Enciclopedia del diritto Romano Salvatore Buona fede (dir. priv.) [V, 1959] Sommario: 1. Il tema nella dottrina recente. 2. Valutazioni critiche e indicazioni di criteri d'indagine. La normativa di correttezza. 3. Buona e mala fede in riferimento alla successione degli atti di un procedimento giuridico. Regole generali ed esame della fase preliminare della formazione di un contratto . 4. Buona e mala fede nella fase di conclusione dei contratti e patti in genere. 5. (Segue): Regole particolari. 6. Buona e mala fede e interpretazione del negozio. 7. Buona e mala fede nella esecuzione del negozio. 8. Rapporti tra la conclusione e l'esecuzione di un negozio nella disciplina della buona e mala fede. 9. In particolare: la nozione di buona fede sotto il profilo del comportamento. 10. Buona fede e trascrizione. 11. Buona fede e simulazione. 12. Buona fede e acquisti «a non domino»: considerazioni generali. 13. (Segue): In particolare degli acquisti relativamente a beni mobili (e titoli di credito). 14. (Segue): Richiamo a collegamenti tra procedimenti negoziali diversi. 15. Buona fede e acquisti «a non domino» relativamente a beni immobili e mobili registrati. 16. Cenno di altri istituti e considerazioni conclusive. 1. Il tema nella dottrina recente. Si è osservato che il codice civile vigente menziona la buona - o mala - fede circa settanta volte (1) : nel corso dell'esposizione saranno richiamate e commentate solo le più importanti ipotesi legislative. Come è noto, la dottrina di ogni tempo e di ogni luogo fa riferimento al significato pregiuridico della buona o mala fede; questo riferimento comporta identificazione con stati etici quali l'onestà, la lealtà, la fede nella parola data, coscienza o coscienziosità e simili, per ciò che concerne la buona fede, mentre l'antitesi di questi atteggiamenti richiama l'idea della mala fede. Più difficile, per contro, si presenta la prospettiva dei significati tecnici, e, in particolare, giuridici. Occorre anzitutto tener conto della storia e della varietà degli ordinamenti giuridici positivi, e può rilevarsi che il tentativo di costruzione sistematica ha sempre incontrato gravi difficoltà, tanto da dover considerare controversa, in relazione a tutti gli ordinamenti considerati, la materia della buona fede: questo rilievo vale, soprattutto, per il diritto romano, canonico, germanico (2) . Le medesime difficoltà si presentano per il diritto positivo italiano e pressappoco negli stessi termini. In realtà non sussiste, al riguardo, un solo problema, come ad esempio quello di definire la buona fede in sé e per sé; ma, strettamente connessa è tutta un'altra serie di problemi che sono, poi, i più importanti dal lato giuridico. Tali, ad esempio, quelli che riguardano i rapporti con la frode, il dolo, l'errore per un verso; per un altro quelli che hanno riferimento a «fatti obiettivi» estranei alla buona fede in sé, ma richiesti dalla legge nella disciplina delle singole ipotesi (3) ; si pensi, tra le tante, alle ipotesi più comuni degli acquisti a non domino (art. 1153 ss. c.c.). È evidente allora la portata di un tema che, prima ancora di apparire prospettabile nel quadro di un collegamento con tanti altri disparati problemi, esigerebbe la sua posizione sopra un piano di dottrine generali che sovrasti a tutti quei problemi collegati. Alla luce di questo rilievo può apparire valutabile più agevolmente l'orientamento - che è antico e moderno - di stabilire quale sia il significato, o, meglio, i vari significati, della buona o mala fede nel diritto (4) . È frequente il ricorso alla nozione della buona fede come fatto giuridico, cioè fatto dell'ordine naturale, valutato dal diritto (5) . Questo fatto è ipotizzabile come psicologico o intellettivo o volitivo, e in altro modo ancora. Si osserva però che il legislatore non segue una linea uniforme: caso per caso si atterrebbe ad un significato diverso, e ad una valutazione diversa, di una conoscenza o di una ignoranza. Ad esempio, alcune norme considererebbero la buona fede come fatto intellettivo; tali l'art. 251 c.c. (riconoscimento di figlio incestuoso da parte del genitore che ignora il vincolo con l'altro); l'art. 535 comma 3, c.c. (definizione del possessore di buona fede di beni ereditari nel senso di colui che acquista «ritenendo per errore» di essere erede); l'art. 1147 c.c. (possessore di buona fede è colui che possiede «ignorando di ledere l'altrui diritto»): da notare che in questi due casi non giova la buona fede se l'errore dipende da colpa grave, che è riferita al momento dell'acquisto del possesso; l'art. 1479 c.c. (ipotesi di vendita di cosa altrui la cui alienità sia ignorata dal compratore, e disciplina dell'azione di risoluzione accordata in tal caso). Per contro appare dubbio il mantenimento di uno stesso significato di buona fede in altre norme. Per esempio nell'art. 1490 comma 2 c.c. (non ha effetto il patto di esonero da responsabilità per vizi se il venditore sia in mala fede); nell'art. 1529 comma 2 c.c. (la regola per cui i rischi delle cose in viaggio sono a carico del compratore non si applica se il venditore conosceva la perdita o l'avaria delle merci al tempo del contratto); nell'art. 1579 c.c. (anche qui la malafede del locatore rende inoperante il patto di esonero da responsabilità per vizi della cosa locata); nell'art. 1667 c.c. (il criterio è analogo a quello dei casi precedenti: nell'appalto non cessa la garanzia per vizi dell'opera o difformità dall'appalto, se i vizi e le difformità erano riconoscibili ma erano stati taciuti, in mala fede, dall'appaltatore) (6) . Queste norme non presentano soltanto il problema interpretativo in ordine al significato della mala fede, in antitesi a buona fede, ma anche, e soprattutto, quello del collegamento con molte altre norme a cominciare da quella dell'art. 1229 c.c. (limite del patto di esonero da responsabilità nella colpa grave e nel dolo) e tutte le altre concernenti la invalidità nella conclusione dei negozi, e gli inadempimenti. Tornando alla varietà dei significati delle espressioni che qui interessano, si trova una norma in un certo senso anomala: l'art. 1366 c.c. (interpretazione dei contratti secondo buona fede); si osserva (7) che qui la buona fede non è né un fatto psicologico, né norma di comportamento, ma criterio «che interessa in tema di nessi tra fatti giuridici e vicende di rapporti giuridici» (8) . È però dubbia la chiarezza di questo criterio che, vedremo meglio oltre, pone una norma interpretativa in riferimento all'intenzione delle parti da valutarsi, a sua volta, nel quadro delle norme di comportamento - di buona fede - che le parti stesse sono tenute a seguire. Tali norme - e qui appare un ulteriore significato del termine - sono, tra le altre: l'art. 1337 c.c. (comportamento nelle trattative secondo buona fede); l'art. 1349 comma 2 c.c. (determinazione dell'oggetto rimessa al terzo e impugnativa in caso di prova della mala fede); l'art. 1358 c.c. (negozio condizionato e comportamento di buona fede delle parti durante lo stato di pendenza); l'art. 1375 c.c. (esecuzione del contratto secondo buona fede); l'art. 1460 comma 2 c.c. (principio dell'exceptio inadimpleti contractus; legittimità del rifiuto di prestazione in caso di adempimento simultaneo ed illegittimità del rifiuto contrario alla buona fede). Arrivati a questo punto occorre chiedersi sotto quale profilo debba essere affrontato il tema della buona fede, dato che, giuridicamente, l'aspetto di una definizione inevitabilmente implica tutte le connessioni col sistema di cui si è fatto sopra cenno. Se si crede di poter prescindere da queste connessioni può apparire facile limitarsi a registrare il significato della mala fede come conoscenza e della buona fede come ignoranza, salvo a discutere, sull'una e l'altra, sotto il profilo del fatto giuridico o sotto altro profilo (9) . Resta però il dubbio, ci sembra, fondato, che il tema posto in questi termini non possa dirsi impostato nella sua vera consistenza tecnica. Questo rilievo implica la nozione di criteri di impostazione completamente diversi da quelli correntemente seguiti nella prospettiva del problema in esame. 2. Valutazioni critiche e indicazioni di criteri d'indagine. La normativa di correttezza. L'esatto rilievo della varietà dei significati in cui può essere percepita da un codice la buona o mala fede può indurre a ritenere che la portata delle indagini dirette ad individuarli non esuli dal campo metagiuridico. La verità può essere che fino ad un certo punto offre un diretto interesse il «fatto» buona fede e l'altro della mala fede. Quando, acutamente, si accoglie (10) una visione unitaria della buona fede, «intesa in senso oggettivo, dell'agire sleale o scorretto in danno di altri» (11) sembra si individui con esattezza il criterio di rilevanza giuridica di un comportamento in senso lato (comprensivo quindi di dichiarazioni e di altri atti a contenuto psicologico). I cosiddetti fatti volitivi, intellettivi, psicologici o altro in cui si sostanzierebbe la buona o mala fede, a prescindere dalle innumerevoli controversie e dalla varietà delle concezioni nella storia del diritto, arrivano alla considerazione della norma - statuale - già «filtrati» attraverso la considerazione di una altra normativa i cui princìpi sono unitariamente concepibili e che può denominarsi normativa di correttezza. Giova insistere sul rilievo che questa è richiamata in blocco dal codice (art. 1175 c.c.) in relazione ai rapporti obbligatori. Ma è richiamata con vastità di accezioni nell'art. 2598 c.c. a proposito degli atti che implicano concorrenza sleale e appaiono riassunte sotto i suoi princìpi tutte le situazioni per cui si adoperano le espressioni di buona o mala fede in funzione degli aspetti soggettivi inerenti all'accadimento dei fatti e allo svolgimento di atti e rapporti. Nelle «giuste cause» nei «giusti motivi» nell'agire ignorando senza colpa, si hanno altrettante diramazioni dello stesso concetto di normativa di correttezza. Ciò porta a considerare le formule legislative come estensibili, oltre i casi esplicitamente disciplinati, ad ogni campo: non solo quindi tale normativa è tenuta presente nella materia obbligatoria, ma ovunque si dirami un'oggettiva valutazione «dell'agire sleale o scorretto» con o senza limiti di configurazione o di effetti. Quindi anche nei rapporti di famiglia, successori, reali etc. Questo punto richiede per altro dei chiarimenti cui sono però pregiudiziali altri chiarimenti sulla base prescelta come punto di partenza, e cioè sulla normativa di correttezza (12) . Non è certo recente la valutazione di essa, soprattutto nel campo del diritto pubblico: quivi la nozione sembra orientata verso un significato di normativa non giuridica, ma giuridicamente rilevante (13) . È stata altresì studiata la materia delle sanzioni giuridiche di norme non giuridiche (14) : interessa rilevare che, secondo un'opinione, la colpa - intesa non solo come inosservanza di norme giuridiche ma in riferimento a tutte le ipotesi in cui non si riscontrino, in un determinato comportamento, la diligenza e la prudenza dell'uomo medio - sarebbe rilevante per lo più come inosservanza di regole non giuridiche (15) . Il solo accenno a questi profili sistematici indica la complessità di un vasto problema di teoria generale che non è possibile affrontare in questa sede. Dal punto di vista della teoria normativa del diritto non sembra dubbio che possa parlarsi di normativa non giuridica riguardo a regole private che non abbiano seguito il processo di formazione di una consuetudine, ed è certo che si può continuare a sostenere la stessa natura non giuridica anche quando si è formata una consuetudine (16) . Dal punto di vista di una dottrina diversa, quella pluralistica degli ordinamenti (o istituzionale), si può concepire che l'intera questione possa essere posta diversamente nel diritto pubblico e nel diritto privato. E precisamente nel senso che nel primo si possa individuare una normativa non giuridica ma giuridicamente rilevante, e che ciò possa accadere proprio nei confronti della cosiddetta normativa di correttezza, costituzionale o di altra natura. Ci sembra però dubbio che uno sviluppo di questa dottrina nel settore del diritto privato non porti a diverse conclusioni: precisamente nel senso di considerare pienamente giuridica un'ampia categoria di norme create negli ambienti privati, naturalmente distinguendo queste norme a seconda del riconoscimento o meno che esse ricevano dall'ordinamento statuale. Ora, non sembra dubbio che la normativa di correttezza è riconosciuta ed è giuridica non solo nell'ordinamento privato, ma rilevante come tale per l'ordinamento pubblico (17) . Possono sollevarsi innumerevoli interrogativi sugli ulteriori requisiti di questa normativa, sulla sua portata ed eventuali distinzioni da altre normative private, sul carattere di ius non scriptum in tutto o eventualmente in parte, sul criterio di valutazione, contingente o meno, del comportamento tenuto in osservanza o in violazione di quella normativa e su molti altri aspetti. Appare però indubbio il valore di un principio: la regola di correttezza esiste, è giuridica, è rilevante. E ne discendono corollari di rilievo: le norme «di rilevanza» o di efficacia cioè, per intendersi, statuali, siano esse di forma o di sostanza, regolano i requisiti degli atti; sono, di conseguenza, statiche anche quando concernono precedenze di atti rispetto agli altri. Per contro, le regole del movimento - della dinamica, cioè, dei rapporti - sono private, concernono i privati mentre trattano, concludono, interpretano, eseguono, e si concentrano nella cosiddetta normativa di correttezza. Questa normativa concerne non solo il modo di «prospettare» gli elementi in un rapporto, ma anche quello di «accogliere» la presentazione che di quegli elementi faccia la controparte. Le prassi che si formano al riguardo non sono soltanto individuali, ma ambientali (v., ad esempio, art. 2598 c.c. sui «princìpi di correttezza professionale»), mutano col mutare del tempo e del luogo pur restando fermo, in via di principio, il criterio della rilevanza per l'ordinamento statuale. Il fenomeno è molto più diffuso di quanto comunemente si percepisca: basta pensare all'ordinamento familiare che registra profondi mutamenti di regole interne sull'esercizio dei poteri, mentre l'ordinamento statuale interviene dall'esterno in base ad un