Settimane Teologiche di Camaldoli 2009
Le sfide della bioetica e la questione antropologica
2-8 agosto 2010
Relazione introduttiva a cura della Presidenza Nazionale della F.U.C.I.
1. Legge, amore, libertà.
La bioetica, fin dagli anni '70 del secolo scorso, quando per la prima volta il biologo americano dr.
Potter utilizzo questo termine, è divenuta protagonista indiscussa del dibattito scientifico, filosofico e
teologico in materia di morale. Le sfide della bioetica sono oggi tra i principali terreni di scontro fra il
pensiero cosiddetto “laico” e quello religioso e i precetti morali balzano subito alla mente come oggetto
principale di critica da una parte, in quanto ritenuti lesivi della libertà di autodeterminazione, o al
contrario strumento di indirizzo e formazione al rispetto e alla tutela del valore della vita umana
dall'altra.
Non possiamo negare che, specie nei giovani, il concetto stesso di precetto morale evoca quasi
istintivamente un sentimento di costrizione o chiusura e, conseguentemente, di ribellione. Scriveva
Mounier: «La tensione fra l'etica della legge e l'etica dell'amore pone il vasto campo della moralità
personale fra la superficialità della norma e il paradosso dell'eccezione, fra la trasformazione paziente
del vivere quotidiano e le folli sortite della libertà esasperata” 1.
Come risolvere quindi questa tensione? Come orientare la propria coscienza in questo “vasto campo”?
2. Quale autorità morale?
Engelhardt, tra i più autorevoli esponenti del pensiero etico liberale, afferma che «la sola fonte di
autorità laica generale in tema di contenuto morale è l'accordo [...] e poichè non è avvenuta una
conversione di tutti ad unico punto di vista morale, allora l'autorità morale laica è l'autorità del
consenso»2. Secondo l’etica liberale non esiste quindi una legge etica universale, al di là del mero
precetto del necessario accordo fra stranieri morali. Le decisioni generali sui temi etici dovrebbero essere
assolutamente neutrali nei contenuti, a partire ad esempio della legislazione. Un’etica universale in fin
dei conti meramente formale.
L'elaborazione filosofica e teologica cristiana, invece, crede tuttora nella esistenza e nella conoscibilità di
una legge universale, da cui l'uomo può ricavare principi etici che lo guidino nel suo agire morale. La
Congregazione per la Dottrina della Fede, afferma in un suo recente documento: «chiamiamo legge
naturale il fondamento di un’etica universale che cerchiamo di ricavare dall’osservazione e dalla
riflessione sulla nostra comune natura umana. Essa è la legge morale inscritta nel cuore degli uomini e
di cui l’umanità prende sempre più coscienza via via che avanza nella storia. Questa legge naturale non
ha niente di statico nella sua espressione; non consiste in una lista di precetti definitivi e immutabili. È
una fonte di ispirazione che zampilla sempre nella ricerca di un fondamento obiettivo a un’etica
universale.»3
Si tratta di teorie decisamente contrapposte, già nei loro principi fondamentali. Qualunque dialogo su
possibili principi etici universali, sembra compromesso a priori.
Non c'è dunque spazio per una morale universale su questi temi “sensibili”? La bioetica è destinata a
rimanere terreno di assoluto scontro fra cristiani e non cristiani? E' possibile invocare ancora una legge
naturale, universalmente riconoscibile quando si tratta di giudicare sulla moralità di scelte delicate quali
quelle sul fine vita, o sul trattamento degli embrioni?
1 E. MOUNIER, Il Personalismo, Editrice AVE, Roma 1964, pag.114.
2 H.T. ENGELHARDT, Manuale di bioetica, Il Saggiatore, Milano 1999, pp.98-99.
3 COMM. TEOLOGICA INTERNAZIONALE, Alla ricerca di un'etica universale: nuovo sguardo sulla legge naturale, 2008.
Sono domande che saranno centrali nella riflessione di questi giorni e che vanno però poste in uno
spazio di ragionamento più ampio, che non può limitarsi alla mera questione bioetica (eutanasia, aborto,
fecondazione assistita ecc...), ma che necessariamente si estendono al pensiero antropologico,
sull'Uomo in quanto tale.
