Stelio W. Venceslai Geopolitica per capire INDICE

Stelio W. Venceslai
Geopolitica per capire
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INDICE
Cap. I - Lo scenario.
1.1 – La crisi economica.
1.2 – La crisi politica
1.2.1 – Gli Stati Uniti.
1.2.2 – L’Europa.
1.3 – La crisi dei valori.
Cap. II – Il declino dell’Occidente europeo.
Cap. III - L’Estremo Oriente.
3 .1 –La questione orientale.
3.1 – La Cina.
3.2 – Il Giappone.
3.3 – La Corea del Nord.
Cap. IV – Il Medio Oriente.
4.1 – Un’area contestata.
4.2 – Israele.
4.3 - Iraq.
4.4 - Siria.
4.5 - I non Stati.
4.5.1 - Il Kurdistan.
4.5.2 - Il Califfato islamico.
4.6 - Gli altri comprimari.
4.6.1 - La Turchia.
4.6.2 - L’Arabia Saudita.
4.6.3 - L’Iran.
Cap. V – L’Africa.
5.1 – Lo scenario africano.
5.2 - Gli Stati costieri del Mar Rosso.
5.2.1 – La Somalia.
5.2.2 – L’Eritrea.
5.3 - Gli Stati costieri dell’Oceano Atlantico.
5.3.1 – La Nigeria.
5.3.2 – Mali.
5.3.3 – Niger.
5.4 - Gli Stati centrali francofoni.
5.5 - Gli Stati costieri del Mediterraneo.
5.5.1 – La presenza araba.
5.5.2 – Egitto.
5.5.3 –Libia.
5.5.4 – Tunisia.
Cap. VI – L’Europa.
6.1 – Europa geografica ed Europa politica.
3
6.1 – L’Oriente europeo.
6.1.1 – L’Ucraina.
6.1.2 – Le ragioni del contendere.
Cap. VII – I punti caldi del pianeta.
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1 - Lo scenario.
Occorre un’analisi obiettiva delle grandi trasformazioni in corso nello scenario
internazionale (in Medio ed Estremo Oriente, in Africa ed Europa) per comprendere meglio
le linee di tendenza della crisi politica ed economica mondiale che stiamo vivendo.
Non c’è solo una geopolitica fatta di geografia, di economia e di politica (guerre e
paci) connessa alla situazione dei luoghi. Esiste una geopolitica fisica dei fiumi, dei mari,
delle montagne e del deserto, tutti aspetti pressoché irreversibili. La mano dell’uomo,
l’homo faber, ha portato ad alcune mutazioni strutturali (canali di Suez e di Panama) ma
per quanto importanti siano state, poco o nulla è cambiato nell’assetto geografico del
pianeta, mentre molto è mutato sul piano dell’evoluzione demografica ed economica delle
popolazioni connesse ai luoghi.
La geografia condiziona la politica e l’economia e, dunque, gli uomini e la loro
storia. Quando la geografia non risponde alle loro necessità, gli uomini si spostano. La
politica ne precede e ne segue i cambiamenti.
Le grandi migrazioni non hanno cambiato la geografia ma la storia. Se
consideriamo l’importanza dei commerci, in pieno sviluppo da almeno 3000 anni a.C., così
come possiamo desumerlo dai reperti archeologici, gli esseri umani si sono sempre
avvalsi delle condizioni naturali del pianeta per spostarsi, per navigare, per commerciare,
per conquistare o, più semplicemente, per emigrare verso luoghi più favorevoli ai loro
insediamenti.
La grande pianura sarmatica ha favorito l’emigrazione dei Variaghi dalle regioni
fredde del Nord verso la Russia e la Crimea, le grandi invasioni dei Mongoli, dei Tartari,
degli Unni sono avvenute lungo la via della seta, le migrazioni dei Barbari verso l’Impero
romano hanno seguito il corso del Danubio e del Reno fino alle calde terre mediterranee.
L’uomo occidentale ha cambiato la storia dell’umanità nell’ultimo millennio,
improntando di sé il mondo conosciuto. Ma il pianeta di oggi, con quasi 8 miliardi di essere
umani, è molto diverso da quello all’epoca dell’espansione coloniale europea. La via
occidentale dell’evoluzione sociale è solo uno dei tanti percorsi della storia, forse
addirittura in declino.
La geopolitica condiziona l’umanità per la tutela dei propri interessi. Là dove le
risorse energetiche sono cospicue o dove si sviluppano le rotte navali o fluviali più
importanti, ivi si svolgono gli accadimenti che mutano la storia. Per converso, le montagne
sono barriere invalicabili se non con grandi sacrifici umani. L’impresa di Annibale e,
parecchi secoli dopo, quella di Napoleone, che varcarono le Alpi, stupirono il mondo.
Il mare, poi, è stato fondamentale per le comunicazioni tra popoli diversi,
lontanissimi fra loro. La scoperta della regolarità dei monsoni, che per sei mesi soffiano in
un senso e per altri sei mesi in un altro, permise traffici e spostamenti dall’Africa all’India
fino all’ancor più lontana Cina e viceversa.
Gli stessi deserti, questi grandi spazi apparentemente vuoti e privi di vita 1, sono
stati teatro di spostamenti epocali, con lunghe carovane cariche di persone, di viveri e di
beni da commerciare, soprattutto le preziosissime spezie, che li hanno attraversati in tutti i
sensi, seguendo piste millenarie tracciate dai piedi degli uomini e dagli zoccoli dei
cammelli.
Tutto questo, oggi, ci sembra facile e quasi ovvio: gallerie, viadotti sottomarini, treni
superveloci, grandi arterie stradali ed aerei, hanno accorciato gli spazi, ridotti i tempi e
facilitato, in una dimensione globale, l’integrazione umana. Ciò nonostante, il mondo è in
tensione e, in un certo senso, il miglioramento incredibile dei mezzi di comunicazione
1
I Tuareg, nella loro lingua, chiamano il deserto: teneré, il nulla.
5
(basterà pensare allo sviluppo delle reti telematiche), paradossalmente, acuisce i
problemi, genera conflitti, e fa intravedere paurosi scenari di guerra arricchiti dalla
minaccia nucleare.
Paesi un tempo sconosciuti si affacciano nella Comunità internazionale e chiedono
spazio, Paesi tradizionalmente forti sono in declino e la risposta dell’Occidente, che in
gran parte è stato responsabile dell’attuale sviluppo tecnologico del pianeta, quasi sempre
è ambigua se non addirittura inesistente. In verità, la difesa del proprio benessere, spesso,
si traduce o nell’indifferenza o nell’impotenza della mediazione a tutti i costi.
La difficoltà di capire certi accadimenti geopolitici di oggi non dipende tanto dalla
complessità degli eventi quanto dalla nostra capacità di ragionare secondo una mentalità
non europa-centrica. Siamo geneticamente convinti che il mondo occidentale sia il
parametro di riferimento del mondo sotto ogni punto di vista: economico, politico, sociale,
religioso, militare.
Purtroppo non è così. In un pianeta dove vivono quasi 8 miliardi di persone 2 ,
l’Europa da sola conta meno di un settimo. La tabella che segue dà un’idea, in
percentuali, della distribuzione storica e futura della popolazione mondiale.