concetto di abuso, variabile a seconda del tempo o del luogo, a seconda dell'evoluzione di quelle regole; un giudice di oggi considererebbe abuso di poteri l'imporre al coniuge limitazioni che molti anni prima sarebbero apparse giustificate, e questo pur restando immutata la norma di un codice. Questo dà così rilevanza al principio della normativa di correttezza, disciplinandone poi, in tutta una serie di norme, applicazioni particolari. Occorre non confondere - e formuliamo il rilievo in un senso che vedremo in seguito - questa disciplina con quella della colpa o del dolo, con cui per altro la prima è collegata, perché si tratta di piani diversi su cui sono chiamati ad operare concetti sostanzialmente omogenei. Il grave problema sta, per l'appunto, nello stabilire in che consista questa diversità di piani: in altri termini un primo punto di indagine riguarda il concetto, tuttora misterioso per i civilisti, del procedimento giuridico. Sulla base di quanto sopra esposto, sembra più agevole intendere il metodo di indagine qui seguito. Prendendo come punto di partenza la normativa di correttezza, di cui saranno indicati passim ulteriori aspetti, sarà considerato il profilo della buona fede e, prevalentemente, della mala fede, il cui concetto è atto a spiegare meglio la nozione della prima, nei comportamenti e non nella valutazione autonoma di «stati» intellettivi, volitivi, psicologici alla loro volta costitutivi o impeditivi di effetti. Questo comportamento è inteso in lato senso: dichiarazioni, negoziali e non negoziali, atti di vario contenuto psicologico, azioni materiali, azioni ed eccezioni in senso sostanziale e processuale. Gli aspetti psicologici o gnoseologici sono valutati internamente alla stessa struttura di un atto nei suoi elementi di motivo e di intento che appaiono direttivi del modo di «rappresentare» presupposti, contenuto, normativo o meno, e di raggiungere i risultati. Crediamo essenziale fondarci sulla linea del procedimento giuridico nel senso di seguire la successione degli atti di formazione e di esecuzione di un negozio e, comunque, lo svolgersi di un rapporto dalla formazione della sua fonte fino al suo concludersi. Proprio per togliere più indeterminatezza possibile alle regole generali, troppo vaste e generiche, sembra opportuno insistere sull'orientamento verso un criterio analitico col quale si valutano gli atti singolarmente, e nel concatenamento di quello precedente col successivo. La buona fede è essenzialmente regola di condotta di un rapporto: la piena giuridicità di questo si ha solo nella piena giuridicità di tutta la condotta di esso; la frattura in un punto implica la sanzione dell'ordinamento di efficacia, in via di regola, nei riguardi dell'intiero iter. Non sembra il caso di considerare le ipotesi legislativamente contemplate, né come tassative, né come esemplificative: la normativa di correttezza è l'intiero sistema privato del lecito e dell'illecito e come tale non sembra si possano segnargli dei confini. Nel corso del lavoro sarà preso in esame, particolarmente, il campo dei rapporti obbligatori perché rispetto ad essi è più rilevante il riferimento legislativo: ma i princìpi che si cercherà di estrarre da quel campo hanno portata generale, con gli opportuni adattamenti, ad altre zone del diritto privato e l'economia della ricerca non consente completezza. A questo proposito, si vedrà (§ 12) come vi sono dei casi - prevalentemente nella materia degli acquisti a non domino - in cui la normativa di correttezza ha una rilevanza particolare e diversa da quella che, in via di principio, ha nella materia obbligatoria. Questa rilevanza apparirà ridotta non solo in relazione agli acquisti sopra accennati, ma ad ogni altro campo, in cui la considerazione di prevalenti interessi, di ordine pubblico, prescinde dalla regola di correttezza e ispira una disciplina legislativa divergente (ciò può valere anche nella materia del diritto di famiglia). Svolgendo il tema del procedimento in relazione ai rapporti obbligatori da contratto o patto, la trattazione avrà riguardo all'attività rappresentativa di presupposti negoziali, del contenuto, dell'intento in conformità e in difformità alle regole di comportamento e alle conseguenze di una violazione delle regole stesse. Seguiranno gli altri settori del procedimento; conclusione (§ 4), esecuzione (§ 7), con un'analisi degli aspetti di rapporto tra questi due settori (§ 8), con un cenno dei procedimenti collegati (§ 14) e di quel particolare procedimento che la legge esige formalmente completo tra non dominus e terzo acquirente ai fini della legittimazione dell'acquisto del terzo stesso (§ 15). Una valutazione di rapporti tra mala fede, frode e dolo, della responsabilità e di altre sanzioni conseguenti sarà trattata in relazione alla divisione dei settori del procedimento (prevalentemente però nel § 8). Della colpa si è preferito, stante il problema della sua sistemazione nel quadro della normativa privata e della parziale connessione con la normativa di correttezza, trattarne soprattutto sotto il profilo di una inosservanza dell'onere di accertamento (18) . Questi rilievi non sistematici hanno lo scopo di agevolare al lettore la comprensione di un'analisi necessariamente frammentata in cui molte e fondamentali nozioni sono spesso indirettamente e fugacemente richiamate (v. ad esempio, i temi della presunzione della buona fede, dell'onere delle prove [§ 9], del dubbio [§ 5], dei rapporti tra la dottrina canonistica e quella civilistica [§ 12], dei limiti di rilevanza posti dalla legge allo squilibrio causale derivante dal conseguimento di un risultato ottenuto violando le regole di correttezza [§ 9]). 3. Buona e mala fede in riferimento alla successione degli atti di un procedimento giuridico. Regole generali ed esame della fase preliminare della formazione di un contratto . Sembra opportuno un primo chiarimento in merito a quanto rilevato nella conclusione del paragrafo precedente, nei seguenti termini: le dottrine dell'invalidità degli atti e, in particolare, quella concernente i cosiddetti vizi del consenso, errore, violenza, dolo, è stata normativamente tradotta non solo nella disciplina dei negozi ma anche in considerazione di un momento - o fase - dominante: quello della conclusione dei negozi stessi. Ora il momento della conclusione non è certo il solo nell'iter di formazione e di esecuzione del negozio. Si ha l'impressione che il legislatore sia rimasto nell'incertezza, allorché si è trovato a dover disciplinare quegli atti che precedono e gli altri che seguono, rispetto al momento della conclusione. Di qui una frammentaria normativa di richiamo degli stessi concetti soprattutto di dolo, frode, errore, colpa e altri, in molti dei casi sopra esemplificati. Di qui, ancora, il ricorso all'efficacia conferita ad una normativa diversa - quella di correttezza - che, nella sua indeterminatezza, pone i più gravi problemi. Può affermarsi comunque che questa normativa sembra concernere quegli aspetti dinamici del procedimento cui si è sopra accennato e che occorre ulteriormente chiarire, ad integrazione delle norme fondamentali sulla conclusione del negozio: non sembra dubbio, infatti, che una esecuzione in mala fede del contratto dovrà porsi, ai fini della responsabilità, sullo stesso piano di una inesecuzione, a parte la difficoltà di cogliere il senso di una situazione - mala fede - relativamente fluida rispetto ai casi di macroscopico inadempimento. Le ragioni di questa carenza legislativa (e prima di tutto dogmatica) devono rinvenirsi nel difetto di esplorazione della materia concernente il collegamento degli atti di un procedimento. Questo appare studiato nella dottrina pubblicistica più che in quella privatistica (19) e sotto punti di vista divergenti. Qui si accenna al procedimento nel significato della successione degli atti e delle situazioni giuridiche che si iniziano, partendo dalla individuazione del soggetto e di ogni altro presupposto soggettivo e oggettivo (quindi anche dall'analisi del potere e della legittimazione al suo esercizio), con l'esercizio del potere normativo - o negoziale - fino allo esaurimento del ciclo con l'ultimo atto esecutivo (20) . È noto un criterio secondo cui il collegamento tra questi atti e l'impulso a procedere sarebbe affidato alle figure tecniche dell'onere e dell'obbligo (21) . Può aggiungersi che ognuno di questi atti o di queste situazioni è suscettivo di una valutazione autonoma sotto il profilo dei requisiti soggettivi ed oggettivi richiesti per la produzione di essi. Ciò ha rilevanza sotto vari aspetti. Anzitutto a varie considerazioni si presta quella fase contrassegnata da una fondamentale libertà di esercizio dei propri poteri, quale è la cosiddetta fase precontrattuale o di trattativa (art. 1337 c.c.). Com'è noto, si configura anche per esse una possibilità di colpa, in senso lato, e di una conseguente responsabilità definita, per l'appunto, precontrattuale con una frequente identificazione di questo tipo di responsabilità con quelle extracontrattuali (22) : questa affermazione non è esatta come non lo è in circostanze sostanzialmente non diverse quali, ad esempio, quelle relative alla rottura di una promessa di matrimonio (art. 79 c.c.). La verità è che non siamo dinanzi a situazioni di «non» rapporto che caratterizzano l'extracontratto a norma degli art. 2043 ss.; si tratta invece di rapporti veri e propri che si svolgono nel quadro di una normativa privata: per l'appunto quella della correttezza. Ciò importa anzitutto un aspetto sotto il quale si precisa il significato di questa normativa; secondariamente un altro aspetto per cui la colpa è valutata sotto il profilo di una violazione della stessa normativa. Più precisamente il concetto di giusta causa di rottura, di giustificato motivo, sono suscettibili di concretezza solo su questa base in cui l'ordinamento configura l'esercizio del proprio potere essenzialmente libero, ma considera anche la frattura di un iter in cui sono rilevanti spese, affidamenti, tempo, occasioni perdute (23) . Piuttosto sembra opportuno tentare di approfondire alcuni aspetti della normativa di correttezza alla cui osservanza la legge rinvia e dalla cui violazione la legge fa derivare conseguenze. Si è sopra rilevato come questa normativa sia chiamata ad operare su un piano, per così dire, sottostante a quello della conclusione di un negozio, ed anche a quello di una fase esecutiva, considerate - l'una e l'altra - nei momenti e negli elementi più rilevanti, e che sono oggetto di diretta disciplina legislativa. Questa considerazione richiederà altri approfondimenti sul rapporto fra i due piani - normativo ed esecutivo - e lo esamineremo tra breve. Per il momento interessa cogliere il meccanismo o la struttura, che dir si voglia, di questa normativa in relazione al comportamento da essa richiesto. È il caso di rilevare come sia oggetto di scarsa considerazione l'indagine rivolta a precisare la natura di quegli atti definiti prenegoziali e formatori dei negozi, i quali prendono, rispettivamente, il nome di proposta e di accettazione. Ne deriva una grave indeterminatezza circa il modo e la natura stessa dell'atto conclusivo, compiuto il quale un negozio è da considerarsi esistente, mentre per altri procedimenti, ad esempio quello di formazione della legge, l'analisi appare più completa e sicura. Comunque, poiché non è questa la sede di esame del problema prospettato, si rinvia alla letteratura sull'argomento (24) , e si accenna qui solo ad alcune conclusioni. Proposta e accettazione sono atti la cui natura può essere positivamente chiarita in quanto se ne precisi il carattere non negoziale, e ciò nel senso della attribuzione di un carattere rappresentativo di un contenuto negoziale o normativo. L'accettazione è atto adesivo ad una presentazione (proposta) di un atto rappresentativo; il concorso paritario dei contraenti in ordine alla formazione del contratto non si ha tanto nel campo rappresentativo, in cui si rinvengono l'iniziativa di un primo soggetto e la risposta di un secondo, quanto nell'intento negoziale, che è quello, comune ai due contraenti, di dar vita ad una regula juris (25) . Ora questo meccanismo è fondamentalmente identico in tutti i casi di accordo, altro concetto essenziale per l'intelligenza del procedimento giuridico nello svolgimento di tutte le sue fasi (26) . Per quanto sia percepito in modo più evidente nella fase di conclusione di un contratto e in connessione con tutti gli elementi di questo, precisati nell'art. 1325 c.c. - e soprattutto con la presenza di una causa - (27) , il meccanismo di un gioco di rappresentazioni offerte da una parte, accolte o meno dall'altra, domina ovunque si formi, si interpreti, si esegua secondo le formule dell'accordo. Diremo anche, contrariamente a correnti rilievi (28) , come, proprio in sede di interpretazione, sia stato osservato che dichiarazioni e comportamenti implicano quella coerenza e quella concludenza in vista delle quali incombono alle parti oneri di responsabilità di condotta (29) . Si pensi, infatti, alla stessa fase delle trattative e alla progressiva puntualizzazione degli elementi negoziali attraverso di esse. La stessa «presentazione» dei presupposti, soggetto, oggetto, situazioni del soggetto rispetto al negozio (30) , è prevalentemente materia di atti rappresentativi, a parte certe operazioni al fine di mostrare qualità, buon funzionamento ed altri aspetti direttamente percepibili degli oggetti, per esempio, offerti in vendita. Ognuno di questa atti di rappresentazione richiede l'osservanza di una linea di correttezza, in quanto contiene l'accertamento di un dato «rappresentato» come realtà di fatto o di diritto, unilateralmente. Così, ad esempio, il soggetto entra in rapporto qualificandosi non soltanto sulla base degli elementi indicatori della sua identità personale, ma anche di quelli relativi all'arte o alla professione esercitate, alle sue capacità, alla sua posizione morale nel mondo degli affari. Solo una parte delle violazioni della regola di correttezza sarà rilevante in sede di conclusione del negozio sotto il profilo del dolo o dell'errore. In misura ancora minore certe violazioni alle stesse regole implicano conseguenze particolari come quelle di escludere dall'azione di annullamento il minore che ha occultato con artifizi e raggiri di essere tale (art. 1426 c.c.) o di concederla nella reticenza