archeologia virtuale: la metodologia prima del software Comitato Scientifico: Simone Gianolio, Sofia Pescarin, Davide Borra, Andrea D’Andrea, Fabio Remondino Redazione: Simone Gianolio Realizzazione grafica della sovracoperta: Alfredo Corrao L’edizione cartacea del volume è pubblicata da: © 2012 – Espera s.r.l. Editoria e Servizi per Archeologi Via Fulvio Palmieri, 4 00151 Roma [email protected] www.archeologica.com Contattare la Libreria Archeologica di Roma per l’acquisto del volume al prezzo di €26 1° edizione ISBN 9788890644313 Il volume viene distribuito in versione cartacea ed elettronica secondo la licenza Creative Commons, Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 3.0 Unported. Il lettore è libero di: riprodurre, distribuire, comunicare ed esporre in pubblico quest’opera, a condizione che il suo contenuto non venga alterato o trasformato, che venga attribuita la paternità dell’opera al curatore del volume e ai singoli autori dei contributi, e che l’opera non venga utilizzata per fini commerciali. 2 ARCHEOLOGIA VIRTUALE LA METODOLOGIA PRIMA DEL SOFTWARE Atti del II Seminario Palazzo Massimo alle Terme (Roma, 5-6 aprile 2011) a cura di SIMONE GIANOLIO 3 4 INDICE Indice .............................................................................................................. 5 Introduzione ................................................................................................... 7 D. FERDANI-F. OLARI-F. MALARAGGIA: Laus Pompeia tra spazio reale e spazio virtuale ....................................................................................... 13 V. FIASCONARO-S. GUIDUCCI: Il progetto ARAS ......................................... 23 R. MANGANELLI DEL FÀ-P. PALLECCHI-C. RIMINESI: Il metodo microfotogrammetrico per la catalogazione di reperti archeologici ................. 40 A. ARRIGHETTI-P. GILENTO: Dallo scavo all’edificio: esperienze di registrazione tridimensionale a confronto ............................................... 49 C. DEL VAIS-V. PINNA-I. SANNA: Tridimensionalizzazione dei rilievi cartacei e virtualizzazione di un contesto archeologico subacqueo di età fenicio-punica: il caso della laguna di Santa Giusta (OR) ............. 68 M. MANFRÉ: Misurazioni GNSS e modelli digitali del terreno applicati allo studio di alcuni centri fortificati d’altura di età preromana .............. 86 D. DEGRASSI-D. GHERDEVICH-S. GONIZZI BARSANTI- G. MONTAGNER: Itinerari storico-archeologici per la conoscenza del Friuli longobardo ... 95 L. BORDONI-S. PIERATTINI: Esperienze di fruizione virtuale del patrimonio archeologico ........................................................................ 116 G. SCARDOZZI: Ricerche per la carta archeologica di Hierapolis di Frigia (Turchia): indagini multidisciplinari integrate per la ricostruzione di una città antica ............................................................. 131 E. DEMETRESCU: Modellazione 3D, visualizzazione scientifica e realtà virtuale ......................................................................................... 147 5 A. CORRAO: La documentazione fotografica dei Beni Culturali: comunicazione e scientificità ai tempi di Google.................................. 154 S. GIANOLIO: Modellazione tridimensionale e modelli digitali 3D in archeologia ............................................................................................ 178 F. REMONDINO: Introduzione alla fotogrammetria digitale ........................ 190 S. GONIZZI BARSANTI-M. BRAINI: La carta archeologica su supporto digitale. I casi di Trieste e Cividale del Friuli ....................................... 200 S.G. MALATESTA: @rcheoNet: una proposta di real time-multitasking archeologico .......................................................................................... 219 G. LAGIONIS: Archeologia Virtuale: il contributo del Conservatore, Due casi di studio: Villa dei Pisoni – Golfo di Baia (NA) .................... 222 Glossario fondamentale .............................................................................. 227 Tavole ......................................................................................................... 232 6 INTRODUZIONE L’Archeologia Virtuale è un ambito di studio di interesse relativamente recente, ma ancora non una disciplina di studio. In passato però, l’Archeologia è stata materia fertile per molte innovazioni in campo tecnologico: si pensi alla fotografia, le prime applicazioni “scientifiche” si ebbero quasi subito proprio nel settore archeologico, quando verso la metà dell’800 si sentiva il bisogno di documentare i monumenti in modo finalmente oggettivo 1, senza l’intermediazione interpretativa del disegnatore. Durante le due guerre mondiali lo sviluppo della ricerca scientifica con approcci quantitativi e matematici fu prodromico affinché l’utilizzo dei computer liberasse i ricercatori dalla computazione manuale a favore di quella elettronica; l’Univac 1 (UNIVersal Automatic Computer I) della Eckert-Mauchly Computer Corporation è stato il primo computer commerciale e risale al 14 giugno 1951 (giorno della sua messa in funzione); l’IBM 701 risale al 1952; tre anni dopo segue l’IBM 704, primo computer “scientifico” della storia; nel 1956 J. McCarthy conia il termine Artificial Intelligence. A partire dal 1960 i computer venivano installati nelle università per favorire le ricerche accademiche: si doveva programmare in Fortran e altri linguaggi “arcaici” i propri algoritmi; intorno alla metà di questo decennio si ebbe l’esplosione della cosiddetta “rivoluzione quantitativa in archeologia”; gli anni seguenti (1965-1985) sono considerati l’età d’oro per i computer in archeologia2. Nel 1971 l’italiano Federico Fagini per conto di Intel progetta il primo microprocessore (Intel 4004), una invenzione senza la quale il mondo di oggi sarebbe molto diverso. Software come AutoCAD e riviste come Archeologia e Calcolatori nascono rispettivamente nel 1982 e nel 1989, ben prima della rivoluzione promossa da Bill Gates con le sue “finestre”. È del 1991 l’espressione 1 2 SALZMANN A., Jérusalem étude reproduction photographiques des Monuments de la Ville Sainte, Parigi 1856. Ma pubblicazioni archeologiche con il supporto della fotografia risalgono già al 1853-1854. DJINDJIAN F., “The golden years for mathematics and computers in archaeology” in Archeologia e Calcolatori 20 (2009), pp. 61-74. 7 Virtual Archaeology3 e del 2000 il termine “Archeoinformatico”4. I tempi di start-up dunque non sono molto differenti rispetto allo scavo di Nino Lamboglia presso Albintimilium (anno delle campagne di scavo 19381940, anno di pubblicazione del primo volume 1950), considerato la pietra d’angolo per la cronologia della ceramica romana ed il suo utilizzo nelle ricerche archeologiche. Dopo oltre 60 anni di ricerche sulla ceramica in archeologia nessuno mette in dubbio l’utilità di questi studi per la cronologia ed il commercio delle popolazioni antiche, mentre dopo 50 anni di ricerche computazionali in archeologia non è facile trovare corsi strutturati all’interno delle università, per lo meno italiane. Questa perdurante situazione di assenza di standard metodologici (intendendo per “standard” lo scavo stratigrafico, ad esempio, una sorta cioè di pipeline o workflow accettato da tutti nelle sue linee fondamentali), nel florilegio di applicazioni informatiche legate al patrimonio archeologico che troppo raramente nascono per impulso di singoli archeologi o istituzioni5, produce, inutile dirlo, un rallentamento negli stessi studi archeologici: per fare un esempio, solo con l’ausilio di un computer è oggi possibile studiare realmente la statica degli edifici romani6, e solo studiando la statica si possono acquisire conoscenze avanzate sulla tecnica edilizia. Tuttavia ancora oggi, al di là di GIS e database più o meno vasti e complessi pensati non di rado per scopi meramente amministrativi, il computer è considerato solo come uno strumento, un restitutore grafico che supporti chi vuole risparmiare tempo nel preparare adeguate tavole tecniche da allegare al testo. Sono trascorsi un paio di decenni da quando F. Giuliani scrisse che il “modello intellettuale italiano” è afflitto dalla “tara” per cui si è 3 4 5 6 REILLY P., “Towards a virtual archaeology”, in K. Lockyear, S. Rahtz (edited by), Computer Applications and Quantitative Methods in Archaeology 90, Oxford 1991. VANNINI G., “Informatica per l'archeologia o archeologia per l'informatica?”, in Archeologia e Calcolatori 11 (2000), pp. 311-315. O che, quando ciò avviene, rimangono chiuse negli hard disk dei ricercatori in attesa di, una volta “validate” e pubblicate, essere diventate obsolete e financo incompatibili con i nuovi sistemi. SAMUELLI FERRETTI A.,”Proposte per lo studio teorico-sperimentale della statica dei monumenti in opus caementicium”, in Materiali e Strutture. Problemi di conservazione 7, 2 (1997), pp. 63-84. 8 scelto che l’Archeologia fosse “cultura” nel senso crociano del termine, realizzando così l’equazione “letterario = cultura di serie A, tecnico = cultura di serie B (o non cultura)”7. All’interno della stessa informatica applicata all’archeologia si è pensato che vi fossero programmi/soluzioni di serie A (GIS, database, ecc.) e programmi/soluzioni di serie B (modellatori tridimensionali et similia). Questo perché sempre il modello intellettuale italiano di cui sopra preferisce parlare di “vicino” piuttosto che quantificare una distanza: perché 5 metri sono e saranno sempre 5 metri, mentre “vicino” concede la libertà di interpretazione, talmente libera e personale che lo si potrà considerare uguale al suo contrario. Ma la trowel per un archeologo è solo un mero strumento da guardare con scetticismo e cautela? Oppure è parte integrante del suo essere archeologo ed estensione fisica del suo braccio nel momento stesso in cui interviene sul terreno? Il computer al giorno d’oggi così dovrebbe essere considerato: parte integrante del lavoro sul campo. Noi archeologi, nel nostro quotidiano, utilizziamo i computer in qualsiasi occasione, in un mondo oramai completamente digitalizzato, completamente 2.0, perfino sulla strada del 3.0; quando invece vestiamo il camice della nostra professione, quasi regrediamo nel lavoro a tempi lontani da tali conquiste. Nel campo medico, per fare un esempio, gli “antichi strumenti” sono stati sostituiti da sofisticati macchinari all’avanguardia, appositamente progettati per aiutare i chirurghi ad “entrare” nel corpo umano sempre più in profondità ed in modo sempre meno invasivo, attraverso i bracci iperprecisi di un robot controllato in remoto tramite il joystick di una console dal nome italiano (DaVinci System, della Intuitive Surgical e dal modico costo di 1,42 milioni di dollari). Nel nostro campo invece, solo i vestiti ed il colore delle fotografie permettono di distinguere molti scavi moderni da quelli di fine ottocento8. Così, mentre ai medici viene insegnato ad usare strumentazione ad alta specializzazione ed i migliori sono anche in grado di progettarla (di concerto con gli ingegneri, s’intende), gli archeologi a fatica nei loro percorsi di studi universitari riescono a trovare moduli che insegnino la differenza tra GPS 7 8 GIULIANI C.F., L’edilizia nell’antichità, Roma 1998, p. 15. Esempio portato da A. D’Andrea a conclusione del suo intervento durante il seminario. 9 e GNSS (il lettore provi a rispondere prima di giungere al glossario di base in fondo al libro), per non parlare di sistemi a doppia frequenza e rover RTK (come prima). Le Università hanno vissuto e stanno vivendo un processo di licealizzazione sulla scorta di una errata interpretazione del concetto di accesso libero al sapere (sempre più nozionistico e sempre meno scientifico), con l’informatica nelle facoltà umanistiche ridotta al rango di idoneità, di “addestramento all’uso”, quando non equiparata alla ECDL, con chiara mortificazione del suo ruolo innovatore 9 che tanto ha migliorato la nostra vita in qualsiasi altro settore del quotidiano. Naturalmente non che si debbano progettare robot da scavo, sia ben chiaro: ma la difficoltà che trova l’archeologia a passare ad un flusso digitale nel trattamento delle informazioni generate è in alcuni casi disarmante. Nell’aprire i lavori del seminario, svoltosi nella prestigiosa sede di Palazzo Massimo alle Terme in Roma, il prof. Eugenio La Rocca ha ricordato come il considerevole numero dei progetti sottoposti all’attenzione del Comitato Scientifico evidenzi l’attualità di questo argomento nell’ambito delle ricerche archeologiche, e come il loro spaziare in quasi tutti i campi di applicazione dell’informatica applicata all’archeologia fornisca un taglio veramente molto ampio in grado di collegare fra di loro varie discipline archeologiche, come si conviene ad una scienza ancora giovane. Non posso che unirmi personalmente ai suoi saluti rivolti agli amici e colleghi del VHLab dell’ITABC-CNR, di FBK, di MIMOS, per il loro supporto tecnico-scientifico, oltreché a relatori e presenti in sala grazie ai quali è stato possibile un perfetto svolgimento di questo evento sulla metodologia nell’uso delle nuove tecnologie applicate all’archeologia, coniugato in senso scientifico per confrontarsi come ricercatori su queste tematiche ed in senso didattico per avvicinare ed aprire agli studenti questa “giovane” disciplina affinché si preparino al lavoro sul campo con un bagaglio tecnico-scientifico completo. 9 DE FELICE G., “Archeologia e informatica: una nuova prospettiva open”, in G. De Felice, M.G. Sibilano (a cura di), ArcheoFOSS, Open Source, Free Software e Open Format nei processi di ricerca archeologica, Atti del V Workshop (Foggia, 5-6 maggio 2010), Bari 2011, p. 7. 10 L’espressione di Totò che, di fronte la “scala etrusca”, chiese al “generale austriaco «Per andare dove dobbiamo andare, per dove dobbiamo andare?»”, ha fornito allo scrivente un input per l’apertura del Seminario: questa volta si voleva andare oltre le splendide caratteristiche di un sistema elettronico, le eccezionali performance di un software, gli algoritmi iperveloci o il framework che consente di ricostruire un vaso tridimensionale a partire dai pochi frammenti a nostra disposizione; si è partiti dall’inizio, cioè dal metodo che tutto può unificare, che può far dialogare una disciplina umanistica con una disciplina scientifica, quel metodo che rende valida una ricerca, perché non esistono risultati senza metodo. La scienza è metodo, dove non c’è metodo, non c’è scienza. Sarebbe come avere un risultato in matematica ma essere all’oscuro di come quel risultato è stato ottenuto, quali operazioni sono state fatte, quali algoritmi sono stati utilizzati. Anche per questo motivo e per la trasmissione in streaming sul web con la possibilità di partecipare via chatlive, il Seminario, benché fosse nella sua prima versione in duplice giornata e si sia avvalso quasi esclusivamente del social sharing per propagandare la sua esistenza, ha raccolto in pochissimo tempo oltre 200 richieste di partecipazione in sala e molti contributi sottomessi all’attenzione del Comitato Scientifico anche per la sessione poster. Sono state più di 300 (per un totale di oltre 700 contatti) le persone che partecipando dal vivo e collegandosi in diretta streaming hanno seguito i lavori. L’approdo finale di questo percorso sono sia l’integrale registrazione del Seminario visibile online sul web, sia questo volume, ideato con uno spirito scientifico e diffusivo: non la semplice pubblicazione di atti, ma un volume che coniughi rigore (tutti gli articoli sono passati attraverso una review gestita dal comitato scientifico) e diffusività; un volume che vuole essere una sede rilevante per i relatori, una fonte di spunti, di interesse, di lettura per pianificare future ricerche da parte di chi comincia oggi ad avvicinare quella che sarà sicuramente una disciplina fondamentale del futuro (starà a noi scegliere se rimanere provinciali nel nostro rifiuto10 o se cogliere la sfida e prepararci ai tempi che verranno). 10 D’ANDREA A., Documentazione archeologica, standard e trattamento informatico, Budapest 2006. 11 Aver puntato sul metodo prima che sui risultati non voleva essere un modo per definire degli standard (che, risottolineo, non sono da intendere come processo matematico sempre uguale a se stesso o come “certificazione ISO” ma nel senso umanistico del metodo che rende valido scientificamente uno studio), compito a cui sono deputati gruppi di ricerca internazionali, ma una sorta di antologia della conoscenza di base, delle forme e delle formule che tanti gruppi italiani (tra i quali rilevanti istituti come l’ENEA ed il CNR) hanno utilizzato con successo e dalle quali dunque partire come fossero il casello di una lunga autostrada. Da qui la scelta di rendere questo volume fruibile gratuitamente in download, con la possibilità di acquistare una copia cartacea presso Espera Libreria Archeologica di Roma che ne cura la stampa tipografica e la diffusione a scaffale. È in previsione una seconda edizione del testo che tenga in conto alcuni elementi aggiuntivi alla presente pubblicazione ma che sarà rilasciata soltanto in modalità elettronica, contestualmente alla disponibilità di una versione ePUB, fruibile cioè anche con lettori elettronici di ebook e mobile device. Con l’auspicio che questa decisione contribuisca a quella “fertilizzazione incrociata (del virtuale)” di cui grande lezione ha dato Davide Borra presidente di MIMOS nell’intervento di apertura della seconda giornata, “quella scelta libera di farsi influenzare positivamente dall’esperienza accumulata (e validata) in altre discipline”, per elevare a più alta qualità la gestione ma soprattutto lo studio dei Beni Culturali. SIMONE GIANOLIO 12 LAUS POMPEIA TRA SPAZIO REALE E SPAZIO VIRTUALE Fig. 1 Interfaccia utente dell’applicazione. IL PROGETTO Il progetto “Laus Pompeia tra spazio reale e spazio virtuale” è nato dall’esigenza di rendere fruibile l’importante e sconosciuto patrimonio archeologico della città romana di Laus Pompeia, localizzata dove ora sorge il centro urbano di Lodi Vecchio (Lodi). Tale patrimonio, sebbene ricco di dati e reperti provenienti da indagini archeologiche, ancora oggi non è disponibile al pubblico. La maggior parte delle evidenze, infatti, sono state rinvenute in occasione di scavi di emergenza o sorveglianze archeologiche, come avviene nel caso di contesti urbani; in mancanza di possibilità di recupero la maggior parte delle evidenze stesse sono state ricoperte, oppure rimosse dopo essere state documentate; molti dei reperti rinvenuti sono conservati in magazzini, in attesa di essere musealizzati. Date queste premesse, in accordo con la Soprintendenza per i Beni Archeologici, è nata l’idea di recuperare l’imponente patrimonio di dati relativi all’antico sito Laudense e renderlo pubblicamente fruibile attraverso uno strumento in grado di raccontare ciò che non è più visibile, seppur noto e documentato. L’uso dell’archeologia virtuale come strumento di comunicazione è sembrato essere il più efficace per tali finalità. Tale disciplina, infatti, permette di unire assieme qualità scientifica del dato archeologico con capacità di trasmissione del sapere: apprendimento, comunicazione e intrattenimento con impatto emotivo e cognitivo. Essa ci mette in grado di rendere accessibili e comprensibili al grande pubblico il contenuto culturale riducendo, grazie agli espedienti grafici e visivi, offerti dalle nuove tecnologie, quella differenza percettiva, di fronte ad un contesto antico, che esiste fra studioso e non addetto ai lavori. Infatti, il livello di distruzione apportato alla città romana di Laus Pompeia nelle epoche successive, che in taluni casi ci ha lasciato solo le fondazioni se non le sottofondazioni degli edifici1 come è chiaramente visibile nelle fotografie di scavo, era sicuramente un limite per la comprensione di ogni utente non specializzato in materia. Questa ulteriore difficoltà è stata grandemente superata grazie al confronto immediato tra le fotografie di scavo e le ricostruzioni tridimensionali che ha dato la possibilità a chiunque di visionare ciò che da solo non era neanche in grado di immaginare. “Laus Pompeia”, nasce quindi come alternativa alla visita di siti che presentano difficoltà o impossibilità d’accesso 2, “… spazio reale e spazio virtuale” vuole sottolineare proprio la differenza tra quello spazio reale che non esiste più, che non è accessibile ma soprattutto che non è 1 Su Laus Pompeia vd: JORIO 1993; AA. VV. 2004-2005; CADARIO 2008, pp. 15-28; Notiziario 1988-2006. 2 Sulle problematiche delle visite virtuali come alternativa all’accesso in contesti che presentano impossibilità o problematiche d’accesso si vedano le pubblicazioni del Virtual Heritage LAB dell’ITABC-CNR e in particolare le pubblicazioni relative all’esperienza nella Cappella degli Scrovegni (cfr. BORRA et alii 2002). 14 Fig. 2 Le fondazioni e le sottofondazioni dell’anfiteatro di Laus Pompeia. Fig. 3 Ricostruzione tridimensionale dell’anfiteatro di Laus Pompeia. 15 comprensibile, ed uno virtuale che invece ne conserva e ne riproduce tutto il potenziale informativo, anzi lo rafforza grazie al forte impiego dell’immagine, che è il valore aggiunto del “virtuale” il quale ne fa strumento diretto di comprensione. IL SUPPORTO DIGITALE Il progetto di Laus Pompeia, nato a scopo divulgativo e didattico, necessitava di un linguaggio comunicativo adatto ad un vasto pubblico e di un supporto digitale intuitivo che rendesse assimilabili i contenuti a chiunque, eliminando qualsiasi possibile differenza culturale, anagrafica e tecnologica dell’utenza. In questo caso la scelta è ricaduta sull’impiego di una piattaforma interattiva scritta in ambiente Flash® e basata su tecnologia touchscreen, dunque non particolarmente innovativa ma scelta proprio per la familiarità che il pubblico mostra verso questo tipo di applicazioni e per la sua intuitività che rende facile l’individuazione e l’accesso ai contenuti e piacevole la loro consultazione. La capacità, inoltre, di interagire con i contenuti, la possibilità di scegliere e di personalizzare la propria visita, offre un ruolo “attivo”, di partecipazione, dove il contenuto viene scelto in base ai propri interessi e al proprio background culturale riducendo al minimo il ruolo “passivo” dell’utente. Infine per quanto riguarda la presentazione dei contenuti la scelta è ricaduta su un linguaggio narrativo, basato su racconti, immagini, filmati, con diversi gradi di approfondimento. Ovviamente sebbene la previsione del “mezzo” di comunicazione vada prevista a monte del lavoro, l’immagine non è altro che il punto di arrivo del lavoro di ricerca dal quale essa dipende e basa la sua affidabilità scientifica. IL FLUSSO DI LAVORO Il lavoro di realizzazione della mappa è stato affrontato sviluppando alcuni punti chiave. 16 - Analisi dello stato dell’arte e contatti con la Soprintendenza - Raccolta ed elaborazione dei dati archeologici con la supervisione dell’ispettore di riferimento della Soprintendenza - Traduzione dei dati in linguaggio digitale - Scelta degli strumenti di comunicazione dei contenuti (immagini, filmati, 3D, ecc.) - Trasmissione dei contenuti basata su un approccio visuale e narrativo Dopo l’organizzazione della mostra “Dalla rimozione della memoria alla riscoperta. Indagini archeologiche a Laus Pompeia - Lodi Vecchio” e della relativa pubblicazione, si sentiva il bisogno da parte degli ambiti culturali locali di uno strumento che offrisse l’opportunità di raccogliere e rendere disponibile il patrimonio archeologico di Laus Pompeia. Inoltre, l’assenza di un museo archeologico e la frammentarietà delle pubblicazioni non consentiva di capire l’importanza della città antica nella sua totalità. Per raggiungere lo scopo desiderato, di fondamentale importanza è stato l’aiuto del funzionario di riferimento della Soprintendenza ai Beni Archeologici della Lombardia Stefania Jorio; sono stati messi a disposizione, infatti, dati difficilmente reperibili e contributi inediti provenienti dagli archivi e dalla biblioteca della Soprintendenza. È stata dapprima raccolta e poi vagliata tutta la documentazione relativa al territorio dell’antica Laus a partire dalle segnalazioni presenti tra Settecento e Ottocento fino a prendere in esame la carta archeologica contenente le acquisizioni e i dati scientifici derivanti dalle indagini più recenti. In accordo con il funzionario incaricato della Soprintendenza si è scelto di includere tra i contenuti da sviluppare le informazioni che si potessero localizzare puntualmente sulla mappa, consentendo di creare un’ipotesi dell’intero tessuto urbano dell’antica Laus Pompeia. Questi dati, inoltre, dovevano essere corredati da un sufficiente livello di documentazione grafica, scientifica e fotografica. Sono stati perciò esclusi diversi tipi di segnalazioni: notizie o fonti non confutabili e non utilizzabili per 17 la ricostruzione dell’impianto urbano, siti legati a ricerche antiquarie o tradizioni orali oppure ritrovamenti di scarso interesse per il pubblico o di difficile comprensione. L’estremo grado di distruzione subito dalla città romana ha reso molto difficoltoso trovare dati di prima mano (foto, rilievi da scavo) in grado di essere compresi dal grande pubblico, motivo per cui è stato svolto un lavoro di ricostruzione e ipotesi di resa dei dati tale da poter restituire un aspetto a contesti che, durante le indagini archeologiche, si presentavano come unità stratigrafiche in negativo, di distruzione o di asporto. Delle aree selezionate per comporre la mappa interattiva e rimaste in elenco è stato raccolto tutto il materiale disponibile edito ed inedito. Il testo è stato rivisitato e riscritto più volte in modo tale da portare il livello dell’informazione da un piano prettamente tecnico-scientifico ad uno divulgativo ed esplicativo, eliminando inutili tecnicismi per il fine del progetto ma mantenendo sempre il dato scientifico di base per ogni scheda realizzata. Questo passaggio è stato necessario per poter fornire uno strumento accessibile anche ai giovani se non addirittura ai bambini. Il risultato di tutto il lavoro si è tradotto nelle diverse schede dei rinvenimenti archeologici della città che hanno tratto informazioni, come già detto, da articoli, pubblicazioni e relazioni di scavo accuratamente vagliate. La stesura dei testi ha seguito un principio basilare, ovvero mostrare spazio e realtà dell’antica Laus solo dove era possibile tradurre il dato testuale in dato visivo attraverso un’attenzione ai criteri propri della disciplina archeologica e cercando di avere dati a sufficienza per favorire la comprensione del pubblico. La decisione di integrare le schede descrittive con accurate ricostruzioni tridimensionali nasce dall’esigenza, ormai diventata prassi comune, di utilizzare nuovi mezzi comunicativi per poter mostrare e raccontare il passato cercando di contestualizzarlo e ricollegarlo il più possibile con il presente. Le strutture degli edifici ricostruiti sono basate sulle planimetrie ricavate durante le numerose indagini svolte nel territorio in questione. So18 no state escluse quelle ricostruzioni e i dati che non avevano un grado di dettaglio sufficiente per consentirne il posizionamento e una sufficiente affidabilità scientifica. Per quanto riguarda l’integrazione è stato svolto uno studio di comparazione con esempi coevi di architetture superstiti. Facendo un esame sullo stato dell’arte delle città romane del nord Italia, sono state confrontate planimetrie, assetti urbani, posizione e aspetto degli edifici pubblici ed in particolare quelle dei teatri ed anfiteatri. Le città che si sono rivelate di maggior interesse e che sono state impiegate nello studio comparativo, al fine di ridurre al minimo il grado di approssimazione nelle ricostruzioni 3D, sono state quelle di Augusta Bagiennorum, Libarna, Hasta ed Alba Pompeia, quest’ultima fondata anch’essa, come Laus, da Pompeo Strabone secondo la critica3. Per la ricostruzione degli elevati ci si è affidati alle consulenze degli esperti della Soprintendenza ed ai principali testi di architettura romana4. Infine, le superfici ed i materiali costruttivi sono stati caratterizzati, nelle ricostruzioni, da uno stile neutro. Questa decisione, presa in accordo con i committenti, è stata scelta per poter rappresentare i volumi, rendendo chiara e diretta la lettura da parte del grande pubblico senza entrare troppo nel dettaglio dei materiali. Va infatti considerato che la pressoché assenza di alzati e paramenti ha impedito di raccogliere in modo adeguato immagini e informazioni sui materiali edilizi e decorativi che avrebbero altrimenti consentito una ricostruzione filologica più approfondita anche sull’aspetto esteriore di molti monumenti ed uno stile grafico più realistico. CONCLUSIONI Tutti i contenuti della mappa multimediale e interattiva sono stati ideati per fornire un quadro completo sulla città romana di Laus Pompeia. Le immagini di scavo e la scheda testuale consentono all’utente di entrare nella città romana attraverso la disciplina che l’ha riportata in lu3 4 PREACCO 2007. GROS 1996, TOSI 2003. 19 Fig. 4 Esempio di scheda con all’interno tutti i contenuti interrogabili. ce: l’archeologia; i testi e le foto dei ritrovamenti costituiscono il bene primario e unico sul quale è stato possibile realizzare ricostruzioni e ipotesi ricostruttive in tre dimensioni. L’apparato tridimensionale della scheda e gli short movie rappresentano un livello di coinvolgimento altamente divulgativo e didattico per lo spettatore; il filmato consente in poco più di due minuti di entrare nel contesto rappresentato dalla scheda in questione. Filmati e immagini 3D ricostruiscono e svelano l’aspetto originario del monumento o della zona presa in esame. L’approccio scelto fin dall’origine per la mappa di Laus Pompeia si è basato sulla risorsa economica che ha portato a scegliere una tecnologia low cost con una resa semplice e accessibile a chiunque ma nello stesso tempo si è scelto di mantenere integri i dati di alto livello scientifico acquisiti dalla Soprintendenza mettendo a disposizione dell’utente l’intero patrimonio scientifico di una città romana scomparsa. Il progetto “Laus Pompeia tra spazio reale e spazio virtuale” ha ottenuto ottimi riscontri sia da parte di un vasto pubblico che della comunità scientifica. Dalla data della sua prima presentazione nel 2010 ha ricevuto critiche, richieste e suggerimenti che, se da un lato hanno mostrato quali po20 trebbero essere le sue possibili evoluzioni ed implementazioni, dall’altro si sono concretizzate in progetti similari che ci hanno confermato che un nuovo approccio per una corretta valorizzazione e diretta comunicazione del patrimonio storico-archeologico è quello che passa attraverso le nuove tecnologie. ACKNOWLEDGMENTS Si ringrazia Stefania Jorio della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Lombardia, il Bibliotecario della Soprintendenza ai Beni Archeologici della Lombardia Maurizio Giacomin, la Fondazione della Banca Popolare di Lodi, Matteo Zampini. D. FERDANI, F. OLARI, F. MALARAGGIA [email protected] ABSTRACT Laus Pompeia tra spazio reale e spazio virtuale, è un progetto di archeologia virtuale finalizzato alla realizzazione di un’applicazione interattiva, uno strumento didattico e turistico per la valorizzazione e promozione del patrimonio archeologico del comune di Lodi Vecchio (LO), ovvero l’antica città romana di Laus Pompeia. L’applicazione prevede una mappa virtuale della città romana in cui sono stati ricollocati tutti i più significativi rinvenimenti archeologici documentati dall’inizio del secolo ad oggi ed attualmente non più accessibili al visitatore. Ad ogni sito sono stati associati contenuti che comprendono schede analitiche, ricostruzioni 3D, gallerie fotografiche e short movie. Ogni contenuto è frutto di un attento lavoro di raccolta, studio e analisi dei dati archeologici editi ed inediti svolto in collaborazione con la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Lombardia. BIBLIOGRAFIA BORRA et alii 2002: D. Borra, M. Forte, E. 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MR è il termine comunemente usato per riferirsi ad ambienti che combinano oggetti reali e virtuali con rappresentazioni visive dello spazio reale e virtuale (Fig. 1). Fig. 1 Mixed Reality ed Augmented Reality (SIGGRAPH 2000). Lo scopo principale di un sistema AR è quello di arricchire la visione dell’utente con informazioni addizionali, mediante la fusione di immagini tridimensionali di sintesi prodotte dal computer con immagini della realtà. Dato che l’utente di un sistema AR vede sia la realtà sia l’ambientazione virtuale, un sistema di questo tipo ha bisogno, per funzionare cor- rettamente, di una serie di “aggiustamenti” in più rispetto a quelli richiesti da un tradizionale sistema immersivo VR. In quest’ultimo infatti il solo requisito necessario è quello di presentare all’utente un’ambientazione di tipo virtuale, diversamente da un sistema AR in cui l’ambientazione virtuale deve essere combinata e correttamente allineata alla realtà, alla visione del mondo fisico. La mappatura (tracking) della posizione dell’utente e della prospettiva relativa al suo punto di vista, necessaria per sovrimporre informazioni all’immagine del mondo reale, è affidata a diverse tipologie di sistemi di tracking. Tra questi troviamo dispositivi ad ultrasuoni, meccanici, ottici, elettromagnetici e inerziali, tutti caratterizzati da sei gradi di libertà1. Tutti i processi relativi al conseguimento di un perfetto allineamento tra reale e virtuale vanno sotto il nome di “calibrazione di un sistema AR”. Un’altra importante tassonomia è quella riportata in figura 2 in cui sono descritti vari tipi di display: retinici, HMD, hand-held (smartphone, PDA, tablet), spatial see-through, Shader Lamps. Fig. 2 Tassonomia di BIMBER-RASKAR 2005. 1 KLINKER-WAGNER 2004. 24 In figura 3 è riportato un esempio di “spatial see-through” display realizzato da Dimensional Media Associates in uso presso il Laboratorio di Olografia dove viene visualizzata in aria la testa di Costantino scansionata mediante un laser scanner dal Laboratorio di Visione Artificiale. Entrambi i laboratori sono nel Centro Ricerche ENEA di Frascati. Fig. 3 Visualizzazione in aria della testa di Costantino. LA LIBRERIA ARTOOLKIT Brevemente si illustra la libreria Open Source ARToolKit per la Augmented Reality. Il tracking 3D ottico in generale, ed in particolare quello operato da ARToolKit, può essere suddiviso in due fasi principali: 1. Elaborazione dell’immagine per estrarre informazioni 2. Camera Pose Estimation Il “Camera Pose Estimation” determina la posizione e l’orientamento di una videocamera calibrata in un sistema di riferimento tridi25 mensionale noto ed è essenziale per il cosiddetto problema della registrazione nella AR. Gli oggetti virtuali e quelli del mondo reale devono essere correttamente allineati tra loro e questo richiede la conoscenza della posizione della camera. Una stima accurata dei dati 3D della posizione influisce pesantemente sull’accuratezza e le prestazioni di visualizzazione degli oggetti virtuali nello spazio AR. Il calcolo della posizione della camera è basato sull’estrazione di primitive geometriche che consentono di far coincidere i punti 2D estratti dall’immagine con i punti 3D noti dell’oggetto. L’aggiunta di marker nella scena aiuta fortemente in entrambi i passi: i marker costituiscono caratteristiche della scena facili da estrarre e forniscono misure affidabili e semplici da utilizzare per la fase di Pose Estimation. Per fare ciò, esistono due tipi di marker: il primo è quello dei c.d. “point fiducial” perché ogni marker di questo tipo fornisce un punto di corrispondenza tra l’immagine e la scena. Per ottenere più informazioni da ogni marker è possibile utilizzare quelli del secondo tipo, i cosiddetti “planar fiducial”: uno solo di questi marker fornisce tutti i sei vincoli spaziali necessari a definire un sistema di coordinate. ARToolKit è una collezione di librerie C/C++ che può essere usata per calcolare in tempo reale la posizione e l’orientamento della camera relativamente ad un marker fisico. Questo consente il facile sviluppo di svariate applicazioni di AR. ARToolKit è stato sviluppato da H. Kato and M. Billinghurst presso l’università di Washington e viene distribuito gratuitamente per usi non commerciali e applicazioni di ricerca. Può essere utilizzato sui sistemi operativi SGI IRIX, Linux, Mac OS X e Windows (95 / 98 / NT / 2000 / XP) e proprio tale caratteristica ha dettato la scelta di questa libreria contro altre librerie di tracking come MXR Toolkit. La versione attuale di ARToolKit supporta sia la “Video See-Through” sia la “Optical See-Through” AR. Nella “Video See-Through” AR un’immagine virtuale viene sovrapposta ad una ripresa video live del mondo reale. 26 L’alternativa è la “Optical See-Through” AR, in cui l’immagine virtuale viene sovrapposta direttamente ad una vista del mondo reale. In questo caso si hanno procedure più complicate per la calibrazione della camera. I marker utilizzati da ARToolKit sono formati da un quadrato con un bordo nero, contenente un’immagine ben definita. Oltre ad alcuni marker standard è possibile registrare, tramite un’apposita procedura, nuovi marker che verranno poi riconosciuti dalla libreria. ARToolKit usa OpenGL per la parte di rendering, GLUT per l’aspetto di gestione degli eventi e delle finestre, librerie video dipendenti dall’hardware e API standard su ciascuna piattaforma. La figura 4 riassume le relazioni tra l’applicazione, ARToolKit e le librerie dipendenti. Fig. 4 Architettura di ARToolKit. Si illustrano di seguito i passi che compongono il tracking con ARToolKit: 1. La camera cattura un video del mondo reale e lo invia al computer 2. Ogni frame del video viene trasformato in un’immagine a due soli colori (bianco e nero) in base ad un valore di threshold della luminosità 27 3. Il software cerca in questa immagine tutte le forme quadrate: in questa fase ARToolKit trova tutti i quadrati presenti nell’immagine, molti dei quali non sono marker 4. Per ogni quadrato si analizza il pattern in esso contenuto confrontandolo con le immagini di tutti i marker validi 5. Se c’è una corrispondenza, ARToolKit usa la dimensione e l’orientamento del pattern per calcolare la posizione della camera relativamente a quella del marker: viene creata una matrice 3x4 contenente le coordinate della camera espresse nel sistema di coordinate del marker 6. Si utilizza la matrice precedentemente creata per determinare la posizione del sistema di coordinate della camera 7. Una volta determinata la posizione della camera, vengono usate le API OpenGL per determinare il sistema di coordinate della camera e disegnare il modello 3D in quella posizione 8. Il modello viene disegnato sopra il video del mondo reale, quindi appare “incollato” al marker 9. L’output finale viene mostrato sul display e l’utente vede il modello 3D sovrapposto al mondo reale In figura 5 viene riportata una rappresentazione grafica che illustra il flusso di tracking appena descritto. Fig. 5 Schema del flusso di tracking di ARToolKit. 28 La libreria ARToolkit gestisce il linguaggio VRML e lo utilizza per la visualizzazione di animazioni. Entrando nello specifico di questa libreria, tra i vantaggi si possono notare anche la semplicità d’uso, la gratuità del software e l’utilizzo di hardware poco costoso (è necessaria una semplice webcam) mentre tra gli svantaggi si ha il calo delle prestazioni al crescere del numero dei marker presenti nella scena. IL SISTEMA ARCHEOGUIDE Esistono molti sistemi per l’osservazione dei resti nei siti archeologici con una sovrapposizione della ricostruzione degli stessi. Si consideri il Progetto ARCHEOGUIDE (Augmented Reality based Cultural Heritage On-site GUIDE). Il sistema viene usato come una guida personalizzata in grado di fornire informazioni multimediali ai visitatori adattandosi alle loro caratteristiche e adeguando la visione alla loro posizione rispetto ai ruderi (Fig. 6). Tale sistema si avvale della fusione di tecniche sperimentate in diversi campi, utilizzando un sistema ibrido di orientamento e di posizionamento per generare rappresentazioni virtuali sovrapposte alla realtà, con sistemi avanzati di rendering su modelli 3D tramite VRML, mentre il collegamento della periferica, indossata dall’utente (Fig. 7) è stato realizzato tramite tecniche avanzate di wireless Lan. Il progetto è stato frutto della sinergia di un consorzio di organizzazioni e aziende Europee, tra cui la Intracom S.A. (Grecia), il Fraunhofer Institute of Computer Graphics (IGD) (Germania), il Computer Graphics Center (ZGDV) (Germania), il Centro de Computação Gráfica (CCG) (Portogallo), l’A&C 2000 (Italia), la Post Reality (Grecia) e il Ministero della Cultura (Grecia) ed ha usufruito di un finanziamento nel programma quadro EU IST (IST-1999-11306). L’antica Olimpia, in Grecia, è stato il primo sito archeologico dove si è sperimentato il sistema in occasione delle Olimpiadi di Atene nel 2004. 29 IL SISTEMA ARAS La filosofia adottata per il nostro prototipo è completamente differente dal sistema ARCHEOGUIDE. L’attenzione è focalizzata sull’individuo-visitatore, che diventa protagonista dell’azione: possiamo parlare di “camminata aumentata” intesa come camminata nella scena per punti discreti. All’interno del sito archeologico, lungo un percorso prestabilito, verranno posizionati alcuni supporti rimovibili e “mimetizzati” con l’ambiente (ad esempio, piccole colonne), su cui saranno montate postazioni di AR (Fig. 8). Il visitatore potrà camminare nel sito senza dover trasportare zaini o indossare occhiali e, arrivato alla postazione per la realtà aumentata, potrà decidere se guardare attraverso questa “finestra del tempo” per tornare indietro di millenni. In questo modo si determina una “camminata virtuale” in cui l’attore è colui che visita il sito archeologico e la tecnologia necessaria a realizzare il “viaggio nel tempo” non è prepotentemente visibile come nel caso dei sistemi HMD. I sistemi basati sulla tecnologia HMD costringono il visitatore a indossare una serie di strumenti che consentono di vedere la ricostruzione dell’ambiente che lo circonda. Nella realizzazione del nostro progetto siamo partiti da alcune considerazioni: la strumentazione utilizzata è ingombrante e non è di facile utilizzo per alcune categorie di visitatori quali anziani e portatori di handicap; non è detto che il visitatore voglia immergersi continuamente nella ricostruzione virtuale tramite HMD. Per rilevare una prima approssimazione della posizione del visitatore viene utilizzato un segnale GNSS che, in alcuni momenti, potrebbe non essere ricevuto dando luogo ad una perdita della visualizzazione. Da questi punti di partenza ha preso le mosse l’idea di realizzare un sistema facilmente fruibile a chiunque decida di visitare il sito archeologico e soprattutto “mimetizzato” nell’ambiente circostante. L’intento è non costringere il visitatore a distaccarsi completamente dal mondo reale del “qui e ora”, ma consentirgli di avvicinarsi al mon30 Fig. 6 Architettura del sistema ARCHEOGUIDE. do virtuale del “qui ma tanti anni fa” con dolcezza e assaporando il gusto del viaggio nel passato solo per il tempo che desidera. I vantaggi per i visitatori sono evidenti. L’utente può crearsi un suo percorso nel sito archeologico e il sistema gli fornisce informazioni aggiuntive utili a risvegliare interesse, curiosità e piacere della scoperta. Utilizzando questa tecnica tutti i visitatori beneficeranno del materiale supplementare e saranno portati ad approfondire l’argomento grazie a questa combinazione di istruzione e di intrattenimento (edutaiment). La possibilità di interazione con il sistema consente al visitatore di svolgere una parte attiva in questo viaggio attraverso la storia e, come molti studi hanno dimostrato, le cose in cui si ha una partecipazione attiva sono più facili da ricordare. 