LA PESCA NELL’ADRIATICO - UN RITORNO ALL’ANTICO Per trarre dal mare il fabbisogno di pesce bisognerebbe riattivare certi «specchi» vallivi - Le migrazioni verso l’acqua più ossigenata - Il «pedaggio» italiano alla Jugoslavia Dal quotidiano «Il Resto del Carlino», domenica 6 agosto 1967 Parecchi, forse molti di coloro che avranno letto il mio articolo sulla crisi della pesca atlantica, avranno pensato con rammarico che la pesca nei nostri mari sia completamente esaurita. Dico subito che questo non è, e non sarà, purché si seguano le giuste vie indicare dalla biologia marina. Il mare Adriatico costituisce, nel complesso mediterraneo, una eccezione, che lo fa rassomigliare per le sue condizioni fisiche, all’Oceano Atlantico. Infatti la salsedine media dell’Adriatico si aggira intorno al 36%, variando dal settore settentrionale a quello meridionale. Va tenuto presente che nel settore settentrionale sboccano i nostri maggiori fiumi che scendono dalle Alpi: il Po coi suoi numerosi affluenti, l’Adige e i vari fiumi del Veneto. Dall’Appennino sgorgano poi e sfociano, a cominciare dal Rubicone, tutti i fiumi a carattere torrentizio delle Marche, dell’Abruzzo fino al promontorio del Gargano dove giacciono le grandi lagune di Varano e di Lesina. Dunque molta acqua dolce scende nel mare a diminuire la salsedine. Nel nostro precedente articolo non abbiamo avuto occasione di ricordare che i pesci non vivono tutto l’anno nel medesimo habitat, ma si spostano durante il periodo della riproduzione in cerca di acque maggiormente ossigenate, ed ecco che pesci di profondità, come il tonno, vanno a liberare i loro prodotti sessuali in vicinanza delle coste, dove le acque sono maggiormente mosse; ecco che talune specie escono perfino dal mare per andare a riprodursi a notevole distanza da questo nei fiumi. Il più importante fra tali pesci è senza dubbio lo storione, che la pesca eccessiva e gli inquinamenti industriali hanno fatto ormai sparire dai mari italiani. Se consideriamo l’insieme della nostra costa adriatica, possiamo concludere che durante la primavera, fin verso l’estate, è un pullulare di novellame prodotto da varie specie di pesci che amano deporre le uova nelle acque maggiormente ossigenate. Tale novellame è attratto in modo particolare da quelle località nelle quali giunge qualche rivolo di acqua dolce. Questo fenomeno fu noto agli antichi e, come tali, intendo soprattutto alludere agli Etruschi, che insegnarono poi ai Romani di attrarre con mezzi artificiali il novellame in bacini naturali o più o meno artificiali, dove avveniva il suo accrescimento. I pesci che durante il periodo primaverile si sono portati in vicinanza delle coste e si sono anche addentrati spesso nel continente, al sopraggiungere dell’autunno tendono a ritornare al mare, onde chi esercita la pesca può in quel momento raccogliere pesci divenuti grandi e commestibili, mentre parecchi altri che non hanno ancora raggiunto dimensioni ragguardevoli vengono conservati in particolari peschiere, le quali funzionano nelle valli da pesca alternativamente in due maniere. Durante l’estate, per la loro maggiore profondità, accolgono 1 pesci che desiderano vivere in acque più fresche, mentre d’inverno funzionano da vasche di svernamento perché le loro acque risultano meno fredde di quelle superficiali. Fenomeni analoghi si ripetono in grande stile se si confronta quel che accade sulla costa italiana in confronto alla costa dalmata. Questa è rocciosa e scoscesa fino a notevole profondità dove prosperano specie particolari e di notevole interesse, come i crostacei del gruppo degli scampi, i quali non si rinvengono, se non raramente, sulla nostra costa sabbiosa; questa scende in dolce e insensibile pendio verso le maggiori profondità del mare che si trovano, come abbiamo detto, sulla costa dalmata. Profondità Il prof. Andrea Scaccini, già nominato nel mio precedente articolo, ha fatto fare un modello del fondo dell’Adriatico, dal quale risulta la insensibile pendenza della costa italiana verso quella dalmata che scende a picco. Queste condizioni dell’Adriatico inducono a pensare se sia proprio giusto che il governo italiano paghi un canone di 600 milioni annui di lire al governo jugoslavo per lasciar liberi i pescatori italiani di esercitare il loro mestiere nel mare territoriale jugoslavo. In sostanza sono i medesimi pesci che in primavera liberano i loro prodotti sessuali sulla marina italiana e successivamente, a mano a mano che le nostre acque superficiali diventano fredde, questi pesci si spostano verso la Dalmazia per cercare sempre acque meno fredde, quali sono quelle di profondità e dove i pescatori jugoslavi non hanno mezzi adatti per tale genere di pesca. Tornando alle possibilità di trarre dal mare alimenti importanti per l’alimentazione umana, quali sono i pesci, i molluschi ed i crostacei, si dovrà convenire che con un ritorno all’antico, con la riattivazione delle valli preesistenti e con la creazione di nuovi specchi d’acqua vallivi, si può ottenere un notevole prodotto a favore dei pescatori e del pubblico, specialmente per quanto riguarda l’anguilla, prodotto di grande valore commerciale, che ha un comportamento biologico completamente inverso a quello dei pesci dei quali abbiamo finora trattato. Va ricordato inoltre che nell’Adriatico esiste grande quantità di pesce azzurro come sardine, acciughe, sgomberi, ecc. e che da qualche anno è stata notata la presenza di grandi masse di giovani tonni. Purtroppo il programma precedentemente esposto, che già il Consiglio Nazionale delle Ricerche ha prospettato come necessario per aumentare le risorse ittiche del nostro paese, è ostacolato da quei bonificatori i quali vogliono trasformare in terreno da grano o da altri prodotti agricoli, quegli specchi d’acqua che sono destinati naturalmente alla produzione ittica ed in parte alla sosta di anatre e di altri uccelli di valle che costituiscono un cospicuo apporto all’alimentazione umana, prescindendo dal lato sportivo della caccia. Richiesta Quello che noi diciamo in rapporto al mare Adriatico in maniera integrale, partendo dalla Laguna di Grado fino ed oltre il Gargano, lo diciamo in parte anche per il mare Tirreno e precisamente per quel tratto che intercede tra la foce dell’Arno e quella del Tevere; se si vuole fino al Garigliano ed oltre. È in questi tratti del territorio nazionale che gli Etruschi avevano costruito le famose monumentali peschiere delle quali si trovano anche oggi grandiosi resti. Era da queste peschiere che i ricchi Romani traevano pesci di mare di ogni genere, comprese 2 le triglie, che, portate vive nei loro cestini, davano loro diletto col cambiamento di colore alle quali andavano incontro prima di perdere la vita. Naturalmente questi sono problemi molto complessi che non possono essere risolti in un semplice articolo di giornale. Se le Autorità portuali e civiche di San Benedetto del Tronto desiderano che i loro problemi siano affrontati da persone competenti in un simposio, che potrebbe essere tenuto in San Benedetto del Tronto verso la fine di ottobre, esse possono inoltrarne richiesta al Consiglio Nazionale delle Ricerche e la Commissione di Studio per la Conservazione della Natura e delle sue Risorse sarà lieta di porsi a disposizionE di quelle autorità locali per mostrare alla brava popolazione marinara il proprio interesse, onde contribuire ad attenuare la crisi che si è oggi determinata. ALESSANDRO GHIGI 3