dell'assicurato (art. 1892 c.c.). Ai fini della validità dell'atto non hanno molta rilevanza la maggior parte delle suddette violazioni: nella fase preliminare lo stesso richiamo all'accertamento della legittimità di provenienza delle cose acquistate quando, tra l'altro, «la condizione di chi le offre» dovrebbe indurre a sospettare la provenienza di essa da un reato (art. 712 c.p.), non sembra conducente ad un principio generale di un onere di diligenza nel vaglio delle rappresentazioni sopra esemplificate. Beninteso, ciò vale ai fini di rilievi sulla validità dell'atto: il più delle volte, purtroppo, il soggetto imputet sibi una mancanza di accortezza che poi si troverà a scontare in sede di esecuzione. Ad ogni modo, in sede di trattativa, e sempre restando inteso il principio delle libertà di esercizio del potere di contrarre, gli atti si precisano come quelli logici della conclusione: sono rappresentazioni offerte e accettate con acquisizione progressiva di dati di accertamento. La buona fede domina in questa fase preliminare del procedimento nel senso di un dovere di presentazione in conformità della realtà e non solo di una realtà generica ma di quella specificamente aderente alla causa del contratto, e cioè di quel particolare scambio che si intende effettuare e che a volta può richiedere competenze, situazioni di legittimazione, del tutto personali. In via di principio chi accetta queste rappresentazioni accede, legittimamente, ad un accertamento unilateralmente offerto dalla controparte, accogliendolo, e può quindi dirsi operante una presunzione di buona fede (31) . Per contro la mala fede - che mutua ab antiquo i suoi caratteri dalla fraus e dal dolus - (32) mentre la buona fede richiama quelli della coscienziosità, rettitudine, onestà ecc. (33) legittima la rottura della trattativa, nonché l'obbligo di risarcire il danno particolarmente connesso con l'atto compiuto in mala fede. In un certo senso chi rappresenta un dato offre all'altra parte alcunché in ordine al quale non è lecito considerare quest'ultima come uno stultus, ignarus o negligens, bensì, alla stregua della concezione più antica, come prudens o peritus o diligens (34) . La buona fede riposa sulla legittimità dell'affidamento in questa osservanza di norme di correttezza, tanto più che, solitamente, nella trattativa gli oneri sono bilaterali e quindi reciproci. Beninteso che sul piano pratico non sempre è facile giustificare il fondamento di una richiesta di danni, in casu, e fuori delle ipotesi in cui venga riscontrata una precisa violazione di una norma di correttezza. Occorre tener presente il concetto di procedimento, nel senso che nella fase preliminare, sia pure questa contrassegnata dalla libertà di esercizio dei poteri negoziali, ogni atto, per quanto in una atmosfera attenuata, resta dominato da quello stesso intento negoziale che presiede alla sua conclusione. Comunque non sembra dubbio che il compimento di un atto di quella fase determina l'affidamento che sarà concluso l'atto successivo consequenzialmente e logicamente. Col termine «affidamento» si ritorna al tema della concatenazione degli atti di un procedimento giuridico in sede pre-negoziale: se si richiede un dato e se, con sacrificio che risulti doversi affrontare, il dato viene offerto e poi si interrompono le trattative, la esigenza di buona fede, intesa come esigenza di comportamento corrispondente ad altro comportamento conforme alla correttezza, implica considerazione del danno prodotto. I limiti dell'interesse negativo circoscrivono, del resto, l'ipotesi anche nella situazione di revoca della proposta a norma dell'art. 1328 c.c. (nel caso che la revoca arrivi all'accettante quando questi «in buona fede» ha intrapreso l'esecuzione). Può rilevarsi ancora come la sottoposizione degli atti rappresentativi, nella fase delle trattative, e in particolare per ciò che concerne i presupposti, su cui verte presentemente il discorso, alla normativa di correttezza, implica una valutazione di reciprocità in questo senso. Si consideri, ad esempio, la rappresentazione di un minore che con artifici e raggiri si affermi maggiore (art. 1426 c.c.), offerta alla controparte. L'accettazione di questo dato, da parte del destinatario, è sottoposta alle stesse regole di correttezza che valgono per colui che «rappresenta»: vale cioè l'accertamento prospettato, in assenza di una fonte di accertamento di diversa provenienza - o autonoma -, che, in tale esempio, ristabilirebbe la verità. Non osserverebbe la regola in esame chi non opponesse la propria e diversa rappresentazione, perché siamo, ovviamente, in tema di rappresentazioni che conducono ad un accertamento; in altri termini l'accettazione, nella ipotesi esemplificata, sarebbe contro buona fede o in mala fede che dir si voglia, e potrebbe trarsi la conseguenza che il contraente non possa giovarsi degli effetti della malafede del minore (esclusione della azione di annullamento: art. 1426 c.c.): questo perché non si è verificato quell'errore che è conseguente al dolo, anzi ha corrisposto ad essa un altro inganno cui potrebbe ascriversi una portata neutralizzante gli effetti del primo. Il che, ancora una volta, pone in risalto quegli aspetti attivi della buona o mala fede nel senso di una valutazione giuridica interessante non gli stati di conoscenza, ma i comportamenti alla luce di una precisa regola. Ovviamente il gioco dei contraenti può essere valutato nel quadro di una più o meno rigida concezione comunemente definita morale e, certamente, il riflesso di una elasticità in materia sul rigore della corrispondente normativa di correttezza è inevitabile; i concetti giuridici, peraltro, restano gli stessi, salvo a ritenersi corretto in un ambiente o in un'epoca un comportamento che non è più tale in altri ambienti o in altre epoche. Abbiamo prospettato degli esempi in materia di atti rappresentativi di presupposti soggettivi nella fase di una trattativa, traendone regole che valgono anche per gli altri presupposti, quali l'oggetto e la legittimazione. Anzi può, in relazione a questi, osservarsi un più deciso intervento legislativo nelle ipotesi di malafede, a parte gli aspetti regolati in sede di conclusione del negozio e in relazione alle norme sull'invalidità. I più importanti rilievi che possono formularsi in ordine all'oggetto e alla legittimazione incidono, per altro, nella fase di conclusione, su cui conviene soffermarsi. Superata la fase della trattativa, gli atti assumono, ad un dato momento, il carattere rappresentativo di un contenuto negoziale o normativo. Successivamente ancora, colla conclusione del contratto, nasce il vincolo per le parti; occorre chiedersi, rispetto a questo vincolo, quale portata abbiano gli atti rappresentativi concernenti l'oggetto e la situazione di legittimazione: sembra comunque opportuno formulare i relativi concetti in sede di trattazione della buona fede nella fase conclusiva ed esecutiva del negozio. 4. Buona e mala fede nella fase di conclusione dei contratti e patti in genere. La fase delle trattative si presta a delineare dei concetti di buona e mala fede, depurati, in un certo senso, da interferenze con molte altre espressioni concettuali che complicano fortemente l'argomento quando si giunga alla fase conclusiva del procedimento. Sarebbe opportuno, in sede dogmatica, scindere quest'ultima nelle due distinte fasi della conclusione e della esecuzione di un negozio, per quanto nella valutazione di una attività antigiuridica - in senso lato - la considerazione legislativa accomuni spesso momenti normativi e momenti esecutivi. Comunque vi sono molti casi in cui la distinzione viene formulata: così ad esempio l'art. 1338 c.c. pone un'obbligazione di risarcimento a carico della parte che conoscendo o «dovendo conoscere» la esistenza di una causa di invalidità del contratto non ne ha dato notizia all'altra parte che ha «confidato senza sua colpa» nella validità del contratto; i reati di circonvenzione di incapace (art. 642 c.p.) e di usura (art. 643 c.p.) sono perfezionati con la sola conclusione del negozio, mentre il contrarre una obbligazione col proposito di non adempierla, quando l'adempimento non segua, configura il reato di insolvenza fraudolenta (art. 641 c.p.). Per contro la valutazione della colpa e del dolo viene molto spesso compiuta nel senso di accordare al danneggiato una azione di risoluzione e non di annullamento, dandosi quindi rilievo al profilo dell'inadempimento (v., ad esempio, gli art. 1479; 1329 comma 2, 1579 c.c. supra cit.) pur trattandosi di attività antigiuridica concretatasi nel momento conclusivo del contratto. Su altri casi ancora buona e mala fede nel possesso - si ha riguardo a momenti esecutivi (art. 1153 ss.) ma con molte ragioni di dubbio circa le connessioni coi negozi che precedono quei momenti, sia in relazione allo stesso codice civile, sia al contenuto di varie norme penali (ad esempio, art. 648, 712 c.p.). In sostanza tornano, in questa sede, in considerazione quegli atti rappresentativi prevalentemente esaminati in relazione ai presupposti soggettivi, oggettivi, e al loro rapporto (legittimazione); nella fase conclusiva però l'atto è divenuto completo con la rappresentazione dell'intiero contenuto negoziale e l'intento delle parti ha conferito ad esso valore di norma e, quindi, vincolante (35) . Il campo dei comportamenti contrari al diritto appare in tal modo di proporzioni notevolmente ingrandite, cui fa riscontro non solo una molteplicità di concetti per distinguerle, ma anche una rilevante confusione terminologica, indice della imprecisione dei primi. Già la materia della buona fede richiama varietà di espressioni: lealtà, correttezza, ignoranza, erronea conoscenza che, come si è visto, si aggiungono ora a concetti e termini di colpa, dolo, frode alla legge, frode in danno dei creditori, ecc. (36) . Non è certo agevole, nell'attuale stato della dottrina e della giurisprudenza, il tentativo di introdurre criteri di orientamento. 5. (Segue): Regole particolari. Diciamo subito che, sul piano del diritto privato, la norma fondamentale di comportamento, in tutte le fasi di un procedimento negoziale, resta quella della correttezza. La prima valutazione di ogni violazione di essa si compie nel terreno della mala fede cui si aggiunge la grave negligenza così come al dolo si assimila tradizionalmente la colpa grave (v. art. 1338 c.c.: colui che conoscendo o «dovendo conoscere»...). E si compie in base ai criteri indicati in relazione alla fase delle trattative: l'atto col quale si rappresenta, accerta unilateralmente una realtà di fatto o di diritto; la correttezza impone di accertare fedelmente in buona fede, col richiamo quindi non soltanto ad un'idea di affermazione di una verità ma anche a quella di un discernimento di cui, nella condotta giuridicamente rilevante, deve essere fornito il soggetto sia pure nelle varie gradazioni della età, dello sviluppo mentale, delle capacità professionali o comunque tecniche. Viene quindi a crearsi un nesso tra questi vari elementi in modo da conferire alla buona fede un aspetto, per così dire attivo, e non solo quello statico di uno «stato»: non importa tanto quel che si sa o non si sa, ma quel che si fa o si dichiara sulla base di quel che si sa o non si sa (37) . Non sembra quindi che possano sorgere antitesi concettuali con questo concetto di base, ma soltanto ulteriori qualificazioni degli stessi atti contrari alla correttezza e a seconda della particolare specie della violazione e degli interessi particolarmente lesi, o dell'entità della violazione stessa. Occorre tener presente che nella rappresentazione di presupposti o del contenuto normativo non importa soltanto il rilievo analitico della corrispondenza di singoli atti rappresentativi ai criteri della buona fede o meno. Importa molto di più quell'atteggiamento complessivo sotto il dominio dell'intento e cioè del «mirare a» un determinato risultato. Questo intento, che è normalmente quello di creare una regola e attraverso di essa un risultato di ordinamento (38) , è anche valutabile in tutti quegli aspetti anormali più frequentemente studiati nei temi della volontà non seria o scherzosa o nella simulazione. Occorre però studiarlo anche sotto altri aspetti - sempre anormali - in cui è rilevante la direzione di quell'intento verso il raggiungimento di un risultato sia di norma, sia di altro oltre la norma. Così una fase di procedimento, o preliminare, o conclusiva, può apparire diretta ad un impossessamento di denaro o di altri beni, cioè più ad una esecuzione carpita che non ottenuta attraverso un'obbligazione di eseguire. In questo senso appare esatta un'affermazione giurisprudenziale (39) che configura un dolo causam dans che non differisce, circa i suoi estremi, da quello richiesto per il reato di truffa (art. 640 c.p.). Per contro può aversi rappresentazione «orientata» secondo un intento di minore gravità: il contenuto normativo viene disposto in modo da provocare un errore di conoscenza - accettazione di un atto rappresentativo con falso accertamento - o di valutazione, anch'essa effetto di prospettive create ad arte. La violazione della norma di correttezza assurge a dolo, anche se l'autore dell'atto confidi nella validità e quindi nell'efficacia della norma - negozio - posta in essere come fonte di un'obbligazione vera e propria. Anche in questo caso pur partendo dalla stessa base - piano di normativa di correttezza - l'entità e il particolare profilo della violazione concretano una figura (dolo). Ma si tratta di un gioco di rappresentazione secondo le direttive di un intento: e, in fondo, può giustificarsi, sotto questo profilo, una circostanza che a prima vista colpisce: cioè come non solo opere istituzionali, ma anche trattati, dedichino, relativamente, poche considerazioni al dolo in quanto attività di inganno (40) . La verità è che una valutazione autonoma del dolo si rende possibile solo fino ad un certo punto: la configurazione di esso non è che l'espressione di un particolare atteggiamento di un fenomeno molto più vasto e interessante la norma penale oltre quella civile. Di tale fenomeno se ne coglie, nel dolo, quella limitata manifestazione di una mala fede che si estrinseca nella creazione di un negozio e se ne circoscrive la valutazione al negozio. Per poco che il consenso si ottenga rappresentando - in mala fede - una falsa legittimazione, in quanto, per esempio, si