chiaramente come la reazione 2 presenta le stesse 15 problematiche della reazione D-T (salvo l'approvvigionamento di Trizio), ma è meno energetica e ha sezione d'urto minore. La reazione 3 invece ha il vantaggio di produrre solo prodotti carichi, che quindi possono essere tutti contenuti magneticamente all'interno della camera di combustione, senza perdite energetiche da questo punto di vista. Vista comunque la sua bassa sezione d'urto, la reazione D-D è molto meno studiata della reazione D-T; eventualmente potrà essere una valida sostituta della reazione D-T se e quando si sarà in grado di mantenere stabilmente plasmi a temperature superiori, dove le sezioni d'urto delle due reazioni diventano paragonabili. Tuttavia allo stato attuale delle ricerche e delle tecnologie disponibili, la reazione con il Trizio è maggiormente energetica. ➢ REAZIONE DEUTERIO-ELIO 3 La reazione tra Deuterio e l'Elio 3 avviene secondo il seguente schema: D + 3He → 4He + p (Q ≃ 18,35 MeV) e seconda la seguente suddivisione energetica dei reagenti: D + 3He → 4He (3,67 MeV) + p (14,68 MeV) Allora si può osservare che la reazione Deuterio-Elio 3 è molto vantaggiosa: non c'è produzione di neutroni, e quindi non c'è attivazione delle strutture del reattore; inoltre tutti i prodotti sono carichi e quindi possono essere confinati magneticamente all'interno della camera di combustione, con grande beneficio per i bilanci energetici di fusione. In particolare l'energia disponibile in prodotti carichi in questa reazione è circa 5 volte superiore a quella Deuterio-Trizio. Tuttavia la fusione dei nuclei di Deuterio e di Elio presenta una grande barriera coulombiana, e conseguentemente per innescare la fusione sono necessarie temperature circa 6 volte maggiori rispetto alle temperature della reazione Deuterio-Trizio. Se e quando si sarà in grado di produrre e confinare plasmi a tali temperature, allora la reazione Deuterio-Elio 3 potrà essere un'ottima sostituta della reazione Deuterio-Trizio, garantendo una resa energetica molto superiore; tuttavia allo stato attuale delle ricerche e delle tecnologie disponibili tale reazione non è conveniente. Inoltre l'3He è 16 estremamente raro sulla terra, mentre è presente in una certa quantità nel suolo Lunare. 1.3 - Confinamento di plasmi termonucleari Si è dimostrato come la reazione di fusione termonucleare Deuterio-Trizio D + T → 4He + n sia quella che fornisca la maggior resa energetica nelle condizioni fisiche che la tecnologia oggi disponibile ci permette; si è anche visto che perché in una miscela di Deuterio e Trizio si inneschino reazioni di fusione nucleare sono necessarie energie nell'ordine dei 10 keV, e quindi temperature nell'ordine dei 100 milioni di gradi K. Ad una tale temperatura la materia si presenta nello stato fisico di plasma. Il principale problema tecnologico nella realizzazione della fusione termonucleare è come scaldare, mantenere stabile, e confinare un plasma a queste elevate temperature. Sono noti tre modi per confinare plasmi termonucleari: • confinamento gravitazionale È il meccanismo di confinamento che si verifica nelle stelle: gli enormi campi gravitazionali provocati dalle immense masse in questione, mantengono il plasma confinato; le forze sono di tale intensità da permettere che all'interno della stella si raggiungano pressioni e temperature così elevate che si innescano reazioni di fusione termonucleare. Ovviamente tale tipo di confinamento non è riproducibile in laboratorio visto il modesto campo gravitazionale terrestre se paragonato a quello delle stelle. • confinamento inerziale Il confinamento inerziale si basa sul principio della compressione di un piccolo volume di combustibile nucleare. Nella pratica, un piccolo involucro contenente una goccia di alcuni millimetri di diametro composta da una miscela di Deuterio e Trizio, viene bombardata contemporaneamente da molteplici direzioni da fasci laser di grande intensità (~ MJ) per brevissimi tempi (~ 10 ns). In questo modo si genera l'ablazione 17 dello strato superficiale della microsfera di combustibile, che quindi implode. Durante l'implosione si raggiungono densità e temperature così elevate che si innesca la fusione nucleare, con grande liberazione di energia sotto forma di calore. La fusione dura per il tempo in cui l'inerzia dei nuclei stessi li tiene uniti, e cioè pochi istanti (~ ns). Quando la microsfera di combustibile torna ad espandersi per le pressioni interne, raffredda, e quindi cessa la fusione. La macchina a fusione per confinamento inerziale è quindi una macchina a funzionamento pulsato, e per la produzione energetica dovrebbe ripetere questo ciclo alcune volte al secondo. Esistono al mondo alcuni esperimenti basati su questa tecnologia, ma le modeste energie sprigionate dalle reazioni di fusione che durano per tempi così brevi, non compensano nemmeno lontanamente l'energia necessaria per produrre fasci laser di tale energia. • confinamento magnetico Il confinamento magnetico è stata la prima tecnologia ad essere studiata (a partire dalla seconda metà degli anni '50) per il contenimento dei plasmi termonucleari, e tali studi rientravano nel più ampio quadro delle ricerche nel campo della fusione termonucleare per scopi civili; ricerche sulla fusione erano già state condotte negli Stati Uniti e nell'Unione Sovietica durante i primi anni '50, e culminarono nei test atomici Ivy Mike (USA) nel 1952 e di RDS-37 (URSS) nel 1955. Lo scopo delle ricerche era quello di mettere a punto un sistema di confinamento basato sull'utilizzo di campi magnetici e in grado di confinare efficacemente plasmi a temperature e densità termonucleari per tempi sufficientemente lunghi. Un confinamento di tipo convenzionale meccanico infatti non è possibile: le pareti della camera di combustione dovrebbero essere a temperature notevolmente più basse della temperatura del plasma, e quindi un contatto provocherebbe una fuga di energia dal plasma e contemporaneamente vasti e gravi danni alla struttura di contenimento stesso. Il confinamento magnetico permette di contenere il plasma in regioni limitate senza bisogno di un contenimento meccanico, 18 sfruttando il principio per cui le particelle cariche componenti il plasma si muovono in traiettorie elicoidali intorno alle linee di campo, e non nel modo caotico tipico dell'agitazione termica, impedendo quindi il contatto tra il plasma e le superfici limitanti la camera di combustione. Per chiudere il sistema, dopo aver studiato strutture più semplici, ma non soddisfacenti, si optò per chiudere le linee di campo su se stesse in una forma toroidale. Il risultato finale è quello di ottenere una struttura a toro in cui il campo principale toroidale è prodotto da una serie di bobine in cui vengono fatte circolare forti correnti, come schematizzato nella figura sottostante. Un campo magnetico di questo tipo presenta due disuniformità: una in modulo dovuta al fatto che per il teorema di ampere il campo generato dalle spire seguirà un andamento 1/r, e una in direzione dovuta alla curvature delle linee di campo. Si può dimostrare che tali disuniformità nel campo magnetico generano dei moti di deriva nelle traiettorie delle particelle[3], derive che possono essere controllate con l'introduzione di un campo magnetico giacente sulla superficie della sezione poloidale del toro, come mostrato in figura. Tale campo viene prodotto facendo circolare all'interno di una bobina lungo l'asse principale del toro una corrente variabile monotonamente. In tal modo la bobina funge 19 da circuito primario e il plasma da circuito secondario, e quindi al suo interno è indotta una corrente toroidale (freccia rossa), la quale a sua volta genera il campo poloidale. Il campo magnetico risultante sarà generato dalla combinazione di questi due campi, e quindi sarà costituito da eliche che si avvolgono sulla superficie toroidali, e le particelle seguiranno traiettorie elicoidali intorno a tali linee di campo. Il campo magnetico risultante è mostrato nella figura sottostante; Un campo così costituito non è ancora in grado di confinare in modo stabile il plasma [3]: infatti il campo poloidale presenta delle disuniformità in modulo tra la regione più interna e la regione più esterna, e il plasma necessita quindi di un confinamento verticale, prodotto con bobine che avvolgono la macchina a confinamento in modo coassiale all'asse principale del toro. L'insieme di tutti gli elementi che forniscono il confinamento magnetico è presentato nell'immagine seguente: 20 Nella figura sottostante è presentato il risultato finale della superficie generata dalle linee di campo. Una macchina di questo tipo prende il nome di Tokamak, acronimo in russo per camera toroidale con bobine magnetiche (TOroidal'naya KAmera MAgnitnymi Katushkami), e il primo prototipo fu elaborato in Unione Sovietica nel 1957 da Sakharov e Tamm. Poiché la variazione di corrente nella bobina centrale deve essere monotona, tale variazione può durare per un tempo finito, e quindi il campo poloidale esisterà per un tempo finito: il Tokamak è quindi una macchina a funzionamento impulsato. Parallelamente, negli stessi anni, negli Stati Uniti fu elaborata da Spitzer una macchina analoga, che producendo un campo magnetico toroidale e poloidale con la stessa bobina, poteva avere un funzionamento continuo. Tale macchina è detta Stellarator, e lo schema delle sue bobine è presentato qua di seguito in due possibili configurazioni: Si può notare chiaramente come la struttura Tokamak risulti molto più semplice e modulare, e quindi più economica. Inoltre le macchine Stellarator, proprio in ragione della loro complessità, non permettono il controllo del plasma ad elevate pressioni magnetiche in modo altrettanto efficace ai Tokamak. Per questi motivi i maggiori sforzi di ricerca si concentrano su macchine di tipo Tokamak; nel mondo sono comunque presenti esperimenti su macchine di tipo Stellarator (W7-X, NCS). 21 1.4 - Il Tokamak ITER Il progetto ITER (International Thermonuclear Experimental Reactor) si colloca nel più ampio disegno del programma di ricerca sulla fusione nucleare dell'Unione Europea. Il progetto precedente, JET (Joint European Torus), costruito per studiare il plasma in condizioni termonucleari, ha dimostrato la fattibilità tecnica e scientifica della reazione di fusione nucleare, generando e controllando per la prima volta una reazione di fusione termonucleare tra Deuterio e Trizio nel 1991; inoltre JET ha permesso di verificare e collaudare tecniche e materiali che verranno ampiamente utilizzati in ITER. Il Tokamak JET, tra gli altri record raggiunti, ha quasi raggiunto il paraggio energetico tra potenza in ingresso e potenza in uscita, mantenendo per tempi maggiori di 30s Q ≃ 0,5 e raggiungendo Q ≃ 0,94[4]. Il progetto ITER, partendo da questi presupposti, dovrà dimostrare di poter generare e mantenere, per tempi di circa 20 minuti, una reazione di fusione nucleare che generi più energia di quanta ne venga consumata per mantenere il plasma nelle condizioni necessarie perché la fusione avvenga, validando e se possibile incrementando le attuali conoscenze sulla fisica del plasma. I lavori di costruzione dell'impianto, iniziati nel 2006, saranno completati nel 2012, e secondo la tabella di marcia, il primo plasma sarà prodotto nel 2019 (secondo il calendario pubblicato dalla IAEA[5]). Le caratteristiche principali del reattore ITER saranno le seguenti: • Altezza edificio: 24 m • Larghezza edificio: 30 m • Raggio esterno Tokamak: 6,2 m • Raggio interno Tokamak: 2 m • Temperatura del plasma: ≃ 2 · 108 K (20 keV) • Potenza in uscita: ~ 500 - 700 MW • Volume di plasma: 837 m³ • Campo magnetico sull'asse toroidale: 5,3 T • Durata dell'impulso di fusione: > 600 s • Rendimento: Q > 10 22 La road map delle ricerche sulla fusione dell'EU prevede, se ITER dovesse dare i risultati attesi, la costruzione di DEMO (DEMOnstration power plant), impianto pilota della prima centrale elettrica a fusione nucleare, che avrà lo scopo di dimostrare la possibilità di produrre energia elettrica nelle condizioni tipiche di un reattore commerciale, in particolare raggiungendo rendimenti nettamente superiori a quelli di ITER. Inoltre sonderà la capacità delle strutture del reattore di resistere ai carichi energetici provocati dal plasma termonucleare per lungi periodi (almeno 10 anni). DEMO, secondo le stime attuali, genererà circa 2 GW di potenza elettrica, cioè come una grossa centrale a fissione nucleare, e sarà operativo a partire dal 2033[5]. Sull'impianto pilota DEMO sarà successivamente costruita la prima vera e propria centrale elettrica commerciale PROTO, che avrà lo scopo di dimostrare la possibilità di generare energia elettrica in quantità compatibili con le aspettative, e soprattutto dimostrare che il costo di tale energia sarà concorrenziale con quello dell'energia prodotta in modo convenzionale. La messa in funzione di tale impianto è prevista per non prima del 2060[5]. 23 2 - SEZIONI D'URTO PER LE REAZIONI DI FUSIONE Lo studio sperimentale delle sezioni d'urto di fusione tra nuclei, fin dai primi anni di ricerca sulla fusione termonucleare (anni '40), ha rivestito un'importanza fondamentale. In particolare ha permesso di determinare quale fosse la reazione più vantaggiosa ai fini della produzione energetica, e in quale range di energie. Tale studio sperimentale è continuato negli anni con la raccolta di dati sempre più completi e precisi; In particolare si farà qua riferimento al database aggiornato a febbraio 2011 Evaluated Nuclear Data File (ENDF), libreria B VII.0, del National Nuclear Data Center [6]. Si tratta di un database non puramente sperimentale: i valori riportati sono matematicamente ricavati per mezzo di opportune medie sui numerosi dati sperimentali disponibili, e dalle relative interpolazioni. Le sezioni d'urto derivate da tale database per le principali reazioni di fusione sono riportata nel grafico a lato. Tale grafico è costruito in funzione dell'energia della particella proiettile (a), che urta su una particella bersaglio a riposo (b). In qualunque momento è possibile passare alle energie del centro di massa della reazione mediante la relazione: ECM = mb E m am b proiettile Dal grafico è inoltre evidente come la sezione d'urto presenta una forte dipendenza dall'energia relativa delle particelle interagenti. La caratteristica forma di questa curve si spiega osservando che perché possa avvenire la fusione, le particelle si devono avvicinare fino a una distanza sufficiente a far attivare le forze nucleari a corto range, superando quindi la barriera di potenziale a lungo range dovuta alla repulsione elettrostatica; a tal fine, per effetto tunnel, non è necessario che le particelle abbiano effettivamente un'energia superiore al picco della barriera coulombiana. Allora, maggiore sarà l'energia relativa e maggiore sarà la possibilità di effetto tunnel e quindi 24 di fusione; per contro, quando l'energia aumenta troppo la sezione d'urto diminuisce poiché diminuisce il tempo di interazione tra le particelle. Da qui la tipica forma a campana delle sezioni d'urto. Dall'osservazione dell'andamento delle σ [Barns] 1,00E+01 sezioni d'urto possiamo affermare che la D-T D-D 1,00E+00 reazione tra Deuterio e Trizio è la 1,00E-01 reazione con sezione d'urto maggiore a piccole energie tra quelle considerate; 1,00E-02 questo implica che a tale reazione è 1,00E-03 associata una considerevole produzione 1,00E-04 0 50 100 150 200 250 300 energetica già a basse temperature. Energia proiettile [Kev] Come già accennato nel paragrafo 1.2, sono proprio queste considerazioni sulla minore temperatura di innesco della reazione Deuterio-Trizio ha renderla la reazione maggiormente utilizzata nei moderni impianti di ricerca sulla fusione nucleare. La conoscenza della sezione d'urto per le reazioni di fusione nei moderni impianti dove si svolgono esperimenti di fusione nucleare è indispensabile anche per un altro motivo: la diagnostica del plasma passa attraverso misure del tasso di reazione, a sua volta funzione della sezione d'urto. Per poter quindi controllare efficacemente il plasma, è necessario conoscere la sezione d'urto per la fusione dei combustibili utilizzati. Convenzionalmente, si fissa in 5% il limite superiore alla discrepanza accettata tra il modello matematico descrivente l'andamento della sezione d'urto e i dati sperimentali. 25 2.1 - Parametrizzazione della sezione d'urto di fusione Generalmente, quando si deve parlare di sezioni d'urto non sono tanto i dati sperimentali ad essere usati, ma piuttosto le parametrizzazioni semi-empiriche basate sui dati sperimentali raccolti. L'utilizzo di una parametrizzazione comporta numerosi vantaggi, tra i quali disporre di un modello matematico utilizzabile in eventuali calcoli analitici. L'approccio teorico alla modellazione della sezione d'urto passa attraverso lo studio quanto-meccanico dell'interazione di due nuclei con numero atomico Z 1 e Z2 (nel nostro caso un nucleo di Deuterio che collide con un nucleo di Trizio a riposo nel sistema di riferimento del laboratorio), che, ostacolati dalla presenza della forza repulsiva coulombiana, devono avvicinarsi fino a una distanza nell'ordine dei 10 -15m, distanza di interazione della forza nucleare. Il problema può essere studiato come combinazione di due problemi distinti: una prima parte di avvicinamento dei due nuclei ostacolato dalla forza elettrostatica repulsiva, e una secondo fase in cui avviene effettivamente la reazione nucleare di fusione. Il calcolo rigoroso della sezione d'urto prevede la soluzione del problema quantistico mediante la risoluzione dell'equazione di Schrödinger: una parziale soluzione analitica è fornita dai calcoli di Flügge e Pruett[7], ma le difficoltà matematiche non permettono di pervenire ad una soluzione analitica completa. Si può ottenere una soluzione approssimata per energia cinetica relativa dei nuclei coinvolti minore della barriera di potenziale (circa 400 keV per la reazione DeuterioTrizio): in questo caso, infatti, la fase di reazione nucleare di fusione non contribuisce sostanzialmente alla sezione d'urto totale, che viene quindi a essere determinata solo dalla presenza della barriera di potenziale coulombiana; in altre parole, qualunque coppia di nuclei che si avvicina a distanza di interazione della forza nucleare forte, si fonde. La sezione d'urto del problema è quindi, nell'approssimazione di energie minori della barriera di potenziale, la sezione d'urto di penetrazione della barriera di potenziale 26 dovuta all'effetto tunnel quantistico. Assumendo un potenziale coulombiano molto semplificato come quello riportato nello schema, si vuole determinare la probabilità per cui una particella sopraggiungente da +∞ (regione A) attraversi la barriera di potenziale (regione B) e penetri nella regione C; L è lo spessore della barriera di potenziale. Procediamo quindi con la risoluzione dell'equazione stazionaria unidimensionale di Schrödinger − ℏ2 d 2 ψ r V r ψ r =Eψ r 2μ dr 2 associata a questo potenziale per il caso particolare E < V0, poiché vogliamo considerare una particella con energia minore della barriera di potenziale. Dobbiamo quindi risolvere il sistema 2 d ψ r 2μ =− 2 Eψ r 2 dr ℏ nelle regioni A e C d 2 ψ r 2μ =− 2 E−V 0 ψ r 2 dr ℏ nella regione B dove μ è la massa ridotta del sistema. La soluzione analitica del problema ci permette di definire il coefficiente di trasmissione T che esprime quanta parte dell'onda materiale passa attraverso la barriera di potenziale, cioè la probabilità di effetto tunnel , secondo l'equazione −1 V 02 2 T =[1 sinh βL] , 4 E V 0−E dove β= 2μV 0−E ℏ 2 Nel limite di basse energie, cioè con E << V0, il coefficiente di trasmissione prende la forma: 27 T= E , EbV 20 2 μL dove b= 2 2ℏ Questo risultato è una forte approssimazione, poiché l'ipotesi di partenza di barriera rettangolare è una forte approssimazione del caso fisico reale. Una trattazione più rigorosa del problema può essere svolta utilizzando il potenziale dello schema a lato, che evidenzia la presenza della barriera coulombiana descritta da: 2 Z Z e C per r > r0, V r = 1 2 = 4πε0 r r e della buca di potenziale della forza nucleare V(r) = V* per r > r0. Teoricamente bisognerebbe anche considerare che il potenziale elettrostatico generato da una carica in un plasma non ha il caratteristico andamento coulombiano ~ 1/r, ma si presenta con un andamento esponenzialmente smorzato, secondo l'equazione: r q −λ V r = e r D dove λD è la lunghezza di Debye del plasma (cfr. appendice A.2) Considerare tale tipo di potenziale porta ad una notevole complicazione nei calcoli, ma non a una sostanziale differenza nel risultato numerico finale; tale trattazione verrà pertanto tralasciata, considerando sempre un potenziale puramente coulombiano. Poiché il coefficiente di trasmissione per barriera rettangolare, nell'approssimazione V0 →∞, può essere scritto come (sviluppando il seno iperbolico): −2L T ≈e 2μ V 0− E 2 ℏ dove L è lo spessore della barriera, e poiché la barriera dello schema può essere considerata come una successione di barriere rettangolari 28 di spessore infinitesimo, possiamo scrivere il coefficiente di trasmissione come [2]: −γ T =e 2 , dove γ = ℏ C/E ∫ dr 2μ[V r −E ] (si ricorda la sostituzione C=Z1Z2e2/4πε0) r0 Sostituendo in tale formula generale l'espressione esplicita del potenziale considerato otteniamo: 2 γ= ℏ C /E ∫ dr r0 2μ[ παZ 1 Z 2 2μ C −E] , che nel limite per r0 → 0 da γ = , dove α è la r E costante di struttura fine e2/ħc. Si ha quindi che: − T =e παZ 1 Z 2 2μ E − =e