Tabella 1 - Distribuzione storica e futura della popolazione mondiale (% sul totale).
Anni
1750
1800
1850
1900
1950
1999
Mondo
100
100
100
100
100
100
Africa
13,4
10,9
8,8
8,1
8,8
12,8
Asia
63,5
64,9
64,1
57,4
55,6
60,8
Europa
20,6
20,8
21,9
24,7
21,7
12,2
America Latina e Caraibi
2,0
2,5
3,0
4,5
6,6
8,5
Nord America
0,3
0,7
2,1
5,0
6,8
5,1
Oceania
0,3
0,2
0,2
0,4
0,5
0,5
Come si vede, il peso della componente occidentale (Europa, America latina e
Caraibi, America del Nord) arriva, al massimo, al 23% del totale della popolazione futura al
2050.
Se si considera, poi, il fattore religioso, spesso considerato come particolarmente
qualificante, la situazione è la seguente.
Tabella 2 – Ripartizione per credenti
Religione
Buddhismo
Cristianesimo
Hinduismo
Islam
Religioni tradizionali cinesi
Numero di seguaci
(in milioni)
488
2 200
1 100
1 800
754 — 1 000
In sostanza, su 2.2 miliardi di Cristiani nel mondo ce ne sono 4.5 di non cristiani.
Questi dati obbligano ad una riflessione profonda perché, attualmente, il punto di vista
2
Secondo nuove stime delle Nazioni Unite, la popolazione complessiva del pianeta dovrebbe raggiungere i 9
miliardi nel 2050.
2050
100
19,8
59,1
7,0
9,1
4,4
0,5
6
europeo non è l’unico, ma uno dei possibili punti di vista, ed è solo il risultato di un
processo che ha visto storicamente prevalere l’Europa sul resto del mondo.
2 – Il declino dell’Occidente europeo.
Il declino dell’Occidente è iniziato con la prima guerra mondiale e con il
coinvolgimento degli Stati Uniti nelle guerre europee. Il nuovo assetto del pianeta,
conseguente alla pace di Versailles, vide la fine di quattro grandi Imperi europei che, fino
allora, avevano deciso le sorti del mondo: l’austriaco, il tedesco, il russo e turco.
Le grandi potenze residuali (soprattutto Francia ed Inghilterra) si spartirono il
mondo. Questa situazione non durò molto a lungo. Una nuova grande guerra europea,
vent’anni dopo, mise definitivamente in crisi l’assetto europeo e le sue propaggini coloniali
in Africa, in Asia ed in Medio Oriente.
Due nuove grandi potenze emersero da questo conflitto, la Russia sovietica, che
aveva pagato il maggior contributo di sangue, e gli Stati Uniti che, con il loro sforzo bellico,
avevano rovesciato le sorti della guerra, trasformandosi in un vero e proprio impero con
interessi planetari.
La situazione di stallo nucleare verificatasi dopo la seconda guerra mondiale, con la
guerra fredda tra le due potenze imperiali, permise all’Europa di ripensare a se stessa, in
termini molto meno ambiziosi. L’Occidente europeo si consolidò nella Comunità europea,
rinunciando, di fatto, a qualunque politica estera e di difesa, ponendosi sotto l’usbergo
politico-militare-americano. I Paesi dell’Est europeo, per parte loro, fecero altrettanto sotto
il dominio sovietico. Non fu un miglioramento della situazione, ma i due blocchi,
nonostante tutto, determinarono un equilibrio politico-militare che conservò per decenni la
pace, anche se con molte tensioni (il muro di Berlino, la missili sovietici a Cuba,
l’abbattimento dell’U2 americano nello spazio aereo russo). Nel frattempo, la
decolonizzazione, resa inevitabile dal coinvolgimento politico delle etnie locali, spezzettò
l’Africa, rispettando criteri e frontiere disegnati a suo tempo dagli interessi delle ex potenze
coloniali.
Il crollo del muro di Berlino e la dissoluzione dell’Unione Sovietica rimisero in gioco
vecchi e nuovi appetiti, in Europa ed altrove. Decine di nuovi Stati si formarono, con regimi
solo in parte democratici, in Africa,
La potenza imperiale americana, dati i suoi interessi globali, si è trovata impegnata
su vari fronti senza poter raggiungere i propri obiettivi. In Corea, il risultato di una guerra
sanguinosa fu il ristabilimento delle frontiere precedenti, in Vietnam, alla disfatta francese
seguì il crollo del regine sudvietnamita e la sconfitta americana, in Afghanistan, dopo un
fallito tentativo calmieratore dell’Unione Sovietica, intervennero gli Stati Uniti e, tuttora, vi
sono dentro, intrappolati dalle loro stesse ambizioni.
Seguirono poi le due guerre del deserto, per abbattere il regime di Saddam Hussein
in Iraq, e la situazione lasciata dagli Americani è diventata torbida e pericolosa per la
debolezza di quello Stato e per l’insorgere di una nuova, grave minaccia da parte del
sedicente Califfato islamico. Infine, in Siria, Paese satellite del nuovo regime russo, la
politica americana si è trovata invischiata nelle lotte intestine fra i gruppi oppositori di
Bashar Assad e l’inquietante presenza russa nel Mediterraneo. In sostanza, la funzione
imperiale degli Stati Uniti (il poliziotto del mondo) è venuta meno.
La Federazione russa, con la dissoluzione dell’URSS, dopo aver perduto quasi tutti
i suoi ex satelliti europei, ad eccezione della Bielorussia, si è trovata a dover affrontare la
rissosità dei nuovi Paesi formatisi in Caucaso e lungo l’antica via della seta. L’esercito
russo è intervenuto pesantemente più volte per ristabilire la pace in quei territori la cui
economia continua a gravitare verso Mosca.
7
Le altre potenze ex coloniali, dopo qualche inutile fiammata d’entusiasmo (vedi
l’avventura di Suez o la guerra delle Falkland), si sono dedicate ai loro commerci, forti
dell’alleanza con gli Stati Uniti, rinunciando, di fatto, a svolgere un qualunque ruolo
efficace nel mondo.
Nel frattempo, in Medio Oriente, la nascita d’Israele ha determinato un conflitto
permanente con gli Stati arabi confinanti e, soprattutto, con i Palestinesi. L’appoggio
occidentale ha salvato Israele dal rischio d’essere sommerso dalla reazione araba e
musulmana in genere. Ma la situazione, in Palestina, è una tuttora una ferita aperta.
