Corso di formazione per docenti di Scuola Secondaria NEL FITTO TESTO UN METODO PER ENTRARE FRA LE PAROLE DEL MONDO Istituto Comprensivo “A. Marvelli” - Scuola Secondaria di 1° grado I° incontro Rimini, 26 novembre 2015 Relatore: prof.ssa Tat’jana Kasatkina Traduttore: prof.ssa Elena Mazzola Buongiorno! Sono molto contenta che siamo qui insieme e vorrei iniziare proprio dal fatto che, ribadendo la ragione per cui possiamo lavorare qui tutti insieme e non solo con gli insegnanti di Lettere, oggi non ho intenzione di dire qualcosa di assolutamente nuovo (di nuovo in un senso molto particolare) rispetto alla totalità dell'esperienza umana, ma rispetto allo sviluppo che l'esperienza umana ha avuto negli ultimi due secoli. Quello che dirò adesso può essere per qualcuno assolutamente inaspettato, cioè io oggi parlerò di cose che noi sappiamo, ma di cui non ci ricordiamo. Allora iniziamo da questo, innanzitutto: che cosa sono le scienze umanistiche e in che cosa le scienze umanistiche si differenziano da tutte le altre scienze che noi in un modo o nell'altro insegniamo. Di per sé è già tutto insito nel nome stesso, perché se le scienze naturali o le scienze tecniche sono rivolte, si focalizzano su alcune cose del mondo o sulle cose che crea l’uomo, le scienze umanistiche si centrano, si focalizzano sull’uomo stesso. Tutte le scienze che noi insegniamo, tranne quelle umanistiche, hanno lo scopo di formare nell'uomo una qualche specializzazione, una professione, una professionalità, mentre le scienze umanistiche hanno come scopo quello di formare l'uomo stesso, cioè le scienze umanistiche non sono una questione di specializzazione, non sono una specializzazione. E questo è il primo punto. Il secondo è una conseguenza di questo, perché di fatto noi oramai siamo abituati a percepire, concepire anche le scienze umanistiche come una delle scienze di specializzazione e proviamo sentimenti diversi: a volte ci dispiace o ci stupiamo per il fatto che ci accorgiamo che le scienze umanistiche le sentiamo come sempre meno necessarie, ad esempio ci dispiace o ci stupiamo per il fatto che una persona che abbia ricevuto una formazione umanistica non riesca a trovare lavoro. Questa è una conseguenza del fatto che, nel complesso della formazione, le scienze umanistiche non hanno più una posizione giusta, sono considerate in una posizione scorretta, perché, lo ripeto ancora una volta, le scienze umanistiche non sono una specializzazione, ma quel qualcosa di cui ha bisogno assolutamente ogni persona per potersi formare come persona, come personalità. Ma in questo senso, le scienze umanistiche (parliamo dell'arte innanzitutto) esisteranno in un modo completamente diverso, perché, quando noi consideriamo la letteratura o l'arte come una specializzazione, ciò a cui prestiamo attenzione, innanzitutto, è il loro componente estetico: noi ci soffermiamo sul componente estetico dell'arte e della letteratura, non nel suo senso originario: quando nel XVIII secolo Alexander Gottlieb Baumgarten fonda la scienza estetica, lui parlava dell'estetica, del sentimento estetico, come la scienza di tutto ciò che veniva percepito con i sensi; ma, come potete capire benissimo, più ci avviciniamo a noi nel tempo, più l'estetica viene percepita come la scienza del bello e questo mostra uno spostamento, quello spostamento che ci fa sentire la letteratura e l'arte come spostate nella regione di ciò che, nella vita, per vivere, non è indispensabile. L'arte e la letteratura diventano qualche cosa che nella vita sono un di più, complementari, qualcosa di aggiuntivo, qualche cosa che può servire o per divertimento o per riposo o per elevarsi intellettualmente, ma questa è una posizione assolutamente errata dell’arte e della letteratura nella nostra vita. 1 Cos’è, invece, questa scienza dell'arte come scienza di quello che noi possiamo percepire con i sensi? E’ un qualche cosa che indica, mostra, qual è la posizione unica che ha l'arte nel sistema della cultura umana: l'arte è quel qualcosa di assolutamente unico, perché è l'unica cosa che ci dà la possibilità di fare esperienza in assenza dell'esperienza stessa, cioè in assenza di quelle circostanze che hanno formato, che hanno dato la possibilità a una data esperienza di esistere. L'arte si differenzia da tutte le altre modalità della comunicazione e della conoscenza, per il fatto che l'arte comunica non delle conoscenze, come dire, da una mente ad un'altra mente, ma comunica l'esperienza da un cuore ad un altro cuore, da un sangue ad un altro sangue. E’ proprio per questo che è una scienza, l’estetica; inizialmente è la scienza di quello che si può percepire con i sensi, dell’esperienza sensibile. L’arte non ci dà la possibilità di venire a sapere qualcosa, ma di poter vivere, di fare esperienza di qualche cosa. In questo senso l'arte, nel sistema della cultura umana, serve sempre, dà sempre questa possibilità di formare l'uomo. Per chiarire quello che sto dicendo, in modo esperienziale, faccio un esempio: questo chiarimento parlerà dell'esperienza delle società iniziatiche, perché probabilmente questa è la strada più breve per chiarire