BG E Tale fattore di trasparenza viene detto fattore di trasparenza Gamow, e BG è detta costante di Gamow. Tenendo anche conto della natura quantistica dell'urto nucleare, bisogna aggiungere un fattore 1/k2 ∽ 1/E, tipico delle sezioni d'urto delle reazioni nucleari di canale S. Ne consegue che la forma completa della sezione d'urto per un processo di fusione nucleare, considerando un nucleo a riposo bombardato da un altro nucleo con energia E minore della barriera di potenziale è data da: BG A − T ∝ σ = ⋅e E E (2.1) dove A è un opportuno coefficiente di proporzionalità da determinarsi con una operazione di fitting sui dati sperimentali. Ricordiamo che questa formula è ricavata in approssimazione E << V0. Tale parametrizzazione per la sezione d'urto, basandosi su un approccio estremamente semplicistico del problema, che ad esempio non tiene conto di nessuna interazione nucleare, ha chiaramente una compatibilità solo qualitativa con i dati sperimentali, come illustrato nei due grafici seguenti per la reazione Deuterio-Trizio e Deuterio-Deuterio: 29 σ [barns] 1,00E+02 T(d,n)4He Sigma Sperimentale Thompson 1,00E+01 1,00E+00 1,00E-01 1,00E-02 1,00E-03 1,00E-04 0 200 σ [barns] 1,00E+02 400 600 800 1000 1200 Energia [Kev] D(d,p)T U D(d,n)3He Sigma sperimentale Thompson 1,00E+01 1,00E+00 1,00E-01 1,00E-02 1,00E-03 1,00E-04 0 200 400 600 800 1000 1200 Energia [Kev] In particolare, risentendo dell'inadeguatezza del fattore di Gamow per la descrizione di fenomeni ad alte energie, le curve presentano le discrepanze maggiori con i dati sperimentali proprio nella regione ad energia maggiore. Anche altri autori hanno ripreso il lavoro svolto per primo da Gamow nel 1928, creando forme di parametrizzazione sempre basate sul fattore di trasparenza Gamow (Post, Glasstone, Rose, e Artsimovich[8]), ma nessuno con eccellenti risultati. Per migliorare la compatibilità del modello matematico per la sezione d'urto con i dati sperimentali, si è introdotta la funzione S(E) in luogo della costante A, e conseguentemente la sezione d'urto assume la forma: 30 BG S E −E σ= ⋅e E L'introduzione di questa funzione permette di fattorizzare la sezione d'urto in tre fattori. La forte dipendenza energetica è racchiusa nei termini 1/E e nel fattore esponenziale decrescente, mentre S(E) è una funzione lentamente variabile con l'energia. Il fattore esponenziale è il coefficiente di trasparenza della barriera, il fattore 1/E deriva dalla natura quantistica dell'urto tra i due nuclei, mentre la funzione S(E), detta fattore astrofico S, è associata alle forze nucleari specifiche della reazione, e viene determinata sperimentalmente per ogni reazione come formula inversa della sezione d'urto: BG S E=σ⋅E⋅e E Alcuni autori, per cercare di superare i limiti imposti dall'utilizzo del fattore di trasparenza di Gamow, cioè per cercare di estendere la validità della formula anche a regioni ad energia maggiore, hanno proposto una parametrizzazione con il più generale fattore di trasparenza della barriera coulombiana di Mott, il cui limite a basse energie è la forma di Gamow: σ= S E 1 ⋅ B E e E −1 G Per avere una dimostrazione limite della maggior fedeltà della forma di Mott, basti considerare che per E → ∞ la forma di Gamow restituisce una probabilità tendente a zero (in palese disaccordo con l'evidenza sperimentale e con le predizioni intuitive) mentre la forma di Mott tende a 1 (al netto di S(E)). In ogni caso, è consuetudine utilizzare la parametrizzazione della sezione d'urto semplicemente come artificio per avere un modello matematico in accordo con i dati sperimentali, quindi non è tanto importante la forma utilizzata, quanto che effettivamente fitti i dati sperimentali con buona precisione. Talune parametrizzazioni infatti continuano ad usare la penetrabilità di Gamow, inserendo i dovuti termini correttivi nella funzione S(E), che in quest'ottica non assume alcun significato fisico, se non quello di implementare tutti i fattori non contenuti nel prodotto del fattore 31 geometrico 1/E con il fattore di trasparenza della barriera coulombiana. Il fattore astrofisico S viene quindi utilizzato come una sorta di fattore di normalizzazione: la determinazione della funzione S(E) è sempre sperimentale. Infatti, a parte per alcune particolari reazioni nucleari, la fisica nucleare della reazione non è perfettamente nota e non esistono modelli per descriverla. Per dare un'idea della versatilità dell'utilizzo del fattore astrofisico S, si pensi ad esempio che in presenza di urti altamente energetici, si continua ad usare la forma di Gamow, inserendo tutti termini di correzione dentro alla funzione S(E), determinata sperimentalmente. Con questo sistema si è potuto parametrizzare efficacemente sezioni d'urto per urti fino a 5MeV con buona precisione. Le varie parametrizzazioni proposte nel corso degli anni sono sempre state nelle due forme qua evidenziate (Gamow e Mott), e si distinguono solo per il tipo di parametrizzazione assegnata alla funzione S(E). 2.2 - Parametrizzazione di Duane (NRL plasma formulary) Duane, nel 1972, ha utilizzato per la sua parametrizzazione[11] il fattore di trasparenza di Mott, e ha approssimato la funzione S(E) come una somma di una costatante e un termine di risonanza alla Breit-Wigner: σ =[ A2 1 A3 E− A4 2 1 A5 ]⋅ (2.2) A1 E e E −1 dove E è l'energia della particella incidente. I 5 parametri liberi della formula sono determinati attraverso la tecnica dei minimi quadrati sui dati sperimentali. Tale formula è la stessa riportata nel famoso handbook “NRL Plasma formulary”[12] edito dal Naval Research Laboratory. Questo tipo di parametrizzazione ha un buona compatibilità con i dati sperimentali, mostrando delle discrepanze solo per basse energie. La sua fedeltà nel riprodurre la realtà sperimentale, unita alla sua relativa semplicità analitica la rendono una formula 32 ampiamente utilizzata ancora oggi. Nei grafici seguenti è mostrata la sovrapposizione tra i dati sperimentali e il modello di Duane per le reazioni Deuterio-Trizio e Deuterio-Deuterio (somma dei due possibili canali di reazione). σ [barns] 1,00E+02 T(d,n)4He Sigma Sperimentale NRL plasma formulary 1,00E+01 1,00E+00 1,00E-01 1,00E-02 1,00E-03 1,00E-04 0 200 σ [barns] 1,00E+02 400 600 800 1000 1200 Energia [Kev] D(d,p)T U D(d,n)3He Sigma sperimentale NRL plasma formulary 1,00E+01 1,00E+00 1,00E-01 1,00E-02 1,00E-03 1,00E-04 0 200 400 600 800 1000 1200 Energia [Kev] Il limite più importante di questa formula è che basa la parametrizzazione della funzione S(E) sulla teoria delle risonanze di Breit-Wigner[13], inadatta a trattare la fusione tra nuclei leggeri, essendo stata creata per studiare la fissione di nuclei pesanti e medi, negli anni in cui gli studi sui reattori a fissione dominavano questo campo delle ricerche. In particolare la teoria di Breit-Wigner prevede che il decadimento del nucleo composto avvenga in totale indipendenza dal canale di formazione dello stesso nucleo, approssimazione valida solo fin tanto che sono coinvolti nuclei pesanti e urti altamente energetici, cioè le condizioni opposte a quelle usate per le reazioni di fusione. Infatti la 33 formula di Duane presenta la discrepanze maggiori (nell'ordine del 6%) con i dati sperimentali principalmente per basse energie (da 20 keV a scendere), dove vengono meno in modo più pronunciato le ipotesi del modello di Breit-Wigner. Un secondo problema di questo tipo di parametrizzazione è che considera il fattore di Gamow come un parametro libero da determinarsi mediante un'operazione di fitting sui dati sperimentali, valore che viene così a differire sensibilmente dal suo valore teorico. Ciò non di meno, abbiamo detto come cerchiamo una formula che interpoli in modo soddisfacente i dati sperimentali, anche a scapito del fondamento fisico del modello. Pertanto, garantendo un buon accordo con i dati sperimentali, la parametrizzazione di Duane è una formula molto utilizzata ancora oggi. 2.3 - Formula di Peres e parametrizzazione di Bosch e Hale La formula di Peres[14] impiega il fattore di trasparenza di Mott, come la formula di Duane, ma per determinare la funzione S(E) utilizza un polinomio in espansione di Padé, con il seguente risultato: σ= A1E A2E A3E A4EA5 ⋅ 1 E B1 E B2 E B 3EB4 1 BG E E e −1 dove E in questo caso è l'energia disponibile nel centro di massa della reazione. I 9 parametri liberi di questa formula sono determinati attraverso la tecnica dei minimi quadrati sui dati sperimentali. Una parametrizzazione di questo tipo non mostra nessuna significativa deviazione dai dati sperimentali, dimostrando che tale parametrizzazione per la funzione S(E) è soddisfacente per molte reazioni e per un ampio intervallo energetico. Sfruttando l'ottima parametrizzazione per la funzione S(E) utilizzata per la prima volta da Peres, nel 1992 Bosch e Hale proposero una forma di parametrizzazione [15] della sezione d'urto del tipo: 34 BG σ= A1E A2E A3E A4EA 5 1 − E ⋅ e 1 E B1 E B2 E B 3EB 4 E (2.3) basata quindi sul fattore di trasparenza di Gamow (E continua ad essere l'energia disponibile nel centro di massa della reazione). Le ragioni dell'introduzione di questa formula, sostanzialmente simile a quella proposta da Peres 13 anni prima, risiedono nel fatto che nei primi anni '90 si erano resi disponibili nuovi e migliori dati sperimentali (dalle misurazioni effettuate nei laboratori di Los Alamos [16] ), non sempre in accordo (entro i limiti della precisione richiesta) con quelli precedentemente disponibili; inoltre a partire dagli anni '70 la tecnica di valutazione dei parametri liberi basata sull'approccio di Wigner e Eisenbud alla RMatrix Theory[17], era diventata sempre più precisa e affidabile, permettendo una nuova e più accurata determinazione dei 9 parametri liberi per la funzione S(E). L'analisi attraverso la R-Matrix Theory dell'enorme mole di dati sperimentali disponibili, ha permesso quindi una parametrizzazione della funzione S(E), che, applicata nel modello, ha creato una delle più efficaci parametrizzazioni mai proposte. Il confronto tra i dati sperimentali e il modello di Bosch e Hale è riportato nei due grafici qua di seguito per la reazione Deuterio-Trizio e Deuterio-Deuterio: σ [barns] 1,00E+02 T(d,n)4He Sigma Sperimentale R-matrix Theory 1,00E+01 1,00E+00 1,00E-01 1,00E-02 1,00E-03 1,00E-04 0 100 200 300 35 400 500 600 700 Energia [Kev] σ [barns] 1,00E+02 D(d,p)T U D(d,n)3He Sigma sperimentale R-matrix Theory 1,00E+01 1,00E+00 1,00E-01 1,00E-02 1,00E-03 1,00E-04 0 100 200 300 400 500 600 Energia [Kev] La R-Matrix Theory fornisce risultati assolutamente compatibili con i dati sperimentali all'interno del range energetico di nostro interesse: in particolari, in tale range, si registrano deviazioni da dati sperimentali che vanno dal 1,9% per la reazione D-T al 2,5% per la reazione D-D, dentro quindi i limiti prefissati del 5%. I grafici seguenti riportano, per le reazioni D-T e D-D, l'andamento del rapporto tra le sezioni d'urto dei modelli fin ora ricavati e l'interpolazione dei dati sperimentali costruita con la R-Matrix Theory. 36 Si può immediatamente notare come la serie di dati etichettata “this paper” e corrispondente al modello di Bosch e Hale sia pressoché costante sul valore 1, mentre le altre parametrizzazioni oscillano notevolmente. In particolare si noti il limite per le basse energie della sezione d'urto di Duane (limite derivante dai limiti del modello della formula di Breit-Wigner ) Nonostante tutti i limiti del modello di Duane qua evidenziati, ancora oggi l'utilizzo di questa parametrizzazione (comunque soddisfacente poiché genera discrepanze con i dati sperimentali nell'ordine del 6%) è spesso preferito, per la sua maggior semplicità analitica e il minor numero di parametri utilizzati, alla parametrizzazione di Bosch e Hale (seppur abbiamo visto essere quasi perfetta); in particolar modo l'utilizzo della parametrizzazione di Bosh in calcoli analitici diventa matematicamente complesso, e spesso ingestibile. É ancora da sottolineare che, mentre la parametrizzazione per il fattore astrofisico S di Duane si basa su 5 parametri liberi da utilizzare in un modello fisico, le formule di Peres e di Bosch si basano su 9 parametri liberi da inserirsi in un modello senza nessuna basa fisica. Infatti, l'approssimante di Padè, è uno strumento matematico appositamente creato per approssimare funzioni analitiche con funzioni razionali. 2.4 - Parametrizzazione di Xing Lo sviluppo di un ulteriore modello matematico non risponde alla necessità di migliorare l'affidabilità del modello della R-Matrix Theory che è ottima, ma ha come scopo quello di creare un formula con una solida base fisica. 37 Nel 2008 Xing, Qing, e Liu[18] hanno proposto una forma di parametrizzazione, una delle ultime elaborate, che cerchi di superare i limiti dell'utilizzo del modello di BreitWigner. Tale modello matematico garantisce un buon accordo con i dati sperimentali alle basse energie, e contemporaneamente è sviluppato su una solida basa di studio quanto-meccanico della reazione, senza importanti approssimazioni. Xing, Qing e Liu hanno considerato un potenziale come nello schema a lato, costituito però da una componente reale e una componente immaginaria. Tale espediente ha come fine ultimo quello di considerare nel processo di fusione una particella proiettile che mantiene una “memoria” della fase della sua funzione d'onda precedente all'urto, condizionando la formazione dei prodotti della reazione. Tale effetto è espressamente trascurata dal modello di Breit-Wigner (che risulta valido solo ad alte energie). In questo modo il processo di tunneling e di fusione non possono più essere considerati indipendenti. Secondo la parametrizzazione di Xing (che considera solo l'onda incidente S, compiendo quindi un'approssimazione per basse energie) la sezione d'urto per la fusione tra nuclei leggeri si può esprimere come σ E= π 1 S E 2 2 k θ con E energia della particella incidente, e dove il fattore θ2 rappresenta la penetrabilità della barriera Coulombiana di Mott 2π θ2= 2μE 1 ka è il numero d'onda per r > r0, con μ massa ridotta del e −1 , k = ℏ2 2π c 38 ℏ2 sistema, e a c = . μZ 1 Z 2 e 2 In tale modello il fattore astrofisico S è dato da[19] S E= −4w i 2 r w wi−1/θ2 2 dove wi e wr sono la parte rispettivamente immaginaria e reale di Ctg δ 0 2r 0 kac 2 w= =k 1 ac Ctg [k 1 r 0 ]−2 {ln [ ]2C } , con ac 12 θ2 k 1= 2μ E−V r−iV i ℏ2 il numero d'onda della funzione d'onda per r < r0, e C la costante di Eulero pari a 0,577216... . δ0 è la differenza di fase della funzione d'onda S che si accumula nel processo di fusione: riprendendo e apportando un sostanziale contributo al lavoro di Fowler del 1951[20], Xing Qing e Liu assumono che l'interazione della funzione d'onda della particella proiettile con la buca di potenziale delle forze nucleari a corto range (interazione comunque nota solo per alcune particolari reazioni) provochi due effetti: un'accumulazione di una differenza di fase δ0 (dovuta all'attrazione forte delle forze nucleari), e la trasformazione in un numero complesso di tale differenza di fase (dovuta all'assorbimento della funzione d'onda incidente)[19]. Tale differenza di fase prende una forma diversa a seconda del tipo di buca considerata: una buca rettangolare come quella ipotizzata genera una differenza di fase come quella sopra scritta, che risulta controllata da 3 parametri liberi: r0, Vr e Vi. La complessa forma analitica di w si semplifica notevolmente se si considera che, nel range di energie di nostro interesse, varia debolmente in funzione dell'energia, e quindi può essere approssimata mediante l'uso di opportuna costanti: w=C 1C 2 Elab iC 3 , dove con Elab si intende l'energia della particella proiettile, da distinguersi da E energia disponibile nel centro di massa della reazione. 39 In questo modo, la sezione d'urto per fusione di nuclei leggeri per basse energie, secondo la parametrizzazione di Xing, diventa: σ E= 2 −4C3 πℏ 1 ⋅ 2 2μE θ C1C2 Elab 2C3 −1/ θ2 2 con le costanti C1, C2 e C3 da determinarsi attraverso il confronto con i dati sperimentali, mediante la tecnica dei minimi quadrati, e con θ2, si ricorda, fattore di trasparenza di Mott della barriera coulombiana. Qua di seguito è mostrato l'accordo del modello di Xing con i dati sperimentali per le reazioni Deuterio-Trizio e Deuterio-Deuterio: σ [barns] 1,00E+02 T(d,n)4He Sigma Sperimentale Xing 1,00E+01 1,00E+00 1,00E-01 1,00E-02 1,00E-03 1,00E-04 0 200 σ [barns] 1,00E+02 400 600 800 1000 1200 Energia [Kev] D(d,p)T U D(d,n)3He Sigma sperimentale Xing 1,00E+01 1,00E+00 1,00E-01 1,00E-02 1,00E-03 1,00E-04 0 200 400 600 800 1000 1200 Energia [Kev] 40 Come si può anche evincere dai grafici, il modello di Xing è estremamente affidabile a basse energie, dove il modello di Duane presentava le maggiori discrepanze (soprattutto per la reazione Deuterio-Trizio). A energie più alte invece questo modello (principalmente sempre per la reazione D-T) devia sensibilmente dai dati sperimentali, proprio perché tra le sue ipotesi iniziali c'è il considerare urti poco energetici (considerando la funzione d'onda della particella proiettile una funzione S). poiché il nostro interesse risiede principalmente nel valutare la sezione d'urto a basse energie, diciamo non superiori a 300 keV (la temperatura media del plasma prevista a ITER è di 20 keV ma alcune particelle nella coda superiore nelle distribuzione delle velocità possono raggiungere i 300 keV), possiamo concludere che la parametrizzazione di Xing in questo caso è più affidabile. Inoltre, ampliando i calcoli per funzione incidente P, e quindi considerando anche energie della particella proiettile maggiori, l'accordo con i dati sperimentali migliora notevolmente. Effettuando un confronto tra le varie formule di parametrizzazione proposte per la reazione Deuterio-Trizio, nell'intervallo energetico da 0 a 300KeV particolarmente interessante per i nostri scopi verifichiamo quanto segue: σ [barns] 5 T(d,n)4He Sigma Sperimentale R-matrix Theory NRL plasma formulary Xing 4 3 2 1 0 0 50 100 150 200 250 300 Energia [Kev] 41 Possiamo osservare che tutte le parametrizzazioni qua visualizzate concordano con i dati sperimentali entro i limiti prefissati del 5% (nel caso della parametrizzazione di Duane questo limite è leggermente superato per energie minori di 20 keV) Una distinzione tra le formule proposte si può fare considerando la funzione S(E). Possiamo infatti distinguere tra due tipi di parametrizzazione: la parametrizzazione di Xing e la parametrizzazione di Duane sono basate su una funzione S(E) costruita intorno ad una teoria fisica; la parametrizzazione di Peres e di Bosch invece sono basata su una funzione S(E) costituita da una approssimante di Padè. É quindi del tutto naturale che la funzione che introduce deviazioni dai dati sperimentali minori è proprio la parametrizzazione di Bosch e Hale, con coefficienti calcolati mediante la R-Matrix Theory, ma è anche evidente come il contenuto fisico di tale formula è minimo. Per contro, l'obbiettivo delle formule di parametrizzazione è espressamente quello di approssimare al meglio i dati sperimentali, eventualmente a discapito del fondamento fisico della formula. Tuttavia, come già evidenziato in precedenza, tra le caratteristiche ricercate nel modello matematico della sezione d'urto, c'è anche una certa semplicità analitica, che renda la formula facilmente spendibile in calcoli analitici. Per questo motivo la formula di Duane, vista anche la sua comunque accettabile precisione (deviazioni non superiori al 6% dai dati sperimentali), è preferita alle altre parametrizzazioni, ed è ancora oggi ampiamente utilizzata. 42 3 - TASSO DI REAZIONE e PRODUZIONE ENERGETICA DI UN PLASMA TERMONUCLEARE Preliminarmente allo studio dei bilanci energetici di un plasma termonucleare, è ancora necessario determinare il tasso di produzione energetica del plasma, ovvero la potenza Pfus sviluppata per unità di volume dalle reazioni nucleari all'interno del plasma. Tale tasso di produzione energetica sarà esprimibile, in generale, come il prodotto dell'energia ε sviluppata da una singola reazione di fusione e il tasso di reazione R, cioè il numero di reazioni di fusione che avvengono nel plasma per unità di tempo e per unità di volume: P fus =R⋅ε dove Pfus è espresso in W/m3, ε in J, e il tasso di reazione R, conseguentemente, in 1/(s m3). Il tasso di reazione termonucleare, a sua volta, si può esprimere come la probabilità di reazione tra una coppia qualunque di particelle, e il numero totale delle possibili coppie esistenti: R=n1 n 2 〈συ 〉 per particelle diverse 1 R= n2 〈 συ〉 per particelle uguali 4 dove gli n sono le densità delle particelle reagenti espresse in 1/m3, e conseguentemente <συ>, probabilità di reazione tra una coppia qualunque di particelle, si esprimerà in m3/s. Vale quindi il risultato generale R= ni n j 1δ ij 2 〈 συ 〉 Ci occuperemo solo della reazione Deuterio-Trizio, in quanto si è determinato essere le più conveniente a basse temperature; pertanto considereremo sempre la forma per particelle reagenti diverse. 