Valutazione dello stato di conservazione delle aree

Università degli Studi della Tuscia
Dipartimento DECOS
Regione Lazio
Direzione Reg. Amb. e Coop. Popoli
CONVENZIONE
Valutazione dello stato di conservazione delle
aree marine della Regione Lazio e analisi di
fattibilità per l’istituzione di aree marine protette
o di tutela biologica a livello regionale
Responsabile Scientifico: Prof. Giuseppe Nascetti
Incaricato della ricerca: dott. Simone Martino
Rapporto prima fase
31 Gennaio 2009
Indice
Introduzione.................................................................................................................................... 3
L’area costiera considerata.............................................................................................................. 5
Morfologia dei fondali e sedimentologia ......................................................................................... 7
Sedimentologia ............................................................................................................................. 10
Erosione dei litorali....................................................................................................................... 12
La Posidonia oceanica................................................................................................................... 17
Presenza di Posidonia lungo il litorale e stato di conservazione ..................................................... 17
Il Benthos ..................................................................................................................................... 27
Popolamenti ittico e aree di nursery............................................................................................... 31
Il sistema delle aree protette lungo la fascia costiera...................................................................... 35
Rete Natura 2000 ed aree a parco .................................................................................................. 36
Siti Ramsar ................................................................................................................................... 41
Le dune e le interazioni con le Posidonie....................................................................................... 42
Le aree marine .............................................................................................................................. 48
La perdita di valenze ambientali nelle zone costiere ...................................................................... 51
Prima definizione della aree di maggiore interesse ........................................................................ 54
Fasi successive del progetto .......................................................................................................... 57
Conclusioni................................................................................................................................... 58
2
Introduzione
La presente relazione è frutto della convenzione che la REGIONE LAZIO, Direzione Regionale
Ambiente e Cooperazione tra i Popoli, e la UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DELLA TUSCIA di
Viterbo,Dipartimento di Ecologia e Sviluppo Economico Sostenibile (DECOS), hanno stipulato nel
mese di ottobre 2008, con la finalità di ottenere nell’arco di tempo concordato di 20 mesi, a partire
dalla data di stipula della convenzione stessa, risultati in merito alla ricerca intitolata:
“Valutazione dello stato di conservazione delle aree marine della Regione Lazio e analisi di
fattibilità per l’istituzione di aree marine protette o di tutela biologica a livello regionale”.
Il progetto ha come obiettivo generale il supporto programmatico alla individuazione di potenziali
Aree Marine Protette (AMP) o di Zone comunque da sottoporre a Tutela Biologica (ZTB) nelle
acque territoriali prospicienti la costa laziale.
Il progetto concordato tra le parti é articolato in quattro fasi che prevedono:
•
Fase I: la realizzazione di un dossier bibliografico sullo stato di naturalità delle aree marine
e costiere al fine di definire una primissima mappatura delle aree marine di maggiore pregio;
•
Fase II: la stesura di un rapporto che identifichi le criticità nel sistema di gestione delle aree
marine protette laziali;
•
Fase III: la definizione di criteri di scelta e di un metodo di selezione delle potenziali aree
marine protette e scelta di quelle che meritano maggiore tutela;
•
Fase IV: la definizione di un disciplinare per la gestione di un’area marina o di una zona di
tutela biologica sperimentale.
In questo rapporto si riportano i contenuti maturati durante la prima fase del progetto. In particolare
si forniscono quegli elementi (sia di natura abiotica che biotica) di maggiore significato per la
selezione di larga massima di un’area di interesse dove realizzare attività pilota per il reperimento di
nuove aree protette di interesse regionale. Si vuole in particolar modo affrontare il problema delle
emergenze naturali trascurando, in questa prima fase, ogni intervento ed attività di carattere socioeconomico (sia a mare che a terra) al fine di cogliere quali siano le potenzialità ambientali e le
minacce naturali che possono minare la definizione di nuove aree marine protette.
Si passano in rassegna le caratteristiche morfologiche del fondale, i sedimenti della piattaforma
interna, le spiagge con il relativo problema della erosione, nonché le valenze naturalistiche
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riscontrabili a terra e a mare, nell’ottica di un sistema integrato di protezione. Tra gli elementi
naturalistici analizzati a mare si è puntato sulla definizione delle aree a Posidonia oceanica, e di
quelle caratterizzate da una maggiore variabilità delle comunità bentoniche, demersali ed in
generale di quei siti che fungono da nursery. Per quanto concerne le aree terrestri ci si è concentrati
sui molti ( almeno una cinquantina) siti SIC e ZPS, ricadenti e non in parchi o riserve al fine di
valutare lo stato di protezione ed il livello medio di degrado in funzione della superficie urbanizzata
e agricola.
Tutte le informazioni raccolte, oltre ad essere sintetizzate nel rapporto, sono state analizzate
secondo un approccio cartografico, che ha permesso, attraverso una semplice sovrapposizione degli
strati informativi, di identificare in linea di massima le aree di maggiore interesse. Tale valutazione
preliminare servirà in seguito, durante la terza fase del progetto, integrando le informazioni sin ora
acquisite con una analisi delle criticità ambientali e socio-economiche che emergono lungo la fascia
costiera, a definire un disciplinare tecnico dei criteri di selezione e la stesura di un elenco delle aree
marine di potenziale reperimento. Inoltre la definizione delle aree sarà realizzata in funzione non
solo delle valenze ambientali e naturalistiche, ma anche degli interessi dei principali attori costieri.
La selezione, infine, della tipologia di strumento gestionale più adatta avverrà in seguito alla analisi
del framework legislativo ed istituzionale in materia di aree protette vigente sia nel territorio
nazionale che su scala regionale, così come verrà definito nella seconda parte del progetto.
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L’area costiera considerata
La zona costiera è una fascia parallela alla linea di costa che definisce l’ampiezza, verso mare e
verso terra, delle aree interessate dai programmi di gestione (Salmona et al., 2001).
Per definire l’ampiezza della zona costiera laziale sono stati adottati due criteri:
A. Amministrativo: vengono considerati i confini amministrativi dei comuni costieri;
B. Geomorfologico: vengono considerati come limite inferiore l’isobata dei – 150 m e come limite
superiore la isoipsa dei + 15 m, corrispondenti alle aree coinvolte nei processi di fluttuazione
marina del quaternario (Turner et al., 1998).
In particolar modo il criterio B permette di includere nell’area di studio sia le aree che risentono
direttamente dell’influenza del mare, sia le aree che ricadono al di fuori del suo raggio d’azione:
queste ultime possono conservare caratteristiche geomorfologiche determinate dalla presenza del
mare in epoche passate (movimenti eustatici durante il Periodo delle Glaciazioni), oppure mostrare
una relazione funzionale con le prime, poiché sono sede di attività antropiche che esercitano
pressioni significative sugli ecosistemi costieri (es. i Comuni di Sermoneta, Sezze e Pontinia
compresi nella piana di bonifica pontina).
limiti della fascia costiera
Fonte: prima relazione progetto ICZM, unità Decos
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Bibliografia essenziale
Decos, 2006, Azione I.1.7 Programma integrato di interventi per lo sviluppo del litorale del
Lazio “Sperimentazione ICZM in aree pilota” Stato di avanzamento del Progetto, progetto ICZM,
fase 1, working paper.
Decos, 2007, Azione I.1.7 Programma integrato di interventi per lo sviluppo del Litorale del
Lazio; Identificazione dei criteri di scelta delle aree pilota ed analisi di dettaglio, fase 2, working
paper.
Salmona P., Ferretti E., Salvati M., 2001. Modello di zonazione dell’area costiera italiana ai
fini della gestione integrata. Atti ASITA, 2001.
Turner R. K., W. N. Adger and I. Lorenzoni, 1998. Towards an integrated modelling and
analysis in coastal zones: principles and practices. LOICZ Report Studies n. 11. LOICZ IPO ,
Texel, Netherlands, iv+122 p.
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Morfologia dei fondali e sedimentologia
La piattaforma continentale è quell’area adiacente le terre emerse caratterizzata da bassi fondali
(inferiori ai 150 m), deboli pendenze del fondo marino (tra 0,1° e 1°) e, alle medie latitudini,
sedimentazione generalmente limoso argillosa (Selli, 1970, in Chiocci e la Monica, 1996). Essa, inoltre,
è quella parte del dominio marino che più direttamente interagisce con le attività antropiche e su di essa
si svolge la quasi totalità delle attività umane quali pesca, esplorazione petrolifera, coltivazione di
depositi economicamente utili, posa di cavi e condotte, smaltimento dei rifiuti, etc.
La piattaforma continentale antistante le coste del Lazio si trova immediatamente a Nord del limite
(convenzionalmente fatto coincidere con il parallelo 41°N) tra due domini geo-tettonici (tirrenico
settentrionale e tirrenico meridionale) estremamente differenti, pur essendo entrambi legati alla generale
distensione post-orogenica che ha interessato tutto il margine occidentale della penisola italiana (Patacca
et al., 1990, in Chiocci e la Monica, 1996).
Da un punto di vista geomorfico essa è più stretta ed acclive della media delle piattaforme italiane
(Savelli e Wezel, 1980, in Chiocci e la Monica, 1996); la sua ampiezza è di circa 20 km nel tratto
compreso tra Capo Linaro e Capo Circeo, mentre arriva a circa 30-40 km nella zona meridionale,
compresa tra Capo Circeo e Gaeta e nella zona più settentrionale, tra Capo Linaro e il promontorio di
Monte Argentario. La pendenza media è di poco inferiore a 0,5°. Il margine della piattaforma è ben
definito e si trova a una profondità variabile tra -120 e -150 m, ove inizia la scarpata continentale; i
bacini che la fronteggiano sono determinati, nella loro geometria, da lineamenti tettonici con prevalente
direzione appenninica (NW-SE).
Le informazioni relative alla piattaforma laziale sono il risultato di indagini di natura sismica a
riflessione monocanale ad altissima risoluzione, raccolti in numerose campagne oceanografiche
effettuate negli anni 1985-91 dal Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Roma “La
Sapienza”, dal Consiglio Nazionale delle Ricerche e dal Ministero dei Lavori Pubblici nella zona che si
estende dalla isobata dei 10 m sino al margine della piattaforma continentale. (La Monica et al., 1991, in
Chiocci e la Monica, 1996).
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La piattaforma continentale interna viene divisa in sette unità fisiografiche (Decos, 2006, 2007)
principali che lo caratterizzano, anche se, allontanandosi dalla linea di riva e procedendo verso fondali
sempre più profondi, tale suddivisione può perdere parte del suo significato (Chiocci, La Monica, 1996).
Suddivisione della piattaforma interna del Lazio in 7 aree fisiografiche
Fonte: prima relazione progetto ICZM, Decos
La prima unità fisiografica si estende dal fosso del Chiarone, al confine con la Toscana, fino a Capo
Linaro. Questa unità presenta due andamenti diversi. Dal fosso del Chiarone fino a Punta Morelle la
piattaforma ha andamento abbastanza regolare, con pendenza debolmente degradanti verso il largo. In
particolare fra le batimetriche di -15 e -20m, sono presenti modeste forme positive allungate
parallelamente alle isobate, che si elevano di circa 3m rispetto ai fondali circostanti. Le diverse
morfologie, positive e negative, interrompono l’omogeneità dei fondali nel tratto compreso tra Punta
Morelle e Capo Linaro. La loro presenza è probabilmente da ricollegare alle praterie a Posidonia
oceanica o ad accumuli legati all’attività incrostante di organismi bentonici che possono essere collegati
o no all’attività della Posidonia.
A Sud di S. Agostino e fino a Capo Linaro la costa diviene alta e di ciò risentono in modo assai
evidente i fondali, la cui pendenza aumenta vistosamente: l’isobata dei -10 m è ubicata, mediamente, a
soli 500 m dalla linea di riva.
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Anche l’unità fisiografica successiva, la numero due, che si estende da Capo Linaro fino alla foce
del Fiume Tevere può essere suddivisa in due settori. Nel primo settore (fino a Palo) i fondali, assai
articolati fino ai -20 m di profondità, divengono morfologicamente omogenei e digradano verso il largo
prima dolcemente (pendenza media fra le isobate -30 e - 40 m pari al 0,5% circa) e quindi via via più
bruscamente (pendenza media pari a 1% fra -40 e -50 m e a 1,33% fra -50 e -60 m). Al contrario, a Sud
di Palo i fondali sono omogenei a tutte le profondità e scompaiono i posidonieti, attivi o morti che siano.
Le caratteristiche della piattaforma continentale interna (ampiezza, pendenza etc.) sono da ricollegare
alla presenza del delta che il Fiume Tevere ha costruito nel tempo, utilizzando i sedimenti da esso stesso
riversati in mare.
Il delta tiberino condiziona l’andamento dei fondali anche nella terza unità fisiografica (tra la foce
del Fiume Tevere e Capo d’Anzio). I fondali sono assai omogenei e permane una rottura di pendio nella
fascia compresa fra le profondità di -20 e -30 m. A scarsa profondità (fra -10 e -15 m), fra la spiaggia
comunale e Villa Borghese e al traverso del promontorio di Capo d’Anzio sono presenti delle forme
positive che possono essere attribuite ad accumuli di sedimenti detritici e non bioclastici. Infatti in tutta
l’area sono praticamente assenti forme di accumulo per attività biologica (posidonieti e costruzioni ad
opera di organismi incrostanti).