quanto sto dicendo. Che cosa accade nelle società iniziatiche, quando c'è il momento dell'iniziazione di un nuovo membro della società? Innanzitutto a questo nuovo membro vengono raccontate delle storie e, in secondo luogo, lui deve partecipare ad un rituale, a un rito, cioè per ricondurre tutto all'essenziale di quello che accade in queste società, gli vengono raccontate delle fiabe e le storie di iniziazione davvero sono molto simili ad una serie di fiabe; poi partecipa a un certo tipo di dramma (drammaturgia) in cui, letteralmente, questa persona deve vivere, deve fare una certa esperienza in condizioni in cui il rischio è molto basso. E’ come la possibilità di imparare a volare in una palestra, senza avere il rischio di cadere e farsi male. Ma allora facciamo attenzione al tipo di storia che viene raccontata. Fortunatamente, nell'ultimo secolo, un'intera serie di queste storie delle società iniziatiche è stata raccolta e pubblicata e noi, dal di fuori, abbiamo la possibilità di capire di cosa si tratta: sono delle storie che formano nell'uomo, nella persona, alcuni modelli, alcuni schemi di comportamento e formano proprio quegli schemi di comportamento che sono assolutamente atipici per la cultura di partenza. Attraverso il racconto di tutta una serie di storie che possono essere ricondotte ad un unico schema, ad un unico modello di comportamento cambia la valutazione e cambiano le strade solite, le strade abituali che l'uomo prende quando deve affrontare l'una o l'altra situazione. Ad esempio, in una di queste società iniziatiche, c'è tutta una serie di storie sul tema di situazioni ad altissimo rischio in cui l'uomo in modo naturale va incontro al pericolo che si trova a dover affrontare, proteggendo da questo pericolo tutti gli altri. Questo tipo di comportamento si viene a formare, diventa un comportamento naturale, come risultato del fatto che gli vengono raccontate tutte queste storie; qualcosa nella testa dell'uomo cambia, tanto che lui capisce che il comportamento che gli è più vantaggioso, proprio in quanto uomo, è quello di sacrificare se stesso per amore agli altri uomini. Quello che, da un punto di vista della cultura normale di base, viene percepito come un comportamento non naturale, ma come un atto eroico, viene qua invece a prendere la forma di un comportamento naturale e vantaggioso per la persona stessa che lo mette in atto, perché, ripeto, nel momento in cui le storie vengono raccontate, quello che cambia è la percezione che l'uomo ha di ciò che è vantaggioso per sé. Così l'uomo capisce che per lui è vantaggioso quello che gli permette di salire un gradino, di fare un passo, di elevarsi più in alto nel percorso dell'esistenza umana e della umana realizzazione. Perché è possibile che questo avvenga, perché si possono formare schemi di comportamento attraverso il racconto delle storie? Perché l'uomo è un essere strano, che non ha istinti, non ha alcun istinto. Cioè, abbiamo dei riflessi di base. Se qualcuno ci mette un dito in un occhio, il nostro occhio si chiude: è un riflesso. E’ per questo che, a volte, confondendo i riflessi con gli istinti, pensiamo di avere degli istinti. In realtà l’istinto è tutt'altra cosa, non è un riflesso; l'istinto è un programma di comportamento molto complesso, quel programma di comportamento grazie al quale le formiche costruiscono i formicai e le api costruiscono gli alveari, vivendo in questi luoghi come in delle complesse comuni. 2 Questo programma di comportamento esiste per tutti i tipi di esseri viventi, tranne che per l'uomo: nell'uomo è assente questo programma di comportamento insito, interiore; non solo, noi possiamo addirittura notare che, praticamente in tutti gli esseri viventi che si avvicinano maggiormente all'uomo, questo programma di comportamento inizia a rompersi, a non funzionare ed è lì, dove si spacca questo programma di comportamento, che non è più rigido, che è possibile quello che noi chiamiamo addestramento, o addirittura insegnamento. Anche questo avviene con dei programmi molto complessi; ad esempio, i programmi con cui vengono addestrati i cani di servizio, che servono all'uomo per qualcosa; anche per le piante si può rompere questo schema di comportamento. In che modo? Attraverso quel qualcosa che noi chiamiamo coltivazione, perché noi sappiamo che una pianta normale, in condizioni normali, corrisponde a tutto ciò che la circonda. Ad esempio, sappiamo che una pianta non produrrà più frutti di quelli che è capace di portare in determinate condizioni, niente di più di quello che serve per la riproduzione. Proprio questo programma, quello della riproduzione, della quantità della riproduzione, è la prima cosa che si spezza, che si spacca nel momento della coltivazione, perché in queste condizioni iniziano a produrre molto di più di quello che sarebbe necessario per la conservazione della specie. Non solo è l'uomo a essere privo d’istinti, ma l’uomo è quel punto in cui, a misura di quanto ci si avvicina a lui, si spaccano, si spezzano anche i programmi di comportamento di tutti gli altri esseri viventi. E’ proprio in forza di questa posizione assolutamente