43 Il fattore <συ> viene detto reattività, ed è il fattore incognito da determinarsi per poter determinare il tasso di reazione R. L'andamento delle misure sperimentali della reattività è riportato qua a lato, sulla base dei dati pubblicati negli archivi US Nuclear Reaction Data Network (USNRDN); si tratta di un database di principale interesse astrofisico e i dati sono ottenuti su una distribuzione di velocità dei reagenti di tipo maxwelliano. Nell'immagine a lato la reattività è graficata in funzione della temperatura cinetica, ovvero della temperatura espressa in termini di KBT. Tale sostituzione è particolarmente utilizzata e permette di esprimere la temperatura in unità di misura dell'energia (nel nostro caso keV): esprimendo la costante di Boltzman come KB = 8,6 · 10-5 eV/K, si ha che vale l'equivalenza 1 eV ≃11600 K D'ora in avanti, salvo diversa indicazione, ci si riferirà alla temperatura del plasma solo in termini di energia termica, e pertanto esprimeremo la temperatura in keV. Da un'osservazione preliminare dei dati sperimentali possiamo osservare come la reazione che presenta una reattività maggiore a basse temperature è indubbiamente la reazione Deuterio-Trizio. Inoltre è possibile osservare che la reattività per tale reazione è piccata nella zona intorno ai 100 keV, e ciò discende dalla risonanza della sezione d'urto per il processo di fusione proprio in tale zona energetica. La reazione Deuterio-Trizio, garantendo una maggior reattività, offrirà un tasso di reazione maggiore a parità di altri fattori (temperatura, pressione e densità), garantendo quindi una maggior resa energetica. Per questi motivi nel proseguo ci occuperemo solo di ottenere risultati numerici per la reazione Deuterio-Trizio, tralasciando lo studio delle 44 altre reazioni. Per le parametrizzazioni della reattività per la reazione Deuterio-Deuterio, e qualunque altra reazione di fusione nota, si può consultare l'articolo di Angulo et al.[21]. Analogamente a quanto visto per la sezione d'urto, è particolarmente utile disporre di un modello matematico teorico per la reattività, e quindi per il tasso di reazione. Infatti la disponibilità di un modello ne permette l'impiego in eventuali calcoli analitici, nonché la possibilità di ottenere agilmente stime numeriche per il tasso di reazione ad una data temperatura. Per questi motivi la reattività è stata matematicamente ricavata attraverso numerosi modelli, alcuni analitici, altri come semplici modelli di parametrizzazione analogamente a quanto visto per le sezioni d'urto. I modelli analitici sono quasi tutti costruiti a partire dall'ipotesi che la distribuzione di velocità all'interno di un plasma sia di tipo maxwelliano. Tale ipotesi è ovviamente solo un'approssimazione della realtà sperimentale, che in taluni casi comporta delle discrepanze notevoli tra modello teorico e dati sperimentali; da qui la necessità di elaborare un modello parametrico non costruito su particolari distribuzioni di velocità. 3.1 - Modello di reattività maxwelliana[22] Poiché la velocità delle particelle reagenti non è costante all'interno del plasma, il tasso di reazione della fusione termonucleare di una coppia di particelle in un plasma (visto come una miscela uniforme di due gas) può essere espresso in termini della sezione d'urto e delle velocità relative come segue: 3 3 R=∬ ρ υ1 ρ υ2∣υ1−υ2∣σ υ1−υ2 d υ1 d υ 2 cioè come integrale sullo spazio delle velocità delle particelle reagenti della sezione d'urto, per la velocità relativa delle particelle, per le funzioni distribuzione di velocità ρ. In condizioni di equilibrio termodinamico a temperatura T, le funzioni distribuzione di velocità saranno descrivibili in buona approssimazione da distribuzioni di Maxwell per 45 l'equilibrio collisionale (si considera che le collisioni hanno portato all'equilibrio il gas): mi 32 − m2Tυ ρ υi =ni e 2πT i 2 i dove ricordiamo che la temperatura è espressa in keV, e quindi, più propriamente, si dovrebbe indicare KBT in luogo di T. Ovviamente utilizzare la distribuzione di velocità maxwelliana non è che un'approssimazione della realtà sperimentale: basti pensare che tale teoria assume tra le sue ipotesi che si stia lavorando con un gas isotropo, ipotesi che chiaramente viene meno se consideriamo di considerare, per esempio, un plasma termonucleare in una macchina a confinamento magnetico toroidale. Sostituendo la distribuzione maxwelliana nella definizione generale otteniamo l'integrale doppio sullo spazio delle velocità: R=n1 n 2 m1 m2 2πT 3 2 2 − ∬∣υ1−υ2∣σ ∣υ1−υ2∣ e 3 2 m1 υ1 m2 υ2 2T 3 3 d υ1 d υ 2 Attraverso al cambio di variabili υ = υ1− υ2 m1 υ1m2 υ2 V = m1m2 si può riscrivere l'integrale come: R=n1 n 2 3 2 m1 m2 3 2πT − ∫ υ σ υ e m1 m2 υ2 m1m2 2T − m1m2 2 V 2T d υ∫ e d3 V 3 I L'integrale I è un integrale gaussiano, e quindi è facilmente calcolabile: − I =∫ e m1m 2 2 V 2T ∞ d x=4π ∫ x e 3 2 0 e quindi in definitiva si ha che 46 − m 1 m 2 2 V 2T 3 dx= 2πT 2 m1m2 m1 m 2 υ 2 T 1 2 2 3 ∞ − m1 m 2 R=4π n1 n2 [ ] 2 ∫ υ3 σ υ e m m 2πT m1m 2 0 ¿ dυ Per confronto diretto con le equazioni di definizione del tasso di reazione R=n1 n 2 〈 συ 〉 abbiamo che: m1 m2 υ 2 1 2 2T 3 ∞ − m1 m 2 〈συ 〉=4π [ ] 2 ∫ υ 3 σ υ e m m 2πK B T m1m2 0 dυ Riscrivendo la reattività in funzione dell'energia della particella proiettile e ponendo μ= 1 2 E= m1 υ 2 m1 m2 la massa ridotta del sistema, si ottiene: m1m2 2 8 μ 〈 συ 〉= πμ m1 ∞ μ E T 1 − 1 m ⋅ E σ E e ∫ 3 T 0 Alternativamente mediante la sostituzione m s dE 3 1 E= μυ 2 , cioè l'energia del centro di 2 massa della reazione si perviene alla più compatta forma: 〈συ 〉= ∞ E − 8 1 ⋅ E σ E e T dE 3 ∫ πμ T 0 m3 s (3.1) Su tale formula generale, valida per qualunque reazione con distribuzione di velocità dei reagenti maxwelliana, devono poi essere applicate le formule per le sezioni d'urto. Potendo esprimere in generale la sezione d'urto come: BG σ= S E −E ⋅e E potremo in generale esprimere la reattività maxwelliana con l'integrale: ∞ E BG − − 8 1 T E 〈συ 〉= ⋅ S E e dE ∫ 3 πμ T 0 Poiché il fattore astrofisico S(E) è una funzione debolmente variabile con l'energia 47 rispetto alla funzione esponenziale, si può assumere che l'integrale sia comandato dalla funzione esponenziale, e considerare il fattore astrofisico una costante. Nonostante questa importante semplificazione l'integrale è ancora di una complessità analitica notevole, e la sua soluzione rigorosa[23] coinvolge la funzione G di Meijer: ∞ ∫e 0 −E − 1 E 1 1 G 3,0 ,1 0,3 ∣0, 4 2 dE= π Qualora si andasse anche a considerare la forma esplicita del fattore astrofisico S(E), è chiaro come la soluzione analitica del problema diventerebbe proibitiva, e in generale non esiste neanche. In questi casi però l'integrale sarà sicuramente risolvibile numericamente, ottenendo quindi un risultato funzione della temperatura T del plasma termonucleare, risultato da utilizzare in definitiva per determinare il tasso di reazione di fusione nucleare. Qua valuteremo solo distribuzioni di velocità maxwelliane, ma chiaramente questo è una condizione ideale che non trova riscontro sperimentale. Si possono elaborare distribuzioni di velocità che da un punto di vista sperimentale risultino più realistiche [23], come ad esempio distribuzioni di velocità maxwelliane con code della distribuzione dimostrare troncate. come Si può l'integrale della reattività con queste distribuzioni è comunque risolvibile analiticamente in termini di funzione G di Meijer con deviazioni dal caso semplificato che stiamo qui prendendo in considerazione che non superano l'ordine di grandezza[24], come si può notare dall'immagine a lato. Tale grafico è costruita con i dati sperimentali raccolti nella macchina a confinamento magnetico JET 48 alimentata da Deuterio e Trizio. Le label <NB>, <IC> e <NB + IC> indicano il metodo utilizzato per riscaldare il plasma (rispettivamente neutral beam injection, radio frequency, combinazione dei due); a seconda del metodo utilizzato si generano distribuzioni di velocità differenti e quindi reattività differenti, che comunque non si discostano sensibilmente dalla maxwelliana teorica, e anzi convergono su di essa a partire dai 10 keV. Questo tipo di analisi nella realtà sperimentale viene fatta al contrario: la misura sperimentale della reattività da informazioni diagnostiche sulla distribuzione di velocità dei reagenti. Oltre alle già citate formule per la reattività maxwelliana e formule parametriche, esistono poi formule di parametrizzazione non basate sulla soluzione analitica o numerica dell'integrale della reattività, ma basate invece sullo sviluppo in serie del fattore astrofisico S(E), serie che successivamente vengono integrate. Qualora le difficoltà matematiche dello sviluppo fossero insormontabili, si ricorre anche a sviluppi asintotici. Tali soluzioni[25] sono particolarmente utili in campo astrofisico per creare i modelli di evoluzione stellare, ma non sono particolarmente utili ai nostri scopi, e quindi non verranno considerate. 3.2 - Modello di reattività di Thompson Il caso più semplice che analizzeremo è quello analizzato da Thompson[22] nel 1957, considerando la sezione d'urto di Gamow (equazione (2.1)), e data da: BG A − σ = ⋅e E E Per determinare la reattività della coppia di particelle in questa approssimazione bisogna quindi risolvere l'integrale: 〈 συ 〉= ∞ BG E − − 8 1 A e E e T dE 3 ∫ πμ T 0 L'integrale ammette soluzione analitica in termini della funzione G di Meijer. 49 1,00E-20 Graficando la soluzione in funzione della <σv> [m3/s] temperatura del plasma si ottiene il risultato presentato a lato. 1,00E-21 Si può chiaramente notare come il 1,00E-22 modello matematico creato non è in buon <σv> Thompson Dati sperimentali 1,00E-23 accordo con i dati sperimentali; tale discrepanza è generata dall'aver utilizzato una parametrizzazione per la sezione 1,00E-24 d'urto che è una forte approssimazione della 1,00E-25 comunque KT [keV] 1,00E-26 1,00E+000 1,00E+001 1,00E+002 realtà 1,00E+003 sperimentale. ritenere Possiamo qualitativamente valido il modello per energie minori di 100 keV: in tale range energetico la discrepanza infatti non è superiore all'ordine di grandezza. Poiché la soluzione analitica in termini della funzione G di Meijer è computazionalmente sconveniente, si può ricercare una soluzione approssimata in termine di funzioni elementari, considerando l'approssimazione: ∞ ∫e −x− a x 0 π 3 a −3 dx=2 e 3 2 3 2 a 4 ottenendo quindi il risultato (dove si sono esplicitati tutti i termini numerici noti per la reazione Deuterio-Trizio): −18 〈συ 〉= 1,06⋅10 e 3 T 2 19,05 3 T (3.2) Tale risultato è compatibile con la soluzione numerica analitica con ottima approssimazione nel range energetico da 0 a 100 keV e, benché la reattività di Thompson non sia un modello soddisfacente, è un risultato di immediato utilizzo ed è particolarmente pratico per calcolare ordini di grandezza qualitativi. 50 3.3 - Modelli di reattività basati sulla sezione d'urto di Duane Applicando il modello parametrico della sezione d'urto di Duane, espresso nell'equazione (2.2), nella formula per la reattività (3.1), si perviene all'integrale: 〈συ 〉= ∞ E − A2 8 1 1 T ⋅ [ A ]⋅ e dE ∫ 5 A πμ T 3 0 1 A3 E− A4 2 e E −1 1 L'integrale non ammette soluzione analitica, ma la sua soluzione numerica è nota e tabulata in un articolo di Miley[26] del 1974. Sulla base di tale soluzione numerica si sono costruiti numerosi modelli parametrici per la reattività tra i quali ricordiamo i due più utilizzati: modello di Hively[27]: A1 〈 συ 〉=e T r A 2 A3 T A4 T 2 A 5 T 3 A6 T 4 (3.3) modello di Brunelli[28]: 〈συ〉=A1 e ∣ A2 ln T A A3 ∣ 4 (3.4) dove, in entrambe le formule, i coefficienti sono determinati con la tecnica dei minimi 1,00E-20 <σv> [m3/s] <σv> Hively <σv> Brunelli Dati sperimentali quadrati sui dati sperimentali. 1,00E-21 Il confronto tra i dati sperimentali i questi due modelli è mostrato nel 1,00E-22 grafico a lato: si può chiaramente notare come i due 1,00E-23 modelli siano soddisfacenti per energie minori dei 100 1,00E-24 keV, ma come siano decisamente incompatibili con i dati sperimentali per energie maggiori. 1,00E-25 KT [keV] 1,00E-26 1,00E+000 1,00E+001 1,00E+002 1,00E+003 51 In particolare la formula di Hively del 1977 garantisce un errore massimo nel range di energie da 1 a 80 keV dell'1,6%; la formula di Brunelli garantisce invece un errore massimo del 2% nel range da 10 a 100 keV, e del 10% nel range da 2 a 150 keV. Dal momento in cui sono questi i range energetici a cui siamo sperimentalmente interessati, possiamo ritenere queste formule di parametrizzazione comunque valide. 3.4 - Modello di reattività di Bosch e Hale[15] Poiché i modelli precedenti non garantiscono un totale accordo con i dati sperimentali su tutto il range energetico considerato (da 1 a 300 keV), nel 1992 Bosch e Hale, contestualmente alla pubblicazione della loro parametrizzazione della sezione d'urto di fusione basata su un'analisi dei dati sperimentali mediante la R-Matrix Theory, proposero una soluzione al problema che utilizzava proprio tale sezione d'urto. Il tentativo di utilizzare tale modello per la sezione d'urto è legittimato dal fatto che è una delle formule che meglio approssima i dati sperimentali ancora oggi. Continuando ad assumere la distribuzione di velocità delle particelle reagenti maxwelliana, si tratta di risolvere l'integrale: ∞ E − 8 1 K 〈συ 〉= ⋅ S E e ∫ 3 πμ K B T 0 dove S E = B T − BG E dE A1E A2 E A3E A4 EA5 1E B1 E B 2E B 3EB4 con i coefficienti Ai derivanti dalla studio del problema mediante la R-Matrix Theory. Tale integrale non ammette soluzione analitica, e dunque non è possibile ricavare una soluzione esatta. L'integrale è però valutabile numericamente, e sulla base dei dati numerici derivanti da tale tipo di analisi Bosch e Hale (riutilizzando una forma di parametrizzazione già proposta da Peres[14] nel 1979) hanno proposto il seguente modello: 52 〈 συ 〉=C 1 θ dove θ= ξ e−3ξ 2 3 mr c T (3.5) T B2 T C 2T C 4TC 6 , ξ = 3 G , e BG la costante di Gamow. 1− 4θ 1T C 3T C 5 TC 7 1,00E-020 <σv> [m3/s] 1,00E-021 1,00E-022 <σv> R-Matrix theory Dati sperimentali 1,00E-023 1,00E-024 1,00E-025 1,00E-026 1,00E+000 KT [keV] 1,00E+001 1,00E+002 1,00E+003 Tale modello, come è lecito aspettarsi, è in perfetto accordo con i dati sperimentali, e presenta discrepanze inferiori al 5% per energie minori di 500 keV, garantendo quindi un accordo ottimale con la realtà sperimentale. Per contro non fornisce, come invece quello di Thompson, una comoda espressione numerica per la reattività; conseguentemente è un modello estremamente affidabile ma poco pratico. Nei grafici che seguono è riportato il confronto delle parametrizzazioni qui proposte con i dati sperimentali: in ascissa sono riportate le temperature espresse in keV fino a 100 keV (energie superiori non sono di nostro interesse sperimentale), mentre in ordinata è riportato il rapporto <συ>fit/<συ>exp. 53 Possiamo innanzi tutto notare la validità del modello di Bosch e Hale: non mostra sensibili deviazioni dai dati sperimentali fino a 10 keV, mentre, per energie comprese tra 10 keV e 100 keV, devia per meno del 4%. Il modello di Thompson invece è chiaramente inadatto a descrivere con precisione l'andamento sperimentale dei dati (errori oltre il 70%), risentendo della scarsa affidabilità della forma di parametrizzazione della sezione d'urto utilizzata. I modelli di Hively e Brunelli invece risentono dell'inadeguatezza della parametrizzazione della sezione d'urto di Duane per le basse energie: si ha infatti che per energie di circa un keV mostrano deviazioni di rispettivamente 20% e 35%, mentre entrambi convergono su errori inferiori al 4% a partire dai 10 keV. Escludendo quindi dall'analisi il modello di Thompson e restringendoci al range di energie da 1 a 100 keV si ottiene il risultato presentato nel grafico seguente. 54 Il modello di Bosch continua a essere evidentemente il più affidabile, eccetto che per energie prossime ai 100 keV dove il modello di Brunelli dà risultati migliori. Inoltre, rispetto al modello di Hively, il modello di Brunelli risulta più affidabile a partire da energie di circa 3 keV. Ricercando una forma di parametrizzazione per la sezione d'urto che sia il più possibile compatibile con i dati sperimentali, ma che sia anche computazionalmente agevole, utilizzeremo la forma di parametrizzazione di Brunelli (3.4), che, esplicitando i parametri liberi per la reazione Deuterio-Trizio, diventa: −22 〈συ〉=9⋅10 ⋅e ∣ −0,476⋅ln T 2,25 69 ∣ m3 s (3.6) 3.5 - Produzione energetica lorda in un plasma termonucleare Ricordando che la produzione energetica in un plasma termonucleare si può scrivere come P fus =R⋅ε , dove R è il tasso di reazione e ε la produzione energetica per una singola reazione di fusione, e poiché il tasso di reazione è esprimibile da: R=n1 n 2 〈 συ 〉 , si ha che la potenza specifica lorda prodotta dal plasma (senza considerare le possibili perdite energetiche) è data da: P fus =n1 n 2 〈 συ 〉⋅ε Utilizzando quindi la parametrizzazione di Brunelli per la reattività di un plasma Deuterio-Trizio (3.6), si ha che la potenza specifica lorda prodotta da un plasma termonucleare di Deuterio-Trizio in cui avvengono reazioni di fusione è −22 ∣ −0,476⋅ ln P fus =n1 n 2 〈 συ 〉⋅ε =n1 n 2⋅ε⋅9⋅10 ⋅e T 69 2,25 ∣ (3.7) Ponendo di poter disporre solo dell'energia della particella α (il neutrone, non confinabile magneticamente, non contribuirà al riscaldamento del plasma), si ha che: ε = 3,52 MeV ≃ 5,63 ּ10-13 J. 55 Consideriamo poi i parametri di riferimento di ITER per densità e temperatura di plasma: ni ≃ 1020 m-3, T ≃ 20 keV si ottiene che: 20 −13 P fus ≃5,6⋅10 2,25 −0,476∣ln ∣ 1 m MW −22 69 J ⋅10 ⋅9⋅10 e ≃1,11 3 6 s m m 40 3 Ovvero un plasma termonucleare alla densità di 1020 particelle per m3 e alla temperatura media di 20 keV (circa 200 ּ 106 K) genera una potenza specifica di 1,11 MW/m3. Poiché il volume di plasma di ITER, sarà pari a: V ≃ 837 m3 abbiamo che: P fus tot ≃1,11 MW ⋅837 m3 ≃934 MW 3 m Tale valore è chiaramente una forte approssimazione, poiché non tiene conto di molti fattori: ad esempio le distribuzioni radiali della densità di plasma, il contributo dei neutroni, e soprattutto le perdite energetiche che si verificano in un plasma. Inoltre si tenga presente che si è utilizzata per la reattività una formula di parametrizzazione non perfetta, e basata su una distribuzione di velocità del plasma di tipo maxwelliano. Ciò nonostante l'ordine di grandezza atteso per ITER è comunque questo: ci si aspetta di ottenere una potenza in uscita dal plasma di circa 500 – 700 MW. 56 4 - PERDITE ENERGETICHE DI UN PLASMA Per studiare nel modo più preciso possibile i bilanci energetici di un plasma termonucleare, oltre allo studio dell'output energetico lordo, è anche necessario valutare tutte le possibile cause di perdita energetica, e quindi determinarne l'impatto sulla potenza totale prodotta da tali perdite. In particolare si dimostrerà che l'energia persa da un plasma sarà una frazione importante dell'energia prodotta dalle reazioni di fusione termonucleare. 4.1 - Processi radiativi e processi collisionali I meccanismi di perdita energetica di un plasma sono molteplici, ma, nel modo più generale possibile, sono riconducibili a due classi di fenomeni: • fenomeni di tipo collisionale • fenomeni di tipo radiativo Lo studio dei processi di tipo collisionale consiste nel modellare le perdite energetiche di una particella che nell'attraversare un mezzo subisce collisioni di tipo coulombiano non radiative con gli atomi del mezzo, con il risultato di eccitarli ed eventualmente ionizzarli. Tale studio si completa nella nota equazione relativistica di Bethe - Block Fermi[29], dove la perdita energetica per unità di lunghezza di una particella di massa M, carica ze, velocità υ attraversante un mezzo con densità elettronica ne è data da: − 2 4 2γ 2 me υ 2 dE 4πz e n e υ 2 = [ln − f] dx I c me υ 2 dove I è il potenziale di ionizzazione degli atomi del mezzo attraversato. Per mezzi altamente ionizzati, come un plasma termonucleare, la perdita collisionale genera delle onde di plasma elettroniche, e il termine I va sostituito con l'energia associata a tale onda: hωe, con ωe ≃ υe/λD frequenza di pulsazione elettronica del plasma (cfr. appendice A.4). 57 In realtà lo studio di tale tipo di radiazione non interessa il nostro scopo, che è quello di determinare la potenza persa e non riassorbita dal plasma. Infatti, l'energia persa da una particella nel muoversi nel plasma, che ubbidisce all'equazione di Bethe - Block Fermi, viene riassorbita dell'atomo su cui la particella ha urtato, e conseguentemente il bilancio energetico totale per il plasma nel suo complesso rimane invariato. Sono i fenomeni collisionali a essere responsabili della cessione di energia dai prodotti della fusione (energie ~ MeV) al plasma (energia ~ keV), provocandone quindi il riscaldamento. Sono determinanti, al fine dei bilanci energetici per il plasma, solo i processi radiativi. In ogni caso, infatti, l'emissione di radiazione da un plasma, se non riassorbita, comporta una perdita netta di energia. Nell'immagine seguente sono rappresentati i diversi tipi di processi radiativi esistenti con, nella parte sinistra i processi che comportano l'assorbimento di un fotone, al centro i processi che comportano l'assorbimento e la successiva emissione di un fotone, e a destra i processi che comportano la sola emissione di un fotone; nella figura inoltre sono schematizzati gli stati legati, come un successione discreta di linee, e gli stati liberi, rappresentati come un 'continuo di linee' (zona evidenziata in grigio). Evidentemente noi siamo interessati solo ai processi nella parte destra della figura (processi d, e, f), poiché sono gli unici che comportano una perdita energetica. Questi sono classificabili a seconda dello stato di arrivo e lo stato di partenza: così la radiazione di bremsstrahlung (processo f), essendo un processo che ha come stato iniziale e finale stati liberi sarà una transizione free-free; allo stesso modo il processo e sarà una transizione free-bound, e il processo d sarà una transizione bound-bound. Poiché il nostro interesse particolare risiede nel valutare tali processi nel caso di plasmi 58 termonucleari, in conseguenza alle alte temperature, e quindi la maggior densità di popolazione negli stati liberi rispetto agli stati legati, possiamo già ipotizzare che saranno le transizione di tipo free-free a dare il contributo maggioritario alla potenza totale irradiata dal plasma. 