Tra Capo d’Anzio e il promontorio di Monte Circeo, unità fisiografica quattro, terminati gli effetti
degli apporti sedimentari dall’entroterra, i fondali perdono parte della loro omogeneità, divenendo
fortemente articolati. Nella fascia più articolata si hanno forme positive di notevoli dimensioni, che
corrispondono a culminazioni del substrato (e quindi sono costituite da roccia) su cui la sedimentazione
clastica è stata minima, ma che hanno costituito la base di appoggio per la crescita di posidonieti o di
costruzioni ad opera di organismi incrostanti. Nella zona del promontorio di Monte Circeo è dominante
la presenza di un esteso bassofondo che si estende dalla costa compresa fra Punta Rossa e Torre Olevola
verso S SE, interessando fondali ben più profondi di 50 m e quindi non soltanto la piattaforma
continentale interna.
L’unità fisiografica che segue, unità 5, va dal promontorio di Monte Circeo a Gaeta (Punta
Stendardo) e sottocosta può essere divisa in due tratti: l’uno sabbioso e arcuato (Monte Circeo Sperlonga), l’altro roccioso e rettilineo (Sperlonga - Gaeta), anche se, nel dettaglio, caratterizzato da
piccoli promontori e modeste insenature. Tale suddivisione non ha più alcun motivo di essere nella zona
di piattaforma interna, di cui è caratteristica la forma a falce, con la parte più ampia a NW. Infatti alla
foce del Fiume Sisto la piattaforma è ampia circa 4,5 km (pendenza media 0,9%), mentre a Sud di
Sperlonga tale dimensione si riduce a soli 900 m (pendenza media 4,5%).
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La piattaforma continentale interna dell’ultima unità fisiografica, la numero sette, che va da Gaeta
alla foce del fiume Garigliano, risente degli effetti indotti dai sedimenti scaricati in mare del corso
d’acqua (Gandolfi e Paganelli, 1984; Ferretti et al., 1989, citati da Chiocci e La Monica, 1996). Infatti la
piattaforma è notevolmente estesa (quasi 8 km al traverso di Minturno), con pendenza media dello 0,5%
circa; inoltre i fondali, assai omogenei, non paiono risentire quasi affatto dell’articolazione della fascia
costiera. Un sintomo della persistenza degli apporti solidi fluviali è costituito dalla mancanza di
posidonieti in tutta l’area.
L’unità fisiografica numero 6, quella delle isole pontine, causa l’origine vulcanica delle isole stesse
e la mancanza di apporti sedimentari significativi dall’interno, ha fondali compresi fra 10 e 50 m di
profondità e costituiti da roccia in posto, specie ove la piattaforma è più ripida. Questo genera
andamenti anche molto articolati, con brusche variazioni di pendenza e di quota. Tali variazioni sono
accentuate dai posidonieti e dalle matte di Posidonia che, assai diffusi in tutto l’arcipelago tanto da
circondarlo, raggiungono anche fondali relativamente profondi.
Sedimentologia
Nel settore che va dal Fosso Chiarone al promontorio di Capo Linaro i sedimenti fini (peliti
sabbiose) si rinvengono soltanto ove sfociano numerosi corsi d’acqua, fra cui i fiumi Fiora, Marta e
Mignone (Borelli et al., 1986, citati da Chiocci e la Monica, 1996). I sedimenti molto fini (peliti) si
rinvengono solo al traverso del Fiume Mignone, già a profondità inferiori ai 20 m. Caratteristica
comune a tutto il settore è la mancanza sulla piattaforma interna di sedimenti francamente sabbiosi;
infatti i materiali più grossolani presenti sono le sabbie pelitiche. Ciò dimostra che l’azione diretta del
moto ondoso su tali fondali è assai modesta, tanto da non riuscire ad allontanare i materiali più fini.
Nel secondo settore (promontorio di Capo Linaro/Capo d’Anzio), come più volte ripetuto, la
piattaforma continentale interna è in gran parte sotto l’influenza degli apporti solidi del Fiume Tevere.
Al limite settentrionale (da S.Marinella fino a Ladispoli) la litologia dei fondali è assai monotona in
quanto sono presenti soltanto peliti sabbiose, il cui limite verso terra è fortemente condizionato
dall’andamento delle costruzioni per attività biologica. Esse sono presenti su fondali poco più profondi
di 10 m, a solo 1 km circa dalla linea di riva. I sedimenti a elevata componente sabbiosa si rinvengono a
SE di Ladispoli (Palo) quando scomparsi i posidonieti e le costruzioni ad opera di organismi incrostanti,
inizia a farsi sentire in modo evidente l’influenza degli apporti di origine fluviale del Tevere.
In destra della foce prevalgono nettamente le peliti molto sabbiose, che si estendono quasi fino al
margine della piattaforma continentale interna e il cui limite con le sabbie pelitiche, assai scarse, dista
10
solo 2 km circa dalla linea di riva. Al contrario, in sinistra della foce l’estensione delle peliti molto
sabbiose si riduce drasticamente, a vantaggio delle sabbie pelitiche e delle sabbie. In termini di dinamica
sedimentaria pare abbastanza chiaro uno spostamento dei sedimenti fluviali grossolani verso SE nella
zona dei fondali meno profondi per azione del moto ondoso e in particolare dei mari da Ovest e SW,
mentre i materiali più fini divengono preda delle correnti costiere la cui direzione è relativamente
costante verso NW.
Fra Capo d’Anzio e il promontorio di Monte Circeo l’elemento di maggior spicco è costituito dalla
presenza di sabbie pure. In tutto il restante settore (con esclusione della zona di Torre Astura) le sabbie
pure si estendono dalla battigia fino alla batimetrica di 20 m (tratto occidentale) o 30 m (tratto
orientale). Le peliti pure sono presenti sui fondali della piattaforma interna solo nell’area centrale del
settore, in una zona posta di fronte alla foce del Fiume Astura; divengono invece preponderanti sui
fondali a profondità superiori ai 70 m circa.
Dopo il promontorio del Circeo a SE di Terracina i fondali sono caratterizzati dalla presenza di
sabbie praticamente pure, che solo ove inizia la costa alta fanno passaggio a sabbie pelitiche prima, e poi
a peliti molto sabbiose. A SW le sabbie mancano (con esclusione di una modesta placca ubicata di
fronte alle foci dei fiumi Sisto e Portatore, su fondali di -10 m) e il loro posto viene occupato dalle
sabbie pelitiche. Quindi in tutto il tratto mancano non soltanto le peliti pure, ma anche le peliti sabbiose.
Questo fatto costituisce una riprova della quasi totale assenza di apporti dall’entroterra e quindi tutti i
sedimenti vanno considerati relitti.
Fra Gaeta e la foce del Fiume Garigliano l’estrema diffusione delle peliti sabbiose, la presenza di
peliti anche su fondali di poco superiori ai 30 m e la quasi totale assenza di sedimenti a prevalente
componente sabbiosa portano a concludere che in tutta l’area si risente fortemente l’azione del Fiume
Garigliano, il cui carico sedimentario è, presumibilmente, assai fine.
Le Isole Pontine presentano caratteristiche di distribuzione dei sedimenti sulla piattaforma
continentale interna (generalmente assai ristretta) simili fra loro. Infatti in tutte si ha una spiccata
prevalenza di sabbie pure sul lato di NW (anche a profondità superiori a 50 m), mentre su quello di SE
alle sabbie fanno seguito materiali più pelitici, compresi fra le sabbie pelitiche e le peliti molto sabbiose.
Mancano ovunque sedimenti a componente pelitica prevalente e le sabbie sono assai spesso a
componente bioclastica. Quindi queste ultime derivano dalla frantumazione di gusci, scheletri e
conchiglie di organismi viventi in loco. Questi due elementi comprovano la mancanza di apporti
significativi di sedimenti dall’entroterra e testimoniano come non solo gli elementi morfologici minori,
ma anche la sedimentologia sia controllata dall’attività biologica.
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Bibliografia essenziale
Chiocci e La Monica, 1996 - Il Mare del Lazio, oceanografia fisica e chimica, biologia e
geologia marina, clima meteomarino, dinamica dei sedimenti ed apporti continentali; cap. 2.1 - Analisi
sismostratigrafica della piattaforma continentale.
Decos, 2006, Azione I.1.7 Programma integrato di interventi per lo sviluppo del litorale del
Lazio “Sperimentazione ICZM in aree pilota” Stato di avanzamento del Progetto, progetto ICZM,
fase 1, working paper.
Decos, 2007, Azione I.1.7 Programma integrato di interventi per lo sviluppo del Litorale del
Lazio; Identificazione dei criteri di scelta delle aree pilota ed analisi di dettaglio, fase 2, working
paper.
Erosione dei litorali
I dati necessari a stimare l’entità dei processi erosivi che interessano le coste laziali sono desunti
dall’Osservatorio Regionale dei litorali Laziali, nell’ambito del progetto BEACHMED (2004)
(www.beachmed.it).
L’erosione delle coste è un fenomeno che interessa in maniera più o meno marcata la quasi
totalità delle coste Italiane. Da un punto di vista fisico-ambientale questo processo è dovuto a tutta
una serie di fattori che coinvolgono sia l’eccessiva cementificazione degli arenili sia l’alterazione
dei regimi fluviali, che causano squilibri nei processi di deposizione e trasporto dei sedimenti lungo
costa. A queste cause vanno certamente aggiunte quelle legate alla perdita di numerosi habitat quali
le dune e le praterie di Posidonia oceanica (Cappucci et a., 2006; sottoprogetto Posidune, progetto
Beachmed-e, fase A; Bouchette et al., 2006, sottoprogetto Nausicaa, progetto Beachmed-e, fase A).
L’erosione costiera è un fenomeno che porta pesanti ripercussioni anche dal punto di vista
socio-economico, arrivando in alcuni casi a minacciare la sopravvivenza delle imprese che operano
nel settore della balneazione.
La costa laziale si sviluppa per circa 290 Km (isole escluse) di cui circa 220 costituiti da
spiagge. Dalle indagini a lungo termine risulta che oltre 72 Km della costa laziale sono in erosione
cronica (confronti 1990-1998 con arretramenti superiori a - 3,00 mt) e lungo tali tratti sono stati
12
realizzati innumerevoli interventi di protezione dall’erosione di diversa tipologia ed efficacia che
hanno modificato in maniera a volte anche molto impattante il naturale paesaggio litoraneo.
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Tratti di costa in erosione
Fonte: progetto Beachmed, fase A, pag.31
Quasi tutti i Comuni del litorale laziale, esclusi Itri e Civitavecchia poiché non hanno
significativi tratti di coste basse e sabbiose ma, al contrario coste alte e quasi completamente
cementificate, presentano tratti molto ampi di costa in erosione.
E’interessante notare come la percentuale più alta di erosione venga riscontrata nei Comuni che
posseggono il più alto numero di concessioni balneari (Legge 88/2001, art.10 e Legge 135/2001Nuova legge quadro sul turismo), cioè il XIII Municipio con il 51 %, e Fiumicino con il 44 %.
La percentuale di tratti in erosione tende ad aumentare se considerata in relazione ai tratti
sabbiosi del litorale (si riporta al riguardo la tabella relativa alla percentuale dei tratti in erosione dei
litorali dei Comuni costieri – fonte Osservatorio Regionale dei litorali laziali).
Tratti di costa in erosione in ciascun comune del litorale
Fonte: prima relazione progetto ICZM, unità Decos
14
Nella zona Nord di Montalto di Castro si ha una perdita specifica compresa tra di circa 4-5.000
mc/anno per Km di costa.
L’area di Tarquinia Lido è caratterizzata da una redistribuzione del materiale deposto sulla
spiaggia a seguito dell’ampliamenti delle Saline. Rimane tuttavia la circostanza di un fenomeno
erosivo particolarmente intenso in corrispondenza delle Saline e nella zona immediatamente più a
Nord (tra Porto Clementino e la foce del Marta).
Un arco di litorale particolarmente esposto a fenomeni erosivi è quello di S.Marinella, Cerveteri,
Ladispoli per il quale può senz’altro confermarsi l’elevato trend riscontrato dalle analisi globali di
18.000 mc/anno/Km.
Un rilevante fenomeno di arretramento è in atto nel tratto di litorale compreso tra Focene e Ostia
Lido, attribuito principalmente alla drastica diminuzione di trasporto solido da parte del Tevere.
Ben visibile è la crisi di tutto l’apparato fociale del Tevere che si presenta in arretramento su
entrambi i litorali prospicienti e con un deficit globale annuo di circa 300.000 mc.
Un’estesa ed articolata area di arretramento è quella compresa tra Capo d’Anzio ed il Circeo
con fenomenologie peraltro distinte nelle due sotto aree comprese tra Capo d’Anzio e Torre Astura
e fra Torre Astura ed il Circeo.
Le analisi globali confermano questi dati di natura bibliografica individuando un trend di 6.000
mc/anno/Km a levante di Nettuno e Foce Verde ed un trend sensibilmente più elevato per un tratto
dell’arco di Sabaudia che presenta valori di 14.000 mc/anno/Km.
Altri 30 Km di litorale in erosione sono rintracciabili nell’arco di litorale compreso tra il Circeo
e Gaeta. Particolarmente studiato è il tratto tra il Circeo e Terracina dove si è dedotto un trasporto
longitudinale crescente verso Est con valori di circa 60-90.000 mc/anno all’altezza di Porto Badino.