particolare che ha l'uomo nel mondo, che l'uomo diventa un essere culturale; per questo la cultura non è soltanto quel qualcosa che esiste nei musei o a teatro, ma è quel qualcosa che forma il nostro comportamento quotidiano, in ogni minuto. Tutti i nostri schemi e modelli di comportamento sono come impiantati nella cultura e si reggono sulla cultura. Da qui, allora, si può capire qual è il vero significato delle scienze umanistiche: in questo senso, qualsiasi opera d'arte esiste assolutamente non per bellezza e non come qualcosa di accessorio alla vita, non come qualcosa di utile, è invece un messaggio e, per il fatto che è un messaggio, è qualcosa che deve essere letto. In caso contrario, se noi concepiamo l'opera d'arte solo come un qualcosa che ci provoca piacere per una bellezza che possiamo vedere, allora assomigliamo a quelle persone che, ricevendo una lettera, iniziano ad ammirare la bellezza della grafia, a dire: “Oh come è bella, come è stata scritta bene questa lettera”, ma non arrivano a leggere quello che è scritto nella lettera. Purtroppo questo è un modo di entrare in rapporto con le opere d’arte al giorno d’oggi molto diffuso. Adesso possiamo fare un altro passo e capire qual è questo metodo per capire le opere d’arte, per capire quindi i messaggi che le opere d’arte ci portano. Nell'ultimo periodo storico, non solo non capiamo qual è l'utilità delle opere d'arte per la vita, ma non capiamo neanche che possono essere pericolose, non capiamo che ci sono dei rischi legati alla loro percezione, perché noi possiamo anche coscientemente decidere di non leggerle e quindi, a livello cosciente, è come se non agissero su di noi, non compiono niente, ma in realtà loro agiscono su di noi anche in modo inconscio, sono fatte per questo: le opere d'arte sono fatte non per trasmettere delle conoscenze, ma per trasmettere un’esperienza. Nel caso in cui noi non siamo in grado di leggere un'opera d'arte, le opere d'arte comunque compiono qualcosa su di noi, agiscono lo stesso su di noi. Il problema è che, in questo caso, noi non sappiamo che cosa compiono e quindi non ci rendiamo conto da che parte si muove l'opera d'arte, in quale direzione siamo mossi, quando siamo lì a contemplare l’una o l'altra bellezza. Quindi l'arte è una cosa, innanzitutto, che non è insensata, ha un senso e, in secondo luogo, è una cosa che non è innocua, che ha un suo grado di pericolo. Quindi, per comprendere sia qual è il senso dell'arte, sia qual è il rischio dell'arte, dobbiamo almeno un po' imparare a entrare nel senso di quello che abbiamo davanti. Ora letteralmente parliamo dell'esistenza di questo metodo che noi chiamiamo “da soggetto a soggetto”: insistiamo, cioè, sul fatto che l'arte non è un qualche oggetto muto, l'opera d'arte è un soggetto che parla con noi. Nel caso in cui noi vogliamo ricevere da una determinata opera d'arte delle informazioni, non solo dobbiamo tener presente che l'opera d'arte ci parla, ma dobbiamo anche tener presente che noi dobbiamo 3 metterci in una posizione di ascolto attento per sentire quello che ci viene detto. Quindi noi non siamo un soggetto che si pone davanti a un oggetto, ma siamo un soggetto che riceve, davanti ad un soggetto che parla. Nel caso, invece, in cui l'opera d'arte viene considerata, viene intesa, come un oggetto, in quel caso l'opera d'arte per noi diventa uno specchio, assomiglia a uno specchio. Paradossalmente, più noi pensiamo che l'opera d'arte sia un oggetto, più in realtà la percepiamo in modo soggettivo, perché in sostanza, in quell'opera d'arte, riusciamo a vedere solo il riflesso di noi stessi, cioè vediamo solo ciò che in essa conoscevamo già, e che quindi siamo in grado di riconoscere, o solo quel qualcosa che suscita in noi una reazione interiore; questa reazione interiore può essere suscitata non solo da qualcosa che c'è in quell’opera d'arte, ma anche da qualcosa che a noi sembra di aver riconosciuto in quell'opera d'arte; ad esempio, è risuonato un determinato segnale che noi di solito intendiamo in un certo senso e questo per noi è già abbastanza e siamo tutti contenti di sentire quella familiarità, quella somiglianza, in realtà non è qualcosa che abbiamo riconosciuto, ma che può essere assolutamente illusorio. Voglio farvi notare che questo accade quasi sempre quando noi leggiamo un testo letterario per la prima volta: perciò bisogna tenere presente che una vera lettura di un'opera letteraria inizia sempre alla seconda lettura, perché la questione non è semplicemente quella di liberarsi della trama, cioè dal desiderio semplice di voler sapere cosa succederà dopo e come finirà la storia, ma bisogna innanzitutto liberarsi dall’immagine di noi stessi, dall'immagine che abbiamo di noi e che subito proiettiamo su qualsiasi opera d'arte, su qualsiasi opera letteraria. Quando iniziamo a leggere invece con questo metodo “da soggetto a soggetto”, non iniziamo a soffermarci su quei momenti del testo che ci piacciono di più, su quei momenti del testo che per noi sono riconoscibili o che ci sono familiari, vicini, ma ci soffermiamo proprio su quei punti del testo che per noi sono