In Oriente sono emerse tre grandi potenze:
 il Giappone, dopo la sconfitta, che è esploso dal punto di vista industriale,
affermandosi come uno dei Paesi più importanti del mondo sotto il profilo
tecnologico;
 l’India, dopo la decolonizzazione, la sanguinosa separazione del Pakistan,
notevoli contrasti con la Cina ed il conflitto con il Pakistan (Kashmir), si è
dedicata, prevalentemente, alla soluzione delle sue numerose e complesse
questioni interne;
 la Cina, dopo la guerra civile contro i nazionalisti di Chanh Kai Schek e
l’inglobamento del Tibet, ha riacquistato Hong-Kong (il cui affitto all’Inghilterra
per cent’anni era scaduto) ed ha instaurato rapporti di sopportata tolleranza con
Taiwan, ultimo residuo della Cina nazionalista sconfitta da Mao Tse Dung. La
Cina, con il suo immenso potenziale umano e dopo la fine di Mao, ha scoperto
l’economia di mercato, diventando un partner commerciale mondiale di
primissima importanza;
C’è poi la questione dell’espansionismo russo (Crimea, Ucraina, Siria) e di quello
cinese (Africa). In quest’ultimo continente (un miliardo e mezzo di persone) è forse il
nucleo più complesso e foriero di enormi sviluppi per il futuro.
Il pianeta è pieno di punti sensibili (i nuovi Paesi, formatisi dopo la dissoluzione
dell’Unione Sovietica, il ristagno giapponese ed il vuoto siberiano in Estremo Oriente, la
Corea del Nord). Altri punti sensibili sono la permanente crisi israelo-palestinese, la
nuclearizzazione iraniana, la diaspora religiosa in Iraq e Siria, la questione kurda e
l’insofferenza araba, altrettanti indicatori di un’evoluzione profonda3.
Come si vede, l’Occidente europeo è ”fuori”, ingabbiato in una Unione economica,
una comunità d’affari tra l’altro in crisi.
A ciò aggiungasi la crisi economica in corso che ormai da diversi anni sta
devastando l’intero pianeta. Non è questa la sede per un’analisi del fenomeno finanziario
che ne è all’origine.
La geopolitica aiuta a capire, non certo a risolvere i problemi, ma come diceva
Spinoza: primum, intelligere.
3 - L’Estremo Oriente.
3.1 – La Cina.
In Cina, l’espansione economica sta segnando un forte rallentamento dopo
l’impetuoso sviluppo dell’ultimo decennio. Il passaggio graduale ad un’economia di
mercato, ma con la sussistenza di una forte presenza pubblica, è stata una vera e propria
rivoluzione, molto più “culturale” e penetrante di quella propugnata dal libretto rosso,
quanto agli effetti socio-economici-culturali.
3
Cfr. Innocenti, Ottaviano: Fiamme su quattro continenti, Pan ed., Milano (1981)
8
Uno sviluppo così accelerato ed imponente ha provocato una crescita del
benessere senza precedenti, con tutti mali connessi conseguenti: urbanizzazione,
inquinamento,
domanda
di
prestazioni
sociali,
diritti
umani,
crescente
internazionalizzazione, aumento della domanda interna.
Per una serie di ragioni che qui sarebbe troppo complesso individuare, lo sviluppo
cinese sta rallentando e la moneta, lo yuan, è in un processo di lenta e graduale
svalutazione, il comporta effetti pesanti sull’intera economia mondiale, dato l’impatto di
quel gigante economico che è la Cina.
I problemi politici di Pechino sono essenzialmente relativi all’area asiatica, con
particolare riferimento ai rapporti con il Giappone e con la Corea del Nord.
3.2 – Il Giappone.
Antagonista della Cina da sempre, il Giappone è un gigante industriale che è
riuscito per molti anni a primeggiare nella tecnologia e nell’innovazione, avamposto
americano di tutto rispetto. Attualmente, esiste una situazione di equilibrio, con qualche
contenzioso circa il possesso di alcune isole nell’Oceano Pacifico 4 , rivendicate sia da
Tokio sia da Pechino.
L’economia giapponese è attualmente in ristagno (con una diminuzione del PIL di
1.40 punti) anche perché il Paese invecchia e mutano le necessità interne. Dopo gli
imponenti sviluppi tecnologici dell’industria giapponese, la situazione è profondamente
cambiata, pur restando sempre il Giappone un gigante dell’economia mondiale.
Le vere tensioni politiche in corso sono con la Corea del Nord, che rappresenta un
problema per tutta l’area.
3.3 – La Corea del Nord.
La Corea è sempre stata un elemento di contrasto nei rapporti fra Cina e Giappone.
Dopo la guerra di Corea (1950-1953), nella quale solo l’appoggio cinese e l’amicizia con la
Russia sovietica salvarono il regime di Pyongyang dalla disfatta, la Corea del Nord si è
chiuso in un rigoroso isolamento, gestito da una dittatura feroce, nominalmente comunista,
ma sostanzialmente teocratico-famigliare.
Alla morte del leader Kim Il-sung (1994), il Presidente eterno5, infatti, è succeduto il
figlio Kim Jong-il, il Caro Leader, morto nel 2011, la cui successione è stata presa dal
terzo figlio, Kim Jong-un, il Brillante Compagno, un giovanotto della cui ferocia sono pieni i
giornali asiatici6.
Il livello di vita nel Paese è condizionato dalle sanzioni e dagli embarghi imposti
dall’Occidente, dalla fortissima corruzione della classe dirigente, tale da essere
annoverato al secondo posto tra i Paesi del mondo con la più alta corruzione percepita7, e
4
Queste isole, solitamente concernenti interessi di tipo economico (giacimenti di petrolio o di gas), sono le isole
Curili (in contestazione con la Russia), le rocce di Liancourt (in contestazione con la Corea del Sud) e le isole Senkaku
(in contestazione con la Cina e Taiwan).
5
Su questo personaggio si veda la stucchevole biografia agiografica, scritta quando il protagonista era ancora in
vita: Breve storia dell’attività rivoluzionaria di Kim Il Sung, edito dall’Istituto di Storia del Partito del Lavoro di Corea,
stampato in Italia, probabilmente, agli inizi degli anni 70.
Avrebbe fatto sbranare da cani affamati da cinque giorni quindici ufficiali nordcoreani, rei d’essersi ubriacati
durante le commemorazioni funebri del padre. Il Capo di Stato Maggiore dell’esercito, reo d’essersi addormentato
durante un suo discorso, sarebbe stato per questo condannato a morte ed ucciso con un colpo di cannone antiaereo.
6
7
Secondo il rapporto 2014 di Trasparency International, la Somalia è al primo posto nella lista dei Paesi più
corrotti del mondo.
9
dall'isolamento politico ed economico acuitosi dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica,
suo grande sponsor in alternativa alla Cina.
Inoltre, il rispetto dei diritti umani è uno dei più bassi del mondo8. Ciò, insieme ai
contrasti con la Corea del Sud per la reciproca rivendicazione dell'intera penisola, è causa
di forti tensioni con il mondo occidentale, schierato a difesa della democrazia sudcoreana.
La politica nordcoreana è sempre stata particolarmente aggressiva nei confronti del
resto del mondo, ad eccezione di Cina ed Iran. La quarta esplosione nucleare,
sbandierata come bomba all’idrogeno, ed il lancio di un satellite nello spazio, dimostrando
una capacità missilistica tale da poter colpire gli Stati Uniti e l’Europa, sono stati
recentemente fonte di gravissime preoccupazioni per gli USA, il Giappone e la Corea del
Sud, al punto da spostare la flotta americana del Pacifico nel Mar Giallo. Ciò infastidisce la
Cina, che non gradisce l’attivismo nordcoreano alle sue frontiere, anche per evitare una
presenza nordamericana troppo ingombrante in prossimità delle sue coste.
