Rivista Italiana di Genetica e Immunologia Pediatrica - Italian Journal of Genetic and Pediatric Immunology Anno I numero 2 - luglio 2009 | direttore scientifico: Carmelo Salpietro - direttore responsabile: Giuseppe Micali Scienze cognitive e genetica 1 2 Giovanni Coglitore , Gaetano Tortorella 1 Scuola di Dottorato di ricerca in Scienze Cognitive, Università di Messina 2 Dipartimento di Scienze Pediatriche, UOC di Neuropsichiatria Infantile, Policlinico Universitario di Messina Le scienze cognitive rappresentano una delle aree di ricerca più affascinanti ed ambiziose nel panorama culturale di oggi ed hanno per oggetto la natura, l’intelligenza e l’evoluzione della mente umana e non umana. Si tratta di un ambito di ricerca caratterizzato da una forte interdisciplinarietà, in cui studiosi provenienti da discipline apparentemente distanti fra loro, filosofia, psicologia, neuroscienze, intelligenza artificiale, antropologia e gran parte delle scienze naturali, uniscono le loro competenze per un obiettivo comune: comprendere, riabilitare e saper riprodurre i processi cognitivi. Esse hanno ottenuto negli ultimi anni un grande successo di risultati dovuto principalmente alla metodologia utilizzata che contempla l’analisi di un certo argomento di ricerca dalla prospettiva di più discipline interessate alla comprensione dello stesso problema. Il particolare approccio interdisciplinare allo studio del comportamento e della vita mentale consente di liberarsi dalla visione settoriale unidisciplinare nella quale è stata spesso relegata per molto tempo la conoscenza umana. Nell’ambito dell’approccio multidisciplinare nello studio delle scienze cognitive l’applicazione della genetica molecolare ha trovato all’inizio del decennio un nuovo strumento metodologico di indagine promettente di interessanti aspettative. Una breve rassegna della letteratura sull’argomento da l’idea di come la ricerca si stia orientando, a partire dalla scoperta del gene FOXP2 (Vargha Kadem, C. Lai, A. Monaco, 2001), che interviene nel corretto sviluppo di regioni cerebrali (gangli della base, nucleo subtalamico), deputate al controllo motorio oro-facciale fine indispensabili per articolare il linguaggio. Il FOXP2, trovato nel cromosoma 7, è un gene regolatore, nel senso che regola l’espressione di altri geni impegnati successivamente nella costruzione di aree cerebrali attraverso l‘espressione delle proteine regolate da essi. Non si tratta ovviamente del “gene del linguaggio”, ma di un pezzetto di DNA la cui mutazione può causare disturbi linguistici, prevalentemente di natura articolatoria, e che sembra coinvolto in patologie come i disturbi specifici del linguaggio (DSL) e la sindrome autistica. Il fatto che si tratti di un gene regolatore ha indotto la ricerca a rintracciare la cascata degli altri geni con cui FOXP2 interagisce, le modalità con cui questi geni variano nel mondo animale e il tipo di ruolo che essi possono avere in altri sistemi cognitivi. Tutto ciò potrebbe gettare luce sulla storia molecolare della propensione al linguaggio. I primi passi verso questa direzione sono sati compiuti da un gruppo di ricercatori (S. Fisher et. al, 2006; D. E. Arking et. al, 2008) che ha identificato un altro gene regolato dal FOXP2, il CNTNAP2 la cui mutazione sembra essere correlata ad alcuni casi di DSL e alla sindrome autistica. Questo “nuovo” gene regola una proteina, la neuroxina, presente sulla superficie dei neuroni con la funzione di collegamento tra le varie cellule ed il loro cablaggio durante lo sviluppo ed è largamente espressa nella corteccia cerebrale e particolarmente a livello dei lobi frontali. Ricercatori del Dipartimento di ricerca psichiatrica dell’università di Zurigo sono arrivati all’identificazione del gene KIBRA, coinvolto nello sviluppo embrionale dell’ippocampo, struttura cerebrale critica per il corretto funzionamento della memoria (A. Papassotiropoulos e D. de Quervain, 2003). Per osservare il funzionamento del gene KIBRA si è proceduto ad un test della memoria su circa 350 persone. I volontari sono stati suddivisi in relazione alla loro prestazione in compiti di memoria, prima di analizzare le loro impronte genetiche. Gli scienziati hanno inoltre esaminato l'attività cerebrale durante alcune prove selettive di memoria. Si è così scoperto che il gene KIBRA è correlato all'ippocampo, struttura del cervello essenziale per la memoria. L'ippocampo risulta spesso severamente danneggiato nelle malattie che incidono sul funzionamento mnemonico. Ciò potrà dare un notevole contributo alle conoscenze scientifiche relative a patologie che comportano deficit della memoria come l’Alzheimer e la depressione. Dopo aver identificato KIBRA, i ricercatori si sono posti l’obiettivo di verificare se il gene svolge un ruolo anche nei meccanismi mnemonici e di apprendimento negli animali. 