Supponendo che tale trasporto venga alimentato completamente da questo tratto di litorale (12 Km),
si è stimato un deficit unitario di 5-7.500 mc/anno/mt.
Nell’ultimo arco di litorale compreso tra Gaeta e la foce del Liri-Garigliano si distinguono due
aree soggette ad arretramento costituite dalle spiagge di Vindicio e Santo Janni (Formia) e di Scauri
(Minturno) per le quali peraltro non erano state sviluppate stime di erosione. Le analisi globali
riportano un trend medio-basso di 3.000 mc/anno/Km.
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Bibliografia essenziale
Beachmed 2004, IL PROGETTO BEACHMED: Recupero ambientale e manutenzione dei
litorali in erosione, mediante l’impiego dei depositi sabbiosi marini, Primo quaderno tecnico fase A,
seconda edizione. Disponibile su www.beachmed.it
Bouchette F., Cléa Denamiel, Alberto Lamberti, Silaios Yorgos, Marco Deserti,
Giandomenico
Ardizzone,
Andrea
Belluscio,
2008,
Caratterizzazione
delle
condizioni
idrometeorologiche in zona litorale e analisi dei rischi costieri, del comportamento delle opere di
difesa e della dinamica delle praterie di Posidonia oceanica, sottoprogetto 2.2 NAUSUCAA,
progetto Beachmed-e, pag.47-59.
Bovina G., Cappucci, S:, Pallottini E.,2007a, Presences et etat ded depotd de biomasse
vegetale de plage associes aux praires de phanerogames marines. Posidune – Interactions de
Posidonia oceanica et Sable avec l’Environnement des Dunes Naturelles. Cahier Tecnique etendu
de Pahse A: 132-151.
Bovina G., Cappucci, S:, Pallottini E.,2007b, La gestion des biomasses vegetales de plage.
Posidune – Interactions de Posidonia oceanica et Sable avec l’Environnement des Dunes
Naturelles. Cahier Tecnique etendu de Pahse A: 37-54.
Decos, 2006, Azione I.1.7 Programma integrato di interventi per lo sviluppo del litorale del
Lazio “Sperimentazione ICZM in aree pilota” Stato di avanzamento del Progetto, progetto ICZM,
fase 1, working paper.
16
La Posidonia oceanica
La Posidonia oceanica è una fanerogama marina, quindi una pianta superiore, non un’alga,
presente esclusivamente lungo le coste del Mediterraneo. La pianta è in grado di crescere
orizzontalmente, permettendo così la colonizzazione di aree nuove e di consolidarsi in aree dove è
presente in abbondanza (crescita verticale). Quest’ultima modalità di crescita determina un
innalzamento del fondo marino dando origine ad una tipica formazione a ‘terrazzo’ chiamata con il
termine francese “matte” (Ardizzone, Belluscio, 1996).
Le praterie di Posidonia oceanica, con la formazione di una biomassa vegetale media
annuale pari a circa 38 tonnellate di peso secco per ettaro, vengono considerate come le più forti
concentratici di materia vivente del Mediterraneo (Boudouresque e Meinesz, 1982). Inoltre possono
rappresentare un fattore di stabilità dei fondi mobili e delle rive. L’efficacia della protezione offerta
al litorale dalle praterie di Posidonia è dimostrata dalle conseguenze a catena che possono venire
innescate dalla loro scomparsa: instabilità ed escavamento dei fondi, erosione o impinguamento
delle spiagge, insabbiamento dei porti, ecc. (Ardizzone, Belluscio, 1996).
Presenza di Posidonia lungo il litorale e stato di conservazione
Lo stato della Posidonia lungo il litorale laziale è stato valutato dalla Università de “La
Sapienza”, Dipartimento di Biologia Animale e dell’Uomo, confrontando carte storiche e di recente
formulazione. Queste interessano gli ultimi 50 anni e si basano su: a) la cartografia del 1959 di
Fusco (1961), b) la cartografia del 1980 di Ardizzone e Migliuolo (1982), e c) la cartografia del
1990 di Diviacco et al. (2001). La cartografia più aggiornata, in scala 1:10.000, infine è stata
realizzata dalla Regione Lazio e dall’Università “La Sapienza” sulla base della combinazione di dati
Side Scan Sonar, ROV, immersioni subacquee e posizionamento DGPS, nell’ambito di una
campagna di monitoraggio svoltasi nel 2005.
I vari studi succedutisi in un arco di circa 30 anni hanno interessato non solo l’analisi della
presenza, ma anche la densità fogliare con ricostruzione sia del limite inferiore che superiore, ed
analisi del ricoprimento. Inoltre le caratteristiche delle praterie sono in relazione, tra le altre cose,
con la conformazione del litorale e del fondale, con la trasparenza, e più in generale con la qualità
delle acque.
Di seguito si riportano speditive informazioni in merito allo stato della prateria di Posidonia
lungo il litorale con una mappatura in scala 1:50000, dividendo la Posidonia in diverse classi,
17
(ARDIZZONE, 1992; Ardizzone e Belluscio, 1996; Università degli studi di Roma “La Sapienza” Regione Lazio, 2008). Le categorie riportate sono:
a) Posidonia prevalentemente su fondi duri;
b) Posidonia prevalentemente su sabbia o “matte”;
c) Posidonia a fasci isolati e “matte” morta.
La parte nord al confine con la regione Toscana non si può dire che presenti una prateria in
buono stato, ma solo dei fasci isolati con densità molto bassa. L’area che si estende nel territorio di
Montalto di Castro e Tarquinia, dalla foce del torrente Tafone fino al fiume Mignone, presenta una
consistente presenza di Posidonia ben oltre la batimetrica dei 20 metri, con presenza di matte morta
oltre i 30 metri. Sempre nel territorio di Montalto, a largo di Punta Morelle, il fondale è
caratterizzato da formazioni rocciose ed è presente Posidonia in fasci radi ed isolati alternati a matta
morta. Anche il tratto di mare compreso tra il Fiora e l’Arrone presenta una situazione di degrado.
Qui la Posidonia si presenta estremamente degradata e con ampie zone di matta morta, a partire da
15 metri fino ad oltre 20. In questa zona non si può parlare di prateria ma di fasci isolati.
In prossimità della foce dell’Arrone il fondale si presenta con un mosaico di sabbie, roccia e
matte fino a 10 metri di profondità; oltre, e fino a 14 metri, è possibile rinvenire Posidonia su matte
e sabbie con copertura del 30%.
Il fondale antistante la foce del fiume Marta si presenta prevalentemente sabbioso fino alla
profondità di 18 metri, dove si ritrova matta morta. Radi i ciuffi di Posidonia sulle matte. Posidonia
con copertura non superiore al 20% si ritrova intorno agli 8 metri di profondità.
Nei fondali antistanti Tarquinia la Posidonia è presente in concentrazioni del 20-30% su
sabbie fini e matte fino ad una profondità di 7 metri; oltre e fino a 15 metri è presente anche su
substrato duro, mentre oltre i 20 metri il fondale mostra prevalentemente matta morta.
In sintesi, lungo la costa laziale settentrionale la distribuzione della Posidonia appare molto
eterogena. La complessa situazione e geometria della Posidonia evidenzia in molti tratti un vistoso
fenomeno regressivo in atto.
Il fondale antistante la foce del Mignone si presenta prevalentemente sabbioso, anche se,
soprattutto al largo, sono presenti affioramenti rocciosi. Fino a Civitavecchia, oltre la quindicina di
metri il popolamento dei fondi duri acquista il tipico aspetto del precoralligeno. Macchie di
Posidonia più o meno grandi sono evidenti sia nei catini che sulla roccia, con copertura che
raramente supera il 20 %, procedendo in direzione di Capo Linaro.
18
Posidonia nella parte Nord del litorale fino a Santa Severa
Fonte: Il mare del Lazio, capitolo 4.2
A capo Linaro macchie di Posidonia sono presenti per lo più su roccia fino a 10 m
(copertura inferiore al 10%), ed in buche di sabbia oltre questa profondità, con copertura che
intorno gli 11 m arriva al 30-40 %. Tra Capo Linaro e Torre Flavia (Santa Marinella) si ritrovano
ampie zone di “matte” morta intervallate a rocce organogene, catini di sabbia con radi fasci di
Posidonia e talvolta macchie di Posidonia più consistenti. I fondali tra Capo Linaro e Torre S.
Agostino presentano un mosaico di Posidonia, rocce prevalentemente organogene e fondi mobili.
Avvicinandosi verso il porto di S. Marinella sono presenti ancora basse formazioni rocciose,
sempre tra abbondante “matte” morta con ampi catini e canali di sabbia.
A Nord delle secche di Macchia Tonda prevalgono formazioni di matte morta, che si
rinvengono ad una profondità di circa 9 metri su fondale roccioso. Oltre i 10 metri la Posidonia
raggiunge una copertura del 10%. Fasci sparsi di Posidonia si rinvengono fino ai 15 metri su
fondale roccioso. A profondità ulteriori (20 metri) la Posidonia si fa più rada e compaiono fasci
isolati di matte morta su sabbia.
Nei pressi delle secche di Macchia Tonda formazioni rocciose di origine organogena
partono dai primissimi metri di profondità e si spingono fino ad una ventina di metri. A partire dai
7-8 m sulla roccia e nei canali di sabbia è presente Posidonia rada. Oltre i 10 m assieme alla roccia
sono presenti anche ampi tratti di “matte” morta di Posidonia, con radi fasci di piante vive.
Scendendo più a Sud, nei pressi di Ladispoli, nella zona delle secche di Torre Flavia si
trovano delle macchie di Posidonia che appaiono piuttosto articolate, con roccia bassa di origine
19
organogena, catini e canali di sabbia. Piccole e rade macchie di Posidonia sono presenti nei catini di
sabbia e sulle fasce di “matte” morta che si intervallano alle formazioni rocciose.
Il tratto di litorale interessato dalla idrodinamica e sedimentologia della foce del Tevere,
compreso tra Palo e Torre Astura, risentendo ancora moltissimo degli apporti del Tevere (acque
torbide, elevata sedimentazione, ecc.), non presenta Posidonia se non con rarissimi fasci isolati.
Praterie di Posidonia presso la foce del Tevere
Fonte: Il mare del Lazio, capitolo 4.2
L’unica zona che presenta Posidonia in tutto il Lazio centrale è quella delle secche di Tor
Paterno, formazioni rocciose distanti fino a circa 4 miglia dalla costa, antistanti il centro abitato di
Torvaianica. Le formazioni rocciose più costiere, situate tra i 6-8 m e una decina di metri circa di
profondità non presentano Posidonia mentre quelle più esterne, che partono da 18-20 m di
profondità ed arrivano fino ad una quarantina di metri, presentano alcune zone ricoperte da
Posidonia.
Tra Capo Portiere e Torre Astura è presente una prateria di Posidonia compatta, a densità
piuttosto elevata e su “matte” intorno i 15 m, meno compatta per la presenza di ampie zone di
erosione intorno i 20 m e a chiazze fino a 31-32 m di profondità. Alcune aree di questa prateria
presentano segni di avanzato stato di regressione mentre in altre sono presenti strutture rocciose.
20
La Posidonia è presente lungo il litorale antistante il lago di Fogliano, mentre è assente tra il
promontorio del Circeo e la foce del lago di Caprolace dove è invece presente Cymodocea nodosa.
Praterie di Posidonia a sud del fiume Tevere fino al Circeo
Fonte: Il mare del Lazio, capitolo 4.2
Oltre il Circeo, verso Terracina è presente (osservazioni del 1981) una estesa prateria di
Posidonia che mostra un’area a maggiore densità (più di 150 fasci mq) nelle acque antistanti il
promontorio del Circeo, la foce del fiume Sisto e tra Terracina e Torre Canneto. La maggior parte
dell’area però è occupata da una prateria che si presenta estremamente rarefatta, con densità
inferiore a 50 fasci per mq e con ampie zone di “matte” morta.
Tra la foce di Lago Lungo e Terracina è presente (osservazioni del 1982) una prateria di
Posidonia, prevalentemente su “matte” con densità superiore ai 150 fasci mq e propaggini degradate
verso l’esterno fino a raggiungere una desità di 50 fasci a mq proprio di fronte a Lago Lungo.
Poco più a sud Tra Torre Viola e la foce di lago Lungo è presente, lungo una stretta fascia
batimetrica situata tra 10 e 15-20 metri, un prato di Cymodocea nodosa, ma non di Posidonia.
Questo tratto di costa, sebbene caratterizzato da una considerevole estensione di fanerogame
manifesta una riduzione della copertura delle praterie con spostamento del limite inferiore. Nel
1959, tale limite era posizionato su fondali di 35 m in tutta l’area (Fusco, 1961), mentre il
monitoraggio del 1990 ha evidenziato un ulteriore spostamento verso terra del limite inferiore delle
praterie, che è passato approssimativamente a 30 m al largo di Capo Circeo, a 20-22 m nella parte
centrale e a 24-25 m ad est di Terracina (Diviacco et al., 2001).
21
Il problema principale di tale degrado è rinvenibile nella pesca a strascico (Ardizzone 1981)
e nella eccessiva urbanizzazione. Il litorale antistante il Circeo ha una prateria sana in quanto è poco
sfruttata dalla pesca a strascico illegale, essendo il suo fondale caratterizzato dalla presenza di
substrati duri sparsi. Verso Terracina il litorale è stato ampiamente antropizzato nel corso degli
ultimi cinquanta anni, con un forte degrado della qualità delle acque e dell’equilibrio sedimentario
della spiaggia. Verso Sperlonga invece la regressione è moderata e caratterizzata da un leggero
arretramento del limite inferiore della prateria.