In sostanza, la Corea del Nord è uno dei possibili punti di frizione nell’Estremo
Oriente, anche a causa dell’evidente follia del suo giovanissimo ed imprevedibile leader.
4 – Il Medio Oriente.
4.1 – Un’area contestata.
Tutta la regione, dal lontano Pakistan alle coste del Mediterraneo, è in fibrillazione
da molti anni. Le origini di questa situazione sono tanto religiose quanto politiche ed
economiche.
Questa vasta area, già cristiana ed ortodossa, è oggi essenzialmente islamica, con
limitati gruppi di Cristiani appartenenti a confessioni diverse (come i Nestoriani ed i Siriaci)
ed una ancor minore presenza ebraica (Siria ed Iraq).
Fondamentalmente, i Musulmani sono divisi tra Sciiti e Sunniti, che sono la
stragrande maggioranza degli Islamici (circa il 90%), ma numerose sono le diverse
osservanze esistenti (Alawiti, Drusi, Yazidi, Wahhabiti, Ismailiti e molte altre).
Politicamente, le frontiere furono tracciate in base alle decisioni delle potenze
occidentali dopo lo sfacelo della Sublime Porta, alla fine della 1° guerra mondiale, frontiere
tracciate con riga e compasso, in funzione dei vari interessi inglesi e francesi, senza
tenere in alcun conto tradizioni, affinità storiche e linguistiche, in tal modo creando sulla
carta degli Stati fantoccio, tipo Iraq e Transgiordania, creati dal nulla.
Ciò è stato determinato dal fatto che questa regione, economicamente, è una delle
più ricche del mondo.
Già fondamentale centro dei traffici dall’Oriente ad Occidente (spezie, sete, profumi,
Per chi volesse approfondire i ”misteri” della vita quotidiana nordcoreana, si veda Lee, Hyeansoeo: La ragazza
dai sette nomi, Mondadori ed., Milano (2015).
8
10
articoli di lusso), questo territorio è straordinariamente ricco di giacimenti petroliferi e di
gas, il che ha scatenato, a suo tempo, gli appetiti delle grandi potenze e, per loro, delle
multinazionali.
4.2 – Israele.
Il primo elemento di tensione nell’area, storicamente, è stato la costituzione dello
Stato d’Israele, nel 1948, con la conseguente opposizione del mondo arabo in difesa degli
interessi palestinesi. Sono note le diverse guerre che ne sono seguite, con l’Egitto, la Siria
e la Giordania, la costituzione dell’entità palestinese, l’occupazione della parte meridionale
del Libano, l’intifada, gli scontri sulla Striscia di Gaza e così via.
Israele dispone, quasi certamente, di armi nucleari ed è l’unico Paese dell’area ad
averne, ad eccezione, forse dell’Iran, se le avrà, in futuro, dopo l’accordo con gli USA.
La Palestina da molti anni è un focolaio di crisi determinato dal reciproco
irrigidimento delle parti.
4.2 - Afghanistan.
Il secondo elemento di tensione nell’area è dato dall’Afghanistan. Più propriamente,
non si tratta di uno Stato mediorientale, ma le sue vicende s’intrecciano fatalmente con
quelle del Medio Oriente.
Rovesciata a suo tempo la monarchia (1973), la nuova Repubblica è stata oggetto
di forti tensioni massimalistiche, politiche e religiose. Dopo l’invasione russa, durata circa
un decennio (1979-1989), nel cui corso persero la vita due milioni di Afghani e 14.000
soldati russi, sono subentrati gli Americani (2003), con una coalizione internazionale antiterrorista, ma il Paese non è assolutamente pacificato. I Talebani dominano il territorio
confinante con il Pakistan, con un intenso scambio di armi e combattenti, fonte di tensione
in Pakistan, dove resiste un regime militare ancorato agli Stati Uniti.
Il Governo di Kabul è molto debole, non è in grado di controllare l’intero territorio
nazionale al punto che sta trattando con i Talebani per un governo di coalizione, ma le
truppe occidentali sono ancora nel Paese e continuano le stragi, i kamikaze, le distruzioni.
4.3 - Iraq.
Il terzo elemento esplosivo è l’Iraq. Le due guerre del Golfo, volute dai Bush, hanno
detronizzato Saddam Hussein, che governava da 25 anni, ma non hanno né pacificato il
Paese né stabilizzato il nuovo sistema. Il dissidio profondo tra Sciiti e Sunniti rimane, il
nord est del Paese è, in pratica, in mano ai Kurdi, e l’autorità del Governo centrale è molto
debole. Il nuovo esercito iraqeno, addestrato dagli Americani, non ha dato buona prova di
sé, almeno all’inizio della lotta contro la ribellione che è poi sfociata nell’ISIS e nel Califfato
islamico.
Attualmente il governo di Baghdad controlla solo una parte del Paese: nel nord ci
sono i Kurdi, praticamente autonomi, nel Sud la popolazione è a prevalenza sciita, il
Califfato è pressoché alle porte della capitale e si è impadronito della maggior parte dei
pozzi e degli impianti petroliferi del Paese.
4.4 - Siria.
Il quarto elemento di crisi è dato dalla Siria.
Il regime di Bashar Assad è stato messo in crisi da una rivolta originata
dall’opposizione democratica (2011), sulla scia della cosiddetta primavera araba, cui si è
11
aggiunta, prevalendo poi, una componente islamica, divisa in molte fazioni, tra loro in
contrasto.
L’appoggio occidentale alla guerra civile contro Bashar è contrastato dalla Russia,
suo alleato tradizionale. Almeno sulla carta Russia sia Occidente sono unite contro le
forze dell’ISIS che hanno occupato all’incirca la metà del territorio siriano 9, compiendo
stragi nei confronti di Yazidi, Cristiani e Sciiti, e distruzioni anche dei siti archeologici
(Palmira).
Difficilissimi negoziati internazionali, sotto l’egida dell’ONU, in queste ultime
settimane, sono arrivati ad un accordo per il cessate il fuoco in Siria, escludendo peraltro
la lotta contro il Califfato, al fine d’istituire delle zone franche dove radunare i rifugiati e dar
loro i primi soccorsi. È arduo immaginare che ciò possa portare ad una conclusione dei
vari conflitti in corso.
4.5 - I non Stati.
In questo contesto tanto confuso quanto sanguinoso (sono almeno 4 milioni i
profughi siriani), s’inseriscono altri due elementi di crisi, i Kurdi e l’ISIS, cui si aggiunge il
ruolo, peraltro non meglio decifrabile, della Turchia.
4.5.1 - Il Kurdistan.
I Kurdi, una popolazione fra i 40 ed i 50 milioni di abitanti, da sempre privi di un loro
Stato, sono alla ricerca di un’unità territoriale, politica e linguistica, dispersi fra Iraq,
Turchia, Siria ed Iran10.
In Iraq, di fatto, si è creata un’entità statuale indipendente, peraltro non riconosciuta
ma accettata, visto l’impegno kurdo contro l’ISIS che, dove può, cerca di sterminarli.