4.2 - Radiazione emessa da carica in moto accelerato I fenomeni di emissione di radiazione da un plasma devono la loro origine agli urti delle particelle cariche in moto caotico (dovuto all'agitazione termica) sui campi coulombiani dei nuclei atomici presenti nel plasma stesso. Infatti tali urti generano deflessioni nella traiettoria delle particelle incidenti, quindi accelerazioni, e conseguentemente emissione di onde elettromagnetiche. Si consideri inoltre che per scopi termonucleari, il plasma è confinato per mezzo di campi magnetici, e in tali campi le particelle cariche assumono moti elicoidali intorno alle linee di campo, moti che risultano quindi di tipo accelerato, con conseguente ulteriore emissione di radiazione elettromagnetica. Il primo tipo di emissione (dovuta agli urti coulombiani) genera quella che viene detta radiazione di franamento o bremsstrahlung, mentre la radiazione dovuta ai moti elicoidali delle particelle cariche nei campi magnetici è detta radiazione di ciclotrone, ed entrambe sono radiazioni di tipo free-free. In entrambe i casi si tratta comunque di radiazione dovuta al moto accelerato di una carica, e dunque preliminarmente allo studio di particolari tipi di radiazione è necessario un cenno generale ai meccanismi di irraggiamento da parte di una carica in moto accelerato. Come è noto, una qualunque particella di carica q, in moto con velocità υ e accelerazione ̇υ emette per unità di angolo solido la potenza: dP q2 2 2 = υ̇ sin θ dΩ 4πc3 con θ angolo tra ̇υ e il versore n rispetto al quale si osserva la carica. 59 Integrando quindi sull'angolo solido si ottiene la formula di Larmor: P= 2 q2 2 υ̇ 3 c3 (4.1) L'energia emessa dalla particella in moto accelerato per unità di angolo solido e di frequenza, invece, è espressa da (sempre in relazione allo schema soprastante): 2 2 2 ∞ iω t − d W q ω = 2 3∣∫ e dΩdω 4π c −∞ che quindi dipende da n⋅ r0 n× n × υ c 2 dt∣ (4.2) r0 , cioè dalla posizione della carica rispetto al sistema di riferimento scelto. Integrando poi su tutto l'angolo solido questa dipendenza si semplifica, come è fisicamente lecito aspettarsi. La formula di Larmor è una formula non quantistica, e quindi in generale è da ritenersi solo un'approssimazione del caso generale quantistico, che deve essere ricavato a partire da una trattazione più rigorosa basata sui potenziali ritardati. Tuttavia i plasmi di nostro interesse, cioè plasmi destinati alla produzione di energia per via termonucleare, sono plasmi non quantistici (cfr. appendice A.5). In particolare nel grafico a lato, in blu, è riportata la linea dei plasmi quantistici: tutti i plasmi che hanno temperature e densità tali per cui si collocano al di sotto di tale linea sono plasmi in cui gli effetti quantistici sono trascurabili. I plasmi quantistici sono quelli caratterizzati da densità particolarmente elevate, tipiche dei solidi o delle stelle a neutroni. Nella figura sono anche riportate le zone di interesse di alcuni plasmi caratteristici. Nella figura è inoltre riportata la linea (in rosso) dei plasmi ideali: i plasmi sotto tale linea sono completamente ionizzati e sono detti plasmi ideali, mentre quelli sopra sono plasmi non completamente ionizzati. 60 Volendoci occupare nel nostro casi di plasmi destinati alla produzione energetica per via termonucleare, e in particolare per via contenimento magnetico, potremo quindi tralasciare la trattazione quantistica del problema dell'irraggiamento della radiazione elettromagnetica, utilizzando la formula di Larmor (4.1) senza commettere un significativo errore. Effetti invece che a priori possono risultare non trascurabili sono quelli di tipo relativistico, che però diventano importanti solo per energie delle particelle confrontabili con le energie associate alle loro masse a riposo: anche solo nel caso di un elettrone, essendo la sua temperatura media nel nostro plasma di riferimento (temperatura di riferimento per ITER) di circa 20 keV, ed essendo la sua massa a riposo circa pari a 511 keV/c2, è evidente come gli effetti relativistici si possano trascurare. 4.3 - Radiazione di franamento o bremsstrahlung termico Si tratta di radiazione free-free emessa in seguito alle accelerazioni delle particelle componenti il plasma dovute agli urti coulombiani: le particelle cariche in moto caotico dovuto all'agitazione termica, infatti, urtano i campi coulombiani delle altre particelle cariche all'interno del plasma, con conseguente scattering, quindi accelerazione, e quindi emissione di onde elettromagnetiche in accordo con la formula di Larmor. Essendo l'accelerazione della carica inversamente proporzionale alla sua massa, è ragionevole supporre che gli elettroni saranno responsabili della maggior parte dell'emissione. Lavoreremo quindi considerando solo gli urti coulombiani che gli elettroni subiscono muovendosi all'interno di un plasma caratterizzato da ioni e nuclei atomici fissi, appunto perché più massivi. 61 In ogni urto elementare di un elettrone con un bersaglio di carica Ze (ione o nucleo atomico) che avviene, l'impulso trasferito all'elettrone è dato da: ∫ Δp= F dt e risulta orientato lungo la bisettrice dell'angolo (π – θ). Occupandoci solo dei moduli delle grandezze vettoriali, e ponendoci nel sistema di riferimento dell'elettrone incidente, otteniamo quindi che: Δp=∫ Fdt=∫ ZeEdt ≃ Ze Edx , dove E è il campo elettrostatico generato υ ∫ dall'elettrone incidente, e avendo supposto la velocità dell'elettrone costante. Se poi ipotizziamo un cilindro coassiale con la direzione dell'elettrone prima dall'impatto, e di raggio b, abbiamo che: Φ E =2πb ∫ Edx=4πe , avendo utilizzato il teorema di Gauss nel sistema di riferimento di Gauss. Sostituendo nell'equazione dell'impulso trasferito otteniamo quindi che: Ze Ze 4πe Ze 2 2b Δp≃ ∫ Edx= = , e quindi l'impulso trasferito è circa uguale al υ υ 2πb b2 υ prodotto tra la forza elettrostatica di interazione massima (perché è valutata alla distanza minima) tra proiettile e bersaglio,e un termine detto tempo di interazione (in accordo ∫ F dt ). dimensionale con la definizione generale di impulso trasferito Δp= Ne segue che l'accelerazione massima subita dall'elettrone proiettile è data da: Ze 2 a max = ,e tale valore di accelerazione massima è mantenuto solo per un tempo di me b 2 † interazione t = 2b , che rappresenta a tutti gli effetti un tempo di interazione υ effettivo, nel senso che si assume che al di fuori di questa finestra temporale l'interazione tra elettrone e bersaglio sia nulla. In accordo con la formula di Larmor (4.1), quindi, l'energia Δε irradiata dall'elettrone in 62 un singolo urto coulombiano è data da: ∞ ∞ t † 2 e2 2 e2 4 Z 2 e6 Δε= ∫ P t dt= 3 ∫ a t 2 dt ≃ 3 ∫ a2max dt = 3 2 3 3 c −∞ 3c 0 3 c me b υ −∞ (4.3) Poiché il numero di urti per unità di tempo con parametro d'impatto compreso tra b e b+db, detta ni la densità dei bersagli ionici nel plasma, è 2πni υbdb, l'energia irradiata dall'elettrone per unità di tempo per urti contro tutti gli ioni che l'elettrone incontra è data da: bmax 2 6 dε 8π Z e ni = ∫ Δε2πni υbdb= dt b 3 c3 m2e min bmax ∫ bmin 2 6 db 8π Z e ni 1 1 = − 2 3 2 3 b b b c me min max il termine bmax può essere fissato ricordando che all'interno di un plasma il raggio d'azione della forza elettrostatica è circa uguale a λD (cfr. appendice A.2), e quindi oltre questa distanza non c'è urto coulombiano: dunque bmax = λD. Il termine bmin invece può essere fissato ricordando che abbiamo imposto fin dall'inizio di lavorare in un plasma non quantistico, e quindi per eliminare gli effetti quantistici bmin non può essere inferiore alla lunghezza d'onda di De Broglie: bmin(q) = h/meυ. D'altra parte, facendo un ragionamento puramente meccanico, la distanza di minimo approccio dell'elettrone sul nucleo sarà data dalla condizione in cui l'energia cinetica del proiettile eguaglia l'energia potenziale repulsiva elettrostatica, cioè: 1 Ze 2 me υ 2= c 2 b min e conseguentemente bmin(c) = 2Ze2/meυ2. Per soddisfare entrambe le condizioni sceglieremo il bmin maggiore, studiando il rapporto tra i due: q b min hυ υ = =π , dove α è la costante di struttura fine pari a circa 1/137. Tale c 2 cαZ b min 2Ze rapporto risulta maggiore di 1 quindi 2 solo se υ Zc , 137 π cioè se 1 1 Z me υ 2me c 2 2 ≃1,4 Z 2 eV , cioè bmin(q) è maggiore di bmin(c) se la particella 2 2 2π 137 63 incidente ha energie maggiore di 1,4 Z2 eV, ma se supponiamo di essere in un plasma termonucleare a 20 keV, questa condizione è praticamente sempre soddisfatta, e quindi bmin = bmin(q). Dunque: 2 6 2 6 2 6 dε 8π Z e n i me υ 1 8π Z e n i m e υ 8π Z e n i υ = − ≃ = dt 3 c3 m2e h λD 3 c 3 m2e h 3 c3 me h Infine, per ottenere il contributo di tutti gli elettroni del plasma, dobbiamo sommare quest'ultima relazione su tutti gli elettroni, cioè dobbiamo integrarla sulla funzione di distribuzione di velocità f(υ) degli elettroni: P loss= 2 6 8π Z e ni ∫ υ f υ d υ 3 c 3 me h Essendo la distribuzione di velocità una maxwelliana, e supponendo il problema essere a simmetria sferica: 2 me υ me 32 ∞ 3 − 2T 2Te 12 ∫ υ f υ d υ=4πn e 2πT ∫ υ e dυ=2n e πm e e 0 e e quindi in definitiva B P loss = 2 6 16π Z e ni n e 2Te 3 c 3 me h πm e è la potenza irradiata per bremsstrahlung per unità di volume. Esplicitando tutti i termini numerici si ottiene: B P loss =5,4⋅10−37 Z 2 ni n e T e W m3 (4.4) con la temperatura espressa in keV e le densità ioniche ed elettroniche espresse in m-3. Da tale espressione si può evincere che, noto il numero atomico della specie costituente il plasma, e la sua densità, con una misurazione della potenza emessa, si può risalire alla temperatura del plasma, o analogamente alla sua densità se è nota la temperatura. Tale possibilità è ampiamente utilizzata all'interno delle macchine sperimentali per la fusione magnetica per scopi diagnostici sul plasma. 64 Considerazioni di tipo relativistico sui calcoli portano ad ottenere la correzione: B −37 P loss=5,4⋅10 2 −10 Z ni n e T e 14,4⋅10 T e quindi, si ha all'aggiunta di un termine assolutamente trascurabile sul termine dominante classico, per lo meno alle temperature di nostro interesse. Nel caso in cui il plasma è composto da una sola specie ionica, in virtù del principio di quasi neutralità del plasma (cfr. appendice A.3), Zni = ne, e quindi la formula generale si riduce a: B P loss =5,4⋅10−37 Zn 2 T e Considerando i paramatri di riferimento di ITER, ovvero un plasma di Deuterio e Trizio (Z = 1), con densità ni = ne ≃ 1020 m-3, e temperatura Te ≃ 20 keV, e utilizzando l'equazione (4.4), si ha che la potenza specifica emesse è: B P loss =5,4⋅10−37⋅1040 20≃24,15 kW 3 m Poiché il volume di plasma di ITER sarà pari a V ≃ 837 m3, abbiamo che B P loss≃24,15 kW 3 ⋅837 m ≃20,21 MW 3 m Contro una produzione energetica precedentemente ricavata, nelle stesse condizioni pari a 934 MW: è evidente che a questa temperatura il guadagno energetico tra potenza prodotta e potenza persa è assolutamente favorevole. Nel grafico seguente è riportato l'andamento della potenza specifica prodotta dalla fusione termonucleare (in rosso) data dall'equazione (3.7) (considerando i parametri di riferimento di ITER), confrontato con la perdita energetica per bremsstrahlung (in verde). Si può notare come la zona di bilancio energetico positiva sia compresa tra circa 3 e 800 keV; poiché la temperatura superiore non è oggi tecnologicamente raggiungibile, si dovrà solo tenere presente il limite inferiore. Nel grafico inoltre è evidenziata la temperatura di 20 keV che abbiamo preso come riferimento. 65 ➢ EFFETTO DELLE IMPURITÀ Data la formula generale (4.4) per la perdita energetica dovuta a Bremsstrahlung, si può osservare chiaramente come tale perdita cresce quadraticamente con il numero atomico Z. Ciò riveste una certa importanza sperimentale. Infatti se consideriamo un plasma composto da più di una specie ionica abbiamo che, a meno della costante moltiplicativa: B 2 P loss~∑ Z k nk n e T e K Cioè la potenza persa per bremsstrahlung è data dalla sommatoria sulle specie presenti delle singole potenze perse per ciascuna specie costituente il plasma. In tal caso anche piccole concentrazioni di elementi pesanti in un plasma prevalentemente composto da un elemento leggero diventano determinanti. Così se consideriamo un plasma di Idrogeno contaminato con specie con Z > 1, si ha che: B P loss ~∑ Z 2k nk n e T e =n H ne T e ∑ Z 2k ' n k ' ne T e K K' avendo isolato il termine dovuto alla specie dominante di Idrogeno. In virtù del principio di quasi neutralità dei plasmi porremo nH=ne, e non perdendo di generalità porremo nk' = k'ne; si ha quindi: 66 B 2 2 2 2 2 P loss~ne T e ∑ Z k ' k ' ne T e = ne T e 1∑ Z k ' k ' K' K' dove il primo termine è dovuto al contributo dell'Idrogeno, mentre il secondo termine è dovuto alle specie ioniche contaminanti. Se a titolo di esempio consideriamo quindi una macchina a confinamento magnetico funzionante con una miscela di Deuterio e Trizio, anche modeste concentrazioni di specie atomiche con Z >> 1 all'interno del plasma danno un contributo sostanziale alla perdita energetica, raffreddando il plasma, e spegnendo quindi il reattore. La presenza di tali specie (ad esempio Ferro, Nichel, Tungsteno, Ossigeno e Carbonio sono le più comuni) non è assolutamente anormale in una macchina a confinamento magnetico: accade infatti che le elevatissime temperature raggiunte all'interno della camera a vuoto, e la possibilità che alcune particelle possano sfuggire al contenimento magnetico, determinino un sensibile deterioramento delle pareti interne del reattore, con il rilascio all'interno del plasma di specie ioniche pesanti (fenomeni che vengono detti di interazione plasma parete). Si consideri inoltre che la reazione Deuterio-Trizio produce come scoria l'Elio, che viene quindi a trovarsi nel plasma, e costituisce a tutti gli effetti una particella contaminante con Z > 1. Il modello per descrivere la potenza emessa da un plasma termonucleare di Idrogeno contaminato può essere riscritto in un modo più agevole delle equazioni precedenti come segue: B −37 P loss=5,4⋅10 con ∑ nk Z k Z eff = k ne n H ∑ n m Z m = m ne 2 Z eff ne T e (4.5) dove le sommatoria su k è su tutte le specie presenti nel plasma (diverse da elettroni), mentre la sommatoria su m è sulle sole specie contaminanti con Z > 1, (nm è la densità della m-esima specie, e Zm il suo numero atomico). Zeff in un plasma puro, cioè privo di agenti contaminanti, è unitario, il ché riconduce alla forma normale per plasmi puri (4.4). 67 Il contenuto di impurezze all'interno del plasma può giocare un fattore importante nella determinazione dei bilanci energetici. Il grafico a lato rappresenta la concentrazione di impurità necessaria per produrre una radiazione di bremsstrahlung pari al 10% della potenza termonucleare lorda prodotta. Possiamo chiaramente osservare che per l'Elio sarebbe richiesta una concentrazione intorno al 50%, ma all'aumentare del numero atomico (compatibilmente col fatto che la dipendenza con Z è quadratica) le concentrazioni necessarie diventano molto più scarse: circa 0,2% per il Ferro. É per questo motivo che è necessario pompare attivamente fuori dalla camera di combustione, oltre che l'Elio prodotto, anche e soprattutto le impurità derivanti dell'interazione plasma parete: l'elemento di ITER che svolgerà tale compito è il divertore, che generando nella zona inferiore della camera di combustione una opportuna conformazione delle linee di campo, permetterà il deflusso dal plasma degli elementi più pesanti. Il divertore è stato introdotto nei Tokamak a partire da JET e si è rivelato un efficace strumento per mantenere il plasma a livelli di concentrazione di impurità minime. Tale elemento, poiché dovrà resistere a temperature molto alte, è realizzato in una lega a base di Tungsteno (temperatura di fusione > 4000°C), che ha però numero atomico Z = 74, e quindi è chiaro come une una sua inevitabile degradazione comporti notevoli perdite energetiche, e conseguentemente è inevitabile che tale elemento andrà sostituito frequentemente. Stime numeriche sulle base del modello matematico computerizzato MIST[30], derivante dall'esperienza del progetto JET, indicano che per ITER si avrà circa Z eff ≃2,26 , il che porta a ricalcolare sulla base dell'equazione (4.5) il contributo della potenza irradiata per bremsstrahlung in: B P loss ≃54,58 kW ⋅837 m3 ≃45,68 MW 3 m 68 Il grafico lato paragona l'andamento della potenza prodotta rosso) con (in potenza a dissipata la per bremsstrahlung da plasma puro (in verde) e plasma contaminato con Z eff ≃2,26 (in giallo): si può notare come il contributo delle impurità sia tutt'altro che trascurabile. ➢ SPETTRO DELLA RADIAZIONE E AUTOASSORBIMENTO Vogliamo ora determinare lo spettro della radiazione emessa per bremsstrahlung, in modo da determinare l'entità dell'autoassorbimento per questo tipo di radiazione da un plasma termonucleare. Se la durata caratteristica di un urto è rappresentata dal tempo di interazione effettivo t †= 2b allora, facendo un'analisi di Fourier nel tempo, abbiamo che l'urto darà υ 1 υ contributo alla zona di spettro data da ≃ † = . 2b t Il contributo allo spettro delle frequenze, in particolare, sarà su tutte le frequenza tali per cui: υ ≡ max . Ricordando la definizione che abbiamo dato di bmin, possiamo 2bmin quindi scrivere: 1 m υ2 2 e (4.6) ≡ max h Si noti che questa relazione è compatibile con il fatto che l'elettrone può irradiare al 1 2 massimo la sua energia cinetica: h me υ ≡h max . 2 69 1 υ υ υ ⇒∣db∣= 2 ∣d ∣ Dalla condizione ≃ † = segue che: b= 2b 2 t 2 e quindi la radiazione con frequenza compresa tra ν e ν+dν è emessa in seguito a urti con parametro di impatto compreso tra b e b+db. Conseguentemente, essendo N il numero di urti per unità di tempo con parametro d'impatto compreso tra b e b+db (N = 2πniυb|db|), vale l'equazione: 3 πn υ υ v N =2πn i υ ∣d ∣= i 3 d 2 2 2 2 Poiché la potenza irradiata da un elettrone sarà definita dall'energia rilasciata in un singolo urto per il numero di urti al secondo, secondo: dε =N⋅Δε dt ed essendo l'energia per singolo urto data da (equazione (4.3)) Δε= 4 Z 2 e6 , e 3 c 3 m2e b 3 υ ricordando la definizione di b, si ottiene che: 2 6 dε 16π Z e n i = d dt 3 c 3 m2e υ Per ottenere la potenza complessiva irradiata non resta che sommare la precedente relazione su tutti gli elettroni, e quindi dobbiamo integrare sulla funzione di distribuzione degli elettroni fe(υ), ottenendo quindi che: P B loss 2 6 16π Z e n i d = d 3 c 3 me2 ∞ ∫ 2h me f e υ dυ υ Gli estremi di integrazione sono dovuti al fatto che abbiamo appurato come un elettrone può contribuire allo spettro di frequenze solo per le frequenze date dalla (4.6). Considerando, come al solito, la funzione di distribuzione degli elettroni una maxwelliana, si ha che: 70 ∞ ∫ 2h me fe dυ= υ ∞ ∫ 2h me 2 meυ h − ne me 32 me − T 4πυ 2 e 2T =2n e e υ 2πTe 2πT e e e e quindi, in definitiva: B P loss d = 2 6 32π Z e ni ne 3 2 3 c me h me − T e d 2πT e e Osservando lo spettro della potenza emessa possiamo qualitativamente concludere che il contributo delle frequenze tali per cui hν >> Te è ininfluente; in particolare è definibile la frequenza di taglio νcut (secondo hνcut = Te) come limite superiore delle frequenze che danno un effettivo contributo. Il risultato è il tipico spettro della radiazione di bremsstrahlung, mostrato nella figura a lato. Si noti infine che l'integrazione su tutto lo spettro delle frequenze della precedente relazione riproduce l'equazione (4.4) precedentemente ricavata per la perdita energetica per bremsstrahlung. Un calcolo più rigoroso di tipo quantistico introduce nella trattazione un ulteriore fattore detto fattore di Gaunt che, a prova del fatto che stiamo considerando plasmi non quantistici, è un fattore lentamente variabile e circa uguale a uno per i plasmi di interesse termonucleare. Trasformando la relazione della perdita di potenza dallo spettro delle frequenze allo spettro delle lunghezze d'onda otteniamo − hc 2 6 λT 32π Z e n i ne me e B P loss λ dλ= dλ 3 2πT e λ 2 c 3 m2e e Sostituendo tutti i valori numerici si ottiene quindi la relazione: − 12,4 2 λT B −23 Z n i ne e P loss λ dλ=6,0⋅10 dλ T e λ 2 e 71 W m3 nm La convenienza di passare allo spettro delle lunghezze d'onda si evidenzia nel fatto che tale spettro presenta una forma a campana, e quindi è immediatamente ricavabile la lunghezza d'onda che comporta un picco nella potenza emessa: ∂ P λ 0,62 =0 ⇒ λmax = ∂λ Te nm con Te espressa in keV. Dunque all'aumentare della temperatura il picco di potenza si ha per lunghezza d'onda minori, o, che è lo stesso, frequenze maggiori. Per un plasma a 20 keV si ha che λmax ≃ 0,031 nm, ovvero la radiazione è nella zona dei raggi X. A tale lunghezza d'onda corrisponde una radiazione con fotoni di energia pari a Emax = hνmax ≃ 40 keV. L'opacità di un mezzo ad una certa radiazione è determinata dallo spessore ottico τ del mezzo stesso: per τ << 1 il mezzo si dice trasparente e la radiazione non viene assorbita, mentre per τ >> 1 il mezzo si dice opaco, e la radiazione viene assorbita dal mezzo con un andamento del tipo ~ (1-e-τ). L'andamento dello spessore ottico in funzione della variabile ausiliaria x=hν/kT è mostrato nella figura a lato (cfr. appendice A.7). Il punto di turnover da materiale trasparente ad opaco, nel caso dei plasmi di interesse termonucleare, è un valore compreso tra 0 e 1, nell'ordine di 10-2. Nel caso di radiazione di bremsstrahlung da plasma alla temperatura nell'ordine dei 10 keV, abbiamo che x≃ 2 , e quindi τ << 1, cioè il plasma è trasparente alla radiazione di bremsstrahlung termico. Questo comporta che la potenza irradiata per bremsstrahlung attraversa il plasma senza essere riassorbita, e quindi, ai fini del bilancio energetico, è effettivamente potenza persa. 