Durante il sottoprogetto Nausica del progetto Beachmed_e (2006-2008) (Bouchette et al.,
2006) è stata ulteriormente analizzata la situazione delle praterie del Circeo fino a Sperlonga. E’
possibile identificare una prima zona (ad ovest), corrispondente alla prateria che si estende in
corrispondenza di Capo Circeo. Questa è quella che è stata meno intaccata nel corso degli anni; la
seconda zona (l’area centrale) è quella compresa tra Capo Circeo e Terracina e presenta una prateria
in evidente stato di regressione, con arretramento sia del margine inferiore che di quello superiore.
Questo litorale è stato ampiamente antropizzato nel corso degli ultimi cinquanta anni, con un forte
degrado della qualità delle acque e dell’equilibrio sedimentario della spiaggia. La terza zona (ad
est), che si estende da Terracina a Sperlonga mostra una regressione moderata, caratterizzata da un
leggero arretramento del limite inferiore della prateria.
Dal monitoraggio del 2005 è emerso che il limite superiore delle praterie ha subito meno
modifiche nel tempo rispetto al limite inferiore, passando da 14 m nel 1959, a 17-18 m rilevati nel
2005, senza differenze significative nelle tre zone sopracitate. L’unica eccezione da segnalare è
quella relativa all’area del porto del Circeo. Questa importante opera portuale, realizzata negli anni
’60, ha avuto una forte incidenza sulle praterie provocando un ampio buco nella sua distribuzione.
La perdita totale di Posidonia corrisponde così approssimativamente a 4.391 ha in un periodo di
tempo di 50 anni (Bouchette et al., 2006).
22
Praterie di Posidonia tra il Circeo e Sperlonga
Fonte: quaderno tecnico fase A progetto Beachmed-e
Nella parte più meridionale della costa, a partire dal golfo di Gaeta si può rilevare come la
Posidonia risulti assente (Amm. Prov. Di Latina, 1985; Zurlini e Bedulli, 1983).
Praterie di Posidonia tra il Circeo e l’estremità sud del litorale
Fonte: Il mare del Lazio, capitolo 4.2
Molto diversa è la situazione delle isole pontine. Infatti su questo arcipelago, non gravando
nessuno dei fattori di rischio prima menzionati, le praterie di Posidonia hanno manifestato una certa
stabilità nel tempo, almeno negli ultimi 15 anni, non registrandosi tracce di regressione. Attorno alle
Isole Pontine la Posidonia copre grandi estensioni sia su substrati mobili che su fondi rocciosi,
rappresentando una delle caratteristiche più salienti di questi fondali.
23
L’isola di Ponza presenta una prateria di Posidonia che la circonda praticamente per tutto il
suo perimetro, ad esclusione della zona antistante Cala Chiaia di Luna.
Palmarola presenta praterie di Posidonia che circondano l’isola per gran parte del suo
perimetro. Le praterie più vaste si ritrovano lungo il suo versante meridionale; queste si estendono,
anche se con ampie zone sabbiose, fino alla profondità di 32 m circa.
La piccola isola di Zannone appare quasi completamente circondata da una fascia di
Posidonia, per quanto i suoi ripidi fondali permettano. Il limite inferiore delle praterie è posto
intorno i 37-38 m; “matte” morta si ritrova spesso fino ad una profondità di circa 40 m.
Anche Ventotene e S. Stefano presentano fondali estremamente ripidi, con praterie di
Posidonia di ridotta estensione. Quasi tutto il versante sudoccidentale di Ventotene presenta
Posidonia, su roccia fino a circa 16 m e su sabbia o “matte” fino a 36-37 m.
Complessivamente lungo tutto il litorale si contano diversi habitat di Posidonia oceanica
che si distribuiscono in maniera disomogenea lungo la costa, concentrandosi ai limiti meridionali e
settentrionali della Regione e lasciando completamente scoperta l’area che va dal Comune di
Fiumicino a quello di Nettuno. Quest’area corrisponde all’area d’influenza del polo urbano di
Roma.
Le isole pontine presentano praterie di Posidonia ampie e in buono stato. Il Lazio
meridionale presenta alcune aree di Posidonia a densità maggiore circondate da zone con Posidonia
più rarefatta e con “matte” morta. La caratteristica principale dei fondali con Posidonia del Lazio
settentrionale è invece l’abbondante presenza di “matte” morta, soprattutto nella zona compresa tra
Torre Flavia e Capo Linaro e dalla foce del Mignone a quella del Tafone. Il problema della
regressione della Posidonia è quindi generalizzabile per tutta la costa laziale, isole Pontine escluse.
Un fenomeno di regressione così diffuso si può spiegare solo in parte con azioni dirette di
disturbo da parte di attività quali ad esempio la pesca a strascico, ampiamente documentate per le
praterie del Lazio meridionale. La situazione del Lazio settentrionale sembra più dovuta ad una
aumentata torbidità delle acque e a variazioni del regime sedimentario delle correnti. La costruzione
in questi ultimi anni di numerose opere in mare (ampliamento dei porti di S. Marinella e
Civitavecchia, realizzazione del porto di Riva di Traiano, opere e lavori per le centrali
termoelettriche di Civitavecchia, Tor Valdaliga e Montalto di Castro, la regimazione dei corsi
d’acqua Mignone, Marta, Arrone, Fiora, ecc.) ha sicuramente concorso a tale condizione.
24
Bibliografia essenziale
Amministrazione provinciale di latina, 1984, Studio dell’ecosistema marino compreso tra
Torre Viola e il Garigliano in vista di iniziative in favore della pesca locale. A. P. Latina – Ecomar,
118 pp.
Ardizzone G.D., 1981, Stato dell’ecosistema marino costiero tra capo circeo e terracina
(medio tirreno). atti ii conv. prov. pesca, terracina (lt), maggio 1981.
Ardizzone G.D., Migliuolo A., 1982, modificazioni di una prateria di Posidonia oceanica
(l.) delile del medio tirreno sottoposta ad attività di pesca a strascico. naturalista siciliano, s. iv, vi
(suppl.3), 509-15.
Ardizzone G.D. 1992, Cartografia bentonica con sistemi video controllati a distanza.
oebalia, suppl., xvii, 421-452.
Ardizzone G.D., Belluscio A., 1996, Il mare del lazio, oceanografia fisica e chimica,
biologia e geologia marina, clima meteomarino, dinamica dei sedimenti ed apporti continentali; cap.
4.2 – le praterie di Posidonia oceanica delle coste laziali.
Boudouresque C.F. e A. Meinesz, 1982, Decouverte de l’herbier de posidonie. cah. parc
nation. port-cros, 4: 1-79.
Bouchette F., cléa Ddenamiel, alberto Lamberti, silaios Yorgos, marco Desert,
giandomenico
Ardizzone,
andrea
Belluscio,
2006,
caratterizzazione
delle
condizioni
idrometeorologiche in zona litorale e analisi dei rischi costieri, del comportamento delle opere di
difesa e della dinamica delle praterie di Posidonia oceanica, sottoprogetto nausicaa, rapporto
tecnico di fase a, beachmed-e.
Diviacco .G.D., Spada E., Lamberti C., 2001, Le fanerogame marine del Lazio. descrizione
e cartografia delle praterie di Posidonia oceanica e dei prati di Cymodocea nodosa”. quaderno
icram, 113 pp.
Fusco N., 1961, carta da pesca n. 3. da capo circeo a capo miseno. ministero marina
mercantile. direzione generale pesca marittima.
25
Università degli studi di Roma “la Sapienza”, Regione Lazio, 2008, Rilievo e
caratterizzazione delle praterie di posidonia antistanti le coste della regione Lazio e dei principali
popolamenti marini costieri per la realizzazione di una cartografia dei fondali della regione Lazio e
la predisposizione di un atlante degli habitat marini, rapporto prima fase.
Zurlini G., Bedulli D., 1983 - Associazioni macrobentiche del Golfo di Gaeta e loro
relazione con i fattori ambientali. In Un esempio di analisi ecologica del sistema marino-costiero da
Capo Circeo all’Isola d’Ischia. ENEA/CREA - Serie Simposi: 185-207.
26
Il Benthos
Le comunità bentoniche comprendono l’insieme degli organismi animali e vegetali che
popolano il fondo e che sono ad esso strettamente legati. Lo studio delle comunità bentoniche si
rivela un utile strumento per la valutazione della qualità delle acque marine nelle indagini di
impatto ambientale. Tali comunità, infatti, grazie agli stretti rapporti che gli organismi contraggono
con il fondo ed ai cicli vitali relativamente lunghi, forniscono, rispetto alle analisi dei soli parametri
fisico-chimici, informazioni più complete e di lungo termine sulle condizioni globali del sistema
(Pearson e Rosenberg, 1978, citati da Chimenz Gusso et al., 1996).
Diversi sono i lavori che hanno riguardato il benthos della costa laziale. Per una numerosa
rassegna bibliografica si può fare riferimento alla review di Chimenz Gusso et al., (1996), presente
nel rapporto Il Mare del Lazio, il cui studio è stato condotto integrando le informazioni
bibliografiche carenti, con studi sul campo analizzando campioni lungo tutto il litorale sia di fondo
molle che duro. Altre informazioni inerenti lo stato delle comunità bentoniche nelle aree sottoposte
a dragaggio di sabbie relitte nelle zone di Montalto di Castro, Tor Vaianica, Anzio, Sabaudia e
Gaeta realizzate dall’Icram.
I fondi molli della Fascia Costiera esaminati (0-7 m) afferiscono sostanzialmente alla biocenosi
delle Sabbie Fini degli Alti Livelli, caratterizzata dalla presenza di bivalvi Donax semistriatus,
Donax trunculus, Tellina tenuis, Lentidium mediterraneum, a cui si aggiungono le specie sabulicole
Glycera tridactyla, Chamelea gallina, Diogenes pugilator.
Alla batimetrica di 5 m (soprattutto a Sabaudia) si rinviene la presenza di elementi caratteristici
della biocenosi delle Sabbie Fini Ben Calibrate, dominate da specie quali Bathyporeia
guilliamsoniana, Nassarius mutabilis, Liocarcinus zariquiey,Glycera tridactyla e Anaitides mucosa.
A Fregene e Terracina gli Anfipodi Ampelisca brevicornis, Bathyporeia guilliamsoniana e
Bathyporeia megalops denotano la presenza di sabbia fine, mentre nel transetto del Fiora
Pontocrates altamarinus indica la presenza di sabbie più grossolane.
Per quanto riguarda i fondi molli della Fascia del Largo (8 - 110 m), nella fascia batimetrica tra
8 e 15 m domina la biocenosi delle Sabbie Fini Ben Calibrate, distribuita prevalentemente a Nord
del Tevere, tra Focene e Ladispoli, e a Nord del Circeo fino ad Anzio. In questa fascia oltre a specie
tipicamente sabulicole (Nephtys hombergii, Tellina pulchella) si trovano alcuni elementi limicoli
27
(Glycera unicornis, Abra alba) lungo le coste del Lazio settentrionale, come ad esempio tra le foci
del Mignone e del Fiora.
I popolamenti delle sabbie procedono fin verso i 20 metri, con l’aggiunta di specie sabulicole
tolleranti e tendenzialmente limicole (Ampelisca typica, Nephtys hombergii, Melinna palmata, Abra
alba, Nucula nucleus), che testimoniano la contemporanea presenza di una frazione più fine del
sedimento.
Tra i 20 e 30 metri si estende la fascia ecotonale tra le sabbie ed il fango, che risulta colonizzata
da un popolamento zoobentonico misto. Specie frequenti nei sedimenti sabbiosi (Nephtys cirrosa,
Nephtys hombergii, Tellina nitida) si accompagnano a specie comuni nei Fanghi Terrigeni Costieri
(Turritella communis, Paralacydonia paradoxa, Laonice cirrata, Sternaspis scutata). Tali specie
prevalgono nella zona intorno alla foce del Tevere, ma anche più a Sud, come si riscontra tra Anzio
e il Circeo. In misura più ridotta questi effetti si denotano anche in corrispondenza delle foci dei
fiumi Marta e Mignone.
Alcuni elementi tipici del Detritico Costiero e del Detritico Infangato, soprattutto tra i Molluschi
(Plagiocardium papillosum, Tellina balaustina, Pitar rudis, Dentalium inaequicostatum),
caratterizzano l’area di regressione della Posidonia estesa a Sud del Circeo.
Nella fascia tra i 30 e i 50 metri sono ancora presenti popolamenti zoo-bentonici misti tra S.
Severa e Torre Astura. Elementi con affinità per i sedimenti più grossolani e misti (Glycera
lapidum, Corbula gibba) e preferenziali dei fondi detritici (Tellina serrata, Aponuphis brementi)
testimoniano la presenza di aree occupate dal Detritico Infangato (DE) distribuite a Nord, ad
esempio di fronte a Tarquinia, a S. Marinella e tra Torre Astura e il lago di Caprolace.
Oltre i 50 metri si evidenziano popolamenti tipici dei fanghi ai quali si aggiungono aree di
Detritico Infangato e di sedimenti misti, soprattutto a Sud del Circeo. I Policheti dominano, in
termini sia di ricchezza specifica che di abbondanza, sulle altre frazioni del popolamento
zoobentonico quali Molluschi ed Anfipodi, che risultano assai ridotte a queste profondità, rispetto ai
livelli più superficiali.