31 In molti siti archeologici inoltre ci sono edifici chiusi al pubblico per evitare la loro totale distruzione. L’uso di modelli 3D rende possibile riaprire virtualmente questi luoghi, dando al visitatore una “vista a raggi X” e contribuendo a mantenere l’edificio nel proprio stato originale. L’integrazione delle testimonianze archeologiche e la loro ricostruzione virtuale permettono al visitatore di percepire l’antico spazio architettonico, non solo in modo suggestivo, ma anche in modo critico. Fig. 7 Utente – Sistema “ARCHEOGUIDE”. Fig. 8 Postazione – Sistema “ARAS”. Il progetto ARAS integra componenti virtuali e reali e prevede il posizionamento all’interno del sito archeologico di alcune postazioni per la Augmented Reality costituite, come detto, da piccole colonne ispirate all’ambiente circostante, su cui saranno montati i telescopi AR per la visualizzazione. Tali telescopi AR non saranno fissi, ma potranno muoversi su un perno e saranno muniti di giroscopi in grado di rilevarne il movimento. Per mostrare le potenzialità di applicazione del progetto ARAS è stato realizzato un plastico di un sito archeologico munito di appositi supporti per posizionare le videocamere che simulano i telescopi AR sul quale abbiamo sovrapposto i modelli virtuali della ricostruzione 3D del tempio di Giove e di un particolare della ricostruzione 3D della Casa del Fauno (Figg. 9, 10, 11). Tali modelli sono stati forniti dalla società Virtualand s.a.s., che ha realizzato “Virtual Pompei”. 32 Fig. 9 Plastico realizzato per esemplificare i risultati ottenibili con ARAS. Uno degli aspetti principali nello sviluppo di questo progetto è stato quello di garantire il minimo impatto visivo delle strutture necessarie al funzionamento del sistema nell’ambiente circostante. Per limitare l’invasività delle strutture da inserire nel sito archeologico, siamo arrivati alla soluzione proposta in questo progetto, la quale è costituita essenzialmente da due elementi: Le postazioni di AR formate da colonne rimovibili (che si integrano perfettamente con l’ambiente circostante, senza infastidire l’utente con strutture sgradevoli alla vista) e telescopi AR montati su un perno e muniti di giroscopi, che possono essere orientati per consentire al visitatore di cambiare l’inquadratura degli oggetti “Assenza di marker” da posizionare nella scena In particolare è bene soffermarsi proprio “sull’assenza di marker” da posizionare esplicitamente nella scena. Come già discusso, la libreria ARToolKit utilizza i marker per stabilire l’esatta posizione delle ricostruzioni da visualizzare. 33 Naturalmente la stima della posizione dei marker rispetto alla videocamera deve essere effettuata ad ogni frame. Inoltre, l’utilizzo di una tale tecnologia in un ambiente esterno in cui sono presenti contemporaneamente più visitatori porta a fenomeni di cambiamento di luminosità e occlusione dei marker che impediscono la corretta visualizzazione dell’ambiente aumentato. L’idea che viene introdotta con il progetto ARAS è quella di aggirare parzialmente la fase di riconoscimento del marker introducendo un passo preliminare: la memorizzazione di una posizione iniziale della videocamera rispetto al marker. Inoltre il marker utilizzato non sarà una figura estranea al paesaggio, ma una parte integrante di esso: si possono usare a tale scopo proprio i cartelli recanti i dati storici che di solito affiancano i monumenti, modificandoli in modo da renderli adatti ad essere riconosciuti come marker. In questo modo gli unici dati di cui si ha bisogno sono la posizione iniziale e gli spostamenti della videocamera registrati tramite i giroscopi ed è possibile evitare di stimare la posizione della videocamera ad ogni frame. Chiaramente questo approccio mette al sicuro dalla mancata visualizzazione dipendente sia da fenomeni di occlusione sia dai cambiamenti di luminosità. Un altro importante elemento da considerare è l’utilizzo dei file VRML: grazie a questo linguaggio è possibile generare una vera e propria vita virtuale utilizzando le animazioni, in modo da creare un maggior coinvolgimento emotivo dell’utente che visita il sito archeologico. Il visitatore infatti si potrà trovare di fronte alla ricostruzione di scene di vita all’interno dei luoghi che sta osservando e questo consentirà una maggiore partecipazione: non si tratterà più di osservare un luogo, ma ma si forniranno elementi per renderlo vivo e inserirlo in un contesto più ampio. Nelle figure 9, 10 e 11 i modelli sovrapposti al plastico non sono in scala, ma la registrazione precisa tra spazio reale e spazio virtuale permette di posizionare i modelli virtuali aventi la posizione, l’orientamento 34 Fig. 10a Part. Casa del Fauno (vista A). Fig. 10b Part. Casa del Fauno (vista B). Fig. 10c Part. Casa del Fauno (vista C). Fig. 10d Part. Casa del Fauno (vista D). Figura 11a Tempio di Giove (vista A) Figura 11b Tempio di Giove (vista B) Figura 11c Tempio di Giove (vista C) Figura 11d Tempio di Giove (vista D) 35 e la dimensione esatta rispetto alle varie postazioni di Augmented Reality del sito archeologico reale. CONCLUSIONI E SVILUPPI Il nostro principale obiettivo è stato quello di sviluppare un’applicazione in grado di sostituirsi ai sistemi di guida indossabili e portatili anche tecnologicamente più avanzati di quelli descritti nel progetto ARCHEOGUIDE e di fornire ai visitatori una ricostruzione dei monumenti che stanno osservando. Il nostro lavoro mira a restituire centralità all’utente-visitatore, consentendogli di visitare liberamente il sito senza dover trasportare apparecchiature ingombranti e decidendo se e quando soffermarsi a guardare le ricostruzioni dei monumenti. Per fare ciò sono stati inizialmente esplorati i risultati già raggiunti dalla comunità di ricerca nei campi della VR e della AR e successivamente sono state selezionate le tecniche e gli strumenti che, secondo noi, meglio si adattano allo scopo della nostra ricerca. Al contrario di quanto accade nei principali sistemi di guida del tipo ARCHEOGUIDE anche se tecnologicamente più avanzati, più performanti e più leggeri, si è focalizzata l’attenzione sul visitatore, realizzando di conseguenza un sistema fruibile da ogni categoria di utente. Durante questo viaggio teorico e pratico nel mondo della AR non sono mancate le idee che aprono le porte agli sviluppi futuri che brevemente esponiamo: Si può arricchire l’applicazione integrando la visualizzazione delle ricostruzioni dei monumenti con una descrizione vocale che consenta al visitatore di cogliere i particolari della scena che sta osservando e fornisca dati storici o elementi di interesse Si può implementare il software per PDA, tablet e smartphone Si può sviluppare un’applicazione analoga per strutture museali. I reperti del Museo possono essere presentati, oltre che con la tecnologia della VR, anche con quella della AR in modo che l’utente 36 possa “tenere in mano” un oggetto artistico ed osservarlo da varie angolazioni ACKNOWLEDGEMENTS Si ringrazia la Virtualand s.a.s., che ha realizzato “Virtual Pompei”, per aver fornito i modelli delle ricostruzioni 3D del Tempio di Giove, del tempio di Minerva e di un particolare della Casa del Fauno. VINCENZO FIASCONARO(1); SIMONA GUIDUCCI(2) (1) ENEA UTICT-HPC; (2) Ospite ENEA ABSTRACT The system ARAS (Augmented Reality of Archaeological Sites) requires that, inside an archaeological site, along a pre-arranged path, a new kind of telescopes where the real sight is superposed by virtual objects (AR telescopes) will be positioned and “camouflaged” with the environment (for instance, small columns). Easy to use like a common telescopes, they allow the projection of contextual information on the viewer’s field of vision. The result is an amalgamation of reality and virtuality. Il sistema ARAS (Augmented Reality of Archaeological Sites) richiede che, in un sito archeologico, entro dei cammini prefissati, siano posizionati dei telescopi di nuovo tipo (telescopi AR) mimetizzati nell’ ambiente (per esempio, colonnine) in cui alla vista reale vengono soprapposti oggetti virtuali. Facili da usare come dei comuni telescopi, essi permettono la proiezione di informazione contestuale nel campo di vista dell’osservatore. Il risultato è un’amalgama di realtà e virtualità. BIBLIOGRAFIA ARToolKit Developer Homepage, http://sourceforge.net/projects/artoolkit/ BIMBER-RASKAR 2005: O. Bimber, R. Raskar, Spatial Augmented Reality Merging Real and Virtual Worlds, A K Peters LTD publisher, Natick 2005. http://140.78.90.140/medien/ar/SpatialAR/download.php CAPUCCI 1993: P.L. Capucci, Realtà del Virtuale. Rappresentazioni tecnologiche, comunicazione, arte, Clueb, Bologna 1993. CONTI 2002: G. 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La fotogrammetria, “scalata” a dimensioni dell’ordine del mm, è stata precedentemente applicata per il controllo di stress meccanici e termici nell’ambito dell’industria meccanica ed elettronica1; il medesimo approccio è stato seguito nell’ambito dei Beni Culturali per la ripresa di particolari di superfici, oppure di oggetti di dimensioni limitate fino a poche decine di centimetri. La metodologia, che prende il nome di “microfotogrammetria”, è stata messa a punto dall’ICVBC di Firenze in collaborazione con la ditta Menci Software di Arezzo2 e in analogia alla fo- Fig. 1 La tripletta di immagini che darà origine alla nuvola di punti RGB. 1 2 TUTSCH et alii 2001; HEMMLEB et alii 1996. P. TIANO et alii 2008; P. TIANO et alii 2009. togrammetria classica permette di ottenere una nuvola di punti RGB acquisendo tre immagini digitali definite “tripletta” (Fig. 1), riprese da angolazioni diverse, della stessa porzione di superficie utilizzando una comune macchina digitale reflex precedentemente calibrata. Le dimensioni delle superfici acquisite possono variare da un minimo di 2 cm2 ad un massimo di 20 cm2, in funzione della distanza di ripresa. Il sistema è costituito da una barra motorizzata lunga 260 mm, lungo la quale, opportunamente agganciata ad una slitta mobile, scorre la macchina fotografica digitale reflex Canon EOS 400D (sensore CMOS da 10 MegaPixel) equipaggiata con obiettivo macro Canon EF-S 60mm (Fig. 2). Il sistema è gestito in remoto da un software dedicato. Per ovviare alla riduzione della profondità di campo – con l’obiettivo specifico si può lavorare in un intervallo di profondità di circa +/- 2 cm – si imposta la macchina con un’apertura del diaframma superiore a f/13. Durante l’acquisizione, la messa a fuoco viene valutata in automatico sulla posizione centrale della strisciata e successivamente è posta in modalità manuale per non incorrere in differenze tra il primo scatto e quelli successivi. Individuata l’area di indagine, è possibile effettuare una valutazione automatica della distanza tra il sensore della camera e l’area di acquisizione, il softFig. 2 Il metodo micro-fotogrammetrico. ware indica la distanza ideale tra gli scatti; tale valore risulta essere 1/20 della distanza di ripresa. Il programma suggerisce di default un rapporto Baseline/Distanza di 1/10. Impostate le caratteristiche di ripresa, il sistema produce tre scatti dell’area interessata, da sinistra a destra e simmetrici rispetto allo scatto centrale; la camera scorre lungo la barra e le riprese risultano tra loro pa41 rallele: questa caratteristica, intrinseca del sistema, non permette quindi di acquisire immagini convergenti. Le immagini vengono successivamente esportate per poter essere elaborate, tale processo di elaborazione si basa su quattro diverse operazioni: 1. Eliminazione delle distorsioni geometriche ed ottiche attraverso i dati contenuti nel certificato di calibrazione della camera 2. Selezione dell’area di interesse, ad esempio un particolare della superficie ripresa 3. Definizione del valore di risoluzione (impostando un valore di risoluzione pari a 5, un punto dello spazio vettoriale è ricostruito ogni 5 pixel della immagine) 4. Generazione del modello tridimensionale a nuvola di punti, attraverso uno specifico algoritmo Il modello viene ricostruito in scala 1:1 con la stessa unità di misura impostata durante la fase di acquisizione, questo è possibile avvalendosi della conoscenza esatta del punto di ripresa e degli angoli di ciascuna presa. L’uso della barra motorizzata – motore passo-passo – garantisce l’affidabilità delle grandezze predette; punti di controllo, opportunamente scelti, acquisiti con altre metodologie di rilievo, possono essere sfruttati durante la ricostruzione. Al modello generato può essere associata una texture che permette una chiara lettura delle informazioni relative al colore e alle caratteristiche di rugosità superficiale dell’area indagata (stato di conservazione). Al fine di valutare il grado di precisione del sistema micro-fotogrammetrico sono stati eseguiti test di laboratorio su provini di riferimento certificati e confrontando la ricostruzione di profili di superfici reali con altre tecniche consolidate (profilometro meccanico). I risultati portano a dedurre che i modelli generati hanno una precisione di circa ±20 μm sul piano della superficie e di ±50 μm nella direzione normale. La scelta di utilizzare dispositivi commerciali, permette l’utilizzo di obiettivi di lunghezza focale diversa; l’impiego di un obiettivo 28mm, ad 42 esempio, permette la ricostruzione di aree più grandi, che possono essere a loro volta mosaicate all’interno di un unico modello. Sul modello prodotto, individuato un piano di riferimento (UCS, User Coordinate System) attraverso una semina di punti sulla superficie, viene generato il DEM (Digital Elevation Model) ovvero la rappresentazione cromo-altimetrica raster della distribuzione delle quote di una superficie, relativamente all’UCS corrente (Fig. 3 in fondo al testo). Le quote massime e minime del pattern superficiale, vengono rappresentate in una scala cromatica che va, rispettivamente, dal rosso al blu. Le singole acquisizioni, anche se effettuate con obiettivi diversi, possono essere tra loro sovrapposte: ad esempio è possibile inserire un’area indagata con l’obiettivo macro da 60mm su un’area più ampia acquisita con il 28mm, oppure sovrapporre la stessa zona acquisita in tempi diversi – prima o dopo un trattamento di pulitura – per effettuare un’analisi comparativa. L’estrazione di profili della superficie è possibile identificando sul DEM la retta di generazione. I dati acquisiti possono essere poi esportati in formato testo. Il sistema descritto viene attualmente impiegato per il monitoraggio di superfici di interesse storico-artistico al fine di evidenziarne alterazioni geometriche e colorimetriche indotte sia da fenomeni naturali e variazioni climatiche dell’ambiente, sia da trattamenti conservativi e/o interventi di restauro. Proprio dall’esigenza di valutare fenomeni di alterazione superficiale, nasce la nostra prima esperienza in campo archeologico su la “Tomba della Scimmia”, ipogeo artificiale etrusco (VI sec. a.C.) compreso nella necropoli di Poggio Renzo a Chiusi (SI). In questo contesto il monitoraggio era mirato al controllo del degrado superficiale delle pitture parietali della tomba soggette a varie forme di degrado (biologico, chimicofisico). 43 MATERIALI E METODI Il metodo micro-fotogrammetrico è qui proposto per il rilievo delle caratteristiche morfologiche di tre reperti archeologici: - Un frammento di crogiolo utilizzato per la raffinazione del rame databile all’Eneolitico iniziale e proveniente dagli scavi di Neto, Sesto Fiorentino (Fig. 4) - Una lesina in rame recuperata durante gli scavi dell’insediamento Campaniforme di Querciola a Sesto Fiorentino - Un’ascia in rame proveniente dall’insediamento eneolitico di San Lorenzo a Greve, Firenze 3 Fig. 4 Da sinistra a destra, rispettivamente, frammento di crogiolo, lesina il rame e ascia in rame. La ricostruzione dei modelli per gli oggetti sopra descritti è avvenuta utilizzando uno speciale piatto rotante. Ad un cavalletto fotografico viene applicata una testa panoramica (Manfrotto 300N) sulla quale è possibile direttamente leggere ed impostare l’angolo di rotazione tra uno scatto ed il successivo. Sulla testa è avvitato un piatto metallico con un diametro pari a 30 cm, sul quale viene appoggiato l’oggetto che si desidera acquisire; posizionata la camera e scelto il grado di rotazione, si comincia a scattare le immagini dell’oggetto ruotando il piatto a 360° (Fig. 5). Questo permette di rilevare oggetti complessi senza dover riposizio3 ARANGUREN et alii 2007. 44 nare la camera e l’oggetto ad ogni scatto. Acquisite le immagini necessarie alla ricostruzione (il progetto di presa varia a seconda delle dimensioni dell’oggetto), si procede alla creazione del modello (Fig. 6). Se da una parte il programma fornisce la possibilità di allineare automaticaFig. 5 Acquisizione con il piatto rotante. mente le singole acquisizioni in maniera veloce e precisa, la fase successiva di trimming delle singole acquisizioni risulta estremamente difficoltosa. Questo problema può essere ovviato ricorrendo all’utilizzo di altri programmi, completamente gratuiti, come ad esempio MeshLab. La necessità di dover utilizzare programmi diversi apre la problematica della compatibilità tra i vari formati: il software Zscan per la generazione dei modelli, impiega un formato proprietario (.vtp) non riconosciuto da altri software di gestione e visualizzatori più comuni. Per ovviare a questo problema i singoli modelli devono essere esportati in più comuni formati tridimensionali per la rappresentazione di mesh (.ply), operazione questa che comporta un notevole dispendio di tempo. CONCLUSIONI Il metodo micro-fotogrammetrico presenta delle peculiarità – facilità di acquisizione delle immagini, velocità di restituzione del modello, portabilità del sistema, basso costo – che lo rendono una interessante alternativa ai consolidati sistemi a laser scanner anche se con prestazioni ridotte. In ambito archeologico può essere impiegato sia come strumento per la documentazione (anche in situ), sia per la valutazione dello stato di conservazione, che per il monitoraggio di superfici soggette ad interventi di restauro. 45 La possibilità di indagare metricamente la superficie, può costituire un utile strumento per l’identificazione delle tracce di lavorazione, permettendone l’analisi morfologica (Fig. 7). Fig. 7 A sinistra il particolare di una superficie marmorea con tracce di lavorazione, a destra il profilo morfologico della lavorazione. Al fine di minimizzare i problemi riscontrati sia in fase di acquisizione che in fase di generazione dei modelli, è in corso la messa a punto di un protocollo per ridurre al minimo tali problematiche ed ottimizzare le procedure di acquisizione e di restituzione. Il metodo proposto, per la possibilità di fornire informazioni metriche delle superfici investigate, può integrare l’insieme degli strumenti per la diagnostica, unendo allo stesso tempo l’utilità legata alla documentazione fotografica. Questo è lo spunto per proporre un database ad accesso diversificato in ambito archeologico: uno “comune” per un’utenza interessata ad avere informazioni storico artistiche sull’oggetto, ed uno “professionale” per un’utenza “consapevole” per gli addetti ai lavori (archeologi, restauratori e scienziati). Sperimentazioni su oggetti diversi da quelli trattati in questa sede, hanno messo in luce la difficoltà di acquisizione di alcuni materiali particolarmente riflettenti, come ad esempio l’oro e il marmo, e oggetti con 46 caratteristiche morfologiche complesse, dovute alla presenza di manici o colli. Particolare attenzione, quando questo sia possibile, va posta nell’allestimento del set di ripresa (esposizione, posizionamento dell’oggetto sul piatto rotante). RINGRAZIAMENTI Il lavoro è stato parzialmente finanziato dal Progetto TeCon@BC (cod. 57476), della Regione Toscana, bandi POR-FESR 2007-2013, Attività 1.1 – Linea di intervento D. Si ringraziano Lucia Sarti dell’Università di Siena, Biancamaria Aranguren e Paola Perazzi della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana per aver messo a disposizione i reperti archeologici, e Piero Tiano dell’Istituto per la Conservazione e Valorizzazione dei Beni Culturali per i suoi preziosi suggerimenti. R. MANGANELLI DEL FÀ (*), P. PALLECCHI (°), C. RIMINESI (*) (*) CNR-ICVBC – Istituto per la Conservazione e la Valorizzazione dei Beni Culturali, Via Madonna del Piano, 10 – 50019 Sesto Fiorentino (FI); e-mail: (manganelli, c.riminesi)@icvbc.cnr.it (°) Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana, Largo del Boschetto, 3 – 50143 Firenze e-mail: [email protected] ABSTRACT Il metodo micro-fotogrammetrico, basato sui principi della fotogrammetria classica, permette di generare un modello 3D misurabile, di piccole porzioni di superficie, o manufatti di dimensioni limitate, mediante la sovrapposizione di immagini digitali acquisite da un sistema fotografico. La tecnica, totalmente non invasiva, è attualmente impiegata per la valutazione dello stato di conservazione e il monitoraggio degli interventi di restauro nell’ambito dei Beni Culturali. La peculiarità di ottenere un modello digitale vettoriale è quella di ottenere dei modelli misurabili degli oggetti ripresi. La generazione di nuvole di punti RGB con tempi, oneri computazionali e costi ridotti, candida questa metodologia di rilevazione 3D alla realizzazione di cataloghi per la documentazione di manufatti storico-artistici – in particolare di oggetti archeologici – come un’alternativa a sistemi che impiegano laser scanner a triangolazione. 47 BIBLIOGRAFIA APOLLONIA et alii 2007: L. Apollonia, L. Monteldo, R. Picco, P. Salonia, “Innovative systems for assisted analysis and diagnosis,” in Proceedings of the XXI CIPA International Symposium “AntiCIPAting the future of the cultural past”, Athens, Greece, 1-6 Oct. 2007 (International Archives of the Photogrammetry, Remote Sensing and Spatial Information Sciences, Vol. XXXVI, Part 5/C53, 2007. http://cipa.icomos.org/text%20files/ATHENS/FP017.pdf ARANGUREN et alii 2007: B. Aranguren, P. Perazzi, G. Giachi, M. Mariotti Lippi, C. Minniti,M. Mori Secci, E. Pacciani, P. Pallecchi, “Firenze. S. Lorenzo a Greve: l’insediamento eneolitico”, in Notiziario della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana 3 (2007), pp. 76-99. HEMMLEB-ALBERTZ 1996: M. Hemmleb, J. Albertz, “Digital microphotogrammetry with the scanning electron microscope”, in International Archives of Photogrammetry and Remote Sensing. Vol. XXXI, part. B5, Vienna 1996. SALONIA et alii 2008: P. Salonia, T. Leti Messina, A. Marcolongo, A. Pozzi, S. Scolastico, “A multimedia application for exploitation and virtual fruition of ancient archeological artifacts: the experience of the 2nd century roman Balteus of Aosta,” in Proceedings from The 14th International Conference on Virtual Systems and MultiMedia, VSMM 2008, Cipro 2008. http://vsmm2008.euromed2010.eu/vsmm2008/e_Proceedings/papers/projectpape rs.pdf#page=163 SALONIA et alii 2009: P. Salonia, A. Scolastico, A. Marcolongo, T. Leti Messina, A. 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TUTSCH et alii 2001: R. Tutsch, R. Ritter, D. Ispas, M. Petz, L. Casarotto, “Microphotogrammetry for 3D strain measurement and microassembly control”, in C. Gorecki, W.P.O. Werner (edited by) Microsystems Engineering: Metrology and Inspection, Malgorzata Kujawinska 2001, pp.27-35. 48 DALLO SCAVO ALL’EDIFICIO: ESPERIENZE DI REGISTRAZIONE TRIDIMENSIONALE A CONFRONTO INTRODUZIONE Lo stato attuale di un edificio storico viene definito dagli archeologi struttura materiale; essa riveste un’importanza fondamentale in quanto fonte principale di “lettura” da cui scaturiscono tutte le informazioni registrate sull’edificio. La registrazione delle sue caratteristiche, sia esso un Complesso Architettonico oppure un Sito Archeologico, richiede strumenti che siano in grado di fornire la maggior quantità possibile di dati, a prescindere dalle finalità disciplinari. La registrazione deve cioè essere effettuata in modo tale da fornire elementi utili ad analisi che possano avere finalità differenti: analisi strutturali, studio delle tecniche costruttive, restauro, evoluzione edilizia, ecc. La tecnologia oggi ci offre alcune strade percorribili; la scelta di questi percorsi dipende da molti fattori: economici, tecnico-pratici, sociali o semplicemente mentali. Con questo contributo vengono presentate, attraverso una serie di esperienze effettuate negli ultimi anni dal Laboratorio di Archeologia dell’Architettura e Restauro1 dell’Università di Siena, in collaborazione con la Menci Software2, alcune delle possibili vie che possono essere percorse, sottolineando i risultati raggiunti, i problemi incontrati e, ove possibile, risolti. Naturalmente, non si vuole promuovere una tecnologia piuttosto che un’altra (laser scanning o fotogrammetria), anche perché quasi sempre l’integrazione3 delle medesime è la strada più produttiva; l’intento è piuttosto mostrare, attraverso esempi concreti, una metodologia di registrazione del patrimonio storico costruito rappresentata da un software, basato sulle leggi della fotogrammetria, in grado di elaborare immagini digitali che generano nuvole di punti RGB e modelli 3D a restituzione fotografica. 1 http://www.laarch.unisi.it Per maggiori informazioni sulla tecnologia sperimentata vd http://www.menci.com 3 REMONDINO et alii 2009. 2 LA REGISTRAZIONE DELLA STRUTTURA MATERIALE Le dinamiche di lavoro delle discipline archeologiche sono in continua evoluzione. L’Archeologia dell’Architettura, ad esempio, in questi anni si è sempre più legata ad interventi di monitoraggio e restauro dei beni architettonici, ponendosi come strumento essenziale in cantieri di restauro, progetti di ricerca (archeologica, storico-costruttiva, ecc.) ed attività di tutela (come ad esempio la prevenzione del rischio sismico o il monitoraggio dello stato di conservazione di interi siti archeologici, vedi il caso di Pompei). Dotarsi di metodologie adattabili a contesti eterogenei è quindi, ad oggi, una prerogativa imprescindibile per chi si occupa di rilievo archeologico. Il mercato offre la possibilità di poter scegliere molti strumenti di rilievo rapidi, più o meno economici e precisi. Risulta poi importante sottolineare che questo “rinnovamento tecnologico” tende a modificare anche l’approccio e la prassi operativa nella documentazione archeologica ed architettonica. Nel nostro caso, ad esempio, l’operatore, dopo aver registrato sul campo tutti i dati dell’edificio (pareti, solai e tetti, aperture, elementi decorativi, ecc.), è in grado di lavorare e fare le sue osservazioni in laboratorio su di una superficie tridimensionale a diversi livelli di definizione. Inoltre, vi è la possibilità di un’efficace e realistica esplorazione del modello 3D della struttura. Modello che si può considerare il prodotto di una serie di operazioni di registrazione, elaborazione e catalogazione dei dati che devono essere resi fruibili al più ampio numero possibile di gruppi di ricerca (archeologi, architetti, storici dell’arte, restauratori, ingegneri) anche con finalità molto differenti, sia oggi che in futuro. Per questo motivo viene anche affrontato il problema della quantità e qualità delle informazioni, nonché della loro conservazione ed utilizzazione nel tempo. RAPPRESENTAZIONE DELL’EVOLUZIONE STORICO/COSTRUTTIVA DI UN EDIFICIO Ricostruire l’evoluzione di un’architettura nel tempo è spesso un’operazione molto complessa. In genere, un edificio è l’insieme di a50 zioni costruttive, di ripensamenti e cambiamenti nel progetto iniziale, nonché di crolli e ricostruzioni dovute a fattori antropici (demolizioni) o naturali (ad esempio i terremoti). Tutte queste informazioni si registrano nella struttura stessa dell’edificio e devono essere attentamente individuate e decodificate. Il problema della rappresentazione del passare del tempo è molto sentita in campo archeologico, proprio perché si occupa della interpretazione stessa dei segni lasciati sulle superfici orizzontali e verticali dell’edificio. Si tratta di riconoscere non solo l’evoluzione costruttiva di una fabbrica, ma anche la sua dinamica strutturale e funzionale. Dalla storia costruttiva si può infatti risalire a molti dati utili ad un eventuale progetto di conservazione. Nell’indagine delle strutture murarie, ad esempio, un accurato rilievo è necessario, non solo a documentare le caratteristiche formali di una struttura, ma a comprenderne la logica costruttiva che ha presieduto alla sua realizzazione4. Avere pertanto la possibilità di registrare il dato materiale attraverso i dati metrici tridimensionali assieme a quelli cromatici, fornisce uno strumento ideale per arrivare ad un grado di approfondimento sufficiente delle vicende costruttive della fabbrica antica. Naturalmente, la quantità di informazioni che possono essere ricavate dalla documentazione a nostra disposizione dipende dal grado di approfondimento a cui vogliamo arrivare nella lettura dell’edificio, dalla preparazione e dagli interessi dell’operatore. Sarà proprio l’interpretazione dell’operatore che guiderà la redazione dei modi di utilizzo dei dati (rilievi grafici, osservazioni sulle superfici, cinematismo del degrado, verifiche dimensionali, ecc.). La possibilità, infatti, di un utilizzo diacronico del modello da parte anche di operatori con bagagli culturali e preparazioni differenti, risulta uno dei vantaggi delle nuove tecnologie, attraverso cui ad esempio può essere mappato e controllato l’avanzamento o la buona riuscita di un intervento di consolidamento a distanza di anni. Si pensi a Pompei, un grande sito archeologico che potrebbe essere moni- 4 MANNONI 1991. 51 torato in modo molto rapido e con costi relativamente bassi, rispetto alle necessità degli interventi di messa in sicurezza o di restauro. METODOLOGIA DI RILIEVO Il lavoro sul campo. La metodologia utilizzata per la registrazione della struttura materiale riguarda in primo luogo l’acquisizione dei dati attraverso una campagna fotografica delle superfici e delle strutture architettoniche che compongono l’edificio. I fattori che incidono fortemente sul progetto di presa fotografica possono essere suddivisi in fattori oggettivi, ossia le dimensioni dell’edificio da rilevare, le condizioni di illuminazione, le condizioni generali dove il sito è collocato (ambiente urbano, area isolata, presenza della vegetazione), le modalità di presa (sensore complanare o fortemente incidente alla superficie dell’edificio), e fattori soggettivi, legati alla scala di risoluzione richiesta dalle specifiche del rilievo. Se la risoluzione del modello deve essere elevata, la camera fotografica sarà più vicina all’edificio; una maggiore vicinanza alle superfici richiede una distanza dall’oggetto, dai 50 cm ai 3/4 m (a seconda dell’obiettivo impiegato), che incide fortemente sulla quantità di fotogrammi necessari per ottenere il modello completo. Il sopralluogo risulta lo strumento migliore per conoscere l’edificio e quindi pianificare il progetto di presa fotografica. La campagna fotografica si appoggia ad un rilievo topografico, con cui vengono determinate le coordinate delle marche fiduciali (targets) posizionate precedentemente sulle superfici da rilevare. La realizzazione di un rilievo topografico (anche se non obbligatoria) aiuta in modo determinante tutto il lavoro di elaborazione e restituzione ed è lo strumento di controllo esterno al programma. Naturalmente il rilievo fotografico può essere effettuato anche senza marche fiduciali, in questo secondo caso però il lavoro di laboratorio comporta un ulteriore passaggio (vedi oltre) per l’elaborazione dei dati. Sul campo vengono realizzate triplette fotografiche con una camera digitale posizionata su una barra metrica. Le ottiche calibrate utilizzate (20mm, 28mm e 60mm) variano in base alla de52 finizione richiesta e alle condizioni oggettive di ripresa. Devono essere pertanto studiate le migliori soluzioni per evitare forti distorsioni, zone d’ombra ed elevata disomogeneità cromatica. Le fotografie sono accompagnate da una scheda cartacea in cui vengono segnate le caratteristiche di presa (distanza sulla slide-bar e tipo di obiettivo) e la porzione di edificio fotografata; questo lavoro addizionale, ma molto rapido sul campo, facilita e velocizza la fase di riorganizzazione delle informazioni in laboratorio. Non si tratta infatti di realizzare delle fotografie per la generazione di ortofotopiani o per un più classico progetto di fotogrammetria monoscopica, ma si tratta di fotogrammetria stereoscopica per cui risulta basilare la posizione dell’operatore, e quindi della camera, nel cogliere tutte le parti della struttura necessarie alla costruzione del modello. Bisogna pertanto saper cogliere la tridimensionalità dell’oggetto e fotografare tutte le parti necessarie. È impossibile comunque fissare regole generali e bisogna trattare la registrazione sul campo caso per caso. Il lavoro di laboratorio. La restituzione in laboratorio può essere suddivisa in due fasi. Una prima riguarda l’elaborazione dei dati attraverso l’utilizzo del programma (in questo caso ZScan di Menci Software) per la generazione di nuvole di punti. Dopo una prima rettifica automatica delle tre foto, l’operatore utilizza le coordinate geometriche (punti di controllo) per orientare le singole triplette. Successivamente, viene individuata sulla foto l’area da generare e viene impostato il passo di ricostruzione della nuvola di punti in funzione del valore del GSD (Ground Sample Distance)5. Nel nostro caso i modelli tridimensionali sono stati generati con un GSD medio pari a 0,005 (5 mm) che corrisponde, nelle specifiche dell’English Heritage, ad una scala 1:50. Naturalmente l’impostazione del 5 Nel telerilevamento il GSD è la dimensione nel mondo reale di quella parte del soggetto rappresentato da un pixel di un'immagine digitale. Nelle specifiche dello English Heritage si raccomandano dei valori puntuali per la fotogrammetria su scale architettoniche tipiche (1:50, 1:20, 1:10). Cfr. Metric Survey Specifications for Cultural Heritage 2009. 53 GSD dipende dal tipo di elaborato finale richiesto dalla committenza. Un GSD impostato a 0,001, significherebbe avere la possibilità di generare piante o prospetti in scala 1:10, il problema è la gestione di nuvole di punti che in questo caso verrebbero generate dall’elaborazione di tutti i pixel dell’immagine, comportando un’eccessiva pesantezza del file. Nel caso in cui il lavoro venga realizzato senza marche fiduciali, una volta generati i modelli tridimensionali, c’è un ulteriore passaggio che consente di orientare manualmente ogni singolo modello rispetto al precedente in relazione ad un piano stabilito dall’operatore. L’operazione avviene scegliendo sul modello tridimensionale da orientare un minimo di tre punti naturali presenti anche sul modello già orientato e registrato. Questa seconda opzione rende il lavoro di laboratorio più lungo e meno preciso metricamente; il programma consente comunque di calcolare e registrare la media dell’errore di ogni singolo modello orientato. Oltre una determinata soglia (ca. 4-5 cm) di errore il sistema automaticamente non consente l’elaborazione dei dati. Sono state effettuate varie esperienze di registrazione senza punti topografici che hanno comunque portato a risultati soddisfacenti nel caso in cui i modelli da unire non siano in numero eccessivo (più modelli vengono collegati manualmente e più l’errore medio si propaga sul modello generale) e le superfici da rilevare risultino complanari al sensore della camera (vd Figg. 5, 6 e 7). Le nuvole di punti vengono salvate in formato *.vtp. È inoltre possibile salvare i singoli modelli in formato *Ascii XYZ ed *Ascii XYZ RGB; in questo caso l’estensione permette la portabilità dei file in altri programmi per la gestione di nuvole di punti o in semplici visualizzatori. Le esperienze finora realizzate hanno dato ottimi risultati per la gestione della nuvola di punti RGB con texture associata (le nuvole di punti sono state infatti esportate su un altro programma proprietario, Geomagic, e su un visualizzatore web, Cortona6). 6 A Tal proposito vorremmo ringraziare per il supporto tecnico e per i suggerimenti il dott. Álvaro Rodríguez Miranda, UPV/EHU. 54 Risoluzione texture 39.60° Risoluzione geometrica 60 mm 4 metri Area copeeta 75.42° Larghezza 28 mm 4,67 m 6,62 m 30,96 m² 1,65 mm 0,20 mm 5,06 m 3,370 m 15,72 m² 1,19 mm 0,14 mm 1,61 m 2,015 m 3,24 m² 0,57 mm 0,07 mm Altezza Angolo di campo 94.53° Distanza camera / manufatto Ottiche Sensore Full Frame Camera Nikon 23,9x36,0 mm D700 12,1 MP 20 mm Tab. I Caratteristiche del progetto di presa con il rapporto tra Base e Altezza rispetto alle ottiche utilizzate. I dati riportati si riferiscono ad una situazione ideale in cui il sensore della macchina risulta perfettamente complanare alla superficie da rilevare (PARENTI-VECCHI-GILENTO 2008, p. 19). Una volta generati i modelli, la loro gestione avviene attraverso il software ZMap. L’interfaccia di questo programma si avvicina molto a quelle dei software CAD ed infatti una delle funzioni principali è proprio quella di creare disegni vettoriali direttamente sulla texture 3D (Figg. 1 e 2). Il vantaggio di uno strumento di questo genere è quello di sfruttare non solo la tridimensionalità, ma anche la cromìa di un oggetto per registrarne e mapparne le caratteristiche. Completezza e qualità della registrazione. La completezza della registrazione è il risultato di vari fattori che intervengono sull’elaborato, sia prima che dopo la generazione dello stesso. La ricchezza della registrazione incide molto sul tipo di lavoro da realizzare. Nel caso dei rilievi di edifici storici le Linee Guida (MiBAC 2007), indicano lo standard da seguire. Le specifiche del MiBAC per il miglioramento sismico degli edifici storici prevedono, infatti, la realizzazione, dopo un primo rilievo speditivo, di un rilievo analitico molto approfondito con particolare attenzione alle tecniche di realizzazione e ai dettagli costruttivi. Gli elementi dell’edificio da registrare possono essere così suddivisi: - Corpi di fabbrica 55 Figg. 1 / 2 Particolari del modello 3D con texture di una porta archi voltata (Sesto Fiorentino – Firenze). - Fasi costruttive - Elementi strutturali - Lesioni e deformazioni Le deformazioni della geometria architettonica e le lesioni sono una parte integrante del rilievo perché rappresentano uno dei degradi strutturali più importanti della fabbrica. È il metodo stesso della fotogrammetria che consente di rilevare questo tipo di danni senza astrazioni e, pertanto, risulta uno degli strumenti più adatti per il monitoraggio statico di un edificio storico7. La gestione dei dati. La quantità di informazioni generate ed immagazzinate durante il processo di registrazione è enorme. Per questo motivo risulta fondamentale organizzare con criteri molto precisi, già quando si incomincia il lavoro, la gestione dei dati. Le fotografie infatti, 7 CUNDARI 1982. 56 portano con sé una serie di informazioni (metadati) che deve essere conservata8. Oltre alle foto, esistono poi i punti topografici, i disegni realizzati durante la campagna e tutti i dati digitali generati dalle differenti elaborazioni. CASI STUDIO Negli ultimi anni, attraverso i progetti di ricerca portati avanti dal LAArch, è stato possibile sperimentare il sistema di rilievo ZScan/ZMap su diversi contesti di studio. In particolare, i contesti analizzati possono essere ricondotti alle seguenti categorie: Unità Topografiche: il rilievo effettuato in Giordania è stato realizzato nell’ambito della missione archeologica dell’Università di Siena “Building Archaeology in Jordan” nel sito di Umm as-Surab, Giordania Settentrionale. Il lavoro svolto si è concentrato sulla realizzazione di un modello tridimensionale del complesso architettonico, identificato attraverso un’unità topografica (la UT 28), costituito dalla chiesa dei Santi Sergio e Bacco e da ulteriori corpi di fabbrica come il campanile/minareto, il cortile della chiesa ed i probabili ambienti monastici (Fig. 3). Il fine è stato quello di avere a disposizione un rilievo della situazione attuale del complesso, attraverso cui ricostruire le vicende evolutive del sito. Il rilievo fotografico delle superfici è stato accompagnato dal classico rilievo topografico, con cui sono stati anche ridefiniti volumi e superfici poco chiare nelle piante realizzate in precedenza. È stato così possibile integrare e confrontare rilievi pregressi con rilievi aggiornati metodologicamente. Le difficoltà operative principali hanno riguardato la necessità di operare con luce diretta molto forte e superfici composte da un materiale da costruzione di colore scuro, il basalto. Si è lavorato pertanto con tempi di esposizione bassi e diaframma chiuso. Sono state rilevate le superfici murarie esterne del complesso nella 8 RODRÍGUEZ MIRANDA et alii 2008. 57 Fig. 3 Rilievo wireframe 3D con caratterizzazione delle aperture. (Umm as-Surab – Giordania). loro interezza, le aperture, gli orizzontamenti e gli elementi decorativi ad una distanza variabile tra 1,50 e 3 metri. La scelta di effettuare foto ad una distanza così ravvicinata dalle superfici da rilevare è stata voluta con lo scopo di distinguere e caratterizzare in modo molto analitico le tecniche costruttive. Dal modello tridimensionale a restituzione fotografica è stato elaborato un rilievo wireframe delle superfici, a cui si è aggiunta la creazione di ortofotopiani ad alta risoluzione dei prospetti, sia interni che esterni (Fig. 4). La possibilità di operare direttamente sul modello 3D ha fornito vantaggi nel complesso lavoro di caratterizzazione delle tecniche edilizie, in un caso, come quello giordano, dove i modi di costruire si sono mantenuti quasi immutati per secoli e distinguere piccoli particolari, come l’impiego delle zeppe, diventa determinante. In questo caso lo strumento utilizzato si è dimostrato molto versatile, ha garantito infatti una buona riuscita anche in condizioni di luce particolari. 58 Fig. 4 Ortofotopiano e lettura stratigrafica dell’interno della chiesa (elaborazione Pietro Caciagli). (Umm as-Surab – Giordania). Complessi Architettonici e Corpi di Fabbrica: sono questi i casi studio nei quali la metodologia è stata sfruttata in modo quantitativamente più rilevante, con sperimentazioni che non si sono concentrate solo su progetti di ricerca, ma anche su tesi di laurea, laboratori per studenti, ecc. La maggior parte dei contesti di studio può essere geograficamente compresa fra Toscana (in particolare Siena e provincia di Firenze) e Abruzzo. Nel caso toscano, le strutture analizzate hanno offerto la possibilità di produrre modelli 3D di contesti molto eterogenei; si è passati infatti da rilievi di interi volumi (sia esterni che interni), proponendo analisi generali di contesto (es. analisi stratigrafiche tridimensionali di intere strutture), ad analisi specifiche (es. caratterizzazione delle tecniche costruttive), nelle quali l’elemento tridimensionale è stato aggiunto al consueto rilievo di dettaglio (Figg. 5, 6 e 7). Nel secondo caso, quello abruzzese, i rilievi si sono unicamente concentrati su due edifici colpiti dal sisma del 6 Apri59 le 2009. La sperimentazione della tecnologia ZScan/ZMap in questi contesti, avvenuta pochi giorni dopo il sisma, è stata fortemente innovativa dal punto di vista della metodologia di lavoro e da quello dei risultati prodotti. Nel caso della chiesa di San Pietro a Coppito, danneggiata dal sisma ma non crollata, era richiesto un sistema di rilievo che permettesse di lavorare in sicurezza a debita distanza dalla struttura e che producesse elaborati utili ad analisi quantitative e qualitative della struttura. Mediante la tecnologia ZScan è stato possibile effettuare prese fotografiche sufficientemente lontane dall’oggetto, che hanno restituito i seguenti prodotti: ortofotopiani dei prospetti esterni (sui quali sono state effettuate analisi stratigrafiche e mappatura delle lesioni), DEM e sezioni (fondamentali per individuare spanciamenti e fuori piombo, difficilmente rilevabili in altro modo). Nel caso della chiesa di Castelnuovo, in gran parte crollata dopo il sisma, è stato invece possibile costruire un modello 3D dell’edificio prima e dopo la rimozione delle macerie, individuando i volumi relativi al crollo e proponendo un’analisi stratigrafica delle principali fasi costruttive della struttura venute in luce a causa del crollo di murature ed intonaci dalle superfici sia interne che esterne. Fig. 5 Modello 3D della chiesa di San Bartolomeo a Carmignanello realizzato senza l’ausilio di punti topografici. (Sesto Fiorentino – Firenze). 