incomprensibili, che non riusciamo a capire, quei punti del testo dove noi inciampiamo, proprio su quei punti in cui non riusciamo a capire: “Ma perché qui c'è questa cosa?... per quale ragione qui, in questo punto del testo, c'è un'altra cosa?” Notate che questo metodo funziona non solo rispetto ai testi letterari, ma anche rispetto agli uomini e questo, ancora una volta, ribadisce la ragione per cui le scienze umanistiche sono qualcosa di cui hanno bisogno tutti. L’uomo, come essere che parla, che ha possibilità di parlare, che è formato dalle parole, anche l’uomo stesso, per il fatto che è formato così, è un testo; per questa ragione, l'approccio a un testo e l'approccio ad un uomo, in sostanza sono lo stesso tipo di approccio. E’ per questa ragione che, quando incontriamo una persona e sembra che sia proprio uguale a noi, che sia un'anima gemella, molto probabilmente siamo noi che gli abbiamo appiccicato addosso la nostra stessa immagine: di fatto vediamo nell'altra persona un riflesso di noi stessi. La stessa cosa accade anche quando incontriamo una persona che vediamo per la prima volta e che non ci piace in modo radicale, immediato, diciamo che non ci piace; di solito è così anche nel caso in cui sovrapponiamo su quella persona la nostra immagine, ma solo la parte più ombrosa di noi e ci costruiamo nella testa quali sono le ragioni, i motivi del suo comportamento, e tutto quello che forma quell’immagine, che ci piaccia o no, ma che per noi è comunque immediatamente comprensibile, mentre la vera comprensione sia di un'altra persona, dell'uomo, che di un testo, inizia da quei punti che noi non capiamo, perché sono proprio quei punti che noi non capiamo in cui il riflesso di noi stessi finalmente si spezza e ci troviamo davanti a qualche cosa che non siamo noi stessi. Il segnale che, finalmente, siamo arrivati ad incontrare qualcosa che non è più “noi stessi”, è proprio questa incomprensione, il segnale del fatto che stiamo finalmente iniziando a capire veramente è proprio il fatto che non capiamo qualcosa, che non capiamo. In questo senso i punti d'ingresso, i varchi d'ingresso in qualsiasi testo così come in qualsiasi uomo, per iniziare a conoscere un'altra persona, sono proprio quei punti in cui noi percepiamo il nostro non capire (peraltro è molto facile che, “questo nostro sentire che non capiamo”, lo trasformiamo nel dire che è sbagliato ciò che abbiamo davanti, che c'è un errore nella cosa che abbiamo davanti). Di norma, noi facciamo esattamente così; quando diciamo” non capisco niente”, quando diciamo “io quella persona non la capisco”, quando diciamo così, di solito non intendiamo dire che siamo stupidi e non riusciamo a capire, vogliamo dire che quella persona che non capiamo ha fatto qualcosa di sbagliato, perché, se avesse fatto giusto, sarebbe giusto quel qualcosa che noi avremmo capito. Di nuovo questa è una nostra reazione comportamentale assolutamente naturale: che cosa facciamo? Cerchiamo continuamente di difendere una stabilità del nostro 4 sistema, perché, inconsciamente, capiamo benissimo che qualsiasi esperienza che dal di fuori entra in noi può far traballare il nostro sistema culturale che in noi, in qualche modo, aveva già raggiunto una sua stabilità, in cui noi ci sentiamo decisamente abbastanza comodi. La stessa cosa, di norma, la facciamo anche con le opere d'arte e lo fanno anche i critici d'arte, gli specialisti d’arte. Adesso verifichiamo quello che sto dicendo, facendo un esempio: davanti a voi vedete l'immagine del trittico di Masaccio e Masaccio dipinge il suo quadro in uno stile che sembrerebbe ancora del tutto iconografico; notiamo che lui raffigura, dipinge sulla spalla del manto della Madonna una stella e le stelle sul manto della Madonna sono un elemento assolutamente tradizionale, fa parte proprio della tradizione. Questa è un'icona classica, in un certo senso è l’archetipo di tutte le icone, tradizionalmente si dice che sia stata dipinta da San Luca Evangelista ed è detta l'icona della Madre di Dio di Vladimir. Vediamo le stelle sul manto: sono le stesse stelle che abbiamo visto prima, ma sono due; in realtà, in questa icona, non sono due, ma tre. Semplicemente la terza non è proprio una stella; questo triangolo, vedete, è il simbolo della Trinità raffigurato sopra l'immagine della Madonna. La stella che splende sul capo della Vergine è quello stesso occhio che guardava la crocifissione di Cristo e che ci guarda da quel triangolo in cui viene raffigurato l'occhio che vede tutto: è la stella che rappresenta Dio Padre. La stella che si trova sulla spalla sinistra della Madre di Dio è la stella del cuore, la stella dello Spirito Santo, cioè di quello spirito che va ad abitare tutti gli esseri del mondo e che parla a tutti gli esseri del mondo attraverso il loro cuore. Proprio per questa ragione, è solo attraverso il cuore e con il cuore che noi riusciamo a conoscere davvero quello che è vero; da un punto di vista razionale, noi possiamo dimostrare o confutare qualsiasi cosa, qualsiasi posizione, dipende soltanto dal nostro desiderio e dalle trasformazioni che noi operiamo sulle premesse. In questa