72 4.4 - Radiazione di ciclotrone o bremsstrahlung magnetico Il secondo tipo di radiazione di tipo free-free che consideriamo è la radiazione di ciclotrone, che è la radiazione dovuta al moto di girazione (e quindi accelerato) delle particelle intorno alle linee di campo magnetico confinanti il plasma (cfr. appendice A.6). Poiché l'accelerazione delle cariche all'interno delle linee di campo sarà inversamente proporzionale alla massa della particella, supporremo che siano solo gli elettroni ad emettere, assumendo quindi di lavorare in un plasma in cui i nuclei atomici e gli ioni siano fissi, appunto perché più massivi. Inoltre supporremo ancora di lavorare in approssimazione non relativistica. Ricorrendo alle equazioni del moto di una particella carica in un campo magnetico, abbiamo che l'accelerazione subita dalla carica nel suo moto elicoidale è data da: a= υ 2┴ =Ω e υ ┴ rL dove υ⊥ è la velocità della particella (l'elettrone nel nostro caso) perpendicolare alla direzione delle linee di campo magnetico, rL il raggio di Larmor dell'elettrone, e Ωe la frequenza di ciclotrone dell'elettrone, data da: Ωe = eB/me. L'accelerazione del moto di girazione intorno alle linee di campo ha solo la componente perpendicolare alle linee di campo stesse, e non componente parallela, poiché la forza di Lorentz agisce solo sulla componente perpendicolare della velocità; perciò il moto parallelo non subisce l'effetto di alcuna forza, e quindi è di tipo rettilineo uniforme. Quindi, data l'accelerazione: a= eB υ me ┴ è immediato ricavare, data la formula di Larmor (4.1), che la potenza totale irradiata da un elettrone in moto in un campo magnetico è data da: dε 2 e 2 eB 2 2 = υ dt 3 c3 me ┴ (4.7) Per ottenere la potenza totale irradiata da tutti gli elettroni del plasma sarà sufficiente integrare tale potenza persa sulla distribuzione di velocità degli elettroni: 73 2 2 e eB P loss= 3 c 3 me 2 ∫ υ2┴ f υ d υ Essendo la distribuzione di velocità una maxwelliana (avendo supposto la distribuzione degli elettroni isotropa nello spazio delle velocità), e integrando separando le componenti parallela e perpendicolare delle velocità in coordinate cilindriche, abbiamo che: 2 me υ║ 2 me υ ┴ ∞ − me 32 ∞ − 2T T 3 2T υ f υ d υ =n e dυ 2π υ e dυ ┴=2n e e ∫ ∫ e ║∫ ┴ 2πT e −∞ me 0 2 ┴ e e Dunque in definitiva: 4 e 2 eB 2 T e P C = n loss 3 e c 3 me me è la potenza totale irradiata per radiazione di ciclotrone per unità di volume. Da tale formula si vede che l'andamento della potenza emessa dipende da m-3, e quindi si è giustificato a posteriori l'aver supposto che l'emissione della radiazione avvenga solo dagli elettroni, trascurando completamente l'emissione dagli ioni del plasma. Esplicitando tutti i termini numerici si ottiene: −18 2 P C B ne T e loss=6,2⋅10 W m3 (4.8) con la temperatura degli elettroni espressa in keV, il campo magnetico B in Tesla, e la densità in m-3. Considerazioni di tipo relativistico portano a correggere il risultato precedente nel modo seguente: 2 2 4 e eB T e 5 Te P C = n 1 loss e 3 3 c me me 2 me c 2 Il termine aggiuntivo relativistico dà una correzione che è il rapporto tra l'energia termica degli elettroni (~10 keV) e l'energia della massa a riposo dell'elettrone (511 keV), e quindi è assolutamente ininfluente; tale termine correttivo può diventare rilevante solo per applicazioni astrofisiche. 74 Osserviamo inoltre ancora che non è presente nessun contributo derivante da eventuali agenti contaminanti, e questo è ovvia conseguenza della natura della radiazione di ciclotrone, che è generata dal moto degli elettroni liberi intorno alle linee di campo magnetico, senza che i nuclei atomici entrino in alcun modo a che fare con il processo. Consideriamo ancora quelli che saranno i parametri di riferimento per ITER: un campo magnetico medio di circa 5,3 T lungo l'asse del toro, una densità elettronica media pari a 1020 e-/m3, e un temperatura media (centro della distribuzione di velocità) di circa 20 keV. Questo vuol dire che approssimativamente ITER dissiperà per radiazione di ciclotrone circa: −18 P C 5,32 10 20 20≃348,32 loss=6,2⋅10 kW m3 cioè una potenza circa 14 volte più grande della potenza dissipata per bremsstrahlung da plasma puro (≃ 24,15 kW/m3). L'importanza della radiazione di ciclotrone è confermata nei due seguenti grafici: Il primo mostra il confronto tra la potenza irraggiata per bremsstrahlung (in verde) e la potenza irraggiata per radiazione di ciclotrone (in blu): è evidente come per le temperature in questione (~ 20 keV), anche modesti campi magnetici (relativamente alle intensità dei campi magnetici nelle macchine a confinamento magnetico, ~5-10 T) comportino una radiazione di ciclotrone dominante sulla radiazione per bremsstrahlung, in accordo con il risultato numerico. Il secondo grafico invece mostra il confronto tra la potenza prodotta dal plasma termonucleare (in rosso) con la perdita energetica per radiazione di ciclotrone (in blu): è evidente come tale perdita energetica, a parità di temperatura, al crescere del campo magnetico possa diventare addirittura dominante 75 sulla potenza prodotta. Lo stesso tipo di considerazioni energetiche svolte sulla reazione Deuterio-Deuterio crea condizioni che appaiono ancora più sfavorevoli essendo la reattività di tale reazione inferiore alla reattività della reazione Deuterio-Trizio. L'introduzione del problema della radiazione di ciclotrone, posto per la prima volta nel 1958 in un articolo di Trubnikov e Kudryavtsev[31], nell'ambito dei lavori di ricerca sulla fusione nucleare in Unione Sovietica, palesava quindi la possibilità di non poter ottenere energia per via di fusione nucleare né dalla reazione Deuterio-Trizio, né tanto meno dalla reazione Deuterio-Deuterio. Gli stessi Trubnikov e Kudryavtsev però, studiando la radiazione di ciclotrone, individuarono la presenza di fenomeni di autoassorbimento, la cui esistenza fu sperimentalmente verificata solo nel 1964 nell'esperimento di Lichtenberg[32]. ➢ SPETTRO DELLA RADIAZIONE E AUTOASSORBIMENTO Per determinare l'entità dell'autoassorbimento della radiazione di ciclotrone è necessario determinare la frequenza di emissione di tale radiazione, e quindi è necessario studiare preliminarmente lo spettro della radiazione di ciclotrone. A tale scopo partiremo dalla formula di Larmor espressa nella 2 2 2 ∞ iω t − d W q ω forma (4.2): = 2 3∣∫ e dΩdω 4π c −∞ n⋅ r0 n× n × υ c 2 dt∣ che fornisce l'energia emessa per unità di angolo solido e frequenza da un elettrone con velocità υ osservato dalla direzione n =sen θ x cosθ z . Ottenuta d2W/dΩdω, per ottenere la potenza irradiata basterà osservare che: ∞ T /2 2 2 d2W ∝∣∫ e iξt dt∣ = lim ∣ ∫ e iξt dt∣ dΩdω −∞ T ∞ −T / 2 T /2 e quindi T /2 d2 P 1 ∝ lim ∫ e iξt dt ∫ e −iξt dt=2πδξ dΩdω T ∞ T −T / 2 −T / 2 76 Il problema quindi si risolverà ottenendo il fattore ξ all'interno dell'espressione per l'energia, che sarà argomento della delta di Dirac nell'espressione della potenza. Per determinare l'espressione dell'energia irradiata per unità di angolo solido e r0 e frequenza dobbiamo sostituire nell'integrale le espressioni di υ per il moto elicoidale di un elettrone nel campo magnetico esterno; tali equazioni del moto sono date da (cfr. appendice A.6): r0 = υ┴ υ┴ sin Ω e t x − cos Ω e t y υ║ t z e Ωe Ωe υ= υ ┴ cos Ωe t x υ ┴ sen Ωe t y υ ║ z dove Ω e =∣q∣B /m è la frequenza di ciclotrone del moto. Considerando solo la prima parte del fattore esponenziale dell'energia emessa, tralasciando il fattore n × n ×υ , abbiamo quindi che: iωt− n⋅r0 ω =i[1− β ║ cosθ ωt− β senθ senΩ e t ] c Ωe ┴ dove i termini β║ e β┴ sono dati da, rispettivamente, υ║/c e υ┴/c. Si vede quindi che nella fase si accumulano uno sfasamento Δω = β║ωcosθ, detto spostamento Doppler, dovuto alla componente del moto dell'elettrone lungo le linee di campo, e una modulazione sinusoidale, con frequenza Ωe. La parte fisicamente più interessante di questo spettro è proprio quella derivante da questa modulazione sinusoidale della fase: e i ω β senθ senΩe t Ωe ┴ Per determinare lo spettro delle frequenze che produce questo termine, ne eseguiamo la trasformata di Fourier, che ci permette appunto di passare dal dominio del tempo al dominio delle frequenze, con il seguente risultato: e i ω β senΩe t senθ Ωe ┴ ∞ = ∑ J m ω β ┴ senΩ e t / Ω e e imΩ e t m=−∞ dove Jm sono le funzioni di Bessel di prima specie e di ordine m. 77 Recuperando il fattore di fase completo, comprensivo dell'effetto Doppler abbiamo quindi che lo spettro in frequenza della perdita energetica per radiazione di ciclotrone contiene un fattore del tipo: ∞ ∑ m=−∞ J m ω β ┴ senΩ e t /Ω e ei [1− β ║ cosθ ω−mΩe ] t Abbiamo quindi ottenuto che: ξ =1− β ║ cosθ ω−mΩ e Si vede quindi che lo spettro della potenza irradiata dal singolo elettrone, contenendo una δ(ξ), presenta una serie di righe alle frequenze mΩe, cioè alle frequenze multiple della frequenza di ciclotrone dell'elettrone, caratterizzate da uno spostamento Doppler pari a Δω = β║ωcosθ. Recuperando il fattore n × n ×v che abbiamo tralasciato fin dall'inizio, abbiamo quindi che: P ω , θ= ∞ cosθ− β ║ 2 eω 2 2 2 J m a β ┴ J m ' a δ 1− β ║ cosθ ω−mΩ e ∑ 2πc m=−∞ senθ { } con a=ω β ┴ senΩ e t/ Ωe . Integrando tale espressione sull'angolo solido e sommando su tutte le armoniche si ottiene, correttamente, l'equazione (4.7) ricavata a partire dalla formula di Larmor. Nella figura a lato è rappresentato il diagramma polare dell'emissione per un elettrone che emette radiazione di ciclotrone per β → 0. Lo scopo di questa trattazione è però stabilire la frequenza di emissione della radiazione di ciclotrone per stabilire o meno la presenza del fenomeno di autoassorbimento. Osservando dunque l'espressione di P(ω,θ) possiamo concludere che la presenza della δ impone che lo spettro in frequenza sia costituito da una serie di armoniche a frequenza multiplo della frequenza di ciclotrone, armoniche che sono tutte spostate per effetto 78 dello spostamento Doppler (che si verifica finché è presente una componente parallela al campo magnetico della velocità dell'elettrone). In formule: ω m= mΩ e 1− β ║ cosθ , con m = 1, 2, 3, … sono le righe di frequenza permesse per la radiazione di ciclotrone per un singolo elettrone in moto nel campo magnetico. Osserviamo ancora che, poiché nel nostro caso vogliamo considerare elettroni non relativistici, β║ → 0, e quindi gli effetti dello spostamento Doppler sono trascurabili. Quindi le lunghezze d'onda associate alle righe di frequenza per la radiazione di ciclotrone da elettroni in approssimazione β║ → 0 sono date da: λ m= c 2πc 1 10,74 mm ≃ ≃ per m=1 m Ωe m B con B espresso in tesla; per il range di valori di nostro interesse abbiamo quindi che le lunghezze d'onda sono nell'ordine di 10-3-10-4m, e pertanto si tratta di radiazione infrarossa. Integrando la relazione per P(ω,θ) sulla funzione di distribuzione degli elettroni, ottenendo la potenza irradiata per unità di volume dal plasma termonucleare, si ha che linee di emissione si allargano, come mostrato nella figura a lato per una temperatura di circa 10 keV e per le prime 10 armoniche (nella figura la potenza è rapportata allo spettro del corpo nero per la stessa temperatura). Tale effetto di allargamento delle armoniche è dovuto al fatto che la frequenza di ogni elettrone dell'n-esima armonica si sposta un po' dal suo valore centrale per effetto della distribuzione statistica delle velocità. Si può notare come all'aumentare dell'armonica si recuperi il caso di spettro continuo per effetto della sovrapposizione delle armoniche, fenomeno che diventa più visibile all'aumentare della temperatura (l'aumento della temperatura comporta l'ulteriore allargamento delle curve, poiché si allarga la funzione distribuzione delle velocità). L'intensità totale trasportata dalla 79 radiazione di ciclotrone sarà la somma delle singole intensità portate da ciascuna armonica, e quindi: ∞ I =∑ I n n=1 Se consideriamo l'intensità trasportata dalla prima armonica rispetto all'intensità totale abbiamo che vale quanto segue[33]: I1 I = ∞ 1 ≃1−1,9 β 21,05 β 4 ... I ∑ In n=1 e poiché stiamo considerando il caso in cui β → 0, possiamo affermare che la quasi totalità della radiazione è trasportata nella prima armonica, cioè quella caratterizzata dalla frequenza: ω = Ωe. Come abbiamo già detto, l'opacità di un mezzo ad una certa radiazione è determinata dallo spessore ottico τ del mezzo stesso: per τ << 1 il mezzo si dice trasparente e la radiazione non viene assorbita, mentre per τ >> 1 il mezzo si dice opaco, e assorbita. la radiazione L'andamento viene dello spessore ottico in funzione della variabile ausiliaria x=hν/kT è mostrato nel grafico a lato (cfr. appendice A.7). Il punto di turnover da materiale trasparente ed opaco, nel caso dei plasmi di interesse termonucleare è un valore compreso tra 0 e 1 nell'ordine di 10-2. Nel caso di radiazione di ciclotrone abbiamo quindi che: −34 −19 hυ h ω h Ω h ∣q∣B 10 ⋅10 = = = ~ =10−25 ≪1 3 −31 kT kT 2π kT 2π kT 2πm 10 ⋅10 e quindi, conseguentemente, τ >> 1; il mezzo è perciò opaco alla radiazione di 80 ciclotrone, che pur essendo molto elevata, viene in buona parte riassorbita dal plasma. Inoltre, la radiazione che non viene assorbita, poiché si tratta di radiazione infrarossa, può essere facilmente riflessa delle pareti interne della camera a vuoto, e quindi essere anche meccanicamente contenuta. Quantitativamente circa il 5% della radiazione di ciclotrone prodotta abbandona effettivamente il plasma costituendo quindi una perdita netta di potenza. In tali condizioni la perdita energetica per radiazione di ciclotrone diventa sensibilmente minore della potenza persa per bremsstrahlung (vedi grafico a lato) e soprattutto della potenza nucleare prodotta. La potenza dissipata per ciclotrone continua a costituire un fattore importante comunque ad alte temperature, ma non è più il fattore dominante alle temperature di nostro interesse (T~20keV, B≃5T ). Con queste condizioni, nel grafico seguente, si confrontano quindi la potenza nucleare prodotta (in rosso) con le fonti di perdita energetica finora individuate: radiazione bremsstrahlung da di plasma puro (in verde) e radiazione di ciclotrone a campo magnetico fissato a 5,3 T (in giallo). É inoltre riportato nella linea tratteggiata in blu la somma di questi due meccanismi di perdita energetica. Nel grafico è inoltre evidenziata la nostra temperatura di riferimento: 20keV 81 Si può notare chiaramente come la radiazione di bremsstrahlung sia dominante a basse temperature, mentre invece ad alte temperature è la radiazione di ciclotrone ad essere dominante. Alla temperatura di riferimento la radiazione di ciclotrone fornisce un contributo alla potenza dissipata non certo trascurabile, ma comunque minoritario. Ricalcolando il contributo della radiazione di ciclotrone considerando il processo di autoassorbimento per i valori di riferimento di ITER abbiamo che: −18 P C 5,32 10 20 20 loss=6,2⋅10 5 kW ≃17,42 3 100 m che sommato al contributo di bremsstrahlung da plasma puro B P loss≃24,15 kW m3 fornisce la densità totale di potenza dissipata dal plasma puro. La potenza dissipata dal volume di plasma di ITER sarà quindi : BC P loss ≃17,4224,15 kW 837m 3≃34,79 MW 3 m contro una produzione energetica nelle stesse condizioni pari a 934 MW. ➢ SCOPO DIAGNOSTICO RADIAZIONE DI CICLOTRONE Nei moderni impianti sperimentali la radiazione di ciclotrone assume una fondamentale importanza per motivi diagnostici, permettendo una misura indiretta del profilo della temperatura elettronica. Consideriamo ad esempio la macchina a confinamento magnetico di tipo Tokamak qua a lato schematizzata. All'interno di una sezione poloidale, l'andamento del campo magnetico al variare del raggio minore r, in virtù del teorema di Ampere avrà un andamento del tipo 1/r. La variazione di campo magnetico lungo la sezione poloidale provocherà delle differenti frequenze di ciclotrone punto per punto all'aumentare di r, e conseguentemente la frequenza della 82 radiazione di ciclotrone sarà caratteristica di ogni “sezione verticale” del plasma. Rilevando per mezzo di opportune antenne diagnostiche lo spettro dell'emissione di ciclotrone, si potrà quindi risalire all'intensità della radiazione per ogni sezione verticale, e quindi alla temperatura per ogni sezione verticale di plasma (dipendendo l'intensità delle prime armoniche solo dalla temperatura), ottenendo quindi il profilo della temperatura della sezione poloidale del tokamak. Abbiamo quindi che una misura dell'intensità della radiazione di ciclotrone (lontano infrarosso) permette di ottenere informazioni non solo sulla temperatura elettronica, ma anche sul suo profilo. La diagnostica del plasma per mezzo della radiazione di ciclotrone permette inoltre importanti misure indirette dei moti e delle turbolenze magnetoidrodinamiche, ed è un importante campo di ricerca nel quadro degli studi sulla fusione termonucleare a confinamento magnetico[34]. 83 4.5 - Radiazione di ricombinazione Veniamo adesso a considerare un meccanismo radiativo di tipo free-bound. La ricombinazione radiativa è infatti il fenomeno fisico di emissione di un fotone conseguentemente alla caduta di un elettrone libero nella buca di potenziale di uno ione, e quindi del suo passaggio da elettrone libero a elettrone legato; il processo è schematizzato nella figura seguente. Poiché il livello superiore della radiazione sono un continuo di stati, mentre solo il livello inferiore è un discreto di stati, la radiazione avrà spettro continuo. L'energia irradiata da un singolo processo di ricombinazione è data: 2 h =E cc − E n=E cc − Z EH n2 dove Ecc è l'energia iniziale dell'elettrone libero, En è l'energia dell'n-esimo livello energetico dello ione con numero atomico Z a cui l'elettrone va a legarsi; En sarà, esprimibile in funzione di EH, energia dello stato fondamentale dell'atomo di Idrogeno pari a: E H= me 4 2 2ℏ Operativamente, data l'energia di un singolo processo di ricombinazione per un singolo elettrone, bisogna integrare tale energia su tutte le energie Ecc possibili, e successivamente sulla distribuzione maxwelliana degli elettroni liberi, moltiplicando per l'opportuno coefficiente di assorbimento di Einstein, che gioca il ruolo di una sezione d'urto di assorbimento dell'elettrone. Concettualmente quindi si opera nello stesso modo visto per la radiazione di bremsstrahlung. Non è quindi strano che la densità di potenza associata alla radiazione di ricombinazione abbia una forma simile a quella di tale processo. Si ha infatti che la densità di potenza per il processo radiativo di caduta di un elettrone in uno stato legato al livello energetico n è data da: P ric. n λ 3C E H 3 /2 − 32 d = 3/ 2 1 /2 3 E H e T 3 π n 84 2 h Z EH − 2 T n T n n Z i e 4 d con λ C =h/m e c lunghezza d'onda Compton dell'elettrone, e tutti gli altri parametri continuano ad avere il loro usuale significato. Per ottenere la radiazione totale emessa per via di radiazione di ricombinazione bisognerà quindi sommare su tutti gli stati di arrivo n: ric. P ric. loss =∑ P n n La radiazione di bremsstrahlung, espressa in funzione degli stessi parametri, assume invece la forma: − E 16 d = 3 /2 1 / 2 λC3 E H H e T n i ne Z 2 d T 3 π 1/2 P B loss h La differenza fisicamente significativa tra le due espressioni risiede solo nell'argomento dell'esponenziale: per la radiazione di ricombinazione, all'energia del fotone è, per questioni di conservazione dell'energia, sottratta l'energia dello stato di arrivo dello processo di ricombinazione. Per determinare l'importanza reciproca delle due sorgenti di perdita di potenza è sufficiente confrontarle, ottenendo: ric. Ploss 2Z 2 E H 1 = e ∑ B 3 T P loss n n 2 Z EH 2 n T Si nota come il rapporto è indipendente dalla frequenza, ma dipende solamente dal rapporto tra l'energia dello stato legato di arrivo e l'energia termica del plasma. Supponendo un plasma di Idrogeno, abbiamo che tra l'energia di ionizzazione e la temperatura del plasma (considerata ~10 keV) vige un rapporto di 1/1000, e quindi è chiaro come la radiazione di ricombinazione sia assolutamente ininfluente se paragonata alla radiazione di bremsstrahlung. Questo fatto è anche ovvia conseguenza del fatto che considerando plasmi ad alta temperatura di un elemento leggero come l'Idrogeno, questo si presenterà praticamente solo nello stato ionizzato, e la popolazione di stati legati sarà minima. Tale popolazione 85 potrà aumentare, con conseguente aumento dell'emissione della radiazione di ricombinazione, solo in seguito ad una diminuzione della temperatura del plasma. Il rapporto tra le due potenze specifiche può però crescere all'aumentare di Z, in particolare in modo quadratico; in questo modo un plasma contenente impurità con alto Z, derivanti ad esempio da interazioni plasma parete, può emettere una potenza dovuta a radiazione di ricombinazione importante. Tuttavia il rapporto tra le due potenze non può divergere, come succedeva per il confronto tra radiazione di ciclotrone e bremsstrahlung: infatti per un