GIUSEPPE VERDI
(Busseto, 1813 – Milano, 1901)
Giuseppe Verdi fu uno dei massimi compositori italiani dell’800,
autore di melodrammi che fanno parte del repertorio operistico dei
teatri di tutto il mondo.
Peppino – come veniva chiamato affettuosamente – s’avvicinò
molto giovane alla musica, incoraggiato dal padre, Carlo, che gli
acquistò una vecchia spinetta.
Grazie all’interessamento del droghiere Antonio Barezzi, suo generoso mecenate e poi suo
suocero (ne sposò la figlia, Margherita, nel 1836), frequentò il ginnasio a Busseto; intanto
studiava musica presso il maestro Ferdinando Provesi, direttore della locale Società Filarmonica.
GLI “ANNI DI GALERA”
Nel 1836 sposò Margherita Barezzi da cui ebbe due figli che perirono in tenerissima età, seguiti
l’anno dopo dalla madre. Dopo aver inutilmente tentato di essere ammesso al Conservatorio di
Milano, Verdì seguì le lezioni private del clavicembalista del Teatro alla Scala, Vincenzo Lavigna.
Ottenuto nel 1838 un contratto coll’editore Ricordi, esordì come compositore di opere nel 1839,
ottenendo un incoraggiante successo con Oberto, conte di San Bonifacio. Per oltre dieci anni Verdi
scrisse in media un’opera all’anno, durante quelli ch’egli stesso definì i suoi anni di galera, nei
quali fu costretto a comporre freneticamente per vivere.
Non tutti i lavori di questo periodo sono eccellenti, ma sono comunque caratterizzati da una
spiccata e diretta teatralità. Dai Nabucco (1842) ai Lombardi alla prima crociata (1843), alla
Battaglia di Legnano (1849), fu un susseguirsi quasi ininterrotto di successi, in Italia e in Europa.
LA MATURITÀ: LA TRILOGIA POPOLARE
le opere Luisa Miller (1849) e Stiffelio (1850) segnano un momento fondamentale nell’evoluzione
stilistica di Verdi: il suo pensiero musicale si fa più raffinato includendo un’indagine approfondita
e sottile della psicologia di personaggi sempre più legati alla dimensione borghese.
È il raggiungimento della piena maturità, confermato dai tre titoli della cosiddetta “trilogia
popolare”, un trittico di opere dai soggetti diversissimi ma egualmente amati dal pubblico:
Rigoletto, Il trovatore e La traviata, tre melodrammi destinati a un successo senza flessioni.
Dopo la “trilogia popolare” Verdi cercò fortuna a Parigi. Il suo rapporto col gusto francese non fu
tuttavia facile e le opere composte per Parigi – Les vêpres siciliennes (1855) e Don Carlos (1867) –
incontrarono meno i gusti del suo pubblico.
Fu un momento di travaglio: Verdi poteva finalmente comporre senza fretta, ma il mondo
musicale stava lentamente cambiando, anche in Italia. Sui palcoscenici italiani, al mezzo
insuccesso di Simon Boccanegra (1857,) seguì Un ballo in maschera (1859), opera nella quale Verdi
mescolò con successo teatro tragico e leggero.
Dopo i due monumentali drammi storici, La forza del destino (1865) e il già citato Don Carlos –
questo periodo di sperimentazione culminò nel 1871 con Aida, opera ambientata nell’antico
Egitto, commissionata dal Kedivè Ismail Pascià per l’inaugurazione del Canale di Suez.
GLI ULTIMI ANNI
Dopo Aida Verdi, appagato dai successi internazionali e piuttosto critico nei confronti dei
progressi musicali contemporanei, decise di ritirarsi a vita privata. A farlo uscire dall’isolamento
fu Arrigo Boito, che aveva compreso, dopo averlo accusato di provincialismo., come solo Verdi
avrebbe potuto portare l’Italia musicale al passo coll’Europa.
Dalla loro collaborazione ne scaturisce Otello, un dramma decadentistico derivato dalla famosa
tragedia di Shakespeare. Dopo otto anni di lavoro, intervallato dal rifacimento del Simon
Boccanegra, Otello andò in scena nel 1887 e fu accolto da uno strepitoso successo.
Nel 1893, invece, nasceva Falstaff, una commedia che il poeta scapigliato derivò da alcuni drammi
di Shakespeare. Le due opere, entrambe rappresentate alla Scala, ebbero un esito diverso. Se
Otello incontrò immediatamente i gusti del pubblico, Falstaff spiazzò i melomani italiani.
L’anziano Verdi, rinvigorito dai libretti di Boito, era riuscito a spazzar via in un colpo solo tutte le
consuetudini dell’opera italiana, mostrando una vitalità artistica e una creativita che esercitò un
influsso decisivo sui giovani operisti a lui successivi, Puccini compreso.
La vita di Giuseppe Verdi è stata caratterizzata da due periodi: quello giovanile, fatto di problemi
e lutti, e quello della piena maturità, ricco di serenità e ispirazione. Egli trascorse gli ultimi anni
tra Sant’Agata e Milano.
Il 16 dicembre 1899 istituì l’Opera Pia – Casa di Riposo per i Musicisti: voleva assicurare conforto a
coloro «che si sono adoperati all’Arte Musicale» e che si trovavano in condizioni precarie. Dietro
sua volontà, i primi ospiti accederanno alla casa di riposo solo dopo la sua morte.
Quando il Maestro era morente all’Hotel Milan, piazza Duomo e le strade circostanti, vennero
cosparse di paglia in modo che lo scalpitio delle carrozze non disturbasse il suo riposo.
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Vincenzo Botta - 3D Mauri 2016-17