Popolamenti di fondo duro sono presenti soprattutto a Nord, come nella zona tra S.Severa e
Civitavecchia, ma anche di fronte a Torre Astura, dove è in genere insediata la Posidonia. Questi
inoltre si rinvengono anche a Nord e a Sud di Civitavecchia in prossimità del margine inferiore
della Posidonia, che in quest’area è costituita prevalentemente da fasci isolati e “matte” morta
(Ardizzone e Belluscio, 1996).
28
Popolamenti bentonici nel litorale nord fino a Santa Severa
Fonte: Il Mare del Lazio, capitolo 4.1
Popolamenti bentonici del litorale laziale Nord
Fonte: Il Mare del Lazio, capitolo 4.1
29
Popolamenti bentonici del litorale pontino
Fonte: Il Mare del Lazio, capitolo 4.1
Popolamenti bentonici del litorale sud
Fonte: Il Mare del Lazio, capitolo 4.1
legenda
30
Bibliografia essenziale
C. Chimenz Gusso, E. Taramelli Rivosecchi, M.F. Gravina, 1996, I popolamenti bentonici
litorali, in il mare del Lazio, capitolo 4.2, Regione Lazio, Università “La Sapienza”, Roma.
Popolamenti ittico e aree di nursery
Le principali informazioni sul popolamento ittico demersale della piattaforma continentale
laziale, tra 0 e 150 m di profondità, provengono essenzialmente dai dati raccolti durante campagne
sperimentali di pesca a strascico, realizzate dal Dipartimento di Biologia Animale e dell’Uomo
dell’Università di Roma de “La Sapienza”. Durante le campagne Gru.N.D. e MedITSIT (triennio
1996-1998) si è potuto mettere in evidenza quali sono le specie demersali caratteristiche della
piattaforma laziale. Sono state censite in tutto 13 specie di pesci cartilaginei, 89 di pesci ossei, 18 di
cefalopodi e 18 di crostacei, per un totale di 138 specie (quaderno tecnico fase A, relativo al
progetto Beachmed).
Il nasello (Merluccius merluccius) è la specie commerciale più abbondante a partire dai 50m di
profondità, mentre la triglia di fango (Mullus barbatus) e il polpo (Octopus vulgaris) mostrano
rendimenti maggiori tra i 10 e i 50m. Tra le altre specie maggiormente catturate vi è il fragolino
(Pagellus erythtrinus), il potassolo (Micromesistius potassou), la musdea (Phycis blennoides), il
moscardino bianco (Eledone cirrhosa) e il gambero rosa (Parapenaeus longirostris) (Ardizzone et
al., 1998; Ardizzone et al., 1994).
Colloca et al. (2001; 2002) analizzano in dettaglio la struttura e la distribuzione nello spazio dei
popolamenti demersali del Lazio. L’analisi dei dati, relativi al 1997-1998, evidenzia la presenza
sulla piattaforma laziale, di tre gruppi faunistici con caratteristiche distinte: il primo localizzato
nella fascia compresa tra 0 e 50m di profondità, il secondo caratteristico del tratto di piattaforma
compreso i 50 e 120m circa e il terzo localizzato oltre i 120m di profondità, costituito dalle specie che
vivono al confine tra la piattaforma continentale e la scarpata.
Il popolamento presente nella fascia più prossima alla costa è caratterizzato da concentrazioni
elevate di giovanili di pesci tipici della piattaforma, in particolare la triglia di fango (M. barbatus) e il
pagello (Pagellus acarne).
31
Si tratta di specie che vivono su fondali sabbiosi misti a fango e detrito caratterizzati dalla presenza
delle biocenosi delle Sabbie Fini Ben Calibrate, dei fondi Misti Sabbioso-Fangosi e Fanghi Terrigeni
Costieri e del Detritico Costiero.
Il secondo gruppo, localizzato nel tratto di mare che va dai 50 ai 120m di profondità, è costituito da
specie che prediligono fondi fangosi caratterizzati dalle biocenosi del Detritico Infangato; la specie più
abbondante è il nasello insieme alla menola e al gambero rosa (Parapenaeus longirostris). Anche il
cavillone Lepidotrigla cavillone e la seppia elegante Sepia elegans sono costituenti importanti di questo
gruppo (Cardinale et al., 1997).
Il terzo gruppo, infine, è costituito da specie che raggiungono concentrazioni significative sul
margine della piattaforma, caratterizzato da sedimenti detritici infangati, colonizzati dal crinoide
Leptometra phalangium. In corrispondenza della facies a Leptometra phalangium vivono ben 82 specie
demersali. Le specie tipiche di questo raggruppamento sono il nasello M. merluccius, il merluzzetto
Trisopterus minutus capelanus, il pesce trombetta Macroramphosus scolopax e l’argentina Argenthina
sphyraena, tra i pesci, Illex coindetii e P. longirostris rispettivamente tra i cefalopodi e i crostacei.
Il lavoro di Colloca et al. (2001; 2002) mostra come la diversità biologica tenda ad aumentare con
l’incremento della profondità: infatti, nella porzione più profonda della piattaforma è presente un
raggruppamento maggiormente diversificato e composto sia da specie tipiche della piattaforma sia da
specie euribate (ad esempio P. longirostris, Macropipus depurator, L. cavillone, etc.). Tale lavoro
completa e conferma uno studio comparato sugli assemblaggi di tre aree del Tirreno centrosettentrionale (dalla foce del fiume Magra, in Liguria, fino alla foce del fiume Garigliano nel Lazio) di
Biagi et al. (1998).
Diversi studi, tra Capo Circeo e Terracina (Ardizzone, 1982; Ardizzone e Pelusi, 1983), sono stati
condotti sulla pesca a strascico entro le tre miglia dalla costa. La pesca a strascico entro le tre miglia
viene condotta a livelli di sovrasfruttamento degli stocks costieri, colpendo gli stadi giovanili di molte
specie (Ardizzone, 1982), e alterando spesso irreversibilmente, biocenosi bentoniche, quali la prateria di
Posidonia, di notevolissima importanza nell’equilibrio biologico della fascia costiera (Ardizzone e
Migliuolo, 1982; Ardizzone e Pelusi, 1983).
32
Aree di nursery
Fonte:cartografia fornita dalla Regione Lazio
Bibliografia essenziale
Biagi F., Sartor P., Ardizzone G.D., Belcari P., Belluscio A., Serena F. (1998) – Analysis of
demersal fish assemblages of the Tuscany and Latium coasts: Community structure and biodiversity.
Assessment of demersal resouces in the Mediterranean and in the adjacent seas. Pisa (Italy) 18-21
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34
Il sistema delle aree protette lungo la fascia costiera
Analizzando l’intero Sistema di aree protette lungo la costa della Regione Lazio emerge una
Rete di “nodi”, capisaldi della più estesa Rete ecologica costiera, abbastanza diffusa sul territorio.
Emergono però anche alcune specificità:
1. Nella porzione più settentrionale della costa (da Montalto di Castro a S. Marinella)
prevalgono le aree protette appartenenti alla categoria delle Z.S.C. e si concentrano, tranne due
eccezioni (Tolfa e due Siti interni nel comune di Tarquinia), lungo la costa o in mare: la fascia
costiera appare dunque come l’area più rilevante per la presenza ed il mantenimento della
Biodiversità in questo settore.
Da segnalare sin d’ora come l’area delle Saline di Tarquinia sia riconosciuta come area da
tutelare in tutte le tipologie indagate, ciò sembra sottolineare la rilevanza delle Saline dal punto di
vista ecologico funzionale per la fascia costiera viterbese;
2. Nella parte centrale della Regione (da Cerveteri ad Ostia) prevalgono le aree protette terrestri,
fatta eccezione per le Secche di Tor Paterno (SIC e Riserva Naturale Marina). Tra queste le Aree
protette diverse dalle Z.S.C. rappresentano l’elemento dominante per estensione e comprendono al
loro interno le aree della Rete Natura 2000;
3. I due Comuni di Pomezia ed Ardea, costituiscono un elemento di interruzione netto nel
Sistema delle aree protette; infatti anche dall’analisi incrociata di tutte le tipologie di aree protette
risultano i più poveri in Biodiversità con un unico S.I.C. (IT6030016) al loro interno, di dimensioni
molto ridotte;
4. Il tratto rimanente di costa (da Anzio a Minturno) presenta una gran varietà di aree protette,
differenti per tipologia, estensione e grado di tutela, concentrate essenzialmente lungo la costa, con
significative presenze sia terrestri che marine. Alle loro spalle si estende la Pianura Pontina e la
piana bonificata di Fondi, dove sono totalmente assenti aree da tutelare, che ricompaiono solo dove
iniziano i primi rilievi.
Anche in questo caso si segnala un’area in particolare, il Circeo, che come le Saline di
Tarquinia, è riconosciuta area da tutelare in tutte le tipologie analizzate, tanto da poterlo considerare
a tutti gli effetti come un hot-spot di Biodiversità.
35
Rete Natura 2000 ed aree a parco
La Rete Natura 2000 costituisce un sistema coordinato e coerente di aree destinate alla
conservazione della diversità biologica. Essa è formata dalle Zone Speciali di Conservazione
(Z.S.C.), che si distinguono in Zone a Protezione Speciale (Z.P.S.) e Siti d’Importanza Comuntaria
e proposti Siti d’Importanza Comuntaria (S.I.C., pSIC). In particolare queste aree sono individuate
per la tutetla di una serie specifica di habitat e specie animali e vegetali, elencati negli Allegati I e II
della direttiva 92/43/CEE.
La porzione di Rete Natura 2000 compresa nella fascia costiera, in base alla definizione di
Turner et al., XX), include 68 Z.S.C. di cui 49 terrestri, e 19 marine. Le 19 Z.S.C. marine sono tutti
S.I.C. con habitat di Posidonia oceanica, e si distribuiscono in maniera disomogenea lungo la costa,
concentrandosi ai limiti meridionali e settentrionali della Regione, lasciando completamente
scoperta l’area che va dal Comune di Fiumicino a quello di Nettuno. Quest’area corrisponde
all’area d’influenza del polo urbano di Roma.
Elenco dei siti SIC marini
Fonte: Decisione 2008/335/CE
36
Le altre 49 ZCS si trovano nella porzione terrestre della fascia costiera e, tranne alcune
eccezioni (es. Castel Porziano), sono tutte di dimensioni ridotte. Circa la loro distribuzione si nota
come siano presenti lungo l’intero litorale con una densità maggiore nella porzione meridionale, a
partire dal Comune di Anzio. Essenzialmente gli habitat tutelati sono riconducibili a zone umide
(es. saline, stagni retrodunali del Circeo, ecc) o ad habitat dunali e retrodunali, (dune di Castel
Porziano, foreste igrofile planiziali, ecc).
E’ possibile inoltre individuare delle zone di diradazione e in alcun casi, di assenza di
elementi della Rete Natura 2000: il caso più evidente sono i Comuni di Pomezia ed Ardea, che
hanno nel loro territorio solo una Z.S.C. ed anche di ridotte dimensioni; mentre nei Comuni del
Viterbese si nota come sia le Z.S.C. terrestri che quelle marine si concentrano lungo la costa, mentre
nell’entroterra collinare ormai prevale una matrice agricola continua; lungo il litorale a Nord di
Roma, invece, restano solo aree ormai ridotte in estensione, molte delle quali legate alla presenza di
avifauna migratoria (es. Torre Flavia).