elemento con alto Z, la ricombinazione avverrà con un livello energetico n grande (che si presenta alla terza potenza, e alla seconda nell'esponenziale). Infatti la ricombinazione con un elemento contaminante pesante non può avvenire a un livello energetico molto profondo, perché questo sarà già completo, a meno che non si sia in presenze di temperature molto alte, temperatura però che nel rapporto compare comunque a denominatore. In ogni modo quindi la potenza quadratica del numero atomico è controllata da ordini di infinito uguali o superiore a denominatore. In definitiva quindi il contributo della radiazione di ricombinazione è importante solo nel caso di presenza di elementi contaminanti con numero atomico elevato e in concentrazioni considerevoli, ma raramente tale contributo sarà maggiore della potenza irradiata per bremsstrahlung, e, anzi, in generale sarà molto minore. Stime numeriche sulla potenza irradiata per radiazione di ricombinazione sono rimandate alla presentazione della radiazione dovuta a impurità nel modello MIST. 86 4.6 - Radiazione di righe Con radiazione di righe intendiamo il processo radiativo bound-bound di un elettrone che, passando da un certo livello energetico a un livello energetico inferiore dell'atomo a cui è legato, emette per conservazione dell'energia un fotone con energia pari al gap energetico tra il livello iniziale e il livello finale della transizione. Nella figura a lato è rappresentato lo schema delle possibili transizione tra i livelli energetici, raggruppate per serie a seconda della posizione della radiazione nello spettro elettromagnetico; le energie dei livelli energetici sono riferite all'atomo di Idrogeno, e conseguentemente anche la lunghezza d'onda della radiazione. Chiaramente si potrà avere radiazione di righe da un plasma termonucleare solo e soltanto in presenza di stati legati all'interno del plasma stesso; viste le elevate temperature in gioco, e la conseguente scarsa popolazione di stati legati, è naturale supporre che la potenza irradiata da tale tipo di radiazione sarà marginale. Infatti, poiché l'energia necessaria per stappare un elettrone all'n-esimo livello energetico da un atomo con numero atomico Z è data da: E=13,6 eV Z2 2 n è evidente che se consideriamo un plasma di Idrogeno, l'energia necessaria per strappare l'elettrone all'atomo è al più (n=1) 13,6 eV, come rappresentato nello schema precedete. Se consideriamo un plasma con i soliti parametri di riferimento, cioè con energia termica E≃20 keV, possiamo essere ragionevolmente sicuri che nessun atomo di Idrogeno si presenterà in uno stato legato, e quindi che non ci sarà nessuna radiazione di righe da parte dell'Idrogeno. Risolvendo l'equazione dell'energia dei livelli energetici in funzione di Z, con 87 E = 20 keV, otteniamo che si presenteranno in stati legati solo gli atomi con numero atomico almeno pari a: Z ≃38 n Naturalmente questa trattazione è estremamente semplicistica: una trattazione più rigorosa dovrebbe tenere conto dei coefficienti di emissione spontanea di Einstein, ma comunque questa condizione, che è una stima per eccesso, ci mette in condizione di valutare agilmente un ordine di grandezza valido. Ponendo ad esempio n=1, abbiamo che a partire da Z=38 (Stronzio), l'energia termica del plasma non è più sufficiente a strappare gli elettroni dalla schell energetica più interna dell'atomo, e quindi si è in presenza di stati legati. Possiamo quindi concludere che in un plasma termonucleare la radiazione di righe è possibile solo dagli elementi contaminanti derivanti dalle interazioni plasma parete, perché questi saranno gli unici elementi del plasma sufficientemente pesanti. La figura a lato rappresenta la percentuale di atomi che nel plasma mantengono legato almeno un elettrone in funzione della temperatura, permettendo quindi che si possa instaurare il meccanismo della radiazione di righe. É quindi evidente che, alle temperature di nostro interesse c'è una probabilità di circa 1% di trovare un atomo di Alluminio (Z = 13) con almeno un elettrone legato, mentre la probabilità è prossima al 100% per il Ferro (Z=26), ed è pari al 100% per ogni elemento successivo nella tavola periodica; quindi elementi contaminanti come Molibdeno (Z=42), Nichel (Z=28), Tungsteno (Z=74), tipici dei Tokamak, produrranno di sicuro radiazione di righe. Invece elementi più leggeri come l'Elio, il Carbonio e l'Ossigeno non contribuiscono alla radiazione di righe in modo significativo. Per ricavare in modo rigoroso l'intensità della radiazione di righe, e quindi la potenza irradiata da questo meccanismo radiativo, bisogna tenere conto, come già accennato, del coefficiente di emissione spontanea di Einstein, che concorre a determinare l'emissività della sorgente. La potenza irradiata da un singolo processo andrà quindi integrata su 88 tutti le possibili transizioni tra i livelli energetici atomici, e sulla distribuzione delle densità dei livelli di partenza e di arrivo della transizione. Per valutare l'andamento complessivo della densità di potenza emessa per radiazione di righe da una specie atomica i con numero atomico Z si può usare il seguente modello dovuto a Vernickel e Bohdansky[35]: P i=10,3 T ⋅10−25 Z 3,7−0,33 ln T n i ne W 3 m dove la temperatura del plasma T è espressa in keV, e la densità ionica della specie contaminante ni e la densità elettronica ne sono espresse in m-3. A titolo di esempio è riportata qua di seguito la potenza specifica emessa per radiazione di righe (in arancione) da una specie contaminante in concentrazione ni=5 · 1016 m-3, con ne=1020 m-3 (concentrazione dell'agente contaminante pari al 0,05% rispetto alla densità elettronica) in funzione della temperature e del numero atomico; tale concentrazione è quella stimata per il Ferro (Z=26) in ITER. Tale densità di potenza è paragonata con la potenza prodotta per bremsstrahlung (in verde) dallo stesso plasma con la stessa contaminazione. Dal grafico risulta evidente come, fissata la concentrazione delle impurità, e fissata la temperatura, il contributo della radiazione di righe diventa importante all'aumentare di Z; in particolare per agenti contaminanti con numero atomico alto questo contributo può diventare addirittura dominante sulla potenza irradiata per bremsstrahlung. Il contributo inoltre può aumentare notevolmente considerando densità ni maggiori. Per ottenere poi la potenza totale irradiata bisognerà naturalmente sommare su tutte le specie contaminanti presenti nel plasma: P rig. loss =∑ P i i 89 Nella realtà sperimentale la presenza di agenti contaminanti è inevitabile, poiché le interazioni plasma parete introdurranno una inevitabile disgregazione delle pareti della camera a vuoto; alcuni di questi agenti contaminanti, come abbiamo visto, potranno avere alti numeri atomici (addirittura Z=74). Vista la forte dipendenza da Z della potenza dissipata, l'unico modo di assicurare un buon confinamento dell'energia nel plasma è quello di mantenere la concertazione dell'agente contaminante il più bassa possibile. Anche in questo caso, possiamo notare come un organo che pompi attivamente fuori dalla camera a vuoto le impurità risulti essere fondamentale per il confinamento dell'energia all'interno del plasma. 4.7 - Modello MIST e radiazione da impurità Abbiamo finora determinato due classi di processi radiativi: quelli derivanti da un plasma puro, e quelli derivanti da un plasma contaminato da impurità. La prima classe è costituita dalla radiazione di bremsstrahlung e dalla radiazione di ciclotrone da elettroni; la seconda, oltre che da queste due, anche da bremsstrahlung da impurità, radiazione di ricombinazione e radiazione di righe. Non si considererà anche la radiazione di ciclotrone degli ioni derivanti da impurità perché l'abbiamo supposta trascurabile rispetto a quella dovuta agli elettroni per via della dipendenza m-3. L'insieme della radiazione di bremsstrahlung da impurità, radiazione di ricombinazione e radiazione di righe sono analizzate globalmente in un unico modello detto modello MIST[30] (Multi Ionic Species Transport code). Tale modello, appositamente creato per ITER, punta a modellare la radiazione dovuta alle impurità nel modo più preciso possibile, e al variare di alcuni importanti parametri di plasma, come Zeff, i profili di densità, il profilo della temperatura, il tipo di impurità, le dimensioni fisiche del reattore. 90 Lo sviluppo di un modello così preciso e appositamente dedicato, che superi i limiti dei grossolani modelli qui ricavati, è dovuto all'importanza anche tecnologica della radiazione da impurità. Fin ora, infatti, ci siamo soffermati solo sul problema del confinamento dell'energia del plasma termonucleare, e quindi abbiamo ricercato delle condizioni che minimizzassero le perdite radiative; una certa dispersione di energia per via radiativa è però indispensabile nelle macchine a confinamento magnetico di tipo Tokamak. É infatti importante che il plasma nella regione più esterna della sezione poloidale (nella figura qua a lato schematizzata) abbia temperature basse; infatti se la temperatura fosse nell'ordine dei 20 keV anche nelle regioni di bordo del plasma, le pareti del divertore andrebbero incontro a rapido deterioramento e rottura per via dell'eccessivo carico termico, e ciò avverrebbe in particolar modo per il divertore. Tale distinzione in regioni per il plasma al variare del raggio minore motiva la suddivisione della sezione poloidale in zone: esiste una regione centrale detta core (0 < r/a < 0,3) dove avviene la reazione di fusione, una regione detta edge (0,9 < r/a < 1,0) che è la zona di margine esterno del plasma, e una regione detta Scrape-Off Layer (r/a > 1,0) che è la zona tra il margine esterno del plasma e la parete fisica della camera a vuoto. Ebbene, è importante che la temperatura del plasma abbia un profilo del tipo di quello a lato: la temperatura sarà nell'ordine dei 20 keV nella zona di core dove avvengono le reazioni di fusione, crollerà nella regione di transizione tra core ed edge, e sarà minima nell'edge e nel SOL. Il modo per far dissipare l'energia termica al plasma nelle regioni di bordo, riducendo il carico termico sulle strutture della camera a vuoto e sul divertore, è quello di provocare 91 una perdita radiativa di energia dal plasma, che però dovrà interessare solo tali regioni e non il core per i noti motivi di confinamento dell'energia. Sarà proprio la radiazione da impurità a provocare questo meccanismo di perdita energetica in una precisa regione del plasma. Infatti, poiché la densità delle impurità è circa costante lungo la sezione poloidale (si veda lo schema precedente), ma la temperatura è molto minore nell'edge che nel core, è naturale che la regione di bordo vedrà un incremento nella densità di stati legati rispetto alla regine centrale; conseguentemente la regione di edge avrà un'elevata emissione di radiazione di ricombinazione e radiazione di righe, che abbiamo visto essere dominanti per alti e medi Z sull'emissione da bremsstrahlung termico dovuta a impurità. Si vede dunque l'importanza di creare un modello matematico che studi con precisione la radiazione dovuta alle impurità nella sua totalità, e che ponga le condizioni di controllarla[36] con opportune iniezioni mirate di agenti contaminanti all'interno del plasma, e tutto ciò al fine di ridurre il carico termico sulle strutture della camera a vuoto. Il modello di simulazione MIST applicato su ITER studia quindi l'emissione di radiazione da un plasma debolmente contaminato da Elio, Carbonio, Ossigeno, Alluminio, Ferro, Molibdeno e Tungsteno secondo le concentrazioni riportate nella tabella seguente, che riporta la contaminazione, la sua concentrazione rispetto alla densità elettronica, e il contributo di tale impurità alla Zeff totale del plasma: Non sono riportate le impurità che si presentano in concentrazioni trascurabili (ma non sono trascurabili i loro effetti); la somma dei contributi al numero atomico efficace è come abbiamo già evidenziato Zeff= 2,26. Il modello MIST verifica che per mantenere un equilibrio tra la necessità di confinare l'energia nel plasma e la necessità di dissipare energia per via radiativa deve valere la condizione Zeff ≃ 2. 92 ➢ STIME NUMERICHE DEL MODELLO MIST Secondo tale modello la potenza totale dissipata per radiazione da impurità, per i parametri di temperatura, densità e volume tipici di ITER è pari a circa 220 MW, che è circa 6 volte tanto la radiazione da plasma puro, pari a circa 35 MW. La potenza totale dissipata sarà quindi di circa 250 MW (0,30 MW/m3), valore comprensivo anche delle deboli perdite per banale diffusione termica. La potenza dissipata va confrontata con i circa 930MW (1,11 MW/m3) di produzione energetica lorda stimata. La potenza netta prodotta sarà quindi di circa 680 MW. Tale valore, ottenuto utilizzando modelli fortemente semplificati e spesso non fedeli alla realtà sperimentale, fornisce comunque un valore numerico compatibile con le previsioni teoriche, che sono di 500-700MW di produzione netta. I 220 MW circa di potenza persa per via radiativa sono così suddivisi: - Oltre il 50% della radiazione totale dissipata dal plasma deriva dal processo radiativo bound-bound di radiazione per righe. Se consideriamo l'unione di radiazione di righe e radiazione di ricombinazione la percentuale sale a più dell'80%. - Il grafico seguente mostra la quantità di energia irradiata per radiazione da impurità divisa per specie contaminante, a parità di ogni altra variabile. É evidente come gli elementi più pesanti irradino in modo maggiore. In particolare, oltre l'80% della potenza dissipata per radiazione da impurità deriva dalla presenza di Ferro e Tungsteno; segue poi il contributo del carbonio. Questi elementi derivano dalle interazioni plasma parete, e per permettere un buon confinamento dell'energia è quindi evidente come tali interazioni debbano essere ridotte al minimo, esaltando la radiazione localizzata nelle zone di bordo per via di iniezione mirata di agenti contaminanti (tipicamente viene usato Argon). Infine si può notare come la presenza dell'Elio, residuo delle reazioni di fusione, non sia 93 in realtà determinante ai fini della potenza totale dissipata. - Il grafico seguente mostra, per ogni specie contaminante presente nel plasma, la frazione di energia irradiata nelle zone di edge e SOL rispetto alla totalità dell'energia dissipata dalla stessa specie. In accordo con la necessità di massimizzare la radiazione nella zone esterne del plasma, e limitarla nella regione centrale, possiamo osservare come complessivamente oltre il 65% della potenza dissipata viene emanata nelle zone esterne (edge + SOL). Possiamo inoltre osservare che per le specie atomiche leggere la tendenza a emettere solo nelle zone periferiche è più pronunciata rispetto alle specie pesanti: tale situazione è dovuta al fatto che le specie leggere possono presentarsi nello stato legato (potendo emettere radiazione di righe e di ricombinazione che insieme costituiscono la maggior parte della radiazione irradiata da impurità) solo nelle zone periferiche del plasma caratterizzata da minori temperature, e quindi è solo qui che potranno emettere. Le specie pesanti possono invece presentarsi nello stato legato anche in zone più profonde, disperdendo energia quindi anche nelle zone più interne del plasma, dove invece è necessario limitare le perdite per non raffreddare il plasma. É per questo motivo che le concentrazioni di specie pesanti devono essere limitate, in favore di opportune iniezioni mirate di impurità più leggere come l'Argon. 94 5 – BILANCI ENERGETICI E CRITERIO DI LAWSON 5.1 - Energia prodotta ed energia dissipata dal plasma termonucleare Volendo quindi riassumere i risultati fin ora ottenuti, considerando un plasma termonucleare, si è determinato che: • in un plasma di Deuterio e Trizio a temperature e pressioni tali per cui al suo interno si sviluppino reazioni di fusione termonucleare secondo la reazione: D + T → 4He (3,52 MeV) + n (14,08 MeV) è prodotta una potenza specifica descritta, con buona approssimazione nel range di temperature di nostro interesse, dall'equazione (3.7), qua riscritta con i parametri di riferimento di ITER: 6 ∣ −0,476⋅ ln P fus =5,04⋅10 ⋅e T 69 2,25 ∣ MW m3 dove T è la temperatura del plasma espressa in KeV. Tale potenza specifica è quindi la potenza disponibile nel plasma termonucleare, ed è stata determinata supponendo che solo le particelle α della reazione Deuterio-Trizio trasferiscono la loro energia al plasma, poiché sono le sole che possono essere contenute magneticamente all'interno del plasma stesso; i neutroni da 14,08 MeV invece abbandonano il plasma praticamente non cedendo ad esso energia. • lo stesso plasma termonucleare ha delle perdite energetiche intrinseche, dovute principalmente a meccanismi radiativi, derivanti dal moto accelerato delle particelle al suo interno. Tali meccanismi radiativi sono la bremsstrahlung e la radiazione di ciclotrone, e le rispettive densità di potenza emesse sono date dalle equazioni (4.4) e (4.8), qua riscritte per i parametri di riferimento di ITER: B −3 P loss=5,4⋅10 ⋅ T e −3 P C loss=17,42⋅10 ⋅T e 95 MW m3 MW m3 dove T è la temperatura espressa in keV. Il seguente grafico riporta il confronto tra la potenza di fusione prodotta (in rosso) e le potenze dissipate per bremsstrahlung (in verde) e radiazione di ciclotrone (in giallo). Inoltre è riportata (in blu) la somma di questi due contributi di perdita energetica. Si può osservare come si possano individuare due temperature critiche oltre le quali la potenza specifica persa supera la potenza specifica prodotta: la prima è un limite inferiore, pari circa a 3 keV (34,8 · 106 K), mentre la seconda è un limite superiore, pari a circa 500 keV (5,8 · 109 K). Inoltre nel grafico è riportata la temperatura media di riferimento di ITER pari a circa 20 keV (200 · 106 K). Questo bilancio energetico è relativo ad un plasma puro, ovvero composto unicamente da Deuterio e Trizio. Si è però visto come un plasma termonucleare tipico di una macchina a confinamento magnetico sia necessariamente contaminato in una certa percentuale da impurità, il che provoca un incremento della potenza persa per via radiativa. In particolare: • nello stesso plasma termonucleare prima considerato, in cui siano presenti elementi contaminanti ad alto e medio numero atomico, si incrementa la perdita energetica dovuta a bremsstrahlung di una fattore Z eff proporzionale alla 96 concentrazione delle impurezze, e soprattutto si innescano due nuovi fenomeni radiativi: la radiazione di righe e la radiazione di ricombinazione. La combinazione di questi 3 fattori dipende criticamente dal numero atomico delle impurità e dalla loro densità. Sulla base di simulazioni computerizzate condotte su modelli virtuali del plasma di ITER, si può qualitativamente determinare che la potenza persa per via radiativa dal plasma di questa macchina deve essere moltiplicata per un fattore 6 rispetto al caso di plasma puro. Il grafico seguente confronta quindi la potenza totale irradiata dal plasma contaminato di ITER con la potenza di fusione da esso prodotta Si può chiaramente notare come l'intervallo utile, in cui il plasma produce più energia di quanta ne disperda, viene a restringersi. In particolare la temperatura critica inferiore sale a circa 7 keV (81,2 · 106 K), mentre quella superiore scende a circa 225 keV (2,6 · 109 K). A conferma della validità dell'utilizzo della reazione Deuterio-Trizio in luogo della reazione Deuterio-Deuterio, si può calcolare che lo stesso bilancio energetico applicato alla reazione Deuterio-Deuterio, evidenzia una temperatura critica inferiore di circa 70 keV. 97 Dunque un plasma al cui interno si verificano reazioni di fusione, e alla temperatura critica di 7 keV, è in una condizione in cui l'energia ceduta per unità di tempo e unità di volume dalle particelle α al plasma, è pari all'energia per unità di tempo e volume dispersa dal plasma, con il risultato che la sua temperatura resterà costante. Un plasma di questo tipo è in grado di autosostenere al suo interno le reazioni di fusione, e viene detto ignito, e la temperatura critica inferiore di 7 keV viene detta temperatura minima di ignizione; da tale plasma tuttavia non è possibile estrarre energia utile, ad esempio, per alimentare una rete elettrica. Un plasma ad una temperatura compresa tra 7 e 200 keV, invece, ha un bilancio energetico positivo, e quindi, se lasciato libero di evolvere, tenderà ad incrementare la sua temperatura; da un tale tipo di plasma è possibile estrarre energia utile. Un plasma, invece, ad una temperatura inferiore a 7 keV (o superiore a 200 keV) ha un bilancio energetico negativo, e quindi, se non si attivano meccanismi di rifornimento energetico che possano supplire alle perdite, tenderà a raffreddarsi, e quindi le reazioni di fusione al suo interno tenderanno a cessare. Inoltre, poiché la curva di potenza prodotta non diverge, ma è una campana, possiamo concludere che un ipotetico impianto elettronucleare basato sulla fusione è intrinsecamente sicuro: il plasma ignito, se libero da ogni controllo, potrà, nel peggiore dei casi, aumentare la sua temperatura fino alla temperatura critica superiore. Nella realtà dei fatti, però, tenderà a spegnersi, poiché per il mantenimento di un plasma ignito sono necessari controlli di tipo magnetoidrodinamico attivi, che, se vengono meno, innescano turbolenze che provocano intense perdite energetiche. In nessun caso comunque il plasma tenderà a far crescere in modo incontrollato la propria temperatura, come contrariamente accade nel caso delle reazioni di fissione nucleare. 