In Siria, l’enclave kurda ha resistito vittoriosamente contro il Califfato, ma è
bombardata dagli aviogetti turchi mentre, in Turchia, l’etnia kurda continua ad essere
perseguitata e, spesso, oggetto di raid aerei.
4.5.2 - Il Califfato islamico.
L’ISIS è un fenomeno nuovo, ma che si è inserito prepotentemente nel contesto
mediorientale, sconvolgendo gli equilibri politici esistenti. Rigorosamente sunnita,
foraggiato dapprima dagli stock di armi americane lasciate al nuovo esercito iraqeno, e da
questo abbandonati, e da risorse finanziarie dell’Arabia Saudita e del Qatar, impadronitosi
dei principali pozzi petroliferi della regione, dispone in quantità di risorse finanziarie, di
armi e di uomini, con una forte affluenza di combattenti stranieri (i foreign fighters),
provenienti dal mondo islamico occidentale.
Rapidamente, l’ISIS è riuscito a controllare un ampio territorio fra l’Iraq e la Siria,
proclamandosi nuovo Califfato islamico ed estendendo le sue braccia nello Yemen, in
Somalia, nel Sinai egiziano, in Libia ed in Nigeria (le cosiddette cinque “province” del
9
Le forze aeree occidentali (prevalentemente USA) hanno condotto fino ad ora circa 15.000 raid aerei contro
l’ISIS, mentre i Russi ne hanno fatti più di 50.000. Nella guerra contro la Serbia, in due settimane, la Nato effettuò
39.000 missioni. Questo dà un’idea del blando impegno americano in Medio Oriente.
10
Sui problemi del Kurdistan, un Paese che non esiste sulla carta geografica, si veda: Darwish, Alan: Kurdistan,
Ediesse ed., Roma (1992).
12
Califfato)11.
4.6 - Gli altri comprimari.
4.6.1 - La Turchia.
Il ruolo della Turchia, Paese schierato con l’Occidente, membro della NATO e
candidato all’Unione europea, è piuttosto incerto. La sua politica, almeno in questo
momento, pur essendo indecifrabile e contraddittoria, è caratterizzata da un forte contrasto
con la Russia di Putin e con la Siria di Bashar Assad.
Dalle frontiere turche filtrano milioni di profughi, parte dei quali s’imbarca poi per la
Grecia, spesso finendo miseramente in mare.
Oppositore di Bashar Assad, il governo turco mira al suo abbattimento ed a
sostituirsi alla massiccia influenza politica dei Siriani in Libano. Inoltre, in via di principio,
sarebbe contrario al Califfato, che combatte contro Bashar Assad, ma i suoi aviogetti
bombardano più gli accampamenti kurdi in lotta con l’ISIS che le formazioni militarti
dell’ISIS.
I Russi, invece, stanno bombardando contemporaneamente le postazioni dell’ISIS e
quelle delle fazioni che si oppongono a Bashar Assad e ad il Califfato, per sostenere il
governo siriano. Sono, però, in contrasto con i Turchi (e gli Americani) circa il destino della
Siria, ma in accordo (teorico) con questi ultimi nei confronti del Califfato. Il recente
abbattimento nei cieli turchi di un aviogetto russo uscito di rotta non ha facilitato la
situazione.
D’altro canto, gli Occidentali sono contro l’ISIS, si coordinano con i Russi, ma
vogliono il rovesciamento di Bashar. Un pasticcio inestricabile.
4.6.2 - L’Arabia Saudita.
Per capire meglio l’ISIS e le prospettive del mondo arabo contro il Califfato, si veda: AA.VV.: La strategia
della paura, in Limes, Rivista italiana di geopolitica, n. 11 (2015).
11
13
Il ruolo dell’Arabia Saudita, alleato tradizionale degli Stati Uniti, almeno in passato è
stato anch’esso molto ambiguo. I Saudiani hanno finanziato molte azioni terroristiche di alQaeda e del suo leader storico, Osama Bin Laden, che era cittadino saudita.
Successivamente, hanno alimentato il Califfato, in concorrenza con il Qatar che aspira a
sostituirsi all’Arabia saudita nel ruolo di guida del mondo islamico.
Quando l’intraprendenza del Califfato è esplosa nell’Yemen, Paese satellite ai
confini sauditi, c’è stato un cambio di rotta. Truppe saudiane combattono nello Yemen
contro la parte sciita del Paese e contro le infiltrazioni dell’ISIS. I Saudiani si sono resi
conto del pericolo, per la monarchia, dell’espansione del Califfato, ed hanno rafforzato i
legami con gli Stati Uniti.
Recentissimamente, poi, sembra che i Saudiani abbiano deciso d’inviare materiale
militare e truppe scelte in una base militare messa a loro disposizione della Turchia per
allestire un’operazione turco-saudita in Siria.
Nel contempo, tuttavia, l’accordo nucleare USA-Iran ha aperto un nuovo fronte,
politico e religioso, contro la minaccia iraniana. L’Iran, sciita, uscito dal letargo delle
sanzioni e dell’embargo del passato, si appresta ad essere non solo campione dello
sciismo (l’Arabia saudita è sunnita di osservanza wahhbita), ma anche ad interpretare il
ruolo di prima potenza dominante nel Golfo arabico, contestando la supremazia saudiana.
Ciò a portato l’Arabia Saudita alla rottura delle relazioni diplomatiche con Teheran e
ad un’alleanza con la maggior parte dei Paesi del Golfo a maggioranza sunnita.
4.6.3 - L’Iran.
Il ruolo dell’Iran, tradizionale difensore degli sciiti iraqeni, è un ruolo di primo piano
in tutto il Medio Oriente, soprattutto ora che, con la fine delle sanzioni economiche, è in
grado di esprimerne a tutto campo il suo potenziale economico e demografico (Il Paese
conta poco meno di 80 milioni di abitanti).
Rovesciata la monarchia di Reza Pahlevi, la nuova Repubblica teocratica instaurata
da Komeini si è trovata in rotta di collisione con gli Stati Uniti e con l’Occidente ed è stata
messa al bando della Comunità internazionale.
Con l’accordo nucleare, duramente negoziato con Stati Uniti e Russia, l’Iran è
tornato ad assumere un ruolo di primaria importanza nel contesto del mondo islamico, con
particolare riferimento ai rapporti con il debole Iraq, con il quale ha avuto ai tempi di
Saddam una lunghissima guerra sanguinosa (oltre un milione di morti) e nei confronti dei
ricchi Paesi del Golfo e dell’Arabia saudita.
Nemico da sempre di Israele, Tel Aviv vede come una minaccia mortale la crescita
della potenza iraniana, che ha finanziato gli Hezbollah (di religione sciita) in Libano proprio
contro Israele.
14
5 – L’Africa.
5.1 – Lo scenario.
Per quanto vicino all’Italia, il continente africano è pressoché sconosciuto. L’Africa è
enorme, con più di 30.2 milioni di kmq, tre volte più grande di tutta l’Europa(compresa la
parte europea della Russia), pari a 10.1 milioni di kmq, poco meno di tre quarti dell’intera
Asia (44.6 milioni di kmq).