Il principio fondamentale della dignità della persona umana pare, pur con notevoli sfumature, comune
al pensiero religioso come a quello non religioso, ma non per entrambi l'affermazione di questa dignità
presuppone una considerazione coincidente del valore della vita umana. Se infatti la bioetica laica parte
del presupposto che “la morale moderna è […] la morale della vita felice»4 o ancora che
«l'accostamento laico non si basa sul valore comunque della vita, ma sul valore di una vita che possa
dirsi umana»5, la bioetica cristiana afferma invece che «non c'è contrapposizione tra l'affermazione della
dignità e quella della sacralità della vita umana»6. Per la prima visione antropologica, dalla dignità della
persona umana discende il principio della salvaguardia della qualità della vita; qualità che, una volta
compromessa, rende la vita non più umana, quindi disponibile. La visione cristiana comporta invece un
ribaltamento del ragionamento: è dall'affermazione della sacralità della vita che discende la dignità della
persona, di conseguenza la dignità della persona è indiscindibilmente legata alla indisponibilità della vita
umana perchè, appunto, sacra.
Da questa prima e fondamentale questione, ne discendono altre. In particolare il problema se la scienza
debba darsi dei confini invalicabili, a tutela della dignità della persona, nella sua attività di ricerca sulle
tecnologie bio-mediche.
La rivoluzione tecnologica in campo biomedico ha portato con sè una vera e propria rivoluzione
antropologica; scrive infatti Giannino Piana: «ciò che viene modificandosi non è soltanto qualche
aspetto settoriale dell'esperienza dell'uomo nel mondo, ma le sue strutture portanti e gli aspetti più
carichi di valenza simbolica» ad esempio «il legame tra esercizio della sessualità e procreazione è, a
livello biologico, rescisso, [...] i concetti di maternità e di paternità subiscono profondi cambiamenti»7. Il
problema viene posto anche all'interno della stessa cultura “laica” che infatti afferma con Habermas «gli
interventi dell'ingegneria genetica capovolgono il padroneggiamento della natura in un atto di “autoimprigionamento” che non solo altera la nostra autocomprensione etica del genere, ma potrebbe anche
intaccare i prerequisiti necessari a un'autonoma condotta di vita» 8, fino a chiedersi con Jonas «ma a chi
appartiene questo potere? […] Evidentemente è il potere dei viventi sugli uomini venturi, che sono gli
oggetti inermi di decisioni prese in anticipo da chi pianifica oggi. L'altra faccia dell'odierno potere è la
futura schiavitù dei vivi nei confronti dei morti» 9.
Racchiudere quindi il dibattito sulla bioetica e sulla più ampia questione antropologica esclusivamente al
confronto-scontro fra visione “cristiana” e “liberale” o “religiosa” e “laica”, è riduttivo. La questione è
molto più complessa e, per questo motivo, assolutamente aperta.
3. La scelta etica. Fra relazione e autonomia.
La persona è quindi il centro del dibattito. Non l'individuo, ma la persona che se ne distingue per la
strutturale e ineludibile capacità di relazione col mondo. Persona che è «essere-con: in quanto la irripetibile
e originale singolarità della persona trova piena realizzazione e decisivo arricchimento in un rapporto di
reciprocità […]. Si può dire che la persona è, insieme, sussistenza e relazione»10.
A questo punto dovremo chiederci: le scelte di disposizione del proprio corpo, sono scelte di
autodeterminazione, o influiscono incisivamente sulla autonomia degli altri con cui la persona ha
4 U. SCARPELLI, Bioetica laica, Baldini & Castoldi, Milano 1998, p.91.
5 Ibidem, p.131.
6 CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Istruzione Dignitas Personae su alcune questioni di Bioetica,
Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2008, p.11.