venda cose non proprie o rubate, o si miri ad un possesso e non ad una proprietà, lo stesso comportamento diventa rilevante sotto altri aspetti civili e penali che sommergono la valutazione trascurabile di un atto negoziale in quanto tale. Così la rappresentazione di presupposti e di contenuto offerta contro realtà da un soggetto che stipuli un contratto di compravendita di un bene, ma si trovi in situazione passiva sì da esser passibile di azione revocatoria (art. 2901 c.c.), eleva la violazione a quella particolare figura che qualifica l'atto come compiuto in frode ai creditori (41) . Sotto questo profilo anzi possono cumularsi le qualificazioni: così la figura del cosiddetto abuso di diritto concerne soprattutto le alterazioni funzionali degli atti di esercizio di poteri, diritti, interessi che però competono ad un soggetto; si tratta di alterazioni del fattore causale che non sempre implicano mala fede, per lo meno sul piano privato (42) . Ma accade assai spesso che tali atti si compiono in violazione della normativa di correttezza: così nell'esempio di atto in frode ai creditori surriportato si sorpassano quei limiti della discrezionale disposizione dei propri beni imposti dalle esigenze di garantire i propri creditori (art. 2740 c.c.). Si noti come questo profilo della mala fede come atto di rappresentazione consapevolmente contrario alla realtà in ordine ai presupposti con conseguente vizio dello stesso atto sotto l'aspetto dell'accertamento unilateralmente offerto e accettato è suscettivo di molti sviluppi e di graduazioni fino alle sfumature del concetto. Nell'ulteriore sviluppo del procedimento il gioco della rappresentazione del contenuto normativo si aggiunge a quello dell'attività precedente e concernente i presupposti, sotto le direttive di un intento che, praticamente, determina l'innumerevole quantità di combinazioni, non riducibile a sistemi né a formule: sarebbe opera vana il tentarlo come sarebbe vano ridurre a formule l'inesauribile fantasia degli artisti - sia pure con riferimento alla materia delle truffe o del raggiro -. Occorre rilevare che la mala fede ha modo di estrinsecarsi nelle forme più abili per cui si rende difficilmente percettibile l'alterazione di qualche elemento; l'alterazione è complessiva e frutto di un'abile prospettiva nella manovra di presentazione degli elementi negoziali e del contenuto negoziale. La normativa di correttezza impone una linearità di comportamento secondo le regole della buona fede in tutte le fasi di un procedimento; ma mentre è facile applicarle nelle ipotesi di evidente elusione, diventa malagevole percepirne i contorni nelle ipotesi che rasentano i limiti del lecito. Il rilievo importa sotto il seguente punto di vista: nonostante l'esuberanza di concetti e di termini, non sembra che dottrina e giurisprudenza tendano a valicare le configurazioni di concetti tradizionali. Così ad esempio un negozio, per vizio del consenso, è impugnabile in quanto sia configurabile errore (spontaneo), dolo (errore provocato), violenza. Certe situazioni, per così dire, intermedie, in cui appare difficile rinvenire vero e proprio dolo, finiscono per condurre alla esclusione dell'impugnativa per non esservi gli estremi né di un errore provocato né di un errore spontaneo (43) . Questa rigidità di concetti può essere attribuita al punto di partenza adottato che muove cioè da quelle figure che rappresentano gradi di entità o qualificazioni di un comportamento e non dalla base che è per l'appunto il comportamento stesso in mala fede o eccessivamente abile, se si vuole adottare un eufemismo. Un comportamento può non giungere a «provocare» un errore, può giungere però a giustificarlo nel quadro di una rappresentazione di elementi negoziali e di un intento in qualche modo individuabile in rapporto ad un risultato perseguito (44) . Qualche norma sembra autorizzare questa estensione: vedi ad esempio l'art. 1667 c.c. per cui l'accettazione dell'opera da parte dell'appaltante, anche se i vizi sono riconoscibili, non fa cessare la garanzia se l'appaltatore li tace, in mala fede (v. art. 1579 c.c.). Può comunque ritenersi, in generale, che un approfondimento dello studio sulla normativa di correttezza renda possibile maggiori risultati di inquadramento di ipotesi che non ragionando, come accade correntemente, sulla base di concetti consequenziali e terminali rispetto a quella normativa di base. 6. Buona e mala fede e interpretazione del negozio. Sono noti alcuni fondamentali aspetti dell'interpretazione del contratto (art. 1362 ss. c.c.). La norma base esprime il criterio dell'indagine sulla «comune intenzione delle parti» senza limitarsi al senso letterale delle parole. L'indagine, quindi, investe il comportamento; si osserva, molto profondamente, che questo «consenso più intimo» viene valutato come criterio di orientamento interpretativo, «base di un canone ermeneutico che sta sullo stesso piano del principio della buona fede (art. 1366)». Occorre anche, in questa sede, modificare una diffusa impostazione di questa materia sotto profili di ordine etico, e ricercare criteri tecnici di ricostruzione dell'atto normativo ed esecutivo privati. La norma privata, libera da intralci di configurazione formale e da altro che non sia effettiva sostanza logica, dovrebbe corrispondere in ogni suo aspetto alla determinazione del soggetto considerata in ogni suo elemento ed atteggiamento. Avviene invece, per il carattere esterno e obbiettivato della norma in cui si concreta questa determinazione, che molti aspetti, anche normativi, ma per lo più esecutivi, restino affidati ad elementi di interpretazione e di condotta del rapporto di carattere interno; il più delle volte ad intese o intenti o taciti riferimenti, ad usi di fatto o anche normativi. Tutto questo è, però, pieno diritto: in senso lato e impreciso ricorda il rapporto tra il lato esterno e quello interno della fiducia. La vita autonoma delle norme, nella disciplina dei rapporti tra soggetti diversi e tra questi e lo Stato, implica restrizioni all'ammissione di limitazioni alle prime, a carattere interno, ove non fosse altro per ragioni di prova (v. art. 2721 ss. c.c.). Ma nei casi in cui la valutazione di questa intesa e di questa condotta del rapporto implichi la constatazione di atti rilevanti, approssimativamente riassunti in un comportamento interno conforme o difforme della norma, l'ordinamento statale impone la considerazione di questo prolungamento dell'attività giuridica oltre alla risultante formale e sostanziale del negozio. E qui si rileva un aspetto attivo della buona e mala fede (45) . Spesso nel dire, non dire e disdire, risiede il fondamento di quella esigenza interpretativa che si conclude in un accertamento non solo del significato della formula contrattuale (46) ma anche di responsabilità conseguente al comportamento di mala fede. Rimane però il dubbio che considerazioni di più grave portata debbano formularsi nel caso in cui il contratto incontri particolare difficoltà di ricostruzione: il principio della conservazione del contratto è espresso in note norme (v. soprattutto l'art. 1367 c.c.), ma non sembra sufficiente. Si afferma autorevolmente (47) che da questa materia esula una valutazione sotto il profilo della validità (vedi art. 1323 c.c.). È però il caso di far presente quell'ipotesi di dissenso che, nella specie, si concreta nella presenza di una reticenza fraudolenta (48) : è allora possibile ravvisare una nullità o addirittura una inesistenza, le cui responsabilità devono però essere regolate a norma dell'art. 1338 c.c. a carico della parte in mala fede. Sotto altro aspetto incide sul terreno della interpretazione (nonché, come vedremo, su quello della responsabilità) il silenzio dell'atto in ordine alle precise scadenze di importanti obblighi delle parti; tale silenzio favorisce quei comportamenti dilatori concernenti il compimento degli atti di formazione del negozio: la redazione del contratto definitivo, la redazione di strumenti trascrivibili (v. art. 1543 c.c.); la fissazione del termine (v. art. 1883 c.c.) e altri, resi possibili da una lacunosa redazione della parte negoziale. Comunque, e a conclusione dei rilievi qui accennati in relazione, per così dire, al tracciato della linea normativa, si ha in questi casi un vasto problema di conoscenza dell'ordinamento privato in ordine alla completezza della sua struttura e in rapporto all'ordinamento statuale chiamato a valutare la rilevanza di un'attività stratificata. E il piano di questo rapporto è, per l'appunto, quello della normativa - privata - di correttezza. 7. Buona e mala fede nella esecuzione del negozio. Il campo più vasto in cui opera a normativa di correttezza è quello dell'esecuzione, in corrispondenza, del resto, della maggiore estensione dei comportamenti esecutivi rispetto a quelli normativi (dichiarazioni negoziali). Domina al riguardo la norma generale che è contenuta nell'art. 1175 c.c.: «il debitore e il creditore devono comportarsi secondo le regole della correttezza». Ad essa fa riscontro la norma speciale di cui all'art. 1375 c.c.: «il contratto deve essere eseguito secondo buona fede». È però da chiedersi quanta rilevanza abbiano, nel sistema, queste norme che pure dovrebbero essere considerate fondamentali. Giova ricordare come, nel diritto germanico, si sostenga la validità dell'exceptio doli generalis del diritto romano (49) , mentre il codice svizzero (art. 2) esclude ogni protezione giuridica per l'attività contraria alle regole della buona fede e degli usi. La norma dell'art. 1175 c.c., se fosse rigorosamente applicata, porterebbe gravi conseguenze per i contraenti, e gli obbligati in genere, in mala fede, e ciò oltre le sporadiche norme che sembrano ricollegarsi alla prima, nel senso di un diniego di tutela (50) . Possono intanto formularsi alcuni rilievi, in generale. Nella fase esecutiva la mala fede presenta caratteristiche diverse, almeno di regola, da quelle delle fasi precedenti. Il rapporto, nel suo aspetto effettuale rispetto ad una causa, implica una valutazione sotto il profilo di un'esigenza: quella della conformità alla norma. L'attività esecutiva non è che l'attuazione della norma (51) ed il suo svolgimento è dominato dalla regola nota della diligenza (art. 1176). In relazione a questa operano i concetti di colpa e di dolo. Quest'ultimo però assume un significato - quello di volontario inadempimento o, comunque, di volontarietà del fatto illecito - rispondente ad un'autonomia di figure: può ragionarsi rispetto al dolo in exsecutivis come si è ragionato per il dolo concernente la conclusione del negozio, si ha, cioè, una configurazione dell'aspetto più evidente - ed estremo - della violazione di una norma. Il linguaggio legislativo è tutt'altro che preciso e quindi adopera lo stesso termine - dolo - in significati diversi: sono più aderenti al significato vero e proprio del dolo quelli che includono l'idea di un raggiro e quindi più vicini a quella mala fede che opera sottilmente nel senso di una sorpresa della buona fede. Nella fase esecutiva, con una valutazione indipendente da quella che può farsi anche sulla base della mala fede, ma nell'ipotesi estrema dell'inesecuzione volontaria, la mala fede stessa prende corpo in una consapevole difformità dell'esecuzione della norma, con raggiro. Ciò può riferirsi all'esecuzione in senso stretto, alle prestazioni: ad esempio, varie norme si riferiscono ai vizi della cosa venduta o locata, o ai vizi dell'opera conosciuti e lasciati ignorare. La legge toglie efficacia, in questi casi, ai patti di esonero da responsabilità e pone regole più rigorose di impugnativa (v. art. 1490-1579, 1667 c.c.). Ma la difformità può anche riferirsi alla condotta di un debitore in tutta l'attività esecutiva: atti di scelta, di specificazione, consegna di documenti, e così nei differimenti, nelle eccezioni dilatorie ecc. Il gioco del tempo entra spesso a far parte di un comportamento in mala fede: un'interessante norma è quella dell'articolo 2941 n. 8 c.c., per cui la prescrizione è sospesa «tra il debitore che ha dolosamente occultato l'esistenza del debito e il creditore, finché il dolo non sia stato scoperto.» Ed è noto il caso - nel diritto germanico - del debitore che riesca a trattenere il creditore dal chiedere l'adempimento, salvo ad eccepire la prescrizione, una volta raggiunto il relativo termine: tale comportamento si considera illegittimo. Tutto il campo della condizione, poi, appare dominato da esigenze di correttezza (v. art. 1358, 1359 c.c.) come vedremo tra breve. In sostanza mentre la mala fede, nelle trattative e nella fase di formazione del negozio, opera prevalentemente sul piano di una attività rappresentativa (dei presupposti: del contenuto negoziale e guidata da un intento), nella fase esecutiva opera sulla base degli atti dovuti e compiuti in difformità dalla norma non tanto apertamente ma surrettiziamente: in un certo senso la formula dell'occultamento doloso contenuta nell'art. 2941 n. 8 c.c. rende l'idea del comportamento lesiva della buona fede del creditore. Mentre un'altra formula, quella dell'art. 2598 n. 3 c.c. in materia di concorrenza sleale, esprime uno notevole gamma di sfumature nel valutare quel comportamento lesivo. 