Per converso, l’Europa ha quasi 900 milioni di abitanti e l’Africa 1.2 miliardi di
abitanti.
15
L’Africa è strutturata in 54 Stati diversi, per lingua tradizioni, cultura e storia. In
pratica, per un esame sintetico degli attuali punti geopolitici di frizione è opportuno
distinguere, in modo peraltro molto approssimativo:
 gli Stati di lingua inglese costieri del Mar Rosso (Somalia, Eritrea ed altri);
 gli Stati di lingua inglese e francese che gravitano sull’Oceano Atlantico (Nigeria,
Mali, Niger ed altri);
 gli Stati centrali, francofoni (Tchad e Centro Africa, Congo Kinshasa, Congo
Brazzaville ed altri);
 gli Stati costieri del Mediterraneo, di lingua araba (Egitto, Libia, Tunisia, Algeria).
Diverse sono le risorse di cui dispongono, differente il livello di vita, le condizioni
climatiche, il numero degli abitanti.
Lo scenario politico è caratterizzato da una progressiva diffusione dell’infezione
jihadista, pilotata dal Califfato islamico, cui si sono progressivamente affiliati numerosi
gruppi integralisti africani.
5.2 - Gli Stati costieri del Mar Rosso.
5.2.1 – La Somalia.
La Somalia è un buco nero nel continente africano. Caduto il regime di Mohammed
Siad Barre, in Somalia (1991) sono cominciate le guerre tribali, che hanno portato al
pratico dissolvimento dello Stato. La grande Somalia, vagheggiata nella bandiera con la
stella a cinque punte, si è ridotta a ben poco, preda dei Signori della Guerra e delle Corti
Islamiche, invasa dalle truppe etiopiche e, poi, da quelle ugandesi, per sedare i disordini,
frenare i massacri all’esodo delle popolazioni stremate dalla penuria di viveri e dagli
omicidi politici, e colpire il terrorismo che minaccia il Kenya, con ripetuti massacri da parte
delle milizie somale arruolate dal Califfato, come è recentemente avvenuto con la strage di
Garissa, compiuta in Kenya dal gruppo islamista somalo di Al-Shabaab.
La Somalia, nonostante un recente Governo di pacificazione, le cui prospettive
politiche sono piuttosto fragili, è un luogo di grande fibrillazione da cui può uscire un
vulcano per tutta la regione.
5.2.2 – L’Eritrea.
L’Eritrea, dopo aver riacquistato l’indipendenza dall’Etiopia (1993), vive in uno stato
di grande povertà sotto una dittatura militare pseudo socialista, guidata da 21 anni dalla
stessa persona, Saias Afewerki.
Tra il 1998ed il 2001 questo poverissimo Paese è entrato in guerra contro l’Etiopia,
subendo disastri, esodi e distruzioni.
Il Paese, con una gravissima crisi economica, è sotto pressione politica e potrebbe
scoppiare da un momento all’altro se la predicazione del Califfato riuscisse a far presa su
quella parte di popolazione che è musulmana (la restante parte è cristiana, anche se di
diverse osservanze).
5.3 - Gli Stati di lingua francese ed inglese.
5.3.1 – La Nigeria.
Il più importante tra questi Stati è certamente la Nigeria, un colosso di 182 milioni di
abitanti e poco meno di 1 milione di kmq di territorio, provvisto d’ingenti ricchezze
energetiche e naturali, uno fra i Paesi più corrotti del mondo.
16
Questa eccezionale situazione non ha portato fortuna al Paese che è vissuto tra
colpi di stato militari, sanguinosi tentativi di secessione da parte degli Igbo (guerra del
Biafra, 1967-1970), e colpi di mano, altrettanto sanguinosi da parte del Movimento per
l’Emancipazione del Delta del Niger, il Mend, fino all’esplosione jihadista del movimento
Boko Haram (letteralmente: vietata l’istruzione occidentale) nelle regioni settentrionali del
Paese. Le prime elezioni libere in Nigeria si sono tenute una volta sola in sedici anni.
BokoHaram fu fondata nel 2002 a Maiduguri da un predicatore islamico, Ustaz
Mohammed Yusuf, morto oscuramente in carcere, forse durante un tentativo di fuga. Si
tratta di un movimento integralista sunnita di osservanza salafita12. Ne ha raccolta l’eredità
l’attuale leader del gruppo, Abubakar Shekau che, alleatosi con al-Qaida, nel Maghreb
islamico, è entrato ufficialmente a far parte del Califfato, effettuando azioni terroristiche ad
ampio raggio, debolmente contrastate dall’esercito federale nigeriano, in Nigeria, Niger,
Camerun, Mali e Tchad.
Boko Haram, violentemente anti cristiano, è responsabile di rapimenti (275 ragazze
rapite, stuprate o vendute come mogli, tratte da un college), di stupri, di uccisioni, di
massacri di massa (a Baga, oltre 2000 morti). Si tratta della minaccia terroristica più grave
esistente in Africa.
5.3.2 – Mali.
In Mali è ripresa la guerra civile ha portato più volte il Paese vicino al disastro.
L’etnia tuareg da decenni ambisce a crearsi un territorio autonomo in una qualunque parte
del Sahara. Il Movimento Nazionale di Liberazione dell’Azawad (il nord del Mali), di
fondazione tuareg, nel 2012 si è alleato con alcune frazioni fondamentaliste (gli Ansar
Dine), aderenti al Gruppo Salafita per la Predicazione ed il Combattimento, l’equivalente di
al-Qaida nel Maghreb, con l’intento di controllare appunto l’Azawad, ai confini con
l’Algeria.
Il governo del Mali è riuscito a ricacciare i ribelli nel deserto, nel 2013, con l’aiuto
algerino, francese ed americano (operazione Serval). Nel corso degli scontri, tuttavia, le
formazioni ribelli sono riuscite a distruggere numerose reliquie della locale tradizione sufi13
e le tombe dei santoni locali (i marabutti), data l’iconoclastia wahabbita che considera
bestemmia qualunque forma di culto non dedicata ad Allah.
La sconfitta dei rivoltosi non ha sanato il conflitto, che è endemico per tutto il
Sahara. Anzi, è nato un fronte del Sahara14, con stretti collegamenti con Boko Haram, che
punta al controllo delle regioni meridionali algerine ed alle relative sorgenti di petrolio e di
gas. Lo stesso fronte sahariano gravita verso il nord libico, nel Fezzan, ed allunga i suoi
tentacoli verso il Tchad ed il Centro Africa, già meta delle guerre di Gheddafi (1973-1988),
interessato alla conquista della striscia uranifera di Aozou, fermate a suo tempo dalla
Legione straniera francese.
12
Il salafismo è una scuola di pensiero sunnita che identifica le prime tre generazioni di Musulmani come dei
modelli esemplari di virtù religiosa da imitare. A partire dalla fine del secolo scorso, molti gruppi estremisti si sono
ispirati a questa ideologia, come il Gruppo Salafita per la Predicazione ed il Combattimento, nato in Algeria, ed altre
milizie jihadiste legate ad al-Qaida.