60 Figg. 6 / 7 Modello 3D e prospetto wireframe della chiesa di Santa Maria a Fabbrica realizzati senza l’ausilio di punti topografici. (Vicchio – Firenze). I due rilievi della chiesa di Castelnuovo, ovviamente effettuati in momenti diversi, sono stati poi integrati, proponendo un unico modello tridimensionale delle situazioni pre- e post-rimozione delle macerie, offrendo così la possibilità di effettuare analisi incrociate dei due prodotti. Fronti Stradali: la sperimentazione di rilievo di fronti stradali ha riguardato Palazzo Campatelli, edificio di San Gimignano (SI) proprietà del FAI, costituito da diversi Corpi di Fabbrica prodotti in un arco cronologico compreso fra il Medioevo ed il Settecento. Il rilievo, richiesto per il successivo restauro del complesso, è stato effettuato su una superficie con un altezza massima di circa 27 metri ed una lunghezza complessiva di 33 metri. In un primo momento le prese fotografiche sono state realizzate da terra; ciò ha portato alla produzione di fotografie complanari per la parte bassa della struttura e molto scorciate per la parte alta. In questo caso però, data l’imponenza della struttura, in particolar modo della torre centrale, e del poco spazio a disposizione (le strade di San Gimignano hanno un’ampiezza di circa sei metri), nonostante l’appoggio topografico, le foto scorciate hanno creato un’elevata distorsione, producendo pertanto in fase di restituzione modelli poco affidabili metricamente. La 61 scelta è stata perciò dirottata, in un secondo momento, sull’utilizzo di un cestello elevatore di 19 metri per le fotografie della parte alta dell’edificio, producendo in questo modo un modello metricamente e morfologicamente corretto in ogni sua parte. Da questo elaborato sono poi stati prodotti: un ortofotopiano dell’intero prospetto esterno, un modello wireframe 3D del prospetto rilevato (al quale sono state agganciate sezioni e piante prodotte dagli architetti dell’Ufficio Tecnico del FAI, al fine di creare un volumetrico interno dell’intero palazzo), sezioni verticali delle superfici esterne a precisione millimetrica (fondamentali per ricavare spanciamenti o fuori piombo). Scavi Archeologici: in questo caso, la sperimentazione si è concentrata su due scavi (Aiano-Torraccia di Chiusi e Baratti-Populonia) con l’intento di rilevare le superfici verticali portate alla luce e la stratigrafia visibile sulle sezioni. Nel caso di Baratti9 i risultati sono sorprendenti: i modelli riescono a riprodurre con grande accuratezza la cromìa degli strati visibili in sezione, arrivando ad apprezzare la più piccola distorsione della sezione stessa, producendo in tal modo un modello 3D geometricamente fedele alla zona rilevata (Figg. 8 e 9). Per quanto riguarda il caso studio di Aiano-Torraccia di Chiusi10, villa romana con frequentazioni artigianali altomedievali, il rilievo si è concentrato su un ambiente triabsidato interno alla villa. Il risultato prodotto è un modello tridimensionale dell’intera struttura triabsidata (prospetti esterni, interni e creste dei muri) (Figg. 10 e 11), che offre la possibilità, disegnando sulla texture del modello, di creare una pianta 3D wireframe dell’ambiente. Passo successivo sarà la produzione del modello tridimensionale in fasi e la caratterizzazione delle tecniche costruttive individuate. 9 10 Lo scavo è diretto dal Prof. Franco Cambi, che ringraziamo per la collaborazione. Missione italo-belga guidata dal 2005 dall’Université catholique de Louvain, nell’ambito del progetto internazionale “VII Regio. The Elsa Valley during Roman Age and Late Antiquity”, sotto la direzione scientifica del Prof. Marco Cavalieri, che ringraziamo per la collaborazione. 62 Figg. 8 / 9 Modelli 3D con texture di particolari dello scavo di Baratti-Populonia (Populonia - Livorno). Fig. 10 Modello 3D con texture del prospetto interno di un abside del sito di Aiano – Torraccia di Chiusi. (San Gimignano - Siena). Ambienti di cava: un’ulteriore sperimentazione della tecnologia ZScan è avvenuta presso le cave della Necropoli etrusca di Populonia11. Il rilievo di un ambiente di cava risulta molto complicato, soprattutto a livello rappresentativo, in quanto composto da numerose superfici che fra di loro instaurano complessi rapporti stratigrafici; inoltre vi è l’esigenza da parte dell’operatore di rappresentare non solo i piani individuati, ma anche le tracce degli strumenti utilizzati per la cavatura. A Populonia, la possibilità di disporre di modelli tridimensionali ad alta risoluzione (Fig. 12) ha permesso da un lato di poter visualizzare il contesto in modo reale da diversi punti di vista (con la possibilità di mettere in evidenza in modo dettagliato le tracce lasciate dagli strumenti di lavoro sulle superfici) e 11 A tal proposito si veda la tesi di laurea di Elena Vattimo “Sperimentazione di tecniche di rilievo per l’integrazione di dati differenziati. Il caso delle cave di calcarenite di Populonia” discussa il 13 aprile 2011 presso l’Università degli Studi di Siena. Si ringraziano Elena Vattimo e Cynthia Mascione per la collaborazione e la disponibilità. 63 dall’altro, mediante il disegno wireframe effettuato sul modello 3D, di porre in risalto con layer diversi la stratigrafia individuata. Fig. 12 Visualizzazione del modello 3D per punti RGB del fronte 1 delle cave di calcarenite di Populonia; il modello è stato realizzato processando 13 triplette di immagini (4256x2832 pixel; formato TIFF; peso 35.329 KB) e 80 punti d’appoggio. Elaborazione Elena Vattimo - Università degli Studi di Siena, Laboratorio di Archeologia dell’Architettura (R. Parenti), Laboratorio di Disegno (C. Mascione). Inoltre, la possibilità di produrre DEM e sezioni di superficie del contesto ha facilitato molto la possibilità rappresentativa del sito e la possibilità di analisi della morfologia delle superfici e dei segni lasciati dagli strumenti da lavoro. Concludendo, l’applicazione della tecnologia ZScan/ZMap nelle diverse situazioni incontrate, ha permesso di conoscere nel dettaglio limiti e caratteristiche di questo strumento. La metodologia è risultata estremamente versatile e ha prodotto risultati soddisfacenti sia nei “tipici” contesti archeologici, che nei casi di studio “atipici” (che richiedono cioè particolari accorgimenti a livello di sicurezza, velocità di esecuzione, ecc.). I rilievi archeologici “classici” (analisi stratigrafica, caratterizzazione delle tecniche costruttive, ecc.) e le analisi di dettaglio (spanciamenti, fuori piombo, distacco di intonaci, dislocazione di conci, ecc.) prodotti su modelli cromaticamente corretti e metricamente affidabili, hanno avuto 64 una ricaduta positiva non solo a livello archeologico, ma anche a fini restaurativi, architettonici, ecc. In alcuni contesti, si sono potuti osservare alcuni limiti della tecnologia, ovvero la difficoltà nel creare modelli da foto non complanari (che generano molto rumore nel modello creato) e da superfici troppo chiare ed omogenee (come quelle completamente intonacate). CONCLUSIONI La possibilità di integrare le tecnologie oggi a nostra disposizione, assieme alla necessità di utilizzare nel migliore dei modi i prodotti digitali creati da queste stesse tecnologie, risulta il passo fondamentale per arrivare ad un obiettivo comune: conoscere ciò che stiamo registrando per conservarlo e promuoverlo, seguendo l’idea che oggi un monumento non è più solo un oggetto da conoscere in se stesso, ma diventa parte attiva della società, trasformandosi in un generatore, non solo di risorse culturali, ma anche economiche e sociali. La sfida del prossimo futuro sarà quindi quella di creare un sistema sicuro per la circolazione e la fruibilità di questi dati. Un altro punto da affrontare è poi quello della codifica di metodologie standardizzate di lavoro sull’ampia gamma di modelli digitali a nostra disposizione, che consentano di produrre una documentazione omogenea del Patrimonio Culturale. Altra nota importante, oltre alla gestione e l’organizzazione dei dati, è la conservazione degli stessi. Bisogna essere perfettamente consapevoli che il materiale oggi prodotto è ancora utilizzato in percentuale molto bassa rispetto alle potenzialità che intrinsecamente contiene. Il rapido sviluppo della tecnologia consentirà nel giro di poco tempo un loro migliore utilizzo e, fino a quel momento, tutti questi dati devono essere debitamente conservati. Problematica risulta ancora la gestione di nuvole con milioni di punti. I visualizzatori disponibili sul web, e gratuitamente scaricabili, costituiscono una risorsa ancora da sondare in tutte le sue possibilità. ANDREA ARRIGHETTI – PIERO GILENTO Università degli Studi di Siena Laboratorio di Archeologia dell’Architettura e Restauro - www.laarch.unisi.it 65 ABSTRACT La “descrizione” della struttura materiale richiede un alto grado di oggettività in funzione degli interessi scientifici di alcune discipline (documentazione archeologica, conservazione e restauro, tutela dei Beni Culturali). Il dato geometrico e la documentazione fotografica delle superfici risultano gli strumenti migliori per una registrazione efficace, chiara ed oggettiva di un manufatto architettonico e di altre manifestazioni antropiche. In particolare, la completezza e la diacronia della documentazione fotografica si sono sempre dimostrate essenziali nella registrazione della struttura materiale di edifici storici. L’avanzamento tecnologico ha messo inoltre a disposizione della comunità scientifica alcuni prodotti da cui si ottengono modelli che, non solo hanno la grande proprietà di rappresentare fotograficamente, con una definizione elevata, le superfici, ma sono anche corretti geometricamente nelle tre dimensioni. In questo modo, la documentazione della struttura materiale risulta molto più completa e risponde alle esigenze di una documentazione rapida, ma al contempo ricca di tutte le informazioni necessarie per un’analisi approfondita dell’oggetto. BIBLIOGRAFIA ANDREWS 2009: D. Andrews (edited by), Metric Survey Specifications for Cultural Heritage, Swindon 2009. http://www.english-heritage.org.uk/publications/metric-survey-specification/ CUNDARI 1982: C. Cundari (1982), Fotogrammetria architettonica, Edizioni Kappa, Roma 1982. GHEZZI-SANTARSIERO 2009: M. Ghezzi, D. Santarsiero, “ZScan: Scansione tridimensionale digitale”, in Archeomatica 0 (2009), pp.38-40. MANNONI et alii 1991: T. 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Rodríguez Miranda, J.M. Valle Melón, A. Lopetegi Galarraga, “Time transcendence, metadata and future utilization in 3D models of point clouds for heritage elements”, in R. Verghieux, C. Delevoie (edited by), Archéovision 3. Actes du Colloque Virtual Retrospect 2007, Bordeaux 2008, pp.115-123. http://archeovision.cnrs.fr/pdf/vr07_pdf/07_galarraga.pdf 67 TRIDIMENSIONALIZZAZIONE DEI RILIEVI CARTACEI E VIRTUALIZZAZIONE DI UN CONTESTO ARCHEOLOGICO SUBACQUEO DI ETÀ FENICIO-PUNICA: IL CASO DELLA LAGUNA DI SANTA GIUSTA (OR) 1. INTRODUZIONE (V.P.) Negli ultimi anni in ambito archeologico si assiste ad un notevole incremento dell’uso di strumenti informatici, in particolare nel settore della gestione informatizzata dei dati provenienti dalle indagini stratigrafiche. Proprio in questo specifico ambito si è imposto il ricorso a quell’insieme di prodotti informatici riconducibili alla sigla GIS (Geographic Information System)1, i quali si configurano come una suite di strumenti particolarmente adatta all’amministrazione del complesso di informazioni e di documenti di natura composita che la ricerca archeologica produce2. Il repentino aumento del numero di indagini gestite digitalmente – o interessate da un passaggio da metodologie tradizionali di registrazione dei dati a metodologie e strumentazioni digitali – fa sì che siano molteplici i casi in cui le stesse vedono convivere due diversi sistemi di documentazione tra loro complementari: da un lato i dati cartacei prodotti con il rilievo diretto e dall’altro i dati di recente acquisizione, spesso registrati digitalmente3. Tale differenza non comporta soltanto una difformità dei supporti di registrazione, ma anche la diversa natura dei dati stessi: la prima e più immediata differenza consiste nella tridimensionalità dei dati digitali a fronte della bidimensionalità dei rilievi tradizionali, per lo più corredati da sporadiche e discontinue annotazioni inerenti alla terza dimensione. Nel presente contributo verrà presentata una procedura operativa volta al recupero e all’elaborazione dei rilievi cartacei attraverso l’integrale tridimensionalizzazione in ambiente CAD degli stessi, anche in 1 WHEATLEY-GILLINGS 2002. LOOK 2003; KATSIANIS et alii 2008. 3 D’ANDREA 2003, p. 332. 2 funzione dell’esportazione verso il software GIS dei dati tridimensionali così ottenuti. Verrà di seguito esposto, quale caso esemplare, il contesto archeologico sommerso di età fenicio-punica, localizzato nella laguna di Santa Giusta (OR), nella Sardegna centro-occidentale4: l’indagine subacquea ivi condotta si configura come un valido esempio di ricerca improntata ad un approccio multimetodico concernente anche la documentazione archeologica; tale sito è stato infatti oggetto di prospezioni e di diverse campagne di scavo in occasione delle quali la registrazione puntuale dei dati è stata realizzata, in un primo tempo, ricorrendo esclusivamente alle metodiche tradizionali del rilievo archeologico adattate all’ambiente subacqueo e, successivamente, a partire dalla campagna di scavo 2009-2010, integrando tali metodi con l’utilizzo di strumenti digitali per la registrazione dei dati spaziali. 2. IL SITO E I MATERIALI (C.D.V. – I.S.) Il contesto subacqueo in esame è riconducibile alla città di Othoca, colonia fenicia fondata forse alla fine dell’VIII sec. a.C. a controllo del settore centrale del Golfo di Oristano5. Noto alla popolazione locale per i numerosi rinvenimenti in prevalenza di materiale anforario e sottoposto a due interventi di recupero da parte della Soprintendenza Archeologica di Cagliari negli anni 1973 e 19856, il giacimento archeologico è oggetto, dal 2005, di indagini sistematiche da parte della stessa Soprintendenza, in collaborazione con l’Università di Cagliari. Una lunga campagna di prospezioni sistematiche, con l’utilizzo di sondaggi con asta metrica, e di limitati saggi di scavo manuali, condotta nell’inverno 2005-2006 nel tratto nord-orientale della laguna, in settori predeterminati con posa di capisaldi georeferenziati, ha consentito di individuare due principali aree di giacitura di materiale archeologico: l’Area A, di ca. 3.600 mq, distante 4 DEL VAIS-SANNA 2009. DEL VAIS 2010. 6 DEL VAIS-SANNA 2009. 5 69 ca. 800 m dalla riva est della laguna, e l’Area B, estesa per oltre 120.000 mq, situata tra l’Area A e la riva nord-orientale. I risultati delle indagini consentono di identificare le sequenze stratigrafiche dell’azione sedimentaria e i caratteri distributivi dei materiali giacenti, che risultano riferibili in prevalenza al VI sec. e III-II sec. a.C. I manufatti della prima fase, tra cui si distinguono le anfore a sacco fenicie, compaiono in entrambe le aree e dagli ultimi sondaggi e scavi risultano proseguire oltre il limite sud dell’Area A, mentre i materiali più recenti, rappresentati principalmente dalle anfore puniche a siluro, si trovano concentrati nell’Area A, in parte in sovrapposizione al deposito più antico. Dal 2006 tale area è oggetto di un’indagine più ampia, condotta attraverso metodi non invasivi e sondaggi di scavo archeologico subacqueo. Preliminarmente l’area è stata inscritta in un quadrato di 60 m di lato, suddiviso da un reticolo con moduli di 3 m. Data la sufficiente regolarità planimetrica del fondale lagunare, l’intero impianto topografico7, orientato in direzione sud-nord, è stato realizzato adottando il metodo degli allineamenti e squadri8, senza l’ausilio di strumentazione ottica per il rilievo. Le varie operazioni di rilievo sono state ripetutamente verificate con misurazioni dirette lineari e angolari di controllo, per ridurre al minimo i margini d’errore accidentale o dovuto alle attrezzature utilizzate. Tutti i capisaldi principali, così come già in precedenza per i punti notevoli relativi alle prospezioni, sono stati rilevati con strumento GNSS, successivamente ribattuti con la stazione totale. Dopo la predisposizione del reticolo, all’interno dell’Area A sono state effettuate diverse serie di verifiche procedendo per sondaggi manuali ravvicinati9, eseguiti con asta metrica in senso ovest-est lungo le ascis7 La maglia topografica è stata realizzata con tubi in acciaio infissi per 2 m sul fondale nei capisaldi principali, picchetti in acciaio, cime tesate e cartellinatura indicativa. 8 Il procedimento speditivo, da noi utilizzato in numerosi lavori subacquei, si basa fondamentalmente su allineamenti di paline, misure dirette con longimetri e verifiche delle ortogonalità tramite apposite dime realizzate a terra secondo il metodo del triangolo rettangolo, con i lati di 3-4-5 metri e multipli di essi. 9 Gli intervalli tra i sondaggi sono stati previsti al metro, ma nei tratti dove i segnali acustici rivelavano maggiore densità di materiali, si sono effettuate le misurazioni a distanze più contenute, fino a poche decine di centimetri. 70 se della maglia topografica. Con tale sistema non invasivo, si sono ottenute sette sezioni trasversali, comprendenti quote e informazioni relative alla presenza, all’estensione e alla consistenza del giacimento archeologico giacente sotto i limi lagunari. Sulla base dei risultati dei sondaggi e di alcuni saggi di scavo, si è deciso di intraprendere lo scavo archeologico in una limitata porzione dell’Area A, comprendente nove quadrati, solo tre dei quali sono stati finora indagati in profondità (qq. R8, R9, R10). L’intervento è stato eseguito con una motopompa, munita di filtro all’imboccatura del tubo d’aspirazione e di filtri a maglia fine in corrispondenza dello scarico, per il recupero anche dei materiali più minuti (Fig. 1). Per ovviare al problema della torbidità dell’acqua, condizione tipica degli ambienti lagunari, sono stati realizzati sistemi di contenimento dei limi attorno all’area di scavo consistenti in paratie metalliche sommerse, inserite gradualmente su apposite guide. All’interno del ring metallico così ottenuto è stato impiantato un reticolo più fitto, suddividendo ciascun quadrato da 3 x 3 metri in nove quadrati da 1 m di lato. Oltre alla predisposizione del ring protettivo, per limitare al massimo ogni operazione che comportasse movimenti di operatori e grovigli di fettucce metriche durante le frequenti misurazioni, è stata realizzata una specifica strumentazione per il rilievo, una sorta di tecnigrafo subacqueo metallico, costituito da un profilato quadrato di 3 x 3 metri, dotato di barra orizzontale scorrevole per le misurazioni delle ascisse e delle ordinate, e astina scorrevole regolabile in altezza per la rilevazione delle quote verticali. Ulteriori accorgimenti tecnici sono stati adottati durante il procedere dei lavori di scavo, onde ridurre al minimo i movimenti degli operatori subacquei ed evitare l’intorbidimento delle acque. Sono state inserite, all’interno dei settori di scavo, pedane sospese ed altri supporti con lo scopo di impedire il contatto, anche casuale ed involontario, con i materiali archeologici sottostanti. Lo scavo nei quadrati R8-R10, condotto con metodo stratigrafico10, ha evidenziato, al di sotto di un sottile deposito la- 10 La potenza e le caratteristiche dei substrati sono state indagate anche attraverso alcuni carotaggi manuali realizzati all’interno dell’area di scavo. 71 gunare moderno (US 1), di ca. 15-20 cm di spessore, un più potente strato di limo fine e scuro (US 2), spesso ca. 50-60 cm, inglobante un deposito archeologico costituito in gran parte da contenitori anforari del tipo a siluro, databili al III-II sec. a.C.11, in buona parte integri o con i frammenti ancora in connessione. All’interno della maggior parte delle anfore o attorno ad esse sono stati recuperati numerosi resti ossei, prevalentemente di ovicaprini, ma anche di bovini e di altri piccoli animali, in corso di studio da parte di M. Zedda dell’Università di Sassari. Tale dato trova ampio riscontro in ambito isolano e va interpretato in relazione ad una attività di allevamento e industria conserviera specializzata, tipica della Sardegna fenicia e punica, nota principalmente grazie ai recuperi subacquei testimoni di un’esportazione via mare dei prodotti. In associazione con le ossa, sono stati rinvenuti in numero consistente resti carpologici di diverse essenze, in larga parte vinaccioli, ma anche semi d’oliva, mandorle, pinoli, pigne. Oltre ai contenitori anforari sono stati individuati altri vasi in ceramica comune e da cucina, di tradizione fenicia e punica. I risultati preliminari delle analisi archeometriche condotte da M.L. Amadori (Università di Urbino) suggeriscono una preminente provenienza locale dei manufatti. Il materiale tardo-punico in alcuni casi si trova quasi alla medesima quota di quello fenicio, che poggia e in parte sprofonda in un sottile letto conchigliare (US 3), a sua volta sovrapposto ad uno strato limoso assai fine e più potente (US 4), solo in minima parte rimosso. A partire dalla base dell’US 2 e soprattutto nei livelli sottostanti, sono comparsi numerosi legni, alcuni semicarbonizzati, sia semplici rami che elementi accuratamente lavorati, con sagomature, fori e scasse per l’appoggio o l’alloggiamento di altri consimili manufatti, alcuni ancora in connessione. Tra i legni, risulta di particolare rilevanza un elemento zoomorfo perfettamente lavorato, riproducente in scala 1:1 la parte terminale di un arto di ungulato (caprone, cervo o altro), munito all’altezza del ginocchio di un incastro e di un cavicchio di fissaggio. A 1,10 m dalla zampa lignea, adagiata alla medesima quota, è stata rinvenuta una protome fittile maschile 11 DEL VAIS-SANNA 2009. 72 di fattura raffinata, rappresentante un giovane con lineamenti negroidi, presumibilmente un satiro12 (Fig. 1). Fig. 1 Fasi finali dello scavo subacqueo della protome fittile giacente in posizione rovesciata sull’interfaccia superiore della US 3. Si notino le buone condizioni di visibilità ottenute con le tecniche operative e le paratie metalliche sommerse (foto R. Arcaini). Nella conduzione dell’indagine si è favorito un approccio interdisciplinare, concernente sia lo studio dell’evoluzione geomorfologica dell’area, sia l’analisi dei materiali ceramici e organici, considerati sotto diversi aspetti, tra cui, non secondario, quello delle alterazioni subite a partire dall’abbandono. La ricostruzione degli eventi che hanno determinato la formazione e l’evoluzione del giacimento, che trova significativamente formidabili riscontri nella laguna di S. Gilla 13, il bacino su cui si affacciava la città fenicio-punica di Karalis, ha come presupposto impre12 13 MINOJA C.S. VIVANET 1893. 73 scindibile la registrazione puntuale e la restituzione del contesto antico, pur in situazioni contingenti non agevoli, che in questo caso si è cercato di realizzare sia con metodi tradizionali che applicando nuovi strumenti di rilevamento e di elaborazione informatica. 3. LA TRIDIMENSIONALIZZAZIONE DEI RILIEVI CARTACEI (V.P.) Come esposto, a partire dalla campagna di scavo del 2009-2010 si è proceduto all’introduzione di strumentazioni digitali, nella fattispecie della stazione totale (Leica TPS400), da affiancare, laddove possibile, alle metodiche tradizionali di rilievo e di registrazione dei dati 14, che in determinate circostanze si sono dimostrate le uniche utilizzabili in ambiente sommerso. Il ricorso a strumentazioni digitali è seguito alla decisione di intraprendere un processo di gestione informatizzata dei dati relativi alle indagini degli anni precedenti, prevedendo la creazione di una piattaforma GIS dello scavo, volta a costituire per lo studio in corso un ulteriore strumento di analisi. Si è dunque presentata la necessità di avviare un percorso di acquisizione e di conversione di tutta la documentazione precedentemente prodotta, in prevalenza cartacea, così da renderla utilizzabile all’interno dell’ambiente GIS. 3.1. Acquisizione Il corpus di documenti grafici prodotti mediante rilievo diretto è costituito principalmente da planimetrie generali, piante di strato, sezioni e sezioni-prospetto, prodotte in un range di scala grafica compreso tra 1:10 e 1:20. A questo primo insieme si affianca, se pure indirettamente, un secondo complesso di dati, sempre di natura spaziale, acquisito attraverso altre strumentazioni in dotazione, quali un GNSS portatile a 12 canali ed un computer subacqueo dotato di profondimetro decimetrico; tali informazioni, come si vedrà oltre, durante le fasi di modellazione 3D 14 FACENNA-FELICI 1998. 74 hanno spesso fornito un prezioso apporto informativo per la corretta collocazione degli oggetti creati all’interno della piattaforma tridimensionale. Per quanto concerne le scelte prettamente procedurali relative alle fasi di digitalizzazione dei rilievi cartacei, si è operato acquisendo, per mezzo di uno scanner, le immagini digitali degli stessi da referenziare spazialmente nelle due dimensioni secondo il sistema di coordinate locali rappresentato dalla quadrettatura di scavo: tale operazione è stata condotta in ambiente CAD, in quanto ambiente prescelto per le successive fasi di elaborazione grafica dei rilievi. La vettorializzazione dei vari file così referenziati è stata eseguita operando on-screen15, in considerazione del maggiore grado di accuratezza e della possibilità di ispezione del dato vettoriale direttamente durante le operazioni di trasformazione. Proprio l’attenzione alla precisione dei dati vettorializzati ha suggerito di integrare le planimetrie con i rilievi dei reperti in scala 1:1; anch’essi sono stati digitalizzati e referenziati sulla planimetria, mettendo in relazione i punti di corrispondenza individuati nelle due serie di immagini. In tal modo è stato possibile far confluire queste due diverse espressioni documentarie in un unico prodotto finale rappresentato dalle linee vettoriali 2D che sono state poi alla base della modellazione dei solidi. A questo stadio del processo di trasformazione dei dati cartacei corrisponde un elaborato CAD comprendente diverse piante e planimetrie in formato vettoriale sufficientemente accurate, ma ancora vincolate alla bidimensionalità dei dati cartacei da cui hanno origine. 3.2. Tridimensionalizzazione La natura stessa del deposito archeologico investigato ha indirizzato le scelte successive del processo di conversione: gli strati archeologici riprodotti contengono, a livello macroscopico, esclusivamente manufatti ceramici e organici (legni, ossa, resti carpologici), in un ambiente privo di strutture costruite in materiale lapideo o laterizio. 15 D’ANDREA 2001, p. 340. 75 Fig. 2 Solido 3D e originale archeologico a confronto: brocca con orlo a fungo A229 (elaborazione grafica V. Pinna). Ciascun elemento rappresentato nelle planimetrie è stato quindi trattato come reperto e come tale è stato oggetto di un posizionamento puntuale, registrato in apposite schede contenenti anche altre indicazioni di diversa natura. Questi dati spaziali (coordinate x e y, profondità, orientamento dell’asse principale), hanno rappresentato un’ulteriore fonte di informazione da integrare nel processo di tridimensionalizzazione della planimetria vettoriale. All’inserimento nell’elaborato digitale della gran parte dei dati spaziali disponibili, è seguita la modellazione dei solidi 16 a partire dalle primitive vettoriali realizzate: tale processo è stato compiuto optando per l’ambiente CAD 3D, il quale, pur offrendo un numero ridotto di strumenti per la modellazione di solidi rispetto alla gran parte dei software di modellazione free-form, compensa tale limite garantendo un maggiore grado di precisione e la possibilità di governare e misurare millimetricamente ciascun passaggio della modellazione. Attraverso l’impiego, ora separato ora combinato, dei diversi strumenti, è stato possibile modellare dei solidi che riproducono la gran parte 16 RUA-ALVITO 2011, RUSSO 2005. 76 dei reperti del deposito archeologico investigato: mediante i tool estrusione, rivoluzione e loft17, sono state riprodotte copie digitali tridimensionali morfometricamente corrette di ciascuno dei reperti (Fig. 2). Le copie digitali 3D così realizzate, oltre ad essere conformi alle dimensioni degli originali, riproducono fedelmente anche le caratteristiche formali intrinseche dei manufatti, sia che siano riferibili ad interventi umani, sia che siano invece da ricondurre alle condizioni di giacitura. Il primo caso è rappresentato, in maniera esemplare, da quegli elementi strutturali dei reperti lignei, quali incastri, tacche e scasse per l’appoggio o l’alloggiamento di altri legni: tutti questi elementi sono stati riprodotti ricorrendo ai tool di addizione e sottrazione di materia dai solidi, attraverso operazioni c.d. “booleane”. Gli stessi tool hanno consentito, inoltre, di realizzare sui solidi precedentemente creati copie delle fratture e filature presenti negli originali ceramici: in tal modo sono stati riprodotti quegli elementi morfologici caratterizzanti, imputabili in alcuni casi alla giacitura dei reperti e in altri ad eventi accidentali verificatisi al momento del loro abbandono (Fig. 3). Fig. 3 Modellazione e caratterizzazione delle fratture negli elementi ceramici riprodotti: anfora R-125 (elaborazione grafica V. Pinna). 17 BIANCHINI 2008. 77 Un ulteriore passo nella ricostruzione digitale dell’ambiente tridimensionale è stata la realizzazione di una superficie 3D irregolare che riproducesse la porzione di fondale lagunare indagato sul quale insisteva il deposito archeologico. In questa macrocomponente della ricostruzione digitale sono confluiti tutti i dati inerenti la terza dimensione, provenienti sia dalla registrazione diretta della profondità (è il caso dei valori altimetrici annotati nelle planimetrie cartacee delle sezioni), sia da rilevazioni indirette contenute nelle schede dei reperti, nelle foto e nei filmati. Ciascun dato così recuperato è stato convertito in coordinata puntuale tridimensionale che ha concorso alla realizzazione di una mesh 3D contrassegnata da diversi gradi di definizione della griglia a seconda delle aree riprodotte (Fig. 4), in modo da determinare un elaborato finale ben caratterizzato e ricco di informazioni morfologiche, ma comunque leggero e facilmente gestibile, ad esempio, in una navigazione in tempo reale. Fig. 4 Visualizzazione wireframe delle diverse densità dei reticoli costituenti le mesh 3D (elaborazione grafica V. Pinna). 78 La stessa ricerca di leggerezza computazionale ha indirizzato anche le scelte riguardanti il texturing e l’illuminazione: nel caso delle texture si è privilegiato il ricorso al metodo dell’interpolazione lineare, applicando agli oggetti mappe procedurali basilari, per lo più monocromatiche, mentre, per gli aspetti concernenti l’illuminazione della scena tridimensionale, si è adottato il metodo d’interpolazione Gourand shading18. Quest’ultimo rappresenta un valido compromesso tra l’aspetto eccessivamente “sfaccettato” dato agli oggetti dal metodo Flat shading e l’elevata richiesta di computazione necessaria al metodo Phong shading per ottenere dei risultati realistici. Il punto d’arrivo delle procedure operative descritte è una piattaforma tridimensionale che riproduce puntualmente l’insieme dei reperti del deposito archeologico, correttamente localizzati entro la porzione di ambiente lagunare interessato dall’indagine. 4. LA (V.P.) PIATTAFORMA TRIDIMENSIONALE DELLO SCAVO ARCHEOLOGICO L’oggetto delle ricostruzioni virtuali di ambito archeologico che prendono le mosse dalla documentazione architettonica cartacea è rappresentato solitamente da singole emergenze monumentali, da edifici e, più raramente, da interi siti o da spaccati di aree fortemente antropizzate (strade, quartieri, villaggi): l’obiettivo principale di questi interventi di virtualizzazione consiste nel riproporre digitalmente queste evidenze nel loro aspetto originario, riproducendole per come esse dovevano presumibilmente apparire19 e al contempo veicolando l’insieme delle informazioni elaborate dall’indagine archeologica. Il modello digitale tridimensionale realizzato si configura, infatti, come una sintesi delle conoscenze derivate dalla ricerca, trasmettendo su ampia scala le informazioni che hanno contribuito alla sua stessa realizzazione: si tratta, pertanto, di una 18 19 GOURAND 1971. SCAGLIARINI CORLÀITA et alii 2003; LOMBARDO 2009. 79 partecipazione dei mezzi informatici a quelle che sono le fasi conclusive – di output – del percorso di conoscenza archeologico. Il modello digitale presentato in questo lavoro descrive invece un utilizzo delle ricostruzioni digitali che si discosta da questa destinazione. A mutare è, in primo luogo, l’oggetto stesso della ricostruzione virtuale; ciò che viene ricostruito non è infatti un contesto archeologico già indagato ed interpretato, ma piuttosto una sequenza di dati derivati a mano a mano dalla ricerca: è il deposito archeologico stesso, nelle condizioni in cui viene documentato nel corso delle operazioni di scavo, ad essere riproposto in un ambiente virtuale tridimensionale20 (Tav. VI). Questa differenza fa sì che i due diversi approcci alla virtualizzazione del dato archeologico siano sufficientemente distanti da dare luogo a due differenti prodotti digitali: da un lato una ricostruzione digitale per così dire “conclusiva”, comprensiva delle conoscenze acquisite al termine di un percorso analitico; dall’altro invece – è questo il caso in esame – la ricostruzione tridimensionale si configura come vero e proprio strumento complementare del processo analitico, costantemente in progress. Le potenzialità funzionali del modello digitale prodotto dipendono strettamente dall’ambiente software nel quale si sceglie di operare: ai diversi ambienti corrispondono differenti sviluppi del modello stesso, sia che si scelga di risaltarne la predisposizione alla “visualizzazione tridimensionale” della documentazione di scavo, sia che il modello venga concepito come nuovo punto di partenza per la realizzazione di un ulteriore strumento di analisi, come un geodatabase tridimensionale. L’ambiente CAD 3D, nel quale il prodotto è stato realizzato, oltre a consentire di incrementare ulteriormente i contenuti del modello con il proseguire della ricerca archeologica, permette la visualizzazione tridimensionale attraverso un buon numero di strumenti per la navigazione in tempo reale. Inoltre, basandosi sull’organizzazione per layer tematici di tutti gli oggetti presenti nel modello 3D, è possibile compiere elementari operazioni di interrogazione, per ottenere visualizzazioni per categorie di manufatti e piante particolareggiate (Tav. VII). 20 Alcuni esempi in tal senso in DRAP et alii 2001, 2002; DEMESTICA 2011. 80 Attraverso l’esportazione del modello 3D verso ambienti differenti è invece possibile superare la semplice visualizzazione di dati e mettere in rilievo le potenzialità strumentali. Opportunamente convertito nei formati propri delle geometrie 3D (ad esempio STL, OBJ, WRL), il modello digitale può essere gestito con uno dei software di post-processamento dati, solitamente utilizzati nell’elaborazione delle nuvole di punti acquisite con laser scanner 3D: in questo ambiente è possibile ricavare dal modello 3D importato nuove piante, sezioni e prospetti bidimensionali, andando così a produrre un insieme di documenti topografici prima non esistenti. L’ultimo esempio di conversione dell’ambiente di lavoro e del conseguente accrescimento degli strumenti informatici applicabili riguarda l’esportabilità del modello 3D verso l’ambiente GIS, ossia la realizzazione dell’obiettivo che stava alla base della procedura di virtualizzazione e di tridimensionalizzazione della documentazione cartacea. La trattazione delle metodiche di gestione dei dati archeologici in ambiente GIS esula dal tema del presente contributo; in questa sede, a titolo indicativo, verrà presentata unicamente la procedura seguita per l’importazione dei dati tridimensionali all’interno della piattaforma GIS, funzionale alla loro visualizzazione congiuntamente ai dati provenienti da altre fonti d’acquisizione digitale e alla interrogazione delle informazioni tabellari ad essi associati. L’importazione in ambiente GIS degli oggetti 3D è avvenuta attraverso il ricorso a due differenti percorsi: per prima cosa alcuni elementi del modello 3D – per i quali non era prevista l’integrazione di ulteriori informazioni – sono stati importati all’interno di una Feature dataset specificatamente realizzata all’interno di un file geodatabase della ESRI, in modo da visualizzare tridimensionalmente il modello 3D acquisito, ma non interrogarlo. Successivamente si sono utilizzati, in un secondo percorso di acquisizione, singoli elementi del modello 3D come vestizione di altrettanti simboli 3D marker puntuali: in tal modo è stato possibile, oltre che visualizzare, interrogare gli shapefile “vestiti tridimensionalmente”, usufruendo dei tool analitici offerti dall’ambiente GIS. Attraverso questo accorgimento metodologico, che si configura come una for81 zatura del normale funzionamento del sistema GIS, è quindi possibile aggirare alcuni dei limiti propri del GIS 3D21 ed aggiungere alla navigazione 3D in tempo reale la possibilità di interrogare ciascun elemento al fine di visualizzare le specifiche informazioni archeologiche ad esso associate e registrate nel geodatabase. 5. CONCLUSIONI (C.D.V. – V.P. – I.S.) L’approccio alla tridimensionalizzazione delle informazioni archeologiche sopra descritto ha consentito di creare un modello virtuale di carattere archeologico che, come più volte affermato, si configura principalmente come strumento ausiliario della ricerca. La riproposizione tridimensionale del deposito archeologico risponde all’esigenza di uno strumento di facile consultazione ed accessibilità, in grado di registrare e rendere disponibile il maggior numero possibile di informazioni, non solo spaziali, funzionali allo studio e all’interpretazione delle evidenze materiali. Tale esigenza risulta ancora più accentuata nel caso di un contesto d’indagine subacqueo, nel quale l’osservazione diretta del deposito è fortemente limitata dalla scarsa visibilità del mezzo lagunare ed è riservata, sotto l’aspetto della fruizione, ai pochi tecnici che vi operano. L’uso principalmente analitico della ricostruzione virtuale non esclude, quindi, finalità differenti, quali ad esempio la divulgazione su ampia scala, attraverso la realizzazione di viste fotografiche e di filmati opportunamente progettati. Anche in questo caso la scelta di un contesto subacqueo accentua il potenziale comunicativo e informativo, rendendo visibile ai più un ambiente che in quanto sommerso sarebbe altrimenti di più difficile accesso. CARLA DEL VAIS (1) - VALERIO PINNA (2) - IGNAZIO SANNA (3) (1) Università degli Studi di Cagliari - (2) collaboratore Soprintendenza per i Beni Archeologici per le province di Cagliari e Oristano (3) Soprintendenza per i Beni Archeologici per le province di Cagliari e Oristano 21 KVAMME et alii 2002. 82 ABSTRACT Nel generale processo di informatizzazione della ricerca archeologica, una certa rilevanza assume la gestione informatizzata dei cantieri archeologici ed in particolare la restituzione virtuale dei contesti indagati stratigraficamente. Un aspetto importante di questo processo è rappresentato dai metodi di gestione della documentazione di scavo prodotta con metodi tradizionali. In questo lavoro viene presentata, attraverso l’esposizione del caso concreto di un contesto archeologico subacqueo di età fenicio-punica individuato nella laguna di Santa Giusta (OR), un metodo finalizzato alla virtualizzazione tridimensionale dello scavo e della stratigrafia indagata, mediante la vettorializzazione e la tridimensionalizzazione in ambiente CAD dei rilievi cartacei prodotti con i metodi tradizionali del rilievo archeologico subacqueo. Tale metodo, sebbene finalizzato principalmente alla creazione di una piattaforma tridimensionale per un uso scientifico-analitico, specificatamente per lo studio della stratigrafia e delle dinamiche di deposizione dei materiali, non esclude un utilizzo degli elaborati per fini divulgativi. BIBLIOGRAFIA BIANCHINI 2008: M. Bianchini, Manuale di rilievo e di documentazione digitale in archeologia, Aracne, Roma 2008. D’ANDREA 2001: A. 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Gli insediamenti fortificati d’altura indagati ricadono in due comprensori piuttosto ampi e orograficamente differenti tra loro: l’alta valle del Liri, nota come Valle Roveto, nella Marsica, con alture che toccano i 1700 m, ed alcuni significativi confronti nel Lazio meridionale, ai limiti del territorio sannita, con rilievi attestati mediamente sui 500 m. Complessivamente sono stati considerati 36 insediamenti. Questi siti sono stati censiti secondo i metodi tradizionali dell’indagine topografica, collazionando la necessaria documentazione relativa alle fonti letterarie, primarie e secondarie, alla cartografia regionale disponibile ad alta scala, alle fotografie aeree o satellitari ove disponibili. A questa fase è seguita una campagna di ricognizioni autoptiche nei siti considerati per verificarne lo stato di conservazione e di visibilità. Per le fortificazioni che conservano mura poligonali di altezza superiore ai 2 m, non disponendo di una stazione totale, si è deciso di realizzare dei rilievi prospettici con la tecnica del fotoraddrizzamento con mire ottiche misurate1, correggendo le distorsioni dell’obiettivo e del pia1 Sono state posizionate 6 mire su una porzione muraria di circa 2 m di lunghezza. Le distanze in cm tra le mire sono state riportate nel software ENVI 4.3 per il raddriz- Fig. 1 Comparazione dei rilievi prospettici di quattro circuiti murari (rilievi eseguiti da M. Manfrè). no di posa (ad esempio a causa del profilo inclinato a scarpa delle mura). In simili contesti la tecnica muraria non può essere datante, in quanto non cambia in funzione del contesto cronologico, ma al massimo subisce modificazioni in relazione all’incidenza di svariati fattori contingenti, pertanto il rilievo così effettuato non porta ad un’analisi di dettaglio della tecnica costruttiva. La finalità è piuttosto una comparazione a pari scala dei rilievi prospettici di una porzione di muratura che porta a notare una zamento della foto. La foto così trasformata è stata esportata in ambiente CAD facendola combaciare con le coordinate delle mire, accettando un errore di circa 1 cm, tollerabile per la finalità del rilievo effettuato. 