7 G. PIANA, Bioetica. Alla ricerca di nuovi modelli, Garzanti, Milano 2002, pp.15-16.
8 J. HABERMAS, Il futuro della natura umana. I rischi di una genetica liberale, Einaudi, Torino 2002, p.49.
9 H. JONAS, Tecnica, medicina ed etica. Prassi del principio di responsabilità, Einaudi, Torino 1997, p.125.
10 N. GALANTINO, Sulla via della persona. La riflessione sull'uomo: storia, espistemologia, figure e percorsi, San Paolo, Cinisello
Balsamo 2006, pp. 206-207.
intessuto relazioni? Sono capaci a loro volta di influenzare le scelte etiche altrui?
E' una questione dibattuta e non risolta, anche all'interno dello stesso pensiero non religioso, perchè se
è vero che per i pensatori di matrice laica o liberale in tema di morale «non possiamo sostituirci agli altri
nel decidere la loro posizione da assumere in seguito alle nostre scelte personali, tuttavia non è meno
vero che il nostro comportamento li costringerà a ricollocarsi in modo nuovo rispetto alla relazione che
precedentemente avevano con noi»11.
Se infatti, tornando alle questioni prima richiamate, la morale religiosa si fonda sul principio della
sacralità della vita, come relazione fra l'uomo e Dio ed estesa alla relazione orizzontale interpersonale,
quale incontro è possibile con un'etica fondata sul diverso parametro della qualità della vita che, una
volta perduta ne legittima la disposizione in quanto bene assolutamente individuale, alieno a qualunque
dimensione relazionale?
4. Coscienze libere, da formare.
Negli svariati tentativi di trovare una legge naturale, è stata più volte richiamata la centralità della
coscienza, attraverso la quale l'uomo può cogliere i già richiamati precetti morali universali.
Scrive don Zuccaro: «Indubbiamente la coscienza ha il primato nella vita morale e suo compito consiste
proprio nella decisione, ma questo non può significare che qualsiasi decisione arbitraria possa essere
giustificata, soltanto perchè si fa appello alla propria coscienza. In realtà anche la coscienza deve fare i
conti con una verità oggettiva che essa non può manipolare nell'interesse della persona che decide»12,
pena il relativizzare la norma morale rispetto all'interesse contingente dell'agente, cioè svuotare di senso
la stessa idea di morale. Vi è quindi una responsabilità sulla propria coscienza, perchè solo la coscienza
rettamente formata nella ricerca di un principio morale da applicare alla scelta concreta è capace di
giustificare anche la scelta sbagliata, ma sinceramente maturata ed orientata al bene.
I confini, quindi, cui ad esempio la scienza debba limitarsi nel suo indagare sulla vita umana, non sono
certi, nè determinabili. Ma la scienza (e lo scienziato) sarà al servizio dell'uomo solo quando non
rinuncerà a cercarli valutando la moralità del proprio progredire solamente sui successi ottenuti.
E' possibile quindi, trovare nell'umiltà della sincera ricerca del giusto nella formazione delle proprie
coscienze il fondamento per un dialogo aperto fra etica cristiana ed etica “laica”, fra scienza e fede?
Ma soprattutto e infine: come formare coscienze libere e responsabili?
Questo sarà il percorso di studio di questi giorni in cui cercheremo, aiutati dal prezioso contributo dei
nostri illustri relatori, di trarre spunti e risposte decisivi per affrontare la spinosa sfida della bioetica,
senza la pretesa di risolverne i quesiti, ma con la decisa volontà di trarne metodi e strumenti che aiutino
a costruire una coscienza capace di orientarsi nel labirinto di slogan, parole d'ordine, teorie e (pre-)
giudizi che circondano da ogni parte i temi etici.
11 C. ZUCCARO, Bioetica e valori nel postmoderno. In dialogo con la cultura liberale, Queriniana, Brescia 2003, p.182.
12 Ibidem, p.185.