8. Rapporti tra la conclusione e l'esecuzione di un negozio nella disciplina della buona e mala fede. Per comodità di ipotesi sono stati divisi i settori di un procedimento nelle fasi di trattative, conclusione ed esecuzione di un negozio e, particolarmente, ci si è riferiti ai contratti. Queste divisioni sono state tracciate al fine di individuare la configurazione della normativa di correttezza secondo i princìpi delle varie parti di un procedimento. Occorre però osservare che la legge appare lontana da ogni sistematica. Da un lato erige a norma generale la correttezza e vi si richiama ripetutamente. Dall'altro, regola in modo particolare, disorganicamente e senza collegamenti con la norma base dell'art. 1175, casi singoli di mala fede, buona fede, colpa (in relazione a doveri di conoscenza, alias di accertamento: v. anche art. 648 c.p.), dolo (in più significati) frode (anche essa in vari significati). Rimane compito della dottrina quello di sistemare e collegare risalendo alla norma di base. I problemi sono molti e difficili e non è da presumere di riuscire a risolverli se non attraverso un'analisi prima di tentare una qualsiasi sintesi. Di qui l'insistenza che si è posta nel separare le varie fasi di un procedimento contrattuale, da quella preliminare alle successive di conclusione e di esecuzione. Una delle prime conseguenze sembra quella di poter precisare il duplice atteggiamento della normativa di correttezza sul piano delle dichiarazioni (rappresentazione di presupposti, contenuto negoziale, intento) e del comportamento. Questo rilievo potrà contribuire ad una configurazione dell'intera normativa oltre i rapporti tra debitore e creditore e le speciali combinazioni di questi rapporti (ad esempio: simulazione, come vedremo) e, quindi, fuori dal campo obbligatorio. Potrà anche servire a distinguere un piano - lato sensu - contrattuale da uno extracontrattuale: è interessante, ad esempio l'articolo 2598 c.c. su gli atti di concorrenza sleale, ai fini di un criterio legislativo sulle dichiarazioni e comportamenti lesivi della sfera altrui, surrettiziamente atteggiati ad atti di legittimo esercizio di diritti e poteri nella sfera propria. La normativa di correttezza rappresenta quella configurazione primaria in cui appaiono allo stato solido i criteri fondamentali del lecito e dell'illecito elaborati dagli ordinamenti privati; immediatamente al di là della linea di quella configurazione operano, fluidamente, tutti quegli elementi pregiuridici che appartengono alla etica individuale e sociale. Le ulteriori configurazioni tecniche non sono che ulteriori elevazioni di concetti e di figure al di sopra di quella linea di base. Ora, nel valutare l'angolo visuale di un codice, giova l'analisi dei singoli aspetti del procedimento, ma solo come premessa per lo studio del trattamento che il codice riserva alle situazioni in cui le fasi del procedimento si presentano interferenti o combinate, e quindi con una molteplicità contemporanea di aspetti di mala e buona fede. Superfluo rilevare che si tratta dei casi più gravi: basta pensare alla simulazione e alla ipotesi di acquisto a non domino. Intanto può accennarsi a qualche criterio che sembra si possa desumere dalla legge. Alla mala fede si reagisce con un'azione di responsabilità per danni, autonoma anche rispetto all'azione di nullità (vedi art. 1338 c.c.) e all'impugnativa per dolo causam dans (mentre sussiste come unica azione in caso di dolus incidens: art. 1440 c.c.). La stessa azione compete per la mala fede nella fase esecutiva cui si aggiunge, normalmente, la azione di risoluzione nel quadro di un inadempimento (v., ad esempio, art. 1489 ss., 1578 ss., 1668 c.c.). La stessa azione compete ancora nei casi in cui la mala fede opera proprio nel collegamento tra fase normativa e fase esecutiva per un gioco di rappresentazioni e di intento e, per di più, l'azione non compete da sola ma in aggiunta ad altre di varia natura. Così per la vendita di cose altrui la cui alienità sia fatta ignorare al compratore, l'azione di responsabilità è unita a quella di risoluzione (art. 1479 c.c.). Quando l'obbligazione è contratta col proposito di non adempiere si ha addirittura un reato (art. 641 c.c.). Un altro caso interessante concerne la valutazione della condizione sospensiva meramente potestativa che, a norma dell'art. 1355 c.c., è nulla e rende nullo il contratto cui è apposta. Com'è noto il criterio distintivo tra questa specie di condizione e l'altra, potestativa semplice - che è valida - non è posta con chiarezza nelle trattazioni in materia; soprattutto non si pone abitualmente in luce che si tratta di un rapporto tra la norma - negozio - e la sua esecuzione. Le formule del codice Napoleone esprimevano chiaramente questo rapporto: è nullo il contratto, è nulla la donazione la cui esecuzione sia rimessa all'arbitrio del contraente, del donante. Per contro la deduzione di un fatto futuro ed incerto rispetto al quale la volontà del contraente sia libera di determinarsi, ma in un modo autonomo rispetto al negozio, non comporta contraddizione tra la norma e l'obbligo di eseguire che, per definizione, pone la prima. Viene però a crearsi tra il negozio così condizionato e la determinazione autonoma nei confronti di altro evento, un rapporto di cui la buona fede - espressamente richiamata dall'art. 1358 in riferimento alla condizione pendente - acquista portata essenziale. Si tende ad escludere un sindacato sui motivi che abbiano indotto il debitore a compiere o meno il fatto (52) ; non sembra però da escludere una prova di mala fede dello stesso tipo di cui all'art. 1358 c.c. con conseguente responsabilità connessa ad un inadempimento. Appare anche fondato il dubbio se non ricorrano gli estremi dell'applicazione dell'art. 1359 c.c. (mancanza della condizione per fatto imputabile alla parte avente interesse contrario a verificarsi della medesima) quando l'attività e l'inattività della parte concerna non la determinazione, ma l'impedimento dello stesso fatto in ordine al quale la determinazione, in un senso o nell'altro, avrebbe dovuto essere presa: si intende che questa situazione acquista rilievo in collegamento col negozio condizionato e qualora si rinvengano gli estremi di un comportamento in mala fede; in generale però si ammette che l'art. 1358 c.c. si applichi anche nelle ipotesi di colpa; non si formulano però soluzioni di rapporto con l'art. 1355 c.c. (53) . Comunque anche nel caso prospettato l'atteggiamento della legge sembra orientato sul piano dell'esecuzione (nel senso cioè di un inadempimento). Occorre aggiungere, a questo quadro, una altra serie di rilievi di un ordine diverso. La mala fede espone alle conseguenze di una azione di responsabilità. Ma espone anche ad una reazione specifica, per cui la parte in buona fede si oppone all'azione dell'altra parte in mala fede (54) : tende cioè ad impedire il conseguimento o la conservazione dei vantaggi ottenuti e dei diritti connessi mediante atti strutturalmente idonei; ciò in quanto questi atti appaiono inficiati da un concorso di circostanze soggettive che ne alterano la funzione (tipico abuso del diritto) o violano in una o in altra direzione la normativa di correttezza. Sembra potersi desumere questa regola non solo dal carattere della normativa in questione, il cui dovere di osservanza ha un senso in quanto si legittima una parte ad opporre la violazione all'altra, ma anche dalle numerose norme speciali: vedi art. 1426 c.c. (occultamento con raggiri della minore età), art. 1359 c.c. (avveramento della condizione), art. 1460 c.c. (eccezione di inadempimento col limite dell'illegittimità di un rifiuto contrario alla buona fede), art. 1490 comma 2 c.c. (inefficacia del patto di esonero da responsabilità se il venditore sia in mala fede), art. 1579 c.c. (idem per il caso del locatore in mala fede), art. 1667 c.c. (idem nel caso dell'appaltatore in mala fede), art. 1447, 1448 c.c. Da queste ipotesi può trarsi un criterio per casi espressamente non contemplati: così per il debitore che trattenga il creditore dall'esigere il credito per opporgli poi la prescrizione a termine maturato; parrebbe logico privarlo dell'eccezione di prescrizione. Così per quella «giusta causa» di non adempimento (promessa [art. 1990 c.c.]; promessa di matrimonio [art. 81 c.c.]; rottura di trattative etc.) in quanto fondate sulla violazione della norma di correttezza compiuta da una parte e opposta dall'altra. 9. In particolare: la nozione di buona fede sotto il profilo del comportamento. L'argomento in esame richiede che l'accento vada posto sulla mala fede in quanto l'aspetto negativo illustra meglio la violazione di una normativa di correttezza e dei doveri da essa imposti. Implicitamente però viene a precisarsi l'aspetto positivo - buona fede - che caratterizza dichiarazioni e comportamenti osservanti la normativa in esame. L'indagine svolta dovrebbe infatti porre in luce l'esigenza di un'attività rappresentativa dei presupposti - soggetto, oggetto, legittimazione - aderenti alla realtà di fatto e di diritto, generale e particolare al rapporto in caso di svolgimento. Dovrebbe anche porre in luce l'esigenza di un'attività rappresentativa del contenuto negoziale e la portata di un intento che «orienta», per così dire, le rappresentazioni dei presupposti e del contenuto. A questo punto però può ritenersi necessaria l'aggiunta di considerazioni particolari sulla buona fede a quelle espresse, sotto il profilo della mala fede, nel senso generico di una fraus o di un dolus. Positivamente, infatti, la normativa di correttezza esige un comportamento che non è rapportabile soltanto al parametro della realtà di fatto o di diritto e che si concreta in un accertamento. Entrano in gioco tutti quegli elementi di una condotta giuridica più sostanziale e aderente alle qualità rievocate da Francesco RUFFINI dell'uomo prudens, peritus, diligens. Si verte in campo tecnico: non si può prescindere quindi da un discernimento che, anche al di fuori delle regole generali, non potrà essere richiesto in misura inferiore a quella di una corretta formula contenuta nell'art. 1389 c.c. (capacità... avuto riguardo alla natura e al contenuto del contratto) e non si potrà prescindere dai fattori causali richiesti per i tipi regolati dalla legge, e nell'art. 1322 c.c., in forma di regolamento di interessi ritenuti meritevoli di protezione. Questi fattori - dalla predisposizione dello scambio, fino all'attuazione - sono subordinati ad esigenze di equilibrio sia dal punto di vista oggettivo che soggettivo: le norme sull'azione di rescissione - 1447 c.c. -, sulla risoluzione per eccessiva onerosità - 1467 c.c. -, per sopravvenienze varie - 803, 687 c.c. (55) , ed altre, rappresentano valutazioni di squilibrio causale i cui risultati oggettivi entrano in considerazione in dipendenza di valutazioni soggettive. Ma non si può andare molto oltre nel tentativo di precisare questa profonda esigenza di un equilibrio causale nel cui rispetto l'attività - l'autonomia - privata può assolvere la sua funzione del giusto contemperamento di interessi. Si può invece andare molto più a fondo riprendendo in esame la materia sotto il profilo negativo di uno squilibrio causato dalla mala fede e in quel gioco di intenti e di rappresentazioni determinanti il falso, la frode, errori provocati, giustificati, dolo, approfittamento etc. Va da sé che da questo rilievo negativo all'esigenza di una perfetta osservanza della correttezza c'è la distanza che corre dal principio al caso concreto; l'elasticità in termini giuridici e, ovviamente, morali, non è sopprimibile. Però l'analisi domina, in sede pratica, la portata di una sintesi che perde l'inevitabile indeterminatezza di contorni, quanto più si ponga l'accento sui singoli atti del procedimento giuridico: tanto più minuta sarà la distinzione, l'individuazione di essi, tanto più ricco sarà il campo di valutazione in relazione all'intento perseguito, della buona o mala fede che presiede il compimento di quegli atti. Sotto questo aspetto è il caso di proporre il massimo approfondimento possibile dello studio del procedimento. Formuliamo altri rilievi: non solo nella conclusione dei negozi, ma ovunque si rappresenti, quindi anche nelle trattative, a chi propone un atto di rappresentazione sta di fronte chi si pronuncia, accettando o meno. La parità dei contraenti rispetto all'intento negoziale sussiste in minor misura sul terreno della rappresentazione in cui si abbia l'iniziativa di un proponente. In certi negozi prendiamo i traslativi per la maggiore importanza - le posizioni di chi aliena e di chi acquista sono da tenersi separate per la portata di regole spesso dettate per una posizione, e indipendentemente da quelle che concernono l'altra posizione (lo vedremo per gli acquisti a non domino). Quel che importa, qui, notare, concerne una regola di comportamento: in via di principio chi rappresenta accerta unilateralmente e assume la responsabilità della rappresentazione e dell'accertamento (56) . Colui al quale viene «offerta» una rappresentazione può tenere un vario comportamento. Se è in possesso di dati conducenti ad un accertamento diverso da quello cui conduce la rappresentazione dell'altra parte, ha il dovere - di buona fede - di contrapporli; in caso contrario cadrebbe in un comportamento di mala fede con le conseguenze cui si è supra accennato (57) . Se non ha questi dati, appare legittimato l'affidamento nel senso che sono accettati rappresentazione e accertamento come rispondenti a realtà. Un limite a questa regola è costituito da quel discernimento che la legge rapporta al «diligens» con un criterio di normalità: il criterio della riconoscibilità di un errore, dei vizi palesi di una cosa, il ragionevole sospetto di provenienza illecita di cose offerte in vendita, l'età visibilmente giovanile del soggetto o evidenti segni di squilibrio mentale del medesimo, sono elementi che impongono un onere di accertamento, indipendentemente da dichiarazioni rappresentative, e l'inosservanza fonda una colpa. Al di fuori di queste ipotesi che si mantengono nell'ambito di normali percezioni dell'uomo medio e rispondenti ad un minimo criterio di condotta giuridica che è, pur sempre, una condotta tecnica, la buona fede è legittima e, sotto questo aspetto è presunta (v. art. 1147 c.c.); la sua maggiore tutela è, inoltre, nella responsabilità della parte in ordine ai propri atti di rappresentazione. Occorre rilevare, a questo punto, che questa tutela può ridursi ad entità trascurabile quando sono in gioco diritti dei terzi. Può non essere necessario un accertamento oltre le rappresentazioni offerte ai fini delle responsabilità interne. Sussiste, però, il problema della buona fede all'esterno del rapporto perché l'apparato normativo tutela solo una parte delle situazioni di buona fede rispetto ai diritti dei terzi. Un contraente in buona fede a titolo oneroso è sufficientemente difeso dal pericolo dell'azione revocatoria ordinaria (art. 2901 c.c.), ma lo è meno dall'azione revocatoria fallimentare (art. 65 ss. l. fall., r.d. 16 marzo 1942). È tutelato l'acquirente a non domino, e in buona fede, se l'acquisto concerne beni mobili (art. 1153 c.c.), ma è molto meno valida la tutela dell'acquirente di beni immobili, di universalità di mobili e di mobili registrati (v. art. 1156 ss. c.c.). E anche riguardo al terzo di buona fede la tutela subisce incrinature in casi come quello di acquisto di beni provenienti da incapaci (art. 1445 c.c.). E una situazione interna di buona fede di un acquirente, in base a titolo non trascritto, non è rilevante all'esterno, come tale, in quanto non può essere ignorato il limite di configurazione nel senso di un limite di efficacia di fronte al terzo - del proprio titolo di acquisto (v. art. 2864 c.c. e il caso, limite, dell'art. 2644 c.c.). È quindi misura di normale prudenza quell'accertamento documentale e informativo intorno a persone e cose e ai relativi rapporti: la buona fede interna non salva nei casi in cui prevale la tutela di altri interessi. Questi rilievi però rappresentano il principio di un non breve discorso: quando la legge tutela la buona fede all'esterno, di fronte a terzi creditori, ad esempio, o legittimi titolari, non segue un criterio uniforme. Soprattutto nei casi noti come di acquisti a non domino, la «legittimazione» di un acquisto in buona fede ha regole che talora prescindono dal sistema degli acquisti derivativi in modo pressoché completo: giova però un'analisi di casi speciali prima di trarre alcune conclusioni. 