87 forte corrispondenza nelle modalità costruttive di insediamenti presenti in comprensori geograficamente distanti ed etnograficamente distinti (Fig. 1). Ogni sito è stato segnalato sulla cartografia regionale georeferenziata, disponibile in formato vettoriale 1:5.000 per la Marsica e raster 1:10.000 per la Piana di Cassino, da cui, con appositi software, è stato possibile ricavare una cartografia finalizzata in formato vettoriale. Disporre di una cartografia georeferenziata ed in formato numerico significa avere a disposizione una piattaforma sulla quale poter riversare vari livelli d’indagine, come ad esempio il rilevamento dei resti archeologici tramite sistema di posizionamento satellitare GNSS. Lo studio di fortificazioni d’altura, caratterizzate da avanzi di strutture di estensione variabile da <1 ha a circa 30 ha, spesso localizzate in luoghi isolati o lontano da centri abitati, ha suggerito di corredare la ricognizione topografica con riposizionamenti di precisione delle singole emergenze archeologiche, sfruttando, nell’ambito della tradizionale metodologia degli studi topografici, le potenzialità di strumenti tecnologici come il sistema di rilevamento satellitare (Fig. 2). In questo modo non ci si è limitati a segnalare la generica localizzazione dei siti individuati, ma al contrario si è garantita l’esatta posizione delle strutture in un sistema di coordinate assolute. È doveroso precisare che si tratta di un rilievo di “posizionamento” e non comunque di un rilievo di dettaglio, poiché in condizioni di fitta vegetazione boschiva il segnale GNSS non arriva all’antenna, e non si è potuto procedere a misurazioni complete del perimetro. Dove però l’andamento delle mura era rettilineo si sono registrati alcuni punti sui segmenti visibili che poi sono stati collegati graficamente con una linea tratteggiata. Lo strumento per rilievi GNSS utilizzato è un Leica SR20, dotato di un’antenna a singola frequenza, in grado cioè di registrare solo una delle due onde portanti della frequenza emessa dagli orologi atomici dei satelliti in orbita. Il tipo di rilievo effettuato è un rilevamento cinematico. La misurazione ha origine in una base di stazionamento determinata con una inizializzazione di 20 minuti: si crea così una catena cinematica le cui “maglie” saranno i singoli punti che vengono misurati stazionando solo pochi secondi (fino all’acquisizione di almeno 5 posizioni), garan88 tendo una correzione tra il punto di inizializzazione e quelli successivamente registrati. Fig. 2 Antenna GNSS posizionata su palina: rilievo puntuale del muro longitudinale di Pietrelunghe-Casalucense (FR). Una volta scaricati, i dati grezzi sono stati elaborati con il software Leica geo-office e le coordinate sono state corrette in base al caposaldo di riferimento (Italpos)2. Con questa procedura è possibile risolvere le ambiguità dovute agli errori di trasmissione del segnale e procedere così alla conversione delle coordinate da WGS84, coordinate universali proprie di ogni strumento GNSS, a quelle locali del sistema geografico di riferimento della cartografia di base utilizzata. Attraverso questa serie di procedimenti si ottiene una documentazione omogenea riferita allo stesso sistema di coordinate che consente di sperimentare visualizzazioni utili ad una migliore interpretazione delle strutture in questione. Nell’ambito di questa ricerca si è deciso di sovrapporre alla base cartografica il perimetro della fortificazione misurato con il GNSS, al fine di leggerne l’an2 Essendo un’antenna monofrequenza è necessaria la correzione con una seconda antenna di riferimento (della rete geodetica nazionale ETRF2000 o del sistema Italpos) per ridurre l’errore da 30 cm (errore strumentale) a pochi millimetri. 89 damento in relazione al dato altimetrico del contesto orografico che evidentemente ne condizionò la costruzione in età antica.3 Di seguito (Fig. 3) si riporta un confronto tra il rilievo planimetrico realizzato dalla cooperativa ArcheoProject di una struttura fortificata in località Pietrelunghe-Casalucense, a N di Cassino (FR), confrontato con quello appositamente prodotto secondo i procedimenti ed i criteri sopra descritti. Fig. 3 Planimetria realizzata da ArcheoProject Roma (a sinistra) e planimetria del circuito murario realizzata con il GNSS e base cartografica (a destra, elaborazione di M. Manfrè). Nel primo caso si nota chiaramente come il perimetro del circuito murario non corrisponda al reale andamento delle mura, che risulta sostanzialmente circolare. Non è stato possibile sapere con quali strumenti e secondo quali metodologie sia stato effettuato il rilevamento di sinistra, ma l’andamento delle mura, riportate per altro solo sul versante SO, non corrisponde ai resti archeologici visibili e al loro posizionamento sul pia3 Tale procedimento consente di dare una migliore interpretazione di quegli elementi attributivi che caratterizzano la costruzione di alcune cinte murarie, ad esempio mura longitudinali, porte a corridoio interno obliquo, raddoppiamenti del circuito murario ecc. 90 noro, a S di una piccola sella ricavata proprio da attività di cavatura dei blocchi per la costruzione delle mura. Inoltre non si tiene conto di elementi costruttivi fondamentali per la definizione strategica dell’oppidum come la presenza a NE di un muro longitudinale che protegge presumibilmente un ingresso a S da una viabilità di valico immediatamente a N, attraverso la suddetta sella4. I singoli livelli d’indagine sono stati a loro volta esportati in un programma GIS che consente di creare delle superfici tridimensionali attraverso la generazione automatica di poligoni a partire dalle isoipse della cartografia numerica (Fig. 4). Si è proceduto così alla sperimentazione di elaborazioni grafiche che potessero essere utili nell’analisi storico-topografica dei siti e dei loro contesti d’indagine. Dalla digitalizzazione delle curve di livello desunte dalla CTR, è stato possibile realizzare un Digital Elevation Model (DEM) che fornisse un’immediata visualizzazione della morfologia del sito potendo scegliere il più opportuno angolo di vista dell’immagine. Sovrapponendo al DEM anche il rilevamento delle mura registrato con il GNSS è possibile leggere chiaramente l’andamento del circuito murario in relazione alle caratteristiche orografiche dell’insediamento (Fig. 5 e Tav. VIII) ricavando così ulteriori informazioni sulla funzione strategica del sito. Una simile visualizzazione “evocativa” permette anche di ragionare sul fattore visibilità/intervisibilità tra centri distribuiti nella stessa area e tra i singoli centri e la vallata sottostante, fattore che evidentemente determina proprio da quel carattere “d’altura” che è dato dall’intervallo di quota tra la valle sottostante ed il luogo di insediamento a monte. Nell’ambito di uno studio topografico a carattere territoriale come quello proposto, fermo restando il fondamentale supporto dei tradizionali metodi di rilevamento, che si confermano utili strumenti per la lettura approfondita dei vari elementi di un territorio, all’innovazione tecnologica strumentale si affianca la possibilità di generare dei modelli tridimen4 Cfr. SACCO 2009. Contra M. Manfrè, Siti d’altura fortificati di età preromana nella Valle Roveto ed in alcune località del Lazio meridionale, Tesi di Dottorato, 2010. 91 Fig. 4 Schermata in ArcView-GIS del DEM di Colle Marena Falascosa. Fig. 5 Modello tridimensionale di Colle Marena-Falascosa (S. Vittore del Lazio, FR). Elaborazione di M. Manfrè. sionali del terreno. Essi costituiscono sicuramente un valore aggiunto all’indagine territoriale, rappresentando uno strumento di ricostruzione di immediata lettura e di forte valore scientifico, su cui è possibile sovrap92 porre vari livelli d’indagine (isoipse, viabilità, ricognizioni, foto aeree ecc.) (Tav. IX). Considerando dunque che gran parte delle riflessioni storiche su un sito archeologico e sul suo contesto territoriale di riferimento si formano al momento della documentazione e vengono influenzate dalla tipologia e dalla qualità della documentazione stessa, viene da sé l’importanza quasi strutturale che riveste questo stadio dell’indagine. È dunque fondamentale che in questa fase siano gli archeologi stessi ad usare e gestire gli strumenti tecnologici ed i vari software di elaborazione dati a disposizione, poiché in questo modo non solo è possibile stabilire autonomamente il margine di errore accettabile, ma anche determinare i fattori necessari ad una ricostruzione storico-topografica ad esempio delle modalità di occupazione e distribuzione insediative in epoca italica. Allo stesso modo anche l’elaborazione dei modelli tridimensionali digitali deve essere gestita da professionisti archeologi affinché prevalga l’intenzione di documentare lo stato delle emergenze archeologiche in funzione di una ricostruzione storica dell’assetto occupazionale e non semplicemente di mostrare rappresentazioni esteticamente suggestive ma fini a se stesse. ACKNOWLEDGEMENTS Un particolare ringraziamento va a Gert-Jan Burgers e a tutto il Reale Istituto Neerlandese a Roma, per l’interesse e l’incoraggiamento che hanno dimostrato nei confronti dei miei studi di topografia storica. MANUELA MANFRÉ Reale Istituto Neerlandese - Roma ABSTRACT The study of pre-Roman fortifications in polygonal limestone masonry walls is a way for a historic reconstruction of the ancient Italic settlements in the Roveto Valley and Piana di Cassino. The research starts collecting primary sources, aerial photos, 93 and cartographies and goes on with a survey fields and a comparison of masonry techniques referred to different ethno-geographical contexts. A GNSS survey of the enclosure walls was also made, and referred to a numeric cartography created by the Regional Technical Cartography. A number of digital terrain models were created using the contour lines of the CTR maps, superimposing the available data about the enclosures and viability. The 3D model allows a better understandable view of the geomorphological characteristics that determined the strategic position of the settlements. BIBLIOGRAFIA CERAUDO 2004: G. Ceraudo (a cura di), Ager Aquinas. Aerotopografia archeologica lungo la valle dell’antico Liris, Marina di Minturno 2004. CERAUDO 2006: G. Ceraudo (a cura di), Le collezioni dell’Aerofototeca Nazionale per la conoscenza del territorio: la Provincia di Frosinone, Frosinone 2006. ALVARO et alii 2009: C. Alvaro, G. De Persiis, M. Manfré, F. Vallelonga, “Progetto “Leopoli-Cencelle”: strumenti e metodologie di analisi territoriale”, in Archeologia Aerea. Studi di Aerotopografia Archeologica, IV (2009), pp. 129-136, c.d.s. ALVARO et alii 2010: C. Alvaro, G. De Persiis, M. Manfré, “Il rilievo georeferenziato”, in Il Colle Sant’Elia e il futuro della Rocca a Spoleto. Atti del convegno, Spoleto 12-13 marzo 2010, c.d.s. NICOSIA-BETTINI 2009: A. Nicosia, M.C. Bettini (a cura di), Le mura megalitiche. Il Lazio meridionale tra storia e mito, catalogo della mostra, Roma 2009. SACCO 2009: D. Sacco, “Sant’Elia Fiumerapido”, in A. Nicosia, M.C. Bettini (a cura di), Le mura megalitiche. Il Lazio meridionale tra storia e mito, catalogo della mostra, Roma 2009, pp. 211-212. Il sistema GPS, applicazioni e sviluppi nel rilievo del territorio, Leica Geosystems (a cura di), 2006. 94 ITINERARI STORICO-ARCHEOLOGICI PER LA CONOSCENZA DEL FRIULI LONGOBARDO INTRODUZIONE Il progetto, finanziato dalla Regione Friuli Venezia Giulia, ha come obiettivo la ricostruzione del territorio, dell’antica viabilità e dello sviluppo antropico della parte settentrionale dell’antico ducato Longobardo del Friuli, che aveva come capitale la città di Cividale, l’antica Forum Iulii. Il territorio preso in esame si estende da Gemona del Friuli fino a Romans d’Isonzo (Fig.1). Fig. 1 L’area della regione Friuli Venezia Giulia interessata dal progetto. Grazie alla documentazione storica, ed in particolare all’Historia Longobardorum1 di Paolo Diacono, si è a conoscenza di almeno sette ca1 P. DIACONO, Historia Longobardorum, IV, 37. stra2 posizionati proprio in questa fascia di territorio; dagli scavi archeologici, inoltre, sono venute alla luce diverse necropoli, alcune di grande estensione come, per esempio, quelle di Romans d’Isonzo e di San Salvatore di Majano. Il progetto è stato diviso in diverse fasi: la prima si è incentrata sulla ricerca bibliografica e sull’analisi della cartografia storica, integrate con lo studio della fotografia aerea, con l’utilizzo dei dati telerilevati con sensore iperspettrale MIVIS e con diversi voli effettuati con ultraleggero per realizzare foto aeree oblique; è stato inoltre testato l’utilizzo di un quadricottero UAV per fotografie zenitali a bassa quota dei siti archeologici e successiva rielaborazione tridimensionale degli stessi. La seconda parte del progetto è consistita nella creazione di un GIS in cui sono stati inseriti tutti i dati provenienti dalla ricerca bibliografica e le anomalie riscontrate dalla fotografia aerea3. Questi dati sono stati uniti ad un modello digitale del terreno su cui è stato possibile effettuare diverse analisi spaziali. La parte finale del progetto sarà invece focalizzata sulla ricostruzione del paesaggio di epoca tardo antica e alto medievale mediante l’utilizzo della cartografia storica, dei documenti d’archivio e delle analisi polliniche. Questi dati, insieme alle analisi effettuate nella fase precedente, verranno inseriti in un software specifico che permetterà di realizzare delle ricostruzioni 3D del territorio mantenendo il dato geografico del GIS. È in fase di completamento un WebGIS in cui saranno inserite le foto aeree georiferite e i risultati delle analisi e delle ricostruzioni, da cui sarà possibile scaricare gli itinerari turistici realizzati per la valorizzazione dei territori presi in esame. LE FOTO AEREE VERTICALI Il ricorso alla foto aerea, in funzione dell’analisi storico – archeologica del paesaggio, ha ormai alle spalle una consistente e documentata 2 3 I sette castra citati da Paolo Diacono sono: Cormones, Artenia, Reunia, Glemona, Nemas, Osopo, Ibligine. FORTE 2002, pp. 99-102; BEVAN-CONNOLLY 2004; VERHAGEN 2007; WHITLEYBURNS 2007. 96 tradizione4. In questo progetto la foto interpretazione è stata integrata con lo studio della documentazione d’archivio e delle carte storiche in modo da avere un quadro definito e il più completo possibile delle informazioni relative alla porzione di territorio regionale presa in esame. Per questo lavoro sono state utilizzate in primis le fotografie aeree conservate nell’archivio dell’Ufficio Cartografico della Regione Friuli Venezia Giulia: sono stati presi in considerazione i voli del GAI (Gruppo Aerofotogrammetrico Italiano) degli anni cinquanta, della RAF (Royal Air Force) del 1976 e i voli dell’IGM dal 1938 al 2006 e successivamente i fotogrammi dei voli di ricognizione conservati presso l’Aerofototeca Nazionale nel Laboratorio per la fotointerpretazione e l’aerofotogrammetria, effettuati tra il 1943 e il 1945 dalla RAF su una porzione consistente della regione, relativa soprattutto alle città, ai ponti, alle reti viarie e ferroviarie. Tutte le immagini scelte sono state successivamente georiferite in ArcGIS® usando come base le ortofoto del 2007. La georeferenziazione di tutti i fotogrammi ha permesso non solo la creazione di un archivio digitale relativo alla documentazione presente nella zona, ma anche una visualizzazione multilivello dalla quale è possibile leggere in chiave diacronica il susseguirsi dei segni lasciati sul paesaggio pluristratificato. La creazione del GIS sottostà fondamentalmente a questa seconda funzione: le anomalie individuate nei singoli fotogrammi sono state ricercate anche in quelli di anni successivi o precedenti, in modo da poter osservare una continuità o discontinuità del dato. La seconda parte del lavoro è consistita nell’analisi e nella suddivisione per tipologie delle varie anomalie visibili ed individuabili. Per riportare alcuni esempi, nei dintorni di Osoppo sono state riscontrate alcune tracce di forma rettangolare che potrebbero far pensare ad alcune 4 Come riferimento per la fotografia aerea si possono consultare le fondamentali pubblicazioni di CLARK 1997; PICARRETA-CERAUDO 2000; WILSON 2000; MUSSON-PALMERCAMPANA 2005. Come sussidio e integrazione si può vedere PALMER-COWLEY 2010 e altri articoli presenti nel sito internet: http://www.univie.ac.at/aarg/php/cms/books/aerial-archaeology-beginners-list 97 strutture (Fig. 2) e nei pressi del colle di Buia è stata osservata una traccia di forma lineare, relativa a una possibile rete viaria (Fig. 3). Fig. 2 Tracce di anomalie presso Osoppo. Fig. 3 Traccia rettilinea nei pressi di Buja. Sulle foto RAF è stato possibile individuare evidenti tracce rettilinee di colore chiaro tra le zone di Cormons e Mariano del Friuli. Da un primo raffronto con la Carta Tecnica Regionale numerica (CTRn) in scala 1:5.0005, utilizzata per escludere tutte le infrastrutture interrate che ad una prima analisi possono essere scambiate per anomalie relative a strade, non risultano esserci tubature interrate in quelle zona. Le anomalie riscontrate potrebbero quindi riferirsi a possibili anomalie viarie. Tutte le 5 La Carta tecnica è scaricabile gratuitamente dal sito internet della Regione Friuli Venezia Giulia. 98 tracce ed anomalie individuate sono state inserite nel Sistema Informativo e sono state corredate di tutte le informazioni relative in modo da avere una tabella comprensiva che permetta in seguito di interrogare i dati raccolti. In futuro si intende controllare sul terreno tramite ricognizioni, dove possibile, le anomalie individuate e nel caso di riscontro positivo rilevarle tramite posizionamento GNSS. Successivamente, i dati raccolti saranno confrontati con i documenti d’archivio in modo da controllare se il dato archeologico fosse già stato documentato o se invece si tratti di una notizia inedita e soprattutto se si possa stabilire che l’anomalia può essere ricondotta ad un’evidenza di tipo archeologico. Come sussidio alla lettura e interpretazione delle foto aeree, si è deciso di effettuare alcuni voli con ultraleggero per confermare la presenza di tracce di anomalia6. Per una collocazione più precisa delle singole foto è stato utilizzato un GPS Trimble GeoXH modello 2005. Durante i voli è stata compilata una scheda di ricognizione archeologica aerea in cui vengono segnati, oltre alle condizioni meteo e al tipo di attrezzatura utilizzata, il numero di foto effettuate e soprattutto il numero di fotogramma con abbinato il relativo numero di file GPS. Per la georeferenziazione delle fotografie oblique è stato utilizzato il programma Air Photo, progettato e sviluppato da Irwin Scollar7, tramite il quale la fotografia obliqua viene elaborata facendo corrispondere gli elementi ben visibili e identificabili ai corrispettivi punti sulla base cartografica, nel nostro caso sia la CTRn che le ortofoto del 2007. Da questi voli abbiamo ricavato alcuni scatti riferiti a diverse anomalie; interessante risulta essere soprattutto una traccia da umidità (damp-marks) nei pressi della località “La Mainizza”, in provincia di Gorizia, presso la quale erano già state individuate anomalie attraverso l’analisi delle foto dei voli RAF e una trac- 6 I voli sono stati effettuati grazie alla collaborazione dell’Aeroklub Gorica, situato presso il paese di Ajdovščina in Slovenia, non molto distante dalla città di Nova Gorica e a soli cinque minuti di volo da Cividale. L’aereo utilizzato per queste campagne fotografiche è un ultraleggero biposto modello Virus della ditta slovena Pipistrel. 7 SCOLLAR 1998; SCOLLAR 2001; SCOLLAR 2005. 99 cia rettilinea che potrebbe riferirsi ad una traccia di viabilità nei pressi di Artegna (Figg. 4 e 5). Fig. 4 Tracce circolari nei pressi della Mainizza. Fig. 5 Traccia rettilinea, possibile viabilità, vicino a Cormòns. Come integrazione a questa metodologia d’indagine si è voluto provare l’utilizzo dei cosiddetti UAV8 e in particolare dei micro-UAV (<2 kg), velivoli senza presenza umana a bordo, pilotati da remoto con un telecomando, nati da tecnologia militare, ma come spesso accade prestati all’uso civile con ottimi risultati9. 8 Il termine UAV è comunemente usato in Informatica, nella robotica e negli studi sull’intelligenza artificiale così come in fotogrammetria e remote sensing. Vd Glossario. EISENBEISS 2009, p. 2. 9 Uno dei grandi vantaggi nell’utilizzo degli UAV è la possibilità di operare anche in situazioni di rischio, in zone impervie, quando non è stato dato il permesso di sorvolo e 100 In ambito archeologico, l’utilizzo degli UAV permette di elaborare documentazione fotografica zenitale di uno scavo 10, fotogrammetria aerea11 e di integrare lo studio delle fotografie aeree zenitali e oblique programmando i vari voli e i vari scatti di ogni singolo sito o anomalia individuata sul terreno, reiterando anche i passaggi in diversi periodi12. Al momento della scelta dell’UAV, sono stati presi in considerazione vari tipi di modelli e di velivoli: la preferenza è ricaduta sui quadricotteri, leggermente più semplici da manovrare rispetto agli aerei e agli elicotteri e che possono essere tenuti fermi e stabili al di sopra dell’oggetto da fotografare, permettendo di replicare lo scatto sia nella stessa modalità che con modalità diversa (differente tempo di scatto, diversa angolazione ecc.). Per questo progetto è stato acquistato il quadricottero 330X-S prodotto dalla GAUI (Fig. 6) che ha una capacità di carico di 700 grammi, incluse le batterie e a breve sarà possibile aggiungervi un sistema di controllo GNSS che permetterà di stabilire e stabilizzare ulteriormente la rotta e di fissare i punti prestabiliti in cui si vorranno fare le fotografie. La sperimentazione di questo strumento è stata per ora effettuata in due scavi condotti per conto della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Friuli Venezia Giulia a Dolegnano e ad Aquileia per testare la qualità dell’elaborazione 3D ricavata dalle foto. Sono state compiute numerose fotografie verticali degli scavi, successivamente rielaborate con il software open source Python Photogrammetry Toolbox13 che permette di unire in un unico modello le foto ed estrapolare la nuvola di punti tridimensionale. Per la creazione della mesh 3D è stato utilizzato il programma open source MeshLab14. quando le condizioni meteo non permettono l’utilizzo dell’aereo, in quanto gli UAV possono volare al di sotto delle nuvole. 10 EISENBEISS-SAUERBIER 2010. 11 BENDEA et alii 2007. 12 Questa possibilità rende gli UAV uno strumento molto interessante come supporto ed integrazione nella ricerca e nell’interpretazione archeologica, a maggior ragione nello studio e nell’analisi delle anomalie da foto interpretazione aerea. 13 Creato da A. Bezzi della ArchTeam di Trento. 14 Sviluppato dall’Università di Pisa. 101 Fig. 6 Il quadricottero GAUI. Lo sviluppo del lavoro sarà quello di provare a vedere se i modelli 3D così creati potranno essere scalati sulla base dei punti topografici battuti durante il rilievo dello scavo tramite stazione totale (Figg. 7-8). LE IMMAGINI TELERILEVATE CON IL SENSORE AVIOTRASPORTATO MIVIS Il sensore iperspettrale utilizzato nel presente lavoro è il MIVIS (Multispectral Infrared and Visible Imaging Spectrometer) di proprietà del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), montato su aereo CASA C21215. Il MIVIS è uno strumento modulare costituito da quattro spettrometri, per complessivi 102 canali che riprendono simultaneamente la radiazione proveniente dalla superficie terrestre nel visibile, nell’infrarosso vicino e nell’infrarosso medio (o “termico”). Lo spettrometro suddivide l’energia all’interno dei quattro spettrometri singoli e la risoluzione geometrica delle immagini MIVIS è di circa 5x5 m. Le immagini MIVIS a disposizione, fornite dall’Ufficio Cartografico della Regione Friuli Venezia Giulia, sono state innanzitutto georiferite in ArcGIS® utilizzando come base cartografica le ortofoto del 2007. Dopo aver verificato quali di queste contenessero le anomalie individuate dalle foto aeree verticali, ne 15 TRAVIGLIA 2005; CAVALLI-PIGNATTI 2009. 102 Fig. 7 La nuvola dei punti estrapolata dalle foto nel sito di Aquileia. Fig. 8 La mesh del sito archeologico di Dolegnano. sono state studiate e analizzate cinque in particolare: i criteri di scelta sono stati sia l’overlaying tra le immagini selezionate e i fotogrammi contenenti le anomalie più significative, sia il tentativo di avere un’area di indagine che fosse la più ampia possibile. Le immagini sono fortemente distorte, in particolare a causa della geometria di scansione e degli effetti introdotti dalle perturbazioni di posizione e assetto della piattaforma aerea16. Dopo queste operazioni di pre16 Il software utilizzato per implementare le analisi è stato ENVI 4.7 ©, della ITT Visual Information Solutions. Per migliorare l’accuratezza dei risultati e ridurre il rumore contenuto nelle immagini è stata applicata, in fase di pre-processing, la MNF (Mi103 trattamento, sono state visualizzate singolarmente tutte le 102 bande MIVIS, come immagini pancromatiche; da ciascun intervallo spettrale sono state scelte e sottoposte ad analisi visiva le più significative: le bande blu sono le meno utili in termini di identificazione di tracce, essendo maggiormente affette da fenomeni di attenuazione atmosferica mentre le bande del verde offrono immagini di qualità migliore, essendo meno degradate delle blu nella loro definizione. Buoni risultati sono stati inoltre raggiunti con le bande del rosso e dell’infrarosso vicino (NIR), sensibili al livello di crescita della vegetazione e capaci di enfatizzare anomalie sia sul suolo nudo che su coperture vegetative. I risultati migliori sono stati ottenuti tuttavia attraverso le bande termiche (TIR), dove in qualche caso è stato possibile identificare tracce invisibili o appena visibili in altre bande. Combinazioni matematiche delle bande del rosso e del vicino infrarosso trovano larga applicazione nello studio del monitoraggio della vegetazione e per rilevare discontinuità nella crescita della vegetazione 17. Gli indici di vegetazione hanno una correlazione diretta con la densità fogliare (biomassa), l’umidità dei suoli, gli stadi fenologici e le variazioni temporali, ma sono anche sensibili ad altri fattori esterni quali la geometria dovuta agli angoli di vista e alla posizione del Sole, e gli effetti atmosferici. In questo lavoro sono stati utilizzati indici basati solo sulla riflettanza misurata, senza modifica del dato radiometrico originale: DVI (Difference Vegetation Index) e NDVI (Normalized Difference Vegetation Index)18. I risultati ottenuti hanno evidenziato come aree ricche di vegetazione avessero alti valori dell’indice (tendenti a 1) a causa della riflettanza relativamente maggiore del NIR; questi valori decrescono fino allo 0 nel caso di rocce e suoli nudi: l’immagine risultante è caratterizzata da colori più chiari per le aree vegetate, più scure per gli elementi restanti. I nimum Noise Fraction) che consiste principalmente in due trasformazioni delle componenti principali: il software ENVI permette di selezionare le bande in base al valore assunto dagli eigenvalues (letteralmente autovalori). Componenti con grandi autovalori contengono dati e quelle con autovalori minori contengono principalmente rumore: le eigenimages (componenti MNF) sono state quindi spettralmente selezionate per includere nella trasformazione inversa solo quelle con autovalori maggiori. 17 CAMPANA 2004; LASAPONARA-MASINI 2005. 18 LASAPONARA-MASINI 2006. 104 punti forti dell’NDVI sono la riduzione di alcuni tipi di rumore (differenze di illuminazione, ombre delle nuvole, variazioni topografiche) presenti in più bande e l’ottima sensibilità ai cambi nella copertura vegetativa (Tav. X). Le immagini hanno inoltre una forte correlazione: bande adiacenti risultano essere molto simili tra loro, con una ridondanza del dato molto elevata. Sono state quindi scelte, analizzate e visualizzate sia bande adiacenti della stessa area spettrale, sia singole bande provenienti da aree spettrali differenti19. Analizzando le immagini è stata verificata la presenza di anomalie rilevate nelle foto aeree e ne sono state individuate di nuove, non visibili ad occhio nudo. Tra tutte, le bande TIR (92-102) hanno dato i risultati migliori, spesso rilevando la presenza di anomalie non visibili altrimenti. Le immagini a colori (RGB) hanno spesso rappresentato il punto di riferimento per tutte le successive analisi, dando la visualizzazione della scena che più si avvicina alla realtà20. L’integrazione delle analisi delle foto aeree verticali, foto aeree oblique e MIVIS ha fornito dati e informazioni relative a possibili tracce sul terreno. È stato interessante notare come molte anomalie ricadano in zone indicate da ricognizioni sul terreno come aree di dispersione di materiale archeologico. 19 LASAPONARA-MASINI-SCARDOZZI 2007, p. 209. La PCA (Principal Component Analysis) è un processo che riduce la ridondanza dei dati trasformando una serie di variabili correlate (le bande) in un nuovo set di variabili non correlate. In termini archeologici, la PCA permette una miglior discriminazione delle diverse superfici che diviene più evidente nell’analisi visiva: variazioni nella tessitura del suolo nudo o di aree vegetative possono condurre all’identificazione di siti archeologici sepolti. L’obiettivo del processo è ridurre l’informazione precedentemente contenuta nel set di bande originali in un numero minore di bande da utilizzare al posto delle originali. 20 L’utilizzo degli indici di vegetazione e dell’analisi P.C.A., ha fornito la conferma dei risultati ottenuti in precedenza. Gli indici DVI, NDVI e le singole bande P.C. hanno evidenziato in maniera più marcata le anomalie riscontrate, togliendo così ogni dubbio sulla loro effettiva presenza. In un caso l’utilizzo di P.C. composte ha permesso di rilevare una traccia non visibile in nessun altro tipo di elaborazione. 105 IL SISTEMA INFORMATIVO GEOGRAFICO E LE ANALISI SPAZIALI Durante la seconda parte del progetto è stato creato un Sistema Informativo Geografico, nel quale sono stati inseriti tutti i dati a disposizione, che permettessero di effettuare diversi tipi di analisi spaziali. All’interno del GIS (Fig. 1) sono stati inseriti tutti i dati ritenuti utili per lo studio della zona presa in esame; sono state georiferite tutte le foto aeree utilizzate e le tracce di anomalie riscontrate, sono state posizionate gran parte delle necropoli che sono state oggetto di indagini archeologiche o di cui vi fosse una attestazione documentata, sono stati inseriti numerosi luoghi d’interesse (come i sette castra citati da Paolo Diacono) e inoltre è stato georiferito un notevole numero di carte storiche, sia catastali che topografiche, a diversa scala (dalla cartografia della fine del 1700 21 fino all’ultima CTRn in scala al 1:5.000 del 2007). Sono stati inoltre utilizzati svariati layer tematici: la rete fluviale (è stato comparato l’andamento dei fiumi confrontando la rete idrologica nel periodo compreso tra il 1950 e il 2007), la carta di uso del suolo, la cartografia geologica in scala al 25.000 e al 5.000 e la rete stradale moderna. Relativamente alla zona intorno a Cividale, grazie all’importante lavoro realizzato da Sandro Colussa per la sua tesi di dottorato22, sono stati anche inseriti i dati sull’uso del suolo delle singole particelle catastali; in alcuni casi Colussa è riuscito a risalire, con i documenti d’archivio, fino al 1300. Tutti questi dati all’interno del GIS hanno permesso di effettuare alcune particolari tipologie di analisi spaziali che rappresentano un elemento fondamentale dei sistemi informativi territoriali essendo tecniche di simulazione che permettono di classificare, rappresentare e interpretare il paesaggio archeologico in micro o macro scala basandosi su relazioni spaziali e diacroniche che intercorrono fra elementi antropici, naturali, ambientali e, in 21 Cartografia topografica Giuseppina Josephinische Landesaufnahme 1763-1797 e il cosiddetto “Catasto Napoleonico” (in realtà per la zona del cividalese è stato redatto dall’Austria) del 1811. 22 La tesi di dottorato in Geomatica e Sistemi Informativi Territoriali intitolata “Un modello di studio del paesaggio antico. Il caso dell’agro del municipio romano di Forum Iulii” è stata discussa presso l’Università degli Studi di Trieste nell’aprile del 2010. 106 parte, secondo fattori socio politici23. L’analisi spaziale va intesa come un metodo trasversale caratterizzato da diversi approcci metodologici di tipo statistico che cercano di aiutare nella comprensione e nello studio della distribuzione dei fenomeni nello spazio. Essa si occupa di qualsiasi forma di distribuzione e quindi è applicata ed applicabile non solo al campo della geografia ma anche a quello di altre discipline: inoltre, l’analisi spaziale non è riferibile solo alla creazione di una carta di distribuzione degli insediamenti ma anche alla ricostruzione dei percorsi viari o reti di comunicazione. L’analisi spaziale è il processo e lo strumento che fa evolvere i dati in informazioni; il passaggio successivo, dalle informazioni alle valutazioni, è affidato alle capacità interpretative del ricercatore. Nell’ambito del progetto sono state utilizzate le analisi spaziali24 (Tav. XI) per cercare di dare una risposta a due quesiti specifici: il primo relativo alla ricostruzione della viabilità di epoca tardo antica e medievale, il secondo volto ad individuare le possibili zone d’insediamento dei Longobardi, di cui si sa poco o nulla. Per rispondere alla prima domanda è stato creato un modello dei costi di superficie25 (cost surface analysis), il quale rappresenta uno strumento che permette di ragionare, discutere, 23 FORTE 2002. MACCHI 2001, LAKE-CONOLLY 2006, ROBERTSON et alii 2006. L’utilizzo dell’analisi spaziale in archeologia è riferibile all’indirizzo della ricerca avvenuto nei paesi anglosassoni che prende il nome di New Archaeology. Il primo libro dedicato a questo argomento in archeologia è stato Spatial Analysis in Archaeology di Hodder e Orton, Cambridge 1976, mai tradotto in italiano. Negli anni ’60 e ’70 le analisi erano molto semplici e si riferivano soprattutto all’utilizzo dei “poligoni di Thiessen”, utilizzati largamente in geografia, per l’individuazione di un centro di influenza sul territorio circostante e rispetto a centri confinanti. Per vedere le prime analisi complesse in archeologia bisogna aspettare gli anni ’80, periodo in cui i computer diventano sempre più potenti e veloci; negli anni ’90, infine, l’utilizzo dei software GIS diventa più capillare e si assiste alle prime analisi territoriali. 25 PECERE 2006, CIANCIARULO-GHERDEVICH 2007. La cost surface analysis è l’analisi della superficie di costo, che determina il consumo di energia di un individuo che si sposta da un punto ad un altro: questo tipo di analisi permette di ricostruire la viabilità e i percorsi in base a diverse variabili come le quote, le pendenze, la presenza dei fiumi. Il software calcola quale possa essere il tragitto ideale, più comodo e più certo uti107 24 confutare e fare predizioni. La scienza si basa sui modelli, poiché sono rappresentazioni pratiche di una realtà semplificata che per natura tende ad evolvere. Sono state dunque inserite le variabili che hanno permesso di ricreare il paesaggio e simulare le condizioni ambientali. Su questa porzione di territorio sono state dunque inserite le variabili che hanno permesso di ottenere il modello di costo. Tra le variabili più importanti a cui è stato dato un peso piuttosto rilevante si ricordano: la quota sul livello del mare, la pendenza, i fiumi e l’analisi di visibilità (viewshed analysis), effettuata sui castra citati da Paolo Diacono. È stato così ottenuto un modello con i costi di percorrenza da Cividale verso Gemona, luogo di cui si conosce l’esistenza già in epoca longobarda e medievale, punto di snodo principale prima dell’attraversamento delle montagne della Carnia. Il calcolatore ha quindi elaborato la strada con i minori costi di percorrenza; la ricostruzione è molto interessante perché corre non molto lontano da diverse necropoli e passa non distante dal castra di Artegna, utilizzato anche in epoca romana come controllo sulla cosiddetta via Iulia Augusta. Per cercare di individuare le zone più adatte agli insediamenti Longobardi, è stato realizzato un modello predittivo26. Per creare questo modello sono stati intrecciati i dati ricavati dalle foto aeree e dalle ricerche storico archeologiche con i dati delle diverse analisi spaziali e paesaggistiche tra le quali: la distanza delle necropoli dai fiumi e dalle vie di comunicazione conosciute o ricostruite dal calcolatore, l’analisi di visibilità dei castra, il modello digitale del terreno (da cui sono state escluse le zone con pendenze superiori al 30%). È stata inoltre creata una buffer zone di 2 km di raggio, intorno alle necropoli dato che i possibili insediamenti dovevano trovarsi nei pressi delle aree di sepoltura che circoscrivevano e disegnavano il paesaggio urbano ed un’analisi sulla irradiazione solare lungo tutto l’arco dell’anno, per escludere le zone poco battute dal lizzando tutti i dati inseriti relativi alle diverse variabili e crea un percorso teorico che può essere utilizzato come ulteriore dato nello studio della viabilità antica. 26 TONDI 2007. 108 sole dove difficilmente potevano sorgere degli insediamenti27. LA RICOSTRUZIONE DEL TERRITORIO Tutti gli elementi acquisiti ed analizzati nelle fasi precedentemente esposte saranno utilizzati per la ricostruzione virtuale del territorio di due aree campione, scelte sulla base della quantità e qualità dei dati archeologici e d’archivio a disposizione. Le due aree scelte sono quella relativa alla necropoli di Romans d’Isonzo, in provincia di Gorizia, in quanto sono ripartite quest’anno le indagini archeologiche, e la necropoli presso San Martino di Remanzacco, in provincia di Cividale del Friuli, scavata fino al 2009 e i cui dati sono abbinati ad uno studio approfondito sulla cartografia antica che ha permesso una ricostruzione precisa della copertura vegetativa della zona fino al 1200 circa. I dati archeologici e d’archivio verranno affiancati da analisi polliniche effettuate in entrambi i siti: i prelievi dei campioni di terra verranno eseguiti direttamente dalle tombe scavate per quanto riguarda la necropoli di Romans, in cui sarà possibile analizzare sia il terreno al di sotto degli scheletri che quello visibile in sezione con prelievi fatti ad hoc, mentre a San Martino saranno eseguiti carotaggi con carotatore a mano fino a raggiungere la quota archeologica conosciuta in base ai dati di scavo. I dati pollinici sono importanti in quanto permettono una conoscenza sicura della copertura vegetativa della zona in esame e, per la zona di Remanzacco, saranno affiancati allo studio della cartografia e dei catastali antichi per fornire un’informazione il più possibile corretta ed esauriente. Il software che verrà utilizzato per la ricostruzione virtuale sarà Visual Nature Studio che permette di caricare i dati geografici provenienti dal GIS, in modo che mantengano il loro sistema di coordinate. 27 La creazione di questo modello è stata appena portata a termine e quindi non sono disponibili ancora sufficienti dati per esporre dettagliatamente i risultati della ricerca. 109 Nel GIS sono stati creati, per la zona di San Martino di Remanzacco, alcuni file shape contenenti le informazioni delle aree con diversa copertura vegetativa ricavati dallo studio della cartografia antica; questi dati saranno caricati nel programma Visual Nature insieme al DEM della zona in esame e costituiranno, unitamente alle analisi polliniche effettuate, la base per la ricostruzione virtuale del territorio: il software infatti permette di collegare alle singole aree indicate nel file shape i diversi tipi di copertura grazie ad un catalogo delle specie vegetali molto ampio e fornito. Per la zona relativa alla necropoli di Romans, invece, saranno utilizzati i soli dati provenienti dai risultati delle analisi polliniche, che permettono di avere una certezza maggiore rispetto al solo studio della cartografia antica per quanto riguarda la copertura vegetativa del terreno. Questi dati saranno caricati nel software Visual Nature insieme al DEM della zona e verranno trattati allo stesso modo dei dati relativi a Remanzacco: alle singole aree verranno collegate le diverse specie vegetali recuperate dal catalogo del programma. Le ricostruzioni virtuali del territorio avranno una duplice funzione: saranno innanzitutto di utilità per gli addetti ai lavori in quanto permettono una visione tridimensionale accurata del territorio antico creata su base scientifica e saranno rivolte ai turisti che vorranno conoscere come dovevano presentarsi le due zone prese in esame nel periodo compreso tra il VI e l’VIII secolo d.C. Questa parte del lavoro, ancora non effettuata in quanto i risultati delle analisi polliniche non sono ancora arrivati, sarà fondamentale come completamento del lavoro del GIS e risponderà alla specifica richiesta del Bando Regionale, grazie al quale sono stati ricevuti i finanziamenti, relativa alla creazione di una parte divulgativa del lavoro eseguito. CONCLUSIONI Il progetto ha come fine ultimo l’utilizzo delle diverse metodologie per lo studio e l’evoluzione del paesaggio; anche se le analisi sono state 110 concentrate sul periodo longobardo, lo studio è stato comunque diacronico, soprattutto per quanto riguarda le tracce riscontrate nelle foto aeree, che per essere datate richiedono dettagliate ricognizioni sul campo. L’utilizzo delle foto aeree e la collaborazione con istituzioni come l’Aerofototeca Nazionale dell’ICCD hanno permesso di trovare un consistente numero di anomalie, molte delle quali sono in attesa di essere verificate sul campo. I primi dati delle analisi spaziali hanno permesso di fornire interessanti spunti di indagine. L’intrecciarsi di foto interpretazione aerea e analisi spaziale ha permesso di ricavare alcuni dati che, confrontati con le evidenze archeologiche, si spera siano in grado di produrre delle nuove informazioni ed ipotesi relative alla viabilità e agli insediamenti presenti sul territorio. Il lavoro ha portato anche alla creazione di diverse banche dati, come quella delle foto aeree, utilizzabili anche in futuro per ulteriori indagini. Questo progetto ha inoltre permesso di sperimentare nuovi sistemi di rilievo a basso costo, e cioè l’UAV della GAUI e i software open source per le elaborazioni delle immagini e dei dati. Lo studio e l’analisi delle immagini telerilevate dal sensore iperspettrale MIVIS, oltre ad aver fornito ulteriori riscontri per alcune tracce di anomalie, sono stati anche oggetto di una tesi di laurea specialistica in ingegneria civile 28. La parte conclusiva del progetto si concentrerà in particolare sulla fruizione dei dati raccolti da parte di un ampio pubblico tramite il WebGIS ed alcuni itinerari per far conoscere meglio il territorio, che saranno liberamente scaricabili nei più comuni formati per navigatori satellitari, oramai in dotazione su gran parte dei cellulari e delle autovetture. RINGRAZIAMENTI Gli autori vogliono ringraziare Serena Vitri della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Friuli Venezia Giulia per l’appoggio fornito e la direttrice dell’Aerofoto- 28 Studio integrato di foto aeree e immagini MIVIS per l’individuazione di anomalie a scopi archeologici tesi di laurea specialistica in Ingegneria Civile e Ambientale presso l’Università degli Studi di Trieste, laureando G. Montagner, relatore prof. R. Cefalo. 