IL DEBITO PUBBLICO, IL “PIL” E LE NOTIZIE EVANESCENTI
Ma davvero il rapporto tra debito pubblico e “pil” è il principale indicatore per misurare la
stabilità economica di un Paese?
di Daniele Castelnuovo
Gesù, Giuseppe e Maria
quante umane creature
il dubbio non sanno neppure
che cosa sia!
E vanno come bovi alla cavezza
pieni satolli di un’ altrui certezza
(Da “Semi di zucca” di Mario Castellacci)
Debito e PIL e altri termini economici come deficit, risparmio privato e perfino Borsa, fanno ormai parte
del gergo televisivo e si sentono ripetere nei notiziari, troppo spesso senza un’adeguata spiegazione.
Nei media, queste parole sono andate perdendo significato e non ne sono state aggiunte altre addirittura
più importanti come bilancia corrente, investimenti privati o cambio delle valute.
Per la verità del dollaro si sente occasionalmente parlare ma quasi solo in rapporto alla politica americana e
quasi mai si fa riferimento alle sterline, corone nordiche, fiorini ungheresi e, meno che meno, ai rubli russi.
Chi sa in che relazione stia il deficit pubblico con il risparmio privato, oppure come sia composto il PIL o
anche solo quanto valga lo Yuan in dollari americani o Euro? Solo gli esperti sono in grado di stabilire la
vera entità e misura di queste grandezze.
Prendiamo il debito pubblico che nel caso italiano la fa da padrone nei notiziari quando si parla de
“mercati’. Di fatto, in rapporto al reddito, esso è rimasto relativamente stabile almeno se confrontato con
l’andamento degli anni 1970 e 1980.
Se poi si adottasse una correzione per l’andamento presente e futuro del ciclo economico e magari anche
dell’inflazione, la grandezza sarebbe molto ridimensionata, forse con grande scorno di molti tecnocrati
sedicenti di sinistra.
Comunque, misurare il debito pubblico è difficile e quantificare in modo adeguato il PIL è quasi
impossibile, se non come vaghe approssimazioni.
Il debito pubblico ciascun Paese lo calcola a modo suo
Per quanto riguarda il debito pubblico, ciascun paese o area adotta criteri parzialmente diversi che alcune
istituzioni internazionali cercano di rendere omogenei.1 Eppure anche ammettendo che il grado di
comparabilità internazionale sia soddisfacente, come giustificare che, se sono inclusi gli impegni delle
pensioni future, non lo devono essere i pagamenti degli interessi futuri? Forse un problema è il criterio di
contabilizzazione, per cassa riguardo al deficit annuo e per competenza per il suo aggregato nel tempo, il
debito.
Riguardo al prodotto interno lordo (PIL) esso è la somma di tutte le transazioni contabilizzate - soprattutto
ai fini fiscali - aggiustata per una stima a campione dei consumi delle famiglie. L’economia sommersa
(stimata a circa un terzo di quella ufficiale) non di rado si riferisce a scambi in contanti e anche questi non
rientrano in quest’aggiustamento che è quasi fatalmente approssimato per difetto.
Inoltre c’è da chiedersi: quanti servizi sono prestati senza adeguata contabilizzazione? Dalle consulenze di
ogni tipo gratuite invece che a pagamento, alle prestazioni famigliari eseguite da parenti invece che da
dipendenti; dalle consultazioni di enciclopedie su siti internet invece che acquistate in libreria, fino a ogni
tipo di prestazione gratuita, tutto ciò potrebbe e forse dovrebbe essere incluso nel PIL. E poi, in che modo
tenere conto con sufficiente precisione delle variazioni dei prezzi a parità di beni o servizi acquistati o delle
variazioni di beni e servizi a parità di prezzo, della produttività, innovazioni e qualità in essi incorporate?
Per esempio: per Euro 500 si compra un computer di qualità ben diversa e superiore di quello che si
acquistava con la stessa spesa 10 anni fa.
Come classificare nel “pil” beni e servizi non pagati?
Certo è che per un economista non esiste una facile scorciatoia su come cercare di classificare questi
fenomeni, come vaghi indicatori di benessere non misurabili. In generale però, sembra di poter dire che
una misura valida di un bene o servizio non pagato può essere il valore monetario di un bene o servizio
equivalente o la somma di denaro che uno sarebbe disposto a pagare per avere quel bene o servizio se non
fosse immediatamente disponibile o se non fosse gratuito. Così, per esempio, il valore di ammirare
un’opera l’arte potrebbe essere pari a quanto uno sarebbe disposto a spendere per affrontare un viaggio in
un luogo dove fosse disponibile. In ogni caso rimarrebbe il problema di identificare ed enumerare le
transazioni. Nel caso del debito pubblico invece occorrerebbe risalire al suo significato economico cioè la
migliore stima dei debiti in capo al settore pubblico prevedibilmente non coperti da prevedibili e adeguate
entrate.
I problemi di misurazione delle grandezze economiche
In ogni caso, i problemi di misurazione delle grandezze economiche sono forse il tema più ricorrente nella
ricerca economica applicata. Non si tratta di risolverli ma di renderli noti come avvertenza, mettendo in
guardia il pubblico informato sulla larga incertezza connessa alla loro misura.
Sarebbe soprattutto da evitare il comune malvezzo di enunciare dati e classifiche senza una spiegazione per
quanto semplice e sintetica. Chi avesse preso sul serio i criteri di Maastricht per l’entrata nell’Euro e tutta la
giaculatoria mistica di percentuali officiata dai chierici dell’economia negli anni 1990, non ultimo l’obiettivo
di un rapporto debito pubblico su PIL del 60%; chi fosse stato abbastanza ingenuo da credere senza capire,
difficilmente oggi comprenderebbe che un rapporto debito su PIL a, per esempio, il 105%, sarebbe un
risultato straordinario.
Quel che è davvero rilevante è la bilancia dei pagamenti correnti con l’estero
Sostanzialmente è il saldo dei conti finanziari della nazione che importa ai fini della solvibilità e del merito
di credito del paese e quindi anche dello Stato.2 Infatti, di norma e in termini netti, le famiglie sono
risparmiatrici, le imprese non finanziarie investitori, le aziende di credito e lo Stato possono essere sia
risparmiatori sia investitori – anche se in genere le prime sono creditrici e il secondo debitore. Ciò che è più
rilevante è il saldo totale, che corrisponde alla bilancia dei pagamenti correnti con l’estero.
Insieme con i dati di produzione industriale esso è di grande aiuto per valutare il vero stato di salute della
finanza in un paese. Infatti, un segno positivo della bilancia dei pagamenti correnti è indice della capacità di
esportare beni e servizi oltre che attirare investimenti diretti, cioè in impianti e macchinari. Questo saldo,
pertanto, indica la capacità dell’economia di essere e mantenersi concorrenziale avendo sufficienti risorse
per finanziare la crescita economica. Invece nel caso di segno negativo ciò è il segnale di scarsa produttività
internazionale e mancanza di mezzi finanziari, spesso dovuta a eccessivi consumi privati e pubblici e solo
raramente imputabile agli investimenti destinati a far migliorare il reddito.
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Daniele Castelnuovo è senese e vive a Milano, ha 64 anni, è stato
economista bancario e si occupa di analisi economiche e finanziarie
in particolare in ambito AIAF. Giurista di formazione, ha studiato
economia a Siena, Ancona e Oxford anche grazie a borse di studo del
Cospos e dell'Ente per gli studi monetari e finanziari L. Einaudi. Si è
occupato prevalentemente di scelte di portafoglio internazionali e di
matematica finanziaria.