10. Buona fede e trascrizione. Si nota, giustamente, che «sulla via della pubblicità si scorgono chiaramente due ordini di interessi: quello che ha la sua radice nella fondamentale esigenza di notorietà... e quello che si ispira alla necessità di apprestare mezzi tecnico-giuridici per risolvere situazioni di conflitto tra interessi privati». Ambedue gli ordini di interessi hanno natura pubblica (58) e le relative norme, inderogabili, sarebbero di ordine pubblico. A questi rilievi altri, e non pochi, potrebbero aggiungersi più direttamente inerenti alla natura della trascrizione (e della iscrizione). Può intanto osservarsi, in relazione alla materia in esame, come, in generale, accanto all'osservanza dei requisiti formali si ponga l'esigenza della buona fede (v. art. 1414 c.c., 1153 ss. c.c. e tutte le norme sulla invalidità in genere). Ma vi sono dei casi in cui la buona fede non rileva ai fini delle validità di un acquisto: si tratta dei casi contemplati dalla nota norma dell'art. 2644 c.c. e dalle altre collegate. Ed è noto che la soluzione legislativa in favore di un acquisto posteriore - e senza rilievo di buona fede - costituisce tuttora materia di problema (59) . Può formularsi un rilievo secondo il quale, fermo restando il carattere pubblico - o di ordine pubblico - delle norme sulla trascrizione, l'intera materia vada posta su di un piano che sta ancora al di sopra degli interessi accennati: la trascrizione rappresenta un elemento formale di conoscenza sulla base del quale opera lo stesso riconoscimento statuale - cioè l'attribuzione di efficacia - di atti e di risultati in termini di ordinamento (60) . Non è pertinente allo studio della buona fede uno sviluppo di concetti sull'efficacia e, soprattutto, sulla portata dell'atto di alienazione non trascritto - o non ancora trascritto - ex art. 1376 c.c. Qui importa osservare che, ai fini dell'acquisto, la buona fede non rileva, come, correlativamente, non rileva la mala fede dell'alienante. Ciò non vuol dire che i comportamenti non abbiano importanza sotto altro profilo: precisamente sotto quello di una azione revocatoria ex art. 2091 c.c. e in presenza di tutti gli altri estremi, naturalmente, a rinforzo dell'azione di responsabilità per danni esperibile dal primo acquirente (61) . 11. Buona fede e simulazione. Lo stato della dottrina sulla simulazione rende problematica la trattazione di ogni argomento connesso. Secondo una corrente opinione il negozio simulato è nullo (62) . Conseguentemente la giustificazione dell'acquisto in buona fede del simulato acquirente (v. art. 1415 ss.) viene ritrovata nell'apparenza del diritto (63) , senza peraltro contrastare col carattere derivativo dell'acquisto stesso (64) . Beninteso che, nel generale riferimento della buona fede a stati soggettivi di conoscenza o di ignoranza, non è pacifico che cosa si intende per buona fede: per alcuni sarebbe ignoranza dell'alienità della cosa (65) , per altri ignoranza dell'intesa simulatoria (66) . Il primo orientamento pone la mala fede sotto un aspetto più grave, soprattutto se si segue l'opinione qui esposta, che pone l'accento su un comportamento più che sullo stato soggettivo; potrebbe apparire plausibile, se si tratta di beni mobili, un collegamento con le norme penali sull'appropriazione indebita (art. 646 c.p.), salvo altri collegamenti con diverse figure di reato, non esclusa la truffa (art. 640 c.p.) in presenza degli ulteriori elementi richiesti dalle relative norme. La seconda opinione appare per vari motivi preferibile, soprattutto se si ritiene, secondo una corrente, che la simulazione non comporti - regola nullità (67) , che il negozio simulato sia visto dall'ordinamento statuale come valido ed efficace e ne siano soltanto paralizzati o - sostituiti - gli effetti dall'intesa simulatoria. In questa ipotesi il terzo di mala fede estende a sé quell'intesa in modo da non poter fondare sull'abuso del diritto compiuto dal simulato acquirente nessun maggior diritto di quello spettante a quest'ultimo, in conseguenza dell'accertamento della simulazione, assoluta o relativa (68) : l'azione di accertamento si estende così al terzo, pregiudizialmente ad altre azioni, ad esempio di rivendicazione, oltre, si intende, a quella per danni. La stessa regola deve osservarsi nei casi di abuso di fiducia - cosiddetti negozi fiduciari - e sulla base delle affinità della relativa azione di accertamento con quella diretta ad accertare la simulazione (69) . 12. Buona fede e acquisti «a non domino»: considerazioni generali. Sembra opportuno, a questo proposito, un cenno di qualche rilievo concernente i princìpi. Siamo partiti dalla considerazione della normativa di correttezza come fondamento della disciplina della buona e mala fede. L'ordinamento statuale pone, come si è visto (art. 1175 c.c.), questa regola privata a base, della propria, ulteriore, normativa. Quando però si verte nella materia possessoria i princìpi fondamentali dai quali occorre partire sono da rinvenirsi nello stesso ordinamento possessorio e non più nella normativa di correttezza. Può comprendersi come per un ordinamento quale il canonico, le cui esigenze rispecchiano un rigido collegamento con la conscientia dei soggetti, l'intiera materia sia apparsa particolarmente delicata e di difficile trattazione; e non può disconoscersi l'imponente portata della dottrina canonistica soprattutto nei collegamenti della buona fede col tema della prescrizione che, di per sé, non potrebbe determinare una liberazione dall'obbligo di restituire la cosa non propria (70) . In realtà, per l'ordinamento statuale, il problema si pone in dipendenza dell'altro concernente la presenza dell'ordinamento possessorio, le ragioni della tutela del possesso, della legittimazione di questo col decorso del tempo o istantaneamente (art. 1153, 1994 c.c. e norme collegate). Si tratta di ragioni di ordine non privato, e, più precisamente, di un interesse di ordine del tutto indipendente da quello dei singoli. Non si può che rinviare alla letteratura sull'argomento, soprattutto per quelle ragioni che sviluppano il tema dell'assoluta esigenza dello Stato di disporre una normativa di ricupero, delle situazioni illegali, pena il dissolvimento dell'ordinamento intiero (71) . Sotto questo profilo le norme statuali non si fondano sulla normativa di correttezza i cui limiti di osservanza nel tempo sfuggirebbero a precise determinazioni. Si fondano invece sulla determinazione di limiti temporali alle proprie norme di efficacia, ai rapporti indefiniti a causa di un'inerzia del titolare o della scarsa cautela di questi, oppure tutelano esigenze generali di carattere obiettivo come la sicurezza di circolazione dei beni mobili. Sempre sotto lo stesso profilo la normativa statuale si distacca da quella privata e la comprime per altre superiori esigenze di ordine, che non può essere rapportato al parametro di una correttezza nello svolgimento di rapporti singoli. La tutela della buona fede è solo un riflesso della tutela di altri e superiori interessi. Nella disciplina di un codice la buona fede, quando interferisce con la materia della prescrizione, determina, in sostanza, un acceleramento del processo di legittimazione che si compirebbe in ogni caso, cioè anche in presenza della mala fede, ma solo in un tempo più lungo. La buona fede quindi non è di per sé determinante la legittimazione, la quale opera per altre cause e per altre esigenze che, sotto un aspetto esclusivamente privato o individuale, possono apparire lontane da qualsiasi norma di correttezza o morale, e, in un certo senso, contrarie ad essa norma. Questo significa, almeno in parte, un ritorno al concetto pubblicistico della normativa di correttezza come normativa non giuridica ma giuridicamente rilevante (72) : il comportamento conforme a correttezza del privato è solo un dato rilevante non come regola di rapporto ma per l'ordinamento statuale, in relazione a quella legittimazione degli ordinamenti privati instaurati di fatto, legittimazione che è di sua esclusiva competenza. 13. (Segue): In particolare degli acquisti relativamente a beni mobili (e titoli di credito). Ci riferiamo alle ipotesi di cui agli art. 1153 ss. c.c. Le formule non sono esatte: un acquisto - rectius: la legittimità di un acquisto - dipende dalla legittimità dell'esercizio dei poteri dispositivi del dante causa. Non è sufficiente quindi la titolarità dei poteri nelle ipotesi di limiti legali - o volontari - posti all'esercizio dei poteri medesimi: in questi casi dovrà sussistere la legittimazione dei soggetti, diversi dal titolare perché il successore acquisti validamente. Le varie situazioni di invalidità concernenti le parti di un contratto si riflettono variamente all'esterno sugli ulteriori atti di acquisti compiuti da terzi. Le suddette situazioni sono infatti traducibili in vizi del procedimento giuridico rilevanti sotto il profilo nella nullità o della annullabilità. Com'è noto, la nullità è normalmente opponibile a tutti, quindi anche ai terzi argomentando anche ex art. 1445 c.c. Non mancano peraltro eccezioni nel senso di una limitazione del tempo di questa opponibilità col concorso di varie circostanze tra cui la trascrizione dell'acquisto da parte del terzo e, soprattutto, la sua buona fede (art. 2652 n. 6, 2690 n. 3); da aggiungere l'art. 1415 se si ritiene che la simulazione importi nullità (73) . Per gli atti annullabili invece, secondo l'art. 1445 c.c. (v. anche art. 2690 n. 3), l'opponibilità al terzo acquirente è esclusa eccetto si tratti di una causa di incapacità legale: è però tassativamente richiesto il requisito della buona fede. Sembra superfluo aggiungere che non è in questione l'acquisto del terzo quando sia inattacabile l'acquisto del suo dante causa (per esempio, l'autore di questo è un minore che ha occultato con raggiri la sua minore età: art. 1426 c.c.). Le considerazioni di cui sopra concernono però i vizi di un procedimento giuridico di formazione o esecuzione - di negozi ad opera dei legittimi titolari o dei soggetti legittimati all'esercizio dei poteri spettanti ai primi: siamo quindi in presenza di negozi di alienazione esistenti, anche se nulli o annullabili, compiuti tra due parti di cui una, successivamente, alieni. Diverso è il caso in cui tali titolarità e legittimazioni non sussistano e ciò nonostante un soggetto compia «un atto di disposizione traslativo sopra un diritto altrui a favore di un terzo, senza subordinarne l'efficacia all'acquisto della titolarità del diritto medesimo» (74) . Non è questa la sede per approfondire la portata e i limiti della materia degli acquisti a non domino variamente concepiti e, soprattutto, variamente configurabili (75) . Non c'è però dubbio che ne rappresentino i tipi più sicuri quelli previsti negli art. 1153 ss. c.c., mentre alcuni rilievi, sotto il profilo del procedimento con cui si svolge una successione di possessi e una valutazione ex lege del comportamento negoziale di buona fede di una parte, potranno giovare agli ulteriori approfondimenti del tema. Tra le varie ipotesi contemplate negli art. 1153 ss. c.c. (tra le norme derivate v. art. 1994 c.c., sui titoli di credito) occorre distinguere la disciplina degli acquisti a non domino relativamente ai beni mobili, agli immobili e ai mobili registrati. Consideriamo anzitutto i primi. Sotto il profilo del procedimento il possesso costituisce un indice formale, sulla base del quale l'ordinamento dello Stato esplica la sua azione anzitutto nel senso di tutelare le situazioni possessorie, anche nel senso di presumerne la corrispondenza ad un giusto titolo di acquisto (76) . In questi termini il possesso, valutato in relazione al suo atto di acquisto, rappresenta il risultato di un'attività esecutiva collegata con l'esercizio di poteri negoziali (acquisto del possesso in seguito a consegna in esecuzione di un contratto) (77) o di poteri innovativi di altra natura (ad esempio di occupazione: art. 923 ss. c.c.). Naturalmente questa giustificazione può mancare: può aversi illegittimità di acquisto, mala fede, o anche buona fede senza titolo «idoneo» (art. 1161 c.c.) con varietà di conseguenze. Comunque, e indipendentemente dalle regole interne di un rapporto, l'art. 1153 c.c., costituisce una deroga al principio che solo un regolare procedimento che si concluda col legittimo acquisto del soggetto possa dar luogo ad ulteriore alienazione in base a nuovo regolare procedimento. Per contro la sola fase esecutiva tradotta in termini di possesso, cui si aggiunga una rappresentazione della legittima disponibilità - necessaria questa per fondare la buona fede dell'acquirente - rende possibile quel «titolo idoneo al trasferimento della proprietà» e con gli effetti di cui all'art. 1153 c.c. In realtà non sussiste nessuna idoneità del titolo, dal lato sostanziale, perché il non dominus è privo di legittimazione. L'ordinamento dello Stato quindi non «riconosce» che atti e risultati compiuti secondo le sue regole di forma e di sostanza (78) : il riconoscimento manca in difetto di giuridicità dell'intiera condotta del rapporto. Giustamente si attribuisce carattere originario a questo tipo di acquisto a non domino (79) perché neppure un regolare procedimento negoziale tra il non dominus e il terzo acquirente è sufficiente a compensare la mancanza di un regolare procedimento tra il dominus e il non dominus. Le note ragioni di sicurezza nella circolazione dei mobili con le attenuazioni apportate dall'art. 1154 