111 teca Nazionale nel Laboratorio per la fotointerpretazione e l’aerofotogrammetria, Elizabeth Jane Shepherd, per la gentilezza e la grande collaborazione. D. DEGRASSI1, D. GHERDEVICH1, S. GONIZZI BARSANTI1, G. MONTAGNER2 1 DISCAM - Dipartimento di Storia e Culture dall’Antichità al Mondo contemporaneo - Università degli Studi di Trieste 2 DICA - Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale Università degli Studi di Trieste [email protected] [email protected] [email protected] ABSTRACT This project has as its ultimate goal the reconstruction of the dynamics of settlement, the ancient roads and the territory of a portion of the Region Friuli Venezia Giulia in the Lombard period starting from the collecting of the archival documentation about excavations, surveys and past studies integrating them with the analysis of historical maps and modern technology available, as aerial photography combined with oblique aerial photography and the UAV technology to study and analyze anomalies. All the data collected were put into a GIS, so that it was possible to make some spatial analysis as the cost surface analysis to try to reconstruct the ancient road and distributional analysis to suggest the development of settlements in the Lombard period and above all, to try to link the settlements with the cemetery located on the territory. The last part of the project will focus on the 3D reconstruction of the territory with a specific software using the archival data, the pollen analysis and the ancient cartography and the creation of a WebGIS that will include all the data derived from the previous analysis, from which is possible to download the tourist paths designed to improve the areas examined. Il progetto mira a ricostruire lo sviluppo antropico, l’antica viabilità e il territorio di una parte della Regione Friuli Venezia Giulia nel periodo longobardo partendo dalla documentazione d’archivio relativa a scavi, a ricognizioni e a vecchi studi, integrati con le analisi di carte antiche, la fotografia aerea sia obliqua che verticale e gli Unmanned Aerial Vehicle (UAV) per l’analisi e lo studio delle tracce di anomalia. Tutti i dati raccolti sono stati inseriti in un GIS per effettuare alcune analisi spaziali, come la cost surface analysis per la ricostruzione dell’antica viabilità e analisi distributive per ipotizzare lo sviluppo insediativo in epoca longobarda e cercare di collegare gli insedia-menti con le necropoli posizionate sul territorio. L’ultima parte del progetto si concen-trerà sulla ricostruzione tridimensionale del territorio con un software specifico utiliz-zando i dati d’archivio, le analisi polliniche e la cartografia antica e sulla creazione di un WebGIS che includerà tutti i dati ricavati dalle precedenti analisi, da cui sarà possibile scaricare i percorsi turistici realizzati per valorizzare i territori presi in esame. 112 BIBLIOGRAFIA BENDEA et alii 2007: H. Bendea, F. Chiabrando, F.G. Tonolo, D. Marenchino, “Mapping of archaeological areas using a low-cost UAV. The Augusta Bagiennorum test site”, in International Archives of the Photogrammetry, Remote Sensing and Spatial Information Sciences, XXI International CIPA Symposium, Athens, Greece 01-06 October 2007, pp. 117-122. http://www.isprs.org/proceedings/XXXVI/5-C53/papers/FP025.pdf BEVAN-CONNOLLY 2004: A.H. Bevan, J.W. 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La creazione di reti di archivi complementari, attraverso GRID computazionale, permette l’accesso diretto su web a basi di dati distribuite, che raccolgono informazioni sui materiali costitutivi dei Beni Culturali e rendono possibili, con l’ausilio della modellazione, della simulazione e di ricostruzioni virtuali 3D, la previsione dei fenomeni di degrado e la classificazione di danneggiamenti non visibili ad occhio nudo. Anche la sperimentazione di tecnologie per una fruizione “intelligente” dell’informazione culturale costituisce un ambito di ricerca da tempo ampliamente indagato con significativi risultati. Il patrimonio archeologico è stato oggetto di indagine e studio presso l’ENEA-UTICT in numerose attività progettuali riguardanti sia la ricostruzione virtuale del suo aspetto originale, che la fruizione virtuale e remota. Alcuni sistemi WebGIS sono stati realizzati per la fruizione virtuale di beni dislocati sul territorio anche attraverso la generazione di percorsi culturali. L’utilizzo di tecnologia avanzata quale quella mobile orientata alla comunicazione e le nuove ricerche nel campo del1 http://patrimonioculturale.enea.it/ l’intelligenza artificiale per la modellazione utente e la rappresentazione della realtà forniscono un enorme contributo anche alla modalità di fruizione dei servizi turistici. Alla tipologia di servizi fruibili solo in loco o in alcuni casi dalla propria abitazione (musei virtuali visitabili da Web, chioschi interattivi, ricostruzioni 3D, ecc.), se ne affianca un’altra che ha come scopo l’assistenza di un utente durante un percorso di visita. Nel paragrafo 2 saranno illustrate tre esperienze frutto della realizzazione di applicativi WebGIS; nel paragrafo 3 verranno presentate alcune attività svolte nell’ambito dell’infrastruttura ICT di ENEA-GRID che consentono la fruizione remota di ricostruzioni virtuali ad alta definizione. SISTEMI WEBGIS “Parole di pietra” un itinerario fra le epigrafi della via Appia “Parole di Pietra” è un itinerario virtuale, nato dalla collaborazione tra la Soprintendenza Archeologica di Roma e l’ENEA, con l’intento di avvicinare il pubblico alla conoscenza del mondo antico2. Costituisce un tentativo di descrizione di un percorso di scambio e assimilazione culturale attraverso l’esame di documenti archeologici, l’approfondimento dei temi storici e sociali in cui essi si inseriscono e la ricostruzione della loro interazione con il territorio. In questo viaggio si percorre la via Appia, analizzando una selezione di epigrafi provenienti dal suo tratto urbano, compreso tra Porta Capena ed il Grande Raccordo Anulare. Il sistema informatico rende possibile la comprensione dei molteplici significati di cui sono investiti i documenti epigrafici e, allo stesso tempo, illustra ancora una volta l’importanza della via Appia, simbolo e testimonianza eccellente del mondo romano. La realizzazione del sistema Web fruibile da Internet ha previsto inizialmente le attività di acquisizione, strutturazione ed archiviazione del materiale documentale relativo alle epigrafi (documenti tecnici, storici, fotografie ed immagini) messo a disposizione dalla Soprintendenza Archeologica di Roma. I materiali raccolti sono stati orga2 BERTINETTI-BORDONI 2008. 117 nizzati e classificati con un’omogeneità di esposizione fra i diversi argomenti e soggetti, fornendo anche la possibilità di consultarli attraverso un percorso non solo lineare ma anche modulabile in base alle esigenze dei visitatori. Di ogni reperto si è ritenuto opportuno raccogliere le seguenti informazioni: La foto Il titolo Il materiale con il quale è stato realizzato La tecnica di realizzazione La datazione Le misure Il luogo di ritrovamento con la relativa data Lo stato e luogo di conservazione (o collocazione), spesso diversa dalla sede di ritrovamento Il numero di inventario Il numero di catalogo La posizione giuridica Il testo (in lingua latina) La traduzione in lingua italiana Il commento storico-archeologico La bibliografia principale Le funzionalità del sistema realizzato consentono all’utente di eseguire le seguenti operazioni: L’esplorazione dell’archivio epigrafico La visualizzazione dei dati riguardanti ogni reperto epigrafico in differenti gradi di dettaglio La ricerca di un reperto epigrafico partendo dal dato di collocazione attuale e/o il suo numero di inventario La possibilità di intraprendere un percorso virtuale La scelta degli strumenti di sviluppo si è basata principalmente sui requisiti di stabilità, portabilità e velocità richiesti per il sistema. 118 L’applicazione lato server è stata implementata mediante l’utilizzo del webserver Apache, del linguaggio di scripting server side PHP e del server MySQL come data base administrator. Il lato client è stato rappresentato da un qualunque http user agent (browser) in grado di interpretare il codice HTML. La produzione della carta delle dislocazioni delle epigrafi ha consentito di: Ricostruire attraverso l’elaborazione di una carta tematica gli spostamenti che hanno interessato i reperti Fornire informazioni riguardo l’attuale assetto e disposizione dei reperti epigrafici Studiarne le correlazioni basandosi su caratteristiche specifiche come il secolo di appartenenza, la professione dei relativi defunti e la loro condizione sociale Creare un database di reperti archeologici georeferenziati La realizzazione di un applicativo WebGIS, ottenuto tramite l’integrazione dei dati cartografici con le schede epigrafiche presenti nella base di dati, offre pertanto la possibilità di effettuare tutte le ricerche possibili nell’ambito delle principali caratteristiche di un reperto epigrafico e di visualizzarne i risultati ottenuti sulla cartografia. Per migliorare la visibilità e la determinazione geografica dei risultati delle interrogazioni, il sistema WebGis è stato dotato dei seguenti layer: Cartografia IGM 25.000 Vettoriale lineare della rete stradale Ortofoto metri 1 di risoluzione Vettoriale puntuale delle epigrafi Una volta individuata l’epigrafe il sistema consente di accedere alla relativa scheda sia tramite il collegamento presente nel box di ricerca, che direttamente dalla cartografia. Inoltre sono disponibili di base gli strumenti ”classici” di interazione con un sistema cartografico: lo Zoom in, lo Zoom out, il Pan, il Calcolatore di distanze, il Dettaglio informa119 zioni. Nella figura 1 viene mostrato un esempio di ricerca di tipo cartografico. Il sistema presenta una selezione di circa cinquanta reperti epigrafici, tutti di destinazione sepolcrale, provenienti dal tratto urbano della Via Appia, compreso tra Porta Capena ed il Grande Raccordo Anulare. Ad integrazione dei commenti ai testi epigrafici, è prevista la possibilità di accesso ad approfondimenti di carattere storico-archeologico, sociale e tecnico, che facilitano la comprensione delle tematiche presenti nelle iscrizioni e la conoscenza del mondo romano. Anche gli approfondimenti sono corredati da immagini che ne rendono più vivido il contenuto. Fig. 1 Un esempio di ricerca di epigrafe sulla cartografia. Cfr. Tav. XII. Gli acquedotti di epoca romana È universalmente riconosciuto che gli acquedotti di epoca romana costituiscono opere monumentali di eccezionale bellezza ed interesse per la tecnica architettonica ed idraulica, comparabili ai più grandi e cono120 sciuti resti archeologici, ad esempio, del Colosseo, delle Terme di Caracalla, dei Fori Imperiali. Essi costituiscono anche una millenaria ed ancora viva testimonianza della eccezionale tradizione di Roma quale città di acque e fontane. A dispetto della loro importanza storica, monumentale, architettonica ed ingegneristica, gli acquedotti di epoca romana risultano essere stati poco studiati. I lavori di Frontino3, Fabretti4, Cassio5, e Fea6 costituiscono ormai studi secolari, che giungono fino al XIX secolo. Successivamente, gli studi di Lanciani 7, di Ashby8, di Reina, Corbellini e Ducci9 che, sui tracciati di Ashby hanno eseguito le livellazioni ancora oggi valide, di Van Deman10 e di Di Fenizio11, compiuti entro la prima metà del XX secolo, e negli anni più recenti gli interessanti studi compiuti da Bruun12-13, Evans14 e Hodge15, hanno consolidato, di fatto, tutte le conoscenze di cui si dispone attualmente. L’incuria e la sistematica carenza di mezzi sono alla base del mancato avanzamento degli studi sugli acquedotti di epoca romana e del loro progressivo disfacimento. Infine, la fruizione del bene culturale costituito dagli acquedotti romani, intesa come l’insieme dei mezzi e delle iniziative teso ad ottenere una più diffusa ed agevole loro conoscenza, risulta allo stato attuale ancora fortemente carente per via, soprattutto, della loro distribuzione sul territorio. Il non essere concentrati in una sede o in una ben definita località sembra costituire un serio ostacolo alla fruizione di opere così importanti. A tale fine sono state considerate le tecnologie informatiche GIS e WebGIS che me3 FRONTINUS, De Aqueductu. FABRETTI 1680. 5 CASSIO 1757. 6 FEA 1832. 7 LANCIANI 1881. 8 ASHBY 1991. 9 REINA-DUCCI-CORBELLINI 1917. 10 VAN DEMAN 1934. 11 DI FENIZIO 1916. 12 BRUUN 2001. 13 BRUUN 2003. 14 EVANS 1997. 15 HODGE 1992. 4 121 glio sembrano rispondere all’esigenza di rendere fruibili opere importanti distribuite sul territorio. L’ENEA in collaborazione con l’ISPRA e la Sovraintendenza Comunale ai Beni Culturali di Roma, ha sviluppato un sistema WebGIS sugli acquedotti di epoca romana costruiti tra il III secolo a.C. ed il III secolo d.C.16. Gli acquedotti non costituiscono un bene culturale agevolmente fruibile: la loro divulgazione è pressoché unicamente affidata a testi e documentazioni attraverso immagini (fotografie e rappresentazioni figurative). Peraltro, i resti visibili nel tessuto urbano e nelle campagne romane costituiscono soltanto una piccola porzione dell’intero sistema acquedottistico romano. In altre parole, essi possono essere “visti” solo in parte attraverso visite parziali a frazioni di essi. La loro “visione” non è mai complessiva ma limitata ad immagini (fotografie, rappresentazioni pittoriche) slegate dal proprio contesto territoriale. Inoltre, alcune caratteristiche costruttive (ingegneria delle costruzioni, idraulica) di questi acquedotti suscitano interessi scientifici e tecnologici. Per questi motivi le tecniche impiegate per “vedere” gli acquedotti di epoca romana non possono essere le stesse adottate per altre categorie di Beni Culturali, quali ad esempio opere figurative, sculture, ville, siti archeologici anche vasti ma ben localizzati. Anche in questo caso, così come per il sistema presentato sopra, inizialmente si è proceduto ad acquisire, strutturare ed archiviare il materiale documentale relativo agli acquedotti. La Carta storico-archeologico-monumentale-paesistica dell’Agro Romano, prodotta e resa disponibile in formato cartaceo dalla Sovrintendenza Comunale ai Beni Culturali di Roma è stata vettorializzata inserendo tutti i tracciati degli undici acquedotti di epoca romana ivi rappresentati: Aqua Alexandrina (226 d.C.), Anio Novus (38 d.C.), Anio Vetus (272 a.C.), Aqua Alsietina (2 a.C.), Aqua Appia (312 a.C.), Aqua Claudia (38 d.C.), Aqua Iulia (33 a.C.), Aqua Marcia (144 a.C.), Aqua Tepula (125 a.C.), Aqua Traiana (109 d.C.), Aqua Virgo (19 a.C.). Di ciascun acquedotto sono stati riportati i tipi di tracciato, distinguendoli in sotterraneo, emergente ed ipotetico (Aqua Alsietina). Sono poi stati riportati gli altri elementi di rilevanza storico-artistica, quali monumenti e chiese. Infine, sono stati aggiunti i limiti amministrativi di quartieri, la rete viaria e la rela16 BORDONI et alii 2008. 122 tiva toponomastica, per favorire un più agevole riconoscimento ed individuazione della localizzazione dei tratti di acquedotto. La cartografia vettoriale così realizzata è stata poi utilizzata per lo sviluppo di una applicazione WebGIS (Fig. 2) per consentirne la fruizione con la massima diffusione attraverso la rete Internet. Il Lazio latino Con il termine “Lazio latino” viene indicata quella parte di Lazio, posta a Sud del Tevere, dove nacque e si sviluppò la civiltà latina. In questo sacro scenario si sono svolte le vicende degli ultimi sei libri dell’Eneide di Virgilio in cui con lo sbarco di Enea nell’antica Lavinium (l’attuale Pratica di Mare a Pomezia), vengono cantate le origini di Roma e dei popoli Latini. Tale territorio, ancora poco conosciuto e visitato, ed in parte incluso in parchi e riserve naturali, possiede un esteso patrimonio archeologico, artistico, etnografico, naturale, storico e scientifico. Per il Lazio latino si é inteso proporre un’infrastuttura tecnologica17 che valorizzi al meglio i valori culturali da esso posseduti. La conoscenza posseduta dal territorio del Lazio latino risiede in differenti fonti di informazione (enciclopedie, libri, pubblicazioni, siti web, ecc.) alla quale si può accedere in maniera frammentata e con poche interconnessioni. L’infrastruttura che si propone consente di: 1) Valorizzare il territorio del Lazio latino, ponendolo sotto una luce di singolarità e di alto merito 2) Agevolare la visita fornendo all’utente tutti i servizi utili e necessari 3) Consentire l’arricchimento culturale attraverso il facile apprendimento e la piena comprensione delle tematiche storiche, artistiche e culturali del luogo A tale scopo si utilizzano le tecnologie del web semantico per l’applicazione a fonti informative diversificate riconducibili alle due grandi aree di interesse del turismo culturale: quella dei servizi (trasporti, ospita17 BORDONI 2011. 123 Fig. 2 Un esempio di ricerca di tracciato di acquedotto sulla cartografia. lità, ecc.) e quella della cultura (storia, arte, tradizioni, ecc.). Anche in questo caso è stata utilizzata la tecnologia WebGIS; il materiale in formato digitale relativo al territorio del Lazio latino potrà essere ricercato sia in modalità testuale che cartografica, saranno inoltre sviluppate delle applicazioni con funzioni specifiche per il turista quali ad esempio la costruzione di “percorsi culturali” riguardanti uno specifico argomento (autore famoso, periodo, opera, ecc.) e la produzione di informazione culturale aggiuntiva ai punti percorso GPS. È stato così realizzato il sistema WebGIS ENEATOUR18 che si prevede possa essere usufruito anche con dispositivi mobili quali palmari e cellulari 3G. Il portale web sarà predisposto per la connessione con sistemi esterni che possano fornire informazioni aggiornate sui servizi turistici quali trasporti, pernottamenti, orari di apertura dei siti archeologici e museali e ogni altra informazione utile alla pianificazione e organizzazione di un percorso turistico. Su piattaforma mobile è prevista l’ottimizzazione delle pagine web al fine di renderne la navigazione facile e intuitiva oltre che l’inte18 http://www.eneatour.it 124 grazione con il GPS per l’accesso alle informazioni basato sulla posizione dell’utente. L’infrastruttura ICT di ENEA-GRID per l’archeologia La tecnologia del GRID computing integra in un’unica infrastruttura tutte le risorse ICT hardware e software presenti in ENEA-UTICT19 e le rende accessibili a distanza, indipendentemente dalla loro localizzazione fisica. In questo modo si è in grado di mettere a disposizione dell’utenza – scientifica e non – questo strumento innovativo capace di affrontare le sfide più attuali, di ottimizzare i tempi e di contenere i costi necessari per lo sviluppo di prodotti e per la loro applicazione. La possibilità di accedere interattivamente ai modelli di oggetti culturali scannerizzati, all’interno di un vero e proprio ambiente di visualizzazione tridimensionale ad alta risoluzione, rientra nelle funzionalità offerte dalla GRID. Questa infrastruttura permette di attuare la piena condivisione della conoscenza delle opere prese in esame e dei risultati delle analisi scientifiche operate su di esse. Lo sviluppo della tecnologia per la grafica remota “Remote Rendering” sperimentata e resa disponibile grazie al progetto CRESCO20, ha consentito la realizzazione di un sistema, denominato ARK3D21, in grado di rendere fruibile a distanza modelli tridimensionali navigabili dall’utente ad alta e altissima definizione, tramite l’accesso da Web. Lo studio condotto nell’ambito del progetto CRESCO si basa sull’implementazione di un’architettura hardware e software che permette l’accesso remoto a modelli tridimensionali, ad alta risoluzione, multi disciplinari, e visualizzabili da WEB, installando una piccola applet dedicata sui computer client. La tecnologia sviluppata per la visualizzazione, consente all’utente finale di fare a meno di risorse hardware e software specifiche, nonché di proteggere i diritti d’autore relativi al modello 3D, di cui non verrà effettuato alcun download in locale. L’utente interagisce con l’applicazione utilizzando le risorse hardware e software remote (Remote 3D). L’infrastruttura è in grado di bilanciare il carico su 19 http://www.utict.enea.it http://www.cresco.enea.it 21 https://www.ark3d.enea.it 20 125 cluster di macchine grafiche ed ottimizzare l’utilizzo di risorse (hardware e di rete) in base all’applicazione richiesta. Inoltre, le applicazioni disponibili potranno essere eseguite anche su notebook, netbook e su iPad, il solo requisito necessario è un collegamento affidabile a Internet. ARK3D ha consentito di poter realizzare una prima versione test del progetto “3DWS – 3D Web Service Project”22. Esso consiste in un database relazionale “popolato” dagli utenti, in grado di contenere modelli 3D virtuali associati a contenuti descrittivi fruibili da web in alta risoluzione, con l’intento di proteggerne il dato digitale originale. All’utente finale che accede al modello non è richiesto alcun download di file di grosse dimensioni, né di installare applicazioni dedicate alla visualizzazione, né di possedere alcun hardware particolarmente performante. Le operazioni di elaborazione e di rendering vengono eseguite remotamente sulle stazioni di lavoro dedicate dell’infrastruttura di ENEA-GRID e l’immagine generata in real-time viene inviata al dispositivo dell’utente finale, che oltre alla visualizzazione in alta definizione della scena generata, è in grado di interagire con essa. Altre attività significative riguardano l’utilizzo di Laser Scanner 3D (Fig. 3) per un’acquisizione sia a grande dstanza, sia in alta risoluzione che quella del colore reale (RGB) sul punto. Con tali tipologie di strumenti sono state effettuate diverse indagini. Nello scavo archeologico di Juvanum, nel comune di Montenerodomo (CH), è stato prodotto il rilievo digitale dell’intera area facente parte lo scavo, è stato elaborato il materiale prodotto ed i risultati sono stati condivisi con gli archeologi dell’Università di Chieti e Pescara, che operano in loco per scopi sia didattici che di ricerca. Con la stessa tecnologia di laser, presso la Basilica di San Paolo Maggiore in Bologna, con l’apporto conoscitivo di esperti del settore, si è documentato geometricamente l’intero edificio storico, allo scopo di poter effettuare degli interventi di consolidamento statico, conservativo e di restauro. Le altre tipologie di laser scanner, in particolare quello con tecnologia a triangolazione utile per manufatti o statue di piccole dimensioni, sono state utilizzate in alcuni pregevoli contesti quali l’Acquasantiera esposta nel museo medievale di Bologna, ed il 22 ABATE et alii 2011A. https://www.ark3d.enea.it/tredws.php 126 Tabernacolo di Isaia da Pisa, oggi smembrato e conservato presso diversi luoghi della città di Viterbo e di cui si è realizzata una ricomposizione virtuale23. Necessita comunque ricordare che tutto ciò è stato possibile grazie ad una strettissima interazione tra contenuto e tecnologie; ancora una volta si ritiene utile evidenziare l’importanza di una sinergia fra ambiti di competenze diverse. Fig. 3 Esempi di acquisizione dati con laser scanner 3D, post-elaborazioni e ricostruzioni virtuali. Cfr. Tav. XIII. CONCLUSIONI Intento del presente contributo, oltre a presentare esperienze ed attività che utilizzano gli strumenti dell’ICT, è di fornire un proficuo contri23 ABATE et alii 2011B. 127 buto all’archeologia. I risultati ottenuti indicano un percorso di ricerca che merita di essere approfondito con l’integrazione di ulteriori processi digitali, quali ad esempio le tecnologie dell’intelligenza artificiale. Juan A. Barceló, archeologo ed esperto di tecniche di intelligenza artificiale, investiga da lungo tempo su come risolvere “automaticamente” le problematiche che sorgono nel settore dell’archeologia e definisce nel suo libro Computational Intelligence in Archaeology24 la figura dell’archeologo “automatico”. Tale definizione scaturisce dalla considerazione che l’archeologia è come una disciplina “problem solving”, il cui obiettivo consiste nello spiegare dei fenomeni che sono percepiti nel presente come conseguenza di azioni umane compiute nel passato, un’interazione con i processi naturali attraverso il tempo. Il nostro prossimo obiettivo sarà quello di offrire all’utente, nelle sue diversificate tipologie, degli strumenti avanzati di interrogazione per una fruizione virtuale più significativa della conoscenza del bene archeologico. L. BORDONI, S. PIERATTINI ENEA-UTICT, Roma ABSTRACT Le tecnologie avanzate dell’Information and Communication Technology (ICT) consentono agli esperti di settore di svolgere indagini approfondite sulla conoscenza del bene culturale, in special modo per quanto riguarda il bene archeologico. Con il presente contributo vengono presentate alcune esperienze riguardanti la realizzazione di sistemi per la fruizione virtuale del patrimonio archeologico. In particolare, saranno illustrati alcuni esempi di sistemi WebGIS il cui intento è la fruizione virtuale di beni archeologici dislocati sul territorio. Verrà inoltre presentata l’infrastruttura ICT di ENEAGRID che consente l’elaborazione di tecniche per il rilievo tridimensionale e la fruizione remota di ricostruzioni virtuali ad alta definizione. 24 BARCELÓ 2008. 128 BIBLIOGRAFIA ABATE et alii 2011A: D. Abate, R. Ciavarella, G. Guarnieri, G. Furini, S. Migliori, S. 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Van Deman, The Building of Roman Aqueduct, Washington DC 1934. 130 RICERCHE PER LA CARTA ARCHEOLOGICA DI HIERAPOLIS DI FRIGIA (TURCHIA): INDAGINI MULTIDISCIPLINARI INTEGRATE PER LA RICOSTRUZIONE DI UNA CITTÀ ANTICA INTRODUZIONE Negli ultimi decenni, molti settori della ricerca archeologica sono stati interessati da un ampio utilizzo di tecnologie e metodologie d’indagine provenienti dal mondo scientifico, da cui è scaturito anche un acceso dibattito sulla figura dell’archeologo nel XXI sec.1. A quest’ultimo, oltre che la tradizionale preparazione umanistica, si richiede oggi una conoscenza informatica sempre più ampia, ma anche nozioni giuridiche ed economiche, oppure capacità manageriali, in progetti di ricerca che possono abbracciare tutta la filiera che dalla conoscenza arriva alla conservazione ed alla valorizzazione del patrimonio archeologico e monumentale. Più che in passato, oggi l’archeologo deve saper dialogare con gli specialisti delle altre discipline, di quelle che si occupano dei Beni Culturali, ma anche di quelle che interessano il contesto urbano e territoriale in cui essi sono inseriti. In quest’ottica, varie Università italiane hanno sviluppato laboratori all’avanguardia ed anche alcuni Istituti del Consiglio Nazionale delle Ricerche offrono competenze di eccellenza. Molti progetti di ricerca si basano oggi sull’integrazione di differenti metodologie e tecnologie applicate in particolare allo studio dei contesti archeologici, alla loro documentazione ed alla presentazione dei dati acquisiti; quando il tecnicismo non finisce per prendere il sopravvento sul fine ultimo della ricerca, che resta sempre quello della ricostruzione storica, questi progetti di studio costituiscono un effettivo progresso rispetto al passato, poiché sviluppano al massimo i metodi e le tecniche oggi disponibili per acquisire la maggior quantità di dati possibile (dallo scavo stratigrafico alle ricognizioni di superficie, dalle tecniche di rilievo diretto ed indiretto a quelle in generale di remote sensing ad alta 1 Vd per esempio D’AGATA-ALAURA 2009. risoluzione da terra o piattaforma aerea e satellitare), per gestirli ed integrarli rapidamente (mediante Sistemi Informativi Territoriali) con altri dati di natura eterogenea (geomorfologici, cartografici, ambientali, urbanistici, giuridici, ecc.) e per condividerli (per esempio con piattaforme GIS orientate al web) e presentarli nel modo più efficace, anche attraverso le ricostruzioni e le animazioni tridimensionali ed il restauro virtuale. In quest’ottica può essere esemplificativo il progetto che l’Istituto per i Beni Archeologici e Monumentali del Consiglio Nazionale delle Ricerche (IBAM-CNR) ha avviato nel 2003 per la realizzazione della carta archeologica di Hierapolis di Frigia, nella Turchia sud-occidentale (Pamukkale, Regione di Denizli); tale progetto, che nel corso degli anni ha potuto fare affidamento su vari finanziamenti del Ministero dell’Università e della Ricerca (fondi FIRB e PRIN), è svolto nell’ambito delle attività della Missione Archeologica Italiana, diretta dal prof. Francesco D’Andria, e scaturisce dalla collaborazione con il Laboratorio di Topografia Antica e Fotogrammetria del Dipartimento di Beni Culturali dell’Università del Salento, diretto dal prof. Marcello Guaitoli. La carta archeologica di Hierapolis e la ricostruzione del suo impianto urbano L’antica città di Hierapolis di Frigia sorge su un terrazzo di travertino proteso sulla fertile valle del fiume Çürüksu, l’antico Lykos, affluente del Meandro2. L’area urbana occupa una superficie di circa 70 ettari ed è circondata da estese necropoli; l’intero settore occidentale della città ed il ripido pendio che scende verso la valle del Lykos sono coperti da bianche formazioni calcaree prodotte dalle sorgenti termali poste al centro dell’area urbana, le cui acque, dopo il declino e l’abbandono di Hierapolis, non furono più regolamentate ed ebbero modo di scorrere incontrollate formando un deposito che in alcuni punti raggiunge anche 3-4 metri di spessore. La storia di Hierapolis, fondata dai Seleucidi nel III sec. a.C., è stata segnata da alcuni devastanti terremoti che ne hanno anche condiziona2 D’ANDRIA 2003; D’ANDRIA-CAGGIA 2007; D’ANDRIA-SCARDOZZI-SPANÒ 2008. 132 to le principali fasi di trasformazione urbana; essa sorge infatti al di sopra di una faglia sismica ancora attiva, che è all’origine dei vari fenomeni naturali che caratterizzano il sito. Dopo un rovinoso terremoto avvenuto nel 60 d.C., tra i decenni finali del I e la prima metà del III sec. d.C. vi fu un periodo di intensa monumentalizzazione, in cui la città si estese verso nord e sud. Un’altra importante fase urbanistica si verificò successivamente ad un altro terremoto che colpì Hierapolis poco dopo la metà del IV sec. d.C.: gli interventi che ne seguirono coincisero con la sua trasformazione da città pagana, il cui luogo di culto principale era costituito dal Santuario di Apollo, posto al centro del tessuto urbano e smantellato proprio in questo periodo, in una metropolis cristiana molto importante, meta di pellegrinaggi per la presenza del Martyrion di S. Filippo, situato all’interno di un’area monumentalizzata in epoca proto-bizantina, su una collina subito a nord-est dell’area urbana, che in questo momento fu circondata da una cinta muraria che ne ridusse l’estensione. Un ulteriore devastante terremoto, alla metà del VII sec. d.C., segnò l’inizio del declino di Hierapolis: la cinta muraria e molti edifici crollarono ed il tessuto urbano regolare andò destrutturandosi. Infatti, nei secoli successivi i tracciati di molte strade furono deviati e molti assi viari furono invasi dalla costruzione di abitazioni realizzate con materiali di spoglio; Hierapolis continuò comunque a vivere fino al XIII-XIV sec., con una popolazione fortemente ridotta e concentrata in alcuni nuclei. La Missione Archeologica Italiana opera a Hierapolis dal 1957, con attività di scavo e di restauro concentrate su vari complessi monumentali, come il Martyrion di S. Filippo, il Teatro al centro della città, il Santuario d’Apollo, il tratto settentrionale della Via di Frontino, l’Agorà Nord, l’Insula 104, le Terme Grandi, il c.d. Grande Edificio e la Necropoli Nord. Nel 2003, l’IBAM-CNR ha avviato uno studio sistematico della topografia antica del sito, finalizzato alla ricostruzione dell’impianto urbano di Hierapolis e delle trasformazioni che lo hanno interessato dall’età ellenistica a quella medio-bizantina e selgiuchide, in cui fossero esaminate in un quadro unitario sia le aree di scavo che tutti i monumenti ed i settori della 133 città e delle necropoli ancora non indagate 3. In precedenza, tra il 1969 ed il 1971, l’impianto urbano era stato indagato in modo non sistematico, ma venne comunque individuato lo schema generale del tessuto ortogonale di Hierapolis, che risultava impostato su un’ampia plateia orientata nordovest/sud-est e con stenopoi minori che delimitavano isolati rettangolari di circa m 29,60 x 754. Nelle planimetrie archeologiche pubblicate fino al 20035 l’elemento architettonico prevaleva su quello archeologico, mentre le basi cartografiche utilizzate non rappresentavano in modo sufficientemente dettagliato e completo la morfologia del terreno, soprattutto sul lato occidentale, in corrispondenza del ripido pendio che dal terrazzo su cui sorge la città scende verso la sottostante pianura del Lykos. Pertanto, è risultato necessario procedere sia alla realizzazione di una base cartografica a grande scala, di cui si sono occupati gli esperti di geomatica della Facoltà di Architettura del Politecnico di Torino6, sia avviare il rilievo e lo studio sistematico di tutte le evidenze archeologiche visibili in superficie, integrato all’utilizzo di metodologie e tecnologie che consentissero di acquisire dati anche sui resti antichi ancora sepolti, mediante applicazioni di telerilevamento da piattaforma satellitare ed aerea ed attraverso prospezioni geofisiche7. Un primo risultato di questo progetto di ricerca è stata la pubblicazione nel 2008 dell’Atlante di Hierapolis8, che costituisce una sintesi delle conoscenze sulla città acquisite nei primi 50 anni di attività della Missione Archeologica Italiana; l’Atlante, di cui sono state realizzate anche una versione su DVD ed una online, documenta tutti i monumenti della città e delle necropoli, posizionati sulla cartografia numerica della città a grande scala (1:1.000) elaborata dalla Facoltà di Architettura del Politecnico di Torino. 3 SCARDOZZI 2007A; 2007B. VERZONE 1977; VERZONE 1978, pp. 392-396. 5 VERZONE 1978; SPANÒ 2002, tav. f.t.; D’ANDRIA 2003, p. 44. 6 SPANÒ 2007; D’ANDRIA-SCARDOZZI-SPANÒ 2008, pp. 1-9 e 14-16. 7 SCARDOZZI 2008. 8 D’ANDRIA-SCARDOZZI-SPANÒ 2008. 4 134 Già con la campagna del 2008 sono state poi avviate le ricerche per l’aggiornamento e l’integrazione dell’Atlante di Hierapolis, al fine di trasformarlo in una vera carta archeologica. Si è intervenuti sia sulla base cartografica, aggiornata e completata nelle aree periferiche, che soprattutto sull’eterogeneo livello archeologico (Fig. 1), che è stato notevolmente arricchito di dati, grazie ad una maggiore integrazione ed applicazione di tecnologie di remote sensing satellitare, aereo e terrestre ad alta risoluzione e grazie allo studio ed al rilievo sistematico di tutte le strutture murarie conservate in superficie e dei complessi monumentali rimasti ai margini della ricerca9: per esempio la cinta muraria10, il c.d. Santuario delle Sorgenti11, il Macellum12, il Teatro Nord13 e le strutture situate sulla terrazza dell’Aghiasma, subito al di sotto del Martyrion di S. Filippo, dove è stato individuato un grande edificio religioso connesso con la tomba attribuita al martire, ora in corso di scavo14. Le ricerche di superficie sono state anche integrate da saggi di scavo mirati, al fine di comprendere l’articolazione planimetrica di alcuni edifici; nel 2010 essi hanno permesso, tra l’altro, l’individuazione di una stoà lunga oltre 50 m, posta nell’area subito a sud del Santuario delle Sorgenti15. Le ricerche per la carta archeologica hanno preso in considerazione anche i fenomeni idro-geologici e sismici che caratterizzano Hierapolis, scarsamente rappresentati nell’Atlante. In particolare, sono state documentate ed inserite nella carta tutte le evidenze legate alla faglia sismica, ancora attiva, che corre in senso nord-ovest/sud-est, all’incirca in corrispondenza della plateia. Lungo tutta la fascia centrale della città sono visibili fratture della superficie del terreno, larghe da 50 cm a più di 1 m, anche con scorrimento laterale e verticale; tali fratture tagliano le strutture antiche ed in corrispondenza di esse sgorgano varie sorgenti termali 9 SCARDOZZI c.s. A. CASTRIANNI et alii 2010. 11 D’ANDRIA 2010, pp. 218-219; D’ANDRIA c.s. 12 D’ANDRIA 2010, p. 215. 13 SCARDOZZI c.s. B. 14 D’ANDRIA c.s. 15 CAMPAGNA-SCARDOZZI c.s. 135 10 Fig. 1 Hierapolis di Frigia, la carta archeologica georeferenziata su un’immagine satellitare QuickBird-2 del 2009: in azzurro ed in giallo sono campite le aree oggetto di prospezioni geo-magnetiche e GPR nel 2007-2008 e 2010; in blu sono i canali di calcare, mentre in verde le evidenze connesse alla faglia sismica (elab. G. Di Giacomo). 136 e si emanano forti concentrazioni di anidride carbonica, legate alle pratiche rituali che si svolgevano nelle aree sacre al centro della città in epoca ellenistica ed imperiale, ricordate anche dalle fonti classiche. Pertanto, nella carta archeologica di Hierapolis sono state posizionate sia le fratture che le sorgenti, prodotte dalla risalita di acqua calda dal sottosuolo grazie alle fessurazioni della superficie causate dai terremoti. Nella carta è stata anche inserita tutta la rete di canali in calcare (circa 25 km) che da queste sorgenti hanno origine16; essi sono formati da spallette in muratura e dal deposito di carbonato di calcio delle stesse acque. In epoca ellenistica e romano-imperiale, dal pianoro su cui sorge Hierapolis scendevano nei campi della sottostante valle del Lykos, dove erano utilizzati per l’irrigazione; successivamente, dopo il terremoto della metà del VII sec. d.C., si verificò un’incontrollata fuoriuscita delle acque ed un proliferare di questi canali, che furono condotti in tutta la parte occidentale della città con percorsi irregolari, tra le strade e le rovine degli edifici, per portare acqua nei vari punti dell’antica area urbana che continuarono ad essere abitati. La carta archeologica digitale di Hierapolis (sistema di proiezione UTM, datum WGS84) è stata integrata in un GIS in corso di implementazione e costituisce il livello superiore di raccordo e di sintesi dei vari GIS per la gestione dei dati di scavo sviluppati per alcuni complessi monumentali della città, come il Santuario di Apollo, il Ninfeo dei Tritoni, l’area della collina di S. Filippo ed il Santuario delle Sorgenti. Metodologia della ricerca Le ricerche sulla topografia antica di Hierapolis, ancora in corso, sono state svolte nelle campagne 2003-2004 e 2008-2010 dal Laboratorio di Topografia Antica, Archeologia e Telerilevamento della sede di Lecce dell’IBAM-CNR; le campagne del 2005-2007 sono state invece essenzialmente indirizzate allo studio del territorio che anticamente era amministrato dalla città. Le ricerche sono state basate anzitutto sulla ricognizione sistematica dell’area urbana – condotta seguendo la suddivisione in 16 CAMPAGNA-SCARDOZZI c.s. 137 regiones ed insulae (riferita allo schema dell’impianto ortogonale) – e delle necropoli circostanti, distinte a seconda della loro posizione geografica in rapporto alla città. Le ricognizioni, che hanno anche previsto il rilievo topografico (con stazione totale e dal 2008 anche con GNSS differenziale) di tutte le strutture murarie esterne alle aree di scavo e dei monumenti ancora non indagati, sono state integrate da altri sistemi d’indagine di superficie, in particolare l’utilizzo delle immagini satellitari e la realizzazione di prospezioni geofisiche. Fin dal 2003, le riprese ottiche ad alta risoluzione del satellite QuickBird-217, che sino al 2007 era la piattaforma che forniva immagini con la maggiore risoluzione geometrica per uso civile (60 cm nel pancromatico e 2,40 m nel multispettrale), hanno integrato l’apporto delle fotografie aeree, scarsamente disponibili e per lo più limitate a riprese oblique dell’area urbana, effettuate dall’elicottero o dal pallone frenato18. Nel corso degli anni è stata acquisita una ricca documentazione multitemporale (riprese del 2002, 2005, 2006, 2007 e 2009), efficacemente utilizzata in tutte le fasi della ricerca, dalle attività sul campo, all’elaborazione e gestione dei dati, fino alla presentazione dei risultati. Le immagini, grazie alla loro risoluzione spaziale, sono state impiegate per individuare tracce ed anomalie riferibili ad elementi archeologici sepolti o semi-affioranti, costantemente verificate a terra al fine di precisarne l’interpretazione e determinarne, ove possibile, la cronologia; l’analisi di questi dati telerilevati ha anche evidenziato vari elementi paleo-ambientali, contribuendo alla ricostruzione del paesaggio antico. Nel caso di complessi archeologici visibili in superficie, le riprese sono state inoltre utilizzate per la loro documentazione, caratterizzazione spaziale e contestualizzazione. Per meglio evidenziare tracce ed anomalie riferibili ad elementi archeologici e paleo-ambientali, si sono sfruttate anche le caratteristiche spettrali delle immagini, che coprono una porzione dello spettro elettromagnetico comprendente il visibile ed il vicino infrarosso: sono state pertanto applicate diverse tecniche di enhancement ed elaborazioni multispettrali, mentre vari algoritmi di data fusion hanno permesso di ottenere immagini pan17 18 www.digitalglobe.com D’ANDRIA-SCARDOZZI-SPANÒ 2008, pp. 25-30; SCARDOZZI 2010-2011. 138 sharpened a colori reali o a falso colore infrarosso con alta risoluzione geometrica. Oltre alle immagini satellitari QuickBird-2, nel corso delle ricerche sono state utilizzate anche una stereocoppia ripresa nel 2004 dal satellite Ikonos-219 (risoluzione spaziale di 1 m nel pancromatico e 4 m nel multispettrale), una stereocoppia acquisita nel vicino infrarosso (risoluzione spaziale 15 m) sempre nel 2004 dal sensore ASTER (Advanced Spaceborne Thermal Emission and Reflection Radiometer) del satellite Terra20 ed i dati della Shuttle Radar Topography Mission21, tutti impiegati per realizzare modelli digitali del terreno con risoluzione alta e media; altri modelli sono stati elaborati sulla base delle isoipse della cartografia e di rilievi GNSS. Su questi DEM sono state georeferenziate sia le immagini pancromatiche che le pan-sharpened, al fine di associare le tracce archeologiche alla morfologia del terreno (Tav. XIV); i modelli sono stati anche utilizzati per una più efficace presentazione dei risultati delle ricerche, georeferenziando su di essi le evidenze antiche individuate, per una loro migliore contestualizzazione spaziale. Dalla stereocoppia Ikonos-2 è stato inoltre possibile realizzare un anaglifo delle immagini epipolari che ha offerto una visione stereoscopica in cui risulta fortemente esaltato il microrilievo (spesso causato da resti antichi interrati) ed è possibile misurare differenze di elevazione. Accanto alle immagini satellitari recenti, sono state recuperate anche riprese effettuate prima delle trasformazioni che hanno interessato Hierapolis negli ultimi decenni, in particolare la costruzione, dalla fine degli anni Sessanta del secolo scorso, di cinque alberghi (oggi demoliti) all’interno dell’area archeologica (con la conseguente distruzione di numerose evidenze antiche), la realizzazione di due nuovi accessi monumentali da nord e da sud (inseriti all’interno delle necropoli), l’artificiale ampliamento a fini turistici delle aree coperte dalle formazioni calcaree (a discapito dei resti della viabilità antica extraurbana) e l’impianto di aree boschive nei territori subito a nord-est della città, interessati dalla pre19 www.geoeye.com http://asterweb.jpl.nasa.gov 21 www2.jpl.nasa.gov/srtm 20 139 senza di estese cave antiche di travertino, dai tracciati degli acquedotti che raggiungevano Hierapolis e da varie fattorie di epoca romano-imperiale e proto-bizantina. Si è pertanto rivelato di particolare interesse il recupero, presso gli archivi dell’USGS (United States Geological Survey), di una stereocoppia acquisita dal satellite Corona KH-4A nel 1968 (risoluzione spaziale 2,70 m), che, come tutte le immagini acquisite dai satelliti spia USA negli anni ‘60 e ‘70 sono oggi disponibili per uso civile. Con lo stesso scopo di acquisire una documentazione diacronica del sito, dati molto interessanti per la ricostruzione della topografia antica di Hierapolis sono stati poi recuperati grazie all’esame della cartografia storica disponibile, risalente al XIX sec.22. Molto importanti si sono rivelati il confronto e l’integrazione delle immagini satellitari con le riprese aeree oblique, particolarmente efficaci per documentare le evidenze archeologiche, rendendo meglio comprensibile l’articolazione topografica dei complessi monumentali; a tale scopo, sono state realizzate coperture sistematiche di tutta l’area urbana, effettuate a bassa quota con un sistema di ripresa da pallone aerostatico frenato, che hanno anche permesso l’individuazione di molte tracce dovute alla stentata crescita della vegetazione in corrispondenza di strutture sepolte o semi-affioranti. Nel corso delle ricerche, le immagini satellitari recenti sono state utilizzate non solo in sostituzione ed integrazione delle fotografie aeree, ma, opportunamente corrette nelle loro deformazioni geometriche (ortorettificate mediante DEM e Ground Control Points), anche come base per il lavoro sul campo23, in particolare prima del completamento della cartografia a grande scala di Hierapolis. Le immagini sono state inoltre inserite come layer raster nel GIS di Hierapolis e nel webGIS della città e delle necropoli24, oltre che utilizzate per l’aggiornamento della topografia moderna e per la restituzione delle tracce dell’impianto urbano nella stessa cartografia. 