icona la terza persona della Trinità è rappresentata in modo non simbolico, ma nella sua immagine reale, nella carne, perché si era incarnata. In generale sulle icone può essere raffigurato solo ciò che si è incarnato, tutto il resto può essere rappresentato solo in modo simbolico: questa è proprio la modalità in cui esiste il simbolo nelle icone, nei quadri il simbolo funziona con un’altra modalità. In questa icona tutto più o meno è comprensibile, qual è il ruolo di quelle stelle sul manto della Madonna. Allora pensiamo che probabilmente Masaccio si sia sbagliato, cioè che sia partito dalla tradizione, che abbia accolto la tradizione, senza però comprenderne il senso e che, proprio per questa ragione, cioè non avendone compreso il senso, abbia fatto un errore. Questo di norma è proprio il nostro modo solito e normale di ragionare: un processo di oggettivizzazione sia dell'opera d'arte sia dell'autore. Noi consideriamo come oggetto sia l'opera d'arte che il suo cuore, mentre il modo di lettura delle opere d'arte “da soggetto a soggetto” ha come premessa un presupposto: che all'inizio, come presupposto, c'è il senso e non l'errore, perché se noi partiamo presupponendo che ci sia un errore, poi non abbiamo più niente a cui pensare e ci ritroviamo di nuovo senza aver letto niente nel messaggio che abbiamo ricevuto. Se invece partiamo dal presupposto che chi ha fatto questa opera d'arte vi abbia messo un senso, e un senso corretto, allora proprio questo punto di non corrispondenza diventa l'inizio dell'analisi. Allora osserviamo: Masaccio raffigura una stella. E’ evidente, nel senso di questo metodo di lettura “da soggetto a soggetto”, che lui stia raffigurando un qualche cosa che non è quel qualcosa che noi siamo abituati a ritrovare nelle icone tradizionali, cioè è evidente che ci troviamo davanti ad un testo fondamentalmente, essenzialmente “altro”, diverso da quelli che avevamo davanti prima. Qui, nella prima icona, la Madre di Dio agisce ed entra in scena praticamente come rappresentante della Santa Trinità. Lei proprio esce dallo spazio dell’icona e ci viene incontro, muovendosi da quello spazio, dallo spazio in cui è presente, in cui esiste la Santa Trinità, perché la Madonna è il primo uomo divinizzato, cioè il primo uomo entrato nella pienezza dell'esistenza divina. E’ per questa ragione che l'hanno chiamata Regina del cielo e della terra ed è la protettrice della terra, e qui è una creatura celeste, ma è evidente che quello che sta raffigurando Masaccio è qualcosa di assolutamente diverso. 5 Allora innanzitutto facciamo attenzione a questo: il manto della Madonna è nero, assolutamente nero. Il bordo, che in realtà è parte dall'interno del manto, dalla parte interna è di colore verde. Che cosa vediamo noi? Vediamo un qualche cosa di nero che dentro però ha un qualche cosa di rosso, ed è il colore del vestito che indossa la Madonna, ma si vede anche bene che è lo stesso colore identico delle ali degli angeli. Allora, se qui ci soffermiamo a guardare soltanto la bellezza della calligrafia, possiamo dire al massimo:” Che bravo Masaccio, come ha scelto bene la gamma dei colori!” invece se proviamo a leggere quello che qui ha “scritto”, allora capiamo che la corrispondenza dei colori non è affatto casuale, perché l'angelo è di per sé fuoco e qui Masaccio, nel caso ce lo fossimo dimenticati, nel modo in cui raffigura le ali, sottolinea proprio che è fuoco, cioè dipinge queste ali come se fossero delle lingue di fuoco. Allora notiamo anche che siamo davanti non soltanto al colore del vestito della Madonna, ma, per qualche ragione, quel colore indica le fiamme. Vediamo come, dentro questa superficie nera, brucia una fiamma: allora, che cosa abbiamo davanti a noi? Davanti a noi abbiamo l'immagine della Terra, la terra nera che dentro ha questo fuoco che brucia, questo fuoco interiore è allo stesso tempo quella parte viva della terra in cui la Terra è Fuoco e non cenere, perché è vero che la cenere forma una parte fertile della terra ma è anche il risultato di una combustione. Allora ci disturba il fatto che sia allo stesso tempo un’ immagine dell’inferno e di questo nucleo della terra. Ma secondo il modo di vedere originario cristiano influenzato dalla cultura greca il fuoco dell’inferno e la luce del paradiso erano la stessa cosa. E il fatto che cambino non é che cambiano in sè per quello che sono, ma cambiano perché cambia il nostro modo di percepirle. Se noi siamo familiari a quella luce, allora la lasciamo entrare in noi, la lasciamo penetrare in noi stessi e facciamo esperienza della gioia di un'unità: è questo il paradiso. Mentre se non siamo della stessa stirpe di questo fuoco, non lo lasciamo entrare e brucia sul limite esterno di noi e questa è una scottatura, una bruciatura. Siamo noi che ci creiamo il nostro inferno o il nostro paradiso a seconda della nostra condizione interiore e quindi cosa abbiamo davanti a noi? L'immagine della Madre di Dio, ma allo stesso tempo l'immagine della terra perché se ricordiamo: non solo la Madonna aveva portato Dio nel suo grembo, anche la terra aveva portato Dio nel suo grembo, perché Dio non