Elenco dei siti SIC costieri
Siti costieri della provincia di Viterbo
IT6010017 Sistema fluviale Fiora — Olpeta * 1 040 E 11 37 N 42 29
IT6010018 Litorale a nord ovest delle Foci del Fiora * 185 E 11 29 N 42 21
IT6010019 Pian dei Cangani 41 E 11 31 N 42 21
IT6010026 Saline di Tarquinia * 150 E 11 43 N 42 12
IT6010027 Litorale tra Tarquinia e Montalto di Castro * 200 E 11 36 N 42 18
IT6010028 Necropoli di Tarquinia 191 E 11 47 N 42 14
IT6010035 Fiume Mignone (basso corso) * 90 E 11 50 N 42 12
IT6010039 Acropoli di Tarquinia * 219 E 11 47 N 42 15
8 siti
Siti costieri della provincia di Roma
IT6030016 Antica Lavinium — Pratica di Mare * 48 E 12 28 N 41 39
IT6030019 Macchiatonda * 242 E 11 59 N 42 0
IT6030022 Bosco di Palo Laziale * 129 E 12 5 N 41 56
IT6030023 Macchia Grande di Focene e Macchia dello Stagneto * 317 E 12 13 N 41 49
IT6030024 Isola Sacra 26 E 12 14 N 41 44
IT6030027 Castel Porziano (fascia costiera) * 428 E 12 22 N 41 41
IT6030028 Castel Porziano (querceti igrofili) * 328 E 12 25 N 41 44
IT6030045 Lido dei Gigli * 221 E 12 33 N 41 31
IT6030046 Tor Caldara (zona solfatare e fossi) 43 E 12 35 N 41 29
IT6030047 Bosco di Foglino * 552 E 12 43 N 41 28
IT6030048 Litorale di Torre Astura * 201 E 12 43 N 41 26
IT6030049 Zone umide a ovest del Fiume Astura 28 E 12 46 N 41 25
IT6030053 Sughereta di Castel di Decima * 538 E 12 26 N 41 44
13 siti SIC
Siti costieri della provincia di Latina
IT6040001 Grotta degli Ausi 0,09 4 E 13 16 N 41 30
IT6040002 Ninfa (ambienti acquatici) 22 E 12 57 N 41 34
IT6040003 Laghi Gricilli 179 E 13 7 N 41 26
IT6040004 Bosco Polverino * 108 E 13 11 N 41 26
IT6040005 Sugherete di S. Vito e Valle Marina * 220 E 13 20 N 41 22
IT6040006 Monti Ausoni meridionali * 4 235 E 13 19 N 41 21
IT6040007 Monte Leano * 743 E 13 13 N 41 19
IT6040008 Canali in disuso della bonifica Pontina 593 E 13 11 N 41 21
IT6040009 Monte S. Angelo 65 E 13 15 N 41 17
IT6040010 Lago di Fondi 702 E 13 20 N 41 19
IT6040011 Lago Lungo * 82 E 13 24 N 41 16
37
IT6040012 Laghi Fogliano, Monaci, Caprolace e Pantani dell’Inferno
* 1 429 E 12 56 N 41 22
IT6040013 Lago di Sabaudia * 395 E 13 1 N 41 16
IT6040014 Foresta Demaniale del Circeo * 3 007 E 13 2 N 41 20
IT6040016 Promontorio del Circeo (Quarto Caldo) * 427 E 13 3 N 41 13
IT6040017 Promontorio del Circeo (Quarto Freddo) 464 E 13 3 N 41 14
IT6040018 Dune del Circeo * 441 E 12 58 N 41 20
IT6040020 Isole di Palmarola e Zannone * 236 E 12 51 N 40 56
IT6040021 Duna di Capratica * 30 E 13 23 N 41 16
IT6040022 Costa rocciosa tra Sperlonga e Gaeta * 233 E 13 30 N 41 13
IT6040023 Promontorio di Gianola e Monte di Scauri * 224 E 13 40 N 41 15
IT6040024 Rio S. Croce 20 E 13 42 N 41 16
IT6040025 Fiume Garigliano (tratto terminale) 12 3 E 13 46 N 41 13
IT6040026 Monte Petrella (area sommitale) * 73 E 13 40 N 41 19
IT6040027 Monte Redentore (versante sud) 354 E 13 38 N 41 17
IT6040028 Forcelle di Campello e di Fraile * 270 E 13 36 N 41 19
28 siti nella provincia di Latina
Fonte: tratto dalla Decisione 2008/335/CE
Siti SIC e ZPS lungo il litorale
Fonte: rapporto sperimentazione ICZM, unità Decos, prima fase
38
A ridosso della linea di costa ricadono altre aree aventi diverso status protettivo,
appartenenti a diverse categorie. Da un’analisi del database delle aree protette del Agenzia
Regionale Parchi e dallo schema di aree protette pubblicato nel manuale Natura in Campo emerge
la presenza di:
Monumenti Naturale (6)
Parchi Nazionale (1)
Parchi Regionali (2)
Riserva Naturale Regionale (4)
Riserve Naturali Statali (4)
Aree marine protette (2)
Tali aree sono:
Parco Nazionale: si tratta del parco del Circeo;
Parco Regionale: si tratta del parco dei Monti Aurunci e della Riviera di Ulisse;
Monumento Naturale: si tratta di Acquaviva – Cima del Monte, Campo Soriano, Mola della
Corte, Palude di Torre Flavia, il Tempio di Giove Anxur e il Pormontorio Villa Tiberio e Costa
Torre Capovento;
Riserve Naturali Statali: si tratta delle Isole di Ventotene e Santo Stefano, del Litorale
romano, delle Saline di Tarquinia, e della Tenuta di Castel Porziano.
Riserve Naturali Regionali: Macchiatonda, Tor Caldara, Villa Borghese di Nettuno,
Decima-Malafede;
Aree Marine Naturali: si tratta delle secche di Tor Paterno e delle delle Isole di Ventotene e
Santo Stefano.
Analizzando come si distribuiscono lungo la costa emerge come siano quasi del tutto assenti
nel settore Settentrionale fatta eccezione per le Saline di Tarquinia, mentre sono molto estese e
concentrate nel Municipio XIII di Ostia e nel Comune di Fiumicino.
39
Sistema delle aree protette lungo il litorale
Fonte: rapporto sperimentazione ICZM, unità Decos, prima fase
Bibliografia essenziale
Decos, 2006, Azione I.1.7 Programma integrato di interventi per lo sviluppo del litorale del
Lazio “Sperimentazione ICZM in aree pilota” Stato di avanzamento del Progetto, progetto ICZM,
fase 1, working paper.
Decos, 2007, Azione I.1.7 Programma integrato di interventi per lo sviluppo del Litorale del
Lazio; Identificazione dei criteri di scelta delle aree pilota ed analisi di dettaglio, fase 2, working
paper.
40
Siti Ramsar
Le aree umide sono soggette ad una particolare forma di tutela alternativa alle due tipologie
riportate sopra, derivante dalla Convenzione relativa alle zone umide di importanza internazionale
soprattutto come habitat degli uccelli acquatici, detta Convenzione di Ramsar (1971).
Ai sensi dell’art.1 della suddetta Convenzione, s’intendono per zone umide “.omissis....le
paludi e gli acquitrini, le torbe oppure i bacini naturali o artificiali, permanenti o temporanei, con
acqua stagnante o corrente, dolce, salmastra o salata, ivi comprese le distese di acqua marina la cui
profondità, durante la bassa marea, non supera i sei metri”.
Le aree Ramsar presenti nel contesto studiato sono 17 distribuite per la maggior parte lungo
la fascia costiera, tranne pochi siti collocati nell’entroterra. Le zone umide nella parte Meridionale
della fascia costiera a partire dal Comune di Latina sono molto significative, sia per numero che per
estensione, (es. grandi laghi retrodunali di Sabaudia e Latina), mentre rappresentano sporadiche
presenze nell’area settentrionale (es. Saline di Tarquinia).
Confrontando queste aree con le Aree protette e le Z.S.C. emerge come le zone umide siano
tutte coincidenti con altre aree tutelate, fatto che sottolinea ulteriormente l’importanza che questi
ecosistemi molto particolari e fragili rivestono: le aree umide svolgono importanti ruoli ecologici,
sia come regolatori del regime delle acque, sia come habitat di flora e fauna caratteristiche, ma allo
stesso tempo costituiscono una risorsa di grande valore economico, culturale, scientifico e
ricreativo.
Siti Ramsar
Fonte: rapporto sperimentazione ICZM, unità Decos, prima fase
41
Le dune e le interazioni con le Posidonie
Le dune di sabbia sono accumuli che costituiscono fragili e dinamiche forme terrestri costiere. I
sistemi dunali sono fonte di sedimenti per le spiagge adiacenti ed allo stesso tempo fungono da
protezione per le più basse aree costiere contro l’allagamento. Un sistema dunale in salute è
un’effettiva barriera naturale contro l’erosione ed allo stesso tempo forma una parte integrante di
ogni strategia di gestione costiera (Cappucci et al., 2006; sottoprogetto Posidune, progetto
Beachmed-e, 2006, fase C).
E’ emerso che tra i sistemi dunali individuati lungo il litorale laziale non sono presenti dune
integre o in un accettabile stato di naturalità. Non è stato altresì rilevato alcun cordone embrionale,
in fase di crescita (antistante la duna), ma si sono osservati solo accumuli temporanei di sabbia non
colonizzati da vegetazione (Cappucci et al., 2006; sottoprogetto Posidune, progetto Beachmed-e,
2006, fase A).
I sistemi dunali lungo il litorale laziale
Fonte: quaderno tecnico fase A, Progetto Beachmed-e, sottoprogetto Posidune, pag.130
I cordoni dunali rilevati, prevalentemente inattivi, occupano una superficie superiore a 20 Km2,
interessando, con andamento sub-parallelo alla linea di riva e diversa ampiezza, un tratto di costa di
circa 200 km di estensione totale (Campo et La Monica, 2006).
42
Su gran parte di queste dune è stata riconosciuta una copertura vegetale più o meno densa,
prevalentemente di tipo arbustivo e cespuglioso, e secondariamente di tipo arboreo, con
caratteristiche proprie della macchia mediterranea. In alcuni casi, tuttavia, sono state individuate
zone in cui la vegetazione naturale è ridotta a frammenti, localizzati sulla duna mobile, ed è ancora
presente una spiaggia: su di esse l’eliminazione delle cause del disturbo, congiuntamente a
interventi di ripristino ambientale, potrebbero rendere possibile il recupero di condizioni naturali.
L’evoluzione delle dune e la loro possibilità di recupero dipende sia dalle dinamiche costiere
che dagli interventi antropici che su di essa si realizzano. I cambiamenti causati da processi naturali
come venti, onde e maree sono episodici, dato che lunghi periodi di stabilità cedono il passo alle
estreme e brevi fluttuazioni osservate durante condizioni di tempesta. Ad esempio, le dune possono
arretrare di diversi metri in pochi giorni prima di ritornare alla loro posizione originale durante
condizioni più calme. Ben più importanti sono invece i fattori di pressione antropica in quanto essi
sono spesso responsabili di alterare il normale equilibrio del sistema e causare danni permanenti
all’ambiente costiero. Il modo più comune con cui gli uomini possono influenzare la stabilità
dinamica di sistemi di spiagge e dune è attraverso protezioni costiere, realizzazione di attività
ricreative, residenziali ed interventi infrastrutturali di varia natura (strade, ferrovie, ecc.). In aree di
importante erosione costiera, barriere verticali e pennelli possono essere costruiti per aumentare i
livelli di spiaggia e proteggere l’hinterland. Sebbene generalmente efficaci e a volte essenziali,
queste strutture influenzano l’equilibrio del sistema e possono interrompere completamente la
ricarica di sedimento fine verso le dune.
La massiccia antropizzazione dei tratti costieri sabbiosi è in alcuni casi così intensa da
compromettere le dune stesse, dando inizio al processo della loro demolizione. Le indagini hanno
evidenziato come siano molto rari i tratti costieri in cui l’antropizzazione e/o l’urbanizzazione non
sia ancora intervenuta in modo distruttivo.
La pressione antropica dei turisti, in particolare, dà origine sui cordoni dunali a frequenti
elementi di discontinuità, rappresentati per lo più da sentieri. Tali solchi, frequentemente utilizzati
per l’accesso incontrollato alla spiaggia, costituiscono una via da cui si dipartono altre zone di
calpestio diffuso da parte di una popolazione di bagnanti e turisti che, in occasione della stagione
estiva, spesso raggiunge frequenze insostenibili per un ambiente tanto vulnerabile. In molti casi
l’attraversamento disordinato delle dune innesca anche importanti fenomeni erosivi, il
depauperamento della vegetazione autoctona e la diffusione di specie aliene.
43
Anche la vegetazione marina gioca un ruolo vitale nella formazione e stabilizzazione delle dune
costiere sabbiose: si deve riconoscere grande importanza sia alla vegetazione marina in qualità di
elemento che aumenta la frizione del fondo marino, sia della vegetazione spiaggiata.
L’effetto delle praterie di Posidonia sui pattern di circolazione dinamica sottocosta è stata
studiata per l’area del golfo di Terracina durante il sottoprogetto Nausicaa (progetto Beachmed-e).
Dallo studio è emerso come la Posidonia oceanica sembri proteggere l’area sottovento, in quanto la
mobilitazione dei sedimenti lungo la linea di shore si riduce. Questo significa che per una tempesta
da sud-est, la parte ovest è protetta dalla presenza della vegetazione marina, in altre parole l’energia
che si scarica sulla spiaggia risulta minore. Considerazioni analoghe possono essere fornite per
pattern di circolazione provenienti da sud ovest (Bouchette et al., 2008).
Anche da morte, le praterie di Posidonia con le foglie accumulate lungo le spiagge (le cosiddette
banquettes) agiscono come una barriera elastica, riducendo la forte azione erosiva esercitata dai
venti e dal moto ondoso (Marevivo 2003). Una vasta bibliografia conferma che i depositi di
fanerogame marine spiaggiate hanno un ruolo ecologico importante per la vegetazione pioniera
delle spiagge e delle dune sabbiose, aiutandola a svilupparsi e ad accrescere la stabilità delle dune
stesse (Bovina et al., 2007 a,b).
La presenza di vegetazione marina spiaggiata lungo il litorale laziale è stata studiata durante il
sottoprogetto Posidune (progetto Beachmed-e) su 130 km di litorale sabbioso dei 216 totali. Otto
aree campionarie sono state scelte, in particolar modo a nord ed a sud. Nella zona nord una cospicua
presenza di depositi si trova tra la foce del Marta e del Mignone, mentre più limitata è la presenza
tra la foce del Chiarone e del Marta. Notevoli presenze si rinvengono anche sulla spiaggia antistante
le Saline di Tarquinia, caratterizzata da rizomi in strisce isolate raggruppati insieme a foglie secche
e verdi. La presenza di larghi ammassi di Posidonia oceanica è un segnale della forte erosione
costiera, che nell’area delle Saline è particolarmente elevata. Abbondanti accumuli di Cimodocea
sono stati trovati a sud del Mignone (Cappucci et al., 2006; sottoprogetto Posidune, progetto
Beachmed-e, 2006, fase C).