c.c. e 712 c.p. (è eccezionale come si è visto, un onere di accertamento della provenienza), determinano la soluzione di una legittimazione dell'acquisto in buona fede. La dottrina, generalmente, pone l'accento sull'acquisto in proprietà «mediante possesso» secondo la formula legale e riduce la portata dell'atto idoneo a trasferire la proprietà, elemento di «qualificazione» del possessore come terzo (80) . La tesi può sembrare eccessiva. È da notare, intanto, la formula adoperata dall'art. 1994 c.c. per i titoli di credito; si richiede che l'acquisto avvenga «in conformità delle norme che ne disciplinano la circolazione» ponendosi implicitamente l'esigenza di un'indagine nei confronti del dante causa. Può osservarsi però che questa indagine è più agevole se i titoli sono all'ordine o nominativi per i quali è possibile una «diligente ed oculata» identificazione del possessore (81) . Quando i titoli sono al portatore occorre riferirsi all'art. 1153 c.c. e, per quanto si affermi un'esigenza di identificazione in giurisprudenza (82) è difficile andare oltre le circostanze richieste dalle norme penali (art. 712 c.p.) che prevedono i casi in cui vi sia ragione di sospettare l'illecita provenienza (83) . Questo primo esempio pone in luce una valutazione legislativa di maggior peso relativa ad una fase negoziale precedente quella che conduce al possesso. Occorre notare ancora la portata dell'art. 1154 c.c. circa la mala fede iniziale che non è sanata dall'erronea credenza che il precedente possessore sia divenuto proprietario. La formula di quest'articolo può suggerire l'opportunità di un migliore collegamento con le norme sui negozi aventi per oggetto cose altrui, soprattutto nei casi in cui l'alienità della cosa viene taciuta al compratore (art. 1479 c.c.) o in cui il contratto si riferisce a cose senza specificazione della loro attuale appartenenza o meno, il che nella prassi commerciale è comune. L'art. 1479 c.c. accorda al compratore un'azione di risoluzione del contratto, in caso di ignoranza dell'alienità della cosa al momento della conclusione «se nel frattempo il venditore non gliene ha fatto acquistare la proprietà». C'è da chiedersi se questo acquisto, conoscendo l'alienità della cosa dopo il contratto, avvenga successivamente sulla base di una consegna - ci riferiamo ai beni mobili - e se, nel caso che l'alienante sia stato solo un possessore non dominus, trovi applicazione l'art. 1153 in presenza di una buona fede dell'acquirente. L'art. 1154 c.c. si spiega meglio in collegamento con l'ipotesi dell'art. 712 c.p., e cioè nei casi di incauto acquisto; altrimenti la rappresentazione che l'alienante faccia di essere divenuto proprietario dovrebbe legittimare, in mancanza di elementi di accertamento in contrario, la buona fede dell'acquirente, senza necessità di un'effettiva e formale regolarizzazione di rapporti tra dominus e non dominus. Se invece il compratore ignorasse l'alienità e ricevesse le cose da chi non è divenuto proprietario, si applicherebbe senza dubbio l'art. 1153. Questa norma si applicherebbe ugualmente nel caso in cui il compratore conosca l'alienità della cosa, ma il venditore gliela procura dichiarando in mala fede e falsamente che è divenuta, nel frattempo sua, sempre in presenza della buona fede del primo. E se un oggetto non fosse incluso nel contratto di vendita, comprendente vari mobili, ma l'acquirente in buona fede lo ritenesse incluso l'usucapione dovrebbe essere decennale a norma dell'art. 1161 c.c. Per contro nel caso di una buona fede per tutta la condotta contrattuale, ma con conoscenza dell'alienità della cosa al momento della consegna, si avrebbe usucapione ventennale (art. 1161 comma 2 c.c.). Questi rilievi sommari tendono a dar rilievo, in sede di interpretazione delle norme sugli acquisti a non domino, alla circostanza che non sembra isolabile la valutazione legislativa del possesso da un intero procedimento, considerato come serie di atti di formazione e di esecuzione di un negozio. In particolare il possesso deve essere valutato sotto il profilo dell'innesto del suo atto iniziale nella stessa fase esecutiva di un procedimento. Inoltre una valutazione della buona fede inerisce al comportamento in ordine ai singoli atti del procedimento stesso. E, in sostanza, la legge vuole un regolare procedimento nel rapporto tra non dominus e acquirente in buona fede; lo vuole completo, in quanto prende in esame una situazione di risultato; considera tale situazione di fatto, perché tra successioni traslative o costitutive e successioni ulteriori il legame dei procedimenti soltanto importa riconoscimento. In caso di frattura di questo legame la legge non riconosce, ma legittima il risultato di un solo procedimento, purché vi sia buona fede. Questa ultima opera un distacco del regime degli effetti da quello delle cause per affidamento nella rappresentazione di presupposti negoziali che ne compia un possessore, purché sia effettiva questa sua posizione «esecutiva» di una norma ritenuta esistente (84) . 14. (Segue): Richiamo a collegamenti tra procedimenti negoziali diversi. La norma dell'art. 1375 c.c., secondo la quale il contratto deve essere eseguito in buona fede, acquista un ulteriore significato in forza delle norme sul possesso, in quanto il rapporto di fatto si innesta nel rapporto creato dal contratto, integrandolo. Sempre a titolo di esempio, valga il richiamo all'art. 1705 c.c., di interpretazione notoriamente controversa (85) . L'acquisto che il mandatario faccia di cose mobili da un terzo importa che, nei rapporti con questo, il mandatario debba considerarsi non solo titolare del diritto acquistato ma, ricevute le cose, possessore. Il rapporto col mandante importa una modificazione peraltro non chiara. La concezione secondo la quale il trapasso della proprietà dal terzo al mandante sarebbe automatico, praticamente, e a prescindere dalle dottrine particolari, dovrebbe portare a considerare il mandatario un detentore per conto del mandante in ordine alle cose acquistate dal primo e a lui consegnate. Mentre il terzo che ha alienato e non consegnato dovrebbe essere, per il mandante, un terzo possessore contro il quale - art. 1706 comma 1 c.c. - è esperibile azione di rivendicazione. Se invece si esclude - e secondo noi deve escludersi - la tesi del trapasso automatico, il mandatario deve prestare il suo consenso all'esecuzione del mandato (in forma di sostituzione di un soggetto mandante - nel rapporto di cui è inizialmente titolare il mandatario) (86) . Se viene prestato il consenso, anche tacitamente, si ha una modificazione di un possesso titolato in detenzione per conto del mandante; in un successivo (al consenso) rifiuto di consegna, sarebbe esperibile l'azione di rilascio ex art. 2930 c.c. (art. 605 ss. c.p.c.). Se invece il mandatario rifiuta di eseguire il mandato - di prestare cioè quel consenso - egli resta titolare e possessore, così come resta tale lo stipulante di una promessa di vendita: il mandante dovrà allora procedere con la azione di cui all'art. 2932 c.c., rendere il mandatario possessore di mala fede, con eventuale successivo ricorso alla procedura per rilascio. Se il mandatario ha acquistato ma non ha ricevuto le cose rimaste nel possesso del terzo, e rifiuta il consenso ad eseguire il mandato, il mandante non può, crediamo, esperire l'azione di rivendicazione di cui all'art. 1706 c.c. nei confronti del terzo: prenderebbe sopravvento l'altra norma - art. 1705 - nel senso che il terzo sia che ignori o conosca il mandato non ha rapporto col mandante ed è esposto quindi solo all'azione ex contractu che potrebbe esperire, contro di lui, il mandatario. Questo caso, come le altre ipotesi prospettate nel paragrafo precedente, dovrebbero ulteriormente dimostrare l'inerenza al procedimento delle situazioni possessorie in stretto collegamento con i vari atti non solo di uno, ma anche di più procedimenti collegati (come nel mandato): la valutazione della buona fede deve quindi seguire l'evolversi dei comportamenti atto per atto. 15. Buona fede e acquisti «a non domino» relativamente a beni immobili e mobili registrati. Si rileva una certa disarmonia tra le formule dell'art. 1159 e 1162 c.c., e quella adoperata nell'art. 1153 c.c. Nelle prime si fa riferimento a «colui che acquista in buona fede» un bene immobile o mobile registrato, e quindi «ne compie l'usucapione». Nella seconda si parla di acquisto di proprietà mediante possesso (87) . Si esige poi, negli art. 1159 e 1162, la trascrizione dell'atto di acquisto dell'immobile o del mobile registrato. Si precisa anzi che il termine per usucapire, rispettivamente di dieci e tre anni, decorre dalla trascrizione. Di conseguenza si prospettano, almeno, alcuni interrogativi in relazione al momento di rilevanza della buona fede e al computo del decennio o del triennio, in dipendenza del valore da attribuirsi alla trascrizione. Circa la buona fede si possono individuare i momenti dell'acquisto in base al negozio di alienazione, della trascrizione, dell'acquisto del possesso (88) . Circa la trascrizione sembra lecito chiedersi che valore abbia questo requisito. Il tema è controverso, dal momento che l'acquisto si ha in conseguenza dell'usucapione e quindi di uno stato di fatto continuato (89) . E si precisa anche che un'eventuale non coincidenza del momento della trascrizione col momento dell'acquisto del possesso, sposta il decorso del decennio o del triennio nel senso che i dieci o tre anni devono riferirsi al possesso se l'inizio di questo è posteriore alla trascrizione (90) . Se, per contro, il possesso fosse anteriore, la decorrenza si avrebbe dalla trascrizione stessa. A prescindere da ogni controversia (91) sembra sia il caso di richiamarsi ai criteri di impostazione dello studio su questa materia svolti in precedenza. L'acquisto a non domino è una forma di legittimazione di uno stato di fatto: la buona fede iniziale, rispetto alla quale non nuoce la mala fede super veniens interessa il momento dell'acquisto del possesso, dopo la trascrizione. Cioè dopo l'iter di un procedimento negoziale completo. Sembra giusto il rilievo che la trascrizione è in rapporto con la buona fede (92) ; è un'indice obiettivo la cui presenza attiene alla chiarezza di un comportamento rivolto alla regolarità del ciclo negoziale. Sotto questo profilo, la disciplina legislativa appare coerente con le esigenze di una legittimazione che provveda alla tutela della buona fede, in mancanza di un regolare procedimento che conduca al riconoscimento attraverso una pluralità di successioni partenti da un dominus. 16. Cenno di altri istituti e considerazioni conclusive. Arrivati a questo punto, lo studio della buona fede dovrebbe proseguire attraverso l'analisi di molti istituti e delle molte norme che richiamano l'esigenza di un comportamento corretto. L'esame riguarderebbe molte materie, dal diritto di famiglia (v. disciplina del matrimonio putativo - art. 128, 584, 785 c.c.; della filiazione incestuosa - art. 251 c.c.; le disposizioni penali sugli impedimenti matrimoniali lasciati ignorare da un coniuge all'altro, art. 139 c.c., ecc.) al diritto delle successioni (v. la disciplina degli acquisti dall'erede apparente, art. 534, 2652 n. 7, 2690 n. 4, c.c.). Nel campo delle persone giuridiche, possono aversi acquisti in conseguenza di delibere irregolari (93) . Situazioni di acquisto dal coniuge del fallito (art. 70 l. fall.), da chi ha perduto la proprietà in conseguenza dell'esercizio del patto di riscatto da parte dell'alienante (art. 1504 c.c.), o in conseguenza di revoca, annullamento o nullità del titolo (art. 2652 n. 6 e 9, 2690 n. 3 e 6 c.c.), sono ipotesi che interessano da vicino la materia in esame. In tema di rapporti tra solvens e accipiens, l'argomento rileva sia per la buona fede dell'uno sia per quella dell'altro (v. art. 1189, 1192, 1836, 1992, 2006, 2559 c.c., ecc.). Lo stesso è a dirsi nel campo dei titoli di credito (art. 1794, 1993; art. 20, 21, 23 l. camb., 25 l. ass.), della rappresentanza (art. 19, 111, 1394, 1396, 2206, 2007, 2297, 2298 c.c.), degli atti di determinazione dell'oggetto di un contratto (art. 1349 c.c.), di scelta, di specificazione e di ogni altro lungo la linea di un procedimento. L'economia di uno studio sommario non consente neppure un esauriente excursus di una casistica di proporzioni imponenti (94) . D'altra parte nessuna indagine particolareggiata può prescindere dalla posizione di princìpi di portata generale e in ordine ai quali deve svolgersi un successivo lavoro di applicazione. La materia di questi princìpi costituisce tuttora il problema centrale della buona fede, il quale problema gravita sull'ancora poco esplorata normativa della correttezza, nel quadro di quell'imponente complesso di regole creato dai privati cui la dottrina, in questi ultimi decenni, va dedicando sempre maggiore attenzione. L'antico e completo sistema, sorto sulla base dei fondamentali princìpi dell'honeste vivere, suum cuique tribuere, alterum non laedere, va perdendo ogni giorno di più quell'inconsistenza di contenuto e quella confusione di forma che sono derivate dall'averlo relegato nel campo dei fatti: va acquistando, per contro, attraverso uno studio che, attualmente, appare solo agli inizi, la configurazione di un sistema di norme in senso tecnico e di norme fondamentali per giunta, in quanto diretta espressione dell'ordinamento privato da un lato, oggetto di riconoscimento e di tutela statuali, dall'altro. NOTE (1) SACCO, La presunzione di buona fede, cit. in letter., 5; ap. 12 v. un elenco degli articoli. (2) Cfr. RUFFINI, La buona fede in materia di prescrizione: storia della teoria canonistica, Torino, 1892; SCAVO LOMBARDO, Il concetto di buona fede nel diritto canonico, Roma, 1944. (3) CARNELUTTI, Teoria generale della circolazione, Padova, 1933, 160. (4) Cfr. VON TUHR (Allgemeine Teil, cit. in letter., II, 134, nota 63), il quale nota come la «gute Glaube» è sorta attraverso una differenziazione dal più lato concetto della bona fides romana, poiché la «bona fides» era originariamente un concetto di contenuto morale ed indicava il sentimento dell'uomo onesto: da tale concetto sarebbe derivata - secondo il VON TUHR - da un lato la «Treu und Glaube» come metro di misura dell'interpretazione e dell'integrazione dei negozi giuridici, dall'altro la «gute Glaube», il cui carattere distintivo non risiede più nel sentimento onesto come tale, bensì