98 5.2 - Il criterio di Lawson Determinare in modo analiticamente preciso l'andamento della potenza persa dal plasma è però difficile: modellare le perdite energetiche, soprattutto quelle dovute alla radiazione di ricombinazione, alla radiazione di righe, e alle perdite per diffusione e conduzione termica può essere non banale. Per evitare, nel determinare i bilanci energetici, di dover ricorrere necessariamente all'utilizzo di un modello matematico completo per le perdite energetiche, si definisce una grandezza detta tempo di confinamento. Il primo utilizzo di tale espediente risale ad un articolo di J. D. Lawson[37] del 1957, anno in cui, appunto, non erano ancora ben noti neanche i fenomeni di perdita energetica più elementari come la bremsstrahlung. Il tempo di confinamento dell'energia è definito come: τ E= E termica P loss (5.1) ovvero come il rapporto tra l'energia termica contenuta nel plasma, e il rateo di perdita energetica dovuta a tutti i meccanismi esistenti, di qualunque natura essi siano. Ai fini pratici possiamo pensare al tempo di confinamento come il tempo di fusione effettivo per il plasma (ricordiamo infatti che le macchine Tokamak hanno un funzionamento impulsato e quindi il tempo di fusione è un tempo finito). In un plasma in cui consideriamo una distribuzione maxwelliana di velocità termica delle particelle, l'energia termica media sarà definita come: 3 〈 E 〉= nT e T i 2 In particolare per un plasma isotermo e all'equilibrio termodinamico, in cui Te = Ti, possiamo quindi ottenere una forma per Ploss dalla (5.1) che non coinvolga necessariamente uno studio dettagliato delle potenze di perdita: P loss= E termica 3nT = τE τE 99 (5.2) La densità di potenza prodotta dalle reazioni di fusione, invece, è determinata da, come visto nel capitolo 3: 1 2 P fus = n 〈 συ〉 ε 4 (5.3) dove n è la densità del plasma, ‹συ› la reattività del plasma data dalla (3.6), e ε l'energia liberata da una reazione di fusione, pari a 17,6 MeV per la reazione Deuterio-Trizio. ➢ CONDIZIONE DI BREAKEVEN La condizione di operatività del plasma termonucleare sarà: P fus ≥1 Ploss (5.4) Tale condizione è detta condizione di breakeven, e in realtà non è ancora una condizione di operatività reale per il plasma di Deuterio e Trizio. Abbiamo infatti visto come circa l'80% dell'energia prodotta dalla fusione Deuterio-Trizio sia trasportata da un neutrone non confinabile magneticamente, che quindi non contribuisce come energia in input per il plasma. Dunque solo circa il 20% dei 17,6 MeV contribuiscono effettivamente al bilancio energetico. Se invece considerassimo reazioni di fusione che generano solo prodotti carichi tale condizione sarebbe direttamente una condizione di operatività reale, cioè una condizione di ignizione. Sostituendo nell'equazione (5.4) a Ploss e Pfus le relative equazioni (5.2) e (5.3), si ottiene che: nτ E ≥ 12 T =F B T ε 〈 συ 〉 Tale disequazione è nota come criterio di Lawson per la condizione di Breakeven. La funzione FB(T) è plottata nel seguente grafico, che sull'asse delle ordinate riporta il prodotto nτE. 100 Il criterio di Lawson per la condizione di breakeven comporta che il prodotto nτE abbia un valore che si collochi nella zona superiore alla curva, e quindi definisce dei limiti inferiori per la densità del plasma e per il tempo di fusione dello stesso. Osservando la curva, possiamo individuare una temperatura ideale che permette di minimizzare densità e il tempo di confinamento pur mantenendosi in una zona di efficienza energetica: tale temperatura è di circa 25 keV; non a caso in ITER la temperatura media stimata per il plasma sarà prossima a questo valore, e pari a circa 20 keV. Nel caso non si fosse in grado di raggiungere questa temperatura, è inevitabile che per mantenere la condizione di breakeven si debbano allungare i tempi di confinamento e/o incrementare la densità di plasma. In realtà l'incremento della densità è un fattore difficile da ottenere: infatti la densità è controllata dall'intensità dei campi magnetici confinanti il plasma, e poiché esistono dei limiti tecnologici sull'intensità generabile per un campo magnetico, esiste anche un limite superiore alla densità raggiungibile per il plasma confinato magneticamente. Alla temperatura stimate per il plasma di ITER corrisponde una funzione FB(T) pari a circa 4 · 1019 s/m3, e quindi deve valere la relazione: nτ E ≥4⋅1019 s m3 Utilizzando il parametro di riferimento di ITER per la densità (10 20 m-3) abbiamo quindi 101 che la durata minima dell'impulso di fusione dovrà essere di 0,4 s; se si fosse in grado di raggiungere densità e tempi di confinamento superiori, è evidente come ci si potrebbe permettere temperature inferiori. La condizione di breakeven è una condizione energetica che è stata ampiamente raggiunta nel Tokamak JET fin dal 1991, e oggi è un risultato consolidato in numerose macchine a confinamento magnetico[4]. ➢ CONDIZIONE DI IGNIZIONE La condizione di breakeven non corrisponde però a una situazione di effettiva operatività del plasma: infatti, come si è già evidenziato, solo l'energia relativa alla particella α è effettivamente energia disponibile in input per il plasma perché è la sola particella prodotta a poter essere confinata magneticamente dentro al plasma. Avendo determinato che l'energia totale liberata dalla fusione è suddivisa come segue: D + T → 4He (3,52 MeV) + n (14,08 MeV) abbiamo che il criterio di Lawson si modifica come segue: nτ E ≥ 12 T =F I T ε 〈 συ 〉 (5.5) Poiché in tale condizione l'energia disponibile in input è circa 1/5 dell'energia disponibile nella condizione di breakeven, avremo che la condizione di ignizione, descritta nella precedente disequazione, è una condizione più restrittiva della condizione di breakeven. Il grafico seguente mostra, analogamente a prima, il criterio di Lawson per l'ignizione (in rosso); tale curva è inoltre confrontata con quella relativa al criterio di Lawson per il breakeven. Possiamo osservare come la temperatura di massima efficienza rimanga invariata, e circa pari a 25 keV. Tuttavia il valore del prodotto nτE risulta essere moltiplicato per un fattore 5 rispetto al suo valore nella situazione di breakeven (proprio perché l'energia ora disponibile è ridotta di un fattore 5 rispetto a quella disponibile per il breakeven), e dunque è pari a circa 1,5 · 1020 s/m3. 102 Questo significa che per raggiungere l'ignizione in un plasma termonucleare alla temperatura di circa 20 keV (FI(20 keV) ≃ 1,6 ·1020 s/m3) , è necessario un prodotto nτE dato da: nτ E ≥1,6⋅10 20 s 3 m Questo vuol dire che in un plasma di densità 1020 particelle per m3, sono necessari tempi di confinamento di almeno 1,6 secondi. Per tempi inferiori il bilancio energetico è negativo, mentre per tempi sempre maggiori il bilancio sarà sempre più favorevole. In ITER si stimano tempi di confinamento nell'ordine di 103 secondi, e quindi prodotti nτE nell'ordine di 1023 s/m3, che si collocano in una zona di assoluto guadagno energetico nel grafico Lawson 103 del per criterio di l'ignizione. Sono anche riportati qualitativamente i risultati raggiunti dal plasma di JET: n ~ 10191020m-3, T ~ 5–6 keV, τ ~ 20 – 60 s. Il raggiungimento della condizione di ignizione del plasma termonucleare (condizione sperimentalmente mai raggiunta), ovvero il raggiungimento di una condizione per cui l'energia delle particelle α è sufficiente (o superiore) a rimpiazzare l'energia persa dal plasma, è l'obbiettivo scientifico primario di ITER. Le attuali conoscenze in fatto di fisica del plasma applicata alla fusione risentono di importanti lacune sperimentali su plasmi la cui temperatura è sostenuta solo dai prodotti di fusione. ➢ DRIVEN MODE Una terza possibilità che non abbiamo ancora considerato per i bilanci energetici è la situazione in cui l'energia depositata nel plasma dalle particelle cariche prodotte dalla fusione non è sufficiente a compensare completamente le perdite, per cui il plasma non è in grado di mantenere autonomamente la sua temperatura. Per mantenere il plasma a temperature termonucleari sarà allora necessario un riscaldamento esterno ausiliario che supplisca a tale deficit energetico. Per mantenere un bilancio energetico generale positivo, dovrà quindi valere la seguente disequazione: P aux P α ≥ P loss dove con Paux si intende la potenza ausiliaria in ingresso, con Pα la potenza prodotta dalle particelle cariche nel plasma, e con Ploss la perdite di potenza del plasma. Tale condizione può anche essere tipica di un plasma ignito: infatti, benché la potenza generata dai prodotti carichi sia sufficiente a rimpiazzare le perdite dovute ai meccanismi di perdita energetica, il plasma, all'interno di una macchina a confinamento magnetico, necessita comunque di una serie di controlli attivi, che quindi comportano un certo consumo energetico. Dunque anche un plasma ignito necessita in realtà di una certa Paux esterna, e quindi funziona in driven mode. In ITER, il plasma raggiungerà condizioni prossime all'ignizione, ma comunque sarà necessaria una potenza ausiliaria 104 esterna per operazioni di riscaldamento mirato e prevenzione della formazione di turbolenze nel moto fluido del plasma. Soffermiamoci proprio su questa condizione, considerando un plasma ignito che comunque necessiti di una potenza ausiliaria: per mantenere in pareggio il bilancio energetico del plasma tra l'energia in prodotti carichi generata dalla fusione e tutti i possibili canali di perdita energetica, supponiamo che serva solo una frazione f dell'energia dei prodotti carichi. In tal caso, la disequazione per ottenere un bilancio energetico generale positivo diventa: P aux f P α ≥ P loss (5.6) Sotto queste ipotesi, l'energia in uscita dal plasma sarà costituita, oltre che dall'energia persa per via termica ed elettromagnetica e l'energia dei neutroni, anche della frazione (1-f) dell'energia dei prodotti di fusione carichi. Il modo migliore per reperire l'energia ausiliaria necessaria per mantenere il controllo del plasma termonucleare, è proprio quello di recuperare queste energie in uscita. Queste, una volta raccolte con opportuni strumenti, saranno quindi trasformate con una certa efficienza η nell'energia ausiliaria in ingresso. Lo schema di questa condizione è rappresentato qua di seguito (in termini di potenza invece che energia): Sotto queste ipotesi possiamo quindi scrivere: P aux =[1− f P P n Ploss ] ≃ [1− f P 4P P loss ] = [5− f P P loss ] 105 Il bilancio energetico totale espresso nella (5.6) diventa quindi: [5− f P P loss ] f P ≥P loss Ricordando la definizione di Ploss e di Pα espressa nelle equazioni (5.2) e (5.3), e risolvendo la disequazione otteniamo quindi la condizione: nτ E ≥ 1− 12T 1− = F T f 5− f ε 〈 συ 〉 f 5− f I (5.7) avendo fattorizzato la funzione FI(T) del criterio di Lawson per l'ignizione. Tale condizione viene detta criterio di Lawson per il driven mode. Lo studio della funzione γ (plottata qua a lato) permette quindi di determinare se il criterio di Lawson per il driven mode è meno restrittivo di quello per l'ignizione (γ < 1) o se è più restrittivo (γ > 1). Possiamo osservare come, a parità di f, per alte efficienze, il criterio di Lawson per il driven mode è meno restrittivo di quello per l'ignizione; ciò è motivato dal fatto che se consideriamo η → 1, la somma di fPα con Paux, darà una densità di potenza maggiore di Pα (energia disponibile nel caso dell'ignizione). Se invece consideriamo efficienze basse, l'energia disponibile in driven mode diventa minore di quella disponibile nell'ignizione, e conseguentemente il criterio di Lawson per il driven mode diventa più restrittivo. Nella pratica l'efficienza di conversione energetica η non può essere molto grande: anche solo per ragioni termodinamiche si ha η ≲ 0,3; inoltre, visto il tipo di energie da convertire, e viste le tecnologie a disposizione per farlo, si può stimare η ≲ 0,1. In tali condizioni si ha per ogni valore di f che γ > 1, e quindi il criterio di Lawson per il driven modo è in generale più restrittivo rispetto a quello per l'ignizione. 106 5.3 - Condizioni di guadagno energetico per reattori elettronucleari Il criterio di Lawson appena esposto fornisce delle condizioni per cui i bilanci energetici interni al plasma generano una condizione per cui il plasma termonucleare è in grado di autosostenere al suo interno le reazioni di fusione nucleare, o autonomamente, o con l'ausilio di Paux. Per riassumere, queste condizioni sono una temperatura compresa nell'intervallo 10–200 keV, e un prodotto densità per tempo di confinamento definito dal criterio di Lawson (per la condizione di ignizione): nτ E ≥ 12 T ε 〈συ 〉 20 Nella pratica, per una temperatura di circa 20 keV, questo significa nτ E ≥1,6⋅10 s 3 m Nell'elaborare queste condizioni, però, non si è mai fatto riferimento alla necessità di estrarre dai processi di fusione nucleare che avvengono nel plasma energia destinata a scopi differenti dal mantenimento del plasma stesso in condizioni di ignizione. Lo schema di una ipotetica centrale elettronucleare che sfrutti l'energia termica prodotta dalle reazioni di fusione può essere il seguente: In questa caso, della potenza specifica dei prodotti di fusione, Pα, solo la frazione f è necessaria per mantenere il plasma ignito. La restante energia, unita a quella dei neutroni, e alla potenza persa per via radiativa e termica, viene recuperata, e trasformata 107 in potenza elettrica con un'efficienza ηe. Di tale potenza elettrica solo la frazione x viene trasformata nella potenza Paux necessaria per il controllo del plasma, mentre la frazione (maggioritaria) 1-x è effettivamente disponibile come potenza in uscita dalla centrale elettronucleare. Dunque: P out =1−x Pe è la potenza elettrica disponibile dall'ipotetica centrale elettronucleare, che sarà immessa nella rete elettrica. Volendo elaborare una condizione di guadagno energetico per l'impianto elettrico, osservando lo schema, abbiamo che: P e =[1− f P P nP loss ] e ≃[1− f P 4P P loss ] e=[5− f P P loss ]e e quindi: P aux =[5− f P P loss ] x e aux Effettuando la sostituzione x e aux = possiamo osservare come la condizione di funzionamento del reattore in driven mode P aux f P α ≥ P loss conduca al criterio di Lawson che si era già ricavato nell'equazione (5.7) per la configurazione in driven mode: nτ E ≥ 1− 12T 1− = F T f 5− f ε 〈συ 〉 f 5− f I Questa volta però la funzione γ è molto maggiore di 1: infatti ora η è il prodotto di due efficienze, e della frazione x, che, perché l'impianto sia energeticamente conveniente, deve essere un numero molto minore di 1. Per fare una stima numerica, possiamo valutare che: = x e aux≃ 1 1 1 ⋅ ⋅ =0,25 % 10 10 4 108 In queste condizioni si ha, indicativamente, γ ~ 10, e quindi il prodotto nτE deve essere un ordine di grandezza superiore rispetto a quello per l'ignizione. Tale condizione è mostrata nella figura sottostante (curva arancione), ed è confrontata con il criterio di Lawson per l'ignizione del plasma termonucleare (γ = 1). Considerando un plasma ad una temperatura di 20 keV, è necessario un prodotto nτE dato da: nτ E ≥1,6⋅10 21 s m3 Questo vuol dire che in un plasma di densità 1020 particelle per m3, sono necessari tempi di confinamento di almeno 16 secondi. Supponiamo ora di poter ottenere, in una macchina a confinamento di tipo Tokamak, un plasma perfettamente ignito: la presenza della potenza ausiliaria in ingresso servirà quindi solo e soltanto per il tempo necessario a portare il plasma a temperatura termonucleare; dopo di ché tale contributo in ingresso potrà essere eliminato, e il plasma manterrà autonomamente la condizione di ignizione per tutto l'impulso di fusione. Come già evidenziato questa è una condizione puramente ideale, perché una certa 109 potenza ausiliaria è sempre necessaria per il controllo magnetoidrodinamico del plasma. Poiché la macchina di confinamento Tokamak ha funzionamento impulsato supponiamo che l'andamento delle potenze in questione nel tempo possa essere il seguente: Nello schema si è distinto il tempo minimo τE, cioè l'impulso di fusione necessario per soddisfare il criterio di Lawson (~1 s per un plasma perfettamente ignito) dal tempo effettivo di bruciamento per cui si tiene innescato il plasma τB. Inoltre si è riportato il tempo τaux in cui è attiva la potenza di riscaldamento ausiliaria iniziale. Stiamo quindi supponendo di innescare il plasma con una potenza ausiliaria attiva per τaux, tempo dopo il quale il plasma raggiunge la temperatura di ignizione e può autosostenere al suo interno le reazioni di fusione. Vista la natura della macchina di confinamento Tokamak, tale situazione può durare per un tempo finito τB. Per scaldare il plasma, la potenza ausiliaria deve essere applicata per un tempo di almeno alcuni tempi di confinamento, e quindi supponiamo: aux ≃3 E (5.8) Inoltre tale potenza per poter scaldare il plasma dovrà essere maggiore della potenza persa dal plasma stesso, e quindi supponiamo anche: P aux ≃2Ploss 110 (5.9) Riferendoci sempre allo stesso schema di centrale, la condizione di guadagno energetico per l'impianto è: P out ≫ P in (5.10) o, passando a lavorare con le energie: E out ≫ E in In base alle equazioni (5.8) e (5.9) possiamo quindi scrivere: aux E in = E aux= P aux aux≃ 6Ploss E ⇒ E in ≃ 6Ploss E aux (5.11) per l'energia in ingresso nel sistema. Per quanto riguarda l'energia in uscita invece si può, osservando lo schema della centrale, scrivere che: E e =P e B =e [1− f P P nP loss ] B≃e [5− f P P loss ] B e quindi: E out = E e −E in ≃e [5− f P P loss ] B− 6Ploss E aux (5.12) Risolvendo quindi la disequazione di efficienza energetica (5.10), sostituendo a Ein ed Eout le rispettive equazioni date dalle (5.11) e (5.12), si ha: 111 aux e B P [5− f 1]≫1 12 E P loss É ragionevole supporre, visto che il reattore deve essere energeticamente conveniente, che la frazione f di Pα di energia necessaria a mantenere il plasma ignito sia piccola rispetto a 1 (diciamo f ~ 0,1); pertanto f sarà certamente trascurabile rispetto a 5. Inoltre, poiché in condizione di ignizione Pα è superiore a Ploss anche di diversi ordini di grandezza, il primo addendo della parentesi quadra sarà sicuramente dominante su 1. La precedente espressione la possiamo quindi approssimare in: aux e B P 5 ≫1 12 E P loss Dunque in definitiva possiamo ottenere come limite per il tempo di bruciamento: B ≫ 12 P loss E 5 P aux e Condizione che è sicuramente soddisfatta se: B ≫ E aux e Per fare una stima numerica, poiché τE ~ 1s, e ponendo per ipotesi ηauxηe ~ 0,01, otteniamo τB >> 100s. Se volessimo ottenere dall'impianto un rendimento R = 10 (Pout = 10Pin), allora la condizione richiesta sul tempo di bruciamento diventerebbe τB ≳ 1000s. Abbiamo così dimostrato che in una ipotetica centrale elettronucleare costruita sullo schema precedente, che sfrutti il calore prodotto dalle reazioni di fusione tra Deuterio e Trizio, delle dimensioni di ITER, e che presenti un fattore di guadagno R = 10, devono valere le seguenti condizioni: • nτ ≥ 1− 12 T 1− = F T f 5− f ε 〈 συ 〉 f 5− f I , con = x e aux~0,25 % ~10 • τ ~103 s 112 Ad una temperatura media di plasma T ≃ 20 keV, questa condizione corrisponde a richiedere densità n ~ 1020 particelle per m3. 5.4 - Progresso verso un efficace reattore a fusione Poiché l'efficacia di un reattore a fusione è valutabile, come si è visto, in base ai parametri nτ e T, spesso si utilizza il prodotto triplo nτT come indicatore del progresso fisico e tecnologico verso un reattore a fusione termonucleare energeticamente conveniente. In particolare, per poter raggiungere la condizione di ignizione in un plasma termonucleare, dovrà valere, in base all'equazione (5.5) nτT ≥F I T T Usando l'equazione (5.5) si sono implicitamente tralasciate tutte le relazioni ricavate e derivanti dalla necessità di una potenza ausiliaria, e dalla necessità di estrarre energia utile del plasma. A una temperatura di 20 keV, questa condizione si traduce in nτ E T ≥3,2⋅10 21 s keV m3 L'evoluzione storica del prodotto triplo nτT nei reattori a fusione sperimentali di tipo Tokamak è mostrata nel grafico seguente: 113 Un secondo fattore spesso utilizzato per esprimere l'efficacia energetica di un reattore, è il rapporto Q, definito da: Q= P fus P P n = P aux P aux Si vede così che la condizione di breakeven è definita da Q = 1, mentre la condizione di ignizione perfetta è definita da Q = ∞. In un reattore reale, che necessità di una certa potenza ausiliaria anche per plasma ignito, la condizione di guadagno energetico è definita da Q > 1; in particolare per ITER si stima che si potrà ottenere Q = 10. L'immagine seguente rappresenta le curve Q = 0,1, Q = 1, e Q = 10 in un grafico nτT – T, con i risultati sperimentali di una serie di Tokamak sperimentali, per due possibili miscele di combustibile. Si può osservare come la condizione di breakeven è una realtà ormai consolidata da diversi esperimenti, e con diverse miscele di combustibile. La macchina ITER dovrà dimostrare la possibilità di poter raggiungere condizioni prossime all'ignizione. 