I depositi tra Civitavechia e Capo Linaro sono rari se si esclude il ricoprimento di una barriera
artificiale. Anche le protezioni costiere ad est di Capo Linaro contengono numerosi depositi di varia
natura. Fino a Santa Marinella è possibile trovare frammenti di foglie ed una predominanza di
rizomi. Più a sud, la striscia di costa tra Torre Astura e Foce Verde contiene solo tracce di resti di
Posidonia oceanica ( frammenti di rizomi). Tra Capo Portiere e Torre Paola gli spiaggiamenti sono
piuttosto abbondanti ed a chiazze e formati essenzialmente dai resti di foglie e rizomi. Solo tracce di
depositi spiaggiati sono rinvenibili tra il Porto di San Felice Circeo e Sperlonga. L’unico deposito
strutturato (banquettes), escluse le isole pontine, è stato trovato nei pressi di Santagostino, le cui
44
caratteristiche strutturali confermano che l’accumulazione di piante richiede un lungo tempo per
potersi sviluppare. Per il resto l’accumulazione di foglie di Posidonia è poco frequente e limitata nel
tempo. I materiali spiaggiati predominanti sono frammenti di rizomi che indicano condizioni
idrodinamiche forti che causano lo sradicamento delle piante e la distruzione dell’area vegetata.
Questo fenomeno è anche alla base dei meccanismi di erosione costiera lungo l’intera linea di costa
laziale (Cappucci et al., 2006; sottoprogetto Posidune, progetto Beachmed-e, 2006, fase C).
In conclusione si può dire che la conservazione dei sistemi dunali è di fondamentale importanza
per l’attenuazione del trend erosivo che caratterizza la maggior parte del bacino del Mediterraneo.
Le dune vegetate costituiscono un sistema multifunzionale. Dal punto di vista geomorfologico,
esse immagazzinano la sabbia nella zona litorale ostacolando, così, l’azione erosiva del mare e
proteggendo i territori retrostanti e le infrastrutture umane. Inoltre dal punto di vista naturalistico,
costituiscono un habitat per numerose specie vegetali e animali (Direttiva Habitat, 92/43/CEE,
allegati I e II). I sistemi dunali delle coste europee e, in particolare, di quelle mediterranee, sono
spesso perturbati da utilizzi antropici e turistici eccessivi, così come dall’erosione marina, che
modificano la loro disposizione originale e ne compromettono la funzionalità (Cappucci et a., 2006;
sottoprogetto Posidune, progetto Beachmed-e, 2006, fase B).
Al fine di tutelare sia l’aspetto vegetazionale delle dune che la loro funzione di ammortizzatori
dell’erosione la gestione delle biomasse spiaggiate si pone come fondamentale, oltre ad essere
accompagnata da forme di gestione del territorio meno incisive. Essa è stata oggetto di
interpretazione della Circolare n. 8123/2006 del Ministero Italiano dell’Ambiente, che prevede le
seguenti soluzioni:
• SOLUZIONE 1 - Mantenimento in loco delle banquettes, per proteggere il delicato habitat
legato agli spiaggiamenti (“habitat meritevole di salvaguardia” nell’ambito del protocollo SPAMI),
e non interferire con il ruolo che essi giocano nella protezione diretta e indiretta dei litorali
dall’erosione.
• SOLUZIONE 2 - Spostamento degli accumuli in situ al fine di riutilizzo della frazione
vegetale nell’ambito dello stesso arenile e spostamento degli accumuli ex situ al fine di riutilizzo
della frazione vegetale in ambiti costieri limitrofi, ma preferibilmente afferenti alla stessa unità
fisiografica a seguito di apposito procedimento da parte delle Regioni e Parchi, sentiti i comuni
coinvolti.
• SOLUZIONE 3 - Rimozione permanente e trasferimento in discarica, pratica che dovrebbe
essere una soluzione attuata solo in caso di effettiva necessità e nell’impossibilità di attuare
soluzioni alternative.
45
Oltre a quelle previste dalla Circolare del ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio
italiano sono state individuate altre soluzioni. Queste ultime devono ancora essere approfondite
dal punto di vista normativo, discusse ed accettate dai firmatari della Convenzione di
Barcellona:
• Immersione in mare.
• Produzione di compost.
• Altri utilizzi
Le linee guida per la gestione delle biomasse di spiaggia proposte dal progetto Posidune sono
sintetizzate di seguito:
• Proteggere e valorizzare la presenza di banchetti (depositi strutturati);
• Asportare il materiale solo se necessario e se lo stesso non è strutturato, riutilizzandolo per
realizzare interventi di protezione del litorale.
Bibliografia essenziale
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indicatore dello stato di conservazione delle praterie. Convenzione Associazione Ambientalista
46
Marevivo/Ministero dell’Ambiente 2002. Relazione illustrativa finale e tavole allegate (Rapporto
inedito).
Cappucci S., Elena Pallottini, Saverio Devoti, Giovanni Battista La Monica, Valentina Campo,
Giancarlo Bovina, Giovanni Bracci, Andrea Carli, Giovanni Sarti, Laura Pioli, Umberto Simeoni,
Corinne Corbau, Valerio Brunelli, Simona Gragnaniello, Umberto Tessari, Giovanni Gabbianelli,
Maria Speranza, Giuseppe Pritoni, Gianpietro Venturi, Hugues Heurtefeux, Stéphanie Grosset,
Stéphanie Mathieu, Philippe Richard, Eric Sire, Evangelos Koutantos, Kostas Dounas, 2006,
Interazioni delle Sabbie e della Posidonia Oceanica con l’Ambiente delle Dune Naturali, Quaderno
tecnico di fase A, pag. 129-139.
Cappucci S., Elena Pallottini, Saverio Devoti, Giovanni Battista La Monica, Valentina Campo,
Giancarlo Bovina, Giovanni Bracci, Andrea Carli, Giovanni Sarti, Laura Pioli, Umberto
Simeoni, Corinne Corbau, Valerio Brunelli, Simona Gragnaniello, Umberto Tessari, Giovanni
Gabbianelli, Maria Speranza, Giuseppe Pritoni, Gianpietro Venturi, Hugues Heurtefeux,
Stéphanie Grosset, Stéphanie Mathieu, Philippe Richard, Eric Sire, Evangelos Koutantos,
Kostas Dounas, 2007, Interazioni delle Sabbie e della Posidonia Oceanica con l’Ambiente delle
Dune Naturali, Quaderno tecnico di fase B, pag. 125-131.
Cappucci S., Elena Pallottini, Saverio Devoti, Giovanni Battista La Monica, Valentina
Campo, Giancarlo Bovina, Giovanni Bracci, Andrea Carli, Giovanni Sarti, Laura Pioli, Umberto
Simeoni, Corinne Corbau, Valerio Brunelli, Simona Gragnaniello, Umberto Tessari, Giovanni
Gabbianelli, Maria Speranza, Giuseppe Pritoni, Gianpietro Venturi, Hugues Heurtefeux, Stéphanie
Grosset, Stéphanie Mathieu, Philippe Richard, Eric Sire, Evangelos Koutantos, Kostas Dounas,
2008, Interazioni delle Sabbie e della Posidonia Oceanica con l’Ambiente delle Dune Naturali,
Quaderno tecnico di fase C, pag. 137-150
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Le aree marine
Il mare del Lazio presenta diverse emergenze ambientali anche a mare, come accennato in
precedenza. Se si scende più nel dettaglio è possibile fornire un quadro complessivo delle valenze
ambientali e naturalistiche del mare laziale entro le 3 miglia nautiche (Icram, progetto Beachmed,
quaderno tecnico fase A, pag.22).
Lungo il litorale sono presenti due aree marine protette:
1. L’area naturale marina protetta “Secche di Tor Paterno”, istituita con Decreto del
Ministero dell.Ambiente del 29 novembre 2000 (G.U. n.16 del 20/01/01), la cui gestione è
attualmente affidata a Roma Natura. (Ente Regionale per la Gestione del Sistema delle Aree
Naturali Protette nel Comune di Roma). L’area ha le seguenti coordinate, che la delimitano:
Le Secche sono gli unici substrati rocciosi di tutta la zona vicina le foci del Tevere, hanno
struttura isolata di forma oblunga, a sviluppo nord-est/sud-ovest, con una lunghezza di 2 km circa
ed una larghezza di poco più di 500 metri. L'altezza massima rispetto ai fondali circostanti è di circa
20 metri, per una profondità minima di 19 metri. La loro natura è, probabilmente, tettonica, con
pieghe e faglie. Nella parte più rilevata la presenza di sedimenti è scarsa e limitata al fondo di
strutture erosive o di crollo e, soprattutto, alle matte della prateria di Posidonia oceanica.
Da un punto di vista bentonico, le Secche rappresentano certamente un ambiente molto
particolare, la cui caratteristica essenziale è la presenza di formazioni coralligene inframmezzate
dalla Posidonia. L'intercalarsi di queste formazioni determina una notevole varietà di microhabitat,
la quale, a sua volta, ne costituisce l'elemento di maggior pregio da un punto di vista naturalistico.
E' evidente, infatti, che alla diversità fisica dei fondali è associata una diversità biologica altrettanto
rimarchevole.
2. L’area naturale marina protetta “Isole di Ventotene e Santo Stefano”, istituita con
Decreto Ministeriale del 12 dicembre 1997 (G.U. n.47 del 20/02/1998), e con decreto
ministeriale dell’11 maggio 1999, l’omonima riserva terrestre. La riserva presenta una
triplice zonazione, con un’area di riserva integrale (zona A), un’area di riserva orientata,
(zona B) e un’area di riserva generale (zona C). Essa è delimitata dai seguenti punti:
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Ventotene e Santo Stefano rappresentano la parte apicale di un antico cono vulcanico che aveva
un diametro di circa 15-20 km e che si innalzava per 1.039 metri da fondali di circa 900 metri di
profondità.
Il paesaggio vegetale, soprattutto a Ventotene, è caratterizzato da formazioni prative. La flora
presenta un marcato carattere di mediterraneità, in relazione al clima mite e alle scarse
precipitazioni, annoverando alcuni interessanti endemismi, quali la centaurea di Ventotene
(Centaurea cineraria), il limonio di Ponza (Limonium pontium pandataridae), il limonio di
Ventotene (Limonium multiforme) e il limonio di Santo Stefano (Limonium sancti-stephani).
La ricchezza di vita e l'integrità ecologica dei fondali ponziani si manifesta già nei primi metri
d'acqua. Nelle zone in ombra le piccole pareti rocciose sono tappezzate dalle colonne color arancio
vivo dell'astroide, uno dei pochi rappresentanti mediterranei dell'ordine dei madreporari, gli
organismi costruttori delle barriere coralline. Alla base di queste pareti si aprono cunicoli e piccole
grotte dove l'assenza o, comunque, la forte riduzione della luce determina l'insediamento di tipiche
biocenosi animali a carattere sciafilo (amanti della penombra), normalmente presenti a quote molto
più profonde. Peculiare è la presenza della rara Ciprea mediterranea. Tra le franate di massi e gli
scogli, ricchi di tane e di anfratti, è frequente l'incontro con polpi e murene, bavose e donzelle
pavonine, saraghi e occhiate anche di buone dimensioni. Particolarmente sviluppate ed integre sono
le praterie di Posidonia oceanica.
Lungo la costa sono presenti anche tre oasi blu (WWF) oasi di Villa di Tiberio (C.D.
19/05/1995), di M.te Orlando (C.D. 04/02/1993) e di Gianola (C.D. 14/07/1992), oggi facenti parte
del Parco regionale Riviera di Ulisse, istituito con legge regionale n. 21 del 06/02/2003.
Il parco si estende su una superficie terrestre di 434 ha e 80 ha di area marina, per un totale di ha
514 ha, dalle grandi rilevanze ambientali in un eccezionale incontro tra natura, storia ed
archeologia.
L’Oasi blu di Villa di Tiberio è situata nei pressi di Sperlonga (LT), costituisce il settore a mare
dell’ oasi Villa di Tiberio e si estende dal litorale per circa 11 ettari su fondi sabbiosi e rocciosi.
L’Oasi blu di Monte Orlando antistante il parco urbano di Monte Orlando si estende a mare per
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circa 295.000 m2 ed è delimitata da tre boe di colore giallo, con miraglio ad X, sprovviste della
segnalazione luminosa notturna.
All’interno dell’oasi sono vietate, salvo alcune eccezioni, la pesca e la navigazione a distanze
inferiori ai 100m dalla costa; la sosta alle imbarcazioni è invece consentita nei due corridoi posti
rispettivamente all’estremità ovest ed est dell’oasi, per l’osservazione marina in apnea o subacquea,
previo accordo con l’associazione concessionaria (WWF). L’ accesso e la sosta, nell’ intera area,
sono consentite esclusivamente alle imbarcazioni del WWF.
L’Oasi blu di Monte Gianola si estende nell’insenatura antistante il parco regionale suburbano
di Gianola e Monti di Scauri; essa raggiunge i 4.5m di profondità massima, la costa è a scogliera
con spiaggette a ciottoli e con fondali sabbiosi.
