A S. STEFANO DI PIZZOLI (14.08.2016)

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A S. STEFANO DI PIZZOLI
(14.08.2016)
A tutti un cordiale saluto, in particolare alle autorità civili e militari ed agli agenti
pastorali di questa parrocchia. Ed al vostro Signor Parroco, il caro Don Claudio, un
vivo grazie per avermi invitato a presiedere l’Eucarestia in questa suggestiva antica
chiesa parrocchiale di S. Stefano al Monte, la quale nella sua coloristica bellezza, che
un tempo ammantava tutte le superfici murarie e perfino le coperture lignee, intende
riprodurre il mondo divino ed essere per tutti noi il cielo stesso, il paradiso, la
Gerusalemme celeste presente in terra.
L’occasione specialissima è data dal ritorno in paese della splendida antica croce
processionale di S. Stefano, Patrono del Comune di Pizzoli, dopo l’accurato
benemerito restauro effettuato grazie alla ben nota generosità di vari benefattori
pizzolani.
La croce processionale e S. Stefano primo martire cristiano: che messaggio
attualissimo per noi oggi! Stiamo infatti sperimentando una nuova era di
persecuzione. Papa Francesco ha detto che “esistono persecuzioni sanguinarie, come
essere sbranati da belve per la gioia del pubblico sugli spalti o saltare in aria per una
bomba all’uscita da Messa. E persecuzioni in guanti bianchi, ammantate “di cultura”,
quelle che ti confinano in un angolo della società, che arrivano a toglierti il lavoro se
non ti adegui a leggi che vanno contro Dio Creatore”. Così i credenti sono
ridicolizzati per la loro fede cristiana e i loro principi circa la famiglia, la vita, la
sessualità, ecc., e tacciati di oscurantismo, bigottismo e intolleranza dalla dittatura
dominante del cosiddetto pensiero unico.
Siamo, carissimi, alla ventesima Domenica del tempo ordinario, e vedete come le
letture bibliche che abbiamo ascoltato vengano tanto a proposito con ciò che abbiamo
apena considerato. I tre detti di Gesù riferiti dal brano evangelico attestano quale
sofferenza sia costata a Gesù la fedeltà alla missione ricevuta dal Padre, e insinuano
che altrettanto, come il profeta Geremia nel 587 a.C. e S. Stefano agli albori stessi
della Chiesa, attende il cristiano che vuol essere fedele. Percià nella seconda lettura S.
Paolo esorta alla perseveranza sull’esempio di tanti testimoni che nonostante la
sofferenza che la fedele sequela di Dio comporta, han dato la vita per la fede in lui.
La fede! Lo stesso S. Paolo alla fine della sua vita ha detto: “Ho combattuto la buona
battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede” (2 Tim. 4,7). Ho
conservato la fede. Capite? Un Apostolo così grande, colui che è considerato
diciamo l’ideologo e l’organizzatore del cristianesimo primitivo, alla fine della sua
vita reputa come grande successo di aver potuto conservare la fede! Come se,
appunto, non sia proprio facile conservare la fede. Lo sappiamo bene, perché lo
sperimentiamo nella nostra carne. Quando Dio permette che siamo colpiti dalla
sofferenza, dal dolore, dalla mancanza di lavoro, la nostra fede può vacillare. Ma non
è soltanto questa fede, la fede personale, individuale, che noi possiamo perdere.
Possiamo perdere anche la fede come comunità, come popolo, come civiltà. È infatti
la civiltà occidentale, oggi, che sta perdendo rapidamente la fede cristiana.
Sta succedendo quella che il filosofo inglese Robert Scruton, anglicano, e
l’accademico francese Alain Finkielkraut, ebreo, sono concordi nel definire
“oicofobia”, due termini greci che significano “avversione, rifiuto della propria
eredità”, cioè l’eredità cristiana. È una patologia dello spirito, questa, che ci lascia
senza difese, col bel risultato d’esserne annientati proprio in questo momento storico
di incontro o di scontro di civiltà. Sì, l’Europa sta rigettando quel cristianesimo che
ha forgiato la sua identità culturale e l’ha portata alla supremazia sul mondo intero, a
tutti i livelli.
Si tratta di un gioco pericoloso. Non solo per i cristiani e i credenti in generale, ma
per la società civile stessa. Non si può sopravvivere a lungo alla morte di Dio. Scrive
Pat Buchanan: “La religione di un popolo, la sua fede, crea la sua cultura, e la sua
cultura crea la sua civiltà. E quando una fede muore, muore la cultura, muore la
civiltà – e anche quel popolo comincia a morire. Non è questa la storia attuale
dell’Occidente?” Se la cultura occidentale balordamente si disfacesse dell’apparato
immunitario che è il cristianesimo – magari mai realmente sperimentato dagli
interessati, o rimasto alla fase infantile – rischierebbe di tornare in epoca prescientifica, nella superstizione. E verrebbero poi vanificati grandi valori culturali e
sociali di cui solo il cristianesimo è portatore. Quali? Ad esempio i diritti soggettivi,
derivati dai presupposti biblici della persona umana perché fatta ad immagine di Dio;
la democrazia moderna e il concetto di laicità, a cui ci è stato possibile aprirci
gradualmente un varco nelle concezioni assolutiste e teocratiche antiche di Oriente e
di Occidente grazie alla distinzione evangelica di Matteo 21,21 tra Cesare e Dio,
quindi tra politica e religione; l’uguaglianza in dignità di tutte le persone umane e
l’uguaglianza tra uomo e donna, in base al principio paolino secondo cui in Cristo
“non c’è più giudeo né greco, né schiavo né libero, né uono né donna, ma tutti siete
uno in Cristo Gesù” (Galati 3,28). Valori, questi, che per la loro profondità e la
cultura incarnita dei tempi non si sono subito capiti, li si è compresi e assimilati dopo
secoli, era inevitabile, ma la fede li aveva inoculati nel nostro DNA e perciò alla fine
han potuto dare frutto e creato la nostra cultura. Se poi all’abbandono delle radici
cristiane si aggiunge anche l’indifferenza religiosa, per cui non solo si abbandona la
fede ma sembra di non sentire neppure alcuna curiosità spirituale, né si comprende
perché ci si debba interessare di religione, il fatto diventa ancor più pericoloso.