1 di 2 Ricerche più recenti si sono concentrate nell’identificazione del materiale genetico coinvolto nei processi di apprendimento. Le stime indicano che la prevalenza delle difficoltà di apprendimento ammontano a circa il 2% della popolazione mondiale e che tali disturbi sono più diffusi nei soggetti maschi. Ciò ha suggerito che tali anomalie possano essere causate in qualche modo da una mutazione a carico di uno o più geni del cromosoma X, che è presente in un’unica copia nei soggetti maschili e in doppia copia nei soggetti femminili. Un’equipe di ricercatori (M. Stratton et al., 2008) ha sequenziato circa 720 geni sugli 800 presenti nel cromosoma X ed ha rilevato che 9 di questi giocano un ruolo determinante nella facoltà di apprendere. Infatti, quando alcuni di questi 9 geni vengono trovati silenziati, o hanno subito una mutazione più o meno grave è stata rilevata un evidente difficoltà di apprendimento nei soggetti studiati. Numerosi progetti di ricerca in corso sono volti ad indagare se e come il genoma influenzi altri processi cognitivi come l’attenzione, l’empatia e l’interazione sociale. Quando si parla di quella che Steven Pinker chiama genetica cognitiva bisogna soffermarsi su due concetti chiave che rendono la ricerca sulle basi genetiche delle abilità e disabilità cognitive meno semplicistica di quello che sembrerebbe in realtà. Si tratta dei concetti di pleiotropia e poligeneticità (Y. Kovas, R. Plomin, 2006). La pleiotropia (dal greco pleio πλεισς - "molteplice", e tropein, τροπή - "cambiamento") è un fenomeno genetico per il quale un unico gene è in grado di influenzare aspetti multipli del fenotipo di un essere vivente. In altri termini gli effetti di un singolo gene possono influenzare una specifica area cerebrale che a sua volta influenza differenti processi cognitivi. Di contro la poligeneticità si riferisce alla capacità che hanno molti geni di influenzare un singolo carattere o processo cognitivo. Il che significa che molti geni possono essere responsabili di influenzare una specifica area cerebrale che controlla un singolo processo cognitivo. Kovas e Plomin hanno proposto tre meccanismi differenti. Una possibilità è che un gene può influenzare un’area cerebrale specifica responsabile di diversi processi cognitivi (meccanismo 1). Una seconda possibilità è che un gene può influenzare diverse aree cerebrali responsabili di processi cognitivi specifici (meccanismo 2). Una terza possibilità, che sembrerebbe essere la più probabile, è che diversi geni influenzino strutture cerebrali multiple che a loro volta hanno effetti su processi cognitivi multipli (meccanismo 3). Stando a queste considerazioni è chiaro che gli input genetici nelle strutture e nelle funzioni del cervello sono di carattere generale e non specifici. L’applicazione delle neuroscienze e in particolare delle conoscenze della genetica nello studio delle scienze cognitive ha condotto alla convinzione che la mente umana sia dotata di un insieme strutturato di capacità biologicamente determinate e indipendenti dalle variazioni culturali. Partendo da questo presupposto ci si è resi conto che è alle scienze della vita che si deve guardare se si vuole comprendere la complessità della mente e il suo funzionamento. Discipline come la neurobiologia e la neuro-genetica non solo entrano di diritto all’interno delle scienze cognitive, ma rappresentano il terreno elettivo su cui coltivare la ricerca del futuro. L’idea è che le funzioni cognitive superiori, come il linguaggio, la memoria, l’empatia, l’attenzione, etc., possano avere basi biologiche e genetiche, e che quindi siano il risultato di lenti e progressivi processi evolutivi che hanno