Bibliografia essenziale
Beachmed 2004, IL PROGETTO BEACHMED: Recupero ambientale e manutenzione dei
litorali in erosione, mediante l’impiego dei depositi sabbiosi marini, Primo quaderno tecnico fase A,
seconda edizione. Disponibile su www.beachmed.it
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La perdita di valenze ambientali nelle zone costiere
Il livello di protezione e tutela della zona costiera laziale è stato valutato utilizzando la Carta del
Sistema di Aree protette, mentre il grado di perdita di habitat lungo la costa è stato valutato
utilizzando la Carta dell’uso del suolo (Corine –Land Cover), fornita dalla regione Lazio. Il grado
di perdita di habitat in ciascuno dei sistemi paesistici individuati, è stato ricavato dal rapporto:
HN/HU
Dove:
HN= habitat naturale
HU= habitat urbano
I valori ottenuti hanno permesso di valutare l’andamento della perdita di habitat naturale lungo
la costa laziale. Dall’analisi dei risultati ottenuti emerge che:
•
I valori maggiori di perdita di habitat si hanno lungo la costa ed aumentano
notevolmente nelle aree che presentano un uso del suolo prevalente di tipo agricolo;
•
I valori più bassi si ritrovano nelle aree che presentano zone con rilievi;
•
La maggior parte del territorio costiero laziale presenta valori medio-alti di perdita di
habitat naturale.
Quanto appena detto mette in evidenza come uno dei punti di debolezza della costa laziale sia la
perdita di habitat naturale. Tale processo influisce direttamente su una delle principali proprietà del
paesaggio, la connettività, fondamentale per un corretto funzionamento dei singoli ecosistemi e
dello stesso paesaggio nel suo insieme. Inoltre la contrazione degli habitat naturali influisce
indirettamente sulla perdita di Biodiversità degli ecosistemi della costa laziale.
I risultati ottenuti forniscono un quadro generale di quanta parte della costa laziale sia soggetta a
tutela (aree in verde) e permettono, se confrontati con la Carta della perdita di habitat, di individuare
sia i gap di conservazione (argomento che verrà approfondito nelle indagini relative alle singole
aree pilota) sia le zone dove le aree già soggette a tutela sono a rischio di isolamento in conseguenza
dell’avanzamento della matrice di natura antropica.
La cartografia relativa alla perdita di habitat permetterà in una fase successiva di aggiungere
all’analisi delle criticità ambientali un elemento estremamente significativo nel determinare la
vulnerabilità e la criticità degli ecosistemi ai fini della scelta delle aree di maggiore pregio che si
vogliono tutelare.
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Livello di degrado della costa
Fonte:prima fase progetto ICZM, unità DECOS
Carta della perdita di habitat
In rosso le aree
più degradate
Fonte:seconda fase progetto ICZM, unità DECOS
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Bibliografia essenziale
Decos, 2006, Azione I.1.7 Programma integrato di interventi per lo sviluppo del litorale del
Lazio “Sperimentazione ICZM in aree pilota” Stato di avanzamento del Progetto, progetto ICZM,
fase 1, working paper.
Decos, 2007, Azione I.1.7 Programma integrato di interventi per lo sviluppo del Litorale del
Lazio; Identificazione dei criteri di scelta delle aree pilota ed analisi di dettaglio, fase 2, working
paper.
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Prima definizione della aree di maggiore interesse
L’individuazione di aree di reperimento di nuove riserve marine non è cosa facile. In questa fase
viene proposta semplicemente una prima definizione delle aree di maggiore interesse, al fine di
avere una base di lavoro per gli approfondimenti del caso che verranno fatti nella terza parte del
progetto. In particolare, si presenta il risultato mediante sovrapposizione dei diversi tematismi di
natura ambientale fin ora descritti, senza tuttavia prendere in considerazione le potenziali influenze
della componente abiotica (tipologie di fondale, sedimenti), né le attività e gli interessi socioeconomiche che si realizzano nel comparto costiero.
Una procedura consona al raggiungimento dell’obbiettivo di selezionare nuove aree marine di
reperimento è quella di eseguire una analisi multicriteriale spaziale (su base GIS) delle aree di
maggior interesse al fine di farne un ranking e rappresentarle su base cartografica digitale (Villa,
1996). Altri strumenti di analisi per il reperimento di aree marine protette sono rappresentati da
sistemi di supporto alle decisioni quali CREDOS (Conservation Reserve Evaluation and Design
Optimisation System (CREDOS), la cui finalità è quella di fornire quelle aree dalla minima
superficie che soddisfino le finalità di conservazione scelte, producendo sistemi di riserve di
maggiore efficienza (Crossman et al., 2007). Anche l’ISPRA, ex ICRAM, si è cimentata nella
produzione di Linee Guida per la zonazione di aree marine protette mediante l’applicazione di uno
specifico Sistema di Supporto Decisionale (Decision Support System).
I tematismi considerati per la selezione delle aree di interesse sono relativi alla presenza e
tipologie di aree di nursery, posidonieti e benthos. La selezione delle principali emergenze
biologiche è stata definita mediante sovrapposizione dei principali tematismi sin ora considerati.
Emerge da una rapida lettura che le intersezioni o sovrapposizioni tra le varie aree di nursery si
manifestano principalmente nella zona Nord ed al largo di Capo di Anzio e del promontorio del
Circeo, all’altezza della scarpata continentale. Tale analisi permette di evidenziare quelle aree in cui
la riproduzione avviene durante tutto l’anno, interessando specie diverse. Si tratta in particolar
modo di merluzzo e moscardino nella zona Nord, mentre in quella centrale si possono rinvenire
anche gambero rosa e musdea. In tali aree prevalgono specie bentoniche appartenenti alla facies
Leptometra phalangium, indicata da Colloca et al. (2004) come specie indicatore di aree altamente
produttive nei dintorni della scarpata continentale, zona che sembra giocare un ruolo primario nella
produzione delle più importanti e abbondanti specie di pesci, quali il merluzzo del mediterraneo e la
triglia. Infatti, in corrispondenza della facies a Leptometra phalangium vivono ben 82 specie demersali,
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tra le quali il nasello M. merluccius, il merluzzetto Trisopterus minutus capelanus, il pesce trombetta
Macroramphosus scolopax e l’argentina Argenthina sphyraena, tra i pesci, e Illex coindetii e P.
longirostris rispettivamente tra i cefalopodi e i crostacei.
Le aree di nursery costiere sono in particolar modo rappresentate dal polpo. Nella zona Nord tali
aree si sovrappongono a quelle colonizzate da posidonieti su sabbie o matte, il cui benthos
appartiene alle sabbie fini, mentre a Sud si rinvengono su aree caratterizzate da Cymodocea nodosa
e popolamenti bentonici a sabbie fini ben calibrate e dei fanghi terrigeni costieri. Tra Torre Astura
ed il promontorio del Circeo sono presenti durante l’intero anno aree di nursery di gambero rosa,
merluzzo del mediterraneo e musdea, che mostrano una stretta associazione con la presenza di
Leptometra phalangium e posidonieti su substrato sia roccioso che sabbioso. Questa zona appare tra
le più significative in termini di ricchezza specifica e concentrazione di aree di nursery.
Altre aree di interesse si trovano laddove popolamenti bentonici di fondo duro sono presenti in
associazione a posidonieti. Tali caratteristiche si rinvengono soprattutto a Nord, come nella zona tra
S.Severa e Civitavecchia, ma anche più a Sud, di fronte a Torre Astura, dove è in genere insediata la
Posidonia. (Ardizzone e Belluscio, 1996).
Al contrario alle specie bentoniche presenti nei sedimenti sabbiosi (Nephtys cirrosa, Nephtys
hombergii, Tellina nitida) si accompagnano specie comuni nei Fanghi Terrigeni Costieri (Turritella
communis, Paralacydonia paradoxa, Laonice cirrata, Sternaspis scutata) soprattutto intorno alla
foce del Tevere, ma anche più a Sud, come si riscontra tra Anzio e il Circeo. In misura più ridotta
questi effetti si denotano anche in corrispondenza delle foci dei fiumi Marta e Mignone laddove la
torbidità è maggiore, testimoniando un’assenza di Posidonia e quindi un’area di minor interesse per
le finalità del progetto.
Si può quindi sintetizzare la nostra speditiva analisi visuale, individuando due grandi aree di
interesse: a largo e sotto-costa. Nella cartografia, riportata a pagina seguente, sono definite le
posizioni approssimative, non georiferite, delle aree a largo (cerchi) e di quelle sotto costa
(rettangoli) di maggiore interesse. In neretto sono circoscritte le aree di particolare pregio.
•
•
Aree di interesse per istituzione di AMP e/o ZTB (a largo):
– Litorale Nord
– Capo d’Anzio
– Circeo
Aree di interesse AMP e/o ZTB (sottocosta)
– Su substrato duro
• Tra Santa Severa e Civitavecchia
• Nella zona di torre Astura
– Su substrato molle
• Lungo il litorale di Montalto di Castro e di Tarquinia
• A sud di Capo Linaro
• Tra il Circeo e Terracina
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Mappa di sintesi delle emergenze ambientali ed aree di maggiore interesse
Fonte: nostra elaborazione su dati cartografici forniti da Regione Lazio
Bibliografia essenziale
Ardizzone G.D., Belluscio A., 1996- Il mare del lazio, oceanografia fisica e chimica,
biologia e geologia marina, clima meteomarino, dinamica dei sedimenti ed apporti continentali; cap.
4.2 – le praterie di Posidonia oceanica delle coste laziali.
Colloca F., p. Carpentieri, e. Balestri, g.d. Ardizzone, 2004 - A critical habitat for
Mediterranean fish resources: shelf break areas with Leptometra phalangium (Echinodermata,
Crinoidea). Marine Biology 145: 1129-1142
Crossman N.D., Perry L. M., Bryan B. A., stendorf B., 2007, CREDOS: A Conservation
Reserve Evaluation And Design Optimisation System, Environmental Modelling & Software 22
(2007) 449-463.
Villa F., 1996, A GIS-based method for multi-objective evaluation of park vegetation.
Landscape and Urban Planning, 35: 203-212.
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Fasi successive del progetto
Le indicazioni fin qui acquisite verranno nella seconda fase utilizzate per fare una valutazione delle
criticità del sistema gestionale delle aree marine in genere e di quelle già protette. Alla analisi
normativa degli aspetti istituzionali e dei ruoli amministrativi degli enti pubblici coinvolti nella
gestione delle aree marine e costiere, sarà affiancata una analisi di coerenza dei dati sin qui raccolti
al fine di vagliare fino anche punto essi concordino con le richieste normative o i suggerimenti di
linee guida proposte su scala regionale o internazionale.
Inoltre al fine di investigare le criticità gestionali nel sistema delle aree marine protette sarà
analizzato, alla luce dei numerosi studi a carattere internazionale sin ad oggi proposti, la governance
delle are protette in riferimento agli obbiettivi di tutela che si vogliono conseguire. A tal proposito
verrà redatto un questionario che sarà inviato all’ente gestore al fine di cogliere sia elementi di forza
che di debolezza nel sistema di monitoraggio, decisionale, pianificatorio, espressi come variazione
nello stato dell’ambiente in seguito alle strategie di gestione adottate. Per raggiungere l’obbiettivo ci
si servirà degli indicatori di monitoraggio proposti dall’IUCN (Hocking et al., 2000, Pomeroy t al.,
2004).
Bibliografia essenziale
Hocking, M., Stolton, S. and Dudley, N. (2000). Evaluating Effectiveness: A Framework for
Assessing the Management of Protected Areas. IUCN, Gland, Switzerland and Cambridge, UK. x +
121pp.
Pomery R.S., Park J.E., Watson L.M., 2004, How is your MPA doing? A guidebook of natural and
social indicators for evaluating marine protected area management effectiveness. IUCN, Gland,
Switzerland and Cambridge, UK, xvi+216 pp.
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Conclusioni
In questo primo rapporto si è definito un quadro relativo alle principali informazioni di carattere
abiotico e biotico che maggiormente interessano lo stato di salute e la qualità della fascia costiera e
marina del Lazio. Si è passati dalla definizione delle caratteristiche morfologiche e
sedimentologiche della fascia costiera alle peculiarità biologiche, ecologiche e naturalistiche al fine
di fare un quadro delle maggiori valenze ambientali. Ciò ha permesso, in una ottica di sintesi ancora
non strutturata e non partecipata con gli attori istituzionali e con gli stakeholder costieri, di
inquadrare quelle aree di maggiore interesse sulle quali poter realizzare successive analisi di
dettaglio e pervenire alla lista delle aree su cui la Regione possa attivare l’iter istitutivo di un’area
protetta marino-costiera di interesse regionale.
I risultati ottenuti in questa fase non tengono ancora in giusta considerazione le informazioni
desumibili dallo studio del fondale, delle correnti, dei sedimenti, ed il loro ruolo che essi possono
giocare nella caratterizzazione degli habitat marini. Altre informazioni carenti in questa fase, ma
necessarie a realizzare una scrematura delle aree di interesse ai fini definizione di AMP o ZTB,
consistono nella analisi delle criticità ambientali e socio-economiche, la cui analisi avverrà nella
terza fase del progetto. Attraverso l’analisi delle criticità e la loro interazione in un modello di
supporto alle decisioni con le informazioni sin ora acquisite, si potrà pervenire alla selezione di una
o più piccole aree tra loro interconnesse a rete in grado di fornire il livello di tutela che si vuole
raggiungere.
Di notevole importanza risultano, inoltre, le informazioni di carattere giuridico-aministrativo
orientate a valutate quale possa essere la forma di tutela più facile da realizzare e da gestire ai sensi
del framework legislativo in vigore. Tale analisi legislativa verrà condotta nella seconda parte del
progetto.
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