solo è nato, ma è stato anche sepolto in una grotta. Sappiamo che, dopo che è stato sepolto in questa grotta, è disceso agli inferi, cioè è disceso, ha messo il piede su quell’ ultimo fuoco ed è proprio quello il momento in cui avviene la sconfitta della morte, cioè inizia l’avvio della trasfigurazione di tutta la creazione. E’ questo che sta raffigurando Masaccio: Cristo che ha i piedi poggiati sul fuoco di quell'inferno all'interno della terra nera. Cristo è sceso in quel luogo che rappresenta l’ allontanamento massimo dell'uomo da Dio cioè l'inferno. Ed è proprio da qui che inizia questa rinascita umana, questa trasfigurazione dell'uomo e anche la trasfigurazione della terra tutta. Allora possiamo capire che quella stella non è segno di una trinità spezzata, ma è simbolo della Trasfigurazione della terra. E’ quello che la terra dovrà diventare, il risultato: non rimanere quella terra nera, ma una stella splendente, cioè è proprio quella Trasfigurazione che inizia nel momento in cui Cristo scende al centro della Terra. Allora notate: tutto questo l'abbiamo letto, abbiamo potuto leggerlo solo perché ci siamo rifiutati di dire che l'artista aveva sbagliato, perché, se ci fossimo fermati a dire sì, è vero, si è sbagliato, la nostra analisi si sarebbe fermata. Perché avremmo pensato ad un errore, cioè di esserci trovati davanti a un immagine spezzata di quello che, nel modo corretto, era raffigurato, mentre in realtà qui siamo davanti proprio a un testo completamente diverso, ad un'immagine completamente altra. Ed è proprio per questo che qui siamo davanti ad un quadro e non ad un'icona, perché l'icona raffigura quello che esce verso di noi venendo da oltre i confini dell'esistenza terrena; raffigura, ci mostra la Madre di Dio proprio come rappresentante della Trinità, mentre la Madre di Dio raffigurata nei quadri è proprio un'altra, perché è raffigurata in modo completamente diverso, come girata. Se guardate e paragonate questa immagine, si vede in modo molto chiaro : questo fondo d'oro rappresenta quella luce eterna, la luce eterna cioè quel qualcosa che, nelle icone, separa da tutto quello che c'è aldilà. Quella luce d'oro che, nella concezione dei mistici medievali, è chiamata tenebra divina, cioè una luce che ha una tale forza che non vedremmo assolutamente niente, esattamente allo stesso modo che se ci trovassimo nelle tenebre, nel buio più buio. Questo è quello che 6 spiega questa visione, questo modo di vedere dei mistici medievali, questa luce piena, assoluta che si trasforma in una tenebra assoluta; perciò l'icona rappresenta proprio quel qualcosa che ha desiderato venire fuori, per farsi vedere da noi, oltrepassando i confini di questa luce che non ci permette di vedere niente di quello che c'è dietro. Si è come abbassato alla nostra impotenza, l'impotenza delle nostre capacità di percezione, dando forma per pietà di percezione, dando forma a un'immagine che noi, con le nostre capacità, non saremmo in grado di cogliere. E’ per questa ragione che l'icona nelle sue forme presenta immagini ideali, è assolutamente ascetica; nell'icona non accade niente, perché l'icona è quel luogo in cui accade solo una cosa: accade l'oltrepassarsi della soglia di due spazi che sono assolutamente di genere diverso l’uno dall'altro, cioè accade questo incontro. Un quadro è una cosa completamente diversa: innanzitutto, se noi guardiamo questo quadro e lo paragoniamo all'icona, notiamo innanzitutto che la Madonna è girata dalla parte opposta, che tutta l'immagine è girata in modo diverso. La prospettiva forma lo spazio dietro le spalle della Madonna, cioè dietro le spalle della Madonna noi non vediamo niente, perché è lo spazio di un altro mondo e di altre dimensioni, mentre dall'altra parte, dietro le spalle della Madonna, c'è un mondo che noi conosciamo benissimo. E’ una prospettiva rovesciata: quelle delle icone è formata dal fatto che la figura si sposta dallo spazio dell'icona, cioè viene in fuori verso il nostro mondo, nel quadro accade qualcosa di opposto: chi si trova davanti al quadro, è come se entrasse nell'immagine. E’ proprio per questo che esistono molte storie in Europa che dicono di questo “entrare in un quadro” e di avventure di personaggi che entrano in un quadro. Ci troviamo ad essere dentro i confini di quello che è raffigurato: è lì che il pittore Lucas Cranach il Vecchio raffigura la Madre di Dio: lei non sta guardando noi, non è rivolta verso di noi, sta guardando oltre i confini del nostro mondo, cioè la Madre di Dio sta guardando Dio. Se capiamo questa differenza, allora capiamo anche che cosa ha raffigurato qui Lucas Cranach: l'icona è estremamente laconica nel suo simbolismo, perché di fatto è puro realismo. Il quadro è assolutamente simbolico: la Madonna è raffigurata sotto un pergolato, la struttura che sostiene la vite, ma non è semplicemente un pergolato: dietro la testa di Cristo forma una croce ed è su questa croce che si regge tutta la vite. Se vi ricordate, nel Vangelo la vite rappresenta il simbolo dell'umanità nella sua interezza, cioè l'umanità nel Vangelo è la vite; allora iniziamo a leggere, a vedere in modo