13
Il sufismo è una forma di ricerca mistica caratteristica della cultura islamica. Secondo alcuni studiosi, il
sufismo in realtà sarebbe la continuazione di una preesistente e perenne filosofia dell'esistenza, nata prima dell’Islam.
Secondo altri, invece, questa filosofia sarebbe di natura prettamente islamica, anche se non ci sono elementi per ritenere
che la catena di filiazione dei maestri sufi (silsila) risalga direttamente a Maometto.
14
Su questo tema si veda: AA.VV.: Fronte del Sahara, in Limes, Rivista italiana di geopolitica, n. 5 (2012).
17
5.3.3 – Niger.
Di tutti i Paesi dell’area, probabilmente, il Niger è il più povero, maggiormente intriso
di wahabbismo e più suscettibile di reagire alle sollecitazioni della propaganda jihadista.
Tra un colpo di Stato militare ad un altro, il Paese con la maggior percentuale di
giovani al di sotto dei 18 anni di tutto il continente, è un focolaio pericoloso per l’alto tasso
di povertà e di disoccupazione, fragile preda degli estremismi.
Una crescente ed importante presenza cinese ha offerto lavoro e prospettive,
tenendosi bene alla larga dalle questioni politiche e religiose.
Il Paese è per la massima parte, islamico e l’educazione è impartita nelle varie
scuole islamiche, finanziate dall’Arabia Saudita, data la difficoltà del Governo di Niamey di
pagare i propri insegnanti.
5.4 - Gli Stati centrali francofoni.
La situazione di questi Paesi, segnatamente quella dell’ex Congo belga, ora Congo
Kinshasa, è tristemente nota per le guerre civili ripetute, per i massacri compiuti, per la
secessione fallita del Katanga, per le azioni di rapina delle grandi compagnie minerarie
internazionali, per l’assetto rovinoso del loro sistema istituzionale.
Mentre l’altro Congo, quello di Brazzaville, vive dal 1997 con una blanda dittatura
militare (Denis Sassou-Nguesso) ed è o cristiano o animista, con un 2% soltanto di
Musulmani, il Congo Kinshasa, prevalentemente cristiano (86%), ha avuto una storia
molto turbolenta, attualmente caratterizzata dalla presenza di truppe ugandesi e da diversi
movimenti ribelli o scissionisti.
5.5 - Gli Stati costieri del Mediterraneo.
5.5.1 – La presenza araba.
Tutta la fascia settentrionale africana è di religione islamica, salvo la mal tollerata
presenza copta in Egitto.
In quest’area, dopo la cosiddetta primavera araba, sono fortissime le tensioni
politiche e religiose, caratterizzate in Egitto, Tunisia ed Algeria dal tradizionale movimento
dei Fratelli musulmani15, che più volte ha cercato di assumere il potere ma è sempre stato
duramente represso dai militari.
Esiste, poi, una profonda diversità, demografica ed energetica, tra l’Egitto, scarso di
risorse ma densamente popolato (circa 90 milioni di abitanti), la Libia ( poco più di 6 milioni
di abitanti), scarsamente popolata ma ricca di giacimenti petroliferi e di gas, la Tunisia (11
milioni di abitanti), le cui uniche risorse sono quelle turistico-agricole e l’Algeria, popolosa
(40 milioni di abitanti) e ricca di gas e di petrolio.
5.5.2 – Egitto.
15
I Fratelli Musulmani sono una delle più importanti organizzazioni politiche islamiche internazionali. Fondati
nel 1928 da al-Hasan al-Banna ad Ismailia, in Egitto, poco dopo il collasso dell’Impero ottomano, si sono diffusi
soprattutto in Egitto ed in Palestina (Hamas), Considerati un’organizzazione terroristica in molti Paesi arabi, sono
finanziati dal Qatar.
18
Al rovesciamento del regime di Mubarak, che aveva governato per trent’anni, è
subentrata una stagione politica difficile, con la messa al bando dei Fratelli Musulmani,
che avevano vinto le elezioni, cui è subentrato un regime militare molto autoritario,
saldamente ancorato all’Occidente.
La situazione politica, tuttavia, è molto precaria, per effetto della presenza di
numerose infiltrazioni jihadiste che hanno portato a segno diverse iniziative terroristiche
miranti a destabilizzare il Paese.
Tre sono i punti focali emergenti:
 il Sinai: la penisola, in stretto collegamento con la Striscia di Gaza e la
resistenza palestinese è, praticamente, nelle mani del Califfato, con l’appoggio,
tacito, di Hamas, e le forze egiziane sono sulla difensiva;
 il terrorismo turistico: il terrorismo islamico ha colpito più volte le strutture
turistiche sulle coste del Mar Rosso ed i turisti stranieri in Egitto, per tagliare il
più importante flusso di valuta estera del Paese;
 la presenza di una forte opposizione integralista. I Fratelli Musulmani sono stati
messi al bando ma gran parte del Paese è con loro. L’avvento di un regime
integralista è visto con molta preoccupazione dal mondo occidentale, per la
saldatura che può rappresentare con il Califfato islamico e per i suoi effetti sugli
altri Paesi del Nordafrica.
5.5.3 – Libia.
Dopo la rivoluzione, “assistita” dagli aviogetti francesi ed inglesi, che ha portato alla
defenestrazione di Muammar Gheddafi ed alla sua morte, lo Stato libico si è praticamente
dissolto, dividendosi in varie fazioni l’una contro l’altra armata, con l’esplosione delle
diverse rivalità fra i clan libici.
La situazione attuale è caratterizzata dalla presenza nel territorio di due diversi
governi, uno a Tobruk e l’altro a Tripoli, più un terzo, che secondo l’Occidente dovrebbe
essere sintesi dei primi due, di stanza a Tunisi. Inoltre esiste un forte raggruppamento
militare attorno al generale Khalifa Belqasim Haftar, che aspira alla leadership del Paese
ed è appoggiato dal vicino Egitto.
Il 30 luglio 2014, milizie islamiche, Ansar al-Sharia, devote al Califfato, hanno
occupato Bengasi, instaurandovi il loro regime.
La guerra civile è attualmente in corso su più fronti, con la presenza di truppe
egiziane al confine orientale, per evitare il contagio islamico, e l’imminenza di un probabile
intervento armato delle Nazioni Unite per mettere fine ai disordini e ricostituire lo Stato.
5.5.4 – Tunisia.
Il 17 dicembre 2010, un giovane ambulante, Mohamed Bouazizi, si diede fuoco
davanti al palazzo del Governatorato di Sidi Bouzid a seguito della volontà delle autorità di
revocargli la licenza. Quest'episodio portò alla nascita della primavera araba, un insieme
di movimenti popolari che si svilupparono in diverse Nazioni di cultura araba.
Circa un mese dopo, il 14 gennaio 2011, si dimise il dittatore Ben Alì, che fuggì
all'estero con la famiglia. Alle elezioni conseguenti un breve periodo di transizione ha vinto
un partito islamico moderato che ha varato una nuova costituzione democratica.
Fortemente legata alla Francia (ed all’Italia), lo Stato tunisino è stato oggetto di
attacchi terroristici volti a destabilizzare il Paese e ad impedire quei flussi turistici che sono
fondamentali per la limitata economia del Paese.