114 APPENDICE: CENNI DI FISICA DEL PLASMA A.1 - Definizione di stato di plasma La definizione più intuitiva di stato di plasma si può ricavare direttamente dalla sua natura: per trasformare un certo campione di materia nello stato di plasma è sufficiente alzare la sua temperatura fino a quando l'energia termica degli atomi è così alta che si 'spacchettano' in elettroni e nuclei, che proprio in virtù della loro elevata energia termica non si ricompongono. Abbiamo quindi che per ottenere lo stato di plasma, l'energia termica che tende a spacchettare la materia deve essere molto maggiore dell'energia elettrostatica che tende a tenerla unita; in formule: eΦ ≪1 KBT Per un plasma di Idrogeno (energia di ionizzazione per l'atomo di Idrogeno allo stato fondamentale = 13,6 eV) si raggiunge lo stato di plasma per KBT = 13,6 eV, cioè per T ≃ 105 gradi K. In realtà poi entrano in gioco anche dei processi di ricombinazione e quindi la temperatura necessaria per trasformare l'Idrogeno in stato di plasma è nell'ordine dei keV, cioè nell'ordine di 107 gradi K. A.2 - Lunghezza di Debye La lunghezza di Debye è la lunghezza scala fondamentale di un plasma: il comportamento di un plasma se valutato su lunghezze maggiori della lunghezza di Debye è profondamente diverso dal comportamento per lunghezze minori. Inoltre la maggior parte delle relazioni che si possono ricavare per un plasma sono esprimibili come funzione di tale grandezza. In tal senso possiamo metaforicamente dire che la lunghezza di Debye per un plasma assume lo stesso significato dell'ħ nella meccanica quantistica. 115 Il modo più veloce per derivare l'espressione della lunghezza di Debye è valutando il potenziale generato da una carica puntiforme all'interno di un plasma. Se una carica q puntiforme posta nel vuoto genera il potenziale: Φ r ~ q r la stessa carica posta in un plasma genera un potenziale sostanzialmente diverso. Infatti nel risolvere l'equazione di Poisson (espressa nel sistema di riferimento di Gauss): ∇ 2 Φ=−4πρ e dove ρe è la densità di carica elettrica, dobbiamo tenere conto non solo della carica puntiforme, ma anche delle cariche dovute al plasma stesso, che ricordiamo, è costituito da una miscela di ni ioni per m3, ne elettroni per m3 e nn atomi neutri per m3. Dunque l'equazione di Poisson si trasforma in: 2 ∇ Φ=−4πe n i−n e −4πqδr dove il primo addendo è appunto il termine dovuto alla carica del plasma, mentre il secondo è il normale termine della carica puntiforme. All'equilibrio termodinamico la distribuzione delle particelle cariche è la distribuzione di Boltzmann, per cui si ha che: n e =n 0 e − eΦ Te − , n =n e i 0 eΦ Ti dove n0 è la densità del plasma imperturbato dalla presenza della carica, e le temperature sono espresse in eV (cioè sono energie termiche, date dalla relazione KBT con T temperatura espressa in gradi K, e KB è la costante di Boltzmann). Dunque, sostituendo, si ha che: 2 − ∇ Φ=4πen 0 e eΦ Te − −e eΦ Ti −4πqδ r Sviluppando la soluzione per r ≠ 0, dove è posizionata la carica puntiforme, e approssimando con uno sviluppo di Taylor arrestato al primo ordine le funzioni esponenziali (per definizione di stato di plasma gli argomenti delle funzioni 116 esponenziali sono molto minori di 1), si ha che: ∇ 2 Φ=4πe 2 n 0 1 1 − Φ T e Ti Effettuando quindi la sostituzione λD= TeTi T e T i 4πn 0 e 2 l'equazione si trasforma in: 2 ∇ Φ= Φ λ2D che poiché il sistema è a simmetria sferica, e viste le condizioni al contorno fisiche (Φ → 0 per r → ∞, e Φ → q/r per r → 0), ammette come risultato: r q −λ Φ= e r D che è il potenziale generato da una carica puntiforme all'interno di un plasma. Il parametro λD è la lunghezza di Debye del plasma, che in approssimazione di temperatura ionica trascurabile rispetto alla temperatura elettronica (condizione praticamente sempre verificata per plasmi di laboratorio e interesse termonucleare) può essere scritto come: λD= T =7,43⋅103 4πn 0 e 2 T n0 Il valore numerico è riferito al caso in cui la densità sia data in m -3, la temperatura in eV e λD in m. Per i valori tipici del plasma di ITER (n = 10 20 m-3, T ≃ 13 keV), si ha che λD ≃ 27 · 10-6 m, che è un ordine di grandezza tipico, specialmente per i plasmi termonucleari. Abbiamo quindi che la lunghezza di Debye ha un significato molto importante: per r < λD il potenziale è come quello di una carica puntiforme posta nel vuoto, mentre per 117 r > λD il potenziale tende esponenzialmente a 0. Possiamo quindi dire che per r > λD la carica elettrica è schermata dal plasma, o più precisamente le particelle cariche del plasma hanno fatto da schermo elettrostatico, e la carica puntiforme, per r > λD, non è più percepibile. A.3 - Quasi neutralità dei plasmi É possibile determinare un secondo importante significato fisico per la lunghezza di Debye se consideriamo la proprietà di quasi neutralità del plasma. Possiamo infatti affermare che sotto opportune condizioni che determineremo, il plasma, nonostante sia composto da particelle cariche, è “quasi-neutro”. Supponiamo per assurdo che all'interno di una sfera di raggio L ci sia una non neutralità del plasma, cioè che la densità ionica ed elettronica differiscano di un certo valore n . Applicando il teorema di Gauss per il campo elettrico all'interno e all'esterno di tale sfera otteniamo l'espressione per il campo elettrico: 4 E L= πe n L≡E max 3 che è il picco massimo del campo. Confrontiamo quindi la massima densità di campo elettrico con la minima densità di energia termica: ε el E 2 /8π = ε th nT Con semplici passaggi algebrici e sfruttando la definizione di lunghezza di Debye si ottiene che: ε el λ D 2 n 2 =18 n ε th L 118 Per definizione di stato di plasma il rapporto tra densità di energia elettrostatica e energia termica è << 1, e per L >> λD, anche l'ultima termine del secondo membro è << 1; ne consegue che: n≪ n cioè che la differenza tra densità elettronica e densità ionica, se esiste, è trascurabile rispetto alle densità in questione. Tale proprietà si definisce, appunto, quasi-neutralità del plasma, e vale fin tanto che L >> λD. Possiamo quindi ora vedere la seconda importante proprietà della lunghezza di Debye: è la lunghezza scala oltre la quale possiamo affermare che vale la proprietà di quasineutralità del plasma. Per lunghezze L minori o uguali a λD invece la proprietà di quasi neutralità non è più soddisfatta. A.4 - Frequenza di plasma Il principio di quasi neutralità dei plasmi impone come conseguenza che in una certa colonna di plasma la concentrazione di carica portata dagli elettroni e dagli ioni sia praticamente uguale. Supponiamo quindi di considerare una colonna di plasma, e, per mezzo dell'applicazione di ad esempio un campo elettrico, di separare gli ioni dagli elettroni, in aperta violazione del principio di quasi neutralità del plasma; tale condizione è schematizzata nella parte alta della figura a lato, dove si è supposto che il blocco degli elettroni sia spostato di una certa lunghezza d rispetto agli ioni. Questa configurazione di carica genera un campo elettrostatico (mostrato nella parte bassa della figura) a cui è associata la forza elettrostatica: F e =4πn e e 2 d che tende a riunire i componenti del plasma ripristinando quindi la quasi-neutralità. 119 Possiamo quindi scrivere che un generico elettrone obbedirà all'equazione del moto: 2 me d̈ =−4πn e e d cioè l'equazione di un moto armonico semplice. Ovviamente il moto armonico semplice è solo una approssimazione del caso fisico reale, che sarà smorzato principalmente da fenomeni d'urto. La pulsazione del moto armonico considerato è : 4πn e e 2 T 1 υe ωe= = ≃ me me λ D λ D Per l'ultima uguaglianza si è sfruttato il fatto che l'energia termica T è pari a meυe2/2, con υe velocità termica degli elettroni. In modo analogo, gli elettroni eserciteranno una forza sugli ioni, che quindi tenderanno a muoversi verso gli elettroni con un moto armonico semplice con pulsazione: 4πn i Z 2 e 2 ω i= mi Si definisce quindi frequenza di plasma la somma delle frequenze elettroniche e ioniche. Si noti inoltre che ωi << ωe, poiché la massa ionica è molto maggiore della massa elettronica. Dunque per la frequenza di plasma vale la seguente relazione: ω p= ωe ω i≃ωe ≃ υe λD che è la pulsazione delle oscillazioni del plasma (o oscillazioni di Langmuir) intorno alla condizione di quasi neutralità. Si definisce inoltre il tempo caratteristico di separazione di carica: t p~ λD 1 ≃ ω p υe che è l'ordine di grandezza del tempo necessario perché all'interno di un plasma si ristabilisca la quasi neutralità dopo l'intervento della perturbazione che l'ha violata. 120 A.5 - Parametro di plasma Un'altra importante grandezza caratteristica dei plasmi è il parametro di plasma; la su definizione discende direttamente dalla definizione di plasma: eΦ≪T con T espressa in eV. Poiché la distanza media tra le particelle è data da n^(-1/3), abbiamo che la precedente relazione diventa: e 2 n−1 /3 ≪T Elevando il tutto alla 3/2, e applicando la definizione di lunghezza di Debye si ottiene: nλ 3D ≫1 La quantità a primo membro viene detta parametro di plasma ND e per esso vale dunque la relazione 3 nλ D =N D ≫1 Poiché tale relazione discende direttamente dalla definizione di plasma, la condizione ND >> 1 può essa stessa essere vista come una definizione di stato di plasma. Il parametro di plasma rappresenta approssimativamente il numero di particelle all'interno di una sfera di raggio λD nel plasma, e, per T in eV e n in m-3, per esso vale la relazione numerica N D=4,1⋅1011 T 3/ 2 n−1 / 2 Per i parametri di riferimento di ITER si ha che vale: 11 3/ 2 20 −1/ 2 N D=4,1⋅10 13000 10 ≃6,1⋅10 7 I plasmi che soddisfano la condizione ND >> 1 vengono detti plasmi ideali e sono plasmi completamente ionizzati; i plasmi che non soddisfano tale condizione sono plasmi non completamente ionizzati. Nella grafico seguente è riportata la funzione ND = 1 (in 121 rosso), e sono anche riportate le regioni di alcuni plasmi caratteristici; essi sono tutti plasmi ideali. Nella figura è anche riportata la linea (in blu) che delimita il limite dei plasmi quantistici: tutti i plasmi sopra la linea blu sono plasmi quantistici, cioè sono plasmi per cui vanno considerate gli effetti quantistici; viceversa, per i plasmi sotto la linea blu, gli effetti quantistici sono ininfluenti. Possiamo notare ancora che i plasmi quantistici sono tutti plasmi non completamente ionizzati. La linea dei plasmi quantistici è stata ricavata tenendo conto che, perché gli effetti quantistici siano trascurabili, le dimensioni del pacchetto d'onda di un elettrone, cioè la lunghezza d'onda di De Broglie, deve essere piccola rispetto alla distanza media tra le particelle. In questo modo si eliminano le interazione tra le funzioni d'onda delle particelle, e quindi si eliminano tutti gli effetti di interferenza quantistica. Si considerano solo delle dimensioni del pacchetto d'onda degli elettrone, e non di tutte le altre particelle presenti nel plasma, perché si suppone che gli ioni si possano considerare fissi rispetto agli elettroni, vista la loro massa sensibilmente maggiore. In formule questo si traduce in: − λ≪ n 1 3 1 e quindi − h ≪n 3 me υ termica Essendo l'energia termica degli elettroni data da 1 T = m e υ 2termica si ottiene la 2 2 2 3 relazione, che è la condizione di plasmi non quantistici: T ≫ h n . 2m e L'equazione precedente con il segno di uguaglianza è quella che origina la linea blu del grafico precedente. 122 A.6 - Moto di una particella in campo magnetico costante e uniforme Lo studio del moto collettivo di un plasma può esser effettuato mediante lo studio del moto di una singola particella carica all'interno dello stesso campo, e poi supponendo che tutto il plasma nella sua interezza si muova in modo uguale alla singola particella. Tale studio prende il nome di teoria delle orbite. Si tratta chiaramente di una forte approssimazione che non tiene conto di importanti fenomeni come ad esempio le collisioni tra le particelle, che tendono a creare una distribuzione isotropa di velocità. In ogni caso tali effetti in alcune situazioni possono essere ritenuti trascurabili, e quando non lo sono la teoria delle orbite comunque consente di interpretare correttamente alcuni fenomeni. Le equazioni del moto di una particella carica all'interno di un campo magnetico si possono derivare in qualunque condizioni di campi a partire dall'equazione della forza di Lorentz: υ × m υ̇ =q E B Dunque la forza di Lorentz agisce solo sulla componente della velocità perpendicolare al campo magnetico, e con verso dato dalla regola della mano destra. Per determinare le equazioni del moto, poniamo per ipotesi che il campo sia orientato lungo l'asse z, e che il campo elettrico sia nullo; la forza di Lorentz si riduce quindi a: ̇υ= qB υ ×uz m che esplicitando il prodotto vettoriale si traduce nelle equazioni: υ˙ x = qB υ m y υ˙y =− qB υ m x υ˙ z=0 Con una doppia integrazione, e con la sostituzione (frequenza di ciclotrone) Ω= ∣q∣B m si ottengono le equazioni del moto: 123 x= x 0 υ┴ sin Ωt Ω y= y 0 q υ┴ cos Ω t ∣q∣ Ω z =z 0υ║ t dove υ⊥ e υ║ sono rispettivamente le componenti perpendicolare e parallela al campo magnetico delle velocità iniziali della particella. Si può notare quindi che sul piano perpendicolare al campo la particelle segue un'orbita circolare con raggio r L= υ┴ υ┴ m = Ω ∣q∣B detto raggio di Larmor, mentre lungo la direzione del campo magnetico segue un moto rettilineo uniforme. La composizione di questi due moti genera una traiettoria elicoidale intorno alle linee di campo come mostrato nella figura a lato. Il segno della carica determina il senso dell'elica, in accordo con la regola della mano destra. La presenza di eventuali campi di forze (come un campo elettrostatico) o disuniformità di campo magnetico generano dei moti di deriva che si vanno a sommare a questo tipo di moto elicoidale. A.7 - Trasporto e autoassorbimento della radiazione Vogliamo studiare il problema dell'assorbimento da parte del plasma della radiazione da esso stesso emessa; in altre parole vogliamo studiare sotto quali condizioni il plasma è opaco alla radiazione da esso stesso emessa. Il principio fisico responsabile dell'autoassorbimento è quello per cui, in nessun caso, l'intensità di radiazione emessa da una sorgente ad una certa temperatura può superare quella del corpo nero alla stessa temperatura. Per cui, se abbiamo una qualunque sorgente che emette radiazione di intensità I(ν)', e se definiamo la temperatura Tcn come la temperatura del corpo nero che emette la stessa intensità di radiazione, abbiamo che Tcn è definita a partire dalla formula del corpo nero: 124 3 2h I υ = 2 c ' 1 e h k B T cn −1 Per basse frequenze l'esponenziale si può approssimare con uno sviluppo di Taylor al primo ordine, ottenendo: I υ' ~ 2 2 K B T cn c2 e si vede chiaramente come, a parità di intensità di radiazione emessa, Tcn cresce al diminuire di ν; per ν → 0 si ha che Tcn può diventare maggiore della temperatura effettiva della sorgente; questo però viola il principio per cui l'emissione della sorgente non può superare quella del corpo nero alla stesa temperatura. Concludendo, quindi, alle basse frequenze l'intensità della sorgente deve essere limitata da un meccanismo finora non considerato: il fenomeno dell'autoassorbimento della radiazione. Una trattazione più rigorosa e completa del problema necessita dell'introduzione delle equazioni del trasporto radiativo all'interno di un mezzo. Per farlo consideriamo la situazione fisica schematizzata nella figura seguente: dato un mezzo, nel nostro caso un plasma, confinante con il vuoto, facciamo incidere in un punto P della radiazione lungo un certa direzione P . Tale radiazione attraverserà il plasma, per uscire nel punto Q lungo la direzione Q . Vogliamo studiare l'evoluzione dell'intensità della , r , T) per ogni r della traiettoria della radiazione all'interno radiazione I(υ, del plasma. All'intensità della radiazione contribuiranno due fattori: • l'aumento dell'intensità dovuto all'emissione di radiazione da parte del plasma, con intensità j(υ, Σ, r, T), dove j è detto coefficiente di emissione o emissività • la diminuzione dell'intensità dovuto all'assorbimento della radiazione da parte 125 del plasma, con assorbimento di intensità pari a χI, dove χ(υ, Σ, r, T) è detto coefficiente di assorbimento. Allora considerando entrambe questi processi, la variazione di intensità lungo il tratto dl è dato dall'equazione del trasporto radiativo: dI = j− χI dl Introducendo la grandezza adimensionale τ =∫ χdl detta spessore ottico, da cui segue dτ = χdl , e dividendo l'equazione del trasporto radiativo per il coefficiente di assorbimento χ, si ottiene: dI j = − I ≡S −I dτ χ La funzione S è detta funzione sorgente. All'equilibrio termodinamico si ha che S è una funzione universale (detta funzione di Planck, P), per cui vale l'equazione: P= j χ eq = 2h 2 c 3 1 e h kB T −1 Tale relazione è detta legge di Kirchhoff. Il parametro fondamentale per andare a determinare l'entità dell'autoassorbimento della radiazione da parte di un plasma è lo spessore ottico τ, che determina l'opacità o la trasparenza del mezzo. Per τ >>1 il mezzo si dice otticamente spesso e risulta opaco alla radiazione che lo attraversa, mentre per τ <<1 il mezzo si dice otticamente sottile e risulta trasparente alla radiazione che lo attraversa. In generale lo spessore ottico dipende dalla spessore geometrico del materiale, dalla temperatura, ma soprattutto dalla frequenza della radiazione: in questo modo lo stesso materiale potrà risultare trasparente ad una certa radiazione, mentre sarà opaco per un'altra. L'importanza dello spessore ottico per determinare l'entità dell'autoassorbimento deriva dal fatto che se consideriamo un plasma all'equilibrio termodinamico e isotermo (dP/dl = 0), l'equazione del trasporto radiativo può essere scritta come: 126 d I −P =− I −P dτ Integrando tale equazione da P a Q, cioè sullo spessore fisico del plasma, si ottiene: I Q=I P e−τ P 1−e−τ e, volendo studiare il caso dell'autoassorbimento, cioè il caso in cui l'origine della radiazione sia interna al plasma, porremo I(P) = 0. In generale quindi si ha che, dato lo spessore ottico τ di un certo mezzo, l'intensità della radiazione che lo attraversa ha un andamento del tipo: I υ= P 1−e−τ da cui è evidente come per τ >> 1 l'intensità emessa è quella di corpo nero, cioè l'assorbimento della radiazione j è importante. Ricordando la definizione di spessore ottico: L τ =∫ χds 0 dove L è lo spessore geometrico del plasma, e supponendo il coefficiente di assorbimento costante, cioè il mezzo omogeneo, si ha che lo spessore ottico diventa: τ = χL Dalla legge di Kirchhoff segue che, per un plasma all'equilibrio termodinamico: 2 χ= j h c K T e −1 3 2h B Tale relazione vale, come abbiamo detto, solo per un mezzo in equilibrio termodinamico; in realtà viene ampiamente utilizzata anche in mezzi non in equilibrio applicandola in forma integrale, quindi su infinitesime porzioni di mezzo che saranno in equilibrio. L'emissività j, dipende dal tipo di radiazione, dalla natura della sorgente e dal mezzo, ed è in generale definita da: j=∫ dI dn dt 127 dove dn rappresenta la densità di un volume infinitesimo di plasma. La sua determinazione analitica è spesso molto complicata, poiché lo spettro delle intensità delle radiazioni può avere una forma molto complessa; nel caso di un plasma ideale (completamente ionizzato e con distribuzione maxwelliana) e per radiazione di bremsstrahlung assume la forma: h 2 Z 2 −k T j∝ n e G , T T B dove Z è il numero atomico dei nuclei del plasma, T la temperatura del plasma (supposto all'equilibrio termodinamico), e n la sua densità. L'ultimo termine è detto fattore di Gaunt, e per i plasmi di interesse termonucleare è una funzione lentamente variabile circa uguale a 1, che quindi trascureremo. Tale forma di emissività è valida per la maggior parte dello spettro elettromagnetico, e presenta sensibili deviazioni dall'emissività sperimentale solo per basse frequenze; per la nostra trattazione supporremo comunque questa formula valida su tutto lo spettro, e per ogni tipo di radiazione. In tal modo lo spessore ottico del materiale diventa: 2 h 2 − Z n K T τ∝ 3 1−e L T B Effettuando la sostituzione lo spessore ottico diventa: x= h kBT Z 2 n 2 h3 1−e−x τ∝ L T 7/ 2 x3 A parità di frequenza, cioè a parità di x, si può notare che lo spessore ottico del materiale cresce all'aumentare della densità e/o al diminuire della temperatura: questo vuol dire che a parità di ogni altro fattore, un plasma è opaco rispetto allo stesso plasma a densità maggiore e/o temperatura minore. Volendo studiare solo l'andamento dello spessore ottico in funzione della frequenza incidente, fattorizziamo il termine non dipendente dalla frequenza nella costante Y: 128 1−e−x τ x∝ Y x3 L'andamento di τ in funzione della frequenza è mostrato nella figura a lato. La qualitativa conclusione importante da questo studio è il comportamento profondamente diverso del plasma al variare di x. Sull'asse delle ascisse si può identificare un punto cospicuo in cui τ = 1, cioè un punto di turn over tra mezzo trasparente e opaco. Tale punto è individuato dalla soluzione dell'equazione: 1−e−x x 3t t 1=CY dove C è un'opportuna costatante adimensionale che non si è specificata. Per i plasmi di interesse termonucleare tale valore è un numero compreso tra 0 e 1 e nell'ordine di 10-2. Per cui possiamo quindi concludere che: x → 0 implica τ >> 1: per frequenze di radiazione tali per cui i fotoni emessi hanno energia molto minore dell'energia termica del plasma, e quindi in generale per basse frequenze, il plasma si presenta come un mezzo opaco x → ∞ implica τ << 1: per frequenze di radiazione tali per cui i fotoni emessi hanno energia molto maggiore dell'energia termica del plasma, e quindi in generale per alte frequenze, il plasma si presenta come un mezzo trasparente. 129 Bibliografia [1]: B. POVH, K. RITH, C. SCHOLZ, F. ZETSCHE, “Particles ad Nuclei”, p.18 [2]: G. 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