INSIDE JOB regia di Charles Ferguson

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CINEMA E FILOSOFIA
INSIDE JOB
regia di Charles Ferguson
sceneggiatura: Charles Ferguson, Chad Beck, Adam Bolt; fotografia: Svetlana Cvetko, Kalyanee Mam ;
musiche : Alex Heffes ; montaggio: Chad Beck, Adam Bolt;
interpreti principali: Matt Damon (voce narrante).
produzione: Representational Pictures, Screen Pass Pictures;
origine:
USA
anno: 2010
distribuzione: Sony Pictures;
durata: 104 minuti.
 Il finanzcapitalismo è una mega-macchina che è stata sviluppata nel corso degli ultimi decenni allo
scopo di massimizzare e accumulare, sotto forma di capitale e insieme di potere, il valore estraibile
sia dal maggior numero possibile di esseri umani, sia dagli ecosistemi. L’estrazione di valore tende
ad abbracciare ogni momento e aspetto dell’esistenza degli uni e degli altri, dalla nascita alla morte
o all’estinzione. […] L’estrazione di valore è un processo affatto diverso dalla produzione di valore.
Si produce valore quando si costruisce una casa o una scuola, si elabora una nuova medicina, si crea
un posto di lavoro retribuito, si lancia un sistema operativo più efficiente del suo predecessore o si
piantano alberi. Per contro si estrae valore quando si provoca un aumento del prezzo delle case
manipolando i tassi di interesse o le condizioni del mutuo; si impone un prezzo artificiosamente
alto alla nuova medicina; si aumentano i ritmi di lavoro a parità di salario; si impedisce a sistemi
operativi concorrenti di affermarsi vincolando la vendita di un pc al concomitante acquisto di quel
sistema, o si distrugge un bosco per farne un parcheggio. […] La mega-macchina denominata
capitalismo industriale aveva come motore – e per quel che ne resta ha tuttora – l’industria
manifatturiera. Il finanzcapitalismo ha come motore il sistema finanziario. I due generi di
capitalismo differiscono sostanzialmente per il modo di accumulare il capitale. […] il
finanzcapitalismo persegue l’accumulazione di capitale facendo tutto il possibile per saltare la
produzione di merci. Il denaro viene impiegato, investito, fatto circolare sui mercati finanziari allo
scopo di produrre immediatamente una maggiore quantità di denaro. (L. Gallino,
Finanzcapitalismo. La civiltà del denaro in crisi, Einaudi, Torino, 2013)
 Per quanto riguarda invece i diritti economici, diciamo che questa crisi economica globale ha
sicuramente un bel marchio Made in USA. Non abbiamo semplicemente esportato la politica di
deregolamentazione che ha reso possibile la diffusione della crisi nel mondo, abbiamo anche esportato
molti dei nostri prestiti tossici. Definire un prestito “tossico” suggerisce che sia ad alto rischio, ma quei
prestiti erano estremamente più pericolosi, erano un deliberato sfruttamento da parte del settore
bancario e della comunità finanziaria degli americani più poveri, gli afroamericani. Negli ultimi anni si è
discusso molto della scoperta che ci siano soldi in fondo alla piramide; ciò che la comunità finanziaria
americana ha cercato di fare è non far rimanere quei soldi in fondo alla piramide, ma farli arrivare alla
sommità e dobbiamo dire che sono stati piuttosto bravi a muovere i soldi dal basso verso l’alto. Se
guardate i gravi danni che sono stati arrecati al ceto medio e agli stipendi più bassi nelle comunità
americane di Baltimora e Cleveland capirete la dimensione morale di ciò che il mercato finanziario
americano ha fatto. (J. Stiglitz, Un ‘economia per l’uomo, Castelvecchi, Roma, 2016)
 Il più grande ostacolo che ci impedisce di padroneggiare l’economia nasce dalla soggettività che
introduciamo nello studio del mondo che ci circonda. […] Quando siamo giovani, la nostra mente è
aperta alle idee nuove. Mentre cresciamo, cominciamo a organizzare le nostre idee e a conoscere il
mondo attraverso la famiglia, gli amici e gli insegnanti. Ma non appena cominciamo a conoscere il
mondo restiamo prigionieri della nostra conoscenza. […] Questa lezione vale anche per l’economia [...] e
ci aiuta a spiegare perché persone che vivono sullo stesso pianeta hanno idee economiche
fondamentalmente diverse: perché alcuni ritengono che i mercati siano il modo migliore di organizzare
il sistema economico, mentre altri caldeggiano ancora la pianificazione centrale socialista, o perché i
programmi di assistenza pubblica sono ammirati da alcuni e condannati da altri. Perciò, dobbiamo
essere pronti a mettere in dubbio l’inevitabile soggettività delle nostre opinioni e filosofie e non
dobbiamo avere pregiudizi verso concezioni che differiscono dalle nostre. (P. Samuelson – W.