nella conoscenza o non conoscenza di elementi di fatto. Nota poi come per tali ragioni la «gute Glaube» è un elemento appartenente al campo della conoscenza, valutato però dal diritto al fine di proteggere l'onestà nei rapporti fra individui. Cfr. nota 10 a p. 5. (5) SACCO, La presunzione di buona fede, cit., 11. (6) V. per la natura «costitutiva» o impeditiva degli effetti, riferita alla buona fede, il SACCO, soprattutto La presunzione di buona fede, cit. in letter., 250 ss. V. ivi anche lo svolgimento dei temi della presunzione e dell'onere della prova, in ordine alla quale la norma generale può dirsi contenuta nell'art. 1147 c.c. in materia possessoria, in quanto operi quella presunzione di buona fede, di cui nel testo (§ 9). (7) SACCO, La presunzione di buona fede, cit., 15, 16. (8) L'affermazione va posta anche in rapporto con la norma di cui all'art. 1374 c.c.: «Il contratto obbliga le parti non solo a quanto è nel medesimo espresso, ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge, o, in mancanza, secondo gli usi e l'equità». (9) SACCO, La presunzione di buona fede, cit., 283 ss. (10) V. gli interessanti rilievi del CARRARO, Il valore attuale della massima «fraus omnia corrumpit», in Studi Carnelutti, III, Padova, 1950, 435, 441. V. anche CARNELUTTI, Teoria generale del diritto, Roma, 1951, 266 ss.; l'autore esattamente distingue la buona fede in senso oggettivo come regola, e in senso soggettivo come «guisa dell'intenzione»; v. i riferimenti alla buona fede in questo secondo senso nella descrizione dell'attività delle parti nel corso del procedimento (§§ successivi). (11) CARRARO, op. cit., 436. (12) Sul tema MESSINEO, Manuale di dir. civile e comm., III, Milano, 1959, 27, il quale considera il principio della correttezza come atteggiamenti del «principio, più generale, di buona fede oggettiva»; BALOSSINI, Consuetudini, usi, pratiche, regole del costume, Milano, 1958, 178 ss. Esclude una identificazione tra buona fede e correttezza BETTI, Teoria generale delle obbligazioni, I, Milano, 1953, 68. (13) ROMANO Santi, Princìpi di dir. costituzionale generale, Milano, 1946, 92; v. anche BISCARETTI DI RUFFIA, Norme della correttezza costituzionale, Milano, 1939, 94 ss., per altri interessanti profili. (14) CODACCI PISANELLI, L'invalidità come sanzione di norme non giuridiche, Milano, 1940. (15) Cfr. CODACCI PISANELLI, op. cit., 24 ss.; l'autore considera una vasta materia in relazione a: reati colposi, responsabilità disciplinari, giuramento, supposto obbligo del duello nelle vertenze «dette» cavalleresche tra ufficiali delle forze armate, abuso del diritto, rescindibilità per lesione, obbligazioni con causa contraria al buon costume, obbligazioni naturali, ingratitudine rispetto alla revocabilità della donazione e all'indegnità a succedere. (16) Cfr. ROMANO Salv., Autonomia privata (appunti), Milano, 1957, § 27. (17) Cfr., per un diverso orientamento, MESSINEO, loco. cit.; BALOSSINI, op. cit., 179. (18) Cfr. CARNELUTTI, Teoria generale del diritto, cit., 268: l'autore esprime l'opinione che la colpa escluda così la buona come la mala fede. (19) V. per la prima SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1955, 271 ss.; GALEOTTI, Osservazioni sul concetto di procedimento giuridico, in Jus, 1955, IV; CONSO, I fatti giuridici processuali penali, Milano, 1955; per la seconda RUBINO, La fattispecie e gli effetti giuridici preliminari, Milano, 1939; FALZEA, La condizione e gli elementi dell'atto giuridico, Milano, 1941, 179 ss. (20) ROMANO Salv., Autonomia privata, cit., § 27, 100. (21) GALEOTTI, op. cit., 21 e autori ivi citati. (22) V. per tutti BRANCA, Istituzioni di diritto privato, Bologna, 1959, 445-446. (23) SACCO, La presunzione di buona fede, cit., 210 ss. (24) ROMANO Salv., L'atto esecutivo nel diritto privato, Milano, 1958, § 12, 50 ss. (25) ROMANO Salv., loco cit. (26) ROMANO Salv., op. cit., 58 ss., 61 ss. (27) ROMANO Salv., L'atto esecutivo, cit., §§ 15, 16. (28) SACCO La presunzione, di buona fede, cit., 15. (29) BETTI, Teoria del negozio giuridico, Torino, 1950, 321 ss., 329; CARRESI, Introduzione ad uno studio sistematico degli oneri e degli obblighi delle parti nel processo di formazione del negozio giuridico, in Studi Cicu, I, Milano, 1951, 171 ss. (30) Ci riferiamo a note concezioni per cui v. BETTI, Teoria, cit., 208. (31) Sul tema, SACCO, La presunzione di buona fede, cit., 1 ss., 250 ss. (32) RUFFINI, op. cit., 157. (33) RUFFINI, op. cit., 170. (34) RUFFINI, op. cit. 177. (35) ROMANO Salv., L'atto esecutivo, cit., § 12, 50 ss. (36) MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, I, Milano, 1957, § 15 bis, 16. (37) V. MENGONI, L'acquisto «a non domino», Milano, 1957, 218 sull'ignoranza come presupposto della buona fede. V. ivi le tesi dell'incompatibilità del dubbio con la buona fede e una disamina delle varie opinioni. V. anche SACCO, La buona fede, cit., 96 ss.; MONTEL, Buona fede, cit. in letter., 603 ss. Il problema del dubbio, nel quadro del ragionamento seguito nel testo, sembra doversi impostare sulla valutazione dei dati di accertamento in concreto risultanti al «dubitans». Lo stesso «motivo di sospettare» su cui l'art. 712 c.p., appare legato a quei dati. La presenza di un qualsiasi elemento non risultante dalla rappresentazione prospettata dalla controparte o, addirittura contrario ad essa dovrebbe comportare un onere di accertamento e quindi rendere il dubbio incompatibile con la buona fede. Per contro un dubbio non fondato su elementi concreti può consentire di «stare» alla rappresentazione della controparte e non comportare mala fede. V., per il caso in cui una parte diffidi o intimi all'altra, VON TUER, op. cit., II, 548. (38)... o «assetto di interessi» secondo una corrente formula: v. ROMANO Salv., L'atto esecutivo, cit., § 12, 50 ss. (39) BETTI, Teoria del negozio, cit., 448. (40) BETTI, Teoria del negozio, cit., 446-451; CARIOTA-FERRARA, Il negozio giuridico, Napoli, s.d. (ma 1958), 545-550. (41) CARRARO, loco cit. (42) V. Abuso del diritto, in questa Enciclopedia, I, 161 ss. (43) V. per un interessante caso, CARRESI, Sui requisiti del dolo come vizio del consenso, in Giur. tosc., 1952, 228 ss. (44) Cfr. BETTI, Teoria, cit., 350. (45) Cfr. ROMANO Salv., Autonomia privata, cit., 120 ss. (46) Possono richiedere attività interpretativa anche atti non negoziali come una diffida, un'intimazione, un'opposizione e altri, anche ai fini di fondare l'ulteriore comportamento seconda buona fede e di eliminare un dubbio: v. nota e citazioni a p. 686, nota 37. (47) BETTI, Teoria, cit., 348. (48) BETTI, Teoria, cit., 422. (49) LEHMANN, Allgemeine Teil7, Berlino, 1951, 96 e letteratura ivi cit. (50) Vedi Abuso del diritto cit.; v. anche BETTI, Teoria, cit., 114, 268, 331. (51) ROMANO Salv., Atto esecutivo, cit., § 18 ss. (52) V. giurisprudenza citata in BETTI, Teoria, cit., 521. (53) V. BETTI, Teoria, cit., 529. (54) V. RIPERT, La règle morale dans les obligations civiles2, Paris, 1927, 319; DEMOGUE, Traité des obligations, VII, Paris, 1933, n. 1129 ss. (55) Per una esatta impostazione, sotto il profilo causale, cfr. SANTORO-PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1959, 181 ss.; v. anche SCAVO LOMBARDO, op. cit., 312 ss. (56) Cfr. BETTI, Teoria, cit., 68 ss., 160 ss. (57) V. supra, § 8. (58) PUGLIATTI, La trascrizione, in Trattato di diritto civile e commerciale, a cura di CICU e MESSINEO, I, 1 La pubblicità in generale, Milano, 1957, 221-222. (59) MENGONI, L'acquisto «a non domino», cit. 15 ss., 35 ss., 131 ss.; PUGLIATTI, op. ult. cit., 433 ss. (60) V. per il profilo dell'ordinamento come diritto obbiettivo, e per la natura della trascrizione, ROMANO Salv., Ordinamenti giuridici privati, Milano, 1955, 19 ss. (61) Per l'orientamento giurisprudenziale in tal senso, e per la dottrina v. NICOLÒ, in Commentario del codice civile, a cura di SCIALOJA e BRANCA, sub art. 2900-2969, Bologna-Roma, 1953; FERRI L., ivi, sub art. 26432696, 49 ss. (62) V. per una rassegna di opinioni, ROMANO, Salv., Contributo esegetico allo studio della simulazione, Milano, 1955, 14 ss., 45 ss. (63) MENGONI, op. cit., 107 ss. (64) MENGONI, op. cit., 64 ss.; SACCO, La presunzione di buona fede, cit., 194 ss. (65) MENGONI, op. cit., 116. (66) V. autori cit. in MENGONI, loco ult. cit.; SACCO, op. cit., 194. (67) ROMANO Salv., Contributo, cit., 48 ss. (68) V. anche ROMANO Salv., Ordinamenti giuridici, cit., § 22 ss. (69) ROMANO Salv., Ordinamenti giuridici, cit., § 24. (70) V. oltre la classica opera del RUFFINI, più volte cit., SCAVO LOMBARDO, op. cit., passim e 238 ss. e i vari autori cit. a p. 204 ss. in nota, tra cui GISMONDI, La prescrizione estintiva nel diritto canonico, Roma, 1940. (71) V. ROMANO Salv., Ordinamenti giuridici privati, cit., § 25. (72) V. ROMANO Santi, Princìpi di diritto costituzionale, cit., 92. (73) V. per tutti BRANCA, Istituzioni, cit., 91. (74) MENGONI, op. cit., 58. (75) V. MENGONI, op. cit., 61 ss. (76) V. ROMANO Salv., Ordinamenti giuridici privati, cit., § 19. (77) V. però, su questo collegamento, MENGONI, op. cit., 170 ss. (78) V. ROMANO Salv., Autonomia privata, § 11. (79) V. per tutti, MENGONI, op. cit., passim e 63. (80) V. MENGONI, op. cit., 186 ss. (81) Cass. 24 ottobre 1952, n. 3046. (82) V. Cass. 20 ottobre 1953, n. 3461. (83) V. SACCO, op. cit., 180 ss. e autori ivi cit. (84) L'art. 1153 c.c. non distingue circa la buona o mala fede del non dominus alienante. La dottrina (v. SACCO, op. cit., 206 ss.) rileva giustamente l'incompletezza e la incongruità della valutazione legislativa della buona fede del non dominus e si fonda, sopratutto sulla disciplina particolare delle alienazioni fatte dall'erede apparente (art. 535 c.c.), dall'erede del depositario (art. 1776 c.c.), da colui che ha ricevuto la cosa indebitamente ma in buona fede (art. 2038 c.c.). In queste ipotesi la legge attenua la responsabilità dell'alienante nei confronti del dominus, obbligando il primo a trasferire il prezzo ricevuto, salvo regole particolari. La soluzione appare incongrua, in quanto la mancanza di un presupposto di validità non è soltanto sanzionato di nullità dalla legge, ma essa non è voluta neppure dalla parte che ha alienato in buona fede: potrebbe quindi profilarsi, in generale e a parte qualche situazione, un vizio del procedimento rilevante nei confronti del terzo acquirente non in quanto terzo rispetto al dominus, ma in quanto parte nei confronti del non dominus, data la buona fede di questi e la natura dell'errore (su un presupposto obbiettivamente richiesto dalla legge). (85) V., sulla materia del mandato, ROMANO Salv., L'atto esecutivo nel diritto privato, cit., 84 ss. (86) V. ROMANO Salv., Atto esecutivo, cit., 88 ss., 92. (87) V. SACCO, op. cit., 188. (88) V. SACCO, loco ult. cit. (89) V. SACCO, op. cit., 187, in nota. (90) V. MENGONI, L'acquisto, cit., 154, in nota. (91) V. MENGONI, L'acquisto, cit., 151 ss. (92) MENGONI, op. cit., 152: v. ivi valutazione della tesi di COVIELLO N. (93) V. SACCO, op. cit., 202 ss. (94) V. del SACCO la monografia e gli ultimi studi in Riv. dir. civ., 1959, cit.. LETTERATURA. Opere generali e trattati: VON THUR, Allgemeine Teil des B.G.B., München u. Leipzig, 1914, II, 134 ss., III, 20, 296, 304; LEHMANN, Allgemeine Teil des B.G.B., Berlin, 1952, 95 ss.; ENNECCERUS-LEHMANN, Schuldrecht, Tübingen, 1958, 17 ss.; LARENZ, Lehrbuch des Schuldrechts, I, München, 1958, 88 ss. WINDSCHEID, Pandette, VI, Torino, 1930, 280 ss. (note di BONFANTE-MAROI); SEGRÉ, Addizione al Trattato della prescrizione di BAUDRY-LACANTINERIE e TISSIER, Milano, s.d.; MESSINEO, Dottrina generale del contratto, Milano, 1948, 173, 194, 356 ss., 416; ID., Manuale di diritto civile e commerciale, I, Milano, 1957, 249 ss., III, Milano, 1959, 27 ss.; BETTI, Teoria generale delle obbligazioni, I, Milano, 1953, 65 ss.; CARNELUTTI, Teoria generale del diritto3 , Roma, 1951, 260, 266, 271, 274; DEMOGUE, Traité des obligations, Paris, 1923-25; PLANIOL et RIPERT, Traité pratique de droit civil français, Paris, 1931; COLIN, CAPITANT e DE LA MORANDIÉRE, Cours élémentaire de droit civil français, Paris, 1957. Monografie ed articoli: WAECHTER, Die «bona fides» insbesondere bei der Ersitzung des Eigentums, Leipzig, 1871; BRUNS, Das wesen der «bona fides» bei der Erzitzung, Berlin, 1872; STEINBACH, Treu und Glauben im Verkehr, 1900; SCHNEIDER, Treu und Glauben im Recht der Schuldverhältnisse, 1902; HENLE, Treu und Glauben in Verkehr, 1912; HAMBURGER, Treu und Glauben, Mannheim, 1930; HUECK, Der Treuegedanke im modernen Privatrecht, 1947; BEITZKE, in Monatsschrift für Deutsches Recht, 1953, 1 ss. (tratta della buona fede nei negozi giuridici). Cons. inoltre la ricca letteratura richiamata nelle opere generali germaniche supra cit. (STEINBACH, SCHNEIDER, HENLE, HUECK, etc.). RIPERT, La régle morale dans les obligations civiles, Paris, 1927; GORPHE, Le principe de la bonne foi, Paris, 1928; VOLANSKY, Essai d'une definition expressive du droit basée sur l'idée de bonne foi, Paris, 1930; LYON-CAEN, De l'evolution de la notion de bonne foi, in Rev. trim. dr. civ. 1946, 87. CORTE-ENNA, Della buona fede specialmente nei riguardi del possesso nel diritto civile italiano, Catania, 1890; RUFFINI, La buona fede in materia di prescrizione: storia della teoria canonistica, Torino, 1892; VENEZIAN, L'errore di diritto ed il possesso di buona fede, in Giur. it., 1905, IV, 53; LEVI, Sul concetto di buona fede, Genova, 1912; GALGANO, Sull'essenza della buona e mala fede, Roma, 1914; BONFANTE, La giusta causa dell'usucapione e il suo rapporto colla «bona fides», in Scritti giuridici vari, II, Torino, 1918; ID., Essenza della «bona fides» e suo rapporto colla teoria dell'errore, ivi; SCRIBANO, Trattato della mala fede, Catania, 1921; FORCHIELLI, Sulla buona fede nella formazione dei contratti, in Giur. it., 1949, I, 1, 295; SACCO, La buona fede nella teoria dei fatti giuridici di diritto privato, Torino, 1949; CARRARO, Il valore attuale della massima «fraus omnia corrumpit», in Studi per Carnelutti, III, Padova, 1950, 431 ss.; CARRESI, I fatti spirituali nella vita del diritto, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1956, 439 ss.; MONTEL, Buona fede, in Noviss. dig. it., II, Torino, 1958, 598 ss.; SACCO, La presunzione di buona fede, in Riv. dir. civ., 1959, 1-35, 250-288. Per ulteriori indicazioni bibliografiche v. SACCO e MONTEL, cit. supra. Copyright Giuffrè - Milano, Enciclopedia del diritto