Perché la persona indifferente alla fede ed ai valori spirituali finisce poi per diventare
indifferente a tutti i valori, a non avere più punti di riferimento oggettivi, a non
distinguere più tra cosa è bene e cosa è male, talmente da giungere a dire che, ad
esempio, l’olocasuto dei 6 milioni di ebrei nella seconda guerra mondiale sarebbe un
atto indifferente. Non interessandosi a nulla e non lasciandosi coinvolgere da nulla,
l’unica preoccupazione diventa quella per il proprio io, l’io-malato e le sue voglie,
l’egoismo, l’individualismo esasperato. Ecco spiegato il preoccupante aumento dello
stress, della depressione in tante persone ed anche gli appelli di papa Francesco
contro l’indifferenza generalizzata, la massificazione, l’uniformità del pensiero e del
sentimento, la fuga dalle responsabilità. L’indifferente, magari senza accorgersene,
tenderà ad approfittare dell’altro anche se si tratta di un familiare o di un amico, lo
tratterà come un mero oggetto, gli interesserà solo fintanto che serve ai propri
interessi e gli diminuiranno la sensibilità, la serietà, il senso del dovere e il senso di
responsabilità. Inoltre le comodità e distrazioni offerte dalla vita moderna e dalla
tecnologia, permettendogli di veder realizzato fin da bambino ogni suo desiderio, lo
rende incapace ad affrontare gli inevitabili conflitti dell’esistenza, a cogliere il valore
della rinuncia, delle cosiddette ‘virtù negative’, che però di fatto sono necessarie per
saper riconoscere ciò che a lungo termine può dar senso alla vita. Quando poi gli
individui affetti dall’indifferentismo ascendono a posti di responsabilità, avranno
poco o niente chiaro il concetto e l’impegno per il bene comune, per cui si serviranno
del potere soltanto in vista dell’arricchimento e dell’affermazione personali. In questa
maniera a lungo andare va a guastarsi la stessa democrazia. Purtroppo la generazione
più fragile e a rischio sono i giovani, futuro della nostra società. È dunque solo
recuperando e riconoscendo con chiarezza la propria identità che l’Occidente può
essere capace di fare “integrazione” senza limitarsi all’erogazione di servizi sociali, e
così formare una nuova cultura, quindi una nuova civiltà.
S. Stefano, caro nostro Patrono, ti chiediamo che ci liberi, sì, dai mali materiali, dalle
malattie, dalle ristrettezze economiche, dalla mancanza di lavoro, dalle paure,
dall’indifferenza, dalla corruzione. Ma ti chiediamo anche e soprattutto di ricaricarci
dei valori spirituali cristiani, affinché possiamo armarci delle forze morali necessarie
a fronteggiare tutte le criticità esistenziali, i problemi sociali, il terrorismo dell’Isis,
che ci sovrastano, ed a superarli. Mentre tanti nostri fratelli in Medio Oriente, in Asia
ed in Africa, ed ora anche in Europa, come Te stanno versando il sangue o emigrando
dalle proprie terre pur di non rinnegare la fede in Cristo, qui Tu aiutaci a conservare
la fede. E con la fede, a tornare ad osservare i comandamenti di Dio. Li conosciamo:
Io sono il Signore Dio tuo, non avrai altro Dio fuori che me; non nominare il nome di
Dio invano; ricordati di santificare le feste; onora il padre e la madre; non uccidere;
non commettere adulterio; non rubare; non dire falsa testimonianza; non desiderare la
donna d’altri; non desiderare la roba d’altri. E il comandamento lasciatoci da Gesù:
amatevi reciprocamente, come io vi ho amati, compreso chi ci fa del male – l’amore
dei nemici, diceva Benedetto XVI, è il “nucleo della rivoluzione cristiana”.
. In questo Anno della Misericordia, inoltre, pratichiamo le 14 opere di misericordia
come ci chiede Papa Francesco. Le 7 di misericordia corporale: dar da mangiare agli
affamati, dar da bere agli assetati, vestire gli ignudi, alloggiare i pellegrini, visitare gli
infermi, visitare i carcerati, seppellire i morti. E le 7 di misericordia spirituale:
consigliare i dubbiosi, insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori, consolare gli
afflitti, perdonare le offese, sopportare pazientemente le persone moleste, pregare Dio
per i vivi e per i morti.
Carissimi, la nostra mèta è il Regno di Dio, che comincia qui e avà pieno
compimento alla fine di questo mondo. Maria, Madre di Dio e nostra, ‘stella del
mare’, ci accompagna nel nostro cammino verso il cielo. E Tu, o S. Stefano, aiutaci a
ricostruirci spiritualmente ed a sanare le sporcizie o le fragilità della Chiesa o meglio
di noi cristiani ed anche di noi sacerdoti, come denunciava papa Benedetto XVI. E
ottienici la pace: non quella che dà il mondo, ma quella che dà Cristo, la pace con Dio
e con il prossimo.
Amen.
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