Nordhaus, Economia, Zanichelli, Bologna, 2014)
 Nel giugno 2007 il leggendario economista Paul Samuelson incontrò un intervistatore. […] quando
l’intervistatore innocentemente gli chiese: “Cosa direbbe a uno studente che oggi inizia un corso postlaurea in economia?”, Samuelson diede una risposta inattesa: “Be’, gli direi forse qualcosa di diverso da
quello che gli avrei consigliato quando ero più giovane: abbi un sano rispetto per lo studio della storia
economica, poiché costituisce la materia di cui saranno fatte tutte le tue congetture e le tue verifiche
empiriche”. Samuelson aveva ragione: la storia economica è importante, molto più di quanto le teorie
sull’efficienza dei mercati e sulla razionalità dei consumatori lascerebbero credere. E questo non perché
la storia si ripeta in modo ciclico, semplicistico […] Lo studio del passato introduce un elemento di
granulosità, di concretezza nell'elegante meccanismo dei modelli matematici, come quelli elaborati da
Samuelson e colleghi. E questo è un dato positivo: infatti, è stata una fiducia quasi religiosa nei modelli
che ha contribuito in primo luogo a creare le condizioni per la crisi. [..] La storia induce all’umiltà, una
qualità molto utile nel valutare le crisi economiche, che spesso fanno seguito ai proclami arroganti di
quanti si dicono convinti che le normali regole economiche non si applichino più. (N. Roubini – S. Mihm,
La crisi non è finita, Feltrinelli, Milano, 2010)
 Si può allora così riassumere l’andamento di questo primo periodo della crisi iniziata nel 2007… A causa
di politiche economiche pluridecennali orientate in primo luogo a comprimere i redditi da lavoro e ad
accrescere le disuguaglianze, nonché di un’architettura che ha dimostrato di avere fondamenta
gravemente difettose, il sistema finanziario è incorso in una crisi nata dall’eccessivo ammontare di
debito che aveva creato, sia a carico delle famiglie che a carico di se stesso. Nei primi tre anni della crisi,
gli stati hanno impegnato tra i 12 e i 15 trilioni di dollari, o l’equivalente in euro, per salvare le sue
maggiori istituzioni, cioè le banche e le compagnie di assicurazioni troppo grandi per fallire, e stimolare
la ripresa dell’economia. Non appena ritornato in forze – gli è bastato solo un anno, il 2009 – il sistema
finanziario, in specie il suo settore ombra, è ripartito all’attacco, questa volta a danno degli stati che si
erano indebitati per sostenerlo e riparare per quanto possibile ai suoi guasti. In questa sorta di rivincita
organizzata dai vincitori contro i perdenti, sono in gioco non soltanto i corsi di azioni e obbligazioni, o
delle monete, e con essi il rischio che tante famiglie perdano una parte consistente dei loro risparmi.
Sono pure in gioco condizioni di lavoro e salari, sicurezza alimentare e sanità, previdenza sociale e diritti
umani, istruzione e ricerca, servizi sociali e sostegni al reddito, qualità della vita e rapporti
interpersonali, funzioni delle istituzioni e contenuti della democrazia. In altre parole c’è di mezzo il senso
di una intera civiltà. Che essa appaia asservita al suo sistema finanziario, piuttosto che esserne come
dovrebbe la padrona, è un segno che la crisi economica è diventata crisi di civiltà. (L. Gallino,
Finanzcapitalismo. La civiltà del denaro in crisi, Einaudi, Torino, 2013)
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