22 1838; TRÉMOUX 1858; HUMANN et alii 1898. SCARDOZZI 2009. 24 D’ANDRIA-SCARDOZZI-SPANÒ 2008, pp. 149-152. 140 23 DE LABORDE Le ricognizioni di superficie e le applicazioni di telerilevamento da piattaforma aerea e satellitare sono state poi integrate (nel 2007-2008 e 2010) con prospezioni geofisiche (geomagnetiche, Ground Penetrating Radar, tomografia elettrica); queste sono state realizzate in varie aree della città (per una superficie complessiva di oltre 6 ettari), caratterizzate da un forte interro di sedimenti alluvionali e colluviali (come l’Agorà Nord e la zona della scena del vicino Teatro) o da depositi di calcare e terra spessi fino a 3-4 m (come i settori della città subito a nord ed ovest dell’Agorà Civile, a sud del Santuario di Apollo, a nord del Ginnasio e del Macellum, lungo il tratto meridionale della plateia), generati dalle acque che fuoriescono dalle sorgenti situate al centro della città, lungo la faglia sismica25. Dal 2010, infine, le ricerche archeologiche sono anche integrate allo studio geologico di dettaglio del sito, i cui risultati sono visualizzati in uno specifico livello della carta archeologica. IL PROGETTO “HIERAPOLIS VIRTUALE” Dal 2007, nell’ambito della Missione Archeologica Italiana è stato avviato un progetto denominato “Hierapolis Virtuale”, condotto dal Laboratorio di Informatica Applicata dell’IBAM-CNR e finalizzato al restauro virtuale ed alla ricostruzione tridimensionale di alcuni complessi monumentali della città, attraverso la foto-modellazione, la fotogrammetria digitale ed il laser scanning26. Si è intervenuti su quei contesti per cui le indagini di scavo, le ricerche di superficie e gli studi architettonici degli alzati hanno permesso di raggiungere una quantità di dati tale da poter supportare una ricostruzione che fosse filologicamente corretta: la StoàBasilica (Tav. XV), la Porta di Frontino ed il vicino tratto della plateia, fiancheggiato da botteghe e da una latrina, il Ninfeo dei Tritoni, il Teatro al centro della città, il Martyrion di S. Filippo, le Terme Ottagonali, la 25 26 D’ANDRIA-SCARDOZZI-SPANÒ 2008, pp. 29-30; SCARDOZZI 2010. ISMAELLI-CAGGIA 2009; LIMONCELLI 2009 e c.s.; GABELLONE et alii 2010; GABELLONE-SCARDOZZI 2010. 141 Stoà di Marmo, le abitazioni dell’Insula 104. Tra i lavori più recenti, si ricordano poi quelli sul Santuario delle Sorgenti27 e sul Teatro Nord28; quest’ultimo, in particolare, è basato sull’integrazione di dati da ricognizione di superficie, rilievo topografico e prospezioni geofisiche. Alla base di queste attività è la consapevolezza che uno dei compiti dell’archeologia moderna sia quello di ricostruire monumenti, contesti antichi e paesaggi storici con la più elevata attendibilità scientifica e con la massima verosimiglianza possibile29; il livello raggiunto dalle moderne tecnologie informatiche e dai sistemi avanzati per la visualizzazione consente infatti di raggiungere risultati inimmaginabili fino a pochi anni fa, sia per lo studio e la comprensione di manufatti e strutture che per la comunicazione attraverso immagini ad un pubblico vasto ed eterogeneo, con mezzi idonei ed a qualsiasi livello di interesse e comprensione. In questo modo, l’immagine o l’animazione tridimensionale costituiscono strumenti di sintesi che permettono di comunicare in forma grafica ed immediata gran parte dei dati scientifici acquisiti nel corso delle ricerche; la ricostruzione virtuale diviene quindi un momento importante di riflessione (e di studio) sull’oggetto della ricerca, ma costituisce anche un modo molto efficace per rappresentare siti archeologici complessi. RINGRAZIAMENTI Si ringrazia Francesco D’Andria, direttore della Missione Archeologica Italiana a Hierapolis, per il costante sostegno, i preziosi consigli e l’interesse con cui segue le ricerche. Al progetto per la carta archeologica di Hierapolis collaborano Laura Castrianni, Giacomo Di Giacomo, Imma Ditaranto, Ilaria Miccoli e Veronica Randino. Le prospezioni geofisiche a Hierapolis sono state realizzate nel 2007-2008 da Stefan Giese e Christian Hübner della GGH di Freiburg, e nel 2010 da Gianni Leucci, Nicola Masini e Raffaele Persico dell’IBAM-CNR. Alle ricostruzioni tridimensionali dei monumenti di Hierapolis hanno lavorato Francesco Gabellone, Francesco Giuri, Ivan Ferrari e Massimo 27 ISMAELLI-LIMONCELLI 2011. LIMONCELLI-SCARDOZZI 2011. 29 GABELLONE 2010A e 2010B. 28 142 Limoncelli dell’IBAM-CNR. Le ricerche geologiche sono condotte da Stefano Marabini, in collaborazione con l’Università della Calabria. GIUSEPPE SCARDOZZI CNR-IBAM - Consiglio Nazionale delle Ricerche Istituto per i Beni Archeologici e Monumentali - [email protected] ABSTRACT The paper concerns the integration of different methodologies and technologies applied to the reconstructive study of the urban layout of Hierapolis in Phrygia (southwestern Turkey). During the research project, the data regarding the ancient city and its necropolises were collected by means archaeological excavations and surveys, processing of multi-temporal high resolution satellite images and aerial photos, topographical surveys using differential GNSS, Total Station and Laser Scanner, and geophysical prospecting (GPR, Magnetometry, Electrical Tomography) conducted in the areas covered by thick colluvial deposits and calcareous formations that have incorporated ancient remains. The result was a digital archaeological map integrated in a GIS, in which all ancient monuments and remains are placed on a large-scale cartography and on DEMs with different geometric resolution. These map and DEMs constitute the base for the 3D reconstruction and the virtual restoration of some monuments, through integration of the 3D photo-modelling and laser scanning techniques. BIBLIOGRAFIA CAGGIA-ISMAELLI 2009: M.P. Caggia, T. 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Senza la pretesa di esaurire delle tematiche di così ampio respiro, si vuole partire dal punto di vista dell’archeologo che si avvicina alla rappresentazione tridimensionale di contesti, reperti e monumenti cercando una sintesi fra restituzione tecnica del dato ed una resa naturalistica ed evocativa del contesto archeologico. In questo senso si cercherà di evidenziare alcune problematiche di carattere metodologico e tecnico che spesso non ne favoriscono il buon esito. La modellazione 3D, intesa come reintegrazione della forma originaria di un oggetto, ha certamente degli aspetti di continuità con il rilievo archeologico “tradizionale” anche se non si è in presenza di quel filo diretto fra bidimensionale e tridimensionale che, ad esempio, si trova nel-la progettazione architettonica: ciò che è in pianta ed in alzato verrà modellato secondo le specifiche progettuali pronto per essere giudicato prima della effettiva realizzazione dell’edificio (dall’idea alla realizzazione). Il resto archeologico è una forma pensata dall’uomo e, tranne rari casi fortunati, mutilata dalla natura, deformata dal tempo. Per questo motivo la modellazione comporta la messa a fuoco della forma originaria tramite i dati forniti dal rilievo archeologico 1 (sia diretto che indiretto) e la formalizzazione di ipotesi da avvalorare ed integrare tramite confronti con altri contesti archeologici. Il rapporto fra rilievo archeologico e modellazione 3D è quindi mediato da un atto di comprensione di ciò che non esiste più e che va quindi, di fatto, ricostruito. Una prima difficoltà di approccio al 3D da parte dell’archeologo sta proprio nell’atto della model1 Nel caso del rilievo archeologico tridimensionale si passa oramai, nella pratica quotidiana, attraverso strumenti ad alta definizione capaci di rendere conto di dettagli altrimenti impossibili da acquisire. lazione, che dalle consuetudini formali del disegno passa all’impostazione tipica della scultura, quella di abbozzare e definire un oggetto in più passaggi e soprattutto in più livelli di risoluzione. Vedremo più avanti l’importanza di scegliere il livello di dettaglio (e di accuratezza) di una ricostruzione. La visualizzazione scientifica e la realtà virtuale sono invece due aspetti (a volte sovrapponibili, altre volte distinti) del prodotto finito della modellazione tridimensionale. La visualizzazione scientifica si distingue nettamente dal resto della computer grafica perché parte da dati discreti ed è finalizzata a comunicare nel modo più trasparente possibile il dato senza alcuna specifica intenzione di resa naturalistica (si pensi ad una sezione stratigrafica o alla restituzione in falsi colori di un’analisi di resistività del terreno). In ambito archeologico le tecniche di visualizzazione scientifica, oltre che nella specifica documentazione grafica standard degli scavi, vengono comunemente impiegate nella restituzione delle indagini geognostiche, nella ricostruzione dei paesaggi antichi tramite modelli geomorfologici e persino nella simulazione di macrofenomeni di insediamento e popolazione del territorio. Come accade per molti altri metodi quantitativi, le tecniche di visualizzazione sono riprese da ambiti disciplinari diversi dall’archeologia: utilizzata in molti campi diversi come la medicina, l’industria, la simulazione, ecc., la visualizzazione scientifica poggia su un insieme di software ed algoritmi matematici sviluppati ad hoc e risulta tra le miniere più fertili in cui rinvenire metodologie utili a rappresentare i piani concettuali della disciplina archeologica. Gli envois ottocenteschi dell’Accademia di Francia, che fanno convivere insieme il dato ragionato2 su elementi concreti con un piano di rappresentazione naturalistica, sono invece una sorta di ibrido felice tra visualizzazione scientifica e comunicazione, anche emozionale. A raccogliere questo tipo di sfida è oggi quella parte di computer grafica che, dai filmati agli ambienti virtuali in realtime, si distingue dalla visualizzazione scientifica per 2 La correttezza filologica degli Envois è stata da più parti messa in discussione, ma risulta comunque un punto di riferimento nella storia delle ricostruzioni grafiche dei monumenti antichi. 148 la finalità di rendere credibile l’esperienza dell’utente, secondo diversi gradi di realismo. La resa dell’ambientazione virtuale, non è un problema di tecnologia impiegata, ma di composizione dell’immagine, perché è questa a rendere chiaro il messaggio che si vuole dare, l’informazione archeologica che si vuole veicolare. Per fare un esempio, dai primi film della Pixar (una delle più blasonate società nel campo della CGI3) alle ultime pellicole, non sono cambiati soltanto i computer ed i software, è soprattutto cambiato strutturalmente il modo di fare cinema. La raffinatezza e la credibilità delle loro “pellicole” è frutto dell’esperienza nel campo espressivo e nella maturazione nell’uso dei programmi: evolvono gli strumenti, ma evolve soprattutto la grammatica dell’immagine. È quindi importante sottolineare che la qualità della computer graphic non è affatto direttamente proporzionale alla tecnologia impiegata ma all’abilità con cui l’artista lega i contenuti alle scelte stilistiche. Il problema della rappresentazione al computer passa principalmente per il rendering (in tempo reale e non), quel processo non automatico che riporta su due dimensioni ciò che è in tre dimensioni. Il processo non è automatico perché è necessario avere tutta una serie di accorgimenti per suggerire e rendere credibile la terza dimensione e il rapporto dimensionale e spaziale fra gli oggetti. Tutti questi aspetti, che richiedono delle specifiche competenze dal campo della fotografia, concorrono al “messaggio”. Un buon rendering deve evidenziare un dato, un contenuto, ma perché questo processo si possa considerare riuscito deve dare un effetto complessivo di naturalezza, di credibilità. A parte scelte stilistiche deliberate come l’effetto “toon” (cartone animato), tra gli artisti del 3D è luogo comune l’assunto che “una buona computer grafica non deve sembrare computer grafica”. Questa affermazione sembrerebbe costringere qualsiasi ricostruzione alla resa fotorealistica. In realtà la frase non va intesa in senso massimalista: ci si riferisce sempre alla naturalezza di un immagine tenendo conto di ciò che si aspetta di vedere l’occhio umano per ritenere credibile e distinguere una forma da un’altra. Ci si riferisce al pericolo di ottenere un’immagine “sintetica”, ideale, priva di vita, perciò, tra le altre cose, pri3 Computer Generated Imagery. 149 va di imperfezioni. A questo scopo, oltre alla luce, all’ambientazione in generale in cui viene calata una ricostruzione, grande importanza hanno tutti quei segni del tempo che caratterizzano normalmente qualsiasi oggetto e lo rendono “vivo”: le imperfezioni, le lesioni (crepe, opacità), ecc., secondo l’aforisma “The world’s imperfection is the digital perfection”, ben noto nella CGI. È necessario tuttavia mettere in guardia da un eccessivo utilizzo di questi elementi per non parlare di tutte quelle “sporcature” che esistono oggi ma non potevano esistere nel passato, come ad esempio il nero dello smog sul travertino o alcune alterazioni legate ai cambiamenti della composizione chimica delle piogge. ELEMENTI DI COMPOSIZIONE DELL’IMMAGINE La competenza per ottenere un buon rendering deriva dai principi di composizione dell’immagine elaborati nelle arti visuali tradizionali, dalle tecniche cinematografiche ma anche e soprattutto dalla pratica del lavoro professionale, quella che un tempo si chiamava “pratica di bottega”. I quadri di Tiziano e di Canaletto con le loro ambientazioni di paesaggi e città sono frutto, oltre che dell’applicazione delle regole generali della pittura, anche di accorgimenti tecnici speditivi che permettevano un lavoro organico nonostante la moltitudine di mani di aiutanti che affollavano la bottega: il lavoro seguiva dei passaggi ben precisi, che oggi chiameremo all’anglosassone, pipeline di lavoro4. Gli elementi essenziali dell’immagine5 sono la luce e l’ombra che “disegnano” gli oggetti nella scena. La luce permette ai colori di accendersi o digradarsi mentre l’ombra colloca nello spazio gli oggetti, aggiunge contrasto o addirittura mostra cose che non sono visibili nell’immagine (come ad esempio ombre di 4 Un'immagine creata dall'uomo, trattandosi, in ultima istanza, di un opera di “artigianato”, è un tema che può avere diversi svolgimenti, tutti adeguati eppure diversi nelle scelte compositive. Si tratta quindi di un opera di sintesi e scelta fra soluzioni formali diverse in cui, necessariamente e senza che questo sia un limite, resterà traccia della sensibilità e del background culturale delle persone che vi hanno lavorato al di là dell’aderenza a questa o a quella regola teorica. 5 Il testo di riferimento più importante è il magistrale lavoro di BIRN 2006. 150 alberi o architetture). Lo studio del colore permette di dare caratteristiche di drammaticità o sensazioni piacevoli a seconda delle gamme impiegate o a seconda della durezza delle ombre (ombre nette rendono tutto più “spigoloso” mentre un’ombra diffusa ammorbidisce le forme). Scarti dimensionali molto grandi tra oggetti e relativi dettagli, così come la quantità assoluta di dettaglio sulle superfici aumenta o riduce la percezione degli oggetti nella scena: un palazzo con molte finestre verrà ritenuto molto più grande di un edificio con poche finestre (Fig.1). Figura 1 Provando a visualizzare metà immagine alla volta, coprendo l’altra metà, si noterà come in assenza di riferimenti spaziali la metà destra apparirà di grandi dimensioni, la metà sinistra un semplice villino. Eppure, a figura intera, all’interno del software di modellazione il “parallelepipedo” ha le medesime dimensioni. Il riferimento spaziale è fondamentale: è sempre necessario inserire in una scena almeno un elemento di cui si comprenda la dimensione (come la classica silhouette di uomo). 151 IL PROBLEMA DELLA RISOLUZIONE Una seconda difficoltà di approccio alla modellazione 3D risiede nella scelta della risoluzione. Nel disegno archeologico non è infrequente adottare scale di rilievo molto elevate che possono arrivare anche fino al 1:1, senza considerare la possibilità di fare rilievi indiretti di altissimo dettaglio. In altri casi il buon senso e le possibilità pratiche fanno sì che gli elaborati archeologici abbiano gradi di accuratezza diversi come nel caso di un modello di elevazione del suolo. Vi sono poi dei casi in cui il dato archeologico è semplicemente di carattere documentario, non è quindi possibile entrare in contatto con il contesto che può essere scomparso o non più accessibile. Tutti questi dati comportano gradi diversi di accuratezza e risoluzione facendo sì che in fase di modellazione l’unico accorgimento concreto è quello di rimanere all’interno dell’intervallo di accuratezza senza pretendere di utilizzare i dati a disposizione come fossero stati prodotti in scala 1:1. La ricostruzione virtuale passa attra-verso il riconoscimento e la scelta dei livelli di dettaglio che serviranno per riorganizzare il materiale. Nella buona pratica della computer grafica si fa grande attenzione al livello di dettaglio a cui si lavora: questo a-spetto può moltiplicare i tempi (e quindi i costi) di rendering di una scena in modo impensabile. Se si considera la ricostruzione virtuale dal punto di vista dell’output, improvvisamente la maggior parte delle problema-tiche trovano la loro soluzione. Quali elementi verranno fatti vedere? Da che distanza, per quanto tempo? Sono sul piano principale dell’imma-gine? Ogni ricostruzione andrebbe iniziata solo dopo aver risposto a que-ste domande. Soprattutto nel caso di grandi complessi architettonici o ricostruzione di paesaggi. IL PROBLEMA DELLA RAPPRESENTAZIONE Qualche considerazione finale: il problema principale dell’archeologia è la rappresentazione. Come ha già scritto Stefano Costa nel suo 152 blog6, oggi troppo spesso l’archeologia è composta da tanto testo e poche immagini, per lo più di decoro. Considerando l’archeologia come un modello esperto in cui confluiscono i vari documenti, la sintesi sarà per l’appunto la rappresentazione visiva di tale modello. Partendo da questo presupposto, l’urgenza di rappresentare il contesto archeologico, anche attraverso ricostruzioni virtuali, assume non solo un aspetto divulgativo ma, ancora prima, conoscitivo. EMANUEL DEMETRESCU ABSTRACT 3D modelling in archaeology have two kinds of output: scientific visualization and virtual reconstruction techniques. The differences and the similarities beetwen both of them are relevant to underline some good practice in archaeological comunication. The image composition is a big challenge in joining scientific visualization and naturalistic renderings and has very useful examples in the history of arts. For an archaeological site, a primary issue is resolution and accuracy of the model with some common mistakes in managing 3D virtual reconstructions. BIBLIOGRAFIA BIRN 2006: J. Birn, Digital Lighting & Rendering, New Riders, Berkeley 2006. SCATENI et alii 2005: R. Scateni, P. Cignoni, C. Montani, R. Scopigno, Fondamenti di Grafica Tridimensionale Interattiva, McGraw-Hill, Milano 2005. 6 www.iosa.it/content/archaeology-text-and-archaeology-image 153 LA DOCUMENTAZIONE FOTOGRAFICA DEI BENI CULTURALI: COMUNICAZIONE E SCIENTIFICITÀ AI TEMPI DI GOOGLE Le possibilità aperte dalla nuova fotografia, quella digitale, si sono rapidamente estese al mondo dei Beni Culturali investendolo di nuove opportunità comunicative. Grazie alla relativa facilità con cui è oggi possibile ottenere buone immagini, il numero degli operatori del settore in grado di produrre in proprio quelle necessarie è rapidamente aumentato ma, altrettanto rapidamente, è aumentata – in maniera esponenziale – la richiesta di fotografie da utilizzare per la documentazione e la comunicazione del Patrimonio culturale. Questa richiesta di imaging, che dovrebbe da un lato offrire opportunità lavorative e dall’altro consentire una maggior diffusione del Patrimonio stesso, se non soddisfatta da un prodotto di qualità rischia di diventare un “boomerang” per chi utilizza la fotografia, creando un danno al lavoro in cui questa viene impiegata e/o all’immagine stessa dei Beni Culturali. È il caso, ad esempio, della virtualizzazione 3D, dove spesso il notevole lavoro che c’è dietro un progetto di questo tipo rischia di essere in parte vanificato, non del tutto compreso nella sua scientificità, nel caso in cui venga usata una texture ricavata da immagini di scarsa qualità che danno, all’utente, l’impressione di essere di fronte ad un videogame piuttosto che ad un progetto specialistico (non a caso, oggi, molti sforzi sono indirizzati a far sì che nella grafica computerizzata e nelle scansioni laser sia possibile usare foto di alta qualità come texture di partenza). Questa necessità di realizzare una documentazione fotografica di alto livello per nuove applicazioni cresce di giorno in giorno e va ad unirsi alla consueta richiesta di immagini che servono a documentare o a promuovere un Bene Culturale. Ed è su tale distinzione, documentare o promuovere, che questo contributo si basa. Il cuore della “rivoluzione digitale” a cui prima si accennava, è la computational photography. Questa è una forma di fotografia basata sull’utilizzo di una serie di scatti fotografici i quali, prima uniti e poi “mi- Figg. 1 / 2 Laser scanner della Leica e base dello stesso laser con una fotocamera Canon montata su di una testa per riprese pannografiche. scelati” attraverso innovative tecnologie digitali, producono nuove, ragguardevoli informazioni altrimenti non rilevabili nelle originali, singole fotografie. La combinazione data dalla grande capacità di calcolo degli odierni processori, dai nuovi sensori digitali abbinati ad ottiche moderne e dall’adozione di sistemi di illuminazione “fuori dagli schemi”, permette di superare i limiti delle tradizionali fotocamere a pellicola (e della prima fotografia digitale) e consente nuove applicazioni di imaging. Lo stitching ha permesso di ottenere immagini immersive, immagini in 2D o in 3D ad informazione variabile, immagini in Large ed in Really High Definition1. La Panografia, o fotografia immersiva, è la ricostruzione virtuale – su base fotografica – di un ambiente [nell’immagine a fianco (Fig. 3) una proiezione in piano di tipo “little planet”] in cui l’utente è libero di guardarsi intorno, Fig. 3 Proiezione in piano di tipo “little planet” della Villa di Livia a Roma: stanza con le pareti affrescate dalle pitture di giardino. 1 Le c.d. Gigapixel, foto ad altissima risoluzione, il cui limite – al momento – è un panorama di Londra da 80 GB il cui uso sul web è possibile attraverso il Tiling delle stesse. 155 senza soluzione di continuità e senza vincoli visivi o funzionali. Questo ambiente può essere collegato ad altri in un percorso in grado di rispecchiarne uno fisico (l’itinerario di un museo, di una mostra), o per crearne uno puramente concettuale unendo luoghi, tempi e stili tra loro distanti. Come si evince dalla figura 4, ogni ambiente, o nodo, può essere arricchito di hotspot di natura diversa, testuale e/o multimediale. Fig. 4 Screenshot di un "ambiente virtuale" con hotspot di tipo testuale e multimediale. © Alfredo Corrao Lo stitching consente, come accennato, anche montaggi di centinaia e centinaia di foto in un’unica immagine, piana o sferica che sia. Attraverso particolari tecniche di ripresa ed appositi software, si fa in modo che queste combacino perfettamente al fine di creare un file che nessuna fotocamera al mondo sarebbe in grado di registrare. Per consentire la rapida condivisione, anche via web, di questi assemblaggi dal peso e dalla risoluzione altrimenti impossibili da gestire, si sono sviluppati programmi di Tiling (il più conosciuto è Zoomify, un software nella sua versione essenziale gratuito) che consentono di frammentare in migliaia di piccole immagini un’unica grande foto. Questo permette di visualizzare il soggetto dal suo insieme al suo 156 più minuto particolare; singolarmente o – come nell’esempio mostrato nelle figure 5 e 6 – a confronto con un soggetto simile. Figg. 5 / 6 Esempio di tiling fotografico con due immagini a confronto. Foto © Alfredo Corrao Ma la facilità con cui si ottiene e condivide una fotografia di un Bene ha portato ad una diffusione digitale dell’immagine del Bene stesso tale da necessitare di un distinguo fra i diversi livelli qualitativi offerti ed i messaggi in essi impliciti. Messaggi, e target di conseguenza raggiungibili, che verranno approfonditi in seguito. Questa diffusione ha riguardato, in particolar modo negli ultimi tempi, anche l’interattività fotografica cambiando radicalmente il modo di comunicare il Bene Culturale. Ci troviamo così, oggi, di fronte a tre tipi di fotografia e di fotografia interattiva: - Quella che possiamo definire di “massa”, in quanto rivolta a chi è privo di nozioni e/o interesse verso il mondo dei Beni Culturali e si limita ad una sua superficiale conoscenza - La fotografia e fotografia interattiva, di “divulgazione”, indirizzata a coloro che da appassionati o cultori dell’arte frequentano mostre, visitano musei, acquistano cataloghi. Questa fotografia serve ad invogliare gli “utenti/clienti” a visitare i luoghi della cultura, a fruire del frutto del lavoro svolto dagli operatori dei Beni Culturali - La fotografia e l’interattività, di “documentazione”, dove il pezzo deve essere rigorosamente rappresentato nella sua forma e cromia, anche a rischio di ottenere un risultato apparentemente piatto e privo di fascino. 157 In alcuni casi, purtroppo ancora rari, queste tre tipologie si fondono in una documentazione di ampio respiro, facilmente reperibile e comprensibile e rivolta a tutti, curiosi e studiosi. Esemplare, in questo senso, è il bellissimo lavoro svolto da Halta Definizione, una società privata tutta italiana, presso la “Cappella degli Scrovegni” (Figg. 7 e 8). Oltre a poter navigare in fotografia immersiva la Cappella, è possibile accedere alle immagini in altissima definizione di ogni affresco del ciclo pittorico. Gli screenshot – relativi al “Giudizio Universale” – mostrano l’affresco nel suo intero ed un particolare, ancora non al massimo livello di ingrandimento rag- Fig. 7 Giotto di Bondone, Cappella Scrovegni, “Il giugiungibile, con la sovrap- dizio universale” nel lavoro effettuato da Halta Definiposizione di un riferi- zione. mento metrico, utile, come noto, a chi usa queste immagini per studio. La digitalizzazione in LHR (Large High Resolution) della Venere di Botticelli, da poco presentata nell’ambito del Google Art Project e sempre realizzata da Halta Definizione, è un altro di questi esempi. Il MiBAC e Google hanno intrapreso, grazie alla DG per la Valorizzazione, una collaborazione atta a far conoscere il Patrimonio artistico e culturale italiano attraverso Google Art Project e Google Street View. Le figure 9 e 10 mostrano, partendo dall’insieme per arrivare al massimo dettaglio, il livello di ingrandimento raggiungibile del capolavoro realizzato dal pittore fiorentino. 158 Fig. 8 Particolare del volto del Cristo nello stesso lavoro di figura 7. Questa definizione, unita alla qualità della ripresa ed alla correttezza cromatica e prospettica, rende l’esperienza di “navigazione” del dipinto valida sia ai fini conoscitivi che di studio approfondito della stessa potendo distinguere ductus della pennellata, trama della craquelure, ed altri minuti particolari. Fig. 9 La Venere di Botticelli riprodotta da Halta Definizione e “navigabile” su Google Art Project. 159 Fig. 10 Il massimo livello di ingrandimento raggiungibile in figura 9. È proprio l’interattività del progetto Google Art Project, che si avvale in molti luoghi della Cultura del già citato Google Street View, a mettere, però, in risalto il fatto che i tre diversi modi di comunicare attraverso la fotografia siano perlopiù nettamente diversi: all’elevata qualità di poche opere è contrapposta, infatti, la visione di sale museali, siti archeologici e antichi centri storici patrimonio dell’umanità la cui qualità è ben rappresentata dalla schermata (Fig. 11) in cui la stessa Venere è vista attraverso il c.d. percorso virtuale degli Uffizi. Fig. 11 La Venere del Botticelli nella schermata del percorso virtuale degli Uffizi offerto da Google Street View. 160 A titolo d’esempio ecco la sala in cui è esposto il “Trittico Portinari” (Fig. 12). Sono visibili in sovraimpressione le direzioni in cui l’utente può muoversi e i punti in cui può posizionarsi. Ci avviciniamo al dipinto cercando di coglierlo nella sua integrità ma ciò non è possibile se non con un’evidente deformazione prospettica ed una netta perdita di nitidezza dei pannelli laterali (Fig. 13). Di seguito (Fig. 14), la miglior visione frontale dell’opera di van der Goes. Figg. 12 / 13 / 14 Il “Trittico Portinari” di van de Goes in Google Street View. Fortunatamente questo è uno dei quadri che è possibile vedere meglio passando da Street View ad Art Project. Ecco nella figura 15 (cfr. Tavv. XVI-XVII) l’intero dipinto… 161 … ed ecco nella figura 16 il massimo particolare raggiungibile. Con disappunto si deve prendere atto che la qualità e leggibilità del particolare possibile nel caso della “Venere” resta appannaggio della “Venere” stessa e di pochissime, davvero pochissime, altre opere. Lo stesso problema qualitativo visto nei luoghi chiusi, quali appunto gli Uffizi, si presenta anche negli spazi aperti dei luoghi della cultura. 162 Fig. 17 Google. Galleria di Street View con evidenziati i luoghi MiBAC e quelli Patrimonio dell’Umanità. Figg. 18 / 19 / 20 I luoghi della cultura: schermate del percorso virtuale offerto da MiBAC e Google relative al Colosseo. Sono chiaramente visibili i difetti qualitativi delle panografie. 163 Da immagini come quelle qui mostrate è chiaro che da fonti di questo tipo non si può ricavare nessun aiuto allo studio, o alla conoscenza, del bene. A “supporto” di questa scarsa qualità c’è però l’infinita “documentazione” fotografica che Google mette a disposizione degli utenti semplicemente cliccando sul pulsante in alto a destra della nostra schermata. Ciò arricchisce di contenuti il sito che si sta visitando, col rischio, tuttavia, di trovarsi di fronte a risultati come quello non proprio apprezzabile della figura 21. Fig. 21 I luoghi della cultura. Il “patrimonio” iconografico a corredo del percorso virtuale offerto da MiBAC e Google. I limiti della tecnologia usata da Google nello Street View fanno sì che la fruizione del luogo di cultura sia una visita virtuale “mordi e fuggi” di livello assai basso, destinata pertanto ad una comunicazione esclusivamente di massa. Spostandoci in altri luoghi “Patrimonio della Umanità” o comunque “della Cultura”, la situazione non migliora. Nello screenshot seguente (Fig. 22) realizzato a Pompei è visibile l’evidente imperfezione, di fuoco, di prospettiva e di giunzione, del nadir della panografia. Le fotocamere montate sui pubblicizzati “tricicli” di Google, infatti, hanno una resa ottica appena sufficiente solo sull’asse orizzontale mentre su quello verticale (zenit e nadir) la nitidezza è pra164 ticamente inesistente. Ciò produce effetti in alcuni casi “devastanti”: la figura 23 mostra come sia lo zenit a rendere impossibile la lettura delle targhe marmoree poste sul fronte del palazzo che ospita il Municipio di Urbino. Sempre ad Urbino, nella figura 24, il Duomo: oltre che presentare un evidente difetto cromatico dovuto allo zenit, vi è l’impossibilità di ottenere una giusta prospettiva ed addirittura una mancata corrispondenza della giunzione delle foto. Fig. 22 Pompei. Fig. 23 Urbino, il Municipio. 165 Fig. 24 Urbino, il Duomo. Cfr. Tav. XVIII. Ancora, nella figura 25, Palazzo Ducale dopo un – per fortuna virtuale – accentuato “fenomeno di bradisismo”. Fig. 25 Urbino, Palazzo Ducale. È quindi chiaro perché parte della comunicazione, e documentazione, del nostro Patrimonio fatta attraverso un disinvolto uso del mezzo fotografico si riveli solo un ulteriore modo di mortificare la Cultura, trat166 tata, nei luoghi più rappresentativi, alla stregua di una qualunque strada di periferia. Storia, Arte, Archeologia, sono massificate e così assimilate, nei metodi di rappresentazione, ad uno qualsiasi dei “non luoghi” della contemporaneità. LA FOTOGRAFIA DI DIVULGAZIONE La splendida immagine di Zeno Colantoni emblema della bella mostra “Ritratti. Le tante facce del potere”, rimasta ai Capitolini fino a settembre 2011, mostra il busto raffigurante Caracalla. Fig. 26 Caracalla. Foto © Zeno Colantoni. Il soggetto è qui ripreso con uno schema di illuminazione, ed un trattamento cromatico, normalmente in uso nel ritratto. L’imperatore è raffigurato come persona, ad essere esaltato è il messaggio che il busto doveva trasmettere: autorità, potenza, assimilazione alla divinità. È chiaro che una foto del genere non può avere uno scopo di documentazione scientifica: qui siamo davanti ad una persona, non ad un busto di marmo. 167 Illuminazione e post produzione aiutano a trasmettere questo messaggio. Il Bene Culturale acquista vitalità, fascino: venite a trovarci, “acquistateci”. Il pregio di questo genere di fotografia è che aiuta il mondo dei Beni Culturali ad esistere: dietro l’immediato scopo commerciale c’è un intento di sensibilizzazione al bello, l’educazione al pensare al contenuto del Museo, della Galleria come ad un qualcosa di affascinante e misterioso, che merita di essere visto. Figg. 27 / 28 Ares, Villa Adriana. Foto © Alfredo Corrao. Figg. 29 / 30 Paolina Borghese. Le due immagini sono un altro esempio di come una fotografia di divulgazione possa cambiare aspetto e messaggio veicolato con il variare degli schemi di illuminazione. LA FOTOGRAFIA SCIENTIFICA O DI DOCUMENTAZIONE Questa, compresa quella interattiva, è tutt’altro. I soggetti possono sembrare, a prima vista, meno affascinanti, meno preziosi. Ma dal punto di vista di un archeologo o storico dell’arte antica sicuramente non meno interessanti e degni di attenzione. La fotografia di 168 documentazione, nella sua apparente semplicità, è tuttavia la più complicata da ottenere. Spesso il confine che divide fotografia scientifica e fotografia divulgativa è estremamente sottile, ma la prima necessita di particolari attenzioni perlopiù trascurate, o addirittura ignorate, dagli stessi addetti ai lavori. I pilastri su cui questa forma di comunicazione si fonda sono due: la corretta restituzione cromatica e la totale assenza di Fig. 31 Busto in marmo. Grottadeformazioni ed aberrazioni ottiche e proferrata (RM). spettiche. Mentre il primo si ottiene attraverso una gestione del colore in ogni fase del flusso lavorativo, il secondo è frutto di un’accurata scelta delle giuste ottiche e del punto di ripresa in fase di scatto, oltre che della conoscenza delle cause dei disturbi e delle aberrazioni implicite negli obiettivi e nel sensore di una fotocamera. Comunicare un Bene Culturale attraverso un’immagine significa fornire all’interlocutore, soprattutto se ciò avviene per motivi di lavoro o di studio, un documento che rispecchi pienamente la realtà del Bene stesso. Ciò non avviene, purtroppo, quasi mai in fotografia. Complice di questa realtà è per primo l’archeologo il quale pone – giustamente – un’attenzione estrema alla restituzione grafica tramite il disegno tecnico per poi disinteressarsi, o non accorgersi, di essere in possesso di una foto dello stesso reperto che lo mostra in maniera assai diversa, distorta. La corretta restituzione cromatica di un Bene, fondamentale per la sua lettura ed interpretazione, passa – come detto – attraverso la gestione del colore, la quale può essere divisa in più fasi. La prima, basilare, è il bilanciamento del bianco. La luce, al variare dell’illuminante, ci restituisce dello stesso oggetto gradazioni di colore differenti a seconda della temperatura della stessa. 169 Figg. 32 / 33 / 34 A sinistra e a destra la giusta rappresentazione, grafica e fotografica, di un reperto. Al centro, un esempio di come non andrebbe documentato. Foto © Alfredo Corrao. Basta pensare ad un luogo visto in pieno pomeriggio piuttosto che al tramonto per comprendere con quanta facilità il colore cambi. Figg. 35 /36 / 37 Un volume da restaurare ripreso sotto delle luci ad incandescenza. In fotografia appare (a sinistra) fortemente affetto da una dominante “calda”, rossastra. A fianco, lo stesso volume fotografato dopo aver bilanciato il bianco. A destra uno degli strumenti – il Color Checker Passport della X-Rite – che rende possibile il bilanciamento del bianco. Foto © Alfredo Corrao. Cfr. Tav. XIX. Il bilanciamento del bianco può essere fatto al momento dello scatto (on camera) o in post produzione (off camera) tramite degli accessori ad hoc. Questi, che possono essere di diverso tipo, hanno in comune la peculiarità di essere esenti al metamerismo consentendo così di linearizzare l’asse del grigio e restituire il colore scevro di ogni dominante. Condizione ideale sarebbe il porre in essere entrambi, in maniera da ottenere un risultato ottimale. 170 Strumenti come il Passport della X-Rite sono molto pratici, non hanno un costo elevato e dovrebbero far parte, alla stregua dei riferimenti metrici, del profilometro e di altri attrezzi professionali, del normale bagaglio di ogni archeologo od operatore dei Beni Culturali che documenta fotograficamente il suo lavoro. I passi successivi della gestione del colore prevedono poi la profilazione del sensore della fotocamera2, la calibrazione del monitor e, in caso si decida di stampare da sé, la profilazione della stampante per ogni coppia di carta/inchiostri usata. Il secondo pilastro, come è stato qui definito, della fotografia scientifica è il rendere il documento/immagine privo di deformazioni e aberrazioni. Le deformazioni prospettiche hanno una duplice natura: ottica, sono cioè implicite nell’obiettivo, e di assialità: in questo caso non si è in asse con il soggetto. Le prime possono essere risolte in fase di scatto usando la giusta focale per il soggetto ripreso ed in post produzione con l’ausilio di software appositamente progettati e che spesso si trovano già all’interno dei programmi dati in dotazione con la fotocamera. Le seconde necessitano o di particolari fotocamere, dette a corpi mobili, o di ottiche Tilt & Shift, in grado cioè di decentrare o basculare. Trattandosi di attrezzature molto costose, è possibile generalmente porre rimedio alle deformazioni in post produzione, avendo però l’accortezza di mantenere il giusto rapporto proporzionale nella fase di raddrizzamento delle linee. Ciò che più viene trascurato, invece, e che maggiormente inficia – assieme ad una sbagliata restituzione del colore – la validità e la comprensibilità di un’immagine avente valore scientifico è l’insieme di problematiche, date dalle aberrazioni, che gli obiettivi hanno in sé, e dal cosiddetto rumore che il sensore digitale genera nella fase di conversione analogico/digitale. Le aberrazioni ottiche inducono diversi effetti che concorrono a rendere l’immagine poco leggibile: quelle cromatiche 2 Tramite la creazione di un profilo, a doppio o singolo illuminante, da usarsi in software quali Adobe Camera Raw nella fase di demosaicizzazione del file RAW. 171 comportano, ad esempio, delle frange colorate sui particolari della immagine. Figg. 38 / 39 / 40 Esempio di correzione prospettica in post produzione. Foto © Alfredo Corrao. Fig. 41 Aberrazioni cromatiche laterali. Coppie di linee colorate, rosse e verdi o gialle e blu circondano i particolari fini dell’immagine inficiando la nitidezza. A causa degli indici di rifrazione dei materiali impiegati per le lenti i diversi colori vanno a fuoco su piani differenti causando una marcata perdita di nitidezza. Il problema aumenta con l’utilizzo dei teleobiettivi. Si vengono così a creare coppie di linee colorate (rosse e verdi o gialle e blu) che “circondano” i dettagli di quanto ripreso falsandone la 172 veridicità cromatica (Fig. 41). Un controllo dell’immagine almeno al 100% ne permette l’individuazione e la successiva correzione. Un altro fastidioso effetto delle aberrazioni cromatiche è il cosiddetto “purple fringing”, un’evidente bordo viola che si presenta in prossimità delle alte luci tanto più in maniera evidente quanto più i dettagli sono fini. Un ulteriore difetto che spesso passa inosservato è la caduta di luce ai bordi, detta vignettatura. Presente più sulle corte focali che sulle lunghe, in genere si risolve in ripresa chiudendo il diaframma o, in seguito, con un intervento in post produzione. Reflex digitali di un certo livello riconoscono al momento dello scatto – tramite l’identificazione dell’ottica – il livello di vignettatura e lo compensano “on camera”. La caduta di luminosità ai bordi della immagine porta ad una perdita di dettaglio, di contrasto ed a un apparente aumento di saturazione, tutti elementi in grado di falsare la scientificità della riproduzione fotografica. Infine, le problematiche legate al sensore. Innanzitutto il rumore. Legato al fattore di amplificazione (il valore ISO impostato) del sensore, alla sua qualità ed al tempo di esposizione impostato, è di due tipi: di luminanza e di crominanza. Mentre il primo si manifesta nelle aree chiare ed uniformi di un’immagine ed è simile alla grana delle pellicole, il secondo lo si trova nelle aree scure della foto ed aumenta in maniera esponenziale se si tenta di schiarirle per riuscire, magari, a leggere me-glio un particolare in ombra. Come dice il suo nome, si presenta come un insieme di punti colorati – rossi, verdi e blu – rendendo sostanzialmente vana la pretesa di fedeltà cromatica che un documento scientifico deve avere. Anche la comprensione del dettaglio fine è seriamente pregiudicata da questo disturbo. Basta pensare alla riproduzione in macro di una moneta già di per sé abrasa per capire quanto questo difetto nella resa della immagine possa comprometterne la lettura. La rimozione del rumore, sia di crominanza che di luminanza passa innanzitutto attraverso particolari accortezze da adottarsi in fase di ripresa. La post produzione, per quanto possa sembrare semplificata da apposite funzioni automatiche presenti in alcuni software di elaborazione fotografica, è invece materia di attento e a volte lungo lavoro in quanto o173 gni immagine va trattata nella giusta maniera pena una decisa perdita di nitidezza che equivale, sostanzialmente, al sostituire un problema con un altro. Ultimo, il moiré. Causato da un modello fine nel soggetto (quale la trama di un tessuto o le linee vicine e parallele nell’architettura) che si abbina al modello del circuito integrato di formazione immagine, il moiré è di fatto la creazione artificiale di un terzo, nuovo modello. Tipico del digitale, questo difetto si presenta come un insieme di bande dispari o colorate. Si attenua in ripresa, cambiando leggermente l’angolo o la posizione della macchina fotografica o provando a focheggiare su di un piano diverso; in post produzione è necessario l’apporto di software dedicati. CONCLUSIONI Come si è visto, la comunicazione di un Bene Culturale assume valenze diverse in relazione allo scopo per cui questa esigenza sorge. Ciò che meraviglia è che pochi degli addetti ai lavori, che maggiormente hanno bisogno di studiare, confrontare, diffondere il Bene stesso, abbiano la consapevolezza che l’intero loro lavoro viene sminuito o falsato da una comunicazione che si regge su immagini non scientificamente valide e che di fatto impediscono un’analisi puntuale di quanto ripreso. E, se da fruitori del proprio lavoro fotografico ci si può affidare alla memoria visiva e all’esperienza del contatto diretto con il Bene fotografato per sopperire a tutto ciò, questo aiuto viene completamente a mancare a chi è costretto ad esaminare lo stesso Bene solo attraverso la riproduzione fotografica. Un reperto, quindi, non deve soltanto essere “fotografato”: non serve un ricordo, serve una documentazione. E, per un’ulteriore dimostrazione che si può diffondere la cultura dandole il rispetto che merita, assegnando alle proprie immagini, interattive o meno che siano, una valenza assolutamente scientifica e divul174 gativa al contempo, chiudo invitando alla consultazione3 del bellissimo lavoro realizzato da un privato presso la Strahov Library di Praga: una panografia che raggiunge l’incredibile peso di 40 GB, realizzata mettendo insieme la bellezza di 3000 foto per un file finale di 280.000 x 140.000 pixels (più o meno una stampa, a 300 ppi4, di circa 23 metri in lunghezza e più di 11 metri in altezza). ALFREDO CORRAO Fig. 42 Strahov Library. Foto © Jeffrey Martin. 