portato l’Homo sapiens ad essere quello che è oggi. Discipline nate dall’avvento delle scienze cognitive, come la psicobiologia, la psicologia evoluzionistica e la neuropsicologia cognitiva stanno ottenendo risultati importanti. La posta in gioco non è solo individuare le basi biogenetiche e neuro-anatomiche dei processi cognitivi, ma indagare su come tutto ciò avviene. I continui progressi in campo genetico, la sequenziazione sempre più precisa ed affidabile del DNA umano e la sua comparazione con quello delle altre specie ed in particolare dei primati, la scoperta di nuovi geni e del loro funzionamento, stanno sempre più gettando luce sul come il genoma influenzi le nostre capacità cognitive, nel senso che svolge un ruolo determinante nello sviluppo dei circuiti cerebrali deputati a tali capacità. Non si tratta di volere aderire ad un determinismo biologico o genetico. Gli studiosi che si occupano delle basi biogenetiche dei processi cognitivi non hanno la presunzione di voler scoprire il gene di un particolare comportamento, come gli organi di stampa riduttivamente spesso fraintendono e lasciano credere. Si tratta invece di indagare su come l’informazione genica, durante le fasi di sviluppo embrionale, costruisca le strutture neurali che sono coinvolte nei processi cognitivi superiori e di come eventuali mutazioni geniche possano alterare lo sviluppo di aree cerebrali deputate a tali processi con conseguenze di ordine cognitivo. Ciò permetterà non solo una maggiore comprensione delle nostre facoltà cognitive e di come siano evolute, ma verosimilmente permetterà anche di far luce su molte patologie la cui natura è a tutt’oggi sconosciuta, come ad esempio l’autismo e la schizofrenia, migliorandone di gran lunga le pratiche terapeutiche e riabilitative. Fino a qualche tempo fa, parlare di geni e correlarli a facoltà cognitive di livello alto era considerato fuorviante e piuttosto pericoloso. I geni spaventano perché la maggior parte dei mezzi di stampa fa pensare ad essi come ad un progetto. Progetto che determinerebbe per sempre il nostro destino. Gary Marcus, uno dei più eminenti studiosi del rapporto tra geni e comportamento scrive: ”Per capire come i geni influenzino le caratteristiche e le capacità umane dobbiamo innanzitutto abbandonare l’idea consueta di genoma come di un progetto. Il genoma non è uno schema elettrico per la mente o una fotografia di un prodotto finito, anche se i titoli di giornale lo lasciano così spesso intendere”. Quindi è più corretto utilizzare l’espressione predisposto geneticamente anziché programmato geneticamente. Noi siamo predisposti geneticamente al linguaggio, nel senso che abbiamo nel nostro genoma tutti gli ingredienti per poter manifestare questa incredibile proprietà che poi deve essere plasmata dal contesto ambientale e sociale dove viviamo e ci sviluppiamo. Alcuni di noi sono geneticamente predisposti ad una particolare malattia o ad una personalità particolarmente aggressiva o ancora a ricordare meglio gli eventi, ma non è detto che un individuo con una predisposizione ad un particolare comportamento o caratteristica manifesti per forza di cose tale predisposizione. Scrive ancora Marcus: ”Mentre iniziamo a vedere i geni non come rigidi dittatori del nostro destino, ma come ricchi fornitori di opportunità, possiamo iniziare a utilizzare la nostra sempre crescente conoscenza della natura come un mezzo per sfruttare al massimo la nostra cultura”. Nella ricerca scientifica che si pone l’obiettivo di indagare e comprendere le complesse interazioni tra mente, cervello e genoma, l’unica strada percorribile è quella del lavoro in equipe. Solo con gli sforzi di più discipline, siano esse umane o naturali, e con una stretta collaborazione tra esse potremmo un giorno comprendere la complessità della natura umana. Trimestrale di divulgazione scientifica dell'Associazione Pediatrica di Immunologia e Genetica Legge 7 marzo 2001, n. 62 - Registro della Stampa Tribunale di Messina n. in corso di registrazione Direttore scientifico Carmelo Salpietro - Direttore responsabile Giuseppe Micali - Segretaria di Redazione Basilia Piraino Direzione-Redazione: UOC Genetica e Immunologia Pediatrica - AOU Policlicnico Messina www.geneticapediatrica.it/rigip 2 di 2