Se la Libia cadesse in mano agli estremisti, la Tunisia non potrebbe resistere alla
loro pressione, anche perché in Tunisia sono tuttora attivi i Fratelli Musulmani.
19
6 –L’Europa.
6.1 – L’Oriente europeo.
6.1.1 –L’Ucraina.
20
Dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica, si sono formati molti nuovi Stati. In
particolare, in Europa, sono apparsi la Bielorussia e l’Ucraina, due entità statuali già
facenti parte dell’URSS in qualità di Repubbliche federate, ma prive di sovranità nazionale
internazionalmente riconosciuta16.
Con il crollo del regime sovietico, sia Bielorussia che Ucraina sono divenuti Stati,
riconosciuti come tali, a tutti gli effetti, dalla Comunità internazionale.
Storicamente l’Ucraina non è mai stata indipendente, con parti del suo attuale
territorio spartite fra l’Austria-Ungheria e la Russia zarista. Questa situazione ha
caratterizzato le popolazioni, cristiane ad ovest ed ortodosse ad est, in modo diverso: il
suo territorio occidentale faceva parte della Galizia austriaca mentre la sua parte orientale
apparteneva all’Impero zarista. Alla fine della 1° guerra mondiale l’Ucraina, dopo varie
vicissitudini, entrò a far parte dell’URSS e nel 1954 Kruscev decise d’incorporare la
Crimea nell’Ucraina.
Nell’agosto del1991 l’Ucraina dichiarò la propria indipendenza e cominciarono
subito i problemi tra i filorussi ed i filo occidentali, culminati, alla fine, con l’allontanamento
del Presidente Janucovych, filorusso, che non si è mai dimesso e di cui Mosca difende la
legittimità, e la formazione di un governo filoeuropeo, definito “di destra” dai filorussi.
L’approccio ucraino all’Unione europea ha determinato una brusca reazione da
parte di Mosca, con una crescita della tensione fra i due Paesi con ripercussioni sul lato
economico e politico. La Russia, per ritorsione, ha aumentato notevolmente il costo del
gas che prima forniva all'Ucraina ad un prezzo amichevole, e le relazioni diplomatiche si
sono di molto inasprite.
Contestualmente, in Crimea e nelle regioni dell’Ucraina orientale, al confine russo,
nelle quali la popolazione è russofona, sono scoppiate rivolte separatiste, alimentate da
Mosca.
Il Governo ucraino ha reagito, sono iniziati i combattimenti fra i miliziani separatisti,
aiutati e foraggiati da volontari russi, e l’esercito ucraino, con centinaia di morti e
reciproche accuse tra Kiev e Mosca.
Nel frattempo, la Crimea si è proclamata indipendente l’11 marzo 2014 e, quattro
giorni dopo, ha chiesto l’adesione alla Federazione russa.
Nelle regioni orientali, invece, per quanto si siano proclamate indipendenti, c’è una
situazione di stallo, dopo lunghi e difficili negoziati tra Francia, Germania e Governo di
Kiev, da un lato, Russia e Bielorussia dall’altro, per un cessate il fuoco.
I separatisti hanno indetto anche un referendum nel maggio 2014 e nell’aprile 2015°
seguito del quale hanno costituito due repubbliche indipendenti: la Repubblica Popolare di
Donetsk e la Repubblica Popolare di Lugansk. Tutto ciò non aiuta di certo ad un ritorno
allo status quo ante.
6.1.2 – Le ragioni del contendere.
La Russia considera l’Ucraina e la Bielorussia due territori cuscinetto rispetto alla
NATO. Mentre la Bielorussia è un fedele alleato, il passaggio dell’Ucraina all’Occidente è
considerato pericoloso, perché un’Ucraina, membro associato dell’Unione europea e
membro della NATO, significherebbe testate missilistiche in prossimità della frontiera
russa.
16
In verità, per ragioni politiche, questi Paesi facevano già parte delle Nazioni Unite, per dare più consistenza
alla posizione politica sovietica spesso contrastante con quella dell’Occidente, ma non avevano una vera e propria
personalità giuridica internazionale.
21
Scorporare dall’Ucraina la Crimea e le due sedicenti repubbliche di Donetsk e di
Lugansk significherebbe, comunque, per Mosca, mantenere una zona di rispetto alla
frontiera russa, priva di testate nucleari od armamenti missilistici.
Il separatismo di queste regioni è stimolato e protetto dall’esercito russo, in nome
della tutela dei diritti umani e del diritto all’autodeterminazione dei popoli.
Da parte del Governo di Kiev e dell’Occidente, invece, oltre a contestare la presenza
di personale volontario sovietico, militare e civile, nelle aree contestate, si accusa il
Governo di Mosca di sobillare la popolazione locale, russofona, spingendola alla rivolta ed
all’autodeterminazione, per poi confluire nella Federazione russa, come ha già fatto la
Crimea.
Se la tregua fosse interrotta, il nuovo conflitto potrebbe coinvolgere, indirettamente,
anche la NATO.
7 – I punti caldi.
In conclusione, gli attuali punti caldi geopolitici, attualmente, si possono individuare
come segue:
a - Corea del Nord: le mosse dell’attuale Presidente sono imprevedibili e da
un momento all’altro potrebbero determinare gravi complicazioni. Peraltro, la
Cina agisce da freno e la presenza della flotta Usa nelle acque coreane è un
deterrente importante. Tuttavia non sono da escludere colpi di testa nei
confronti della Corea del Sud.
b - Siria: un multiconflitto è già in corso, ma la situazione potrebbe aggravarsi
a causa delle tensioni russo-turche. Esiste, tuttavia, un accordo di massima
tra USA e Russia, nel senso che Bashar Assad, vittorioso con l’aiuto russo
sulle forze ribelli, potrebbe restare ancora per poco tempo al potere e poi
dimettersi, indicendo nuove elezioni.
Ciò disturberebbe assai la Turchia, che vuole la caduta di Assad, ma non ha
la forza militare per opporsi a tale situazione.
Resta indefinita la situazione dei Kurdi, che vogliono un loro Stato, e la
questione del Califfato che, una volta che fosse sconfitto dai Russi in Siria,
potrebbe estendersi ulteriormente in Iraq ed altrove.
c - Nigeria: la situazione è, al momento, incontrollabile, perché Boko Haram
non è contrastato come vorrebbe far credere il Governo nigeriano, e la sua
influenza politico-militare si estende in tutta l’Africa centrale e nel Sahara,
22
sino a collegarsi con la Libia. Nessuno è ancora intervenuto contro Boko
Haram ed i suoi alleati e la situazione è destinata a degenerare.
d - Egitto: la situazione è sotto ferreo controllo da parte della dittatura militare
che lo governa, almeno per il momento.
e - Libia: qui il conflitto è in corso ed è prevedibile un intervento occidentale
sotto l’egida delle Nazioni Unite. La questione potrebbe aggravarsi se vi
fosse un’unione di forze fra gli jihaidisti di Bengasi e Boko Haram.
f - Ucraina: situazione di stallo armato. L’Ucraina non può sopportare
l’umiliazione di essere mutilata di parti del territorio nazionale.