3 4 http://www.360cities.net/gigapixel/strahov-library.html ppi, Pixel per Inch. 300 ppi è la risoluzione standard per la stampa di fotografie dalle dimensioni contenute. Forti ingrandimenti sono di solito stampati ad una risoluzione inferiore, 180 o 120 ppi. 175 ABSTRACT L’avvento del digitale, oltre che aver cambiato radicalmente il modo di fare e di “pensare” la fotografia, ha apportato nel mondo dei Beni Culturali una vera e propria “rivoluzione”. Oltre alle note agevolazioni date dal supporto elettronico (revisione immediata degli scatti, possibilità di variare “in corso d’opera” ISO, temperatura di colore, ecc.), la fotografia ha assunto una sempre maggior interattività grazie all’uso di particolari tecniche di ripresa e post produzione. Ma la fotografia, oltre ad essere essa stessa più multimediale – per forma e contenuti – di quanto comunemente si pensi, è anche la base di una corretta documentazione per molte altre forme di virtualizzazione dei Beni Culturali. BIBLIOGRAFIA AA. VV. 1968: Fotografia aerea. Cenni storici e applicazione allo studio degli interventi dell’uomo nel territorio, Centro Studi Storia Architettura, Roma 1968. ANG 2006: T. 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PICCARRETA-CERAUDO 2000: F. Piccarreta, G. Ceraudo, Manuale di Aerofotografia archeologica. Metodologia, tecniche e applicazioni, Edipuglia, Bari 2000. 177 MODELLAZIONE TRIDIMENSIONALE E MODELLI DIGITALI 3D IN ARCHEOLOGIA La conoscenza archeologica, sia essa di tipo scientifico o divulgativo, è il frutto di una piena e precisa comprensione del Bene oggetto di indagine. La ricerca archeologica “tradizionale”, con l’analisi bibliografica, l’analisi iconografica, l’analisi ed il rilievo del manufatto, lo studio del contesto storico prodotto da dati epigrafici, numismatici, documentali, storico-artistici, lo studio del contesto spaziale prodotto da dati antropici ed ambientali (paleobotanica, paleontologia, ecc.), è la base di partenza imprescindibile, incontestabile ed improrogabile per costruire le fondamenta solide di un progetto di Archeologia Virtuale. Lo studio del mondo antico non significa ricostuire la sua realtà talis et qualis, ma formulare una ipotesi la più aderente possibile ad essa, basandosi su quanto la documentazione archeologica ha finora restituito, avendo sempre presente che le testimonianze dell’antico sono soltanto una piccola parte dell’espressione culturale di un popolo, dipendenti dalla geografia1, dal tempo trascorso, o più semplicemente dall’interesse finora mostrato dagli archeologi per un particolare territorio. Sotto questo assunto è deludente constatare che le numerose applicazioni digitali legate ai Beni Culturali siano state prodotte fin dal principio da agenti terzi spesso senza alcun contatto con i protagonisti dell’archeologia, ovvero gli archeologi ed i reperti, in un trend che lentamente e con grandi difficoltà accenna ad essere invertito. “Roma non è stata costruita in un giorno” recita un antico adagio cantato anche dai Morcheeba, eppure il digitale ha fornito l’opportunità che questo potesse accadere, e che questo compito potesse essere portato a termine a prescindere dall’archeologia, se non nella sua vulgata conosciuta da tutti. 1 Si intende con questo termine sia la posizione fisica di un manufatto (ad esempio è possibile ipotizzare che l’urbanizzazione moderna ad ogni latitudine abbia per sempre sepolto l’antico), sia il contesto territoriale nel quale giace (torbiere, terreni umidi, terreni secchi, sono tipologie di suolo che influenzano fortemente la conservazione di un reperto, soprattutto se di natura organica). DALLA CARTA ALLO SCHERMO Il computer da qualche decennio ha “liberato” i ricercatori dalla computazione manuale e dalla necessità di dover selezionare il dato da registrare onde evitare ingestibili raccolte di informazioni; inoltre ha permesso una nuova consapevolezza nella formulazione del dato, costruita sull’esigenza di riportare in modo fedele, oggettivo e puntuale ogni azione ed ogni processo portato a termine durante uno scavo o durante uno studio. La disponibilità di supporti di registrazione sempre più efficienti e ridotti nelle loro dimensioni e l’avanzamento tecnologico nella gestione delle informazioni su server cloud hanno liberato i ricercatori dalla necessità di selezionare i dati, consentendo loro di annotare e catalogare lo scibile: però, solo se questa operazione viene condotta con metodo sarà poi possibile formulare nuove domande per ricevere nuove risposte in grado di aprire ulteriori canali di conoscenza e comprensione del passato. Così come ogni processo di conoscenza archeologica non può prescindere dalla ricerca archeologica “tradizionale”, se si vuole anche ampliata attraverso moderne tecnologie di indagine, allo stesso modo ogni progetto di archeologia virtuale non può prescindere da questa ricerca. Bisogna combattere il proliferare di applicazioni non scientifiche, invitando gli operatori terzi a lavorare nel campo dei Beni Culturali come expertises in tecnologie digitali, secondo l’accezione moderna del termine, sempre al fianco di expertises in archeologia, nella convinzione che la cultura merita quel rispetto che non la squalifichi a mero dato economico. È lo stesso pubblico che, riscoprendo il turismo culturale, chiede una informazione di qualità, ovvero una informazione scientificamente corretta oltre che visivamente coinvolgente. Ancora, l’utilizzo scorretto e/o incoerente della strumentazione elettronica, lungi dal fornire maggiore “scientificità” o maggiore “oggettività” ad un progetto di ricerca, rende più demistificatorio il processo di ricostruzione per mezzo del virtuale, il quale invece dovrebbe rappresentare la massima espressione nella divulgazione odierna della conoscenza scientifica, altrimenti confinata nelle Accademie e nelle pubblicazioni specialistiche. 179 L’archeologo inoltre non dovrebbe limitarsi ad un uso esclusivamente scientifico del virtuale ma aprirlo fin dalla fase iniziale a progetti di comunicazione. Per quanto tradurre l’archeologia scritta in archeologia visuale sia un compito per lo più destinato ai comunicatori ed ai divulgatori che meglio di uno scienziato conoscono il linguaggio adatto per rapportarsi con il pubblico, bisogna essere consapevoli che anche nella formazione dell’archeologo è indispensabile una preparazione che gli consenta di comunicare in modo divulgativo liberandolo dalla necessità di improvvisare. Di conseguenza, se si vuole progettare una applicazione virtuale, di tipo statico o interattivo, alcune linee guida sono imprescindibili per rimanere nel campo della scientificità e della ricerca archeologica così come nel campo della qualità del prodotto finale da realizzare. Altro aspetto da non sottovalutare è infatti la qualità digitale dell’informazione, troppo spesso squalificata da una sua traduzione scadente in formato virtuale: se l’impegno delle software house è quello di fornire prodotti commerciali sempre più ad alto impatto visivo, bisogna adeguarsi allo standard della qualità attuale. Quando la comunicazione archeologica è rivolta alle nuove generazioni è necessario ricordare che quest’ultime sono abituate ad utilizzare PC, console e mobile device in grado di far “girare” prodotti dall’impressionante riproduzione fotorealistica di una ambientazione (reale o di fantasia non importa, ciò che conta è l’aspetto di realtà che imprime in chi la guarda), o dall’elevata qualità artistica dello stile tipo cartoon adottato: se il prodotto digitale legato al patrimonio non è in linea con questo livello qualitativo, terminato l’impatto emotivo dovuto alla novità e/o all’interattività, si rischia che il visitatore-fruitore si fermi al primo stadio della conoscenza. D’altra parte è ancora forte l’impressione che un eccessivo fotorealismo porti il visitatorefruitore ad immaginare che quella rappresentazione sia in realtà la riproduzione del mondo antico, un errore quest’ultimo per certi aspetti perfino più grave. È possibile tuttavia coniugare entrambe le esigenze grazie proprio agli strumenti interattivi che la tecnologia oggi fornisce attraverso l’uso di layer ad attivazione automatica temporizzata o manuale in grado di fornire all’utente la qualità necessaria nella ricostruzione proposta ma al contempo la qualità necessaria nell’informazione scientifica fornita. 180 Infine una riflessione: l’esperienza di videogame e mondi virtuali induce ad inserire nelle nostre ricostruzioni avatar volanti in grado di viaggiare attraverso muri, telecamere a volo d’uccello et similia, ritenendo in tal modo di aggiungere qualità interattiva nelle nostre applicazioni. In questo modo tuttavia si riproduce un’esperienza irreale per un uomo “del passato”, e fornire una visione attualizzata del suo pensiero significa alterare l’urbanistica di una città antica nei vari contesti culturali in cui si è sviluppata la riflessione legata all’organizzazione dello spazio. Entrando nel tema del contributo un ideale workflow per l’impostazione di un progetto virtuale teso alla ricostruzione archeologica si può enunciare come segue, senza la pretesa che questo flusso di lavoro sia adattabile ad ogni contesto archeologico, cosa evidentemente impossibile. Conoscenza del contesto: sono stati sopra menzionati i principali campi di studio della ricerca archeologica, che vanno dall’epigrafia alla numismatica, dalla ceramica ai reperti organici, dal microterritorio al macroterritorio con la sua fauna e la sua flora, le vie di comunicazione, l’orografia, i corsi d’acqua, le risorse naturali, l’iconografia e l’arte, ecc., a partire dalle ricerche geofisiche ove possibili e praticabili. Studiare l’antico è come prevedere il tempo: come non si può conoscere l’andamento metereologico su Roma senza studiare le celle atmosferiche che ricoprono centinaia di chilometri quadrati intorno alla capitale, così non si può conoscere nella sua completezza un contesto antico se non viene messo in relazione con il suo mondo circostante, fatto di scambi culturali, commerciali, religiosi, ecc. che ne influenzavano la visione del mondo. Organizzazione dei dati: la mole di dati generata dalla ricerca archeologica, immensa per ogni contesto antico (enciclopedica per l’insieme di tutti i contesti antichi), non può non avvalersi oggi di tecnologie di gestione adeguate. I database, prodotti con qualsivoglia tecnologia, consentono di organizzare e studiare i dati sotto ottiche differenziate, ma soltanto se opportunamente organizzati: bisogna aver chiaro fin dall’inizio a quali domande (query) si vuole che i database rispondano, “mappando” tutti i campi con specifici metadati. Un errore comune infatti può essere 181 quello di creare tabelle che nel nostro intento vanno compilate con determinati criteri, però se nel metterle a disposizione di terzi (come dovuto) mancano di specifiche indicazioni, potrebbero essere compilate con un differente sistema, soprattutto se queste tabelle sono nominate in maniera “esotica”. Le norme dell’ICCD, almeno in Italia, sono la base di partenza fondamentale per la redazione di schede tecniche, utilizzando anche i vocabolari tematici standardizzati messi a disposizione. Divulgazione del dato scientifico: i dati scientifici che l’archeologo produce non dovrebbero rimanere appannaggio, come proprietà esclusiva, del suo studio, ma essere con il tempo condivisi con la comunità. Oggi questa operazione può essere fatta a partire dai dati grezzi (e non soltanto dai dati elaborati e pubblicati): l’importanza di condividere i dati grezzi è stratosferica nella convinzione che noi archeologi necessitiamo che colleghi qualificati verifichino le nostre intuizioni, processo possibile solo se tali colleghi hanno accesso alle informazioni di base, certamente più oggettive di quelle filtrate nel nostro studio. Piattaforme Web con MySQL, PHP ed AJAX consentono la creazione e la diffusione controllata di database scientifici in tutto il mondo e a costi irrisori. In futuro il progetto SIGEC Web dell’ICCD, di prossima attivazione, diventerà il collettore nazionale per la tutela e l’amministrazione del nostro patrimonio culturale, e cominciare a progettare con specifici formati XML dovrebbe essere un imperativo per tutti (immaginate un Bene che viene immediatamente inserito nel database dove accedono le Soprintendenze, il Nucleo Tutela del Patrimonio dei Carabinieri, la Guardia di Finanza e tutte le istituzioni deputate a conoscere quel Bene, e lo stesso Bene che viene inserito in quella base dati a distanza di anni, perché i compilatori del Ministero non sono robot). Ogni database può diventare la colonna portante di un sistema GIS, che necessita per ogni voce di campi di geolocalizzazione da prevedere già in fase di progettazione, indipendentemente se saremmo noi in futuro a realizzare quel GIS (potrebbero farlo altri studiosi interessati a particolari contesti che non rivestono il nostro campo d’indagine: pensare sempre dunque al futuro). 182 Il rilievo in archeologia: l’operazione di rilievo in archeologia non dovrebbe essere propedeutica all’analisi ma susseguente alla stessa, come ricorda un maestro del calibro di F. Giuliani. Se l’obiettivo è un asettico rilievo strumentale indiretto, registrando in maniera oggettiva l’esistente attraverso laser scanner, fotogrammetria, stazione totale, GNSS RTK, strumenti che devono preventivamente essere calibrati e posizionati prima di ogni sessione di lavoro, si può parlare di semplice acquisizione di una mole di dati grezzi da trattare; in caso contrario, poiché il rilievo manuale diretto è già una forma di interpretazione, come scritto non si può interpretare qualcosa senza averla prima studiata e compresa. Il rilievo strumentale va inoltre pianificato in quelli che sono i limiti tecnici degli strumenti, da conoscere in modo completo per non procedere in lavori errati2. Nell’ottica di un progetto di ricerca archeologica la fase di acquisizione digitale non elimina assolutamente la fase di rilievo manuale, che andrebbe nei limiti del possibile e del praticabile sempre prevista. Comunque si intenda procedere, il modus operandi va pianificato a monte ed ogni ricerca deve preventivamente stabilire il proprio standard e scegliere i propri mezzi di rilievo, così da generare un dataset unico per l’intero progetto uniformando l’errore insito in ogni sistema di misura. Altrimenti al termine del lavoro verrebbero messe insieme situazioni che non possono stare insieme, unificando in modo non strutturato dati generati con strumentazione dalla differente risoluzione. Inoltre se il nostro fine è generare cartografia 1:50.000, è un errore pensare che il rilievo 1:10 del basolato stradale abbia un senso. È auspicabile che ogni singolo passo della ricerca archeologica si attenga ai massimi criteri della conoscenza, ma è necessario calcolare tempi e fondi economici a disposizione. Altra scelta iniziale è il sistema di capisaldi su cui realizzare le sessioni di ripresa, non solo per facilitare il lavoro di collazione dei dati dentro un sistema omogeneo ma anche per comprendere come studiare il Bene (sia esso territorio o manufatto) evitando una inutile perdita di tempo. Il proprio standard andrebbe poi sempre dichiarato, magari attraverso una delle 2 Cfr. alcuni dei più diffusi problemi riscontrati sul campo in BENEDETTI-GAIANIREMONDINO 2010 e bibliografia ivi segnalata. 183 tante piattaforme wiki open source a disposizione, all’interno delle quali inserire i dati tecnici delle attrezzature, le metodologie di rilievo utilizzate, ecc., così da rendere trasparente il nostro lavoro e consentire un miglior interscambio dei dati grezzi generati. Sistemi geografici: propedeutico alla comprensione del territorio per una sua fedele ricostruzione è la creazione di un GIS, che eleva il semplice database alla potenza della creazione di cartografie tematiche con query in grado di restituire il dato geolocalizzato oltre che informazioni alfanumeriche. Oggi è possibile gestire in modo unificato dati raster per lo studio del suolo con dati vettoriali facilmente interrogabili3. Come sopra, il progredire della tecnologia semplifica la creazione di piattaforme GIS per il web, opportunità questa da cogliere sempre, nei limiti del possibile. LA RICOSTRUZIONE 3D IN ARCHEOLOGIA Terminata la fase di studio e di strutturazione dei dati, operazione che può richiedere un tempo che non va lesinato per la qualità finale della ricerca, si può passare alla traduzione digitale. La realtà virtuale apre vastissime opportunità per la ricerca, per la rappresentazione, per la didattica, per la valorizzazione, per la divulgazione, per la salvaguardia, per la fruizione del Bene Culturale, ovvero per il “sistema della tutela”. Queste differenti possibilità implicano finalità diverse, quindi strumenti diversi ed output diversi: vi sono tuttavia dei dati di base indispensabili, come le planimetrie e le sezioni, i prospetti ed i particolari, le fotografie scientifiche ed i confronti, che devono essere assolutamente realizzati. Il modello 3D: anche in questa fase, prima di procedere alla modellazione vera e propria è importante determinare l’output finale. Generare modelli per immagini statiche, per animazioni o per la realtà virtuale im3 Cfr. MEDRI 2003, p. 208, fig. 3.22. 184 plica differenti modalità di approccio che possono cambiare radicalmente la struttura di un progetto. Nel caso di immagini statiche è necessario modellare soltanto ciò che sarà visibile dalla visuale delle telecamere le cui posizioni vanno scelte preventivamente, renderizzando per canali da montare in postproduzione; nel caso delle animazioni è necessario modellare soltanto ciò che sarà visibile dalla visuale della telecamera lungo il suo percorso, che andrà scelto preventivamente, renderizzando in formato statico tipo PNG: la sequenza generata andrà montata in postproduzione; nel caso di realtà virtuale4 interattiva va invece modellata l’intera scena secondo il criterio dei Levels of Detail da gestire tramite dei game engine. Nel caso delle immagini statiche è poi possibile scegliere tra rendering biased, con simulazione approssimata della luce (ideale per sequenze video), e rendering unbiased con simulazione fisicamente corretta della luce (ideale per immagini ad alto impatto visivo): questa seconda scelta implica tuttavia una grande padronanza nella creazione di texture, shader, materiali e nella modellazione dei particolari, per non indurre il software a simulare in modo fisico cose che nella fisica reale non esistono. La creazione di texture fotografiche prevede l’utilizzo corretto e scientifico della fotografia e dell’elaborazione dell’immagine, avendo sempre ben presente che la texture deve avere assolutamente una dimensione maggiore dell’output finale del rendering, onde evitare sgradevoli artefatti e sgranature. Il workflow nel 3D: il flusso di lavoro di questa fase viene ripreso dall’esperienza operativa maturata nella Computer Grafica, il campo di applicazione che più di altri fa uso del 3D ed al quale è dunque necessario fare riferimento per non “arrangiarsi” applicandosi nella CGI. I passi sono semplici ma utili per avere un solido background di lavoro alle spalle: in CAD si determinano misure e ingombri dei volumi, eventualmente gli alzati, evitando i dettagli; nel software 3D si importa il CAD e si aggiungono dettagli, materiali, luci e camere per il rendering: nell’am4 Si usa qui il termine nel senso semplicistico di “ambiente digitale navigabile sia interattivamente sia attraverso la fruizione video”. Per la definizione scientifica del termine si rimanda alla bibliografia specialistica. 185 biente 3D si aggiungeranno anche tutti quegli elementi utili ad una migliore ricostruzione del contesto, come la vegetazione e gli ecosistemi, le simulazioni fluidodinamiche, la cinematica dei personaggi ed il controllo delle masse, ecc. Si passa poi alla generazione dell’output: inizialmente si stabilisce il tonemap della scena, ovvero l’esposizione con l’illuminazione diretta, la global illumination con l’illuminazione indiretta e l’ambient occlusion, operazioni da eseguire attraverso l’uso generalizzato del c.d. “materiale neutro”. Solo in seguito si potrà procedere alla mappatura con texture, materiali e shader; l’output sarà poi facilmente gestibile per mezzo di appositi programmi di image editing. Nel caso di sequenze video si passa a lavorare sulle bitmap con l’aggiunta di effetti speciali, infine il montaggio per la generazione del filmato. Qualora invece l’obiettivo è il rendering statico, si può procedere ad una elaborazione artistica dell’immagine finale secondo modelli tipici di varie arti: dallo stile antiquario modello École des Beaux Arts di Parigi, a quello vignettistico tipico dei fumetti, allo stile realistico tipico della fotografia, oppure secondo un proprio stile personale. Nel primo e nel secondo caso il risultato si può raggiungere con relativa facilità attraverso l’applicazione di appositi filtri sulle immagini ed un ritocco manuale per mezzo delle tavolette grafiche; nel secondo caso è necessaria una certa perizia nell’uso dei materiali, delle texture, delle luci e nella modellazione. Rimando alla presentazione proposta durante il Seminario per la slide riassuntiva legata al “Vademecum del renderman”. UN WORKFLOW IDEALE PER L’ARCHEOLOGIA DIGITALE Giunti al termine del progetto, ritengo sia utile proporre un elenco puntato di questo lungo processo. Approfondita analisi bibliografica e documentale del contesto Raccolta e analisi del materiale cartografico Ricerca e analisi del materiale iconografico Digitalizzazione e vettorializzazione del materiale cartaceo 186 Compilazione di un database informatico e gestione di un sistema GIS per l’indagine georeferenziata sui dati (consigliato) Impostazione in ambiente CAD della pianta ed eventualmente delle volumetrie e degli ingombri, attraverso l’uso sapiente e ragionato dei layer Importazione in ambiente 3D degli elementi generati in CAD, con predefinito livello di approssimazione per ogni oggetto (ad esempio le sfere per apparire tali richiedono più poligoni di un cubo) Decisione sulla tipologia di modello 3D da realizzare: posizionamento delle viste e dei percorsi delle camere, scelta della tipologia di rendering, scelta dello stile artistico per la postproduzione Impostazione in ambiente 3D dell’output finale della scena (immagini statiche, animazione, realtà virtuale) e modellazione dei dettagli; generazione dei rendering Creazione delle tavole finali di presentazione, del video (che può alternare sequenze animate ed immagini statiche), dell’applicazione per la gestione interattiva dell’ambiente virtuale Questo connubio tra processi di ricerca archeologica “tradizionali” e flussi di lavoro tipici dell’informatica e della Computer Grafica, come già detto, non va considerato come il migliore in assoluto o come l’unico possibile, ma come un flusso metodologicamente corretto, ed una solida metodologia è la base di ogni processo di ricerca scientifica. Da questo percorso teorico-pratico emerge che l’archeologo è in grado di andare oltre la definizione di archeoinformatico5 data da Vannini un decennio fa: sostantivo che rischia di apparire oltremodo tecnicistico e forse fuorviante. Acquisire competenze informatiche non rende l’archeologo necessariamente –informatico: si può rimanere ontologicamente archeologi anche conoscendo i processi tipici dell’informatica. Un archeologo potrà diventare autosufficiente nel gestire il processo di traduzione digitale delle informazioni archeologiche: questo non implica una 5 VANNINI G.: “Informatica per l'archeologia o archeologia per l'informatica?”, in Archeologia e Calcolatori 11 (2000), pp. 311-315. 187 contrarietà al concetto di “multi-disciplinarietà” (termine eccessivamente abusato ed ideologizzato nella sua accezione “politica”), ma esprime la convinzione che la figura dell’archeologo “tradizionale” rappresenta oggi una figura professionale incompleta, mentre l’archeologo con competenze informatiche, lungi dal dover essere considerato un tecnico, rimane lo specialista del suo campo in grado di facilitare il lavoro all’expertise informatico che lo affianca, riducendo durata e costi della ricerca, temi particolarmente caldi nel nostro tempo. SIMONE GIANOLIO Università di Roma “La Sapienza” ABSTRACT Lo studio e la comunicazione in digitale del bene culturale è una operazione che non può prescindere da una solida ricerca archeologica di base di tipo tradizionale. Il flusso di lavoro che unisce questa ricerca con i workflow tipici della computer grafica è importante per determinare una metodologia scientifica di indagine: ogni singolo passaggio richiede cura e pianificazione, ogni dato va raccolto ed analizzato con perizia, tradotto in linguaggio digitale con puntualità e precisione. L’archeologo deve riappropriarsi del suo ruolo fondamentale di “studioso/curatore dell’antico” senza lasciare che l’informazione di qualità sia quella prodotta al di fuori della ricerca archeologica. Per fare questo, la conoscenza di tutti i processi con i loro pro e contro è di vitale importanza, senza necessariamente voler trasformare la preparazione archeologica in una preparazione tecnico-informatica. 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Mogorovich, P. Mussio, Automazione del Sistema Informativo territoriale. Elaborazione Automatica dei Dati Geografici, Masson, Milano 1988. PESCARIN 2009: S. Pescarin, Reconstructing ancient landscape, Budapest 2009. Più che singoli manuali tra i quali sono stati segnalati quelli che si ritengono fondamentali da conoscere, per rimanere aggiornati su metodologie, tecniche e tecnologie è importante seguire convegni e workshop internazionali: tra i principali appuntamenti si segnalano il CAA, il VAST-VSMM, il CIPA, il DMARCH, il CHNT, il VIA, 3D-Arch, ArcheoVirtual, ArcheoFOSS, oltre alla lettura di riviste italiane come Archeologia e Calcolatori e ArcheoMedia. In relazione ai principali software in uso nelle applicazioni di computer grafica, si rimanda alla folta manualistica esistente in lingua inglese ed italiana. 189 INTRODUZIONE ALLA FOTOGRAMMETRIA DIGITALE La fotogrammetria è una tecnica di rilievo bi- e tridimensionale di oggetti e scene a partire da fotografie analogiche o immagini digitali. La definizione più attuale cita la fotogrammetria come “l’arte di trasformare immagini in modelli 3D metrici ed accurati”. Le basi concettuali della fotogrammetria risalgono ad epoca rinascimentale, quando artisti del calibro di Brunelleschi, Piero della Francesca, Leon Battista Alberti e Leonardo da Vinci svilupparono la prospettiva. Ma è soltanto con la creazione di uno strumento idoneo che fu possibile applicare operativamente la tecnica derivata da queste basi. La fotogrammetria si sviluppa a metà del 1800 con il capitano del genio francese A. Laussedat che costruisce la prima camera fotogrammetrica, ponendosi così come il fondatore della fotogrammetria che chiama iconometria o metrografia. Qualche anno dopo A. Meydenbauer derivò informazioni dimensionali della cattedrale di Wetzlar, dando luogo così al primo rilievo metrico architettonico. La fotogrammetria ha subito diversi cambiamenti e innovazioni, dalla primordiale analogica, a quella analitica (anni ‘60) per diventare digitale alla fine degli anni ‘80 del XX secolo grazie allo sviluppo di sensori con tecnologia CCD o CMOS in formato matriciale o lineare. Il rilievo fotogrammetrico prevede l’acquisizione di almeno due immagini da due punti di vista diversi dell’oggetto o scena che si vuole restituire in 3 dimensioni (3D). Collimando in entrambe le immagini almeno 5 punti omologhi, è possibile risalire alla geometria di presa (proiezione centrale) della coppia di immagini e calcolare, tramite il principio della collinearità, le coordinate spaziali (3D) dei punti omologhi. La restituzione 3D a partire da immagini è sempre in grado di fornire coordinate spaziali ma è necessario conoscere una distanza nota o dei punti oggetto di coordinate note per poter scalare la restituzione e renderla metricamente corretta. Tipicamente, nei progetti di rilievo, due immagini (stereo-coppia) non sono mai sufficienti per rilevare un oggetto nella sua complessità e 190 con un elevato dettaglio geometrico. Pertanto si utilizzano diverse immagini, acquisite da punti di vista diversi e in modo che ogni dettaglio che deve essere restituito in 3D sia visibile in almeno due immagini. a) b) c Fig. 1 La fotografia come proiezione centrale (a). Il principio della collinearità (b). Alcune piattaforme e camere per acquisire immagini (c). Per quanto riguarda la generazione di dati 3D si possono pertanto distinguere tre categorie fondamentali: i. Tecniche “reality-based”, ovvero il rilievo della realtà in modo puntuale e consistente ii. Computer grafica, ovvero la creazione di modelli 3D utilizzando software di animazione ma senza nessun rilievo metrico iii. Modellazione procedurale, una modellazione automatica o semiautomatica basata su regole matematiche predefinite o definibili in base alle necessità La fotogrammetria, come tecnica reality-based per il rilievo 3D a partire da immagini, è affiancata da altre tecniche di rilievo quali il laser scanning (a triangolazione o a tempo di volo) e il rilievo topografico (stazioni totali o sistemi di posizionamento satellitare). Le diverse tecniche 191 non devono essere viste come concorrenti, ma anzi, molto spesso sono complementari, in particolare per progetti che interessano grandi architetture complesse. Tutte le tecniche di rilievo basate su dati immagine (image-based) vengono dette “tecniche passive”, in quanto i sensori usati per acquisire le immagini sono strumenti passivi, ovvero strumenti che registrano solo la luce presente nell’ambiente e la trasformano in informazione digitale all’interno dei pixel delle immagini. Il rilievo effettuato con strumentazione laser scanner è invece detto range-based poiché vengono acquisiti dati di distanze con strumenti attivi, ovvero strumenti che emettono un segnale luminoso e ne registrano la sua risposta. Un vantaggio dei sensori attivi range-based rispetto alla fotogrammetria è che sono in grado di fornire un dato 3D già scalato e metricamente corretto. Tecniche di processamento di immagini simili alla fotogrammetria sono: i. Il telerilevamento (remote sensing): si occupa principalmente dell’interpretazione delle immagini (satellitari) per fini di classificazione ed estrazione di informazioni non metriche e non 3D ii. La computer vision: pur essendo simile alla fotogrammetria, basa il suo lavoro su geometria proiettiva e processi completamente automatici (Structure from Motion), che fanno venir meno principi fondamentali quali precisione ed accuratezza del dato 3D a favore dell’automazione. È per tanto una tecnica valida in campi d’applicazione che non richiedano la metricità ed accuratezza del dato restituito, quindi applicazioni di riconoscimento, sorveglianza, robotica, visualizzazione, ecc. iii. Lo shape-from-shading: è un approccio che impiega una sola immagine e, grazie ai cambiamenti radiometrici dell’immagine è in grado di estrarne un dato 3D, non metrico e non scalato Come detto, la fotogrammetria utilizza sensori passivi digitali (basati su tecnologia CCD o CMOS) che possono anche essere montati su piat- 192 a) b) c) Fig. 2 Esempio di rilievo aereo di un centro medioevale (a) per la generazione di una nuvola densa di punti 3D (b, c). taforme satellitari, aeree, UAV 6 o in fotocamere terrestri (amatoriali o reflex) e subacquee. La fotogrammetria può essere applicata anche ad immagini storiche o d’archivio, nel caso ad esempio di monumenti non più esistenti o per analizzare i cambiamenti del territorio, sempre con l’accortezza di avere almeno due immagini della scena acquisite da diversi punti di vista. La distanza sensore-oggetto ripreso definisce la risoluzione geometrica delle immagini, ovvero il più piccolo dettaglio descritto da un singolo pixel dell’immagine: immagini satellitari, acquisite tra i 400 e 700 km di quota, hanno una risoluzione a terra fino a 40 cm; immagini da aereo o UAV hanno risoluzioni tipicamente dell’ordine dei 5-25 cm, mentre immagini terrestri possono arrivare sotto il mm di risoluzione geometrica. Se si effettuano riprese subacquee, bisogna considerare che la 6 Unmanned Autonomous Vehicle, piattaforme automatiche radiocomandate (come droni o elicotteri) in grado di volare a bassa quota e a costi estremamente ridotti. Nel selezionare lo strumento è necessario fare riferimento al parametro del payload, ovvero il carico che l’UAV è in grado di sollevare da terra (poche centinaia di grammi per droni con motore elettrico fino a qualche decina di kg per elicotteri con motore a scoppio). 193 luce si propaga attraverso due mezzi diversi (aria ed acqua), quindi per il rilievo fotogrammetrico è necessario applicare i due indici di rifrazione dei materiali. Nel campo strettamente archeologico, immagini satellitari ed aeree sono ottime per lavori su scala regionale, UAV e palloni per lavori su scala locale, mentre la fotogrammetria terrestre è la soluzione più adatta per il rilievo della singola unità stratigrafica. Si possono effettuare misurazioni e restituzioni 3D in maniera sia automatica che manuale ed ottenere nuvole di punti rispettivamente dense o sparse, a seconda dell’oggetto e del dettaglio che si vuole ottenere. Il tutto viene eseguito con strumentazione e software che oggi hanno raggiunto costi accessibili, soprattutto se paragonati agli ancora elevati costi di uno strumento laser scanner o anche di una buona stazione totale. I prodotti tipici della fotogrammetria (a qualunque scala di applicazione) sono i modelli digitali del terreno (DTM) o di superficie (DSM), ortofoto, mappe, modelli 3D texturizzati e dati vettoriali per applicazioni quali il rilievo, lo studio ed il monitoraggio del territorio, il 3D city modeling e la pianificazione territoriale, la documentazione del patrimonio culturale, le analisi di deformazioni, il calcolo di volumi di scavo, ecc. Dopo aver acquisto le immagini necessarie a ricoprire tutta la scena che deve essere restituita in 3D, le immagini: i. Vengono generalmente pre-processate attraverso opportuni algoritmi per correggerne la radiometria ii. Opportunamente orientate (processo strettamente dipendente dalla calibrazione di una fotocamera) per determinare le posizioni dove sono state acquisite le immagini iii. Alla fine vengono applicati algoritmi di image matching per derivare delle nuvole di punti (point cloud) della scena ripresa. Le nuvole di punti, dense per i dettagli o sparse per l’architettura, vengono poi interpolate al fine di creare delle superfici poligonali (DSM/DTM), ovvero il miglior modo di rappresentare la realtà con la migliore approssimazione possibile. Queste superfici possono poi essere texturizzate al fine di creare modelli 3D fotorealistici per applicazioni visuali, scientifiche, ecc. 194 Fig. 3 La pipeline fotogrammetrica: dalle immagini al modello 3D. a) b) c) Fig. 4 Data set di immagini UAV per il rilievo di un tempio (a), il risultato della fase di orientamento delle immagini (b) e il modello 3D della scena (c). 195 La prima fase della pipeline dovrebbe essere portata a termine da esperti nel campo della fotogrammetria, mentre è consigliabile che l’archeologo o comunque lo user finale entri nel processo soltanto nella fase finale, per la restituzione 3D e l’utilizzazione del modello 3D o della ortofoto per fini di rappresentazione, visualizzazione e studio scientifico. In crescita costante è anche l’impiego di immagini panoramiche (ottenute tramite stitching di immagini o con camere panoramiche). Queste immagini contengono una grande mole di informazioni (Giga-pixel) e possono essere processate con metodi fotogrammetrici per derivarne modelli 3D. Il rilievo 3D geometrico di un oggetto va distinto dalla modellazione 3D. Il rilievo prevede un’operazione manuale diretta al fine di ottenere una nuvola di punti (più o meno densa) sparsi nello spazio, ovvero dei dati non strutturati. La modellazione 3D a partire da dati rilevati invece trasforma il dato non strutturato in qualcosa di strutturato, ovvero una mesh, un TIN, dei volumi o altre superfici di tipo poligonale. Per concludere, i principali vantaggi della fotogrammetria si possono così riassumere: alto contenuto geometrico, metricità ed accuratezza dei risultati, fotorealismo, low-cost, portabilità, flessibilità di utilizzo. FABIO REMONDINO 3DOM – FBK (Trento) ABSTRACT La fotogrammetria è una tecnica di rilievo di tipo reality-based che utilizza sensori passivi digitali per acquisire almeno due immagini da due punti di vista diversi dell’oggetto o scena che si vuole restituire in 3 dimensioni. La pipeline fotogrammetrica può essere riassunta in pochi semplici passaggi che consentono di creare modelli 3D fotorealistici per applicazioni visuali, scientifiche, di pianificazione territoriale, di documentazione del patrimonio culturale, ecc. Integrata con altre tecniche di rilievo e processamento di immagini consente di portare a termine progetti che interessano grandi architetture complesse. 196 a) b) c) Fig. 5 Rilievo (a) e modellazione 3D (b, c) di una sepoltura medioevale (Pava, Siena). Fig. 6 Rilievo UAV di scavo archeologico per derivarne un modello di superficie (DSM) utile a generare l’ortofoto e le curve di livello. 197 Fig. 7 Rilievo del territorio (Trento) da immagini aeree e satellitari per la derivazione di un modello di superficie rispettivamente a 50 cm e 2 m di risoluzione. Fig. 8 Rilievo e modellazione 3D di una statua. La nuvola di punti è visualizzata in modalità color-code e con texture. BIBLIOGRAFIA BENEDETTI-GAIANI-REMONDINO 2010: B. Benedetti, M. Gaiani, F. Remondino, Mesurés, dessinés et décrits avec la plus grande exactitude - Una metodologia per l’acquisizione e la restituzione di siti archeologici complessi ai fini della costruzione di sistemi informativi basati su modelli digitali 3D. Il caso dell’area archeologica di Pompei, SNS press, Pisa 2010. 198 GUIDI et alii 2009: G. Guidi, F. Remondino, M. Russo, F. Menna, A. Rizzi, S. 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Le due città sono completamente diverse a causa del diverso tipo e della diversa quantità della documentazione e degli scavi effettuati nel corso degli ultimi due secoli. Questo lavoro è stato svolto in collaborazione anche con il MiBAC, Ministero per i Beni e le Attività Culturali, e la stessa metodologia è stata ed è eseguita in altre importanti aree archeologiche della regione come Aquileia, Grado e Zuglio (Fig. 2). Fig. 2 Inquadramento geografico. 2. BREVE STUDIO DELLO SVILUPPO URBANO DEI DUE SITI Dagli anni ‘90, la Soprintendenza per i Beni Archeologici del Friuli Venezia Giulia ha promosso la creazione di carte vettoriali su supporto CAD per la registrazione e l’implementazione dei dati topografici derivanti da rilievi strumentali, che da allora fungono da supporto alla documentazione realizzata dagli operatori che lavorano nelle aree di scavo archeologico stratigrafico. All’interno di queste carte sono successivamente confluiti dati d’archivio derivanti da documentazione pregressa e da bibliografia; in questo modo, con lo sviluppo degli studi e delle ricerche, tali carte sono diventate uno degli strumenti di archivio e ricerca più completi a disposizione dello studio sullo sviluppo delle città qui prese in considerazione. Il primo tentativo organico di una ricostruzione topografica generale dell’antica Tergeste fu realizzato dallo studioso Pietro Kandler già 201 nel 18561 (Fig. 3): tale documento ripropone l’estensione della città romana secondo i dati allora conosciuti rispetto ai profili della città del diciannovesimo secolo; questa metodologia di rappresentazione risulterà particolarmente efficace tanto da costituire una linea giuda per i successivi lavori di studio topografico. Altri studi da ricordare in questa sede sono quelli della Scrinari2 (Fig. 4), della Maselli Scotti3, della Verzar Bass4 e della Ventura5. Ciascuno di questi lavori qui citati ha riportato sul tessuto urbano della città moderna gli aggiornamenti delle conoscenze archeologiche e topografiche sulla città del periodo romano. È a partire da questo periodo che viene sistematizzato l’uso del rilievo strumentale e viene implementata con una notevole mole di dati la carta archeologica su supporto vettoriale, impostata dal geom. G. Meng 6 per conto soprattutto della Soprintendenza ai Beni Archeologici del Friuli Venezia Giulia. Un altro settore di indagine approfondita sulla storia dello sviluppo è pertinente all’Università degli Studi di Trieste, che dal 2000 al 2002 ha condotto uno scavo archeologico in un settore molto importante del tessuto urbano della “Cittavecchia”, ricostruendo l’intera sequenza dello sviluppo di questo settore dal I sec. a.C. fino a tutto il XX secolo7. Tutti i dati sopra elencati sono infine confluiti all’interno di una tesi di laurea, successivamente sviluppati all’interno di una tesi di dottorato e sono tutt’ora soggetti ad aggiornamenti periodici8 (Fig. 5). Per quanto riguarda Cividale del Friuli, il percorso degli studi è simile: il primo ad occuparsi dell’analisi della struttura urbana antica della città fu il canonico Michele della Torre che dal 1816 al 1827 ha ese- 1 ZORZON 1989. SCRINARI 1951; SCRINARI-FURLAN-FAVETTA 1990. 3 MASELLI SCOTTI 2001. 4 VERZAR BASS 1999. 5 VENTURA 1996. 6 MENG 1999. 7 MORSELLI 2007. 8 BRAINI 2003, 2011. 202 2 Fig. 3 La carta archeologica di Kandler. Fig. 4 La carta archeologica della Scrinari. 203 guito un gran numero di scavi9, ha lasciato diari, disegni ed una carta della città con indicate le posizioni di tutti gli scavi effettuati, che consente di capire in quale parte della città lui abbia lavorato (Fig. 6) e, cosa più importante, ha lasciato una tabella con indicato il noFig. 5 La carta archeologica di Tergeste. me dei padroni di casa la cui proprietà era stata interessata nelle indagini ed il numero catastale degli immobili. Questa tabella è stata veramente utile per la successiva ricerca, insieme alle altre carte archeologiche redatte durante tutto il 1900 da Brozzi10, Tagliaferri11, Bosio12 e Stucchi13 (Fig. Fig. 6 La carta archeologica del Della Torre. 7) che raccolsero e analizzarono la documentazione del Della Torre e avanzarono alcune proposte sull’urbanistica romana di Forum Iulii: lo Stucchi fece un accurato lavoro di posizionamento dei vari scavi del Della Torre sul catasto moderno della città, il Brozzi si focalizzò soprattutto sul suo sviluppo longobardo, mentre Bosio e Ta9 DELLA TORRE 1816 – 1827. BROZZI 1971, 1975. 11 TAGLIAFERRI 1986, 1991. 12 BOSIO 1972, 1977. 13 STUCCHI 1951. 10 204 gliaferri proposero due diverse strutture urbanistiche del centro romano14. Infine, dagli anni ‘80 la Soprintendenza ha promosso numerosi scavi che hanno permesso di ampliare la conoscenza della topografia della città. Anche in questo caso tutti questi dati sono stati raccolti e studiati in una tesi di laurea e successivamente in una tesi di dottorato15. Fig. 7 La carta archeologica dello Stucchi. 14 15 COLUSSA 2010. GONIZZI BARSANTI 2003, 2008. 