diverso questo gesto della Madonna che porge un grappolo d'uva al bambino. Questo grappolo d'uva che è l'umanità nel suo intero ma anche un simbolo della molteplicità in un'unità, perché ogni chicco d'uva è singolo. Adesso notate: lei porge a Cristo questo grappolo, ma allo stesso tempo lo sta porgendo a colui verso il quale sta guardando, cioè colui che si trova al di fuori dei confini di questo mondo. Questo gesto di Cristo è un gesto di benedizione, se notate, ed è anche il gesto di questa discesa dall'alto dello Spirito Santo. Ma in che modo, quando noi facciamo una scoperta leggendo un'opera d'arte, la possiamo verificare? Perché potremmo inventarci di tutto di più… il fatto è che un autore nel testo mette sempre un qualche cosa che noi potremmo chiamare delle rime, dei richiami testuali. Nel caso di un quadro si tratterà di un'immagine ripetuta, di un gesto ripetuto che è assolutamente lo stesso movimento: ad esempio questa acqua che cade. Anche l'acqua è un simbolo di questa molteplicità nell'unità; in queste immagini si vedono come tutte le gocce vengono fuori da una sorgente che zampilla. Notate: questa qua sgorga da una pietra, una pietra tombale, cioè quella stessa pietra del sepolcro di Cristo. E’ la tomba di Cristo, il sepolcro di Cristo: c'è il momento dell'Incarnazione, spero che si capisca questo. Possiamo dire che qui vediamo letteralmente una ripetizione. Vi faccio vedere solo un'altra di queste rime testuali, perché in questo quadro se ne possono trovare tantissime; osservate questo punto del quadro: perché la vite dell'umanità può reggersi solo sulla croce? Perché questa vite è ferita in se stessa, se voi notate è raffigurato un serpente, quello stesso serpente che c'era sull’ albero del Paradiso terrestre, che strisciava sull' albero del Paradiso terrestre, ed ecco un simbolo, la rima, questo è un albero che è circondato da una liana e per questa ragione inizia a morire. Ecco di nuovo questo simbolo, questo serpente, l’immagine di questa liana, che toglie la vita all'albero e questa vita viene restituita solo dalla croce, che ha realizzato questo bambino con la sua venuta al mondo. 7 In conclusione, un testo è sempre fatto in modo da semplificarci al massimo la sua comprensione e ci dà la possibilità di verificare il fatto che abbiamo compreso, quello che dice. E la metodica per verificare la nostra comprensione, in sostanza, consiste nel ritrovare delle rime testuali, perché, quando in un quadro troviamo un simbolo (come noto, attraverso un punto passano infinite rette) se troviamo solo un simbolo, possiamo inserirlo in qualsiasi tipo di sistema di interpretazione che ci immaginiamo. Ma tra due punti passa solo una retta: è per questa ragione che troviamo una prima rima testuale, ma poi un buon autore si preoccupa moltissimo di farci capire e perciò ci darà anche un’altra rima testuale o anche una terza. Il quadro che abbiamo guardato oggi di Lucas Cranach, anzi il frammento del quadro, ci permette di affermare che abbiamo sempre la possibilità di confermare quello che abbiamo visto, di confermare la nostra lettura del testo. Per fare questo, c'è bisogno solo di una cosa: dobbiamo decidere di entrare nel testo partendo da quel punto che noi non riusciamo assolutamente a capire. Grazie dell'attenzione. 1° domanda Io chiederei una cosa: lei ci ha detto che la comprensione sia di un uomo che di un testo inizia dai punti che non capiamo, perché appunto il nostro riflesso, quello che apprendiamo riflettendo sul testo interpretato come oggetto, si spezza e quindi vediamo qualcosa di diverso da noi stessi. A me questo punto ha particolarmente interessato e allora, pensando che un uomo è testo e pensando che tutti i giorni abbiamo a che fare con piccoli uomini e comunque con tutti gli uomini che ognuno di noi incontra quotidianamente, mi piacerebbe capire meglio come questo, nella relazione umana e educativa in particolare, possa in qualche modo concretizzarsi ed attuarsi. Prof.ssa Tat’jana Kasatkina Io penso che questo principio metodologico fondamentale sia lo stesso che usiamo per leggere un testo se vogliamo leggere in modo serio; nei rapporti, soprattutto nei rapporti con i nostri alunni, (io parto dal presupposto che voi non facciate così, ma spesso accade) partiamo dal presupposto che noi abbiamo ragione, partendo da un sentimento di sicurezza rispetto a quelle basi, a quelle fondamenta su cui ci siamo collocati. Se entriamo in rapporto partendo da queste posizioni, è chiaro che è accaduta una qualche divergenza e noi ci consideriamo nel giusto. Quando nelle nostre posizioni c'è qualcosa di sbagliato, dobbiamo trovare il modo di correggerlo; mentre se noi entriamo in rapporto non partendo dal presupposto del nostro essere nel giusto, ma partendo dal presupposto di voler capire, allora ci muoviamo cercando di capire quali sono le fondamenta, quali sono le posizioni su cui si regge la persona con cui stiamo entrando in rapporto. Allora cercheremo di capire i suoi gesti, le ragioni dei suoi gesti non in rapporto alla base fondamentale su cui ci vediamo noi, ma rispetto alle sue fondamenta. Allora quello che dal nostro punto di vista, dalla nostra posizione, può sembrare un errore, un fallimento della sua posizione, vista dalla posizione dell'altro, potrà sembrare un'azione assolutamente coerente e logica. L’errore fondamentale che viene sempre fuori nel processo educativo è l'idea di una generalizzazione di queste fondamenta basilari che noi presupponiamo, questo loro essere generali. Solo quando ci scontriamo, nella negazione della nostra azione, iniziamo a pensare che forse c'è qualcosa di diverso non nell'azione, ma nel fondamento stesso, cioè dobbiamo essere estremamente coscienti, nell'istante in cui entriamo in rapporto con i ragazzi, con gli alunni, che queste fondamenta non siano comuni e genericamente condivise, come fondamenta di default. 2° domanda Mi ha colpito molto questo indizio che si ripete, la rima ricorrente, nel paragone che si stava facendo con l’uomo; anche in questo caso abbiamo la rima ricorrente? 8 Prof.ssa Tat’jana Kasatkina Sì, certo, sono come quelle rime della persona che noi dobbiamo guardare attentamente senza cercare di interpretarli di default dal nostro punto di vista, dal nostro proprio sistema, perché, se una persona si comporta così e poi ancora una volta così e ancora un'altra volta così e noi continuiamo a pensare che quella persona abbia sbagliato (perché di norma, in generale, le persone non fanno così e non si comportano così), questo è un errore fondamentale del nostro modo di pensare, perché, se un uomo si comporta una volta così e poi ancora una volta così e una terza volta così, questo comportamento ha che fare con le sue posizioni di base e non con un errore. 3° domanda Mi ha colpito il paragone dell'opera d'arte con la lettera, la scrittura e la bella calligrafia con il senso, il contenuto della lettera e mi interessava sapere come questo modo di leggere l'opera d'arte si coniuga con quello, quindi qual è la relazione tra forma e contenuto in un'opera d'arte? Prof.ssa Tat’jana Kasatkina Questa è una domanda estremamente interessante, anche per il fatto che, negli ultimi due secoli, è cambiata completamente la nostra idea di quella che è la forma: ad esempio la scuola di San Tommaso non aveva il concetto di contenuto, perché, in senso stretto, non è adeguato da un punto di vista logico e San Tommaso lavorava in un sistema di concetti rigidamente logici; per questo quello che noi chiamiamo contenuto, loro lo definivano lo splendore della forma, cioè la forma dal punto di vista di qualsiasi sistema logico corretto. La forma è l'unica espressione raggiungibile di uno spirito che agisce, perché la forma esiste soltanto lì dove agisce lo Spirito, perché lì dove lo spirito non agisce, la forma si trasforma in un mucchietto di carne che marcisce; come dire: un uomo muore e abbiamo ben presente quello che succede con la sua forma. Non c'è nient'altro che può reggere una forma, perciò la cosa più interiore che possiamo trovare in ciò che noi non logicamente chiamiamo contenuto, in realtà si rivela proprio nella forma. La forma in realtà è proprio l'immagine dello spirito, l'unica immagine dello Spirito che ci è accessibile; per questo è soltanto attraverso la forma che noi possiamo capire l'essenza, il senso di quello che ci è manifestato. Non può esistere in nessun modo un contenuto indipendente; noi siamo abituati a intendere la forma come se fosse la bottiglia, il contenuto l'acqua che c'è dentro. Se ci versiamo dentro qualcos'altro, non cambia niente, la forma è la stessa: possiamo riempirla d'acqua, di vodka, di Coca-Cola ma è sempre la stessa bottiglia. E’ da qui che nasce spesso questa nostra domanda: qual è il rapporto tra la forma e contenuto? E’ un modo di concepire la forma come qualcosa di esteriore e, in questo senso, anche con un qualcosa di casuale rispetto al contenuto; è per questo che non possiamo permetterci di dire: “Ma questi sono aspetti formali, non sono interessanti, a noi non interessano gli aspetti formali dell'opera d'arte, ci interessa parlare delle idee di un'opera… ma signori, noi non abbiamo nessun accesso alle idee se non attraverso la forma. Se, in qualche modo, pensiamo che abbiamo avuto accesso alle idee in un'altra maniera, significa che ce le siamo semplicemente inventate le idee, che le abbiamo portate noi e questo significa che, per noi, il testo è soltanto un pretesto, è soltanto un pretesto per parlare di quello di cui noi, anche senza quel testo, volevamo parlare, di qualcosa che, più o meno, già sapevamo. Purtroppo, nella pratica odierna dell'insegnamento scolastico, il testo molto spesso diventa soltanto un pretesto che noi ci prendiamo per parlare di cose che per noi sono interessanti. Si può anche dire che vengono fuori delle lezioni interessantissime, vive, in cui si coinvolge tutta la classe, ci sono discussioni accese, ma queste lezioni avranno un difetto: non avranno nessun rapporto con l'opera che, di fatto, dovrebbe essere al centro della lezione stessa, mentre siamo partiti da quel dato testo e abbiamo parlato del problema della Libertà. Grazie, una domanda molto importante, grazie a chi l'ha fatta. (testo trascritto senza la revisione dell’autore) 9