205 3. LA CARTA ARCHEOLOGICA SU SUPPORTO DIGITALE 3.1 Trieste Per la città di Trieste è stata usata come cartografia di base il c.d. “Piano Müller”, una cartografia dedicata al centro città, la cui redazione si data al 1868 e che è stata di volta in volta aggiornata; in tempi recenti è stata computerizzata e resa idonea alle attuali esigenze di pianificazione della città. Attraverso la creazione e lo sviluppo di una poligonale di appoggio (Fig. 8), sono state collegate tutte le aree di scavo archeologico indagate dagli anni 90, soprattutto nell’area centro settentrionale del rione di “Cittavecchia” che ha nella via dei Capitelli la principale dorsale nord-sud. La poligonale è stata agganciata al piano Müller mediante riferimenti di facile agibilità, sullo stesso piano Müller quindi sono stati inseriti tutti i dati cartografici rilevati direttamente sul terreno e ottenuti dalla ricerca bibliografica d’archivio. Fig. 8 La poligonale di Trieste. Attraverso la vettorializzazione di questi ultimi la restituzione grafica è stata resa omogenea ed è stato creato un insieme limitato di layer dedicati alla diversa attribuzione grafica degli oggetti rappresentati (Fig. 9). Poiché numerosi elaborati grafici, soprattutto quelli frutto di recenti indagini archeologiche, avevano una rappresentazione in scala di detta206 glio molto alta (da 1:5 a 1:50), si è scelto di creare un doppio livello di rappresentazione mediante da un lato la digitalizzazione della resa dettagliata, dall’altro attraverso la schematizzazione degli stessi elaborati in modo tale da garantire una rappresentazione corretta dal punto di vista degli orientamenti e della posizione topografica degli elementi rappresentati (in modo particolare strutture murarie, piani pavimentali ed altri elementi utili alla ricostruzione planimetrica dei siti indagati). Per la rappresentazione di dettaglio sono stati utilizzati anche fotopiani laddove il contesto lo permetteva. Fig. 9 La vettorializzazione dei disegni di scavo. In un primo momento l’intero sistema cartografico si basava esclusivamente sul sistema di coordinate Cassini-Soldner; successivamente, grazie alla registrazione di alcuni dei capisaldi di primo livello della poligonale di appoggio con strumentazione GNSS, è stata possibile anche una rototraslazione sul sistema cartografico basato sulle coordinate WGS84 e conseguentemente sulle coordinate Gauss-Boaga. La griglia topografica in questo modo è stata riferita oltre che al piano Müller, anche alla Carta Tecnica Regionale 1:5.000 del Friuli Venezia Giulia e alla cartografia catastale del comune di Trieste. Questi molteplici riferimenti hanno permesso una maggiore possibilità di interrogazioni all’interno del sistema GIS successivamente creato su queste basi cartografiche. 207 Va inoltre detto che nel corso dei rilievi topografici e con lo sviluppo della rete poligonale, sono stati rilevati anche numerosi profili degli edifici moderni che costituivano spesso i limiti delle aree di cantiere archeologico: in questo modo oltre ad ottenere una restituzione cartografica precisa delle strutture archeologiche, si è stati in grado di creare, per numerose zone, una rappresentazione grafica estremamente dettagliata anche del contesto urbano in cui si operava. Quest’ultima rappresentazione ha costituito in molti casi una utile correzione e precisazione delle cartografie di base (soprattutto Piano Müller) utilizzate come supporto. Il risultato finale è una carta vettoriale su supporto CAD in formato *.dwg/*.dxf all’interno della quale si possono facilmente estrapolare i livelli dedicati esclusivamente alla griglia topografica (vertici di aggancio, di appoggio, di primo livello e di raffittimento, i rapporti di intervisibilità, i dati altimetrici e i singoli punti di rilievo), i livelli del tessuto urbano della città moderna, i livelli della restituzione grafica della città antica (con accorgimenti grafici per diverse piante tematiche-cronologiche) ed infine i livelli delle restituzioni grafiche di dettaglio (piante a grande scala di dettaglio) (Tav. XX). 3.2 Cividale del Friuli Il centro storico di Cividale, a differenza del quartiere di “Cittavecchia” di Trieste, non ha avuto una serie di indagini archeologiche diffuse nella zona centrale concentrate in un arco temporale relativamente breve. Alcuni dei principali interventi di scavo sono databili agli anni ‘60, nei decenni successivi sono stati realizzati diversi interventi in alcune zone del centro storico e negli ultimi anni la Soprintendenza, in collaborazione con l’amministrazione comunale, ha realizzato alcuni importanti scavi nelle zone di “Corte romana” e “Foro Giulio Cesare”. Proprio in occasione di questi ultimi interventi, la stessa Soprintendenza ha promosso una mappatura sistematica degli interventi già portati a termine e ha richiesto la creazione di una rete topografica di appoggio per la realizzazione di una carta archeologica su supporto digitale, sulla base di esperienze analoghe già promosse in altri siti della Regione. Nel 2006 quindi 208 è stata creata una rete topografica mediante la messa in opera di capisaldi che sono stati rilevati con strumentazione GNSS. Conseguentemente è stata realizzata una rete di raffittimento per raggiungere alcune zone dell’area del centro storico (Figg. 10-11). Fig. 10 Raffittimento della rete mediante stazione totale. Fig. 11 I capisaldi della rete GNSS. All’interno della città sono stati identificati alcuni punti significativi nei quali sono stati posizionati i capisaldi per ciascuno dei quali è stata creata una monografia (Fig. 12). La griglia è attualmente considerata come base topografica utile sia per il lavoro della Soprintendenza che dell’Amministrazione comunale, diventando uno strumento per la tutela dei beni archeologici conosciuti, utile soprattutto nel caso di interventi successivi. Da questo momento in poi tutti i risultati degli interventi di scavo archeologico sono stati implementati all’interno di un sistema cartografico avente come base la Carta Tecnica Regionale 1:5.000 del Friuli Venezia Giulia, nonché la pianta catastale del Comune in scala 1:1.000, entrambe espresse in coordinate Gauss-Boaga. All’interno di questo catalogo cartografico sono stati quindi inseriti tutti i dati d’archivio derivanti da interventi sul territorio dal 1800 in poi. 209 Fig. 9 Una delle monografie dei singoli chiodi. Anche in questo caso, il risultato finale è una carta archeologica su supporto digitale in cui compaiono contemporaneamente il tessuto urbano attuale sovrapposto ai dati archeologici; la rappresentazione grafica di questi ultimi è molto eterogenea: poiché non per tutte le aree indagate è stato possibile realizzare un preciso inquadramento topografico od ottenere dei dati planimetrici completi, spesso sulla carta archeologica compaiono dei posizionamenti puntuali che si affiancano a delle rappresentazioni planimetriche topograficamente precise (Tav. XXI). 210 4. IL DATABASE ED IL SISTEMA INFORMATIVO GEOGRAFICO Per ciascuno dei due siti sono stati creati due GIS che per molti aspetti ripropongono la stessa struttura ma che tengono conto delle importanti differenze tra i due siti analizzati e soprattutto tra le due tipologie di banca dati a disposizione. Al GIS è stato collegato un database contenente tutte le informazioni topografiche ed archeologiche accessibili attraverso specifiche interrogazioni e una serie di campi descrittivi che raccolgono le informazioni relative agli scavi e tutta la documentazione d’archivio come fotografie d’epoca, piante di scavo e altri dati. Per Trieste, il database è stato creato utilizzando Microsoft® Access usando i campi dell’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione (ICCD) (Fig. 13). Nella banca dati sono stati riuniti tutti i dati relativi alla documentazione delle singole aree archeologiche studiate come fotografie, rielaborazioni grafiche o schede esplicative. Il database è stato strutturato in una serie di campi di informazione associati alla cartografia archeologica sovrapposta ad entrambe le cartografie di base, Piano Müller e catasto. Ogni particella catastale è stata associata ad una serie di dati archeologici relativi ad essa, proponendo i dati derivanti da indagini d’archivio fino a quelle più recenti. In accordo con la Soprintendenza per i Beni Archeologici del Friuli Venezia Giulia, per i siti considerati in questo contributo e per gli altri per i quali vengono effettuate regolari indagini archeologiche e viene fatto un sistematico rilievo topografico, viene fatta una continua e costante acquisizione dei dati topografici, archeologici e d’archivio con l’obiettivo di mantenere il più aggiornato possibile ognuno di questi archivi multimediali. In questo contributo si è scelto di evidenziare in particolare i dati relativi al periodo romano poiché questo periodo cronologico è stato approfondito durante i due dottorati di ricerca in Geomatica e GIS portati a termine presso l’Univeristà degli Studi di Trieste. 211 Fig. 13 Una delle maschere del database sulla base dei campi ICCD. Per i vari siti documentati, in particolare per la città di Trieste e la sua zona centrale più antica, i dati relativi alle fasi successive sono stati implementati al fine di rendere possibile un’analisi diacronica relativa ai vari periodi storici che hanno segnato lo sviluppo urbanistico dei siti analizzati. A differenza del caso di Trieste, in cui i siti documentati planimetricamente sono molto numerosi e quindi la ricostruzione dell’antico tessuto urbano nelle sue varie fasi è immediatamente visibile e comprensibile, a Cividale la maggior parte dei dati d’archivio è costituita da informazioni localizzate attraverso il numero di identificazione catastale: gli scavi sono stati posizionati sulla cartografia in base a questi dati, ma sono generalmente privi di documentazione planimetrica in grado di restituire i profili delle strutture evidenziate. 212 Il database collegato al GIS comprende tutti i dati d’archivio relativi alle indagini archeologiche dalle più antiche alle più recenti. Per i siti investigati di recente sono stati eseguiti dettagliati rilievi informatizzati, inseriti in seguito nella carta archeologica, per i quali è possibile creare mappe tematiche. All’interno del GIS, i dati contenuti nel database sono stati utilizzati per ricerche di vario genere, come ad esempio alcune utili per ottenere dati statistici relativi alle diverse profondità degli affioramenti archeologici, al fine di pervenire ad una possibile carta del rischio archeologico (Fig. 14). Fig. 14 Il GIS di Cividale del Friuli con indicata una delle interrogazioni possibili. 5. LA TRASMISSIONE DEI DATI A completamento del GIS relativo alla città di Cividale del Friuli, è stata creata, in accordo con la Soprintendenza, una postazione multimediale basata su un CD che raccoglie le informazioni relative ai reperti maggiormente significativi per la storia della città nelle varie fasi di vita. L’organizzazione interna del sito è stata impostata sulla base delle planimetrie dei piani del Palazzo dei Provveditori, sede del Museo (Fig.15): in 213 questo modo il visitatore con propria scelta autonoma può navigare all’interno del museo e selezionare le parti di maggior interesse o curiosità personale, ma soprattutto avrà le informazioni necessarie per ricollocare il reperto nel punto esatto di ritrovamento, sia in rapporto all’attuale configurazione della città sia all’assetto urbanistico antico, grazie alla sovrapposizione tra cartografia moderna e carta archeologica. In questo modo, le scoperte e gli studi relativi alla città antica possono essere messi a disposizione del pubblico per facilitare la comprensione della forma urbana antica. Seconda funzione, collegata alla prima e anch’essa fondamentale, è permettere la ricollocazione dei reperti nel luogo di rinvenimento, per conoscere la destinazione originaria nel contesto di pertinenza. In questo modo si evita che i materiali esposti rimangano solo bellissimi frammenti d’arte, ma se ne possa comprendere, oltre ai dati cronologici e tipologici, la relazione topografica e funzionale con le aree o le strutture che li contenevano in antico. Fig. 15 Una delle schermate principali del cd multimediale. 6. CONCLUSIONI In conclusione, la creazione di una carta archeologica su supporto digitale e la successive creazione del GIS non solo hanno permesso la raccolta di dati eterogenei, favorendo lo studio e la ricerca, ma sono un 214 ottimo strumento per la realizzazione della carta di rischio archeologico che può essere chiamata carta previsionale perché fornisce dati per la protezione dei siti archeologici, uno strumento che è costantemente in sviluppo, che riassume i dati noti, i dati ipotetici e i luoghi in cui è presente assenza di dato, individuando le aree a rischio per futuri interventi archeologici. L’uso di questi strumenti da parte delle autorità locali aiuta a preservare il patrimonio archeologico che è già stato indagato e studiato e quello che è ancora nascosto sotto la città moderna. ACKNOWLEDGMENTS Gli autori vogliono ringraziare F. Maselli Scotti, P. Ventura e Vitri della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Friuli Venezia Giulia per la possibilità accordata di consultazione dei dati d’archivio e G. Manzoni e C. Morselli dell’Università degli Studi di Trieste per la loro collaborazione durante il Dottorato di ricerca. SARA GONIZZI BARSANTI1, MASSIMO BRAINI1 1 DiSCAM – Dipartimento di Storia e Culture dall’Antichità al Mondo Contemporaneo - Università di Trieste - [email protected] [email protected] ABSTRACT Con la creazione di una rete topografica per coprire l’intera area del centro storico e attraverso la georeferenziazione dei principali punti di riferimento tramite GNSS sono state effettuate diverse misurazioni ed è stato documentato lo sviluppo urbano delle antiche città di Trieste e Cividale del Friuli (Friuli Venezia Giulia). Sono state successivamente create mappe in coordinate assolute all’interno delle quali sono confluiti dati d’archivio di varia natura ed è stata creata la carta archeologica di entrambe le città. Quest’ultima è stata utilizzata come supporto per la creazione di un GIS collegato ad una banca dati contenente tutte le informazioni relative agli scavi archeologici e ai dati d’archivio. In questo modo, dalla sovrapposizione del tessuto urbano attuale e dei dati archeologici noti, è stato possibile creare una serie di carte tematiche che hanno come obiettivo l’individuazione delle zone di rischio archeologico, fornendo così un utile strumento per la progettazione di nuovo sviluppo urbano. 215 By creating a topographic network to cover the entire area of the old town and through georeferencing of the main landmarks using GNSS, were made several measurements which has been documented the urban development of ancient cities of Trieste and Cividale del Friuli (Friuli Venezia Giulia). Maps were then created in absolute coordinates within which were included extensive data archive of a different nature and it was created the archaeological map of both cities. This map was used as a support for the creation of a GIS linked to a database containing all information relating to the data documented during archaeological excavations and obtained from archival data. In this way, by the overlap of the current urban terrain and the archaeological data known and stored in archives, it was possible to create a series of thematic maps having as goal the identification of archaeological risk zone, thus providing a useful tool for design of new urban development. BIBLIOGRAFIA BOSIO 1972: L. Bosio, Raccolta di elementi e proposte per l’individuazione delle strutture urbanistiche di Forum Iulii, Scritti storici in memoria di Paolo Lino Zovatto, A. Giuffré, Milano 1972. BOSIO 1977: L. Bosio, Forum Iulii tra il tardo antico e l’alto medioevo, convegno del 1° maggio, Udine 1977. BRAINI 2003: M. Braini, Trieste antica. Nuovi dati per la forma urbis, tesi di laurea in Topografia dell’Italia antica, Università degli Studi di Trieste, 2003. BRAINI 2010: M. Braini, Trieste Antica: Applicazioni e Sistemi Informativi per la carta Archeologica, tesi di dottorato in Geomatica e Sistemi Informativi Territoriali, XXIII ciclo, Università degli Studi di Trieste, 2010. BROZZI 1971: M. Brozzi, Ricerche sulla topografia di Cividale longobarda, Deputazione di Storia Patria per il Friuli, Udine 1971. BROZZI 1975: M. Brozzi, “Cividale: note di topografia medievale (secoli XI – XIII)”, in Memorie Storiche Forogiuliensi, LV, Udine 1975, pp. 11-28. COLUSSA 2010: S. Colussa, Cividale del Friuli. L’impianto urbano di Forum Iulii in epoca romana. Carta archeologica, Journal of Ancient Topography, Supplemento V , Mario Congedo Editore, Galatina 2010. DELLA TORRE 1816: M. Della Torre, Prospetto I dei scavi attivati in Cividale del Friuli per sovrana rissoluzione 15 Luglio 1816 sotto la direzione del canonico M. Co. della Torre e Valsassina, 1816. DELLA TORRE 1818A: M. Della Torre, Giornale delli scavi ripresi il 13 Aprile 1818 per il secondo anno assegnato per sovrana rissoluzione per l’anno 1818 in cartella XVII fasc. 3, 1818. 216 DELLA TORRE 1818B: M. Della Torre, Prospetto II delli scavi ripigliati in Cividale per sovrana rissoluzione dal 1 ottobre 1817 alli 17 gennaio 1818 sotto la direzione del Canonico Co: Michele della Torre e Valsassina, 1818. DELLA TORRE 1819A: M. Della Torre, Prospetto III delli scavi fatti in Cividale per sovrana risoluzione sotto la direzione del Canonico Michele della Torre e Valsassina per il secondo anno dei lavori assegnati, incominciati il 13 Aprile 1818 fino li 3 Ottore e ripigliati in Novembre 1818 fino alli 31 Settembre 1819, 1819a DELLA TORRE 1819B: M. Della Torre, Prospetto storico IV delli scavi fatti dal gennaio al luglio 1819, 1819. DELLA TORRE 1821: M. Della Torre, Prospetto V storico delli scavi per sovrana risoluzione fatti in Cividale del Friuli nel 1821 anno primo del secondo triennio de’ lavori in unione al libro parte III, 1821. DELLA TORRE 1822: M. Della Torre, Prospetto VI storico delli scavi fatti in Cividale del Friuli nel 1822, 1822. DELLA TORRE 1823A: M. Della Torre, Prospetto storico VII degli scavi fatti dal novembre 1822 ai luglio 1823, 1823. DELLA TORRE 1823B: M. Della Torre, Protocolli delli scavi 1819-1820-1821-18221823 in cartella XXI, 1823. DELLA TORRE 1826: M. Della Torre, Prospetto storico VIII degli scavi fatti dall’ottobre 1825 ai 30 maggio 1826, 1826. DELLA TORRE 1827: M. Della Torre, Tabella I – II spiegante li scavi praticati nel tipo della città di Cividale dal 1817 al 1826 di sovrana rissoluzione 1827 in cartella XIX, 1827. GONIZZI BARSANTI 2003: S. Gonizzi Barsanti, L’urbanistica di Forum Iulii (Cividale del Friuli), tesi di laurea in Topografia dell’Italia Antica, Università di Roma “La Sapienza”, 2003. GONIZZI BARSANTI 2008: S. Gonizzi Barsanti, Sistema informativo territoriale storico – urbanistico di Forum Iuliii (Cividale del Friuli), tesi di dottorato in Geomatica e Sistemi Informativi Territoriali, Università degli Studi di Trieste, 2008. MASELLI SCOTTI 2001: F. 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Albo storico topografico della città e territorio di Trieste, Edizioni Italo Svevo, Trieste 1989. 218 @RCHEONET: UNA PROPOSTA DI REAL TIME-MULTITASKING ARCHEOLOGICO «Lo scavo è […] una procedura lunga e faticosa e solo la documentazione analitica delle unità stratigrafiche e la loro ricomposizione nella ricostruzione ideale possono riparare il danno della distruzione che esso inevitabilmente comporta. In tal modo lo scavo traduce forzatamente e irreversibilmente la pesantezza dei materiali e della terra nella leggerezza delle parole, dei disegni e delle fotografie. D’altra parte senza questa trasformazione la stratificazione sarebbe solo silenzio e oscurità, non esistendo che in potenza per noi1». Con queste parole A. Carandini evidenzia uno dei problemi fondamentali della ricerca archeologica: la distruzione del dato reale, frammentario e tangibile, e la sua commutazione in informazioni idealmente complete, in grado di raccontare una storia che tenderà non alla verità – ontologicamente impossibile da raggiungere – quanto al più alto grado possibile di verosimiglianza. Affinché ciò possa avvenire è necessario che la raccolta dei dati iniziali sia effettuata nella maniera più rigorosa, al fine di evitare errori e, soprattutto, di scongiurare temibili, quanto spesso inevitabili, perdite documentative. A tale considerazione di carattere generale, se ne va ad affiancare un’altra dalla focale più ristretta, soggettiva: gli archeologi, infatti, orientano la ricerca sul campo non solo selezionando materiali ed elementi vettori di dati ritenuti importanti, ma sovrapponendovi costantemente la propria esperienza, che agisce come un filtro: è su di essa che si basa la decisione di cosa debba essere registrato e cosa no, ed è durante suddetta selezione – passaggio delicatissimo sul quale raramente ci si sofferma a meditare – che può avvenire una scrematura concettuale davvero irreparabile. Se l’azione di scavo è un atto di distruzione purtroppo inevitabile, la documentazione deve, invece, costituire la base di un processo reversibile, presupposto imprescindibile di analisi e sintesi da formulare e smontare più volte, se dovesse risultare non verosimile o insoddisfacente dal punto di vista ermeneutico. 1 A. CARANDINI, Storie dalla terra, Einaudi, Torino 2000, pag. 18. Con lo scopo di garantire l’acquisizione immediata delle informazioni, la loro gestione e la loro fruizione, è nata l’idea di @rcheoNet. Programmato da un archeologo, deriva dall’esperienza quotidiana sul campo: a tutt’oggi, infatti, sebbene informatica e tecnologia dilaghino in misura sempre crescente all’interno della disciplina, uno dei processi più delicati, la documentazione dello strato archeologico, viene ancora gestito manualmente, lì dove proprio l’ausilio del mezzo informatico apporterebbe notevole giovamento. La scheda US, infatti, veicolo informativo principe nell’odierna metodologia, costituisce il momento di maggiore perdita dei dati, che può avvenire durante la redazione, fase nella quale può capitare di non scrivere tutte le informazioni, di annotare un errato rapporto stratigrafico o di rimandare la compilazione di alcuni campi ad un periodo variamente successivo; nell’archiviazione, quando la scheda US può fisicamente essere danneggiata o andare persa; nella digitalizzazione, durante la quale può succedere di riscontrare una non coerenza dei dati – rendendo quindi vano lo sforzo di standardizzazione insito nella scheda cartacea – con la conseguenza, avvenendo a distanza di tempo, di richiedere la titanica impresa, una volta constatati gli eventuali errori occorsi nei due precedenti passaggi, di ricordare ed integrare i dati mancanti e di correggere quelli palesemente errati. Risulta quasi superfluo indicare come l’utilizzo di un semplice database, con gli opportuni codici di controllo, risolva molti dei suddetti problemi, mentre quasi incredibile appare la constatazione di come, se la documentazione avvenisse all’istante, si risolverebbero tutte le questioni alle quali si è accennato all’inizio, consentendo nuove possibilità di gestione di essa. Ecco pertanto @rcheoNet, una suite di programmi che, unitamente all’utilizzo di hardware a basso costo, rende istantanea ed economica l’immissione dei dati di scavo da parte di più operatori, la loro gestione in tempo reale, il controllo di essi in ogni momento e da ogni luogo, garantendone tanto una fruizione immediata nell’ambito della comunità scientifica, quanto la consultazione semplificata da parte di un pubblico generico. Primo tassello è @.Client, che si occupa dell’inserimento di dati – nel momento stesso dell’individuazione, e non successivamente, come sinora è avvenuto – di appunti e memoranda da dispositivo porta220 tile (notebook, netbook e, in fase di sviluppo, versioni per palmare e iPad) collegato via Wi-Fi ad un computer (notebook, netbook o PC desktop) sul quale gira @.Server, fulcro del sistema: esso controlla non solo ogni scheda compilata in locale da @.Client ed inviata istantaneamente a fine redazione, ma si occupa anche di gestire le diverse utenze (sono possibili diverse istanze contemporanee di @.Client), di controllare la documentazione accessoria (numero di foto, piante, chiodi) e di permettere l’accesso ai dati da web, tramite @.Browser, consentendo al direttore di scavo o ad altri referenti di seguire da remoto l’avanzamento dei lavori. Al problema, più volte evidenziato, della difficoltà manifesta dell’archeologia di spiegare sé stessa in contesti urbani, auspicando anzi che i cantieri di scavo – da sempre avvertiti dalla cittadinanza come un ostacolo al normale svolgimento della vita quotidiana – siano il più possibili intellegibili ai non specialisti, risponde @.Touring: tale programma consente, con il minimo dispendio di tempo e di energia, di coinvolgere la cittadinanza o i visitatori illustrando loro quanto stia avvenendo e quali risultati si stiano ottenendo all’interno del cantiere archeologico, essendo connesso ad @.Server. In tal modo si può cercare di ottemperare meglio a quel fine ultimo e obiettivo supremo che sempre deve riproporsi l’attività archeologica, ossia la divulgazione. @rcheoNet costituisce dunque una prima, sperimentale proposta integrata e completa, testata ed in attesa di verifica sul campo, che intende rispondere appieno alle necessità di una scienza in continua evoluzione, un’archeologia che possa essere davvero “2.0”. SAVERIO GIULIO MALATESTA Università di Roma “La Sapienza” [email protected] 221 ARCHEOLOGIA VIRTUALE: IL CONTRIBUTO DEL CONSERVATORE. DUE CASI DI STUDIO: VILLA DEI PISONI – GOLFO DI BAIA (NA) Verranno di seguito presentati due esempi di modellazione tridimensionale applicata all’archeologia e la metodologia seguita per la creazione degli elaborati. Oggetto di studio sono i resti dell’area archeologica subacquea del Golfo di Baia, nella provincia di Napoli, e la ricostruzione virtuale di alcune sue parti, prodotta in collaborazione con C.S.R. Restauro Beni Culturali di R. Mancinelli. In generale per la creazione di modelli tridimensionali è indispensabile disporre di elaborati grafici del bene o dei beni che verranno rappresentati con la computer grafica. Per la produzione degli elaborati si possono utilizzare vari metodi di rilievo finalizzati allo scopo oppure usare i dati di rilievi già effettuati. Nel caso in cui ci si avvalga di elaborati creati da terzi, se le condizioni lo consentono, è fondamentale un sopralluogo del disegnatore che consentirà la comprensione del bene o del sito da restituire, nonché la verifica, ed eventualmente l’arricchimento, dei dati e la raccolta di ulteriori informazioni. In entrambi i casi qui presentati si è partiti da rilievi e da riprese fotografiche già effettuate in quanto le particolari condizioni del sito non consentono un sopralluogo. Come prima fase i grafici sono stati elaborati e confrontati con le fotografie. Sono state recuperate le informazioni più importanti ai fini della modellazione (disegni con diverse finalità contengono diverse informazioni) e creati i nuovi supporti grafici digitali che hanno costituito la base del lavoro. Sono stati identificati i materiali e le finiture superficiali dei beni antichi dove era possibile; in questa fase è stata indispensabile la consulenza diretta del personale che ha operato in situ e le relazioni dettagliate degli esperti, sia archeologi che restauratori. Nella seconda fase, dopo un’accurata valutazione ed interpretazione di tutti i dati a disposizione, e usando i nuovi supporti bidimensionali, compatibili con i programmi di modellazione, si è creato il modello volu222 metrico del bene da rappresentare. Questo modello è stato ulteriormente elaborato per ottenere i modelli definitivi sia per lo studio che per la resa fotorealistica. L’impossibilità di effettuare un sopralluogo da parte del disegnatore ha richiesto non solo una familiarità con l’archeologia o le architetture storiche in genere ma delle conoscenze specifiche sull’argomento. La restituzione in 3D di un bene antico richiede prima di tutto la comprensione dell’oggetto in sé o delle sue parti superstiti. L’integrazione virtuale delle parti mancanti si basa sulle informazioni esistenti, e se queste sono limitate o frammentarie vanno valutate e interpretate con la dovuta cautela, ricorrendo anche a paragoni con strutture pertinenti per periodo, zona o stile. Nei casi specifici, per l’interpretazione di questi dati, il contributo dell’esperto, il restauratore R. Mancinelli che ha operato sui beni specifici, è stato fondamentale. PRIMO CASO: RESTITUZIONE TRIDIMENSIONALE DI PORZIONE DI MURO NELLO STATO DI FATTO E RAPPRESENTAZIONE DELL’ASPETTO PREVISTO DOPO IL RESTAURO. VILLA DEI PISONI – BAIA (NA) In questo caso lo scopo del lavoro è duplice. In primis è quello di ricostruire in modo virtuale lo stato di fatto del bene per rendere comprensiModello virtuale del bene antico. bile la sua volumetria attuale sia a chi non ha accessibilità al luogo sia a chi interverrà su di esso (è utile ricordare che la visibilità sott’acqua è molto ridotta). In secondo luogo deve rappresentare con chiarezza il lavoro di restauro (pulitura e integrazione) che si intende fare sui resti. 223 Elaborato finale della porzione di muro nello stato di fatto. Cfr. Tav. XXIV. Rappresentazione digitale del bene antico dopo il restauro. Cfr. Tav. XXIV. SECONDO CASO: IPOTESI DI RICOSTRUZIONE DI PAVIMENTAZIONE ANTICA. VILLA DEI PISONI – BAIA (NA) In questo caso il compito del disegnatore è stato quello di proporre una ricostruzione attendibile dello Elaborazione della pianta ambiente e del pavimento originario dell’ambiente antico del quale sono rimaste solo alcune tracce e pochissimi frammenti. Si è partiti dal rilievo dei resti fornito come immagine in formato PDF. Si tratta di una documentazione archeologica molto dettagliata che 224 riporta perfettamente le informazione necessarie anche ai fini della ricostruzione virtuale. Dopo l’attenta lettura del rilievo e l’identificazione, attraverso le fotografie, del materiale marmoreo superstite si sono fatte alcune ipotesi per la ricostruzione della pavimentazione. Di queste ipotesi solo Particolare della una, con i confronti necessari con degli esempi perpianta con la tinenti per periodo e area, ha trovato riscontro. Sucdisposizione delle cessivamente si è creato il modello basato sui dati del lastre originali. rilievo e integrato secondo l’ipotesi già avanzata e, in fine, al modello sono state applicate le finiture superficiali creando i rendering. Ipotesi intermedie di ricostruzione della tessitura del pavimento antico. Ipotesi finale della disposizione delle lastre rappresentata come modello tridimensionale. Cfr. Tav. XXIV. 225 Ricostruzione delle altezze e dei rivestimenti parietali dell’ambiente basata unicamente su confronti con ambienti simili. Modello finale. Cfr. Tav. XXIV. Ipotesi finale basata sui dati dello scavo con disposizione e tipologia dei marmi della pavimentazione. Cfr. Tav. XXIV. RINGRAZIAMENTI I lavori qui presentati sono stati prodotti in collaborazione con C.S.R. Restauro Beni Culturali di R. Mancinelli. Le immagini fotografiche e i rilievi originali sono proprietà dell’Istituto Superiore per la Conservazione ed il Restauro e sono stati realizzati nell’ambito del Progetto “Restaurare sott’acqua”. Si ringrazia l’ISCR per aver consentito la divulgazione del materiale. GEORGIOS LAGIONIS 226 GLOSSARIO FONDAMENTALE Ambient Occlusion: metodo di shading usato nella computer grafica 3D in grado di calcolare l’attenuazione luminosa in prossimità di volumi occlusi. Si tratta di un metodo globale nel quale l’illuminazione di ogni punto è in funzione della geometria della scena. CAD: nella realizzazione puramente geometrica del modello l’acronimo viene utilizzato per indicare due differenti concetti, il ComputerAided Drafting ovvero il “disegno tecnico assistito al computer” tipicamente 2D, ed il Computer-Aided Design ovvero la “progettazione assistita al computer” tipicamente 3D. Quando il modello tridimensionale viene realizzato per analisi statiche, dinamiche e strutturali si entra nel campo del Computer-Aided Engineering (CAE), disciplina più vasta di cui il CAD costituisce un sottoinsieme. I programmi CAD possono integrare strumenti di Computer-Aided Manufacturing (CAM), ovvero “fabbricazione assistita al computer”, che attraverso specifiche istruzioni appositamente generate sono in grado di dialogare con una macchina utensile atta a produrre il manufatto progettato. Computer Vision: l’insieme dei processi di acquisizione, processamento, analisi e comprensione di immagini e dati dal mondo reale ai fini della produzione di informazioni numeriche e simboliche. L’inizio della CV si può fissare al 1920, quando si vollero mandare immagini digitalizzate dei quotidiani dall’Inghilterra all’America attraverso un ponte radio supportato da sottomarini. DEM: acronimo di Digital Elevation Model, una rappresentazione 3D della superficie terrestre ottenuta da dati di elevazione. Da non confondere con il DSM (Digital Surface Model), che nei dati di elevazione include anche gli oggetti presenti sulla superficie quali case, alberi, ecc. (in altri termini un DEM non filtrato) e DTM (Digital Terrain Model), il quale si avvale anche di dati quali pendenza ed esposizione. Un ultima tecnica per la generazione di modelli 3D è il TIN (Triangulated Irregular Network data model), che si basa sulla triangolazione di Delaunay per 227 rappresentare la superficie del terreno come una serie di triangoli adiacenti che possono essere distribuiti anche in modo irregolare. ECDL: acronimo di European Computer Driving Licence, la “Patente europea del computer”, attestato riconosciuto in molti Paesi UE che certifica le capacità dell’utente di operare con i programmi base legati alla “tecnologia dell’informazione” (IT). Il livello avanzato (Specialised) prevede certificazioni anche per CAD, GIS e multimedia. GIS: acronimo di Geographic Information System, ovvero un sistema che consente la catalogazione, l’interrogazione e la visualizzazione di n informazioni derivanti da dati geografici (ovvero georiferiti). Da non confondere con il SIT, per il quale vd avanti. Global Illumination: con questa espressione si indica quel gruppo di algoritmi usati in computer grafica 3D per aggiungere una illuminazione realistica alle scene. Comuni algoritmi di questo gruppo sono il raytracing, la radiosity, l’ambient occlusion ed il photon mapping: possono essere combinati insieme per aumentare il grado di fotorealismo della scena, a discapito delle risorse computazionali. Oltre all’illuminazione diretta generata dalle sorgenti di luce, molti di questi algoritmi sono in grado di calcolare anche la luce riflessa, diffusa o rifratta dalle altre superfici presenti all’interno della scena, da cui “illuminazione indiretta”, secondo il comportamento fisico del mondo reale. GNSS: acronimo di Global Navigation Satellite System, ovvero il “Sistema Satellitare di Navigazione Globale” che fa uso di una o più reti di satelliti artificiali intorno alla Terra per radiolocalizzare un punto (longitudine, latitudine, altitudine) sulla superficie terrestre o in atmosfera. Al suo interno sono compresi il sistema statunitense NAVSTAR GPS, il sistema europeo “Galileo”, il sistema russo GLONASS, il sistema regionale cinese “Beidou” (futuro “Compass”, che arriverà a coprire l’area Asia/Pacifico), il futuro sistema indiano IRNSS, il futuro sistema francese di precisione DORIS ed il futuro sistema regionale giapponese QZSS. In base alla precisione adottata dal sistema si parla di GNSS-1 e GNSS-2: la prima generazione di sistemi a cui appartengono quelli attivi attualmente, si combina con il Satellite Based Augmentation System (SBAS) o il 228 Ground Based Augmentation System (GBAS); la seconda generazione, di cui farà parte ad es. “Galileo”, userà le frequenze L1 e L2 per usi civili, mentre la frequenza L5 per l’integrità di sistema. LOD: acronimo di Level of Detail, ovvero la quantità d’informazione visibile all’interno di una rappresentazione grafica. Organizzando il modello a diverse scale di dettaglio, che vengono gestite dal motore di rendering in tempo reale, la visualizzazione 3D varia in base alla posizione del soggetto all’interno del mondo virtuale: in tal modo, l’impegno hardware e software della macchina viene bilanciato in base alle effettive esigenze. Una buona programmazione dei LOD di ogni modello si rende oggi sempre più necessaria in virtù dell’esplosione dei mobile devices che pur consentendo un facile e rapido accesso all’informazione non sono ancora dotati della potenza di calcolo installata invece su PC e console grafiche di ultima generazione. Materiale neutro: in computer grafica è un tipico materiale generalmente RGB 210,210,210 che consente una corretta valutazione dei parametri di illuminazione impostati per il rendering della scena. PNG: acronimo di Portable Network Graphics, è un formato per la memorizzazione di immagini creato nel 1995 di tipo platformless e lossless, ovvero con un algoritmo di compressione che non inficia la qualità del prodotto finale. Ideale per il web, supporta anche il canale alpha della trasparenza, cosa che lo rende ideale per la generazione di sequenze video da gestire con appositi software senza appesantire la gestione della memoria RAM del sistema. RGB: acronimo di Red-Green-Blue, è un modello di colori le cui specifiche sono state descritte nel 1931 dalla CIE (Commission Internationale de l’Éclairage), basato appunto sui tre colori fondamentali rosso, verde e blu. Soltanto le “porpore” non possono essere descritte dalla miscelazione di questi tre colori, in grado di rappresentare quasi tutto lo spettro dei colori visibili. Dal RGB discendono gli spazi colore comunemente usati, su tutti “sRGB” (tipico del web) e “AdobeRGB” (tipico della fotografia per via della sua maggiore ampiezza di gamma rispetto al precedente). 229 RTK: acronimo di Real Time Kinematic, o cinematica in tempo reale, tecnica usata nelle survey territoriali basata sulla correzione appunto in tempo reale del segnale del sistema GNSS assicurato da una o più stazioni di rilievo fisse verso un ricevitore mobile detto rover. SfM: acronimo di Structure from Motion, nella Computer Vision (vd sopra) quel campo costituito da processi per il rilevamento di strutture tridimensionali di oggetti a partire dall’analisi di segnali di movimento attraverso il tempo. Shader: indica il codice che descrive come una superficie si supponga debba apparire, ovvero gli attributi dei materiali della superficie e gli effetti che ne determinano l’aspetto al momento del rendering. SIT: «Il complesso di uomini, strumenti e procedure (spesso informali) che permettono l’acquisizione e la distribuzione dei dati nell’ambito dell’organizzazione e che li rendono disponibili, validandoli, nel momento in cui sono richiesti a chi ne ha la necessità per svolgere una qualsivoglia attività», secondo MOGOROVICH-MUSSIO 1988. Da non confondere con il GIS, per il quale vd sopra. UAV: acronimo di Unmanned Aerial Vehicle, ovvero “aeromobile a pilotaggio remoto”, secondo la definizione della Legge 14 luglio 2004, n. 178 e successive modifiche e decreti. Oggi meglio conosciuto come RPAS, acronimo di Remotely Piloted Air System, costituisce quella categoria di veicoli che volano senza l’ausilio di un pilota a bordo. Si possono trovare, come sinonimi dell’acronimo, anche RPV (Remotely Piloted Vehicle), ROA (Remotely Operated Aircraft), RPA (Remotely Piloted Aircraft) e UVS (Unmanned Vehicle Systems). A seconda della dimensione e delle caratteristiche possono portare strumentazione di peso variabile ed essere dotati di dispositivi automatici come la navigazione pre-programmata o essere videocomandati a distanza da terra. Il primo vero drone impiegato dall’Esercito Italiano fu il CL-89 o AN USD 501 e risale agli anni ‘60 del secolo scorso: sconfinata è la lista di modelli attualmente esistenti così come le loro applicazioni in campo civile e militare. 230 231 Tavole TAVOLE 232 233 Tavola I Ricostruzione tridimensionale del teatro. Tavola II Sovrapposizione degli edifici di Laus Pompeia con il tracciato viario attuale del comune di Lodi Vecchio. 234 Tavola III Il DEM generato e la relativa scala di riferimento. Tavola IV Alcuni esempi della nuvola di punti RGB. 235 a. b. c. d. f. e. Tavola V Esempi di elaborati. a e b: rispettivamente ortofoto e DEM delle absidi della chiesa di San Pietro (AQ). c e d: modelli tridimensionali a restituzione fotografica di due elementi architettonici della chiesa dei Santi Stefano e Silvestro, Castelnuovo (AQ). e: texture 3D di una finestra decorata del Monastero de San Prudencio de Monte Laturce, La Rioja, Spagna. f: digitalizzazione in tre dimensioni direttamente sulla texture a risoluzione fotografica. 236 Tavola VI Navigazione 3D in tempo reale all’interno del deposito archeologico (elaborazione grafica V. Pinna). Tavola VII Due diverse visualizzazioni tridimensionali relative ad altrettante fasi dello scavo (elaborazione grafica V. Pinna). 237 Tavola VIII Colle Marena Falascosa (San Vittore del Lazio, FR), modello tridimensionale del terreno con curve di livello, in blu l’idrografia ed in rosso il rilevamento GNSS del circuito murario (M.Manfrè). Tavola IX Pietrelunghe-Casalucense (Cassino, FR), DEM con sovrapposizione di una foto aerea del 1990 georeferenziata. In rosso il tracciato GNSS del circuito murario; in blu il Rio Secco (M.Manfrè). 238 Tavola X In alto da sinistra indice DVI e indice NDVI, in basso immagine RGB: si noti come le due tracce appaiano più evidenti grazie agli indici di vegetazione. Tavola XI Viewshed analysis e cost surface analysis. 239 Tavola XII “Parole di Pietra”: un esempio di ricerca di epigrafe sulla cartografia. Tavola XIII Esempi di acquisizione dati con laser scanner 3D, post-elaborazioni e ricostruzioni virtuali. 240 Tavola XIV DEM estratto da una stereo-coppia Ikonos-2 e vestito con un’immagine pan-sharpened (colour composite RGB 4-3-2) dello stesso satellite (elab. M. Limoncelli): l’elaborazione evidenzia le tracce mediate da una stentata crescita della vegetazione dovuta alla presenza di strutture interrate, in particolare quelle relative alla maglia ortogonale dell’impianto urbano. 1, Porta di Frontino; 2, Teatro Nord; 3, Agorà Nord; 4, Ninfeo dei Tritoni: 5, Cattedrale; 6, Terme Ottagonali; 7, Martyrion di S. Filippo; 8, Castellum aquae; 9, Teatro; 10, Insula 104; 11, Santuario di Apollo; 12, Santuario delle Sorgenti; 13, Agorà Civile; 14, Chiesa a Pilastri; 15, Terme Grandi; 16, Castello Selgiuchide; 17, Ginnasio. Le frecce indicano la cinta muraria proto-bizantina. Tavola XV Ricostruzione tridimensionale della Stoà-Basilica nell’Agorà Nord (elab. F. Gabellone, I. Ferrari, F. Giuri): particolare della parte centrale della facciata. 241 Tavola XVI Il “Trittico Portinari” di van der Goes nella visuale di Google Street View. Tavola XVII Il “Trittico Portinari” di van der Goes nella visuale di Google Art Project: è evidente rispetto alla tavola precedente l’attenzione alla fedeltà del colore ed alla correttezza nella ripresa frontale. 242 Tavola XVIII Urbino, il Duomo: difetto di prospettiva, difetto di zenit, errata giunzione delle fotografie all’interno di Google Street View. Tavola XIX Un volume da restaurare ripreso sotto delle luci ad incandescenza. In fotografia appare (a sinistra) fortemente affetto da una dominante “calda”, rossastra. A fianco, lo stesso volume fotografato dopo aver bilanciato il bianco in modo corretto. 243 Tavola XX La carta archeologica di Trieste. Tavola XXI La carta archeologica di Cividale del Friuli. 244 Tavola XXII @archeoNet: poster presentato nel corso del 2° Seminario di Archeologia Virtuale. 245 Tavola XXIII Epigrafi in palmo di mano: poster presentato nel corso del 2° Seminario di Archeologia Virtuale. 246 Tavola XXIV Il contributo del conservatore: poster presentato nel corso del 2° Seminario di Archeologia Virtuale. 247 248 Finito di stampare nel mese di marzo 2012 per conto di Espera s.r.l. da UniversItalia s.r.l. Printed in Italy 249